Calcio 2000 n.206

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Mensile | FEBBRAIO 2015 | N. 206 | Italia | Euro 3,90

Calcio 2OOO il mensile diretto da FABRIZIO PONCIROLI

EDIZIONE SPECIALE CON L’ALBUM CALCIATORI 2014-15

ESCLUSIVA

Esclusiva

Speciale

I Giganti del Calcio

“Verona, sono innamorato”

Torneo strano, sublime magia

Mai banale, sempre unico

Tachtsidis

Coppa d’Africa

Tacconi

foto Andrea Ninni/Image Sport

MARCHISIO “VOGLIO ESSERE UN SIMBOLO”


EDITORIALE di Fabrizio PONCIROLI

www.calcio2000.it

direttore@calcio2000.it

N. 206 - FEBBRAIO 2015

Mensile | FEBBRAIO 2015 | N. 206 | Italia | Euro 3,90

Calcio 2OOO il mensile diretto da FABRIZIO PONCIROLI

EDIZIONE SPECIALE CON L’ALBUM CALCIATORI 2014-15

Esclusiva

Speciale

I Giganti del Calcio

“Verona, sono innamorato”

Torneo strano, sublime magia

Mai banale, sempre unico

Tachtsidis

Coppa d’Africa

Tacconi

foto Andrea Ninni/Image Sport

MARCHISIO “VOGLIO ESSERE UN SIMBOLO”

Calcio

2OOO

CLAUDIO MARCHISIO

ESCLUSIVA

2015, CI SIAMO ANCHE NOI…

O

k, in Europa ci saranno pure squadre fuori dalla nostra portata, ma non mi pare che l’Italia sia sparita del tutto… Una squadra in Champions League, tra l’altro con diverse chance di passare gli ottavi (il Borussia di questi tempi non mi pare insuperabile), e ben cinque rappresentanti in Europa League, ognuna delle quali con le carte in regola per arrivare fino in fondo. Insomma, ci siamo anche noi e questo deve essere motivo d’orgoglio. Anche per questo abbiamo deciso di dedicare la copertina al “nostro” Marchisio. Cagni lo ha definito “il miglior centrocampista in circolazione” e, forse, non ha tutti i torti. Italiano, con qualità tecniche uniche e un senso del gol fantastico, oltre ad una corsa inesauribile, il Principino è, ormai, una bandiera bianconera e pure del nostro calcio. Ha sempre avuto ben chiaro cosa volesse diventare, sia dentro che fuori dal campo, e, alla fine, ha centrato tutti gli obiettivi (e altri ne ha nel mirino). Vederlo ancora in gioco nell’Europa che conta deve farci sorridere e sperare che il futuro sia ancora nostro. Non avremo più i soldi di un tempo, ma non possiamo esserci dimenticati di come si vince su un campo da calcio… Cari amici, voglio essere estrema-

mente fiducioso per il 2015. Un nuovo anno è appena iniziato e la speranza è che sia quello della svolta (in tutti i campi). Abbiamo bisogno di invertire la rotta, di tornare a divertirci. Il calcio è, a mio parere, il modo migliore per stranirsi dalla vita reale e concedersi qualche, meritato, momento di pura passione. Sento dire che il livello del nostro calcio è in caduta libera. Potrebbe anche essere vero, ma almeno ci stiamo godendo una corsa a due per lo scudetto e una splendida bagarre per il terzo posto (tanti altri campionati, molto più blasonati del nostro, non hanno così tanti spunti di interesse). Dai su, fiducia… Ma passiamo alla nostra/vostra rivista. Numero ricco questo: oltre al Marchisio, abbiamo incontrato Tachtsidis, giocatore che a Verona stanno iniziando ad apprezzare per davvero… Carinissima la storia di Aguirre che i più attenti ricorderanno in maglia viola (per pochi mesi). Da non perdere anche lo speciale dedicato alla prossima Coppa d’Africa, torneo sempre affascinante. Poi, per finire, un gigante del calcio come Tacconi e un re del mercato come Lippi. Ma prima di lasciarvi alla lettura, doveroso augurare a tutti un 2015 ricco di sorprese e felicità. Ne abbiamo bisogno tutti quanti e il calcio, da questo punto di vista, può darci una grossa mano…

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sommario n.206

Anno 19 n. 2 FEBBRAIO 2015

6 La bocca del leone

Registrazione al Tribunale di Milano n.362 del 21/06/1997 - Iscritto al Registro Operatori di Comunicazione al n. 18246

di Fabrizio Ponciroli

8 INTERVISTA ESCLUSIVA

CLAUDIO MARCHISIO

di Cristina Guerri

18 INTERVISTA ESCLUSIVA

Panagiotis Tachtsidis

8

28 INTERVISTA ESCLUSIVA DIEGO AGUIRRE

di Marco Conterio

DIRETTORE RESPONSABILE

36 SPECIALE BOMBER

GLI ARTISTI DI TESTA

di Fabrizio Ponciroli

Michele Criscitiello

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42 SPECIALE

COPPA D’AFRICA 2015

Marco Conterio, Luca Bargellini, Cristina Guerri, Gaetano Mocciaro, Chiara Biondini, Simone Bernabei, Lorenzo Marucci

52 SERIE B - MODENA di Alessio Alaimo

54 LEGA PRO - PISA

di Sergio Stanco

56 Serie D - LAVAGNESE

28

di Simone Toninato

58 I Re del Mercato

DAVIDE LIPPI

68 I Giganti del Calcio

STEFANO TACCONI

di Antonio Vitiello

36

TC&C S.r.l.

League 1972/73

di Gabriele Porri

Statistiche

Redazione Calcio2000

82 ACCADDE A... FEBBRAIO

di Paolo Bardelli

84 DOVE SONO FINITI?

FRANCO SELVAGGI

di Stefano Borgi

CAMPIONATI STRANIERI 86 SPAGNA di Thomas Saccani 88 INGHILTERRA di Luca Manes 90 GERMANIA di Flavio Sirna 92 FRANCIA di Renato Maisani

Contatti per la pubblicità:

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e-mail: media@calcio2000.it

Stampa

Tiber S.p.A. Via della Volta, 179 - 25124 Brescia (Italy) Tel. 030 3543439 Fax. 030349805

Distribuzione

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94 IL TIFO RACCONTA

Image Photo Agency (imagephotoagency.it), Liverani, Federico De Luca, Photoview, Balti/ Photoviews, Aleksandr Dal Cero

Realizzazione Grafica

78 Storia Champions

Hanno collaborato

Sergio Stanco, Simone Toninato, Stefano Borgi, Gabriele Porri, Antonio Vitiello, Tania Esposito, Thomas Saccani, Alessio Alaimo, Paolo Bardelli

Fotografie

di Gaetano Mocciaro

Diretto da

Fabrizio Ponciroli

Redazione

di Fabrizio Ponciroli

EDITORE

TC&C srl Strada Setteponti Levante 114 52028 Terranuova Bracciolini (AR) Tel +39 055 9172741 Fax +39 055 9170872

di Lorenzo Marucci

Calcio2OOO

Pieroni S.r.l. via Carlo Cazzaniga, 19 20132 Milano Tel 02 25823176 Fax 02 25823324

www.calcio2000.it

di Thomas Saccani

98 SCOVATE da CARLETTO RTL Calcio2000 è parte del Network

NUMERO CHIUSO IL 30 DICEMBRE 2014

IL PROSSIMO NUMERO sarà in edicola il

15 FEBBRAIO 2015

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LA BOCCA DEL LEONE

PER SCRIVERCI: media@calcio2000.it

di Fabrizio Ponciroli - foto Image Sport

UTILE CONSIGLIO Caro direttore, innanzitutto devo farle una doverosa premessa: non sono un abituale lettore di Calcio2000, lo compro una volta ogni 2/3 mesi. Non mi giudichi male, sono studente e non ho molto tempo libero. Quando lo compro però lo apprezzo molto e vorrei perciò cercare di dare il mio piccolo “contributo”: il mio consiglio è di indicare in copertina più articoli presenti nel numero. Ad esempio, di questo numero dalla copertina leggo solo di Pazzini, Maxi Lopez, Pasqualin e Robur Siena; ma a

Veniamo a noi. So che sei un grande collezionista di figurine. Qualche tempo fa mi è tornato tra le mani l’album dei Calciatori del 1982/83, quello post Mondiale vinto. Mamma quanti ricordi, Io ho 45 anni e mi ricordo perfettamente quel Mondiale. Ho sfogliato le varie squadre e ho notato che avevamo davvero tantissimi campioni fatti in casa. Credo che l’unica soluzione sarebbe tornare a 2/3 stranieri massimo per squadra. Solo così torneremmo grandi per davvero. Mi aspetto una tua risposta, anche in privato… Leonardo, mail firmata

Pensa che dovevamo avere circa 20’ per fare tutto, intervista e foto, ma è rimasto molto tempo di più, accontentandoci su tutto quanto e parlando di calcio amabilmente, come solo lui sa fare. INTER, CHE DISASTRO Direttore Ponciroli, sfogo veloce: Inter disastrosa. Mazzarri, Mancini, il Signore che ci comanda. Non cambierebbe nulla. Siamo SCARSI ed è un dato di fatto. Secondo me manco in Europa League finia-

No, che bell’album… Io ho cinque anni di meno, ma ho perfettamente in mente quell’album e l’emozione che ho provato quando l’ho completato!!! Impagabile emozione. Tornare a due/tre stranieri per squadra? Impossibile, lo sai bene che il calcio è cambiato, come tutto il resto della nostra vita. Siamo in un mondo globale, non c’è modo di invertire la rotta. Ecco, da amante del patrimonio calcio azzurro, adoro vedere un Sassuolo pieno zeppo di italiani, questo non lo nascondo…

me sono interessati molto anche e soprattutto l’intervista a Sarri e Panucci. Quindi, suggerisco di fare una copertina più “varia”. Ciao! Massimo, mail firmata Caro Massimo, consiglio utilissimo e condivisibile. Ci proveremo, anche se abbiamo sempre problemi di spazio e quindi non è semplice coniugare il tutto, ma la tua mail ci sarà sicuramente utile e ne parleremo internamente. Come sanno tutti, ascolto sempre il parere di chi legge la nostra/vostra rivista, anche se una volta ogni tanto…

CHE BELLA L’INTERVISTA A ZEMAN Caro Direttore, mi ha fatto contento. Fedele seguace di Zeman dai tempi in cui faceva impazzire tutti al Foggia, mi ha fatto un piacere enorme vederlo in copertina. Se lo merita, Zeman è un vero maestro di calcio. In tanti non lo hanno capito e non lo capiscono ancora oggi. Non ha vinto nulla, non lo nascondo, ma chi ci ha fatto divertire più di lui? Secondo me nessuno. Davvero una bellissima intervista. Ma è davvero così calmo e tranquillo come appare ogni volta che lo intervistano? Mi racconti, la prego…

HO RIPENSATO A LEI… Egregio Direttore,

mo. Se penso alla squadra che ha vinto il Triplete mi rattristo enormemente… Speriamo in un miracolo, ma ci spero poco!!! Luca, mail firmata

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Grazie per “l’esperto” e non disturbi affatto. Allora vado secco con un 4-3-3 decisamente offensivo e, per scelta, a tinte piuttosto azzurre: Sportiello (Atalanta - 1992); Zappacosta (Atalanta – 1992), Romagnoli (Sampdoria – 1995), Rugani (Empoli – 1994), Biraghi (Chievo – 1992), Bertolacci (Genoa – 1991), Pogba (Juventus – 1993), Kovacic (Inter – 1994), El Shaarawy (Milan – 1992), Destro (Roma – 1991), Morata (Juventus – 1992). Ho lasciato fuori diversi nomi importanti, impossibile metterli tutti. ANCELOTTI TORNERA’ MAI? Buongiorno Direttore, non so cosa ne pensa lei ma è bellissimo vedere un italiano trionfare nel mondo. Il Real Madrid sta vincendo tutto e Ancelotti è al comando di questa incredibile squadra. Io sono un vecchio tifoso rossonero e, lo ammetto, mi manca molto Ancelotti. L’ho apprezzato più quando se ne è andato, rispetto a quando era da noi. Le faccio una domanda: secondo lei tornerà mai ad allenare il Milan? Se sì, come lo vedrebbe? Grazie e si ricordi delle statistiche… Buone Feste Emo, mail firmata

Troppo pessimista caro Luca. L’Inter non è scarsa, è il calcio italiano che si è livellato di molto negli ultimi anni. Ho paura che gli squadroni come la tua Inter del Triplete non li rivedremo per tanto tempo. Mazzarri non era uno stupido e Mancini non è uno sprovveduto e, soprattutto, ha l’ambiente dalla sua. Secondo me l’Inter se la giocherà con tutte le altre per il terzo posto. TOP 11 GIOVANI Direttore, la seguo su TMW e anche, ovviamente, su Calcio2000. Gesti-

Federico, mail firmata

seguo Calcio2000 dai tempi di Bartoletti, quindi mi posso permettere di darle del tu, vero? Mi mancano terribilmente le statistiche, spero troverai una soluzione in tempi brevi.

non fa differenza. Mi farebbe veramente felice avere la sua Top 11, quella di un grande esperto di calcio. Scusi il disturbo Mattia, mail firmata

Bene, sono contento che sia piaciuta. Non è stato facile decidere di metterlo in copertina. È un anti personaggio, forse quello per eccellenza ma, come dici tu, meritava la cover, almeno una volta nella storia di Calcio2000. Vero, ci ha fatto divertire tantissimo (e ha scoperto tanti campioni) ma, nel calcio, conta soprattutto vincere. È stato gentilissimo.

sco un paio di blog e volevo un suo parere. Mi dice la sua Top 11 dei migliori giovani del nostro calcio? Italiani e stranieri,

Caro Emo (diminutivo di Emilio?), Ancelotti è un grandissimo… Sta tendendo alto il nome degli allenatori italiani nel mondo. Al Real Madrid hanno capito che uno come Ancelotti, capace di tenere saldo uno spogliatoio pieno di stelle, non lo si trova facilmente. Tornare al Milan? Mai dire mai anche se credo che ormai il suo tempo rossonero siano terminato… Comunque, dovesse tornare, credo farebbe bene, come ha fatto ovunque è stato, anche alla Juventus, dove non ha magari incantato ma ha pur sempre lasciato il suo segno, quello di un allenatore dalle qualità umane uniche (non ricordo un singolo suo giocatore che ne abbia mai parlato male).

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COPERTINA CLAUDIO MARCHISIO

COPERTINA / CLAUDIO MARCHISIO

ANIMA BIANCONERA Marchisio è il presente e il futuro della Juve

IL PRINCIPE BANDIERA

foto Massimiliano Vitez/Ag. Aldo Liverani

Fuoriclasse della Juventus, ha un sogno ricorrente: diventare il nuovo simbolo della Vecchia Signora…

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di Cristina GUERRI Calcio 2OOO

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COPERTINA / CLAUDIO MARCHISIO

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er diventare bandiera c’è tempo. Anche se si indossa la maglia della squadra del cuore, la Juventus, da ben 22 anni. Claudio Marchisio incarna il DNA bianconero al cento per cento e quello del centrocampista duttile e completo. Testa sulle spalle, marito e papà di due bimbi. Pochi grilli per la testa, se non per l’abbigliamento, impeccabile ed eccentrico. Tutto questo è il numero 8 della Juventus e della Nazionale.

“” Ci sono talmente tanti tifosi juventini fuori da Torino, fuori dal Piemonte che durante ogni trasferta troviamo tanto seguito

LA FORZA DELLA DUTTILITA’ Centrocampista completo, con anche il vizio del gol

Tra tutti i ruoli, vedi mezzala, trequartista, esterno e regista quello preferito rimane? “Mi considero sempre una mezzala per caratteristiche fisiche, corsa e capacità tattiche. Anche se devo dire che negli ultimi mesi le buone prestazioni mi hanno portato a credere che la posizione davanti alla difesa possa piacermi. Cambiano i compiti che l’allenatore e i compagni ti chiedono, totalmente. Ma i risultati sono gratificanti”. Altre differenze tra Conte e Allegri. Urla a parte. “Le urla sono una questione caratteriale, né positiva né negativa. È cambiato il modulo, siamo passati alla difesa a quattro, ma anche il modo di interpretare la partita. Prima cercavamo di far male all’avversario il più in fretta pos-

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foto Image Sport

Da Conte ad Allegri il passo è stato breve e sorprendente. “Allegri ha ereditato una situazione importante, perché prendere in mano una squadra dopo tre Scudetti consecutivi, record di punti e quant’altro non sarebbe stato facile per nessuno. Anche per le tempistiche. Conte ha dato le dimissioni praticamente a stagione iniziata. Allegri e noi calciatori siamo stati bravi a legare fin da subito”.

Di una cosa, Allegri, è certo: l’imprescindibilità di Claudio Marchisio. “Nasce tutto dalla duttilità che ho in campo. Ho ricoperto sempre più ruoli. E con il passare del tempo sono riuscito a migliorare sempre di più”.

foto Image Sport

La prima parte del campionato è ormai andata. Bilancio positivo? “I bilanci un calciatore li fa basandosi sull’annata precedente. La scorsa stagione sono partito stirandomi il collaterale, non posso quindi che essere felice di come stiano andando le cose adesso. Mi sono fatto trovare pronto, presente. Non sono solo soddisfatto a livello personale, però. Sono arrivati risultati importanti nonostante il cambio di allenatore e di staff tecnico”.

COPERTINA / CLAUDIO MARCHISIO

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COPERTINA / CLAUDIO MARCHISIO

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UN VINCENTE NATO Da quando calcia un pallone, sogna sempre di trionfare...

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TUTTI I GOL DI MARCHISIO

Penso di avere ancora qualche anno davanti, ma diventare il simbolo di questa squadra è il mio sogno

I suoi compagni in azzurro cosa pensano di Conte? “Durante i suoi anni alla Juve c’era molta curiosità da parte del gruppo della Nazionale nei confronti di un mister dipinto come uno maniacale sul lavoro e in un

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foto Image Sport

Da allenatore a ct. Lo vede con occhi diversi Antonio Conte? “Per il tecnico della Nazionale cambia il rapporto con la squadra. Ha pochi giorni per lavorare assieme al gruppo, non può fare sul campo quello che farebbe in un club. Anche i discorsi non possono essere gli stessi che farebbe ogni giorno. In Nazionale è tutto molto concentrato, si giocano due partite in 10 giorni e ci deve essere la massima disponibilità da parte di tutti”.

certo senso rivoluzionario. Col 3-5-2 siamo arrivati a vincere tre Scudetti di fila. Adesso anche fuori dal blocco Juve tutti possono capire sulla loro pelle quanto sia preparato Conte”. Dal fenomeno Conte al fenomeno Pogba. “L’esplosione sarebbe arrivata anche se non mi fossi infortunato. Stiamo parlando di un talento puro, che ha ancora tantissimo margine di miglioramento. Ha la fortuna di crescere in un ambiente giusto, perché la Juventus non sbaglia a far crescere i giovani talenti. Li fa maturare in maniera tranquilla, senza tanti grilli per la testa, e in questo senso anche la città di Torino aiuta”.

Competizione

Partita

24.01.2009 28.02.2009 24.05.2009 19.09.2009 05.12.2009 02.05.2010 12.09.2010 19.09.2010 30.01.2011 02.02.2011 11.09.2011 02.10.2011 29.10.2011 20.11.2011 04.12.2011 08.12.2011 17.03.2012 22.04.2012 02.05.2012 07.10.2012 07.11.2012 01.12.2012 16.12.2012 12.02.2013 16.03.2013 28.04.2013 12.01.2014 16.02.2014 28.04.2014 18.05.2014 13.09.2014

Serie A Serie A Serie A Serie A Serie A Serie A Serie A Serie A Serie A Serie A Serie A Serie A Serie A Serie A Serie A Coppa Italia Serie A Serie A Serie A Serie A Champions L. Serie A Serie A Champions L. Serie A Serie A Serie A Serie A Serie A Serie A Serie A

Juventus-Fiorentina Juventus-Napoli Siena-Juventus Juventus-Livorno Juventus-Inter Catania-Juventus Juventus-Sampdoria Udinese-Juventus Juventus-Udinese Palermo-Juventus Juventus-Parma Juventus-Milan Inter-Juventus Juventus-Palermo Juventus-Cesena Juventus-Bologna Fiorentina-Juventus Juventus-Roma Juventus-Lecce Siena-Juventus Juventus-Nordsjaelland Juventus-Torino Juventus-Atalanta Celtic Glasgow-Juventus Bologna-Juventus Torino-Juventus Cagliari-Juventus Juventus-Chievo Sassuolo-Juventus Juventus-Cagliari Juventus-Udinese

1-0 1-0 0-3 2-0 2-1 1-1 3-3 0-4 1-2 2-1 4-1 2-0 1-2 3-0 2-0 2-1 0-5 4-0 1-1 1-2 4-0 3-0 3-0 0-3 0-2 0-2 1-4 3-1 1-3 3-0 2-0

1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 2 1 1 1 1 1 1 1 1 1 2 1 1 1 1 1 1 1 1 1

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Più di 20 anni alla Juventus. Quando non ha più fatto effetto ritrovarsi nello spogliatoio con grandi campioni? “Devo dire che ho sempre vissuto tutte le situazioni abbastanza serenamente. Anche se ero un ragazzino quando sono arrivato in prima squadra c’era il rischio di

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sibile, adesso costruiamo un calcio più ragionato. Gestiamo la partita con molta più tranquillità e non con la frenesia che, a volte, ci ha portato via energie importanti, se guardiamo alle tante partite da giocare durante l’anno”.

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COPERTINA / CLAUDIO MARCHISIO

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“SI VEDEVA CHE ERA UN CAMPIONE” Di Fabrizio Ponciroli

L’ANNO TOSCANO

La sua prima stagione in A è stata in maglia Empoli nel 2007/08...

Cagni è stato l’allenatore di Marchisio ai tempi dell’Empoli e il ricordo è decisamente positivo… Estate 2007, l’Empoli fa grandi affari con la Juventus. A Torino, per nove milioni di euro, ci va Almiron, centrocampista di ottime qualità. Ai toscani finiscono Piccolo (compartecipazione), Volpato (compartecipazione), Giovinco (prestito) e un certo Marchisio (prestito). Il tecnico di quell’Empoli imbottito di giovani è Cagni. Sarà lui a forgiare il giovanissimo Marchisio, dandogli la possibilità di cimentarsi con il grande calcio. Un’occasione che il Principino coglierà al volo, diventando, sin dalle prime giornate, un punto fermo della squadra toscana. Abbiamo sentito Cagni per farci raccontare di quel campioncino in erba che tanto gli è rimasto in mente…

nel vedere la sicurezza che aveva. Già allora aveva deciso tutto, sapeva cosa fare, dentro e fuori dal campo. E, signori, la personalità non si compra, è una dote più unica che rara”.

Buongiorno Cagni, tuffo nel passato… Parliamo di Marchisio, giovanissimo suo giocatore ad Empoli… “Guardi, dopo una settimana gli ho detto che avrebbe giocato in Nazionale. Lo avrebbe detto chiunque vedendolo giocare e osservandone la grandissima personalità…”.

Marchisio è un giocatore duttile, altra dote unica? “Beh, questo sa fare davvero tutto. Ovunque lo metti rende sempre al massimo. Sa difendere, impostare, corre come pochi altri e sa segnare con grande continuità. Mi dica lei se c’è qualcuno in giro come lui? Io non li vedo, anche se, a mio giudizio, lui è mostruoso nel ruolo di mezzala di sinistra. In quel ruolo è devastante, il migliore al mondo, almeno a mio giudizio”.

Era già così forte a 20 anni? “Non parlo tanto dal punto di vista tecnico che era già, a quel tempo, elevatissimo, mi riferisco soprattutto al carattere. Grandissimo professionista, sveglio, con una personalità fortissima e le idee chiare. Impressionante per un ragazzo di 20 anni”. Quindi non si sorprende nel vederlo a questi livelli al giorno d’oggi? “Assolutamente no, lo si vedeva già allora che aveva qualcosa di speciale. Mi ricordo che, quando ci parlavo, restavo senza parole

Pensa che sia o sarà la nuova bandiera della Juventus? “Guardi, io credo che Marchisio sia un giocatore a cui interessa vincere. Se la Juventus gli permetterà di puntare in alto e non vedo perché non dovrebbe, allora resterà con felicità alla Juventus. Se mai dovesse capire di non poter vincere in bianconero, non penso che avrebbe problemi a rimettersi in gioco altrove. è un vincente e vuole vincere”.

E come lo vedrebbe come futuro capitano della Juventus? “Benissimo, è un ragazzo, anzi un uomo, che sa affrontare qualsiasi situazione, sempre a testa alta. Parliamo di una persona con valori veri che non avrebbe problemi ad interfacciarsi con nessuno, neppure con il presidente degli Stati Uniti”. Insomma, Marchisio era un predestinato, lo conferma anche Cagni… IL VECCHIO MAESTRO

foto FDL

foto Paolo Paolucci

Cagni ha avuto Marchisio all’Empoli, stagione da applausi

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COPERTINA / CLAUDIO MARCHISIO

COPERTINA / CLAUDIO MARCHISIO

ANCHE MODELLO

BIANCONERO DA SEMPRE…

Marchisio è ambito anche da tante aziende per la sua innegabile eleganza...

Di Fabrizio Ponciroli

Una stagione lontano dalla Juve, proprio come Del Piero, ma sempre con la Vecchia Signora nel cuore…

foto Image Sport

Nato a Torino e stella della Juventus, di fatto il massimo… In un calcio, quello di oggi, in cui è sempre più difficile e complicato vedere giovani, del proprio vivaio, diventare titolari in Prima squadra, Marchisio è la classica eccezione che fa ben sperare. Considerato uno dei più forti e completi centrocampista in circolazione (non a caso è cercato, spesso, dai maggiori club europei), Marchisio ha avuto il primo approccio con il bianconero a soli sette anni. Le giovanili con la Juventus sono ricche di successi. Lui indossa anche la fascia da capitano, a conferma della sua enorme sicurezza, in campo e fuori. Complice la retrocessione in Serie B della Juventus, a 20 anni, viene lanciato in Prima squadra dall’allora tecnico Deschamps (prima gara, da titolare, in campionato, contro il Brescia). Alla fine saranno 26 le presenze (compresa una, la prima in assoluto, in Coppa Italia). L’anno successivo viene parcheggiato all’Empoli dove, nonostante la retrocessione del club in cadetteria, si diverte e diverte. Il 2008 è l’anno della svolta. La Juventus decide di puntare su Marchisio e la scelta si rivela azzeccata. Il 24 gennaio 2009 si regala una gioia immensa, ossia segnare la rete decisiva alla Fiorentina (suo primo gol da professionista), squadra non amatissima, per usare un eufemismo, dai bianconeri. Dalla stagione 2008/09 non gioca mai meno di 32 gare stagionali, diventando un giocatore essenziale. Segna tanto (ben 10 reti nella magnifica annata 2011/12, nove in campionato e tutte su azione) ed è sempre utilissimo in campo. Una manna. Normale che gli vengano aperte anche le porte della Nazionale (esordio, a Basilea, il 12 agosto 2009, contro la Svizzera). E anche la bacheca inizia a farsi importante. Ad oggi il Piccolo Lord si è già assicurato tre Scudetti e due Supercoppe Italiane e, l’impressione, è che sia solo l’inizio…

non sentirmi a mio agio, ma grazie all’aiuto dei tanti campioni presenti in squadra, vedi Buffon, Trezeguet, Del Piero e Camoranesi, questo non è successo. A distanza di qualche anno, adesso questo ruolo lo stiamo ricoprendo io e Chiellini, i sopravvissuti alla Serie B. La nostra esperienza può servire ai vari Pogba, Coman, Mattiello, per fare qualche nome dei ragazzi che hanno più talento alla Juve”.

LA CARRIERA DI MARCHISIO Stagione

Squadra Presenze Gol

Rigori

Rossi

Trofei

2006-2007 2007-2008 2008-2009 2009-2010 2010-2011 2011-2012 2012-2013 2013-2014 2014-2015

Juventus Empoli Juventus Juventus Juventus Juventus Juventus Juventus Juventus

26 26 32 35 41 39 40 43 20

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Ruolo di chioccia assodato,dunque. Quello di bandiera bianconera arriverà? “Quando si parla di bandiera vuol dire che si è vicini alla pensione. Penso di avere ancora qualche anno davanti, ma diventare il simbolo di questa squadra è il mio sogno. L’essere bandiera non significa comunque passare tanti anni nella stessa società. Conta quel che dai, e come lo dai. E lo spirito che arriva ai tifosi. Mi ricordo di giocatori che sono stati pochi anni alla Juventus rispetto ad

“”

Prima cercavamo di far male all’avversario il più in fretta possibile, adesso costruiamo un calcio più ragionato

rino, fuori dal Piemonte che durante ogni trasferta troviamo tanto seguito. La Juve, del resto, o la si ama o la si odia. E quando giochiamo in casa possiamo sempre contare su uno stadio stupendo”.

altri, ma hanno fatto breccia nel cuore dei tifosi”.

Lo Juventus Stadium come simbolo di un progetto… “C’è voluto tempo e pazienza. Dopo la Serie B la Juventus ha vissuto sulla propria pelle un lungo periodo di transizione. E i risultati, non parlo solo di quelli sportivi, sono arrivati solo in questi ultimi anni. Adesso molte società cercano di intraprendere il nostro stesso percorso a livello manageriale; si parla di stadi nuovi, di marketing, di cercare di esportare il proprio marchio in altri Paesi”.

Cosa significa giocare nel club allo stesso tempo più amato e odiato d’Italia? “Siamo la squadra più contestata, ma c’è anche tanto affetto intorno a noi. Ci sono talmente tanti tifosi juventini fuori da To-

Insomma, tutti emulano la Juventus, una società con il DNA vincente, proprio come il suo Principe, quel Marchisio che, stagione dopo stagione, ne sta diventando la nuova bandiera. A volte i sogni si avverano, basta crederci…

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INTERVISTa / pAnagiotis TACHTSIDIS

INTERVISTA Panagiotis Tachtsidis

GRECO DI QUALITA’ Classe 1991, gioca in Italia dal lontano 2010...

IL GEOMETRA DELL’HELLAS

In pochi hanno la visione di gioco di Tachtsidis, lo sanno bene i tifosi del Verona…

di Lorenzo MARUCCI foto Aleksandr DAL CERO

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INTERVISTa / pAnagiotis TACHTSIDIS

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n gigante buono. È l’impressione che dà di sé all’esterno Panagiotis Tachtsidis, almeno fuori dal campo. Perché poi, quando arriva il fischio d’inizio, non fa sconti a nessuno, contrastando, rubando palla e provando a gettarsi nell’area avversaria. Ma nei momenti liberi il giocatore greco sembra gradire la tranquillità, lontano dalle luci della ribalta. Non ama le interviste, preferisce far parlare il campo. In questa chiacchierata però racconta moltissimo di sé e dei suoi inizi in Italia. Senza tralasciare qualche curioso e gustoso aneddoto sul suo trasferimento alla Roma, avvenuto – pare – a sua insaputa. Seduto sulla panchina del centro sportivo del Verona, in mezzo alla quiete di Peschiera del Garda, parla anche delle sue passioni extracalcistiche, dei suoi sogni, delle sue aspirazioni. Sei in Italia da quattro anni. Contento di essere nel nostro Paese? “Sono cresciuto nell’Aek Atene e da ragazzino dicevo sempre dentro di me che

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“” Zeman? Mi ha insegnato tanto. Fin dall’inizio mi chiedeva di attaccare. Ho imparato anche l’idea di una verticalizzazione più veloce un giorno mi sarebbe piaciuto andare a giocare all’estero. Nel 2010 scadeva il mio contratto con l’Aek e nessuno mi aveva ancora chiamato per rinnovarlo. A gennaio arrivò l’offerta del Genoa e appena seppi questa notizia dissi,“Questo è il biglietto per il mio sogno. Lo prendo subito”, e infatti non persi l’occasione e oggi eccomi qui ancora in Italia, felice e pieno di energia”. Ripartiamo proprio da quando sei arrivato nel nostro Paese. Come fu l’im-

patto? “Ero giovane, non avevo neanche vent’anni e volevo giocare subito. Sognavo di trovare spazio e di impormi velocemente all’attenzione generale. Speravo di acquistare subito la fiducia necessaria per partire bene. Dopo il primo mese di ritiro con il Genoa sono stato ceduto in prestito al Cesena. Ma era dura farsi largo in una squadra che aveva già le sue certezze”.

A VERONA PER SFONDARE Con l’Hellas ha intenzione di lasciare il segno...

E dunque che successe? “Dopo sei mesi senza giocare, sono finito in Serie B al Grosseto. E mi sono accorto subito che le partite erano più difficili che in Serie A, più complicate. In A ci sono più spazi, la qualità è superiore e il calcio è un po’ più spettacolare”. Ma l’esperienza al Grosseto come è stata? “Non del tutto positiva, giocai poco e alla fine volevo addirittura lasciare l’Italia. Durante l’estate avevo pensato che forse non era il caso di tornare e iniziare un’altra avventura. Non mi trovavo bene, non mi ero ambientato, avevo perso un po’ di convinzione. Credevo che forse sarebbe stato meglio restare in Grecia e attendere magari altre chance”.

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SEMPRE ITALIA Dopo l’esperienza alla Roma poteva andare all’estero ma ha deciso di restare...

INTERVISTA / pAnagiotis TACHTSIDIS

“”

Sono innamorato di Verona, dell’ambiente, dei tifosi, della città, della squadra, della dirigenza. Mi fanno sentire bene Che accadde allora? “Parlai con Mandorlini, e poi anche il mio procuratore mi convinse a provare al Verona. Appena arrivai in squadra trovai subito organizzazione e serietà, oltre che un bellissimo gruppo. L’allenatore non guardava ai nomi dei giocatori ma mandava in campo chi stava bene e chi dimostrava di essere in forma durante gli allenamenti della settimana”. Per te insomma è iniziata una nuova fase della tua carriera? “Sì, fin dal ritiro mi sono sentito bene, carico, entusiasta. E pian piano ho anche cambiato idea sull’Italia”. Alla fine del campionato sei risultato il miglior giocatore della B, superiore anche a Verratti. Che effetto ti ha fatto? “Fu una stagione bellissima, disputammo un campionato eccezionale arrivando ai play off. Peccato che qualche errore arbitrale ci penalizzò. Nella semifinale ad esempio il Varese doveva finire la partita in dieci, avremmo potuto vincere e poi giocarcela poi in finale. Quanto al resto, sono stato ovviamente contento di essere stato ritenuto il migliore della B, merito comunque anche della squadra”.

COMPAGNI DI VALORE Di Lorenzo Marucci

Nonostante sia giovanissimo, ha giocato al fianco di tanti campioni, in particolare attaccanti di valore assoluto… Ha 23 anni ma ha già una carriera di tutto rispetto alle spalle. Fa parte della nazionale greca e ha avuto la possibilità di giocare con grandi campioni. Se lo è meritato ovviamente, grazie alle sue qualità e alla sua voglia di imporsi. Alla Roma, naturalmente, ha avuto l’opportunità di entrare a far parte di un gruppo di assoluta qualità, ma ciò che colpisce, guardando le squadre in cui ha militato, è un altro particolare: ha potuto giocare insieme ad attaccanti straordinari. Già al Grosseto - alla sua prima vera esperienza in Italia, in B - è potuto scendere in campo insieme a Ciro Immobile, ancora abbastanza giovane e che si stava lanciando nel grande calcio: non a caso quell’anno l’attuale giocatore del Borussia realizzò un solo gol. Alla Roma si è trovato accanto ad attaccanti di valore assoluto: non soltanto Totti ma anche Osvaldo, autore, in una stagione non straordinaria per la Roma, di ben sedici reti. E poi Erik Lamela il gioiellino che il club capitolino aveva acquistato per diciotto milioni dal River Plate e che in quella stagione realizzò quindici reti. Senza contare poi Mattia Destro, altro attaccante di gran valore. Al Torino l’anno passato ha ritrovato Immobile, stavolta attaccante maturo completo e non a caso capace di vincere la classifica cannonieri. E quest’anno al Verona, altra squadra, altri attaccanti. Su tutti, Luca Toni, un giocatore che ormai conosce l’area di rigore come pochi altri e che in quanto ad esperienza può regalarne in quantità industriali. Ma non basta, perché comunque nel Verona ha trovato pure un altro calciatore dalla carriera straordinaria. Javier Saviola, arrivato al Verona in estate, è uno di quei giocatori in grado di insegnare tanto, sotto tutti i profili. A giudicare da tutti questi nomi, dalle loro qualità e dal loro curriculum c’è da credere che Tachtsidis possa aver appreso qualcosa da ognuno di loro. I buoni maestri non gli sono mancati e anche se questi giocatori non hanno ricoperto e non ricoprono il suo stesso ruolo, l’insegnamento è stato utile lo stesso. Quanto meno potranno avergli suggerito qualche trucco per il gol. Non è un caso, del resto, se quest’anno la sua mediareti si è già alzata...

L’approdo alla Roma invece come fu? “In realtà io non sapevo assolutamente niente. Ero in vacanza in Grecia, a Skiathos, con la mia fidanzata. Avevo il telefono con me, ma lo avevo messo da parte, senza guardarlo per un po’. Quando andai a riprenderlo notai che c’erano state parecchie chiamate da parte del mio procuratore. Lo richiamai e gli chiesi che fosse successo. Mi disse di preparar-

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INTERVISTA / pAnagiotis TACHTSIDIS

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GRANDE DUTTILITA’ E CLASSE Nonostante la giovane età, Tachtsidis sa fare di tutto in mezzo al campo...

UNA CARRIERA DI CORSA…

QUANTE ESPERIENZE Cesena, Grosseto, Roma, Catania, Torino e Verona, le squadre del greco

Di Lorenzo Marucci

Portato in Italia dal Genoa, è ormai un giocatore affermato nel nostro campionato…

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foto Image Sport foto FDL foto Image Sport

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È arrivato in Italia nel 2010, Panagiotis Tachtsidis: dopo essere cresciuto nelle giovanili dell’Aek Atene con cui ha esordito in campionato non ancora sedicenne, è stato il Genoa a portarlo nel nostro campionato. Nella stagione 2010-11 il club rossoblù lo ha acquistato, salvo poi girarlo al Cesena in prestito con diritto di riscatto. In Romagna però non ha trovato mai spazio e nel mercato di gennaio è stato ceduto al Grosseto in Serie B dove finalmente inizia a giocare, anche se non con continuità. Michele Serena, all’epoca tecnico del Grosseto, lo manderà in campo per otto volte. Nell’annata successiva, però, la situazione cambia completamente per Tachtsisdis: passa in prestito al Verona e diventa immediatamente titolare. Andrea Mandorlini lo promuove sul campo e alla fine il greco giocherà ben 37 partite segnando anche due reti. Alla fine risulterà pure uno dei migliori giocatori della Serie B oltre che uno degli assoluti protagonisti del campionato dei gialloblù. L’ottimo rendimento di Tachtsisdis non passò inosservato nel mondo del calcio e su di lui mise pesantemente gli occhi anche Zdenek Zeman che stava per iniziare una nuova avventura da tecnico della Roma. Il boemo indicò alla dirigenza giallorossa una lista di rinforzi che comprendeva anche il greco: e infatti il centrocampista arrivò alla Roma con la formula della comproprietà e fece il suo esordio contro l’Inter il 2 settembre 2012, nel match vinto tre a uno dai giallorossi. Alla fine Tachtsisdis colleziona 21 presenze in campionato realizzando due reti, la prima delle quali contro il Bologna (finì 3-3). Nell’estate 2013 il Genoa lo riscatta e poi lo gira al Catania nell’ambito dell’operazione che ha portato Lodi in rossoblù, ma dopo dodici gare di campionato viene girato in prestito al Torino, con cui finisce la stagione giocando undici gare (un gol). Da quest’estate è in prestito al Verona: un ritorno al passato che per lui ha significato solo soddisfazioni, in un ambiente in cui si sente completamente a suo agio.

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mi perché dovevamo andare in Italia, a Roma. Fissammo davanti agli uffici della Roma. Mi spiegò che aveva un appuntamento con il club e mi chiese di seguirlo. “Vieni anche te”, mi pregò. Andai con lui e quando entrammo vidi che tutti iniziavano a salutarmi. Ma io non capivo il motivo di tutte queste attenzioni. Poi è arrivato anche Sabatini che mi ha detto: “Benvenuto”. Siamo andati avanti così per un po’ mentre il mio procuratore rideva e mi prendeva in giro. Alla fine ovviamente ho capito e ho firmato il contratto. È stata una bellissima sorpresa”. E la tua famiglia che ti ha detto? “Anche loro si sono meravigliati, perché non se l’aspettavano. Ma erano felici”. Come è stato l’impatto con la nuova realtà? “È stato tutto molto particolare perché fino a qualche tempo prima molti di quei giocatori li vedevo in tv. Essere nello spogliatoio con loro era una sensazione quasi strana. Ma al tempo stesso ovviamente è stata anche e soprattutto una gioia enorme”. E con Zeman come è andata? “Ovviamente mi ha insegnato tanto. Fin dall’inizio mi chiedeva di attaccare. Attaccare ogni pallone. Ho imparato anche l’idea di una verticalizzazione più veloce. Per quanto riguarda gli allenamenti dopo tre settimane forse non capisci più niente, ma poi la domenica voli”.

SCARPE DA URLO Per ogni campione, avere delle scarpe che facciano la differenza è essenziale. adidas ha lanciato una versione aggiornata della Nitrocharge: l’arma scelta dai giocatori a tutto campo, in questa versione fornisce loro ancora più protezione nel cuore dell’azione, così da permettergli di essere precisi, funzionali alla squadra e, soprattutto, decisivi. Il nuovo posizionamento della fascia energy-sling e un incremento dell’area con cuscinetti e mesh protettivi, garantiscono una stabilità impareggiabile.

INTERVISTA / pAnagiotis TACHTSIDIS

“” Mi piace andare al cinema con gli amici e giocare a biliardo. Piatto preferito? La Moussaka. la mangio in Grecia e basta Però hai vissuto una situazione difficile con De Rossi. Sei stato in concorrenza con lui, uno dei simboli giallorossi e spesso Zeman ti ha anche fatto giocare da titolare mettendolo in panchina… “Daniele è un ragazzo bravo e buono e devo dire che mi ha aiutato sempre, dandomi suggerimenti preziosi su come giocare e come muovermi in campo. Sono finito in mezzo alla questione De Rossi-Zeman, ma io non c’entravo niente. Ho pagato una cosa che era al di sopra di me. Ricordo che all’inizio, in ritiro, in America giocai bene in amichevole e tutti erano contentissimi. Poi è spuntata quella querelle e allora la situazione è cambiata anche

per me. Ovviamente non puoi arrivare in una nuova realtà e prendere stabilmente il posto di un capitano come De Rossi”.

CALCIO E VICTOR

Oltre alla passione per il calcio, adora passare del tempo con il suo rottweiler...

Con Totti com’era il rapporto? “Molto bello, perché Francesco è così come lo vedi. Ce ne sono pochi come lui. Un personaggio umano. E poi giocatori forti così non si incontrano più”. Dopo l’esperienza alla Roma che prospettive c’erano per te? “Avevo offerte per andare a giocare in Germania o in Inghilterra, ma alla fine ho accettato di andare al Catania, anche perché speravo di mettermi in mostra in vista del Mondiale. Ma non è stata una bella avventura, tanti problemi anche fisici mi hanno condizionato e frenato. Maran ha lavorato bene ma i risultati non arrivavano”. Cominciava a temere di perdere il Mondiale? “Ho parlato col CT e mi ha detto di trovarmi un’altra sistemazione dove avrei potuto essere protagonista. Così ho provato a vedere cosa potesse saltar fuori. Sognavo di tornare a Verona, ma è spuntato il Torino e tutto sommato è stata una buona esperienza. Ventura aveva il suo modulo e le sue idee di gioco: ho impiegato un po’ di tempo per integrarmi e inserirmi ma poi ho avuto spazio e ho giocato con discreta continuità”.

“Sì, perché mi sono innamorato di questa città, dell’ambiente, dei tifosi, della città, della squadra, della dirigenza. Mi fanno sentire bene, e si vede anche in campo”.

Adesso di nuovo Verona: è casa tua? A proposito: qualche mese fa hai segnato il gol vittoria del Verona contro il Cagliari di Zeman… “È stato emozionante in tutti i sensi, fare gol al novantesimo non capita sempre… A fine partita ho visto Zeman negli spogliatoi e mi ha detto che era contento per me”. Facciamo un passo indietro e raccontaci dei tuoi idoli calcistici da bambino. “Guardavo il calcio alla tv e Ronaldo, all’Inter, mi faceva impazzire. Totti era e resta un fenomeno. In Italia però non tifavo per nessuna squadra in particolare. Poi mi piacevano Vieira e Zidane. Ecco, Zizou era un mio idolo, ma più nel periodo in cui giocava al Real Madrid. In Grecia invece mi piaceva molto Akis Zikos (centrocampista che ha giocato nell’Aek Atene e in Francia nel Monaco, ndr)”. Quali sono le tue passioni?

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“Prima di tutto il mio cane Victor. Passo molto del mio tempo con lui, faccio di tutto per giocarci. È un rottweiler. Mi fa recuperare se la giornata è stata stressante, con lui i problemi passano”. Fidanzato? “No, sono libero. Sto bene con il mio cane”. Altri hobby? “Mi piace andare al cinema con gli amici e giocare a biliardo”.

to uno del paese”. Il calcio greco che momento sta vivendo? “In Europa le squadre cercano di riemergere. Purtroppo la crisi ha inciso, a livello europeo mancano grandi squadre come l’Aek o l’Iraklis. Ma ciò che non manca è il calore del tifo, la passione non cala”. Ultima domanda: Verona a vita? “Qui sto benissimo. Certo, il calcio è strano e mi ha fatto vedere che possono capitare tante cose. Ma Verona è Verona”.

Il piatto greco preferito? “La Moussaka (sformato di melanzane e carne, ndr). Ma la mangio in Grecia e basta”. E in Italia cosa mangi? “La cucina è ottima. Mi piace la pasta, la carne, il pollo. A casa non sto quasi mai, vado sempre al ristorante vicino a casa mia, mi trovo benissimo”. Hai comprato casa? “Sì, qui a Peschiera. Ormai sono diventa-

Intervista di Lorenzo Marucci

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IL PERSONAGGIO Diego Aguirre

IL PERSONAGGIO / DIEGO Aguirre

SEMPRE ALL’ATTACCO Ex bomber, anche da tecnico gioca sempre per vincere

IL TROTAMUNDO

Ha segnato il gol più importante della storia della Libertadores. Ed ora è pronto per una panchina in Europa.

di Marco CONTERIO foto Image SPORT

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IL PERSONAGGIO / DIEGO Aguirre

VISTO ANCHE IN ITALIA Aguirre ha indossato, per un breve periodo, la casacca della Fiorentina

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è

solo un caso che Diego Vicente Aguirre sia seduto, in questo momento. Perché ha l’anima e gli occhi dell’uomo che non si ferma mai, che ha voglia di conoscere. Di vivere. Dice “il calcio è la mia vita”, ma averne di storie così. Belle da ascoltare e da raccontare. Una storia fatta di storie, dove tutto s’incrocia ed è nuova tappa, dove c’è una base del cuore chiamata Uruguay e tante tende piantate in giro per il globo. Anche a El Salvador. “Un’esperienza meravigliosa e straziante. Una terra ricca di contraddizioni”. Ci arriveremo più tardi. Adesso sediamoci, una volta che Aguirre è qui per raccontare. Una volta che si è fermato, in una calda giornata di sole, a Roma. Casa è sempre casa. E per lei sarà sempre l’Uruguay. “È una casa dove si respira calcio, dove c’è passione. L’unica cosa che muove i bambini fuori, per le strade, è la continua ricerca di un pallone. È una terra fatta di tradizione e storia, una miniera di giocatori. L’Uruguay è il paese più futbolero del mondo”. Così è stato per molti, così è stato per lei. “Mi piaceva giocare a calcio. Ed in Uruguay non è solo passione, è qualcosa che ti scorre nelle vene. Non facevamo altro e per questo decisi di farla diventare una professione. Studiavo medicina, ma il Peñarol mi prese dal Liverpool Montevideo: smisi gli studi per dedicarmi al pallone ed è stata la miglior decisione della mia vita. E trent’anni dopo sono ancora qui, non avrei immaginato di aver dedicato la mia vita al calcio. Ed è stato bellissimo”. Il Peñarol, per l’Uruguay e per il Sudamerica, non è un club. È Il Club. “Un sogno ed una grande responsabilità: il primo giorno non ci credevo, ero con campioni e miti assoluti come Bosio, Salazar, Sarallegui. Mi hanno permesso però subito di integrarmi, mi hanno dato l’opportunità di esser prima parte della squadra e poi della storia del club”. Centoventi. Per lei, non è un numero qualsiasi.

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“” Baggio aveva qualità infinite. Borgonovo era un gran giocatore e una grande persona

GRANDE CON IL PENAROL

Ha vinto sia da calciatore che da tecnico con il “suo” club

“È il numero della Libertadores vinta con il Peñarol, con il mio gol. A quel minuto”. È stato eletto il gol più pesante della storia della Libertadores. “Pareggiavamo zero a zero contro l’Atletico de Calì, in Colombia. Qualora fosse finita così, avrebbero vinto loro. Era il centoventesimo minuto e nel tabellone scorreva il countdown che i tifosi colombiani scandivano, tutti insieme. Dieci... Nove... Otto... Sette... Sei... Cinque... Quattro... Tre... Due... Uno... Allo zero segnai, l’arbitro fischiò la fine e vincemmo noi la Libertadores. È stata un’emozione indescrivibile, sono hincha del club ed è stato pure il momento più alto, inimitabile, irripetibile, della mia carriera”. Da lì, l’esperienza a Firenze. “Juan Figuer, l’agente, mi disse che c’era questa opportunità. Rimasi lì poco tempo, non si potevano prendere più di due extracomunitari e la Fiorentina non poté tesserarmi. Però ho avuto modo di giocare con grandi campioni”. Baggio e Borgonovo. “Roberto era giovanissimo, ma già si intravedevano le sue immense doti e qualità. E poi Stefano: un bravo ragazzo, una brava persona, un grande attaccante. Ho saputo in questi giorni della sua prematura scomparsa e della sua terribile malattia. Sono rimasto sconvolto. Ci allenava Eriksson, un grandissimo tecnico”. Da lì altre esperienze in Europa, come Olympiakos e negli anni successivi Marbella. “Sono state esperienze belle, seppur brevi. In Grecia ero in un grandissimo club, in Spagna ero in Segunda, ma per origini ed affinità mi sono trovato subito a mio agio”.

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IL PERSONAGGIO / DIEGO Aguirre

UN GOL EPICO

La sua rete nella finale della Libertadores del 1987 è leggendaria...

IL PERSONAGGIO / DIEGO Aguirre

SEMPRE ALL’ATTACCO Di Thomas Saccani

In Italia se lo ricordano in pochi, eppure era uno con il vizio del gol… Diego Aguirre è sempre stato, in campo, un giocatore dal fiuto del gol importante. Uno che segna “il gol più pesante della storia della Libertadores” non può essere scarso. Eppure, almeno nel nostro Paese, il bomber uruguaiano non è riuscito a lasciare il segno. Quel gol nella finale della Libertadores, anno 1987, lo ha reso famoso nel mondo ma, a soli 22 anni, in una Fiorentina piena zeppa di campioni (da Baggio a Pruzzo, passando per Borgonovo), non ha avuto, letteralmente, il tempo di mettersi in luce e, soprattutto, di crescere come giocatore. Non ci fosse stato il limite di extracomunitari, probabilmente la carriera italiana di Diego Aguirre sarebbe stata diversa. Invece, per lui, in viola, solo quattro presenze (tutte in Coppa Italia) ma, almeno, con la soddisfazione di aver segnato almeno una rete: 31 agosto 1988, 3-0 alla Virescit, ad aprire le marcature è proprio l’uruguaiano. Il suo contratto è stato rescisso ancor prima di cominciare la stagione (per volontà dell’allora tecnico dei gigliati Eriksson) ma Aguirre almeno un gol l’ha segnato, normale per uno con il suo fiuto del gol…

Il suo giro del globo è fatto di tappe, di luoghi. Ma anche di grandi campioni. “In Brasile, dove ho giocato con Internacional, San Paolo e Portugesa, ho giocato con campioni del mondo del calibro di Cafu, Rai, Leonardo, Taffarel. Leo l’ho rivisto in Qatar, durante un tour del suo PSG, mentre allenavo lì. Ci siamo rivisti dopo tantissimi anni ed abbiamo passato la serata insieme, a parlare come vecchi amici”. Lei è un globetrotter, ma non ha mai messo radici. “Non mi sono mai consolidato come bandiera, ho cambiato tanto perché a volte non giocavo, a volte non mi ambientavo, altre perché mi si presentavano nuove opportunità, altre perché avevo voglia di conoscere una nuova nazione. Però sono sempre stato parte di grandi spogliatoi, a contatto con grandi campioni e non ho rimpianti”. Nel suo giro del Mondo, anche El Salvador, coi tigrillos del FAS. “Mi attraeva essere parte di un’altra storia, far parte di quel mondo. È un paese con tante contraddizioni, con tanti contrasti. La gente è amabile, meravigliosa, è stato un periodo di pochi mesi ma intenso. Ci sono tanti posti pericolosi, ma dei luoghi unici e splendidi, spiagge e

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Dopo tante esperienze in giro per il Mondo, sono pronto per una panchina in Europa natura incontaminate”. Cile con il Temuco. Argentina con Independiente e River Plate. Poi da allenatore anche in Perù. Cosa le manca del Sudamerica? “Praticamente niente. Ho anche giocato a La Paz, in Bolivia, una gara in altura. È impossibile spiegare com’è giocare lì, se non ti prepari finisci subito le energie. Però è un’altra bella storia che posso raccontare”. Una storia come quella della sua famiglia. Prima accennava ad origini europee. “In Spagna, a Bilbao. La mia famiglia viveva lì, ho tanti discendenti sempre nei Paesi Baschi, siamo sette fratelli ed io sono andato con la famiglia in Uruguay. Sono molto legato alla Spagna, per af-

finità insieme all’Italia è una terra molto simile alla mia Montevideo. Ora sono sposato, con tre figli: due femmine ed un maschio, rispettivamente di diciassette, quindici e sette anni”. Dove ha conosciuto sua moglie? “In Uruguay. Poi ci siamo spesso spostati insieme, anche se non nell’ultima esperienza in Qatar. Il mio paese, la mia base, è l’Uruguay e nel calcio niente è fisso e certo. Poi non era così semplice trasferirsi in toto in un paese ed in una cultura così differenti dai nostri”. Al Qatar arriviamo tra poco. Intanto, alla fine del millennio, appende le scarpette al chiodo. “Dissi ‘proviamo ad allenare’, visto che la vita da calciatore mi piaceva. Non avrei mai immaginato di vivere il calcio ventiquattro ore su ventiquattro da tecnico, ci sono infinite responsabilità. Smisi a trentasette anni, iniziando col Plaza Colona. È una città piccola e bella, in Uruguay, facemmo subito un grande campionato. Così mi chiamò il Penarol”. Il Club. Il Suo Club. “Ero impreparato, non mi sentivo pronto, ma non potevo dire di no. Per me fu strano, c’erano anche ragazzi che giocavano con me e che poi allenavo”. Era Mister o Diego?

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IL PERSONAGGIO / DIEGO Aguirre

IL PERSONAGGIO / DIEGO Aguirre

BEL RICORDO DI FIRENZE

A CACCIA DI UNA PANCHINA

Città fantastica, bellissima e speciale per viverci, parola di Aguirre

Aguirre non vede l’ora di rimettersi in sella, possibilmente in Europa”

“La verità? Per loro, ero inevitabilmente Diego. E non è facile, perché devi prendere delle scelte professionali, cosa che poi fai per serietà ed appunto professionalità, che alcuni possono vedere come tacche negative nel rapporto d’amicizia”. Vince il campionato poi, negli anni successivi, guida anche l’Under 20 uruguagia. “Oscar Tabarez, che mi aveva allenato al Penarol, per me era ‘il Maestro’. E mi chiese di guidare la Sub-20, per me è stata un’esperienza straordinaria. Ho avuto l’opportunità di far crescere, e di crescere insieme, a talenti come Ramirez, Hernandez e non solo. Fu un apprendistato rapido, veloce, mi preparò al futuro”.

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L’Uruguay è il paese più futbolero del Mondo Avevamo eliminato l’Internacional di Porto Alegre, campione in carica, i campioni d’Argentina del Velez Sarsfield. Avemmo comunque un grande riconoscimento internazionale, nonostante il ko. Erano più forti, poco da dire”.

Poi, il ritorno alla base. Al Penarol. “È stato il miglior campionato della storia del club. 43 punti su 45, solo vittorie eccezion fatta per un pari contro il Nacional. Allora sì che mi sentivo pronto”.

Poi, il Qatar. “È un calcio che sta crescendo e... Come sempre: un’altra storia da vivere, un’altra storia da raccontare. Fu un’occasione unica ed irripetibile. Ho firmato per la prima volta un contratto di un anno, poi prolungando volta volta ed allenando due club”.

Tanto che l’anno dopo perse la Libertadores, in finale, da allenatore. “Contro il Santos di un certo Neymar.

Vincendo, anche lì, coppe di gran prestigio. “È stata un’esperienza bella, in una cul-

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tura molto diversa. Convivi con altre culture, religioni, ma è bello immergersi così in un altro mondo. Ti arricchisce. Il calcio ti dà la possibilità di vedere e vivere posti incredibili, non avrei mai pensato di farlo da giovane”. L’ha portata a giocare anche gare incredibili. “Penarol-Porto, finale di Intercontinentale, in Giappone. C’erano condizioni meteo assurde, una tormenta incredibile e noi uruguagi non avevamo mai visto la neve. Era la prima volta, quel 13 dicembre 1987. Non volevamo giocare, non c’erano le condizioni per farlo, quel bianco ovunque era tanto abbagliante quanto limitante. Perdemmo, ma fu una partita paradossale”. Ed ora? “L’Europa, da giocatore, l’ho già vissuta. Firenze, per esempio, è stata una città straordinaria dove vivere. Ed ora, come in passato, mi sento pronto. Sono pronto, per una panchina in Europa”. Per una nuova storia da vivere. Per una nuova storia da raccontare.

Intervista di Marco Conterio

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SPECIALE

SPECIALE/ bomber di testa

BOMBER di testa

ARTISTI DI TESTA…

BRAVO IN TUTTO

IL ROSSONERO HATELEY

Pelé è stato un artista completo, anche di testa...

Il britannico aveva nel colpo di testa la sua dote migliore...

C’è chi incanta con i piedi e chi sa fare la differenza usando la testa. Storia di un fondamentale del calcio spesso sottovalutato… di Fabrizio PONCIROLI

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club con cui si è distinto maggiormente), tantissimi dei quali di testa. Chi, invece, faceva del colpo di testa l’unica sua dote era Hateley. Ancora oggi, il suo colpo di testa, anticipando Collovati, che decise il Derby 1984/85 è nella mente di tutti gli appassionati del calcio italiano. Tassotti, ex milanista, ha fotografato così quel meraviglioso gesto tecnico: “Uno stacco incredibile, che dimostrò quanto Mark possedesse un tempismo e una forza davvero rari. Di tipo inglese, alla Charles o alla Jordan contro un difensore, Collovati, che non scherzava quando c’era da saltare a stretto contatto con l’avversario. Ho ancora negli occhi la meraviglia di tutti noi che gli stavamo intorno, gli applausi, l’entusiasmo, ma anche i complimenti sinceri che gli facemmo per un gesto atletico incredibile”. Altro ariete di rara efficacia è stato Serena. Oltre a piedi buoni, aveva una testa mortifera che tutti ricordano, in particolare

foto Liverani

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ROBERTO BETTEGA

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foto Daniele Buffa/Image Sport

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ai sottovalutare il colpo di testa. In un calcio sempre più caotico e frenetico, avere in rosa calciatori in grado di fare la differenza nel gioco aereo e, in particolare, con la testa, è una risorsa di notevole importanza. Ne sa qualcosa, ad esempio, la Juventus che, con gente come Llorente e Morata in avanti, può sempre fare male, o la Lazio, abituata ad appoggiarsi su Klose o, ancora, l’Hellas Verona, “aiutata” dall’eterno Toni. E dire che, storicamente, questo fondamentale del calcio non è mai stato decantato come avrebbe meritato. Forse perché, tra i più grandi fuoriclasse di sempre, gente del calibro di Maradona, Pelé, Ronaldo e, adesso, Messi, probabilmente solo O Rey sapeva colpire la palla di testa con chirurgica precisione. Eppure, anche in questa particolare specialità, ci sono stati (e ci sono) dei fenomeni. La lista è lunga e raccoglie giocatori che hanno lasciato il segno nella storia del calcio. Si prenda, ad esempio, Charles. Quasi 190 centimetri d’altezza (189 per l’esattezza), il gallese della Juventus faceva del colpo di testa la sua arma principale. Dei 93 gol segnati in maglia bianconera (dal 1957 al 1962), tanti sono arrivati con la “capoccia”. Altro maestro era Bettega: il suo colpo di testa era tanto mortifero quanto elegante. Laudrup, uno che il talento lo conosceva ed apprezzava, un giorno disse: “Bettega sapeva colpire la palla di testa nel modo più elegante che abbia mai visto”. La sua capacità di impattare con il pallone ed indirizzarlo dove nessun portiere ci potesse arrivare era una dote unica, eccezionale, inimitabile. Tuttavia il primo (almeno secondo il pensiero di molti) vero fuoriclasse di testa è stato Carlo Galli. Il soprannome con cui era conosciuto dice tutto: Testina d’oro. Centravanti moderno per l’epoca (anni Cinquanta), sapeva più di chiunque altro trovare la via del gol con perfetti e precisi colpi di testa. Ben 100 gol tra Roma e Milan (i due

MARK Hateley

i tifosi dell’Inter, che lo hanno ammirato nella stagione dello Scudetto dei record (stagione 1988/89), annata in cui segna 22 gol. Indimenticabile la rete che decise il Derby dell’11 dicembre del 1988: cross di Bergomi e incornata, in tuffo, di Serena (la specialità della casa). In tempi più recenti, doveroso citare Batistuta, Vieri e Trezeguet. Veri e classici bomber, difficilmente si lasciavano scappare una palla alta in mezzo all’area… Al momento, abbiamo raccontato di veri e propri marcantoni. Giocatori alti e possenti che, grazie al proprio fisico, hanno saputo imporsi. Ma, per essere degli specialisti nel colpo di testa, non bisogna necessariamente essere dei giganti. Il pensiero corre subito a Riedle. Alto circa 175 cm, l’ex attaccante della Lazio era abilissimo a scegliere il tempo e ad anticipare il difensore. Si sa, il talento non è una scienza esatta…

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SPECIALE/ bomber di testa

BIERHOFF, IL VERO RE Ma chi è stato il più grande colpitore di testa? Difficile dare una risposta. Nel calcio ognuno ha la sua personale (e valida) opinione. Ci proviamo comunque: Oliver Bierhoff. Visto in Italia, con le casacche di Ascoli, Udinese e Milan (141 reti totali), il teutonico centravanti era un vero e proprio incubo per qualsiasi difesa. La sua abilità in acrobazia è diventata leggendaria a suon di capolavori di testa. Chi ne ha giovato maggiormente è stato sicuramente il Diavolo. Nella stagione 1998/99, conclusa con l’incredibile e inattesa vittoria dello Scudetto (ai danni della Lazio), i rossoneri dovranno ringraziare proprio la testa del tedesco. Ben 19 i centri in campionato di Bierhoff, 14 dei quali grazie al suo formidabile colpo di testa. Il festival comincia a Bologna. Prima giornata, i rossoneri si impongono per 3-0, con doppietta del tedesco (uno di testa). Un’avventura lunga e gioiosa, conclusa con il tricolore e una rete, ovviamente di testa, nella decisiva trasferta in quel di Perugia (2-1 per il Diavolo, gol vittoria di Bierhoff). Numeri mostruosi (74% dei gol realizzati dal tedesco sono arrivati di testa) che, di fatto, confermano come il bomber teutonico fosse inarrestabile nel gioco aereo. Il tecnico Zaccheroni, in quella splendida cavalcata conclusa con lo Scudetto, lo mise nelle condizioni ideali per rendere al massimo. Uno Scudetto vinto, appunto, con la testa…

GABRIEL BATISTUTA

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OLIVIER BIERHOFF

stagione 1998/99 - MILAN PARTITA GOL GOL SEGNATI DI TESTA MILAN-BOLOGNA 3-0 SALERNITANA-MILAN 1-2 MILAN-FIORENTINA 1-3 VENEZIA-MILAN 0-2 MILAN-UDINESE 3-0 SAMPDORIA-MILAN 2-2 MILAN-PERUGIA 2-1 MILAN-SALERNITANA 3-2 MILAN-PIACENZA 1-0 MILAN-BARI 2-2 UDINESE-MILAN 1-5 VICENZA-MILAN 0-2 MILAN-EMPOLI 4-0 PERUGIA-MILAN 1-2

2 1 1 1 1 1 1 2 1 1 2 1 3 1

TOTALE 19

1 1 0 1 0 1 1 2 1 0 2 1 2 1 14

foto Image Sport

Bierhoff era un fuoriclasse assoluto nel gioco aereo...

foto Federico De Luca

IL MIGLIORE DI TUTTI

SPECIALE/ bomber di testa

LUCA TONI

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SPECIALE/ bomber di testa

SPECIALE/ bomber di testa

GOL DI TESTA NELLA STORIA

LLORENTE, FORZA BIANCONERA

Da Pelé a Zidane, quando un guizzo del capo ha deciso partite indimenticabili…

C

i sono colpi di testa che sono entrati, di diritto, nella storia dell’amato pallone. Non potendo includere la rete di Maradona all’Inghilterra per ragioni oggettive (non a caso parliamo della Mano de Dios), concentriamo l’attenzione su altre gemme. Partiamo da Pelé. Mondiali del 1970, O Rey fredda Zoff in una finale a tinte verdeoro. Un colpo di testa di rara precisione, ma anche di ragguardevole potenza, soprattutto per un giocatore che non raggiungeva i 170 cm di altezza. Burgnich, il difensore azzurro che, in quell’azione, fu sovrastato da Pelé, qualche anno fa ha raccontato così l’antefatto: “Dalle immagini di quel gol, e dagli scatti fotografici, sembra che lui salga in cielo per colpire il pallone. In effetti mi sovrastò, ma mi prese in controtempo: avevo fatto un passo in avanti perché mi aspettavo che Rivelino crossasse basso, arrivò

un pallone alto e Pelé era già in vantaggio. L’elevazione non fu straordinaria, ma il colpo di testa fu perfetto”. Perfetto è stato anche un certo Zidane. Nella finale del Mondiale 1998, Zizou si erge a protagonista assoluto della sfida contro il Brasile. Nel 3-0 che regala ai galletti il titolo mondiale e condanna i brasiliani ad una cocente sconfitta, Zidane segna una doppietta. I due gol, simili tra loro, arrivano entrambi di testa. Infine, omaggio a Messi. Finale di Champions League anno 2009. Il Barcellona della Pulce, allora 21enne, affronta il Manchester United nel teatro dell’Olimpico di Roma. I blaugrana vincono 2-0 con raddoppio firmato dall’argentino, incredibile ma vero, di testa. Lasciato completamente solo in area di rigore, Messi sale in cielo per raccogliere un cross di Xavi e superare Van der Sar. Una rarità per Messi, un capolavoro per la storia…

Allegri sa bene che, di testa, lo spagnolo è mortifero...

foto Image Sport

LA TESTA DI ZIDANE Il francese ha deciso una finale Mondiale con la testa...

Giampaolo Pazzini

Giapponese, difensore, ha stabilito un primato non facile da superare…

R

yujiro Ueda è un giocatore giapponese. Milita, dal lontano 2009, nella squadra del Fagiano Okayama. Difensore centrale, nel 2011 è salito alla ribalta della cronaca per un gol davvero fuori dal comune. Una rovesciata spettacolare, una rete dopo innumerevoli dribbling? No, nulla di ciò. Ueda ha segnato di testa. Niente di che? Tutt’altro, visto che il colpo di testa arriva da ben 58,6 metri (distanza effettiva misurata nel post match per l’omologazione all’Uefa). Un gol pazzesco, un vero e proprio primato (anche in virtù della complicità del portiere). Sul rinvio dell’estremo difensore av-

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versario Kentaro Seki, nella sfida tra Fagiano Okayama e Yokohama FC, Ueda, di prima intenzione, colpisce la palla di testa con una forza tale da superare il colpevole portiere ed infilarsi in fondo al sacco: “Dopo aver colpito la palla, ho subito pensato a riprendere la mia posizione in campo. Non ho capito nulla, fino a quando la palla non è finita in rete”, il commento del recordman a fine gara ad una tv nipponica. Ueda ha superato, di circa un metro, il precedente record stabilito, sempre nel 2011 (esattamente il 25 settembre 2011, nella sfida, tutta norvegese, tra ODD Grenland e Tromsø Idrettslag), da Jone Samuelsen…

Fernando Llorente I CAMPIONI DI OGGI Un’arte che, ancor oggi, regala artisti di pregevole fattura. Chi sa sfruttare al meglio la sua capacità aerea è sicuramente Llorente. Il bomber della Juventus è straordinario sui cross. Conte ne ha fatto un’arma devastante, Allegri pure. Uno che si fa ancora rispettare di testa è sicuramente Toni. Gli anni passano, ma il Campione del Mondo 2006 e attuale centravanti dell’Hellas Verona è ancora un problema per ogni difesa. Anche le milanesi hanno i loro centravanti forti di

foto Image Sport

IL RECORD DI RYUJIRO UEDA

foto Image Sport

Zinédine Zidane

Miroslav Klose

testa: Pazzini ed Icardi. Meraviglioso è anche Klose, uno che sa coniugare, alla perfezione, eleganza ed efficacia. Nonostante il passare degli anni e lo stravolgimento del modo di interpretare il gioco del calcio, avere arieti in grado di trovare il guizzo giusto di testa resta un imperativo per ogni squadra che si rispetti. Il vero problema è riuscire a trovare professori laureati in questa difficile e complicata disciplina. Come per i piedi, non tutti sanno come si colpisce la palla di testa…

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SPECIALE COPPA D’AFRICA

SPECIALE / COPPA D’AFRICA

30esima edizione tribolata. Il Marocco dà forfait, si gioca in Guinea Equatoriale tra mille perplessità… di Fabrizio PONCIROLI foto Image SPORT e Agenzia LIVERANI

Coppa D’Africa, ci risiamo… SPERANZE E SOGNI

La Coppa d’Africa è, da sempre, una vetrina per giovani talenti sconosciuti...

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C’

era una volta la Coppa d’Africa. Torneo dedicato ai Paesi iscritti alla CAF (Confederazione Africana di calcio) rappresentava la vetrina perfetta per talenti sconosciuti desiderosi di convincere i ricchi club, soprattutto di stampo europeo, a concedergli una chance. Tuttavia, negli ultimi anni, questa affascinante manifestazione ha iniziato a trasformarsi in un “problema internazionale”. Le società, anche qui solitamente europee, hanno iniziato a storcere il naso all’idea di inviare i propri giocatori a disputare la Coppa d’Africa. L’idea di dover fare a meno dei propri talenti nel bel mezzo della stagione (la Coppa d’Africa, storicamente, si disputa nei primi mesi dell’anno) non convince più nessuno. Che fare? In tanti spingono per la cancellazione del torneo ma, alla fine, la manifestazione prosegue nel suo corso, anche se le problematiche restano attuali. Come se non bastasse, anche la CAF ha avuto i suoi grattacapi. Oltre a diversi incidenti di percorso (ne parleremo più avanti), il massimo organo calcistico africano ha dovu-

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SPECIALE / COPPA D’AFRICA

SPECIALE / COPPA D’AFRICA

VOGLIA DI VITTORIA

La Costa d’Avorio punta ad essere grande protagonista nell’edizione 2015...

to fronteggiare diverse problematiche per garantire l’edizione 2015. Il “caso Marocco” ha, infatti, fatto vacillare tutto il sistema organizzativo. Andiamo con ordine. Nell’ottobre del 2014, lo stato maggiore del Marocco, Paese ospitante, chiede alla CAF di rinviare la Coppa d’Africa. Il motivo? Epidemia di Ebola (ufficiosamente si vocifera di rallentamenti e ritardi nella macchina organizzativa maghrebina, oltre a costi economici insostenibili). La CAF non ci sta e conferma il tutto. Il Marocco, invitato a prendersi le proprie responsabilità, si chiude in un silenzio assordante che, di fatto, porta alla squalifica della nazionale maghrebina dalla Coppa d’Africa e alla decisione, clamorosa, di trasferire la manifestazione in Guinea Equatoriale (l’unico Paese, insieme al Qatar, ad essersi proposto come organizzatore in corsa dell’evento, già Paese ospitante della manifestazione nel 2012, insieme al Gabon). Un incidente diplomatico di dimensioni stratosferiche (il Marocco ha rinunciato alla Coppa d’Africa, ma ha confermato che ospiterà il Mondiale per Club) che, di fatto, ha costretto la CAF a soluzioni d’emergenza davvero singolari. Un esempio su tutti: solo quattro stadi ospiteranno l’edizione numero 30 del-

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la Coppa d’Africa, uno dei quali (il Nuevo Estadio di Ebebiyin, città nel Nord-Est del Paese), con solamente 5.000 posti a sedere. Insomma, un’edizione decisamente atipica… NESSUNA VERA FAVORITA L’appuntamento è per il prossimo 17 gennaio, giorno in cui comincerà ufficialmente la Coppa d’Africa 2015. Un’avventura lunga e faticosa che si concluderà, l’8 febbraio, a Bata, sede della finale. Ben 16 le squadre al via. Oltre a Marocco (squalificato) ed Egitto, pesa l’assenza della Nigeria, vincitrice dell’ultima edizione. Difficile, se non impossibile, indicare un favorito per il successo finale. Storicamente la Coppa d’Africa ha dimostrato di essere un torneo pieno di sorprese. Ci proverà il Camerun, forte di quattro trionfi ma senza gioie dal 2002. Sogna l’exploit la Costa D’Avorio, alla 21esima partecipazione, ma con una sola vittoria alle spalle (1992). Sempre da tenere d’occhio nazionali come Ghana, Tunisia ed Algeria ma, di fatto, nessuno parte con i favori del pronostico. Piuttosto intriganti anche i quattro gironi in cui sono state inserite le 16 nazionali partecipanti. Nel Grup-

MITO ETO’O

Il camerunense è sempre stato legatissimo al torneo africano, di cui è il capocannoniere assoluto...

po A ci saranno Guinea Equatoriale, Burkina Faso, Gabon e Congo. Zambia, Tunisia, Capo Verde e DR Congo sono state inserite nel Gruppo B mentre, nel C, sono finite Ghana, Algeria, Sud Africa e Senegal. Infine da gustare il Gruppo D, formato da Costa d’Avorio, Mali, Camerun e Guinea. CHE LUNGA STORIA… Tutto ha inizio nel lontano 1957. Egitto, Sudan, Etiopia e Sudafrica, ossia le quattro nazionali che fondano la CAF, hanno un sogno: fondare un proprio torneo internazionale. Nasce la Coppa d’Africa. La prima edizione, proprio datata 1957, non va, per usare un eufemismo, benissimo. Il Sudafrica viene squalificato, si giocano, così, solo due gare, con l’Egitto che si laurea campione. Sembra un progetto destinato a fallire e, invece, nel 1962, alla terza edizione, sono già nove le nazionali che partecipano. Negli anni ’60, il fascino della manifestazione cresce ulteriormente, anche grazie alle prime stelle africane, come Laurent Pokou, punta della Costa d’Avorio capace di segnare 14 reti in due edizioni (1968 e 1970). Ciò che rende l’evento unico nel suo genere e che, ogni volta, nulla è scontato,

in particolare il vincitore finale. Tra il 1970 e il 1980, ad esempio, sono ben sei i Paesi che si aggiudicano il trofeo, sei Paesi diversi tra loro, una sorta di record. Tra quella lista di vincitori a sorpresa figura anche lo Zambia. I Chipolopo, guidati da fuoriclasse assoluti come Chanda e Kaushi si aggiudicano, tra la sorpresa generale, l’edizione del 1974. Nello stesso anno si tolgono anche la grandissima soddisfazione di essere la prima nazionale africana a disputare una fase finale della Coppa del Mondo. Un traguardo importantissimo che, di fatto, rende la Coppa d’Africa ancor più prestigiosa. Anche a livello di gioco, le migliorie sono evidenti. Nel decennio successivo, Camerun e Ghana mostrano di essere nazionali in rapida evoluzione e capaci pure di far crescere giocatori di interesse europeo. Madjer, Roger Milla, Abedì Pele, sono diversi i giocatori “da Coppa d’Africa” che lasciano il segno anche in Europa: il calcio africano è ormai sdoganato. Gli anni Novanta non sono altro che un ulteriore accrescimento del patrimonio calcistico legato alla Coppa d’Africa. Sempre più giocatori africani affollano i campionati europei e sempre più club attingono dal Continente Nero osservando i vari talenti grezzi pro-

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SPECIALE / COPPA D’AFRICA

SPECIALE / COPPA D’AFRICA

CALCIO E SANGUE…

MILLA, INFINITO

In pochi hanno segnato il cacio africano come il bomber camerunense...

Di Fabrizio Ponciroli

La Coppa d’Africa è stato teatro anche di diversi eventi che ben poco hanno a che fare con il pallone… Tanti momenti di gioia ma anche pagine che, ancora oggi, sono sinonimo di tristezza. Sono, purtroppo, diverse le tragedie che si sono consumate parallelamente al torneo delle Nazioni africane. Il dramma più sconvolgente è legato allo Zambia. Il 28 aprile 1993, l’intero Paese viene distrutto da una notizia shock che, di fatto, spegne l’entusiasmo di un’intera nazione. L’aereo che trasporta la nazionale dei Chipolopolo (Proiettili di Rame) precipita, causando la morte di 18 calciatori, 5 membri dello staff e 7 funzionari della Federazione. Un colpo durissimo che segnerà, a lungo, la storia sportiva (e non solo) dello Zambia. Un evento orribile che la nazionale dello Zambia ricorda durante i festeggiamenti per la vittoria della Coppa d’Africa nel 2012. Uno striscione con la scritta “In memory of 1993, you are playing home” è il giusto omaggio ai caduti del disastro aereo del 1993 a Libreville. In trionfo anche Kalusha Bwalya, leggenda del calcio dello Zambia, sopravvissuto a quel terribile incidente aereo per miracolo (era impegnato con il PSV, il suo club di allora): “Un trionfo che va a quelli che non ci sono più”, le sue parole dopo l’impresa dello Zambia ai danni della Costa d’Avorio, nella finale del 2012. Nel 2010, alla vigilia dell’inizio della Coppa d’Africa, in Angola, l’autobus della nazionale togolese viene trivellato di proiettili. Un attentato a sfondo terroristico (rivendicato da guerriglieri della FLEC, Fronte Liberazione Enclave Cabinda), in cui perdono la vita l’autista dell’autobus e due membri dello staff del Togo, a cui vanno aggiunti diversi feriti. Tutti i giocatori del Togo, Adebayor in testa, non si capacitano di quanto accaduto e, attraverso la Federazione del Togo, chiedono la sospensione della manifestazione. La richiesta viene respinta e il Togo decide così di ritirarsi dalla competizione. Una maledizione per il Togo che, due anni prima, in un incidente d’elicottero, aveva perso 20 persone della delegazione sportiva togolese.

L’ALGERIA DI MADJER

Il Tacco di Allah ha vinto la Coppa d’Africa nel lontano 1990...

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prio durante le partite della Coppa d’Africa. Siamo, infine, ai tempi recenti con gente come Eto’o e Drogba a tenere alto il nome della Coppa d’Africa e l’Egitto a fare incetta di trofei (tre vittorie consecutive, 2006, 2008 e 2010). Nel 2010, la CAF prende anche una decisione importante, ovvero far disputare la manifestazione negli anni dispari e non pari, questo per non “stancare” eccessivamente le nazionali africane, impegnate poi nella Coppa del Mondo. L’edizione 2012, disputata nel Gabon e nella Guinea Equatoriale è, quindi, l’ultima negli anni pari (vittoria dello Zambia). La “prima” del nuovo corso vede il trionfo della Nigeria che conquista così il suo terzo alloro. GLI ARTISTI DEL CONTINENTE NERO Tantissimi i fuoriclasse che hanno impreziosito, con le loro giocate, la Coppa d’Africa. La lista è infinita e prevede stelle indiscusse del calcio mondiale. Iniziamo con chi, forse, ha vissuto la Coppa d’Africa con più passione di chiunque altro, ovvero Eto’o. Lo scorso 27 agosto, a 33 anni, l’ex fuoriclasse, tra le altre, di Inter e Barcellona, ha deciso di lasciare la Nazionale (contrasti con il Ct Finke). Considerato il più grande gio-

catore africano della storia, ha giocato 118 gare con il Camerun, segnando 56 reti. Soprattutto, è stato capace di vincere due volte la Coppa d’Africa (2000 e 2002), regalandosi anche due titoli di capocannoniere del torneo (2006 e 2008). Recentemente ha dichiarato ad un media sudafricano: “Vincere con la casacca del proprio Paese è fantastico, sai che hai fatto felice il tuo popolo”. Nulla da aggiungere. Proseguiamo con un altro mito come Roger Milla. Camerunense al pari di Eto’o, ha indossato la casacca dei Leoni Indomabili per 102 volte, vincendo due edizioni della Coppa d’Africa (1984 e 1988). Famoso per aver disputato un Mondiale a 42 anni, segnando anche una rete (alla Russia, a Usa 1994): Roger Milla è un punto di riferimento per tutti i giocatori del Camerun. Un’altra stella della Coppa d’Africa è stato Kalusha Bwalya. Con 100 presenze con lo Zambia (è stato anche allenatore dei Proiettili di Rame), l’ex attaccante di Bruges e PSV (noto per aver segnato quattro reti, in una sola partita, a Seul 1988, all’Italia di Rocca) ha partecipato a sei edizioni della Coppa d’Africa, non riuscendo mai a vincere il trofeo. Più o meno quanto accaduto anche a Didier Drogba. Stella del calcio ivoriano, ha

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SPECIALE / COPPA D’AFRICA

SPECIALE / COPPA D’AFRICA

“OGNI NAZIONALE HA IL SUO STREGONE”

VITTORIA DI COLORI

La Coppa d’Africa è un perfetto mix di culture e bandiere...

Di Pasquale Romano

Pochi i fuoriclasse già affermati, l’occasione giusta per tanti per farsi notare, magia permettendo… Nuovo mondo. La trentesima edizione della Coppa d’Africa, al via il 17 gennaio dalla Guinea Equatoriale, segnerà una nuova era del calcio africano. La savana dovrà obbligatoriamente popolarsi di nuovi Re. Mancheranno le stelle principali delle ultime edizioni come Eto’o e Drogba, vuoti pesanti da colmare. Malù Mpasinkatu, volto noto di Sportitalia e Sky nonché primo direttore sportivo africano del calcio italiano, conosce bene la realtà calcistica del continente nero. Malù, nella prossima edizione mancheranno big del calibro di Nigeria, Egitto e Maroccco. Quattro delle ultime cinque vincitrici non saranno presenti al via… “Significa che aumenta notevolmente l’incertezza. L’Egitto è arrivato alla fine di un ciclo che ha portato tre titoli consecutivi, la Nigeria dopo aver vinto nel 2013 è la grande assente”. Quali le sorprese che potrebbero arrivare in fondo? “Difficile capire quali saranno le outsider. La Repubblica Democratica del Congo dopo lo storico 4 a 3 sulla Costa d’Avorio ha entusiasmo da vendere, Capo Verde mi ha impressionato”. Le favorite attese al varco? “Io metterei Costa d’Avorio, Camerun, Ghana e Algeria sullo stesso piano. I valori di queste nazionali sono superiori alle altre, ma la verità è che la Coppa d’Africa è un torneo strano. Nulla è scontato, non sempre vince chi ha i nomi più altisonanti”. Spesso i big fanno flop, per quale motivo? “In Coppa d’Africa giochi per un popolo, rappresenti una nazione che il più delle volte vede nel calcio speranza e felicità, in una realtà di povertà e sofferenza. Le pressioni aumentano a dismisura, e anche a Drogba o Eto’o può capitare di non riuscire a mantenere le aspettative”. Il calcio africano, in notevole espansione, può davvero avvicinare quello europeo? “Credo di si. Il livello atletico è sempre stato alto, adesso anche le capacità tecniche e tattiche stanno aumentando sensibilmente. Non è più il calcio di una volta, infatti le nazionali più quotate spesso fanno fatica e non riescono a imporsi”. Assenti Eto’o e Drogba, quali saranno le stelle della prossima Coppa d’Africa?

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GRANDE ESPERTO Nessuno conosce il calcio africano come Mpasinkatu...

Bilancio Nazioni in Coppa d’Africa # Nazione Vittorie Finali perse 1 Egitto 7 1 2 Ghana 4 4 3 Camerun 4 2 4 Nigeria 3 4 5 Zaire (ex Rep. 2 0 Dem.Congo) 6 Costa d’Avorio 1 2 7 Zambia 1 2 8 Sudan 1 2 Tunisia 1 2 10 Algeria 1 1 11 Etiopia 1 1 Marocco 1 1 Sud Africa 1 1 14 Congo 1 0 15 Mali 0 1 16 Uganda 0 1 Guinea 0 1 Libia 0 1 Senegal 0 1 Burkina Faso 0 1

Edizioni Vinte 1957, 1959, 1986, 1998, 2006, 2008, 2010 1963, 1965, 1978, 1982 1984, 1988, 2000, 2002 1980, 1994, 2013 1968, 1974 1992 2012 1970 2004 1990 1962 1976 1996 1972 -

“Scommetto su Choupo-Moting, camerunense dello Schalke, e Brahimi, algerino del Porto. Non dimentico gli ‘italiani’ Keita e Gervinho, entrambi della Roma. Si tratta di giocatori affermati, pronti per questo tipo di manifestazione”. Ci saranno talenti in rampa di lancio pronti a esplodere? “Sicuramente qualche giovane si farà notare, penso a Sadio Manè del Senegal. Spesso però i Ct privilegiano

giocatori esperti a vanno sull’usato sicuro. I grandi club in ogni caso puntano a scoprire prima i possibili talenti, attraverso lo scouting”. Il calcio africano è preda di stregoni e magie varie… “Ogni nazionale ha il suo stregone. Sono figure caratteristiche, magari non si crede sino in fondo nei loro sortilegi ma non si rinuncia ugualmente. Meglio essere premuniti (ride, ndr)”.

CLASSIFICA marcatori All-Time Gol 18 14 13 12 11

Giocatore Samuel Eto’o Laurent Pokou Rashidi Yekini Hassan El-Shazly Hossam Hassan, Patrick Mboma, Didier Drogba

Gol 10 9 8

Giocatore Kalusha Bwalya, Pierre Ndaye Mulamba, Francileudo Santos, Joel Tiéhi, Mengistu Worku Abdoulaye Traoré Pascal Feindouno, Wilberforce Kwadwo Mfum, Ahmed Hassan, Manucho

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UEFA CHAMPIONS LE AGUE®

SPECIALE / COPPA D’AFRICA

NUOVO RE CERCASI

Nessuna favorita, tante pretendenti, è la Coppa d’Africa...

OFFICIAL STICKER COLLECTION

PEO O R U E IO C L A C L E D E L L LE STE RE! TUTTE DA COLLEZIONA 2 FIGURINE IN 1 !

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KARIM BE NZEMA

REAL MADR ID CF KARIM BE NZEMA

19-12-1987

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FR A 1,87 m 79 Kg

50

16 FABIA N SCHÄR

edizione 1982, con il Ghana (tre volte Pallone d’Oro Africano). Ammirato anche in Italia (nel Torino), Abedì Pele è il giocatore che ha fatto la storia del calcio ghanese, con 73 presenze e 33 reti all’attivo. Un fenomeno senza età. Chiudiamo con un nome pressoché sconosciuto ma, in realtà, di notevole importanza nella storia della Coppa d’Africa. Nella prima edizione della Coppa, anno 1957 (Sudan), si disputano solo due gare: una semifinale (tra Sudan ed Egitto) e la finale (tra Egitto e Etiopia, quest’ultima qualificata senza giocare, causa squalifica del Sudafrica). I due match si disputano, entrambi, allo Stadio Monicipal di Khartoum, con il successo finale dei Faraoni che vincono la sfida con il Sudan per 2-1 e la finalissima con l’Etiopia per 4-0). Se Rafaat Ateya, egiziano, passa alla storia per aver siglato la prima rete in assoluto della Coppa d’Africa, Mohamed Ad-Diba, anch’egli egiziano, diventa l’idolo di un intero Paese. Nelle due gare indicate, Ad-Diba segna ben cinque reti, laureandosi capocannoniere e portando i Faraoni al successo. Inserito, nel 2007, nella Top 200 dei giocatori africani di tutti i tempi. Chi sarà il prossimo?

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vinto tutto con le maglie dei club con cui ha giocato (anche una Champions League con il Chelsea) ma, in Coppa d’Africa, ha sempre visto gli altri festeggiare. Due le finali perse, compresa quella, del 2012, con lo Zambia, finale in cui ha calciato alle stelle un penalty che avrebbe potuto dare il successo agli Elefanti. Proseguendo nella nostra carrellata, segnaliamo anche due algerini, ovvero Lakhdar Belloumi e Rabah Madjer. Il primo, 147 presenze con la nazionale delle Volpi del Deserto, è stato capocannoniere dell’edizione del 1988. Il secondo, Pallone d’Oro Africano nel 1987, ha vinto l’edizione del 1990. Importante il contributo dato anche da un certo George Weah, ben noto al pubblico italiano per i suoi trascorsi al Milan. Grazie alla sua classe, la Liberia ha potuto prendere parte a due edizioni della Coppa d’Africa (uscendo sempre al primo turno). Citazione doverosa anche per Rashidi Yekini (scomparso nel 2012). Nigeriano, ha vinto la Coppa d’Africa nel 1994, riuscendo a laurearsi capocannoniere della stessa, per due edizioni consecutive (1992 e 1994). Impossibile dimenticarsi anche di Abedì Pele, vincitore della Coppa d’Africa,

FC BASEL 1893 FABIAN SC HÄR

20-12-1991

SUI 1,86 m 85 Kg 6 -

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SERIE B MODENA

di Alessio ALAIMO

SERIE B/ MODENA

IL GRANDE SAGGIO

LA CURA NOVELLINO

Esperenza e determinazione, le armi di un tecnico di spessore...

Pablo Granoche

MODENA, VOGLIA DI A

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Da agente di successo a presidente: chi glielo ha fatto fare? “Fa parte del mio carattere. Cerco sempre nuove sfide. Nuove emozioni. Dopo l’esperienza al QPR volevo provarne un’altra. Ed eccomi a Modena. Con un rammarico…” Quale? “L’anno scorso avremmo potuto centrare la promozione in Serie A. Ma ai playoff ci sono mancati i giocatori migliori. E così abbiamo dovuto abbandonare un sogno. Ci riproveremo. Ma ogni anno le cose cambiano. Anche se siamo consapevoli di aver costruito una squadra che può giocarsela con tutti. E poi c’è una certezza”.

Il giocatore a cui è rimasto più legato da presidente del Modena? “Lo dipingevano come un ragazzo superficiale. E invece con noi è diventato grande. Sto parlando, ovviamente, di

Di che si tratta? “Voglio puntare su tutte le scuole per creare la nuova generazione di tifosi. A Modena già da due anni per esempio, i nostri calciatori, durante le ore di educazione fisica vanno nelle scuole, accompagnati da due funzionari di Polizia che spiegano le regole e i comportamenti. I nostri ragazzi cercano di spiegare ai giovani gli aspetti tecnici. E con loro c’è anche un nostro dirigente, che parla dei vari regolamenti. Poi c’è anche il Provveditorato agli Studi che ci dà una mano. Insomma, uno staff di livello. E c’è di più”. Cioè? “L’anno scorso abbiamo vinto il premio fair play, mandiamo la nostra mascotte a ricevere i tifosi ospiti e diamo loro il benvenuto. E poi abbiamo creato la commissione etica per un calcio più pulito. Vogliamo un calcio senza barriere, ci siamo quasi: la curva che veniva ritenuta pericolosa ha dato dimostrazione di grande civiltà e oggi la barriera non c’è più. Avete visto l’accoglienza per la partita contro il Bologna? I nostri tifosi hanno ringraziato i bolognesi per l’aiuto

foto Daniele Buffa/Image Sport

della società sono in attivo”.

Cioè? “Walter Novellino. Un grande allenatore, una garanzia”.

ANTONIO CALIENDO

Il Modena ha in cantiere diverse iniziative. “Sì. Approfittando del mio ruolo di presidente sto cercando di creare, attraverso le scuole, una nuova generazione di tifosi. Mi piacerebbe creare un rapporto diverso tra tifoseria e squadra. Ho un piano dettagliato, mi sto confrontando e prossimamente presenterò un progetto”.

WALTER NOVELLINO

che hanno dato quando c’è stato l’alluvione. Questo è sport. Questo è il calcio che vogliamo”.

per il futuro, un sogno per il presente…

Programmi e comportamenti da Serie A. Quando rivedremo il Modena nella massima serie? “Non ci si arriva dalla sera alla mattina, le cose vanno programmate. E magari quest’anno, chissà… Ce la giochiamo, come sempre. Rimane un sogno”. Un sogno che il Modena vuole coltivare, con calma e senza voli di fantasia. Programmazione, l’esperienza di Caliendo e la tenacia di Novellino. Per un Modena che sogna la Serie A. Un obiettivo

foto Matteo Gribaudi/Image Sport

Caliendo dal suo arrivo al Modena ad oggi qual è il bilancio? “Positivo. Abbiamo preso una società che aveva una perdita di quasi sei milioni all’anno. Oggi posso dire che i bilanci

al QPR volevo provarne un’altra. Ed eccomi a Modena. Con un rammarico

foto FDL

C

“” Dopo l’esperienza

foto FDL

Babacar. Visto che la mia attività è sempre stata quella di scoprire campioni, ho visto in Babacar un campione per il futuro. Un Balotelli più maturo”.

Passione, esperienza e un desiderio: sorprendere tutti e tornare nel calcio che conta… onti in ordine, bilanci in attivo e tanta voglia di crescere senza fare il passo più lungo della gamba. Il Modena sorride. E sorride anche il suo presidente, Antonio Caliendo. Un passato da agente di successo, un presente ed un futuro da proprietario di una squadra di calcio in Serie B che in futuro, chissà, potrebbe assaporare la Serie A. “Già ci siamo andati vicini”, confessa Caliendo in esclusiva a Calcio 2000. Il presidente della società emiliana racconta passato, presente e futuro della sua società. Una realtà calcistica che vuole tornare grande con il lavoro e la programmazione. Sotto la guida attenta di Walter Novellino, allenatore d’esperienza che in Emilia s’è rilanciato dopo qualche scelta sbagliata. Novellino è la scommessa di Caliendo, l’uomo chiamato a guidare il Modena verso grandi traguardi nel tempo.

foto Daniele Buffa/Image Sport

Caliendo sa come si vince, a Modena ringraziano

Pablo Granoche

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LEGA PRO PISA

di Sergio STANCO

LEGA PRO/ PISA

VOGLIA DI TORNARE

TUTTO PER SFONDARE

Due chiacchiere con Massimo Paci e Giuseppe Giovinco, due colonne del Pisa, una delle maggiori candidate alla promozione in B

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GIUSEPPE GIOVINCO

foto gentilmente concesse dal Pisachennel tv

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e giochi a Pisa non ti sembra di essere in Lega Pro” - afferma Massimo Paci, uno che di campi ne ha calcati tanti, anche in A. Ora, a 36 anni, Massimo ha scelto di scendere di categoria, ma solo sulla carta: “Pensavo di subire di più il salto, ma mi sono accorto subito che qui l’ambiente vale molto di più della categoria in cui giochiamo. Non dico che è da Serie A, ma di sicuro in Serie B ci sono tantissime squadre che hanno meno seguito di noi. I nostri tifosi sono eccezionali, c’è molto calore e il Pisa per la città è un’istituzione. Qui ci sono tutte le condizioni per fare bene”. E “fare bene” per una squadra come il Pisa significa solo una cosa: “Il nostro obiettivo è vincere il campionato – ci racconta Giuseppe Giovinco, fratello minore della “Formica Atomica” della Juventus – Non abbiamo paura di ammetterlo e non abbiamo intenzione di nasconderci. Siamo partiti un po’ lenti, abbiamo accusato qualche passaggio a vuoto, ma fortunatamente il campionato è lungo e c’è tempo per recuperare”. Massimo Paci sottoscrive: “Abbiamo perso punti da stupidi, ma può capitare, perché ci vuole un

po’ di assestamento. Il problema è che costruire una squadra per vincere, non significa poi vincere automaticamente. Il nostro potenziale, però, lo conoscia-

mo, così come sappiamo qual è il nostro obiettivo”. Per raggiungerlo la società ha costruito un gruppo di giovani interessantissimi e giocatori esperti che si sta piano piano amalgamando, ma che può diventare un mix esplosivo a processo concluso: “Devo dire che Morrone (ex Parma, ndr) è stato bravissimo in questo – continua Paci – Ha lavorato da capitano vero affinché le due anime del gruppo si incontrassero e si integrassero. Io sono più riservato, più per l’esempio sul campo, perché secondo me i giovani d’oggi hanno bisogno anche di questo: una volta noi eravamo molto più rispettosi degli “anziani”, nessuno si permetteva di mancare di rispetto ad un giocatore più esperto. Ora, invece, le parole se le porta via il vento. Loro sanno di aver acquisito importanza anche per le nuove regole, dunque a volte partono per la tangente (ride, ndr). Io credo che vedere gente come me, Morrone, Lisuzzo che ha giocato in Serie A, ma che ancora non molla nulla, dovrebbe insegnare loro qualcosa. Almeno spero (sorride, ndr)”. A quanto pare la ricetta funziona: “Si è creato un bel gruppo – conferma Giovinco, uno dei “ragazzi” del Pisa – Perché i più esperti, diciamo così,

sono “vecchi giovani”, soprattutto nella testa, per cui si sta bene insieme in campo e fuori e questo è importante”. “Vero – approva Paci – Ma questo non basta, perché poi serve anche altro. In campo non vince l’amicizia, ma una buona squadra”. Entrambi, comunque, hanno scelto Pisa convinti da un progetto ambizioso: “Quando il DS Vitale mi ha prospettato questa opportunità – ci racconta Paci – Non ho avuto dubbi. Avevo anche altre offerte, anche in Serie B, ma qui c’era un progetto intrigante e un ambiente caldo come quelli che piacciono a me”. “Io ero di proprietà dello Spezia – dice Giovinco – Ma a fine campionato, dopo il prestito al Viareggio, ho capito di non rientrare più nei piani della società. Il Pisa si era interessato a me fin dalla fine della scorsa stagione e per me è stato un onore poter venire a giocare qui, perché credo che si possa fare davvero bene. Diciamo che sono molto felice della scelta fatta, avrei solo voluto segnare qualche gol in più, ma spero di rifarmi nella seconda parte (ride, ndr)”. Già perché a 24 anni anche per Giuseppe è arrivato il momento di fare il grande salto: “Eh sì, speriamo di vincere il campionato – ha detto – Così mi avvicino a mio fratello

MASSIMO PACI

foto gentilmente concesse dal Pisachennel tv

SENZA PAURA

foto gentilmente concesse dal Pisachennel tv

Rosa ambiziosa, piazza calda, a Pisa si sogna in grande...

foto gentilmente concesse dal Pisachennel tv

Il Pisa non vede l’ora di tornare nel calcio che conta...

(ride, ndr). Finora non abbiamo neanche potuto parlare di calcio, perché siamo su due pianeti differenti (ride, ndr)”. Nel settore giovanile della Juve anche

Giuseppe era considerato un prospetto interessantissimo, ma poi ci ha messo un po’ a carburare. Lui se lo spiega così: “Credo che tutti mi abbiano sempre guardato come fossi il fratello di Sebastian e mai come Giuseppe – la sua idea – Le aspettative nei miei confronti erano sempre commisurate alla qualità di mio fratello. Col senno di poi, secondo me, avrei fatto meglio a fare un altro settore giovanile. Comunque, nessun problema, ora sono qui e voglio fare bene con questa maglia”. Come detto, l’obiettivo è uno e soltanto uno: “Ora come ora voglio conquistare la Serie B col Pisa – dice Giovinco – Poi è chiaro che il sogno di tutti, un giorno, è arrivare in Serie A”. Paci, che in A c’è già stato, a 36 anni guarda anche al futuro: “Ho due anni di contratto, il prossimo voglio farlo in B. Poi il mio sogno è fare l’allenatore e credo che prenderò quella strada. Ho avuto tanti tecnici bravi, ma i migliori sono stati Guidolin e Giampaolo che mi hanno insegnato cosa significhi veramente essere un professionista. Ne ho avuti tanti anche meno buoni e anche loro mi hanno insegnato qualcosa. Quello che non devo fare quando diventerò allenatore (ride, ndr)”.

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SERIE D LAVAGNESE

di Simone TONINATO

SERIE D/ LAVAGNESE

SEMPRE AD ALTI LIVELLI

BIANCONERI D’ASSALTO La rosa della Lavagnese è stata costruita con tanta saggezza...

foto ufficiostampa@seregnocalcio.it

TUTTI DIETRO ALLA LAVAGN…ESE

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avagna è un comune di dodicimila anime. Ironicamente si potrebbe dire che è anche la principale causa delle paura di qualsiasi studente: è qui che si estrae la pietra lavagna, su cui tanti “condannati” di ieri e di oggi hanno consumato il gessetto prima di tornare al proprio banco. Un comune, dicevamo, con uno stadio da ottocento posti, sul cui terreno sintetico giocano i bianconeri della U.S.D. Lavagnese 1919. E allora poco importa se i vicini di casa dell’Entella quest’anno fanno la B, qui si ha già una squadra per cui tifare, è quella allenata da Andrea Dagnino, impossessatosi della panchina ben sei stagioni fa e per nulla desideroso di lasciarla. Mister, partiamo dal suo primato. Duecento panchine con la stessa squadra non è cosa da tutti. Ci racconta questo record? “Non lo vedrei sotto l’aspetto del primato, piuttosto come un percorso di crescita personale. Ho fatto tutta la gavetta, tanto settore giovanile, poi promozione ed eccellenza. Partire dal basso per poi

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superiore farebbe piacere, non vedo perché cambiare”.

ANDREA DAGNINO

crescere pian piano è un’esperienza necessaria, la considero una vera e propria palestra”. Ma in questo calcio in cui tutto muta così rapidamente, lei non ha mai pensato di cambiare? “A dire la verità no. Fortunatamente in questi cinque anni (con questo in corso fanno sei, ndr) siamo sempre migliorati a livello di risultati, trovando gli stimoli giusti per migliorare ancora. Poi questo è un ambiente in cui si lavora talmente serenamente che non potrei chiedere di meglio. Anche se magari la categoria

Categoria superiore, magari da raggiungere proprio con questa Lavagnese. Arrivati in prossimità del giro di boa siete alti in classifica e potete giocarvela. Che obiettivo avete per il prosieguo del campionato? “Questa squadra può arrivare in alto, ma anche in basso, non lo sappiamo nemmeno noi. Abbiamo posto delle basi senza fare follie. Si potrebbe provare a fare il grande salto, ma senza farlo diventare un assillo. Dipende da tanti fattori, comprese fortuna, sfortuna ed eventuali infortuni. Penso che se non incapperemo in qualche imprevisto, potremmo anche riuscire a chiudere nelle posizioni di testa”. In vista del girone di ritorno, approfittando della finestra di mercato, avete preso Canu. Si aspetta qualche altro elemento per arricchire ulteriormente la rosa? “Se capiterà la possibilità di mettere a segno qualche colpo in grado di farci migliorare, la società lo farà. Abbiamo preso Canu che è un ’96 e dato via Rusca, un ’94 che aveva alle spalle già un

centinaio di presenze come centrale difensivo. Non ne usciamo certo ridimensionati, ma al momento non abbiamo fatto nessuna operazione che ci possa far fare il salto di qualità”. Ogni allenatore ha un suo credo calcistico ben preciso. A suo giudizio con quale modulo questa squadra può esprimersi al meglio? “È tanto tempo che lavoriamo sul 4-4-2, oramai lo conosciamo quasi alla perfezione. È un modulo che consente di essere molto compatti, soprattutto fuori casa, ed è facile assimilarne i meccanismi. Questa è una caratteristica fondamentale, considerando che ogni anno partiamo con tre o quattro giovani provenienti dal settore giovanile”. Il 4-4-2 per trovare maggior compattezza in trasferta, però a dare un occhio alle statistiche, in casa andate meglio che fuori. Come si spiega questa differenza di rendimento? “Negli ultimi mesi ho studiato molto questo aspetto e sono anche arrivato ad una mia conclusione. Ho notato che, percentualmente, incontriamo maggiori difficoltà quando giochiamo su campi in

MARIANESCHI

foto ufficiostampa Usd Lavagnese 1919

Dagnino alla guida di una squadra che punta in alto, nel segno del 4-4-2…

foto ufficiostampa Usd Lavagnese 1919

foto ufficiostampa Usd Lavagnese 1919

La Lavagnese disputa la Serie D dal lontano 2002/03...

erba naturale. Al contrario sul sintetico rendiamo meglio. Probabilmente la velocità di scorrimento del pallone sul manto erboso è la principale causa della diversità di rendimento tra casa e trasferta. Non è facile dimostrarlo, ma le statistiche dicono questo”. Prima di diventare allenatore è stato giocatore. Nel suo undici, chi incarna di più l’Andrea Dagnino calciatore? “Direi Boggiano. Si tratta di un giocatore con tanta qualità e allo stesso tempo difficile da collocare nel calcio moderno. Non è una punta, non è un esterno e non

è un centrocampista. Insomma, un calciatore che è allo stesso tempo difficile da mettere in campo ma con una qualità tale che è anche difficilissimo da lasciar fuori”. Come tecnico, invece, trae o ha tratto ispirazione da colleghi del presente o del passato? “Sotto l’aspetto teorico, vorrei ispirarmi a tecnici che adottano moduli spregiudicati, ma quando poi nella pratica devo schierare la squadra in campo, scelgo concretezza ed equilibrio. Tra gli allenatori attuali mi piace Montella per la fantasia e Conte, specie quando gioca su due linee anziché tre, per il tipo di calcio che propone: muscolare e concreto”. E che ci dice del rapporto con la tifoseria? “La nostra tifoseria è meravigliosa. Noi non abbiamo numeri incredibili come possono essere quelli di società più blasonate, ma in questi anni, in cui abbiamo anche passato dei momenti negativi, loro non ci hanno mai abbandonato. È uno dei fattori per cui in campo alle volte possiamo rendere più di squadre che magari tifoseria non ne hanno proprio”.

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I RE DEL MERCATO DAVIDE LIPPI

I RE DEL MERCATO / DAVIDE LIPPI

FIGLIO D’ARTE Davide è figlio del tecnico Marcello Lippi...

GRAZIE PAPà

Davide Lippi è figlio d’arte, ma non si è accontentato. Con determinazione e passione è riuscito a diventare un grande agente, grazie anche ai consigli del padre…

di Gaetano MOCCIARO foto Image SPORT

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I RE DEL MERCATO / DAVIDE LIPPI

I RE DEL MERCATO / DAVIDE LIPPI

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iamo nel cuore di Milano, Davide Lippi ci apre le porte della sua “Reset Group”, l’azienda fondata con Carlo Diana - “figura importantissima che mi ha insegnato tantissimo” - dichiara. Si occupano non solo di calcio, ma anche di marketing e comunicazione. Saltano all’occhio le riproduzioni dei propri calciatori in stile figurine Panini, le foto e i cimeli con tutti i più grandi del calcio, da Maradona a Messi, i sette biglietti delle partite di Germania 2006 esposti e una maglia di Gianluca Vialli autografata, lui che, come Lippi ammette: “E’ stato il mio idolo, che quando una volta era alla Samp e mi accarezzò il capo quasi non volevo più lavarmi i capelli”. Ci parla a 360° dai suoi inizi a come è nata la sua creatura. Passando per il ciclone Calciopoli. Chi è Davide Lippi, giovane rampante della comunicazione? “Nonostante abbia 37 anni ho avuto la fortuna-sfortuna di incominciare presto e lo devo a tante persone, in primis la mia famiglia: mia madre, mio padre, che è stato fondamentale in tutto quello che ho fatto”. Da figlio di un ex calciatore anche tu hai intrapreso da ragazzo quella strada? “Quando hai un padre così e giochi a pallone hai un sogno che è di quello di fare il calciatore. Io ebbi la sfortuna di avere un incidente stradale: mi ruppi tutte e due le gambe, i legamenti crociati. Comunque ripresi a 19 anni, feci un paio di campionati in Interregionale, vinsi il campionato con Camaiore e Viareggio. Ho fatto diverse nazionali giovanili e non ero un cattivo giocatore, anche se un po’ lento. Ero mezz’ala”. C’è qualche tuo ex compagno di squadra che poi è emerso? “Totò Di Natale giocava con me al Viareggio. Fece 14 gol, era il più bravo di tutti e devo dire che all’epoca ancora non aveva questa sensibilità. Non avrei mai pensato potesse diventare fino a questo punto. Lui è maturato un pochino in ritardo, ma ha fatto una grande carriera”. Poi come è andata a finire la tua car-

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LA FORZA DEI SOGNI Non si è mai accontentato e, alla fine, ha fatto centro...

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Mi misi a fare lo stage con la Juventus, lavoravo AL FIANCO Di Andrea Agnelli, al progetto stadio riera? “Con mio padre un giorno facemmo una camminata sul mare nella quale mentre si parlava a 360° di calcio, della vita e di tante cose. Mi disse che se avessi voluto avrei avuto la possibilità di seguire da vicino il mondo del calcio ma in maniera diversa dal campo, magari a livello manageriale . Così mi disse che potevo fare uno stage alla Juventus”. Aveva capito che avevi attitudini manageriali? “Quello non lo so, mi fece un discorso di vita che avevo condiviso. A 20 anni un

giovane che non studia e fa una carriera di C1-C2, che poi quella di un calciatore è breve, fece dire a mio padre: ‘Comincia a fare un salto diverso’. L’ho ascoltato, anche se per 7-8 mesi ce l’avevo con lui. Entrai alla Juventus e così incominciai a conoscere persone come Giraudo e Moggi che sono diventate fondamentali”. Di cosa ti occupavi alla Juve? “Mi misi a fare lo stage con la Juventus, lavoravo con Andrea Agnelli, avevamo le scrivanie vicine. Lavoravamo al progetto stadio”. Già all’epoca progetto stadio? “Giraudo guardava già avanti, era intorno il 1995-1996. D’altronde parliamo di mostri sacri”. Cos’altro ricordi di quell’esperienza alla Juve? “Ebbi la fortuna di conoscere Carlo Diana, il mio socio attuale, che era il responsabile marketing e per volontà di Giraudo mi fece da tutor. Ho fatto 2 anni al marketing, al commerciale. Ho fatto tante, ma tante fotocopie (ride). Però è stata un’esperienza formativa strepitosa, soprattutto per me che non avevo fatto l’università. E lavoravo di giorno e stu-

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TANTE ESPERIENZE Davide, prima di diventare “uomo mercato; ha sperimentato di tutto...

I RE DEL MERCATO / DAVIDE LIPPI

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Non sono nato per stare sotto qualcuno, sono del Leone, voglio prendere decisioni e ne parlai con mio padre diavo la sera, perché Giraudo mi aveva messo un professore che mi insegnava bilancio, marketing e comunicazione. Mi ricordo che venivo sempre redarguito da Giraudo perché appena potevo, dal piano terra di piazza Crimea, andavo al primo piano dove c’erano Moggi, Perinetti, Leonardi. Mi piaceva stare con loro. E Giraudo ogni volta mi richiamava. Per me aver avuto la fortuna di essere cresciuto senza fare niente di particolare, semplicemente stando zitto ma vicino a queste persone è stata un’università, un master, un tutto insieme di livello impagabile. Non esiste scuola che ti può dare tanto quanto quello che mi hanno dato queste persone in 10 anni. Tant’è che dopo questi 2 anni mi occupavo anche di fare i colloqui a chi avrebbe poi fatto dopo gli stage. Vedevo i laureandi e laureati in economia, ma mi rendevo conto che ne sapevo più di loro, proprio per l’esperienza formativa che avevo fatto”. Potevi restare a lungo alla Juve. E invece? “Mi resi conto che per me era difficile timbrare il cartellino. Passare dal campo alla scrivania era dura. Mi veniva da piangere perché io ero in giacca e cravatta e vedevo ragazzi che fino all’anno prima giocavano contro di me in Primavera. Dissi: in ufficio non ce la faccio più, devo lavorare nel pallone, io devo andare nei campi. E devo dire, ancora una volta sono stato fortunato perché ho avuto la fortuna di scegliere e di essere scelto dai top, nel senso che ho cominciato la mia carriera collaborando con Paco Casal e Gustavo Mascardi, due mostri sacri e così sono stato due mesi in Sudamerica. Poi ho avuto modo di iniziare con Alessandro Moggi, altra persona che mi ha dato questa opportunità. Co-

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minciai con lui quando ancora non aveva la GEA. Io collaboravo, non ero socio. Dopo qualche anno volevo crescere, non intendevo restare collaboratore e quindi avevo voglia di crescere e siccome alla GEA, che nel frattempo era stata costituita, non c’era possibilità già prima che scoppiò Calciopoli comunicai ad Alessandro che me ne sarei andato comunque. Volevo anche io fare l’imprenditore, non sono nato per stare sotto qualcuno, sono del Leone, voglio prendere decisioni e ne parlai con mio padre”. Cosa ti disse? “Era gennaio 2006 e mi disse: vedo che c’è un po’ di confusione, non è corretto che tu te ne vada. Aspetta che si risolvano i problemi, intanto comunica che tu te ne andrai. Pensavamo che i problemi che c’erano a gennaio fossero meno grossi, poi a maggio scoppiò il casino”. Come hai vissuto quel periodo? Eri indagato “Fu davvero tosta, difficile. Quando ti trovi in questi casini e non sai perché e per come è dura. C’erano 60-70 articoli ogni giorno e sembravamo dei mostri. Vivevo a Roma e per me, figlio dell’allenatore che ha fatto della Juve in una città storicamente anti-juventina, fu molto dura nella misura in cui ogni volta che uscivo di casa mi dicevano ogni cosa. Il mondiale fu fondamentale perché partii e stetti un mese via, d’altronde non era possibile restare a Roma”. Hai un ricordo particolare di quel momento? “Ricordo che nel mio palazzo c’erano dei ragazzini che giocavano a pallone tutti i giorni con me. Un giorno non li sentii, andai io a suonare. Il TG5 aveva appena detto che io e Alessandro Moggi eravamo stati indagati per associazione a delinquere e questi bambini mi dissero: “Non scendiamo. La televisione ha detto che sei cattivo”. E io ricordo che stetti seduto sulle scale di casa mia un’ora e mezzo chiedendomi: “cosa ho fatto?” Ero distrutto. Così decisi con mio padre di seguirlo ai mondiali in Germania. In quel momento mi sono accorto di chi ti è amico, chi ti ha usato. Vedi i calciatori che ti abbandonano. Oddo, Vantaggiato, Soncin decisero di non essere più seguiti da me. C’è poi chi ha continuato a seguirmi come Chiellini, Coda, Brocchi,

INSIEME A CHIELLINI

Davide sa come far rendere al meglio i propri testimonial...

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I RE DEL MERCATO / DAVIDE LIPPI

I RE DEL MERCATO / DAVIDE LIPPI

MERCATO, CHE PASSIONE

SEMPRE IN PRIMA FILA

Il calcio, da sempre, fa parte della sua vita...

Mannini, Potenza: gente che mi è stata vicino e che ringrazierò sempre”.

non avevo fatto nulla, cominciammo con la divisione calcio che è il mio mestiere”.

Non ti è mai passato in testa di mollare tutto? “Mai. Ed è lì che è nata l’idea di creare Reset Group. Lo dice proprio il nome, che indica la volontà di resettare tutto. Ero quindi molto amico di Carlo Diana, che era il mio tutor, chi mi ha insegnato alla Juve, mi ha dato libri di marketing sportivo da studiare, tra l’altro scritti da lui. Avevo un processo penale, non sapevo se fare ancora questo mestiere e allora ho detto: facciamo un’agenzia che ci permetta di fare un lavoro di marketing e comunicazione a 360 gradi. Poi, una volta risolti i problemi con la giustizia, perché ero tranquillo di risolverli perché

Come sono stati gli inizi? “I primi due anni duri, abbiamo aperto questa società in un piccolo ufficio di 40 metri quadrati a Roma. È stato un lavoro di grande costruzione, abbiamo avuto tante porte chiuse, perché in quegli anni c’era il processo. E devo dire che questo è uno step importante, perché se oggi ho questa cattiveria imprenditoriale è per quello che è successo. Io nella vita sono nato fortunato e quando è così non hai quella fame e cattiveria. Mio padre mi disse un giorno: qualsiasi cosa avessi fatto all’epoca avrei potuto bussare porta a porta a tutti gli italiani e sarebbe stato inutile, tanto non mi credevano.

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Perciò non mi rimaneva che lavorare a testa bassa e avere fiducia che si sarebbe risolto tutto, perché tanto la verità viene sempre a galla”. E a lavoro quando hanno iniziato a dire sì? “Quando vinci il processo ti scrivono un piccolo articolino, il mondo cambia. E qua è entrata un’altra persona fondamentale nella mia vita: Adriano Galliani. lo chiamo scherzosamente “zio”. Mi ha conosciuto anche grazie ad un grande amico, il proprietario di “Giannino” Lorenzo Tonetti. Mi ha apprezzato come persona in primis e mi ha dato la possibilità di stargli vicino, andavamo a pranzo e a cena spesso come succede tutt’oggi e mi ha aiutato ad acquisire sicurezza

Davide ci mostra la maglia di Brocchi...

conoscenza calcistica dal punto di vista manageriale, nonché credibilità. Ovviamente quando un personaggio del genere ti tiene vicino significa che non sei tanto una persona sbagliata ed in quel momento per me è stata fondamentale questa vicinanza, e per questo lo ringrazierò per sempre, perché ho imparato e sto imparando molto, anche solo una cena con certi personaggi vale oro colato”. In quei periodi sei stato anche socio di Briatore “Con la famiglia avevamo fatto l’investimento della discoteca Twiga a cui devo molto per le pubbliche relazioni. Grazie a Briatore che nel genere è il numero uno ho imparato molto. Ho fatto conoscere

la persona che sono, mi sono fatto conoscere e apprezzare. Devo dire che alla mia età crescere come mio padre, Moggi, Briatore, Galliani è stato un grande privilegio. Non mi prendo tanti meriti se non quello di essere stato in silenzio ad apprendere”. Torniamo un attimo indietro, dicevi che sei andato in Germania nel 2006 per staccare la spina. L’Italia vince la coppa del mondo. Ciò ha cambiato l’opinione pubblica nei tuoi riguardi? “Persone che due mesi prima parlano male, poi diventano amici. Il mondiale non ha cambiato noi, ma l’atteggiamento degli altri nei tuoi riguardi sì. Io mi sono tolto qualche sassolino dopo e negli anni seguenti. Finti amici che sono tornati

ma ho allontanato”. Mondiale 2010 invece, Marcello Lippi criticato. Anche te di conseguenza? Il caso Cassano fece scalpore. “Intanto la smentisco subito questa cosa che è stata solo mediatica. Non ho avuto alcun tipo di problema con Cassano, anzi. Gli ho dato una mano sul contratto con Diadora, abbiamo collaborato con lui e il suo agente Bozzo. Mai avuto problemi con lui. Addirittura Striscia la Notizia disse che ci eravamo picchiati, quando non abbiamo nemmeno discusso”. La brutta figura dell’Italia nel 2010 portò a capri espiatori. “Quando le cose non vanno bene ci sono questi pretesti. Mio padre è stato comun-

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I RE DEL MERCATO / DAVIDE LIPPI

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Rimpianti? Uno solo. Mi sento di non aver provato veramente a fare il calciatore. Avevo le qualità per fare una discreta carriera que un grande perché non è facile rifare un mondiale dopo quello che hai fatto e dopo 2 anni che sei stato fuori. Lui se n’era andato dalla Nazionale lo ha fatto per tutto quello che ci hanno fatto. Non è stato facile lasciare quella Nazionale, ma lui è stato coerente, un Uomo con la U maiuscola. Ha deciso di tornare, le cose non sono andate come volevamo, ma in conferenza stampa dopo l’ultima partita si prese tutte le responsabilità nonostante alla fine chi è che va in campo è la squadra, ma fa parte del gioco”. Tuo padre è reduce da una brillante esperienza in Cina: un mondo diverso “Questo mi inorgoglisce molto. Quando sono andato in Cina ho visto una persona che alla sua età metteva una voglia e una cattiveria fuori dalla norma. È vero, sembra facile dire: “con tutti i soldi che gli hanno dato…”. Ma andare a 20mila km dalla famiglia, senza necessità economiche impellenti, solo per la voglia di fare una nuova esperienza ti inorgoglisce. Poi, vederlo allenare con quell’umidità, sotto l’acqua con l’interprete strillando mi faceva venire la pelle d’oca. Mi dicevo: chi glielo fa fare? L’ho visto allenare come allenava la Juve e la Nazionale, con la stessa intensità e voglia. Potrebbe stare a casa tutta la vita a pescare e invece ha dimostrato una voglia e un’abnegazione che fa venir voglia di fare lo stesso”. Hai preso da tuo padre? “È un piccolo complimento che mi fanno le persone. Tanti mi dicono: potresti fare qualsiasi altra cosa anziché romperti le scatole sempre al telefono, sempre in viaggio. Io sto dove ho più lavoro. Sono fortunato perché faccio quello che mi piace fare a questi livelli a 35 anni”.

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I RE DEL MERCATO / DAVIDE LIPPI

IMPEGNATO NEL SOCIALE

In campo per la partita benefica contro la Sla “Tutti per Stefano Borgonovo”...

ED E’ SOLO L’INIZIO

Davide è giovane ed ha ancora tanti sogni da realizzare...

Sulla divisione calcio avrai qualcuno a cui sei legato di più? “Luca Pennacchi e Claudio Chiellini sono stati fondamentali nel progetto, si sono occupati della divisione giovani e abbiamo una serie di giocatori che io chiamo affettuosamente “i terribili”, perché sono di livello importante, come Caprari, Verre, Camporese, Bellomo, Galano, Sabelli, Iemmello, Spinazzola ma non solo. Difficile dire a chi sono più affezionato ma certo penso a Brocchi, Coda o Chiellini che sono con me da sempre. Vedere Giorgio, che hai conosciuto 16enne e vederlo capitano della Juve e della Nazionale è il massimo del massimo. Ma le soddisfazioni sono anche altre, come Berni che fa il migliore in campo e ti manda un messaggio dove ti ringrazia”. Come definiresti la tua vita? “Nella mia testa dicevo: ho rapporti, conoscenze tali che è come avere un mazzo di carte pieno di jolly che non sapevo come utilizzare, come far fruttare. La conoscenza di Carlo Diana, che è mio socio alla Reset, mi ha aiutato a creare questa struttura che mi dà modo di “giocare a carte”. Vedo così la mia vita. È una partita a carte a cui sto giocando”. Rimpianti? “Uno solo. Mi sento di non aver provato veramente a fare il calciatore. Avevo le qualità per fare una discreta carriera. Il ragionamento di mio padre è stato corretto e lo penso anche io, cioè di provarci fino a 23-24 anni. Poi se vedi che puoi fare un’altra carriera che ti può sistemare anziché fare una carriera di C1 o C2. Io ho smesso a 20, potevo andare avanti ancora un po’, però sottoscrivo ciò che ho fatto”.

Intervista di Gaetano Mocciaro

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I GIGANTI DEL CALCIO STEFANO TACCONI

I GIGANTI DEL CALCIO / STEFANO TACCONI

CLASSE PURISSIMA Grande portiere, ha vinto tutto con la Juventus...

SARACINESCA BIANCONERA

Tacconi è stato un’icona del calcio. Portiere eccezionale, sapeva fare la differenza, sia in campo che fuori…

di Antonio VITIELLO foto BALTI / Photoviews

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I GIGANTI DEL CALCIO / STEFANO TACCONI

I GIGANTI DEL CALCIO / STEFANO TACCONI

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rriva al bar del centro con il suo Bigol al guinzaglio, in un paesino nella provincia di Milano con meno di quattromila anime. “Si sta tranquilli qui a Cusago, ci vivo ormai da 20 anni”, esclama Stefano Tacconi appena seduti al tavolo. Jack intanto è molto vivace e scodinzola in cerca di carezze. Tacconi accende una sigaretta e dopo uno sguardo al cielo plumbeo inizia a sfogliare l’album dei ricordi insieme a noi.

ICONA BIANCONERA Ben 254 presenze in bianconero e anche la fascia di capitano...

Come nasce la passione per il calcio e in particolare per il ruolo di portiere? “Prima di tutto devi averlo nel sangue, poi è normale che va modificata e modellata questa passione. Col tempo migliorata e allenata, più giochi e più impari. Avevo due fratelli più grandi e avevano bisogno di sfogarsi e allora mettevano il pirla, che sarei io da bambino, davanti alla famosa saracinesca, da li è nato tutto. Qui sono cominciati i primi passi”. È vero che per fare il portiere bisogna avere un carattere particolare? “Devi avere personalità ed è normale che durante gli anni la migliori e la modifichi. Ogni portiere è diverso da un altro. Non si è mai uguali, si hanno proprie caratteristiche e un proprio modo di parare, uno stile e un comportamento differente. Alla fine tutti sono diversi tra loro”. Gli inizi sono sempre più duri, avresti mai immaginato di arrivare a vincere la Coppa dei Campioni con la Juve? “Quando ero bambino e vedevo le prime partite negli anni 60 sono diventato tifoso interista, perché fecero la finale nel 1964. Lì ho pensato che sarebbe stato meraviglioso un giorno vincere la Coppa Intercontinentale. All’epoca era una competizione molto più complicata, con gare di andata e ritorno contro le migliori, non come la formula odierna. Ho raggiunto questo sogno qualche decennio dopo. Ce l’ho fatta insomma”. Hai esordito in Serie A con l’Avellino, che ricordi hai di quell’esperienza? “È stato per me un lancio importante, perché l’anno prima ero in B con la Sanbenedettese, che tra l’altro retrocesse, e ad Avellino sono riuscito a modificare il mio carattere. Andavo a fare un campio-

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nato difficile con sedici squadre, ci davano già per spacciati, invece c’è stata la forza e un compattezza determinante tra squadra e tifosi che ci ha dato la forza di salvarci”. Invece con l’Inter non è andata bene, hai mai pensato a come sarebbe potuta andare con la maglia nerazzurra per il resto della carriera? “Nel ‘74 sono arrivato a Milano e ho fatto la Primavera, ho vinto anche la Coppa Italia, ero interista, per me era il massimo giocare all’Inter. In seguito mi hanno mandato a giocare alla Pro Patria, Livorno e Sanbenedettese, poi l’Avellino stesso. C’erano le comproprietà e io alla fine del terzo anno scelsi di rimanere ad Avellino, perché non mi andava di andare a fare la panchina a Bordon in Serie A. Li è stata anche la fortuna di Zenga, Walter mi deve tanto (ride)”. Quando la Juve ti ha chiamato per

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Noi eravamo la Juve che dominava il mondo. Le altre squadre erano grandi ma non vincevano niente, noi tutto quello che c’era sostituire un totem come Zoff eri preoccupato per la pesante eredità? “Avevo timore di non essere in grado di sostituirlo. Avevo 26 anni, ero migliora-

to e l’Avellino mi aveva aiutato moltissimo perché fare tre anni di Serie A in una piazza cosi calda ti fa crescere. Era fantastico andare alla Juve dove c’erano 8 campioni del mondo, i due migliori stranieri, in pratica l’unico pirla ero io”. Come fu l’impatto nell’ambiente bianconero? C’era scetticismo? “Inizialmente sì, i giornalisti ogni volta facevano il ballottaggio tra me e Bodini per chi dovesse giocare titolare. Dovevo fare qualcosa di importante per prendermi il posto. Ebbi la fortuna di parare un rigore a De Vecchi nel 7-1 con l’Ascoli e poi di vincere la Coppa delle Coppe e un campionato. L’anno dopo fu meno esaltante, perché feci 6 mesi di purgatorio e per tornare in pista ho dovuto nuovamente modificare qualcosa del mio carattere. Inizialmente mi ero abbattuto poi ho detto: “Adesso vi faccio vedere io”, e sono tornato tra i pali per la Coppa dei Campioni”.

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I GIGANTI DEL CALCIO / STEFANO TACCONI

I GIGANTI DEL CALCIO / STEFANO TACCONI

OPINIONISTA FICCANTE

ITALIA A SPRAZZI

Ovunque sia, Tacconi non ha peli sulla lingua, come in campo...

Per colpa di Galli e Zenga, ha avuto poco spazio in Azzurro...

Cosa ti ha insegnato Zoff? “Mi ha dato tranquillità. L’ho avuto come allenatore dei portieri subito dopo il suo ritiro, per me è stato un aiuto importante, anche per integrarmi meglio. Ho avuto la fortuna che la Juve perse la finale ad Atene, chissà cosa sarebbe successo se invece avesse vinto. Invece c’è stata una reazione importante e abbiamo trionfato in tutte le competizioni che potevamo giocare in tre anni”. È vero che anche Napoli e Roma ti volevano? “Il presidente dell’Avellino, Sibilia, all’epoca era solito vendere un giocatore a tre o quattro club diversi. Una volta era così, succedeva spesso. Era l’anno buono per i portieri perché smettevano tre

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grandi a Juve, Roma e Napoli e non si poteva perdere un treno così importante. Castellini smetteva con gli azzurri, Conti a Roma e Zoff alla Juve. C’à stato il giro con Bordon alla Samp, io alla Juve e Galli al Napoli. Abbiamo preso il treno mentre altri sono stati fermi”. Invece cosa successe con mister Maifredi a Genova? “E’ successo quello che doveva succedere. Alla Juve mi odiava, poi al Genoa me l’ha fatta pagare però alla fine ho sempre vinto io. Dopo di lui è arrivato Franco Scoglio e grazie a lui ho vinto la top portieri a 38 anni, prima che smettessi. Mi ha rigenerato il mitico Scoglio, mi ha ridato voglia di chiudere degnamente la carriera”.

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I GIGANTI DEL CALCIO / STEFANO TACCONI

CAMPIONE VERO La storia di Tacconi è degna di un libro...

I GIGANTI DEL CALCIO / STEFANO TACCONI

La tua Juve aveva una dimensione europea importante, ha vinto la Coppa Campioni nella stagione 1984/85, perché la Juve attuale non riesce a decollare in Europa? “Perché noi eravamo la Juve che dominava il mondo. Le altre squadre erano grandi, ma non vincevano niente, come il Barcellona o il Manchester United. Eravamo quelli che oggi possono essere il Bayern Monaco o il Real Madrid. Sono generazioni e investimenti che oggi hanno portato queste squadre a vincere. Il presidente Agnelli oggi pensa a spendere poco e vincere qualcosa, forse è meglio così rispetto allo United, per esempio, che oggi spende tanto ma non vince nulla”. Qual è stata la partita più bella della tua lunga carriera? “Ce ne sono talmente tante. Mi ricordo di più la finale della Coppa Intercontinentale quando parai due rigori. E’ normale che la senti più tua. Tutte le finali che ho fatto sono andate bene, a differenza di

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Gara più Bella? Mi ricordo di più la finale della Coppa Intercontinentale quando parai due rigori. È normale che la senti più tua Platini che le sbagliava tutte (ride). Comunque vincere l’Intercontinentale con la Juve vuol dire essere nella storia, vieni ricordato per sempre”. Prima Zoff, poi Tacconi e adesso Buffon, come mai la Juve ha una grande tradizione di portieri?

“Perché fa sempre un investimento a lungo termine. A parte Van der Sar gli altri hanno fatto lunghi cicli. Se pensi ai portieri storici della Juve ti vengono in mente Zoff, Tacconi, Peruzzi e Buffon, gli altri sono stati momentanei. In cento anni di storia sono stati solo 5-6 i portieri a durare a lungo, inoltre vestire il bianconero non è facile, vuol dire che non devi mai sbagliare. Anche se bisogna ammettere che oggi è più complicato perché ci sono tante telecamere e l’errore diventa subito di dominio pubblico, invece ai miei tempi era un po’ più facile mascherarlo”. Nella tua vita chi è stato l’insegnate di calcio per eccellenza che ti ha formato? “C’è stato Gino Merlo a Livorno, un portiere che ha giocato negli anni 40 arrivando secondo dietro il grande Torino. Lo chiamavano il portiere ballerino, perché mi portava a ballare il valzer. Secondo lui se non sapevi ballare non potevi fare il portiere. Per lui il tempo era

UN VINCENTE Di Antonio Vitiello

La sua bacheca è piena zeppa di trofei, tutti vinti da protagonista assoluto…

Quando si pensa ad una leggende della Juventus, tra i nomi illustri c’è anche quello di Stefano Tacconi, unico portiere in grado di vincere tutte le competizioni internazionali a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta. Il suo palmares è infarcito di trofei conquistati in Europa: Coppa dei Campioni, Coppa delle Coppe, Supercoppa, Coppa Intercontinentale e Coppa Uefa, oltre due campionati e una Coppa Italia. Quasi dieci anni con la casacca bianconera e un ciclo vincente da entrare diritti nella storia del club piemontese. Tacconi però nasce nel settore giovanile dell’Inter, dove conquista anche una Coppa Italia di categoria, poi inizia a fare esperienza per i campi minori come la Pro Patria, Livorno, Sanbenedettese e poi i tre anni di Avellino saranno fondamentali per la maturazione e l’esperienza in Serie A. Una fase cruciale sia per il giocatore che per la crescita umana. Così decide di non tornare in nerazzurro e aspettare la grande chance. La chiamata arriva infatti all’età di 26 anni, quando viene ceduto alla Vecchia Signora dal presidente Sibilia per sostituire un totem come Dino Zoff. Proprio lui lo accoglie alla Juve e diventa il suo preparatore di portieri. Zoff gli dà fiducia e sarà un fattore importante per superare lo scetticismo della piazza torinese. Inizia a fare parate decisive e a conquistare la fiducia di tutti, Stefano tra i pali vince e convince. Ha più volte sottolineato come tra i trofei conquistati e le tante finali disputate, la Coppa Intercontinentale del 1985 giocata contro l’Argentinos Juniors sia stata la gara più emozionante di tutte. Infatti in quella partita Tacconi parò due rigori e consegnò la coppa alla sua squadra. Negli ultimi anni della carriera alla Juve diventa anche il capitano. In Nazionale ha totalizzato solo sette presenze (due le reti subite), perché ha avuto sulla sua strada Giovanni Galli e Walter Zenga, di cui è stato il vice agli Europei del 1988 e ai Mondiali di Italia ‘90. Nel 1992 si trasferisce al Genoa dove non ha un gran rapporto con mister Luigi Maifredi, mentre l’anno seguente rinasce sotto la guida di Franco Scoglio e conquista anche una top portieri prima di chiudere la carriera. Nella vita privata Tacconi ha la grande passione per la cucina (possiede pure un diploma da cuoco) e recentemente ha scritto un libro “Sapori d’infanzia - ricette della mia Umbria”, proprio sulle pietanze della terra d’origine. Ha più volte tentato la carriera politica senza ottenere grandi risultati. È sposato con Laura Speranza da cui ha avuto quattro figli.

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I GIGANTI DEL CALCIO / STEFANO TACCONI

I GIGANTI DEL CALCIO / STEFANO TACCONI

INCUBO MARADONA Il gol su punizione di Diego lo perseguita ancora oggi...

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Trapattoni invece è stato il tipico allenatore padre-padrone, è stato importante perché mi ha dato fiducia e mi ha Fatto capire tante cose più sfruttati. Era fondamentale sfornare giovani perché soldi non c’erano. Basta guardare il Milan, l’Inter e la Juve stessa, sono venuti fuori tanti campioni. Oggi si punta solo a prendere il campione straniero e a vincere. Nonostante questo si vince poco, perché gli altri hanno investito molto di più”. Prima di salutarci ci mostra il suo libro. Immaginiamo una biografia visti i tanti successi in carriera invece ci esibisce un ricettario dal titolo “Sapori d’infanzia - ricette della mia Umbria”, con prefazione di Gianfranco Vissani. Parte del ricavato della vendita verrà devoluto a favore del progetto SOS Bambini in Uganda. “So cucinare molto bene, a casa se non lo faccio io…”. Scherzosamente ci saluta così.

fondamentale, l’1-2-3 che si ripete. Sono i tempi proprio del portiere nelle uscite, nelle parate e nei saltelli. E se lo vedevi quando allenava sembrava un ballerino. Lui mi ha dato proprio l’importanza del tempo”. Che messaggio si può lanciare ai giovani di oggi che puntano a diventare giocatori professionisti? “Di pensare a fare una carriera con sacrifici, di non imitare nessuno. Spesso si vuole imitare Balotelli, o in passato Maradona, possono essere grandi giocatori ma nella vita privata hanno lasciato a desiderare. Ci vuole passione in questo sport, e oggi i ragazzi non sanno cose

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vuol dire fare sacrifici”. C’è un episodio o un gesto che cancelleresti nel tuo passato? “Direi di no. Pensa che in tutta la mia carriera ho ricevuto solo tre ammonizioni. Sono stato abbastanza leale con tutti, mai espulso. Probabilmente con il gioco attuale sarei stato espulso qualche volta in più. Ci sono regole diverse e se provochi un rigore molte volte ti cacciano anche”.

pica e due alla Juventus. Abbiamo vinto due coppe inaspettate, perché avevamo una squadra non brillantissima, ma quell’anno il gruppo si è unito e abbiamo vinto contro il Milan di Van Basten e di Sacchi, la Coppa Italia contro i rossoneri, la Coppa Uefa contro la Fiorentina, dopo aver fatto un miracolo perché fuori casa non abbiamo mai subito gol in tutte le partite. Ho conquistato due coppe da capitano che mi mancavano per chiudere il ciclo”.

Chi è stato l’allenatore più importante? “Sicuramente Zoff perché l’ho avuto un anno come allenatore dei portieri, due anni allenatore della Nazionale Olim-

Trapattoni invece? “Trapattoni invece è stato il tipico allenatore padre-padrone, è stato importante perché mi ha dato fiducia e mi ha fatto

capire tante cose. Lui guardava più la vita che il calcio, ti seguiva più fuori che dentro il campo. Quando c’era lui ricordo che la Juve aveva una compattezza in dirigenza molto forte, Trapattoni aveva un grande rapporto con Boniperti”. C’è un giocatore con cui avresti voluto giocare? “Ho avuto il meglio del meglio in squadra. Facile pensare ai fuoriclasse della Juve, ma anche ad Avellino c’era gente arrabbiata che voleva combattere e vincere”. Magari avere in squadra Maradona… “Se Maradona fosse stato nella mia squadra non sarei stato famoso per il

gol che mi ha fatto. Sono 26 anni che lo fanno rivedere. Ho avuto la fortuna di giocare contro la gente più forte al mondo e averne tantissimi anche come compagni. Paragonare quei nomi lì alla gente che c’è oggi. Ora con chi giochi? Acquafresca e Acquacalda? (ride). Si fa fatica anche a dire le formazioni, perché si cambia troppo ogni anno e non ci sono le radici in squadra”. Hai vissuto l’epoca d’oro del calcio italiano, come si può tornare competitivi e uscire da questo momento buio? “Ci vogliono gli investimenti importanti e bisogna ripartire dai settori giovanili. Una volta erano migliori e molto

Intervista di Antonio Vitiello

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SPECIALE STORIA COPPA DEI CAMPIONI

SPECIALE COPPA DEI CAMPIONI/ 1972-1973

AD UN PASSO DAL SOGNO I bianconeri vengono battuti solo dal grande Ajax

NIENTE GLORIA PER LA JUVE I bianconeri si arrendono al fantastico Ajax di Cruyff che infila il tris in Coppa Campioni… di Gabriele PORRI

foto Agenzia Liverani

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club olandesi stanno vivendo un momento magico con la terza Coppa Campioni di fila, ma la nazionale infarcita di giocatori di Ajax e Feyenoord fallisce la qualificazione europea. Di contro, la Germania Ovest conquista il primo titolo continentale nel 1972, ma nessun club tedesco ha mai vinto il principale trofeo Continentale a loro riserva-

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to. Da qualche anno, però, in Bundesliga gioca una squadra destinata a dominare la scena: il Bayern Monaco. La squadra bavarese vince la Coppa delle Coppe nel 1967 e il campionato nel 1969, ma alla sua prima apparizione in Coppa Campioni usciva al primo turno contro il Saint-Étienne. Stavolta, con Udo Lattek in panchina, già vice di Helmut Schön in Nazionale e la maturazione di elementi come Franz Beckenbauer, Gerd Müller, Uli Hoeness e Sepp Maier, le premesse

sono ben diverse e il 7-1 totale inflitto al Galatasaray nel primo turno di Coppa è solo il primo passo. Ci sono trenta squadre al via, l’Ajax (come detentore) e lo Spartak Trnava (per ritiro del Glentoran) ottengono il passaggio diretto agli ottavi. Un fatto curioso accompagna la sfida tra Panathinaikos e CSKA Sofia, al momento dei rigori dopo 210’ di parità assoluta. Quando il Panathinaikos sbaglia il suo secondo rigore su 4, l’arbitro dichiara la

vittoria dei bulgari, che hanno un 3 su 3. In teoria la sfida avrebbe potuto ancora finire in parità: viene quindi accolto il ricorso dei greci, che ottengono la ripetizione della gara, che però perderanno 2-0 in casa. Il primo turno non prevede grandi sorprese, lo scontro più equilibrato è quello tra Marsiglia e Juventus, con i bianconeri reduci da un discusso scudetto vinto in volata su Torino e Milan. La squadra bianconera, però, è forte e può ambire a fare strada nella competizione europea. In estate arrivano dal Napoli gli esperti Zoff e Altafini, quest’ultimo campione d’Europa nel 1963 col Milan. Con i giovani protagonisti dello scudetto, i due nuovi esordiscono sul neutro di Lione, visto che l’OM ha il campo squalificato, così come è sospesa la star della squadra, lo slavo Josip Skoblar. Nonostante il buon avvio dei torinesi, la partita viene decisa da una deviazione di Salvadore allo spalle di Zoff, su azione da corner. Al ritorno un Bettega in grande spolvero, dopo l’infezione polmonare che lo aveva tenuto fuori dai campi per la seconda parte della stagione precedente, dà la vittoria ai bianconeri. Segna anche Haller poco prima del riposo e Causio può prendersi il lusso di sbagliare un rigore. Passano tutte le grandi, nel Real Madrid brilla la stella di un attaccante ventenne fortissimo in elevazione, nato con un’anomalia congenita ai reni, posti entrambi nello stesso lato. Si chiama Carlos Alonso, ma in campo ha il soprannome “Santillana” dal nome della cittadina in cui è nato, Santillana del Mar. Segna due delle quattro reti al Keflavik, e rimarrà una colonna delle Merengues per 18 anni, fino al ritiro. È suo anche il gol decisivo all’Arges di Pitesti, a 3’ dalla fine, che regala il passaggio ai quarti. Va avanti senza problemi il Bayern, che rifila 13 reti all’Omonia Nicosia in due partite entrambe giocate in Germania (a Cipro la situazione è instabile e si gioca ad Augusta). L’esordio dell’Ajax con i già citati bulgari del CSKA è agevole, mentre la Juve deve vedersela con il Magdeburgo. I campioni dell’Oberliga hanno giocatori di cui si sentirà molto parlare in futuro, come Sparwasser e Pommerenke. La Juve vince entrambe le gare di misura e può così trascorrere un inverno tranquillo, in attesa dei quarti di finale dove troverà gli ungheresi dello Ujpest, che hanno avuto la meglio sul blasonato Celtic.

Insieme a Dinamo Kiev e Trnava, vincitori rispettivamente su Gornik Zabrze e Anderlecht, passa il turno una squadra inglese passata in pochi anni dalla Second Division alla Coppa Campioni grazie al manager Nigel Clough: il Derby County, artefice di una vittoria incredibile, l’unica della sua storia, ottenuta con un punto solo di vantaggio sul trio Leeds, Liverpool e Manchester City. Dopo un primo turno agevole, il Derby raggiunge i quarti sconfiggendo il Benfica, con le sue stelle ormai al tramonto, incapace di rispondere al 3-0 subito al “Baseball Ground”. Ai quarti c’è uno scontro tra titani, ovvero i campioni in carica e l’emergente Bayern. L’andata è ad Amsterdam, i tedeschi si mettono tutti in difesa e l’Ajax nel primo tempo raccoglie solo un’occasione con Krol, che colpisce il palo. Nella ripresa la resistenza bavarese ha breve vita: Maier respinge corto un tiro di Schilscher e Haan realizza il tap-in. Lo stesso Haan segna di testa il terzo gol, prima c’è la rete di Mühren, chiude poi Cruyff a due minuti dalla fine. Il ritorno a Monaco, che il Bayern vince 2-1, passa alla storia per il rifiuto dello stesso “Papero d’oro” di giocare per le scarse condizioni, in contrasto anche col medico sociale. Cruyff salta anche tre partite di campionato, ma sarà di nuovo in campo per la semifinale. Anomalo l’andamento di Juventus-Ujpest. Felici del sorteggio, i bianconeri dopo un pari in bianco in casa, vanno subito sotto di due reti al ritorno. Sembrano spacciati, ma alla mezzora il veterano Altafini infila il portiere ungherese e nella ripresa, nonostante un problema a una gamba, ancora Altafini lancia Anastasi per il gol del pareggio. La Juve controlla fino al termine ed è in semifinale. Lì trova il Derby, che ha in Kevin Hector la sua arma vincente per ribaltare al “Baseball Ground” la sconfitta di misura di Trnava: sua la doppietta a cavallo dell’intervallo, gli uomini di Malatinsky non riescono a bissare la semifinale del 1969. Ultima semifinalista il sempreverde Real Madrid, che sconfigge con autorità la Dinamo Kiev, resistendo in casa dei sovietici e dominando al Bernabeu, con Santillana che avvia le danze. L’Ajax dunque, dopo il Bayern, trova un altro avversario di rango che pensa di poter passare il turno alzando le barricate ad Amsterdam. Il Real in effetti subisce

due reti, ma trova il gol su calcio piazzato di Pirri, che gli permetterebbe di passare anche solo con uno striminzito 1-0. Il risultato si verifica, ma per l’Ajax, con Gerry Mühren, che segna su una corta respinta dopo una sgroppata e un cross di Krol. L’Ajax è dunque in finale per la terza volta consecutiva e il suo avversario, che sia Juve o Derby, sarà all’esordio. Il Comunale è pienissimo e la Juve trova il vantaggio con Altafini, servito da Anastasi, ma dura solo tre minuti, col gol di Hector dopo uno scambio veloce con O’Hare. Nella ripresa Causio e Altafini fissano il risultato su un confortante 3-1, gli inglesi protestano, perché Haller, quel giorno in panchina, a inizio partita e all’intervallo confabula con l’arbitro Schulenburg, suo connazionale. A destare sconforto per gli inglesi, inoltre, sono le ammonizioni di McFarland e Gemmill, che salteranno il ritorno. Le speranze del County si spengono a inizio ripresa della gara casalinga, con il rigore mandato a lato da Hinton e il rosso a Davies. Finisce 0-0 e la Juve è in finale. Un anno dopo, il “Sunday Times” parla di un tentativo di corruzione juventino all’arbitro portoghese Marques Lobo, ma la persona che avrebbe avvicinato il direttore di gara è il faccendiere Deszo Szolti, il cui nome era già emerso per Inter-Liverpool del 1965. L’UEFA indaga e conclude, alla fine, che Szolti è un millantatore e la Juve è estranea ai fatti. Sul campo, prima della finale di Belgrado arriva lo scudetto numero 15 che i bianconeri festeggiano in ritiro mentre gli olandesi, col loro stile un po’ hippy, si avvicinano all’evento come sempre con mogli e fidanzate. Dall’Italia c’è un esodo verso Belgrado, ma i tanti tifosi bianconeri vedono la loro squadra subire un gol dopo soli 4’ per merito di Johnny Rep, l’ultimo arrivato. C’è ancora tutta la partita da giocare, la Juve ha già rimontato a Budapest. Tuttavia, è l’Ajax ad avvicinarsi al raddoppio con Mühren che manda fuori con Zoff fuori causa e poi ancora con Rep. Gli stessi giocatori dell’Ajax ammetteranno a fine gara di avere giocato male e che la Juventus ha perso una grande occasione. Dopo la storica tripletta nel ’72, per l’Ajax c’è il tris in Coppa Campioni e l’ennesimo titolo nazionale, ma l’imminente partenza dei suoi migliori uomini rischia di diventare una minaccia per il dominio biancorosso in Europa.

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SEMIFINALE 1

SEMIFINALE 2

FINALE

AJAX-REAL MADRID 2-1 (0-0)

JUVENTUS-DERBY COUNTY 3-1 (1-1)

AJAX-JUVENTUS 1-0 (1-0)

Mercoledì 11 aprile 1973, ore 20:15 AMSTERDAM (Stadio “Olympisch”) Arbitro: Rudolf GLÖCKNER (GDR) Spettatori: 53.234

Mercoledì 11 aprile 1973, ore 15:30 TORINO (Stadio “Comunale”) Arbitro: Gerhard SCHULENBURG (GER) Spettatori: 53.758

Mercoledì 30 maggio 1973, ore 20:30 BELGRADO (Stadio “Crvena Zvezda”) Arbitro: Milivoje GUGULOVIC (SRB) Spettatori: 89.484

AJAX: Heinz STUY, Heinz SCHILCHER [46’ Arnold MÜHREN], Wilhelmus SUURBIER, Horst BLANKENBURG, Bernardus HULSHOFF, Rudolf KROL, Arend HAAN, Johannes NEESKENS, Johannes REP, Johannes CRUYFF (cap.), Petrus KEIZER Commissario tecnico: Stefan KOVACS.

JUVENTUS: Dino ZOFF, Luciano SPINOSI, Gian Pietro MARCHETTI, Giuseppe FURINO, Francesco MORINI, Alessandro SALVADORE (cap.), Franco CAUSIO, Antonello CUCCUREDDU [63’ Helmut HALLER], Pietro ANASTASI, Fabio CAPELLO, José ALTAFINI Commissario tecnico: Cestmir VYCPALEK.

AJAX: Heinz STUY, Horst BLANKENBURG, Wilhelmus SUURBIER, Bernardus HULSHOFF, Rudolf KROL, Arend HAAN, Johannes NEESKENS, Johannes REP, Gerardus MÜHREN, Johannes CRUYFF (cap.), Petrus KEIZER Commissario tecnico: Stefan KOVACS.

DERBY COUNTY: Colin BOULTON, Ronald WEBSTER, David NISH, Alan DURBAN, Roy MC FARLAND (cap.), Colin TODD, John MC GOVERN, Kevin HECTOR, John O’HARE, Archibald GEMMILL, Stephen POWELL Commissario tecnico: Brian CLOUGH.

JUVENTUS: Dino ZOFF, Gian Pietro MARCHETTI, Silvio LONGOBUCCO, Giuseppe FURINO, Francesco MORINI, Alessandro SALVADORE (cap.), José ALTAFINI, Franco CAUSIO [73’ Antonello CUCCUREDDU], Pietro ANASTASI, Fabio CAPELLO, Roberto BETTEGA [63’ Helmut HALLER] Commissario tecnico: Cestmir VYCPALEK.

Reti: 67’ Bernardus HULSHOFF, 77’ Rudolf KROL, 83’ PIRRI. Ammoniti: 38’ Petrus KEIZER, 71’ AMANCIO.

Reti: 27’ José ALTAFINI, 30’ Kevin HECTOR, 65’ Franco CAUSIO, 84’ José ALTAFINI. Ammoniti: 24’ Archibald GEMMILL, 34’ Roy MC FARLAND, 39’ Giuseppe FURINO, 89’ Francesco MORINI. DERBY COUNTY-JUVENTUS 0-0 Mercoledì 25 aprile 1973, ore 18:30 DERBY (Stadio “Baseball Ground”) Arbitro: Francisco MARQUES LOBO (POR) Spettatori: 38.444

REAL MADRID-AJAX 0-1 (0-0)

AJAX: Heinz STUY, Wilhelmus SUURBIER, Horst BLANKENBURG, Bernardus HULSHOFF, Rudolf KROL, Johannes NEESKENS, Arend HAAN, Gerardus MÜHREN, Johannes REP [75’ Jesaia SWART], Johannes CRUYFF (cap.), Arnold MÜHREN Commissario tecnico: Stefan KOVACS. Rete: 49’ Gerardus MÜHREN. Ammonito: 5’ Johannes REP.

DERBY COUNTY: Colin BOULTON, Ronald WEBSTER, David NISH, Stephen POWELL [46’ Alan DURBAN], Peter DANIEL [70’ John SIMS], Colin TODD, John MC GOVERN, John O’HARE, Roger DAVIES, Kevin HECTOR, Alan HINTON Commissario tecnico: Brian CLOUGH. JUVENTUS: Dino ZOFF, Luciano SPINOSI, Gian Pietro MARCHETTI, Giuseppe FURINO, Francesco MORINI, Alessandro SALVADORE (cap.), Franco CAUSIO, Antonello CUCCUREDDU [67’ Silvio LONGOBUCCO], Pietro ANASTASI, Fabio CAPELLO, José ALTAFINI Commissario tecnico: Cestmir VYCPALEK. Ammoniti: 46’ Alessandro SALVADORE, 57’ Luciano SPINOSI, 76’ José ALTAFINI. Espulso: 64’ Roger DAVIES. Note: 57’ rigore sbagliato da Alan HINTON (fuori)

NOME COGNOME

foto Agenzia Liverani

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Johan Cruijff

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RITORNO

RITORNO

Mercoledì 25 aprile 1973, ore 20:30 MADRID (Stadio “Santiago Bernabeu”) Arbitro: Vital LORAUX (BEL) Spettatori: 95.000 REAL MADRID: Mariano GARCIA REMON, José Luis LOPEZ, Juan Carlos TOURIÑO, José Antonio GRANDE, Gregorio BENITO, Ignacio ZOCO, AMANCIO [67’ ANDRES], Antonio GONZALEZ [51’ Rafael Carlos GONZALEZ], PIRRI, Manuel VELAZQUEZ, Francisco AGUILAR Commissario tecnico: Miguel MUÑOZ.

Rete: 4’ Johannes REP. Ammonito: 66’ Giuseppe FURINO.

foto Agenzia Liverani

REAL MADRID: Mariano GARCIA REMON, José Luis LOPEZ, Juan Carlos TOURIÑO, José Antonio GRANDE, Gregorio BENITO, Ignacio ZOCO (cap.), AMANCIO, PIRRI, SANTILLANA, Manuel VELAZQUEZ, Francisco AGUILAR Commissario tecnico: Miguel MUÑOZ.

ANDATA

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SPECIALE COPPA DEI CAMPIONI/ 1972-1973

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ACCADDE A FEBBRAIO

di Paolo BARDELLI

ACCADDE A/ FEBBRAIO

IL RECORD DI SEBA

BALUARDO ROSSONERO Rossi quando difendeva i pali del Diavolo...

La striscia di imbattibilità più lunga appartiene a Rossi, portiere del Milan degli Invincibili…

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foto Liverani

è stata un’era in cui il calcio italiano dettava legge in Europa, la maggior parte dei lettori lo sapranno, ma questo dato con il passare del tempo assume i connotati di un tesoro da custodire e raccontare ai più giovani. Torniamo indietro di ben vent’anni, al febbraio del 1994. Domenica 27, 26esima giornata di campionato, Kolyvanov al 66esimo realizza il gol che fissa MilanFoggia sul definitivo 2-1. Quella rete non ha cambiato la storia della gara, ma ha fissato quella del calcio con un dato: 929 minuti, ecco per quanto tempo Sebastiano Rossi era riuscito a tenere immacolata la sua porta. E’ un Milan che corre spedito verso il terzo scudetto consecutivo, il 14esimo complessivo, l’Europa e il mondo sono ai piedi del Diavolo. Questa stagione infatti vedrà i rossoneri vincere anche la Champions League, quattro gol per umiliare il Barcellona. Per chiarirci le idee, questa la formazione in campo ad Atene dall’uno all’undici: Rossi, Tassotti, Panucci, Albertini, Galli, Maldini, Donadoni, Desailly, Boban, Savicevic, Massaro. E mancavano Costacurta e Capitan Baresi. Gli olandesi e lo scintillio dell’era Sacchi erano il passato, il presente aveva la faccia dura di Fabio Capello. Certamente meno spettacolare, ma forte di una solidità difensiva fuori dal comune, il Milan cambia volto, non cambia però il risultato. Ed eccoci tornati al punto di partenza, a quel record che 20 anni fa ha segnato un punto di riferimento per tutto il calcio italiano. UN RECORD IMBATTUTO - 19 dicembre 1993, San Siro, Massaro regola con un secco uno-due il Cagliari, al 37esimo

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Villa accorcia le distanze. Buffi intrecci del destino, il Cagliari a venti dal termine fa alzare dalla panchina un certo Allegri. Chi l’avrebbe detto che Max un giorno si sarebbe seduto sull’altra. Da questo momento in poi lo schiacciasassi rossonero non lascia neppure le briciole agli altri, squadra a immagine e somiglianza del suo profeta. Vittoria di misura a Reggio Emilia, grazie a un gol di Marcel Desailly, uomo simbolo della gestione Capello. I muscoli del francese, posti a schermo della difesa, erano le Colonne d’Ercole per gli avversari. Si tratta forse dell’uomo simbolo della gestione tattica targata Don Fabio. Tre zero a zero di fila, contro Udinese, Lecce e Genoa, Massaro e Papin riportano la vittoria ai rossoneri contro il Piacenza il 23 gennaio. Spesso utilizzato come “dodicesimo uomo”, il Daniele del gol decide anche il match contro l’Atalanta a Bergamo. Si apre una striscia di vittorie, due gol all’Olimpico contro la Roma, successi di misura su Cremonese e Lazio. Nove gare senza subire gol, Rossi è adesso a un passo dalla leggenda, parliamo di quel mito vivente chiamato Dino Zoff. Il portiere della Juventus nella stagione 1972/73 mantenne candida la sua porta per ben 903 minuti, Rossi lo supera contro il Foggia. Seba è in cima al mondo, “Avrei preferito andare avanti con il record, ma ancora una volta si è messo in mezzo Kolyvanov. Dedico il primato a mia mamma, alla mia fidanzata e alla Curva”. Sebastiano Rossi potrà togliersi ancora tante soddisfazioni, forse non il giocatore più forte di quel Milan stellare, ma certamente una sicurezza, che i vari Lehmann, Taibi e Pagotto non sono riusciti a scalfire. Più volte infatti il portierone romagnolo si è trovato a fronteggiare la concorrenza di qualche nuovo arrivato. Al Milan dal

1990 al 2002: cinque campionati vinti, 1 Champions e un’Intercontinentale, in mezzo tre successi in Supercoppa italiana e due in quella europea. E poi c’è quel record, a renderlo unico, un primato ancora da battere. DAL DIAVOLO ALL’INFERNO - In Nazionale Rossi non è riuscito a replicare le soddisfazioni rossonere, Arrigo Sacchi lo conosceva bene, ma gli ha concesso solo due convocazioni, senza mai mandarlo in campo, in questo caso i rivali si chiamavano Pagliuca, Marchegiani e Peruzzi. Difficili da scalzare. A frenare il portiere cesenate un temperamento bollente, nel ‘98 un colpo proibito rifilato a Bucchi gli costò cinque giornate di squalifica e quello fu di fatto l’epilogo della sua carriera ad alti livelli. Zaccheroni affidò la porta ad Abbiati, decisivo nella vittoria tricolore, da lì tanti dolori per Rossi. Una stagione a Perugia e poi una vita da affrontare senza i guanti addosso. La sua area ora sono le pagine di cronaca. Rossi è stato coinvolto in varie situazione spiacevoli, nel 2007 la denuncia per porto d’armi improprie, violenza privata e sequestro di persona, nel 2011 l’arresto per aver aggredito un maresciallo dei carabinieri in borghese. Patteggiamento e pena pecuniaria. Quest’estate il coinvolgimento in un’indagine relativa a un giro di cocaina. Il volo di Seba finisce qui, una parabola triste che ricorda quella del calcio italiano. Un tempo i più ricchi, i più forti, adesso sgomitiamo per un raggio di luce. In mezzo a tanti guai, quel record però nessuno l’ha ancora tolto a Seba. “Quando eravamo Re”, film dedicato al grande Mohammed Alì, un titolo che racconta bene la storia di un signor Rossi, tutto fuorché comune.

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DOVE SONO FINITI FRANCO SELVAGGI

di Stefano BORGI

DOVE SONO FINITI/ FRANCO SELVAGGI

MONDIALE IN SPAGNA

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Nel 1982 Selvaggi fu preferito da Bearzot al bomber Pruzzo...

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D A Y S” Calcio 2OOO

artiamo dal soprannome, ‘spadino’. Ricordate il telefilm “Happy Days”? Il protagonista si chiamava Fonzie, che aveva un cugino di nome Chachi, piccolo di statura, soprannominato guarda caso ‘spadino’. Franco Selvaggi, il suo nomignolo c’entra qualcosa con...? “Non credo proprio - ribatte - E non c’entra neppure la statura minuta, piuttosto che il piede piccolo. Al tempo si diceva avessi il 38, invece ho quasi il 40. Semmai c’entra che io, nonostante fossi una punta, giocassi più di fioretto che di sciabola. Da lì il soprannome “spadino”. L’ho sempre detto, sugli almanacchi c’era scritto: Franco Selvaggi, centravanti. Io però mi sentivo più rifinitore che attaccante. In Serie A ho realizzato 49 gol, ma sapesse quanti ne ho fatti fare...” Proseguiamo il parallelo con la sit-com americana.

convocava due giocatori per ruolo: Altobelli era l’alternativa a Graziani, io quella a Paolo Rossi. Il CT puntò tutto su Pablito, sul suo recupero, ed ebbe ragione. La rivalità con Pruzzo non esisteva, è un’invenzione dei giornali”.

Ci dica, i giorni del mondiale spagnolo possiamo definirli felici? Oppure... (la replica di Selvaggi è decisa, quasi infastidita): “E come li vuol chiamare? Solo perché rimasi sempre in tribuna? La stessa fine la fecero Baresi, Massaro, Vierchowod... Un fuoriclasse come Causio disputò appena un minuto, vogliamo dire che neppure lui è campione del mondo? Io mi sento campione come gli altri, ai mondiali si vince in 22, io contribuii allenandomi seriamente e cementando il gruppo. E sopportando Tardelli...”

Ricapitoliamo: esordio in A con la Ternana, due partite con la Roma, poi Taranto, Cagliari e Torino. Infine Udinese ed Inter. Qual è stato il Selvaggi migliore? “Quello di Cagliari, senza dubbio. Anche se a Taranto sono tuttora un idolo. A Roma mi infortunai subito, però gli anni di Cagliari sono indimenticabili. Devo ringraziare Gigi Riva che mi portò sull’isola. Con Gigi ho un rapporto fraterno, a lui devo tanto...”

Prego? “Bearzot mi mise in camera con Tardelli, che non dormiva mai. In camera, Marco, era come in campo: elettrico, sempre in movimento. Spesso di notte si svegliava e diceva... “Franco, ti va di fare due parole?” Anche solo per quello sono campione a pieno titolo”. (sorride, ndr.)

foto Agenzia Liverani

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Campione del mondo a Spagna ‘82 senza mai giocare, oggi è fuori dal calcio. Lo chiamavano ‘spadino’, come il cugino di Fonzie...

Togliamoci il dente: si dice che Bearzot non convocò Pruzzo perché troppo ingombrante, e chiamò lei perché era la riserva perfetta. “Chiariamo una volta per tutte. Bearzot

Torniamo alle origini. Come si fa ad emergere dalla profonda Basilicata? “Non è facile, specialmente ai miei tempi (Selvaggi è nativo di Pomarico, provincia di Matera ndr.) Non si vedeva un osservatore manco a pagarlo, le strutture non c’erano, si giocava solo per strada. Forse quello mi ha favorito la tecnica individuale”. Però lei ce l’ha fatta “La mia fortuna fu trasferirmi a Matera con la famiglia. Lì mi notò un giocatore della Ternana, tale Angelino Rosa, che mi fece fare un provino. Da quel giorno è partito tutto, avevo nemmeno 16 anni”.

Rimpianti? “No, nessuno. Sono felice di quello che ho fatto. Se proprio devo dire, forse in nazionale ho avuto poca fortuna. Ho disputato solo tre partite, potevo giocarne di più. Però ripeto, avevo davanti Paolo Rossi, non uno qualunque”. A proposito di Nazionale, lei per anni è stato l’unico rappresentante della Basilicata a vestire la maglia azzurra. Oggi invece... “Oggi c’è anche Simone Zaza. E sono felicissimo per lui. Conosco il padre, Simone è una persona vera, professionista

serissimo. In tanti dovrebbero prendere esempio dal suo spirito di sacrificio”. Domanda secca: è meglio il calcio di oggi o quello dei suoi tempi? “Innanzitutto una precisazione: il mio calcio non è preistoria. Io ho giocato con Maldini, con Mancini, roba di appena 25 anni fa. E poi me lo lasci dire: da una parte il calcio è migliorato, si gioca di più, si segna di più. Dall’altra, mancano i grandi fuoriclasse. Io ho giocato contro Zico e Maradona, nell’Inter ho avuto come compagno di squadra Rummenigge. Lo dico in senso tecnico, ma anche comportamentale. E non aggiungo altro”. Lei, nella Ternana, ha giocato con Carlo Petrini, uno dei grandi accusatori del nostro calcio. Doping, partite vendute, ci dica la sua... “Guardi, Petrini era un bravissimo ragazzo, però in tante cose ha esagerato. Io dico solo questo: chi non voleva prendere certe sostanze, non le prendeva. Punto. Io me ne sono sempre tenuto lontano, e nessun dottore mi ha mai obbligato”. Franco Selvaggi, oggi lei è fuori dalla mischia... “Da un anno non sono più capo degli osservatori del Cagliari. Gestisco un residence con la famiglia a Metaponto, ma non sono vecchio (Selvaggi è un classe ‘53 ndr.) posso fare ancora molto. Dopo aver smesso di giocare ho fatto per anni l’allenatore, purtroppo non andavo d’accordo con i direttori sportivi”. Ce la farà il calcio italiano a risollevarsi? “La sorprenderò, a me Tavecchio piace. Forse non si esprime come dovrebbe, ma le idee sono buone. E mi piace il direttore generale Michele Uva. Io ho fiducia. Per il resto dobbiamo ripartire dalla base, dobbiamo fare come la Germania che dopo il fallimento del 2006 è ripartita dalle fondamenta. Ed ora è di nuovo campione del mondo. L’Italia deve fare la stessa cosa, ed allora torneranno i giorni felici anche per noi”.

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LIGA SPAGNA

di Thomas SACCANI

foto Buffa/Image Sport

Ancelotti ha convinto tutti, a Madrid è una leggenda...

IL RE DEL MONDO

A

nno 1992. Un giovanissimo (33 anni) ed ambizioso Ancelotti decide di cimentarsi nel nuovo ruolo di allenatore. Inizia al fianco del suo maestro Sacchi. Gli fa da vice, per tre anni, in Nazionale. Impara molto e, nel 1995, è subito protagonista: panchina della Reggiana. Annata da incorniciare e promozione in Serie A. Fortuna? Assolutamente no. Va al Parma e scrive la storia con un secondo posto in campionato leggendario. Alla Juve fa benissimo, ma non vince. Ci riesce al Milan. Champions League e Coppa Italia nel

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2002/03. Due trofei che potrebbero già valere una carriera, ma per Carlo Magno (il suo soprannome in terra iberica) sono solo i primi due di una serie infinita. Vincer ovunque: Italia, Inghilterra, Francia e, ora, Spagna. Il recente Mondiale per Club portato a casa con il suo Real Madrid è, udite udite, il 31° titolo della sua carriera (sommando i successi da calciatore e da tecnico) e, ancora più incredibile, il quarto titolo “mondiale”. Dopo le due Coppe Intercontinentali da giocatori (allora si chiamava così), conquistate con il Milan nel 1989 e 1990, Carletto ci è riuscito altre due volte: nel

2007, alla guida del Milan, e adesso con il Real Madrid. Nessuno come lui. Tutti lo hanno celebrato all’indomani dell’ennesimo alloro, confermando come Ancelotti sia, al momento, il tecnico più rispettato e amato al mondo. Merito di un modo di porsi unico. Mai una parola sopra le righe, sempre l’incredibile capacità di portare serenità in qualsiasi spogliatoio, anche in quello, decisamente non semplice, del Real Madrid. Ovunque c’è Ancelotti, nessuno si lamenta, neanche le prime stelle che non giocano. Non a caso la dirigenza del Real Madrid ha deciso di rinnovargli il

CARLO ANCELOTTI

foto Gribaudi/Image Sport

Un altro Mondiale vinto, il quarto della carriera. Ora la bacheca dice 31 titoli, numeri da leggenda…

contratto sino al 2017 (manca solo l’ufficialità). Una vera e propria leggenda vivente che, fatto più unico che raro, ha la stima di tutti i colleghi. Speciali e profetiche le parole spese, circa un anno fa, da Guardiola, attraverso Marca, nei suoi confronti: “Ancelotti è uno degli allenatori migliori al mondo. Ha la grande capacità, grazie alla sua esperienza, di far rendere al meglio i giocatori e sono certo che vincerà molti titoli con il Real Madrid”. Detto, fatto. Dopo aver sbaragliato anche il record di vittorie consecutive del Barcellona di Rijkaard, stagione 2005/06 (guarda caso anche l’olandese è un fido scudiero di Sacchi), Ancelotti punta ad alzare l’asticella e provare qualcosa di davvero stupefacente, ossia tentare di bissare il successo dello scorso anno in Champions League. Dopo aver regalato ai blancos la tanto agognata Decima, il nativo di Reggiolo punta ad entrare nella storia in maniera ancor più prepotente. Con tre Champions League, come allenatore, già in bacheca (Milan, 2003 e 2007, e Real Madrid, lo scorso anno), il tecnico madridista condivide il record di successi nell’Europa che conta con il mitico Bob Paisley, storico allenatore del Liverpool, capace di vincere tre Coppa Campioni alla guida dei Reds (1977, 1978 e 1981). Superarlo sarebbe l’ennesima gioia di una carriera straordinaria vissuta sempre con la giusta serenità. Una serenità che ha contagiato tutti quanti, giocatori compresi. Cristiano Ronaldo, fuoriclasse e leader della squadra, non ha mai nascosto il suo piacere nel lavorare alle dipendenze del tecnico italiano: “Rispetto a Mourinho ci parlo di più, con Ancelotti: è una brava persona e un buon allenatore. Quest’anno le cose sono cambiate poco, la squadra è rimasta praticamente la stessa, si lavora in modo simile all’anno scorso, ma sento che ormai tutto è possibile”, le sue parole dopo il successo al Pallone d’Oro 2013. La conferma che non bisogna necessariamente essere dei caterpillar alla Mourinho per vincere. In un calcio vorticoso e che ingloba tutto, non è affatto male farsi cullare dalla semplice e beata tranquillità che emana Ancelotti, colui che, per la quarta volta, si è seduto sul tetto del mondo a guardare tutti gli altri sbraitare e dimenarsi per provare a fare altrettanto. Il problema è che di Ancelotti ne esiste solo uno in circolazione…

Moya, il portiere imbattuto L’Atletico è volato agli ottavi di Champions grazie anche al suo super numero uno…

Miguel Ángel Moyà

foto Buffa/Image Sport

IL TECNICO PERFETTO

Neanche la Juventus è riuscita a sfondare la sua rete. In tutte le gare della fase a gironi in cui è sceso in campo (cinque, non ha giocato solo in Grecia, dove i colchoneros hanno subito tre gol), Moya, estremo difensore dell’Atletico Madrid, ha mantenuto inviolata la sua porta. Una vera e propria saracinesca umana (ne sa qualcosa anche la Vecchia Signora). Classe 1984, il numero uno dei biancorossi sembra aver raggiunto l’apice della sua carriera. Cresciuto nelle giovanili del Maiorca, ha fatto i primi passi veri con il Valencia. L’esplosione è giunta con la casacca del Getafe (club con cui ha giocato dal 2011 al 2014). Poi, la scorsa estate, l’approdo alla corte di Simeone. Contratto triennale e circa tre milioni di euro al Getafe. In tanti, al momento del suo arrivo, avevano storto il naso. Ora, dopo i miracoli in Champions (e pure nella Liga), si sono dovuti ricredere. Spettacolare in campo, ma anche fuori dal terreno verde non scherza. Modello per una nota azienda d’abbigliamento, è attivissimo anche nel sociale. Moya non è il primo portiere che proviene dalle Isole Baleari. In passato ci sono stati altri numeri uno maiorchini come Mora, Caldentey, Gost, Molondro, Prats e Miki. Grandi portieri, tutti nati sulle Isole Baleari…

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PREMIER LEAGUE INGHILTERRA

di Luca Manes

foto Celeste/Image Sport

C’è stato un tempo in cui lo United sfornava fuoriclasse in casa propria...

DOVE SONO I GIOVANI?

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telli Neville. Ovvero i “ragazzini” della classe del 1992, l’anno del trionfo nella FA Youth Cup (l’equivalente della nostra Coppa Italia primavera) e dell’inizio dell’ascesa nel gotha del football internazionale, culminata nell’incredibile serata di Barcellona del 26 maggio 1999. Quando i ragazzini, ormai adulti, salirono sul tetto d’Europa. Certo, non era una novità che lo United arruolasse in prima squadra i campioncini delle giovanili. Basti citare i Busby Babes, immensi nella classe e nella sfortuna (furono decimati dal terribile inci-

David Beckham

foto Agenzia Liverani

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on si vince nulla con i ragazzini”. Parola di Alan Hansen, ex difensore del grande Liverpool degli anni Ottanta, che così nettamente si espresse durante una puntata della popolare trasmissione della BBC Match of the Day all’inizio della stagione 199596. Per la precisione dopo che un Manchester United infarcito di giovanissimi era stato preso a pallonate dall’Aston Villa. Come è andata a finire è storia nota: quei Red Devils vinsero il campionato grazie alle prodezze dei vari Giggs, Beckham, Scholes, Butt e dei fra-

Anche in tempi di vacche grasse, “foraggiate” da lucrosissimi contratti televisivi e da sponsorizzazioni milionarie, Alex Ferguson ha creduto ciecamente nel coltivare in casa i talenti del futuro. I fatti gli hanno dato ragione, non solo grazie all’incredibile “infornata” della classe del ‘92.

D’altronde non sempre le ciambelle escono con il buco. Di Beckham, Giggs e Scholes ne spuntano fuori pochi e nell’arco di qualche decennio. Non è da escludere che Cleverley e Welbeck possano fare la fine di Gillespie. Specialmente il primo, in realtà ancora di proprietà dello United (l’Aston Villa lo ha preso in prestito), sembra ormai destinato a un’aurea mediocritas in compagini di medio profilo. In parte differente il discorso per il secondo. Il potenziale c’è, manca la sagacia tattica e la capacità di giocare di più per la squadra. Certo, di recente con la Nazionale e con l’Arsenal ha segnato i goal che spesso sono mancati all’Old Trafford, ma aspetteremmo prima di promuoverlo al ruolo di campione.

Dopo il vorticoso calciomercato estivo, segnato da numerose cessioni, condotto la scorsa estate dal neo-manager Louis Van Gaal, in Inghilterra vari addetti ai lavori hanno criticato in maniera molto aspra la totale inversione di tendenza. Si comprano campioni già fatti, pagandoli fior di quattrini (al 31 agosto 196 milioni di euro), e si arriva addirittura a cedere i prodotti dell’Academy, hanno tuonato vari esperti del football d’oltre

Nel frattempo, sebbene costretto dall’incredibile serie di infortuni che si è abbattuta sui Red Devils, Van Gaal non ha esitato a buttare nella mischia Tyler Blackett, Paddy McNair e James Wilson, forse il più promettente del trio. Attaccante veloce dotato di buona tecnica, già segnalatosi per una doppietta all’esordio assoluto in Premier nel finale della scorsa stagione. Probabile che il buon James – che ha lo stesso cogno-

dente di Monaco del febbraio 1958), per comprendere quanto dalle parti dell’Old Trafford abbia sempre contato l’Academy.

Una volta lo United eccelleva nel forgiare campioncini, oggi c’è nostalgia per i tempi andati…

Manica. A giudicare dall’andamento di questo primo scorcio di stagione, hanno ragione, ma solo in parte. È indubbio che per ricostruire sulle macerie lasciate dalla gestione Moyes, sono stati assoldati pezzi pregiati del mercato internazionale del calibro di Falcao e Di Maria e si sia puntato su giovani cresciuti in altri vivai, quali Luke Shaw e Daley Blind, cedendo Danny Welbeck e Tom Cleverley, ovvero i migliori esponenti dell’Academy degli ultimi anni. “Ferguson non l’avrebbe mai fatto”, si è detto. Non è proprio così. Tanto per citare un esempio, Keith Gillespie, altro vincitore della FA Youth Cup del 1992, per le sue spiccate doti tecniche a inizio carriera veniva paragonato a Giggs. Eppure Ferguson se ne privò, mandandolo al Newcastle nell’affare che fece approdare Andy Cole in biancorosso. Il mago scozzese ci vide lungo, come gli accadeva quasi sempre, dal momento che Gillespie non tenne fede alle aspettative, mentre Cole contribuì in maniera decisiva a una lunga striscia di successi, compreso il Treble del 1999.

Ciao Ciao HenrY Il fuoriclasse dell’Arsenal, a 37 anni, ha detto basta. Lavorerà in TV...

Thierry Henry

foto Imago/Image Sport

C’ERANO UNA VOLTA I GIGGS...

Henry ha detto basta. A 37 anni suonati, Henry ha deciso di smettere con il calcio giocato. Dal 2010 (tranne una parentesi nell’amato l’Arsenal) protagonista nell’MLS con i NY Red Bulls, il bomber francese, come riportato da Sky Sport, inizierà una nuova avventura come telecronista sportivo. Campione del Mondo 1998, ha indossato tante maglie prestigiose, su tutte quella dell’Arsenal, il club con cui si è legato maggiormente. Visto, per pochi mesi, anche alla Juventus, nel lontano 1999 (tre gol in 20 presenze totali). Ci mancherai… me del papà di Ryan Giggs, che poi preferì tenere quello materno – troverà sempre più spazio nella rotazione del manager olandese, anche se va detto che per gli altri le speranze di ritagliarsi uno spazio in squadra potrebbero ridursi già dalla prossima estate. Si vocifera di fondi per 100 milioni di sterline a disposizione di Van Gaal per puntellare la difesa con gente del calibro di Godin, Clyne e Hummels. Insomma, l’Academy non sarà del tutto abbandonata, ma è difficile che fra qualche decennio sarà realizzato un documentario come quello uscito giusto un anno fa e dal titolo “The Class of ‘92”.

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BUNDESLIGA GERMANIA

di Flavio SIRNA

foto Icon Sport /Agenzia Aldo Liverani

I “Verdi” sono una delle sorprese della Bundes

I LUPI SON TORNATI Il Wolfsburg sta volando nel campionato tedesco. Merito di società e DI UN tecnico all’avanguardia...

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roppo forte il Bayern Monaco per sperare di poter ripetere l’exploit del 20082009, quando con il mago Felix Magath in panchina, i Lupi della Volkswagen riuscirono a conquistare il loro primo e sinora unico titolo della Bundesliga. Ma di sicuro l’edizione 2014-2015 della squadra della Bassa Sassonia, guidata da Dieter Hecking (meritatosi il salto di qualità grazie alle ottime stagioni sulle panchine di Hannover e Norimberga), è degna di attenzione per diversi motivi. Innanzitutto di classifica: con Robben e compagni che giocano un campionato a parte, i ‘Ver-

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di’ sono, sino a questo momento, i primi dell’altro campionato, ossia quello che vale il secondo posto e gli accessi matematici alla Champions League. Rispetto ai più quotati Bayer Leverkusen, Schalke 04 e Borussia Dortmund, stanno riuscendo ad esprimere maggiore spettacolo e concretezza in termini di risultati. Tutto merito della campagna acquisti ‘preventiva’ effettuata dalla dirigenza del Wolfsburg, che ha in Klaus Allofs la sua mente. Nella scorsa stagione, quando le cose non stavano andando per il verso giusto, anche se è infine arrivata la qualificazione alla fase a gironi dell’Europa League (nei sedicesimi di finale se

la dovranno vedere contro lo Sporting Lisbona) Allofs ha piazzato il colpo che ha fatto la differenza: nel gennaio del 2014 ha sborsato 22 milioni di euro per prelevare dal Chelsea il classe 1991 Kevin De Bruyne. Il belga, che con Mourinho faceva panchina, ha ritrovato in Germania il suo ambiente ideale (si era già espresso ad ottimi livelli con la maglia del Werder Brema). Sei mesi prima di milioni ne erano stati sborsati 13 per acquistare dal Bayern Monaco il centrocampista brasiliano Luiz Gustavo. Grazie a questo nell’ultima sessione estiva di mercato le casse hanno subito un lieve scossone solamente per fare arrivare Jo-

suha Guilavogui in prestito dall’Atletico Madrid e Sebastian Jung a titolo definitivo dall’Eintracht Francoforte. I giocatori sopra citati rappresentano una parte dell’undici titolare, che Hecking schiera con un 4-2-3-1. In porta ci si affida all’esperienza di Benaglio: classe 1983, dopo un periodo di appannamento, è tornato ad essere affidabile. In difesa domina l’esperienza di Naldo: il brasiliano classe 1982, che negli ultimi anni al Werder sembrava finito, ha saputo riprendersi. Non sempre eccelso in difesa, in fase offensiva è letale, come dimostrano le 4 segnature in Bundesliga. Un suo ex-compagno di squadra tra i biancoverdi, nonché alter-ego, è Aaron Hunt. Prelevato a parametro zero, il duttile Hunt rappresenta il jolly che Hecking utilizza ogniqualvolta c’è da tappare qualche falla. Tornando alla difesa, accanto a Naldo sta crescendo nel migliore dei modi il classe 1992 Robin Knoche, cresciuto nelle giovanili dei Lupi. Sulle fasce arriva il bello: a sinistra spopola

il rossocrociato Ricardo Rodriguez. Stantuffo inesauribile, buona tecnica individuale, freddezza nel calciare i rigori ed anche le punizioni, è forse la prima stella della squadra. Non a caso sulle sue tracce c’è mezza Europa (scadenza contratto giugno 2016, valutazione oltre i 20 milioni). A destra non è da meno Sebastian Jung: strappato al Francoforte per 3 milioni di euro, il classe 1991 continua nella sua crescita. Capitolo mediani: Luiz Gustavo-Guilavogui, polmoni inesauribili. Quest’ultimo rappresenta il giocatore perfetto per gli amanti del 4-3-1-2: capace sia di fungere da esterno che da seconda punta vera e propria, assicura qualità grazie a tecnica individuale e capacità di inserimento. Vierinha, expromessa del Porto, persosi per qualche tempo nei meandri del calcio greco con la maglia del Paok, è invece un esterno più puro, con maggiore propensione alle scorribande sulla fascia piuttosto che al goal o all’inserimento in area di rigore. In avanti il punto di riferimento è rappresentato dall’intramontabile Ivica Olic: classe 1979, il croato non ne vuole sapere di fermarsi, anzi in campo sgomita e macina chilometri, muovendosi continuamente su tutto il fronte d’attacco. Ogni tanto gli sta dando il cambio il redivivo danese Nicklas Bendtner o l’olandese ex-Heerenveen Bas Dost, che con la maglia dei Lupi ha perso un po’ il vizio del goal (ne aveva firmati 45 in 66 partite in Eredivisie). Ovviamente, come capita in tutte le buone famiglie, ci sono sempre le note dolenti. La prima, anche se parliamo di un classe 1994, è Maximilian Arnold. Avrebbe dovuto essere la stella della squadra, l’arrivo di De Bruyne e la cocciutaggine di Hecking, che quando lo utilizza lo posiziona come centrocampista centrale e non come trequartista, ne stanno frenando l’ascesa. Trova poco spazio, ma ne meriterebbe sicuramente di più, anche Daniel Caligiuri: l’ex-Friburgo paga forse il fatto di essere più punta e meno difensivo rispetto a Vieirinha. Lo dimostrano anche le tre reti messe a segno (una ogni 150 minuti in campo). Dalla descrizione appena effettuata e dalle capacità degli uomini a disposizione non ci sono dubbi quindi che il Wolfsburg abbia tutte le carte in regola, non solo per arrivare alla fine della stagione a piazzarsi per un posto in Champions League, ma anche per so-

SI RICOMINCIA DAL BRASILE Dal carcere all’esilio, nuova vita al San Paolo per l’ex-Bayern Monaco Breno…

foto Celeste/Image Sport

CHE BEL WOLFSBURG

BRENO

Era stato etichettato come uno dei migliori talenti del panorama calcistico internazionale, ma il difensore brasiliano Breno si è perso all’apice della sua carriera, quando era al Bayern, tra depressione e manie da piromane che lo hanno fatto finire dietro le sbarre. Nel 2012 è stato condannato a scontare in carcere 3 anni e 9 mesi per aver dato fuoco alla propria abitazione: uscito nell’agosto del 2013 per buona condotta, ha scontato il resto della pena in libertà vigilata. Secondo le ultime indiscrezioni pare, però, che adesso la pena sia stata sospesa, motivo per il quale Breno sarà totalmente libero, ma ad una condizione: dovrà lasciare la Germania e non potrà tornarvi per i prossimi tre anni. Un esilio vero e proprio per il centrale sudamericano (che la Lazio voleva acquistare poco prima che fosse condannato), che nel gennaio 2008 fu pagato ben 12 milioni dal Bayern al San Paolo. A 25 anni, Breno potrà così tornare nel suo Brasile e riabbracciare proprio il San Paolo, con cui aveva firmato un nuovo contratto nel 2012, prima di finire in carcere. Per lui, fortunatamente, c’è ancora tutto il tempo di iniziare una nuova vita, oltre che una nuova carriera calcistica. gnare di poter arrivare in fondo all’Europa League, che quest’anno vedrà il suo atto conclusivo svolgersi a Varsavia. E i Lupi, in Polonia, troverebbero sicuramente un clima a loro congeniale...

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LIGUE 1 FRANCIA

di Renato MAISANI

foto Agenzia Liverani

Il Monaco è senza soldi ma non senza idee...

SENZA SOLDI MA FELICI Il magnate Rybolovlev ha chiuso i rubinetti, tuttavia i monegaschi sono ancora vivi e speranzosi…

Q

ualche anno fa, proprio su queste pagine, parlavamo di una nuova realtà venuta fuori quasi dal nulla e pronta ad imporsi in fretta sul palcoscenico internazionale. Gli investimenti del magnate russo Dmitrij Rybolovlev sembravano ricalcare quelli dei vari Abramovich e Al-Khelaifi, ma – quasi improvvisamente - il tutto si è dissolto in fretta. O quasi. Il Monaco, infatti, dopo essere tornato in Ligue 1, ha dovuto fare i conti con un PSG stellare che, nell’anno del ritorno in massima serie, ha impedito ai monegaschi di conquistare il titolo.

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Poi l’inattesa smobilitazione. Attratti dai milioni e dalle ambizioni delle big d’Europa, le due stelle sulle quali il Monaco puntava per costruire la propria fortezza, vale a dire i colombiani Falcao e James Rodriguez, hanno lasciato Montecarlo e, in un attimo, ridimensionato le ambizioni del club. Partite le due stelle, infatti, anche il mercato in entrata è stato condizionato in negativo: i campioni di tutto il Mondo hanno interpretato le cessioni eccellenti come un ridimensionamento da parte della società biancorossa, rifiutando il trasferimento nel Principato.

UN ALTRO ANNO ZERO Partiti Falcao e Rodriguez e sollevato Claudio Ranieri dalla guida tecnica, quello del Monaco è un nuovo anno zero. In panchina arriva Leonardo Jardim, proveniente dallo Sporting Lisbona, ma l’organico non viene rafforzato a dovere. I due colombiani non vengono sostituiti, quello di Stekelenburg (per di più in prestito e chiamato al ruolo di dodicesimo) è l’unico ingaggio degno di nota, il verdetto della stampa transalpina è unanime: il Monaco tornerà ben presto a navigare nelle parti medio-basse della classifica.

Incantesimo svanito, insomma, un po’ come accaduto in Russia, all’Anzhi sedotto e abbandonato da un altro magnate russo, Kerimov, che dopo aver regalato al club stelle del calibro di Eto’o e Willian, ha poi abbandonato il proprio progetto smobilitando in quattro e quattr’otto. Il Monaco, però, forte ed orgoglioso dei suoi 90 anni di storia, ha saputo reagire in maniera inaspettata. Del resto, nel 2004, la squadra all’epoca guidata da Deschamps era stata in grado di raggiungere persino la finale di Champions League. E di milioni russi non ce n’era neanche l’ombra. Progettando e lavorando con cura ed attenzione, tutto è possibile. Venuta meno anche la pressione di una piazza mai troppo calda e adesso nemmeno più troppo esigente, il Monaco si è rimboccato le maniche e giocando con la leggerezza di chi non deve fronteggiare critiche ed interrogativi ad ogni passo falso, ha saputo pian piano ricreare se stesso. Senza lustrini né sensazionalismi,

SOGNARE SI PUO’ Dopo un avvio tutt’altro che semplice e due sconfitte rimediate nelle prime due gare di campionato, la reazione non è tardata ad arrivare. Gli exploit di Marsiglia e Lione, uniti all’indiscutibile forza devastante del PSG, non permettono al Monaco di lottare per il titolo, ma il rendimento della squadra guidata da Jardim è in costante miglioramento e la conquista di un posto nella prossima Champions League appare tutt’altro che utopico. A proposito di Champions, è proprio sul palcoscenico internazionale che il Monaco ha saputo dare il meglio di sé, sicuramente agevolato da un sorteggio parecchio fortunato per una squadra inserita nella quarta urna. Il Benfica come testa di serie, il Bayer Leverkusen e lo Zenit a completare un organico senza ‘cenerentole’ né corazzate. Alla fine, a testimonianza del regnante equilibrio, proprio il Benfica testa di serie ha concluso il Gruppo C all’ultimo posto, mentre il Monaco è riuscito ad ottenere persino il primo posto. Una fase di qualificazione quasi perfetta quella di Berbatov e compagni, praticamente imperforabili. Appena uno, infatti, è stato il goal subito nelle 6 gare del girone: nessuno ha saputo far meglio, né il ‘Galactico’ Real Madrid, né il Chelsea di Mourinho. In questo modo, le difficoltà in fase realizzativa sono state colmate e i 4 goal realizzati sono stati ampiamente sufficienti per conquistare qualificazione e primato. L’urna di Nyon, però, in occasione del sorteggio degli ottavi di finale non è stata generosa così come avvenuto nel sorteggio iniziale. Il Monaco, infatti, nonostante il proprio ‘status’ di testa di serie, è stato accoppiato all’Arsenal di Wenger, la più temuta tra le compagini inserite nell’urna delle seconde. Monaco che si presenta al doppio match da sfavorito quindi, ma che, ancora una volta, potrebbe riuscire a sfruttare a proprio vantaggio l’elemento sorpresa. Del resto, se è innegabile che il Monaco “versione 2014-2015” sia ridimensionato rispetto a quello ammirato in passato, è altrettanto vero che – nonostante ciò – a mister Jardim non manchino di certo i giocatori di spessore. Dagli affidabili Berbatov e Moutinho ai promettenti Bakayoko, Kondogbia

Ibra, ancora Milan? Lo svedese potrebbe chiudere la carriera ancora al Diavolo ma…

ZLATAN Ibrahimovic

foto Buffa/Image Sport

ma semplicemente attraverso il lavoro quotidiano.

IL CAPOLAVORO DI JARDIM

Parigi è già preoccupata. Una voce ha destabilizzato l’ambiente parigino. Ibrahimovic potrebbe lasciare il club dei principi. Destinazione? Ancora Milan. Ma non c’è fretta. Lo svedese si sente ancora in grande forma e vorrebbe giocarsi altre carte in maglia PSG (Champions in particolare). Tuttavia l’idea di tornare ad indossare la casacca rossonera non gli dispiacerebbe affatto. Tutti d’accordo? A Parigi sicuramente no. Ibra è un idolo assoluto a Parigi e nessuno vorrebbe vederlo andare via… Con 33 primavere sulle spalle, non è comunque che il popolo del Diavolo possa attendere all’infinito il ritorno di Zlatan… e Ocampos, passando per il portiere Subasic e i talenti dal sicuro avvenire Fabinho e, soprattutto, Yannick Ferreira-Carrasco, probabilmente il giovane più talentuoso dell’intera Ligue 1. E chissà che la ‘corazzata Monaco’ non venga costruita facendo leva sui giovani piuttosto che in sede di mercato...

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PHOTOGALLERY IL TIFO RACCONTA

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IL CALCIO DEI TIFOSI di Thomas SACCANI

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l bello del calcio è spesso raccolto in pochi attimi. Riuscire a fotografarli è un’arte e, soprattutto, il modo migliore per raccontare ciò che accade. Nulla avrebbe senso senza la presenza del pubblico. I tifosi sono l’essenza stessa del mondo del pallone, doveroso un tributo per raccontarne la vera passione…

CURVA SCIREA Juventus-Atletico Madrid 9.12.14 Champions League

ATALANTA-Palermo 21.12.14 SERIE A 16a giornata

CURVA FIESOLE FIORENTINA-Empoli 21.12.14 SERIE A 16a giornata

CURVA FIESOLE FIORENTINA-Juventus 5.12.14 SERIE A 14a giornata

Juventus-Atletico Madrid 9.12.14 Champions League

GENOA- Milan 7.12.14 Serie A 14a giornata

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PHOTOGALLERY / IL TIFO RACCONTA

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CURVA SUD MILAN-Napoli 14.12.14 Serie A 15a giornata

CURVA SUD ROMA-Milan 20.12.14 Serie A 15a giornata

CURVA SUD ROMA-Manchester City 10.12.14 Champions League

CURVA FIESOLE FIORENTINA-Empoli 21.12.14 SERIE A 16a giornata

CURVA SUD ROMA-Milan 20.12.14 Serie A 15a giornata

CURVA FIESOLE FIORENTINA-Empoli 21.12.14 SERIE A 16a giornata

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scovate da CARLETT Robinho

Pato

In Italia, a parte lo scudetto con Ibra, non ha mai convinto del tutto. In Brasile gli è tornato il sorriso. Eccolo felice a bordo piscina con alcuni amici

Che abbia cambiato sport e si sia dato alla nobile arte della pesca? Naaaaa…

Paloschi

Nesta

Periodo natalizio e allora ecco un estratto dalla cena di Natale del Chievo Verona che ci regala dal suo profilo instagram Paloschi

Bella immagine dei tre Campioni del mondo del 2006 in India. Matrix, Del Piero e Nesta, ancora tutti insieme.

Dani Alves

Boateng

Un romantico Dani Alves si appresta a lasciare Madrid senza suo fratello Neymar: ce lo dice mangiandosi le unghie

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Le foto che piacciono a me. Una bella immagine simpatica del Bayern Monaco alle prese con una pedalata molto particolare

Palladino

Del Piero

Ricca rappresentanza del Parma pronti a guardare X Factor tutti a casa di Palladino

Anche l’ex campione juventino è un amante delle sale giochi. Chissà se sarà abile come con il pallone?

Il DJ/Speaker di RTL 102.5 Carlo CARLETTO Nicoletti seguirà i profili Instagram e Twitter dei giocatori più importanti del pianeta Calcio e ci segnalerà le foto e i tweet più divertenti e particolari. Segnalate quelle che magari potrebbero sfuggirgli scrivendogli al suo profilo Instagram e Twitter: @carlettoweb



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