Calcio 2000 n.208

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Mensile | APRILE 2015 | N. 208 | Italia | Euro 3,90

Calcio 2OOO il mensile diretto da FABRIZIO PONCIROLI

Esclusiva Nicolás BURDISSO “Il Genoa tI potenzIa”

Esclusiva Letterio PINO Ulisse SAVINI aGentI In CReSCIta

Speciale VIAREGGIO 2015 talentI Da SeGUIRe

ESCLUSIVA Mauro ICARDI

BAD BOY A CHI ?

foto Agenzia Aldo Liverani

Speciale MAjOR LEAGUE SOccER la nUoVa MeCCa


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EDITORIALE di Fabrizio PONCIROLI

www.calcio2000.it

direttore@calcio2000.it

MA QUALE BAD BOY? CY CMY

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i sono sempre chiesto come mai il ribelle, il maledetto, sia tanto glorificato, soprattutto nel mondo sportivo. Da Tyson a Maradona, chi si fa beffe delle regole, è sempre il più coccolato. Ho provato a darmi una risposta intervistando Icardi, il ragazzo che, a detta di tutti, è l’irriverente per eccellenza del nostro calcio. Purtroppo non ho avuto risposta, per il fatto che Maurito, senza ombra di dubbio, è tutt’altro che un Bad Boy. Non ci credete? Beh, dopo aver letto l’intervista credo che cambierete opinione. Bad Boy o no, Icardi è destinato a scrivere pagine importanti nel calcio (sperando che l’Inter lo blindi il più a lungo possibile)… In fin dei conti, i bomber che la mettono in fondo alla rete con regolarità sono, da sempre, merce rara. Icardi, da questo punto di vista, è uno che la porta la vede, quindi va tutelato. Icardi ma non solo. In questo numero spazio al nuovo che avanza (speciale Viareggio) e ad una vecchia conoscenza della nostra Serie A come Burdisso, oltre a tante esclusive da gustarsi tutte d’un fiato. Veniamo ad altri argomenti, su tutti il “caos Parma”. Mi avete scritto in tanti, chiedendomi il mio pensiero in proposito. Eccolo. Noi tutti abbiamo un difetto: cerchiamo di curare il male quando ormai è, di fatto, allo stadio terminale. La prevenzione non fa parte del nostro modo di essere ed agire. Se arrivi a non avere neppure i soldi per pagare gli steward, significa che non avresti neanche dovuto avere la chance di essere al timone di un club di enorme prestigio come il Parma. Hanno fallito gli ex proprietari e chi è subentrato in corsa. A parole siamo tutti degli artisti, poi, però, contano i fatti e, in quell’arte, pochi eccedono. In Inghilterra, una situazione del genere non sarebbe mai accaduta. Lì, dove il calcio è un business, ci si informa sulla reale solvibilità di un potenziale acquirente (chiedete a Cellino). Non bastano quattro fideiussioni e un bel sorriso per condire su chi deve elargire gli ok definitivi. Non mi interessa di quello che accadrà in futuro, io so solamente che, a Parma, abbiamo, ancora una volta, dimostrato che il nostro è un calcio improvvisato. Dopo lo sfogo, parliamo del nostro futuro. Apprezzo che tanti di voi stanno cominciando a sottolineare qualche pregio della nuova rivista. Foto migliorate (e vere), interviste più curate, approfondimenti ben studiati, argomenti vari. E, tranquilli, sono al lavoro anche per trovare una soluzione ai problemi più urgenti, statistiche in primis. Colgo l’occasione anche per invitarvi a mandarmi ancor più proposte, così da decidere al meglio cosa fare in vista della prossima stagione. Prima di lasciarvi alla lettura, un proverbio a cui, ultimamente, penso di sovente, almeno quando mi viene in mente lo stato di salute, pessimo, del nostro calcio:

Mensile | APRILE 2015 | N. 208 | Italia | Euro 3,90

Calcio 2OOO il mensile diretto da FABRIZIO PONCIROLI

Esclusiva Nicolás BURDISSO “Il Genoa tI potenzIa”

Esclusiva Letterio PINO Ulisse SAVINI aGentI In CReSCIta

Speciale VIAREGGIO 2015 talentI Da SeGUIRe

Speciale MAjOR LEAGUE SOccER la nUoVa MeCCa

ESCLUSIVA Mauro ICARDI

BAD BOY A CHI ?

foto Agenzia Aldo Liverani

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N. 208 - APRILE 2015

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MAURO ICARDI

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“Quando, in questo mondo, un uomo ha qualcosa da dire, la difficoltà non sta nel fargliela dire, ma nell'impedirgli di dirla troppo spesso”. È di Bernard Shaw…

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sommario n.208

Anno 19 n. 4 APRILE 2015

6 La bocca del leone

Registrazione al Tribunale di Milano n.362 del 21/06/1997 - Iscritto al Registro Operatori di Comunicazione al n. 18246

di Fabrizio Ponciroli

8 INTERVISTA ESCLUSIVA

MAURO ICARDI di Fabrizio Ponciroli

20 INTERVISTA ESCLUSIVA

Nicolás Burdisso

8

di Giulia Borletto

30 SPECIALE VIAREGGIO 2015

CARNEVALE DI TALENTI di Carlo Tagliagambe

ARTISTI SU PUNIZIONE di Gabriele Cantella

20

Marco Conterio, Luca Bargellini, Cristina Guerri, Gaetano Mocciaro, Chiara Biondini, Simone Bernabei, Lorenzo Marucci

di Fabrizio Ponciroli

di Tommaso Maschio

52 LEGA PRO - PISA

di Pasquale Romano

54 Serie D - CIVITANOVESE

Hanno collaborato

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di Simone Toninato

56 I Re del Mercato pino & SAVINI

di Marco Conterio

66 I Giganti del Calcio

Roberto Pruzzo di Fabrizio Ponciroli

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League 1974/75

TC&C S.r.l.

Statistiche

L'impresa di ZEMAN

Redazione Calcio2000

di Stefano Borgi

82 DOVE SONO FINITI?

FRANCESCO CHIMENTI

44

di Stefano Borgi

CAMPIONATI STRANIERI 86 SPAGNA di Paolo Bardelli 88 INGHILTERRA di Luca Manes 90 GERMANIA di Flavio Sirna 92 FRANCIA di Renato Maisani

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Distribuzione

Pieroni S.r.l. via Carlo Cazzaniga, 19 20132 Milano Tel 02 25823176 Fax 02 25823324

www.calcio2000.it

98 SCOVATE da CARLETTO RTL IL PROSSIMO NUMERO sarà in edicola il 15 APRILE 2015

e-mail: media@calcio2000.it

Stampa

di Thomas Saccani

NUMERO CHIUSO IL 28 FEBBRAIO 2015

Contatti per la pubblicità: Tiber S.p.A. Via della Volta, 179 - 25124 Brescia (Italy) Tel. 030 3543439 Fax. 030349805

94 IL TIFO RACCONTA

Image Photo Agency (imagephotoagency.it), Federico De Luca, Balti/Photoviews, Ag. Liverani, Mascolo/Photoviews.

Realizzazione Grafica

di Gabriele Porri

80 ACCADDE A...

Sergio Stanco, Giulia Borletto, Gabriele Cantella, Pasquale Romano, Simone Toninato, Stefano Borgi, Gabriele Porri, Luca Manes, Renato Maisani, Flavio Sirna, Carletto RTL Thomas Saccani, Paolo Bardelli, Carlo Tagliagambe.

Fotografie

76 Storia Champions

Diretto da

Fabrizio Ponciroli

Redazione

Major League Soccer

50 SERIE B - VICENZA

TC&C srl Strada Setteponti Levante 114 52028 Terranuova Bracciolini (AR) Tel +39 055 9172741 Fax +39 055 9170872 Michele Criscitiello

44 SPECIALE

EDITORE

DIRETTORE RESPONSABILE

38 SPECIALE BOMBER

Calcio2OOO

Calcio2000 è parte del Network

66



LA BOCCA DEL LEONE di Fabrizio Ponciroli - foto Image Sport e Federico De Luca INTER IN FIDUCIA Caro direttore, stanno uscendo numeri davvero belli, complimenti. Sono un tifoso interista, ultimamente stiamo vivendo alti e bassi, e i risultati tardano ad arrivare, ma con questo non sto mettendo in discussione il lavoro del Mister Mancini, le volevo chiedere, a fine stagione riusciremo a portare a termine i nostri obiettivi, cioè riusciremo a qualificarci per la Champions? E se magari riuscissimo a portare a casa l'Europa League il lavoro di Mancini si potrebbe definire "eccellente"? Grazie mille, un saluto a tutta la redazione. Matteo Goldoni, mail firmata Ciao Matteo, sono felice di trovare tanto entusiasmo e notevole fiducia nelle tue parole… Credo che Mancini sia un eccellente tecnico e penso sia la persona che potrebbe davvero far fare il salto di qualità all’Inter. Il patron Thohir gli ha regalato giocatori importanti e il Mancio li sta facendo fruttare. Se dovesse vincere l’Europa League (me lo auguro da italiano) sarebbe da applaudire per anni. Penso anche che l’Europa League sia l’unico C

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modo per arrivare in Champions, almeno per quest’anno… CONSIGLI PREZIOSI Buongiorno Sig. Direttore, Sono un ragazzo di 17 anni ma leggo Calcio2000 da quando ho 10 anni. Prima di tutto sono un grande appassionato di questa rivista e la ringrazio di cuore perché porta avanti un giornale veramente molto valido. Ho notato molti cambiamenti però in questo Calcio2000 '2.0'. Ho letto di molti lettori che si aspettavano di più. Anche io un po' da lei pensavo facesse di più perché so che come me è appassionato di statistiche. Perché non ci sono più? I campionati esteri? Due facciate al massimo. Le interviste sono sempre magnifiche lo devo ammettere, però mi permetto di dirle che 98 pagine a me e a tutti gli altri lettori sembrano poche. Le foto sono bellissime è vero piacciono anche a me come a tutti, ma come molti lettori mi hanno riferito, sono troppe. Altri invece mi hanno un po' segnalato la troppa pubblicità presente. Volevo farle due domande, di interesse non di critica: 1) Come mai adesso Calcio2000 non

ha statistiche sui campionati, approfondimenti sui campionati esteri e ha solo 98 pagine? 2) È possibile fare l'abbonamento per la rivista? Per farlo dove dobbiamo rivolgerci? Con questo la saluto, volevo dirle che le mie non erano critiche ma solo delle domande fatte per migliorare il nostro/ suo giornale perché è l'unico che merita di essere letto e per questo dobbiamo dare il massimo. Complimenti e arrivederci direttore! Massimiliano, mail firmata Ciao Massimiliano, grazie per i preziosi consigli. Sai che io ascolto il parere di tutti… Allora, le statistiche sono un cruccio personale e, credimi, sto lavorando per trovare una soluzione. Credo che per l’inizio della prossima stagione una soluzione definitiva verrà trovata. Perché “solo” 98 pagine? Sono sincero, solo questioni di costi. Fosse per me lo farei di 150 pagine… Abbonamento altra opzione che stiamo valutando, non la escludo ma prima voglio risolvere altre problematiche più urgenti, vedi statistiche… Spero di essere stato esaustivo.

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Mensile | DICEMBRE 2014 | N. 204 | Italia | Euro 3,90

Calcio

N. 204 - DICEMBRE 2014

N. 207 - MARZO 2015

Mensile | MARZO 2015 | N. 207 | Italia | Euro 3,90

2OOO il mensile diretto da FABRIZIO PONCIROLI

Calcio 2OOO il mensile diretto da FABRIzIO PONCIROLI

Esclusiva Giuseppe IACHINI I VALORI PRIMA DI TUTTO

ESCLUSIVA

Simone ZAZA

TROPPI STRANIERI IN SERIE A

foto Federico De Luca

Calcio

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Speciale CALCIOMERCATO 2015 TUTTI I TRASFERIMENTI foto Federico De Luca

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Calcio

Calcio 2OOO

INCHIESTA

IL PREDESTINATO

roberto mancini

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Esclusiva Franco ZAVAGLIA L’UOMO CHE HA SCOPERTO TOTTI

Pag.18

Zdeněk Zeman

SIMONE ZAZA

Esclusiva Pietro Paolo VIRDIS IL SOMMELIER DEL CAMPO

Zdeněk ZEmAN “Poco spazio agli italiani”

EDIzIONE SPECIALE CON L’ALBUM ChAMPIONS LEAGUE 2014-15

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SPECIALE MILAN

“La Casa Rossonera”

GIUFFRIDA 50 GABRIELE I Re del Mercato

60

PAOLO DI CANIO I Giganti del Calcio


PER SCRIVERCI: media@calcio2000.it

SE NE VANNO TUTTI Direttore, dall’Italia se ne vanno tutti. Non ci sono più soldi e tutti se ne vanno dove i soldi invece non mancano, la verità è solo questa. Non potremmo mai tenere gente come Pogba, Higuain o gli altri campioni. Guardi Cuadrado, ce l’hanno soffiato in due giorni. È colpa dei presidenti che negli anni d’oro hanno sperperato senza pensare al futuro, hanno buttato via tutti i soldi che avevano e ora dobbiamo vedere gente come Podolski che è un ex giocatore o Essien, altro ex giocatore. Diciamola la verità caro direttore. Scusi lo sfogo ma le cose vanno dette per quello che sono… Filippo, mail firmata Alla faccia dello sfogo… Allora, andiamo con ordine Filippo. Che il nostro calcio (non solo, anche la nostra economia) sia in crisi non è una novità da tempo. Normale che, gente come Pogba ed Higuain siano obiettivi dei grandi club con disponibilità economiche importanti. Ma non condivido il ragionamento sul “passato”. I presidenti del passato hanno investito tanti soldi, proprio per farci godere gente come Ronaldo, Kakà, Zidane e via dicendo… È esattamente

JUAN CUADRADO

quello che stanno facendo i presidenti dei club europei importanti di oggi. A noi infastidisce perché, oggi, non abbiamo più i presidenti di una volta, tutto qui… Concordo sul fatto che stiano arrivando troppi giocatori desiderosi di rilanciarsi o in là con l’età. BONAZZOLI, CHE ERRORE Gentile Direttore, mi aiuti lei a capire, io non ci riesco. Noi (parlo dell’Inter) abbiamo un giocatore, tale Bonazzoli, che vince il Viareggio, viene eletto miglior giocatore del torneo ed è anche cannoniere del torneo e lo diamo via alla Sampdoria? Ma come ragioniamo? È pure italiano e noi lo diamo via? Mi scusi ma proprio io non capisco. Michele, mail firmata Eh, domanda spinosa… Provo a mettermi nei panni dell’Inter. Ho speso tanto durante il mercato invernale, mi servono soldi freschi ma non voglio cedere un big. La Sampdoria mi offre sette milioni per un giovane che, seppur bravo, da me faticherebbe a giocare con continuità. Lo lascio andare ma inserendo una clausola che

mi permette di ricomprarlo se dovesse sbocciare (a 12 milioni, quindi a cinque in più). È un rischio ma, onestamente, il ragionamento ci può anche stare. RISPOSTA SECCA Direttore, al volo: chi vince la Champions League e chi l’Europa League? Luca, mail firmata Al volo: Champions al Chelsea, Europa League all’Inter… RICEVIAMO & PUBBLICHIAMO Direttore, il massimo: Calcio2000, con cover Juventus, e Calciatori Panini!!! So che apprezzerà. Continui così, finalmente comincio a vedere una rivista con una sua dignità. Se mi rimette le statistiche, allora siamo a posto e magari qualche pagina in più... Comunque è sulla strada buona e glielo dice uno che non la perde dal numero 1! Severino, mail firmata Beh, caro Severino, direi che l’accoppiata è di quelle da prima pagina… Tra l’altro quell’album Panini è uno dei miei preferiti…

federico bonazzoli

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COPERTINA MAURO ICARDI

IL RAGAZZO DELL’HUMMER…

All’apparenza sembra un Bad Boy ma, nell’intimo, Icardi è tranquillo e rilassato, con una grande passione per il calcio (e non solo)…

di Fabrizio PONCIROLI foto Daniele MASCOLO e Mourad BALTI

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COPERTINA / MAURO ICARDI

ISTINTO DA BOMBER I numeri dicono che in pochi vedono la porta come Maurito...

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COPERTINA / MAURO ICARDI

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l giorno è giunto. Oggi siamo alla Pinetina, il cuore pulsante dell’Inter, per Icardi, l’anima dei nerazzurri di Mancini. Giornata impegnativa: shooting fotografico (griffato Nike) ed intervista. Come la prenderà quello che viene dipinto come il Bad Boy del nostro calcio? L’appuntamento è per le 12.30 e, primo segnale, Maurito si presenta puntuale come un orologio (una delle sue passioni, ne parleremo). Il look è stravagante, come si confà ad un “cattivo ragazzo”. L’auto con cui sfreccia all’interno della Pinetina pure, visto che parliamo della chiacchierata Bentley Ghost, una delle auto del parco Icardi (altra passione, parleremo pure di questo). Eppure, bastano 5’ nel pre shooting fotografico per comprendere che Icardi, del Bad Boy ha solo l’apparenza. La figlioletta Francesca non l’ha fatto dormire, appare provato ma, con totale professionalità, si mette a completa disposizione dei tanti presenti, non prima di aver salutato tutti (con impegno). Ma come? Icardi non doveva essere un ribelle? Lascio a voi il giudizio.. ALTRO CHE RIBELLE

Disciplinato e tranquillo, Icardi non ha grilli per la testa

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Eccolo qui il Bad Boy di cui tutti parlano… Eppure, osservandoti, non mi sembri poi tanto ribelle, vestiti a parte… “Ma sai, quello che dice la gente a me non interessa. Io penso solo alla mia vita, a fare quello che mi piace”. Ripercorrendo la tua vita, si nota che sei sempre stato in movimento. A nove anni via dall’Argentina per le Canarie, poi Barcellona, a seguire Genova e ora Milano… “Il primo spostamento, quello alle Canarie, l’ho vissuto come un gioco. I miei genitori hanno lasciato l’Argentina per lavoro e io e i miei fratelli li abbiamo seguiti come è normale che sia. Più difficile andare a Barcellona da solo. Non avevo la famiglia, quindi è stata dura, anche perché ero un ragazzino. A Genova sono andato tranquillo, ero abituato ed ero pronto a fare il calciatore…”. A proposito di calciatore, hai sempre pensato solo e solamente al pallone? “Sì, ho sempre voluto giocare a calcio, è quello che mi piaceva fare. Certo, non pensavo di arrivare a simili livelli. Da un giorno all’altro, mi sono ritrovato ad avere delle opportunità importanti che

ho saputo sfruttare”. Mai pensato di dedicarti completamente alla pesca subacquea, disciplina con cui ti diletti molto… “(Ride ndr) Ho iniziato a fare pesca subacquea quando ero alle Canarie. Un modo per divertirsi e mangiare del buon pesce, ma non ho mai pensato di farla diventare la mia professione”. Torniamo al Barcellona. Ci sei arrivato giovanissimo ma qualcosa non ha funzionato. I maligni dicono che hai litigato anche con un certo Guardiola… “No, con Guardiola non ho mai avuto problemi. Quando sono arrivato, è stato lui il primo ad accogliermi e a farmi sentire importante. Mi ha portato nel suo ufficio e mi ha parlato del Barcellona”. Che ricordo hai di Genova? I tifosi ti hanno amato tanto, prima di “scomunicarti” dopo il tuo passaggio all’Inter… “Guarda, ricordo che ero a Barcellona e, appena mi hanno detto dell’opportunità di andare a giocare in Italia, alla Sampdoria, ho subito pensato: ‘Questa è un’opportunità da sfruttare al meglio…’. Sapevo che a Genova potevo diventare un


COPERTINA / MAURO ICARDI

LA STELLA DELL'INTER Giorno dopo giorno, sta diventando l'arma in pi첫 dei nerazzurri

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COPERTINA / MAURO ICARDI

giocatore vero. Comunque è normale che, oggi, i tifosi della Sampdoria non mi amino. Ho segnato contro di loro con la maglia dell’Inter e ho anche esultato, quindi credo sia normale che non sia ben visto”. Passiamo all’Inter. Come è andata? “Il mio procuratore mi ha chiamato e mi ha detto che c’era l’Inter. Lui era contento, io anche... Onestamente non ci ho pensato un attimo…”. Non hai pensato al fatto che, per la prima volta in carriera, andavi a giocare in una città senza il mare? “Non c’è il mare, è vero ma c’è il lago… A dire il vero, all’inizio, con la mia famiglia e il mio procuratore, ci abbiamo scherzato molto ma, alla fine, ti abitui a vivere anche senza il mare…”. Hai perso il mare ma hai guadagnato dal punto di vista della moda… “Su questo non ci sono dubbi…”. E come va con il cibo? A Milano hai MACCHINE, MODA E...

Tanti hobbies ma, alla fine, il calcio è la grande passione...

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A Genova mangiavo bene ma non c’erano ristorantI argentini, qui a Milano c’è davvero di tutto scoperto qualche piatto interessante? “A Genova mangiavo bene ma non c’erano ristoranti argentini, qui a Milano c’è davvero di tutto. Sono felice perché mangio argentino…”. Cibo a posto e tu, come stai? “Io sto bene a Milano e penso che ci sia modo di migliorare ancora tanto”. Dove credi che tu possa migliorare ulteriormente?

“Beh, l’allenatore Mancini mi dice sempre che devo imparare a giocare più con la squadra, dialogare più con gli altri miei compagni e non stare solo in area di rigore ad aspettare la palla buona. Io ero abituato, ad esempio a Genova, a prendere le botte e a tenere alta la squadra, cercando di finalizzare il gioco. Ora il mio gioco sta cambiando…”. Visto che ne hai parlato, che rapporto hai con Mancini? “Un buon rapporto. A dire il vero, io ho sempre avuto buoni rapporti con tutti gli allenatori che ho avuto”. Tra i tuoi compagni c’è anche Juan Jesus, uno che ti ha fatto soffrire… “Sì, è vero… Quando giocavo alla Sampdoria, Juan Jesus è stato il difensore che mi ha fatto soffrire di più. Mi picchiava anche quando ero senza palla, un tormento continuo (Ride ndr). Ancora oggi scherzo spesso con lui con lui su questa cosa. Gli ricordo sempre che mi picchiava sempre…”.

IL KIT DI ICARDI

Per Calcio2000, Maurito ha indossato la nuova linea Nike Training... l calcio è sempre più fisico e richiede sempre maggiore preparazione atletica. Ciò comporta per i giocatori allenamenti atleticamente molto impegnativi e tanto lavoro con la palla quanto senza. Per questo Nike desidera con la linea Nike Training fornire il massimo supporto, la massima innovazione e la massima performance all’atleta anche durante le sedute atletiche. Ecco da dove nasce la Nike Revolution Jacket: una giacca adatta a qualsiasi condizione atmosferica che permette all’atleta di allenarsi in massima libertà e con il massimo comfort. Per consentire la massima agilità nei movimenti la giacca prende alcuni dettagli dalla collezioni Nike Golf. La giacca è composta da materiale in mesh assemblato in modo da rendere facili i movimenti e allo stesso tempo mantenere l’ideale temperatura del corpo. La sovrapposizione dei tessuti conferisce alla giacca un effetto luminoso.

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COPERTINA / MAURO ICARDI

“” Juan Jesus è il

SEMPRE IN GIOCO

L'amico agente sa bene quale sia il meglio per Maurito...

difensore che mi ha fatto soffrire di più. Mi picchiava anche quando ero senza palla All’Inter stai anche vivendo una pressione diversa rispetto a Genova. Come vivi le vigilie dei grandi big match? Sei uno che ci pensa per tutta la settimana? “No, non ci penso mai. Io sono tranquillo per tutta la settimana. Sono rilassato anche durante i minuti di riscaldamento allo stadio, sono sempre stato così”. E come vivi il post partita? “Beh, se vinciamo sono sicuramente più contento (Ride ndr)”. A dire il vero, anche in campo non perdi mai la calma… “Io sono sempre tranquillo, non mi agito mai in campo. Ho compagni più nervosi, a me viene più naturale pensare a giocare e basta”. Parliamo delle tue passioni extra calcio. Tutti sanno del tuo amore per le belle macchine, ma mi dici quale è stata la tua prima vera auto? “È stato l’Hummer color oro che ancora uso… Ho pensato di partire subito alla grande”. Ma nel futuro su che auto punterai? “Con la Rolls direi che ho già fatto un bel passo in avanti. Certamente ci sono delle auto che mi piacciono, vedremo… Sicuramente sarà una macchina strana”. Da dove arriva, invece, la passione per gli orologi? “Ho sempre pensato che un uomo, per essere elegante, debba avere al polso un orologio. Mi piace averlo addosso… Va di pari passo con la moda”. Parliamo di film… In quale ti sarebbe piaciuto essere il protagonista assoluto?

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COPERTINA / MAURO ICARDI

RECORD DI GOL

Stagione da mille e una notte per il bomber argentino...

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Ho ancora tre anni di contratto. Se rinnovo, allora la storia con l’Inter potrebbe essere Anche più lunga 14

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COPERTINA / MAURO ICARDI

NUMERI DA VERO BOMBER

TUTTI I GOL DI ICARDI CON L’INTER in serie a

Di Fabrizio Ponciroli

In Europa è il goleador più giovane ma c’è dell’altro… he fosse forte lo si sapeva da tempo. Non a caso, Don Balon, nel 2013, l’ha inserito tra i migliori giovani nati dopo il 1992. Inoltre, se per te si muove il Barcellona, non puoi essere scarso. Per fortuna dell’Italia, con i blaugrana, il rapporto non è andato benissimo. Bravo poi Tosi, ds della Sampdoria, a portarlo a Genova (2011). Pagato circa 400 mila euro, due anni e mezzo più tardi, va all’Inter, a conferma delle doti del ragazzo. Sceglie un numero di maglia impegnativo (il 9, in onore dell’idolo Batistuta) e va subito a segno contro la Juventus, mandando in delirio il popolo nerazzurro. Nel suo primo anno all’Inter mette a segno nove reti in campionato, giocando “solo” 23 gare. Quest’anno un ulteriore passo in avanti: segna 13 gol nelle prime 22 gare disputate in campionato (dati aggiornati al 15 febbraio, ndr), dimostrando una facilità nel concretizzare sotto porta da applausi. Un ruolino di marcia che lo porta ad essere il 13esimo cannoniere in Europa, il più giovane in assoluto, con i suoi 22 anni appena compiuti. Il nomignolo El Nino del Partido, da questo punto di vista, gli calza a pennello. Impressionante la sua crescita, tanto che, in tanti, si attendono una nuova chiamata in Nazionale. Ad oggi ha collezionato una sola presenza con l’Albiceleste (16 ottobre 2013, contro l’Uruguay) ma l’impressione è che ci saranno altre partite e altri gol…

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Partita

Stagione

N.gol

Minuti giocati

Inter-Juventus 1-1 Cagliari-Inter 1-1 Fiorentina-Inter 1-2 Inter-Atalanta 1-2 Inter-Bologna 2-2 Sampdoria-Inter 0-4 Inter-Lazio 4-1 Inter-Sassuolo 7-0 Cesena-Inter 0-1 Inter-Sampdoria 1-0 Inter-Verona 2-2 Inter-Udinese 1-2 Juventus-Inter 1-1 Inter-Genoa 3-1 Sassuolo-Inter 3-1 Inter-Palermo 3-0 Cagliari-Inter 1-2

2013/14 2013/14 2013/14 2013/14 2013/14 2013/14 2013/14 2014/15 2014/15 2014/15 2014/15 2014/15 2014/15 2014/15 2014/15 2014/15 2014/15

1 1 1 1 2 2 1 3 1 1 2 1 1 1 1 2 1

24 47 39 96 95 69 93 93 95 95 94 68 89 95 40 95 94

* dati aggiornati al 24/02/2015

LA CARRIERA DI ICARDI Stagione 2011-2012 2012-2013 2013-2014 2014-2015

Squadra Sampdoria Sampdoria Inter Inter

Campionato Comp Pres B 2 A 31 A 22 A 23

Reti 1 10 9 14

Coppa Italia Pres Reti 0 0 0 0 1 0 2 1

Europa League Pres Reti 0 0 0 0 0 0 7 4

Totale Pres Reti 2 1 31 10 23 9 32 19 * dati aggiornati al 24/02/2015

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COPERTINA / MAURO ICARDI

“Domanda difficile. Mi è piaciuto molto Jack Sparrow, soprattutto nel primo film de I Pirati dei Caraibi. L’avrò visto 20 volte, adoro quel film e quel personaggio…”. Per qualche tempo l’hai avuto qui all’Inter Jack Sparrow… “Vero, Osvaldo è uguale…”. Ora che hai quattro bambini in casa, sarà dura vedere dei film… “Vero ma hanno il tablet…”. Parliamo di Francesca, tua figlia. Immagino che il nome l’abbia scelto Wanda? “Guarda, a Wanda il nome Francesca piaceva tanto. Io prendevo tempo… Quando siamo andati dal Papa, abbiamo deciso, in onore proprio di Papa Francesco, di chiamarla Francesca. Pensa che a Wanda il nome piaceva talmente tanto che, nonostante una sua amica abbia chiamato sua figlia Francesca prima che nascesse nostra figlia, non l’ha voluto cambiare comunque”.

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Prima auto? È stato l’Hummer color oro che ancora uso… Ho pensato di partire subito alla grande Torniamo alla tua carriera. Che obiettivi hai a livello sportivo? “A me piace giocare a calcio, spero davvero di vincere tanti trofei”. Zanetti ha vinto una Champions (indico la foto davanti a noi che ritrae il Capitano mentre alza il trofeo del 2010)… “Eh, speriamo… Devi anche avere la fortuna di giocare in squadre che possono concorrere a certi livelli. Speriamo di riuscirci. Mi auguro, un giorno, di essere

ricordato come un giocatore che ha fatto cose importanti e, quindi, che abbia vinto trofei importanti”. Punti a vincere con la casacca dell’Inter nei prossimi anni? “Ho ancora tre anni di contratto. Se rinnovo, allora la storia con l’Inter potrebbe essere anche più lunga. Se non rinnoverò, comunque ho ancora tre anni di contratto”. Ci sarebbe anche l’Argentina per provare a vincere. La maglietta della Nazionale l’hai già indossata e, ricordiamolo, poteva essere anche di colore diverso (Icardi ha rifiutato di giocare per l’Italia)… “Sì potevo giocare con l’Italia ma, con tutto il rispetto, io mi sento argentino. Devo ringraziare l’Italia, è il Paese dove gioco e vivo ma, per me e la mia famiglia, era giusto giocare con l’Argentina. Per ora l’ho provata una sola volta, speriamo di tornarci presto…”. Mi dici un gol a cui sei particolarmen-

“HA L’ISTINTO DEL GOL” Di Fabrizio Ponciroli

Pruzzo, attaccante di razza, ha grande fiducia nel giovane bomber nerazzurro…

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l fiuto per il gol di Icardi è una di quelle doti che fanno la differenza, soprattutto se passi la tua vita, calcisticamente parlando, in area di rigore. Una qualità che Pruzzo, centravanti anni ’70 e ’80 di rara efficacia (ben 163 gol in Serie A, 106 con la casacca della Roma), conosce molto bene… Pruzzo, che ne pensa di Icardi? “è un giovane attaccante che si sta facendo notare. è uno che in area di rigore si fa sentire. I numeri sono dalla sua parte… Ha un grande istinto per il gol, non ci sono dubbi”. Crede che con un tecnico come Mancini possa crescere? “A differenza del Milan, mi pare che l’Inter, con Mancini, abbia una strada ben definita. All’Inter puntano tanto su Mancini, uno che sa come vincere e far rendere al meglio i giocatori che ha a disposizione. Icardi non potrà che migliorare, se seguirà i consigli di Mancini”. Farà mai cinque gol in una sola partita di Serie A come

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fece lei contro l’Avellino? “(Ride ndr) Quella è stata una partita particolare, di quelle che capitano quasi per caso… Per fortuna è capitata a me. Ancora oggi ne parlano tutti”. Come è cambiato il ruolo di attaccante rispetto ai suoi tempi? “Beh, si deve sempre segnare, no? Forse oggi si chiede più sacrificio in difesa ma, alla fine, quello che conta è mettere la palla in fondo alla rete”.


COPERTINA / MAURO ICARDI

ANNO DI GRAZIA

PUO' SOLO MIGLIORARE

Giovane e il meglio deve ancora arrivare...

Di Fabrizio Ponciroli

Icardi è uno dei tanti assi nati nel 1992, Uno dei migliori…

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aurito è venuto alla luce il 19 febbraio del 1992. Da poco 22enne, è uno dei migliori talenti in circolazione. Un anno, il 1992, decisamente fortunato per il “soccer”. Tantissimi i fuoriclasse che sono nati in questo miracolato anno. Recentemente, in Inghilterra, è stata stilata la miglior formazione dei nati nel 1992 e, nomi alla mano, si tratta di una squadra davvero eccezionale. Tra i pali Courtois, estremo difensore belga alla corte di Mourinho al Chelsea. Non si scherza neppure in difesa con Alaba, in forza al Bayern Monaco, De Vrij (sotto contratto con la Lazio), Philip Jones (Manchester United), Carvajal, scoperta di Ancelotti al Real Madrid. Non male neppure il centrocampo con i vari Wilshere (Arsenal), Koke (Atletico Madrid) e Verratti (l’italiano del PSG). In avanti spazio al tridente delle meraviglie formato da Neymar, asso del Barcellona, Icardi e Gotze (Bayern Monaco, in gol nell’ultima finale Mondiale). Nessun problema anche per allestire una panchina all’altezza dei titolari. Ter-Stegen, De Sciglio, Moreno, Lucas Moura, Isco, Lamella, Eriksen, Muniain, Bernard, Salah ed El Shaarawy bastano?

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COPERTINA / MAURO ICARDI

SULLA COVER DI CALCIO2000

foto Image Sport

Maurito mostra la nostra/vostra rivista preferita...

te legato… “A dire il vero ce ne sono due. Il primo è quello che ho segnato nel Derby della Lanterna, davvero indimenticabile. Era la mia prima da titolare con la Sampdoria. Poi quello che ho segnato, con

l’Inter, contro la Juventus. Ricordo che volevo fare gol contro i bianconeri. Lo dicevo anche al mio procuratore prima della gara: ‘Se entro, devo segnare…’. E così è stato. Segnare contro la Juventus, davanti a 80.000 persone, è stato pazzesco”. A proposito di San Siro, è ancora uno stadio che procura grandi emozioni? “Sicuramente, parliamo di uno stadio storico, non potrebbe essere altrimenti. Ricordo che, la mia prima a San Siro, da avversario, è stato incredibile”.

Intervista di Fabrizio Ponciroli

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Ho ancora una curiosità: ma c’è qualcosa che ti fa arrabbiare per davvero? “Io prendo la vita con calma, difficile che perda la pazienza”.

Lasciando stare l’alterco con i tifosi post Sassuolo, almeno in macchina sarai un po’ nervoso, no? “No, affatto. Se uno fa il gradasso, solitamente mi faccio da parte e lo lascio passare. Non voglio casini. Ecco, forse il non dormire. La mia bimba, appena nata, non dorme tantissimo e quello mi infastidisce (Ride ndr)”. Insomma, il look è aggressivo, i tatuaggi, come le auto e gli orologi, denotano una forte personalità ma, per favore, non chiamatelo Bad Boy… Icardi è soprattutto un ragazzo che ama giocare a calcio, la sua vera passione. Poi c’è il resto, tra cui il ruolo di padre, svolto in maniera premurosa, come ci confà ad un bravo ragazzo…


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INTERVISTA Nicolás Burdisso

L’ARGENTINO DEL GRIFONE

Dopo Inter e Roma, Burdisso sta facendo la differenza con la casacca del Genoa...

di Giulia BORLETTO foto Danilo VIGO

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INTERVISTa / Nicolรกs BURDISSO

LA FORZA DE EL LEON

Granitico difensore, guerriero con pochi eguali

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INTERVISTa / Nicolás BURDISSO

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ra il 2004 e un giovane difensore del Boca Juniors chiamato Nicolas Burdisso sbarca in Italia, a Milano, carico di sogni, aspettative e desideri. Non era un novellino, perché i cinque anni precedenti, Nicolas li aveva passati in prima squadra, tra i grandi del calcio argentino ed era riuscito a vincere come difficilmente a 18 anni ti può capitare: 2 campionati, 3 Coppe Libertadores e 2 Coppe Intercontinentali. La nostra chiacchierata a Pegli comincia proprio da lì, dal Sudamerica.

ha cominciato la seconda parte della sua carriera. Ora gioca nel Boca e gioca, sono contento di questo. Quell'anno l'ha comunque aiutato tantissimo, ma non so se lo rifarei perché è una sensazione un po' strana”. Però a giugno potresti raggiungerlo? “Lui andrà in scadenza col Boca, io in scadenza col Genoa. Adesso non voglio pensare a cosa accadrà, anche se è una delle tante possibilità che ho in testa. Io a differenza di tanti giocatori argentini ho giocato lì per 5 anni, dai 18 ai 23, ho giocato tanto in prima squadra e ho avuto la fortuna di vincere tanti trofei, quindi non sento il bisogno di tornare per fare quello che non sono riuscito a fare. Lamela ha fatto un anno in Argentina, poi è venuto subito in Italia, anche Osvaldo o Perotti e Tino Costa, lì non ci hanno mai giocato. Sono casi particolari”.

I tuoi genitori hanno origini italiane, che idea avevi dell'Italia da piccolo: sognavi di giocarci un giorno o di visitarla? “I miei nonni sono italiani, sono nati a Cuneo. Sono sempre stato curioso di conoscere l'Italia calcistica. Da piccolo guardavo il campionato italiano, eravamo quasi obbligati a seguirlo. Negli anni 80 per Maradona, negli anni 90 per Batistuta, Simeone, Veron, Zanetti, tutti giocatori che hanno fatto la storia di vari club e per noi era un rito vedere cosa facevano la domenica. I miei nonni vivevano in Argentina in maniera italiana e per questo volevo conoscerla. Mi piace la storia, la cultura, l'Italia in questo senso è unica al mondo”. A Roma hai giocato anche con tuo fratello, com'è stato dividere lo spogliatoio? Gli facevi da fratello maggiore anche lì? “È una sensazione strana, bellissima però è anche vero che le gioie erano per due così come i dispiaceri. Lui ha giocato pochissimo e io soffrivo per lui, anche se era un anno di crescita perché aveva solo 20 anni. Poi è tornato in Argentina dove

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Partiamo dal tuo paese d'origine, l'Argentina. Che ricordi hai di quegli anni? “Sono stati anni legati al calcio. Vengo da una famiglia che respira calcio, mio papà ha giocato in una squadra piccola. Abitavo in un paesino in mezzo alla campagna e giocare a calcio era la cosa più facile. Sono stato lì fino ai 15 anni, poi sono andato in città per fare un provino perché sentivo la vocazione, avevo bisogno di giocare per davvero”.

Nel 2004 quando sei arrivato in Italia e all'Inter, ti è capitata una cosa orribile, la malattia di tua figlia Angelica. Avevi solo 23 anni, come hai affrontato quel periodo? “In quel periodo ho lasciato da parte il calcio. Mi sono trovato davanti una situazione molto particolare, difficile. Ero da solo 6 mesi in Italia e non mi sentivo pronto ad affrontare una cosa così grande come la leucemia in un ospedale che non fosse nel mio Paese, da solo con mia moglie. Ho fatto la scelta che era più giusta, fermarmi per quei mesi e stare insieme a mia figlia. Ho trovato un presidente e una società che mi hanno dato sostegno, mi hanno lasciato la possibilità di mettere da parte il lavoro e ho avuto la fortuna di poterlo fare. Ho conosciuto tanta gente che non poteva smettere di lavorare, anzi devono continuare a farlo e per me avere questa opportunità è stata come una benedizione. Ho messo da parte anche la Nazionale e tutto il mondo calcio”. Cosa ti ha dato quel periodo? “Mi ha dato tantissimo questa brutta esperienza. Siamo cresciuti come famiglia. Ho conosciuto un mondo che nessuno immagina se non viene toccato. C'è tanta gente che lotta, che si aspetta una parola di sostegno. Non è la fine, anche se è la prima cosa che uno pensa. All'inizio vivi un periodo di lutto personale, ti chiedi perché ha toccato proprio te, poi


INTERVISTa / Nicolรกs BURDISSO

BANDIERA DEL GRIFONE Dal suo arrivo a Genova, Burdisso ha lasciato il segno...

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INTERVISTa / Nicolás BURDISSO

ANCHE TRE LIBERTADORES Nella bacheca di Burdisso tantissimi trofei prestigiosi

però decidi di reagire. 8 bambini su 10 guariscono completamente, com'è capitato a lei. Sono 10 anni che è capitato e dicono che dopo 5 sei completamente guarito, ti danno anche un diploma. Ora ha 12 anni e come genitore rimane il ricordo più che la paura. Ora lo racconto e mi sento quasi in obbligo farlo”. Tornare a giocare poi com'è stato? “Com'è stata tutta la mia carriera. Ho sempre lottato, ho dato il massimo. Era il 2005 e l'anno dopo ci sarebbe stato il Mondiale: io volevo esserci, quindi nei mesi accanto a mia figlia sono sempre rimasto in allenamento. Alla fine sono stato ricompensato. Avevo smesso a febbraio e ad ottobre sono tornato a giocare nell'Inter, ho ritrovato spazio e giocato tanto”. Il problema tra te e l'Inter poi è stato Josè Mourinho? “No al contrario, mi ha aiutato tanto. Ho ancora un bel rapporto con lui. È uno di quegli allenatori che ti porti dentro negli anni. L'ultimo anno ho giocato 30 partite ed è stato tanto, abbiamo vinto lo scudetto. Poi hanno preso un altro centrale

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“”

La carriera di un giocatore è una maratona, non una corsa dei 100 metri e ho pensato di cambiare. Volevo dimostrare il mio vero gioco, perché in 5 anni a Milano ho giocato come terzino, a centrocampo ma mai come centrale, che è il ruolo che prediligo. Anche se Mourinho non voleva andassi via, sono andato a Roma dove abbiamo lottato fino all'ultimo contro l'Inter per lo scudetto, perso all'ultima giornata”. Quando ti sei trasferito a Roma si diceva fosse passata la moda dei brasiliani: era cominciata quella degli argentini. È vero? “Più che altro è cominciata quando è arrivato Luis Enrique che ha portato Gago, Osvaldo, Lamela. Il primo anno ero l'unico argentino a differenza dell'Inter dove eravamo in tantissimi. Lì c'era uno spogliatoio internazionale, alla Roma ne ho trovato uno italiano e mi è piaciuto tantissimo”.

Nonostante la Roma avesse una grande squadra però, perché non ha vinto il campionato? “Il primo anno l'abbiamo perso all'ultima giornata. L'anno dopo avevamo una squadra ancora più forte, era l'anno in cui è andato via Ranieri, ma c'erano dei problemi in società. Erano gli anni del passaggio dall'era Sensi alla nuova proprietà americana e questo ha portato tanta confusione in squadra. A gennaio eravamo vicino al Milan, avanti in Coppa Italia e Champions, ma poi abbiamo iniziato a perdere 1, 2 partite, Ranieri si è dimesso ed è arrivato Montella, ma non abbiamo centrato comunque gli obiettivi europei. Abbiamo subito il cambio societario”. Perché i tifosi ti chiamavano “il Bandito”? “Credo che mi abbia chiamato così Ranieri. Essere visto in maniera negativa appena arrivi in una squadra è normale: o sei un fuoriclasse e fai ogni giorno un gol o se sei un difensore centrale devi guadagnarti la fiducia dei tifosi. Sono da 11 anni in Italia e non si può pensare di arrivare e dimostrare tutto subito. Io preferisco fare vedere le cose piano piano. La carriera di un giocatore è una maratona, non una corsa dei 100 metri.


INTERVISTa / Nicolás BURDISSO

Sia a Roma che qui a Genova ho avuto subito un buon feeling con la tifoseria e penso che loro si rivedano in me, io do tutto in campo. All'Inter l'avventura non è cominciata bene, poi ho giocato tanto in un ruolo che non era il mio e spesso mi sono distinto per episodi poco carini in campo come a Valencia. Sono stati comunque anni indimenticabili in cui ho vinto tanto. A Roma poi sono arrivato all'età giusta per esprimere il mio modo di fare calcio. I tifosi hanno visto uno che non voleva accontentarsi di fare panchina e prendere soldi”. Sei stato anche vicino alla Juventus, ti sarebbe piaciuta come esperienza? “Dopo aver giocato all'Inter e alla Roma è difficile andare in una squadra come la Juve. Non perché non puoi fare bene, ma devi avere un'identità come giocatore. Io non mi sento di essere un mercenario. Dopo 5 anni all'Inter, conoscendo la rivalità tra le due squadre e poi alla Roma, dove si guarda prima alla Lazio e poi alla Juve, non me la sono sentita. Tutti i giocatori del mondo vogliono giocarci, ma io parlo di sentimenti e di rispetto verso i tifosi”. Nel novembre 2011 però sei stato nuovamente messo a dura prova da

“” Conte è molto intelligente, credo che abbia preso molto da Luis Enrique

SGUARDO FIERO L'argentino si è sempre distinto, in campo e fuori

un brutto infortunio. Nei mesi di riabilitazione cosa ti passa per la testa? Voglia di smettere, paura, grinta. “Bisogna capire il momento in cui ti capita. Mi sono fatto male in uno dei momenti più belli della mia carriera, ero in Nazionale ed era una partita molto importante, giocavo titolare nella Roma. Dicevano che sarei stato fuori tutto un anno, alla fine sono rientrato nei mesi giusti. Non è stata colpa del ginocchio se poi non sono più tornato in Nazionale. È stato un episodio, te lo porti dietro, ma non è stato così negativo. Ognuno la prende alla sua maniera. In tutta la mia carriera mi sono capitate delle sfide e anche questa lo è stata: è stato un altro ostacolo da superare”.

Juventus si è ispirato al suo gioco? “Per noi giocatori è stato molto importante come allenatore, ha portato idee nuove nonostante non sia stato un innovatore. Basta vedere quante squadre nel 2011 cercavano di fare gioco partendo dal portiere: adesso al contrario, quasi tutte giocano partendo da dietro e sono poche quelle che lanciano. Una di queste in quella stagione è stata al Juve di Conte, che poi ha vinto lo Scudetto. Conte è molto intelligente, prende le cose migliori di molti altri colleghi e sono convinto che questo modo di giocare l'abbia preso da Luis Enrique. Lui non è stato fortunato comunque, è arrivato nel momento del cambiamento con gli americani, c'era uno spogliatoio nuovo, ne sono andati via 15 e arrivati altrettanti. Lui aveva una squadra non forte come quella di oggi. Una volta uno a Roma ha detto che la sua sfortuna era di essere 10 anni avanti agli altri, ma io credo sia più giusto pensare che fossimo noi 10 anni indietro”.

Che ricordo hai di Luis Enrique, mai troppo amato dai tifosi. È vero però che secondo te Antonio Conte nella

Dopo Zeman è arrivato Garcia. Ha davvero cambiato la mentalità della Roma?

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INTERVISTa / Nicolás BURDISSO

UNA SPLENDIDA CARRIERA Di Thomas Saccani

18 trofei in bacheca e ancora tanta voglia di far bene…

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uando ti chiamano El Leon non puoi essere uno qualunque. Burdisso, difensore classe 1981 in forza al Genoa, è sempre stato uno di quei giocatori che fa comodo a qualunque allenatore. Abile di testa, puntuale negli anticipi, con forza fisica e carattere, insomma un giocatore completo. Cresciuto nel Boca Juniors, club con cui ha vinto tantissimo (tre Coppa Libertadores, due scudetti e due Coppa Intercontinentale), nel 2004 approda in Italia, nell’Inter. Con i nerazzurri si impone come difensore di grande affidabilità. In cinque stagioni, disputa 140 gare e segna anche otto reti, portandosi a casa nove trofei, tra cui brillano quattro scudetti. Nel 2009 passa alla Roma dove resta per quattro anni e mezzo, collezionando 131 presenze, con sei reti all’attivo. Nel gennaio del 2014 si trasferisce a Genova, sponda rossoblù. Si conferma, in breve tempo, elemento importante, tanto che Gasperini ne fa uno dei perni della squadra. A quasi 34 anni, Burdisso resta un difensore di notevole classe, nonostante una bacheca ricchissima e ben 43 presenze (con due reti) in Nazionale (con cui ha vinto un Campionato Mondiale U20 e l’Oro olimpico ad Atene 2004).

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INTERVISTa / Nicolás BURDISSO

“”

Soprannome ‘Il Bandito’? Penso che arrivi dall’allenatore Ranieri…

ANCORA VOGLIA DI STUPIRE Clase 1981, al Genoa vuole dare ancora molto...

“Roma è una piazza difficilissima e sarà sempre la mentalità la cosa più difficile da cambiare di tutto l'ambiente. Nelle squadre del Nord, piccole o grandi che siano, non succede. Garcia è stato molto bravo e ha portato calma, equilibrio dopo aver perso la finale di Coppa Italia con la Lazio, dopo le contestazioni dell'estate. Ha fatto un bel gruppo e da lì abbiamo iniziato il campionato con 10 vittorie di fila. L'anno scorso ci voleva una cosa e lui l'ha portata, ora ci vogliono i fatti, ci vogliono le vittorie e lui credo abbia le capacità per farlo”. Veniamo al presente. Cosa ti ha convinto a sposare il progetto Genoa? “Sono stato convinto dalla piazza. Mi sono trovato per la prima volta a giocare davvero poco e il sabato avevo sempre questa sensazione del “gioco o non gioco?”. Volevo rischiare il tutto e per tutto per la mia carriera perché avevo e ho ancora voglia di giocare. È venuta fuori questa possibilità nel mercato di gennaio, un mercato molto difficile, perché le squadre che cercano sono in difficoltà e tu che sei in una grande squadra non vuoi andare in una che è in difficoltà. Ho avuto la sensazione però che fosse la scelta giusta, la piazza per un giocatore è fantastica. Ho fatto poi 4 mesi che non sono stati i miei migliori, dopo 10 anni tra Inter e Roma mi sono dovuto calare in una realtà comunque differente. Questo però mi ha fatto crescere. Quest'anno abbiamo una squadra competitiva, bella, forte, con tanti giovani e abbiamo tutto da guadagnare”.

foto Image Sport

Tu qui stai vivendo una specie di seconda giovinezza. Merito tuo o di Gasperini? “Merito di tutti. Questa piazza ti potenzia, io ho la mentalità per farlo ma il contorno ti aiuta, ti aiuta ad esprimere il massimo sempre. Era quello di cui avevo bisogno per non crollare in basso.

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INTERVISTa / Nicolás BURDISSO

IL CALCIO, SEMPRE Burdisso si vede, tra 10 anni, ancora nel mondo del pallone

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Genoa ti potenzia, io ho la mentalità per farlo ma il contorno ti aiuta ad esprimere il massimo sempre Mi auguro di poter portare questo entusiasmo anche alla città e ai tifosi. Ho sempre cercato di aiutare gli altri, ho l'età e l'esperienza per farlo e qui ci sono tanti giovani in rosa che possono avere bisogno di una parola giusta al momento giusto, di essere spronati”. A chi lasceresti il tuo posto tra i giovani difensori in circolazione? “Quando sono arrivato in Italia c'erano difensori pazzeschi: Nesta, Samuel, Cannavaro, Cordoba, Thuram. Purtroppo oggi in Italia non ci sono più tutti questi difensori campioni. Vogliono tutti fare gli attaccanti così si soffre di meno (ride, ndr). Adesso ci sono tanti ragazzi argentini che stanno facendo bene, Roncaglia, Gonzalo, Silvestre, ma non potrei dirti. Mi piacerebbe però che mio fratello potesse tornare qui in Italia un giorno”. Dove ti vedi tra 10 anni? “Mi vedo sempre vicino al calcio, più vicino al terreno di gioco magari. Ho fatto il primo corso da allenatore. Il calcio è sempre stato il mio lavoro, la mia emozione. Ho usato il calcio per migliorarmi come persona e credo che si debba usare sempre in maniera positiva”. Eccoci quindi alla fine, 35 minuti di chiacchierata profonda e sincera, come poche volte ti può capitare nel mondo del calcio. Complimenti Nicolas, solo conoscendoti si può dire di credere davvero che l'universo pallone possa rendere migliore una persona anche quando meno te lo aspetti, quando tutto sembra sgretolarsi e andare in polvere. Questo può ancora essere il calcio dei campioni, l'importante è che ci sia sempre una bella storia da raccontare e qualcuno che abbia voglia di ascoltare.

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SPECIALE VIAREGGIO 2015

Viaggio nel Viareggio, il torneo che modella i campioni del domani…

UN CARNEVALE DI TALENTI di Carlo TAGLIAGAMBE

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e Viareggio avesse San Siro, sarebbe (forse) una piccola Milano, potrebbero dire i tifosi meneghini che - negli ultimi due anni - si sono spartiti la posta in palio nel prestigioso torneo giovanile. E, tra l’altro, di uno stadio nuovo (o, meglio, di un manto erboso nuovo, per essere precisi) la cittadina toscana avrebbe assoluto bisogno, viste le polemiche alimentate proprio dalla società rossonera, circa lo stato di salute del terreno di gioco dell’impianto ‘Dei Pini’. Dal Milan all’Inter, dicevamo, con la Coppa Carnevale che passa da una sponda all’altra del Naviglio proprio sotto gli occhi di uno spettatore d’eccezione: Roberto Mancini. IL TORNEO Alla fine ha vinto l’Inter, ossia la squadra che - in fin dei conti - poteva fregiarsi da settimane della scomoda ‘palma’ da favorita. Bravo quindi mister Vecchi a condurre i suoi ragazzi all’impresa dopo aver superato al fotofinish il sorprendente Verona di Pavanel. Ma facciamo un passo indietro e andiamo ad analizzare il cammino delle 32 squadre partecipanti alla Coppa Carnevale. Pronti via e si parte subito con una sorpresa: i campioni in carica del Milan vanno ko al primo turno e non riescono a superare il girone. Merito di Palermo e Psv, che sconfiggono entrambe i ragazzi di Brocchi ipotecando il passaggio agli ottavi e colpa (forse) anche dello scarno manto erboso dello stadio viareggino, che ha mandato su tutte le furie i rossoneri. Accedono al turno ad eliminazione diretta, anche Atalanta e Club Bruges (a spese del Bari, eliminato per differenza reti), Verona e Napoli, rispettivamente prima e seconda nel girone 3. Passano quindi Fiorentina e Ce-

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sena, mentre il Parma di Lucarelli esce di scena già al girone sotto i colpi di Inter e Genk. Nessuna sorpresa per la Roma, che cede sì il primato del gruppo al Pescara, ma stacca il pass a braccetto con gli abruzzesi, e per lo Spezia, che arriva davanti al Genoa. Chiudono la lista delle qualificate il Toro e la sorprendente Rappresentativa della Serie D. Agli ottavi di finale comincia la sorprendente epopea del Verona: i ragazzi di Pavanel superano - dopo lo 0-0 dei 90’ - il Genoa ai calci di rigore con protagonista assoluto il portiere Gollini. Stesso copione si rivedrà ai quarti, quando gli scaligeri avranno la meglio sul Napoli con la stessa identica modalità. L’Inter intanto stende la Rappresentativa di Serie D con una rete di Bonazzoli e si guadagna la sfida col Pescara, poi vinta 3-1 con una doppietta del suo baby-bomber. In semifinale i nerazzurri liquidano la Roma con un netto 4-0 (doppietta di Appiah), mentre i gialloblù superano 2-1 la Fiorentina grazie alla rimonta completata dal rigore decisivo di Cappelluzzo. La finale vede quindi di fronte Inter e Verona. IL SETTIMO SIGILLO L’ultimo atto del torneo, come spesso accade, è una gara tirata e spettacolare soltanto a tratti. Ma tanto basta per divertire ed emozionare il pubblico dell’Arena Garibaldi di Pisa, scelto come sede della finale per evitare ulteriori polemiche sui noti problemi dell’impianto dei Pini. Pochi secondi e l’Inter si trova in vantaggio con il solito Bonazzoli, che con un delizioso pallonetto supera Gollini per l’1-0. Il pari arriva nella ripresa con una girata di testa di Cappelluzzo, prima che il portiere scaligero decida di fare il fenomeno e blindare il risultato sull’1-1. Proprio quando la gara sembra ormai destinata alla parità (e i veronesi sperano

nell’ormai consueta lotteria dei rigori), ecco che un tap-in del terzino Gyamfi regala la coppa all’Inter: è l’ultimo atto del torneo di Viareggio 2015. IL GOLDEN BOY È senza ombra di dubbio Federico Bonazzoli il miglior giocatore di questa edizione della Coppa Carnevale. Attaccante possente dotato di grande fisico, il classe ’97 ha trascinato i nerazzurri di Vecchi alla vittoria grazie al suo carisma e alla sua voglia di emergere. Se riuscirà a mantenere lo spirito di sacrificio che messo in campo a Viareggio, allora sentiremo parlare di lui sempre più spesso… I PRINCIPI DEL GOL Bonazzoli, ma non solo. A dividere con lui la corona di capocannoniere del Torneo c’è anche il palermitano Accursio Bentivegna, autore - come l’interista - di 5 reti complessive. Il giovane palermitano è andato a segno in tutte e quattro le gare giocate dai rosanero (eliminati poi agli ottavi dalla Roma) nel corso del torneo. Non sarà certo un caso che lui, come del resto il nerazzurro, è uno di quelli che ha già debuttato in Serie A… LE ALTRE STELLINE Del tanto decantato Mastour non c’è stata traccia a causa di un fastidio al menisco che gli ha impedito di scendere in campo ma, in compenso, sono tanti i baby-campioni che si sono messi in luce nel corso del Torneo. A partire dai campioni dell’Inter, che tra le proprie file annoveravano giocatori di sicuro avvenire come Gaston Camara, devastante esterno offensivo capace - con la sua velocità - di infiammare le partite. Guineano, classe 1996, Camara ha già conosciuto la Serie A esordendo agli ordini di Mazzarri e, ne siamo sicuri, avrà presto un’altra chance. Così come


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SPECIALE / VIAREGGIO 2015

VITTORIA NERAZZURRA L'Inter si è assicurata il Viareggio, edizione 2015...

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GASTON CAMARA il compagno Michele Rocca, assoluto protagonista del Viareggio nerazzurro: tecnica, dribbling e una gran visione di gioco sono i segni particolari che addobbano il suo curriculum. Menzione d’onore anche per la seconda punta Micheal Ventre, per il centrocampista Steffé e per il portiere Andrei Radu, distintosi per senso della posizione e un’esplosività tra i pali che ricorda un certo Samir Handanovic… Il Verona vice-campione torna in Veneto con tanta soddisfazione e qualche certezza in più, a partire dall’affidabilità del portiere Gollini (eletto miglior portiere della manifestazione), dal senso del gol di Cappelluzzo (autore di ben 4 reti) e dalla rapidità dell’algerino Fares, che in riva all’Adige hanno già ribattezzato

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MICHEAL VENTRE come ‘nuovo Iturbe’. Anche il Milan, nonostante una cavalcata non certo indimenticabile, ha messo in vetrina i gioiellini Calabria (terzino destro classe ’96) e Fabbro (attaccante classe ’96). Dalla scuola di calcio della Roma, ecco serviti gli attaccanti Vestenicky (tre gol) e Di Mariano, oltre al difensore Calabresi, già aggregato più volte al gruppo di Rudi Garcia. Occhio anche ai napoletani Prezioso (centrocampista centrale dotato di ottima visione di gioco), Anastasio (rapido terzino sinistro) e Luperto (mastodontico difensore centrale), ma anche ai giovanissimi fiorentini: con Gondo, Bangu e Diakhate rispettivamente ‘96, ’97, ’98, il futuro è sempre più viola. Chi cerca difensori non resterà deluso da Fissore del Torino, Vitturi-

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Stefano Vecchi

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FEDERICO BONAZZOLI

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SPECIALE / VIAREGGIO 2015

ACCURSIO BENTIVEGNA ni del Pescara e il terzino Mercadante in forza al Bari. Segnatevi infine i vari Sparacello (bomber della rappresentativa serie D), Raffini (cannoniere del Cesena con 4 reti), Sadiq (attaccante nigeriano dello Spezia) e Martinez, “puntero” argentino del Parma di Lucarelli, perché - a nostro avviso - sentirete presto parlare di loro. IL PIÙ GIOVANE TRA I GIOVANI Chiudiamo con una piccola curiosità. Il riconoscimento per il giocatore più giovane della finale è stato assegnato a Marco Pissardo, portiere di riserva dell’Inter, che – emozionatissimo - ha ritirato il premio a fine gara a 17 anni appena compiuti (è nato infatti l’8 gennaio 1998). In bocca al lupo!


SPECIALE / VIAREGGIO 2015

TALENTO ASSOLUTO

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Bonazzoli ha mostrato numeri da campione...

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SPECIALE / VIAREGGIO 2015

SQUADRE VINCENTI Campioni al Viareggio dal 2010 al 2013...

ALBO D'ORO TORNEO DI VIAREGGIO SUCCESSI 9

2010 - juventus

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8

7 6 6

2011 - INTER

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4 3 2 2 2 1

2012 - JUVENTUS

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1 1 1 1 1 1

2013 - ANDERLECHT

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SQUADRA (EDIZIONI) Milan (1949, 1952, 1953, 1957, 1959, 1960, 1999, 2001, 2014) Fiorentina (1966, 1973, 1974, 1978, 1979, 1982, 1988, 1992) Juventus (1961, 1994, 2003, 2004, 2005, 2009, 2010, 2012) Inter (1962, 1971, 1986, 2002, 2008, 2011, 2015) Dukla Praga (1964, 1968, 1970, 1972, 1976, 1980) Torino (1984, 1985, 1987, 1989, 1995, 1998) Sampdoria (1950, 1958, 1963, 1977) Roma (1981, 1983, 1991) L.R. Vicenza (1954, 1955) Atalanta (1969, 1993) Genoa (1965, 2007) Partizan (1951) Sparta Praga (1956) Bologna (1967) Napoli (1975) Cesena (1990) Brescia (1996) Bari (1997) Empoli (2000)

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Juventud (2006)

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Anderlecht (2013)


SPECIALE / VIAREGGIO 2015

67 ANNI DI TORNEO DI VIAREGGIO Di Carlo Tagliagambe

GLI ULTIMI CAMPIONI Milan e Inter, trionfatori nelle edizioni 2014 e 2015...

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2014 - MILAN

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2015 - INTER

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utto nacque un inverno del lontano 1947. Era l’Italia del primo dopoguerra, che aveva bisogno di lasciarsi alle spalle un periodo buio per ricostruire tutto: strade, case e industrie ma anche - e soprattutto - la propria identità e i propri valori. E, tra questi, un posto di rilievo era riservato proprio allo sport. Ecco perché un gruppo di sportivi viareggini, capitanati da Torquato Bresciani, fondarono la Coppa Carnevale, torneo internazionale ad uso e consumo delle squadre giovanili. Coppa che, nel 1949, è diventato il “Torneo di Viareggio” come oggi lo intendiamo. E che, pronti via, fu subito vinto dal Milan, che tra gli anni 50-60 si aggiudica il trofeo per altre cinque volte. Significativo anche l’exploit del Lanerossi Vicenza, campione nel ’54 e nel ’55, che annovera tra le proprie file il futuro ct della nazionale Azeglio Vicini. Sono gli anni in cui, tra gli altri, si mettono in luce talenti del calibro di Eugenio Fascetti, Fabio Cudicini e Giovanni Trapattoni. Quindi gli anni ’60, col Viareggio che diventa il serbatoio della futura nazionale di Valcareggi, nonché il preludio della grande Inter del mago Herrera: Facchetti, Mazzola, Corso, Boninsegna crescono tutti qui, duellando con i fiorentini Chiarugi, Merlo e Ferranti, tutti protagonisti dello scudetto viola del 1969. I favolosi anni ’70 non a caso, segnano il dominio della Fiorentina, che si aggiudica il Viareggio per ben quattro volte, trascinata dal giovanissimo Giancarlo Antognoni. È il decennio in cui passano dalla Versilia anche i vari Zenga e Oriali per l’Inter, Maldera e Collovati per il Milan, nonché i fratelli Baresi, puntualmente divisi sulle due sponde del Naviglio. Gli anni ’80 segnano l’avvento prepotente del Toro nell’albo d’oro della manifestazione: i granata - trascinati da Fuser e Lentini - alzano la coppa per quattro volte, contro le due di Fiorentina e Roma. Protagonisti del torneo sono i futuri sampdoriani Vialli e Mancini, i milanisti Maldini, Albertini e Costacurta e poi Ferrara, Di Livio, Peruzzi, Tagliatela, Ganz ma – soprattutto - l’allora giovanissimo ‘Divin Codino’, Roberto Baggio. E poi, tra gli stranieri, si fa notare anche un certo Gabriel Omar Batistuta che - per 150 milioni - stava per essere ingaggiato dall’allora presidente del Viareggio Calcio... Finirà diversamente, come sappiamo, e come ci insegna la storia calcistica degli anni ’90, che vedono l’affermazione delle cosiddette provinciali: in pochi anni Cesena, Atalanta, Brescia e Bari si aggiudicarono vittorie prestigiose quanto inaspettate, lanciando giovani come Zauli, Tacchinardi, Morfeo, Pirlo e Ventola. Tra gli altri, da segnalare gli esordi dei vari Del Piero, Totti, Vieri e Lucarelli. Quindi gli anni 2000 che, dopo l’exploit dell’Empoli, raccontano del dominio della Juventus, vincitrice di ben sei trofei dall’inizio del 2003 ad oggi grazie ai vari Palladino, Oliveira e – soprattutto - del super bomber Ciro Immobile. Nel 2008 da segnalare anche la vittoria dell’Inter di Supermario Balotelli, autore di ben sette reti. Quindi, nel 2014, il trionfo del Milan di Pippo Inzaghi, che lascia il testimone, quest’anno, ai cugini nerazzurri…

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SPECIALE / VIAREGGIO 2015

PAROLA ALL’ESPERTO… Di Carlo Tagliagambe

Chiacchierata con chi il Viareggio l’ha vinto, da protagonista assoluto: Fausto Pizzi austo Pizzi è uno che il Torneo di Viareggio lo conosce bene, avendolo giocato (e vinto) da calciatore con l’Inter nel 1986, e avendolo poi vissuto in panchina da allenatore della Primavera del Parma, centrando per ben due volte il traguardo delle semifinali.

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Fausto, descrivici in due parole il torneo di Viareggio… “È un torneo che mette a dura prova le qualità dei giocatori, sia dal punto di vista fisico, che caratteriale: in fondo ci arriva solo chi ha una tempra dura e speciale”. E tu lo sai bene, avendolo vissuto sia da allenatore che da giocatore… “È un torneo che conosco bene e a cui sono particolarmente affezionato, cosa che mi ha aiutato molto quando, da allenatore del Parma, sono riuscito a centrare per ben due volte le semifinali insieme ai miei ragazzi. Si tratta di una competizione speciale, dove si respira un’atmosfera unica, visto che si sta via per due settimane e c’è la possibilità di cementare il gruppo sulla base dei valori e dell’appartenenza. E la soddisfazione più grande è quando riesci a tirare fuori le qualità dai tuoi ragazzi”.

poniamo tre domande secche: La squadra rivelazione: “Senza dubbio il Verona, arrivato in finale con pieno merito dando poi del filo da torcere ad una squadra con grandissimi mezzi tecnici come l’Inter”. Il tecnico più sorprendente: “Dico Pavanel del Verona, che è un ragazzo che trasmette una carica e una determinazione speciale ai suoi giocatori”. E infine i giocatori da tenere d’occhio… “Facile dire Bonazzoli perché è il giocatore che più ha spostato gli equilibri. Ma vi segnalo anche Radu e Gollini, portieri rispettivamente di Inter e Verona”. IL RICORDO DI PIZZI

Nel 1986, l'ex centrocampista ha vinto, in maglia Inter, il Viareggio

Perché il torneo di Viareggio è importante per un giovane? “Perché è una vetrina importante che, in sole due settimane, ti dà una visibilità pazzesca, sia a livello mediatico che per quanto riguarda gli operatori del settore. In questi 14 giorni si è sotto la luce dei riflettori e si ha la possibilità di confrontarsi con tante realtà sportive, italiane e straniere”.

Com’è il livello del calcio giovanile in Italia? “Direi in ripresa: la flessione degli ultimi anni sembra ormai superata, siamo ripartiti con il piede giusto e c’è tanta voglia di scommettere sui giovani e di migliorare questo mondo. E lo si è visto anche nell’edizione appena conclusa, dove abbiamo assistito ad un buon livello di calcio, con belle partite e grande intensità di gioco, tutti elementi che lasciano intravedere passi avanti importanti per il movimento. Ecco perché ho davvero grande fiducia nel futuro delle giovanili”. Il torneo di Viareggio 2015 si è da poco concluso e noi ti

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Com’è cambiato - negli anni - il torneo di Viareggio? “Sicuramente nella formula. Quest’anno si è scelto, finalmente, di privilegiare la qualità: meno gironi (otto, ndr) e un livello complessivo importante, nonostante le defezioni di lusso di Juve, Lazio, Sampdoria e dei campioni d’Italia del Chievo. È stata poi abolita la decisione - secondo me assurda - di far entrare le teste di serie solo agli ottavi come invece era l’anno scorso. L’unico neo riguarda la situazione dei campi da gioco, che quest’anno sono stati davvero un problema. Ma il Viareggio resta un punto di riferimento per tutti noi, essendo ormai arrivato alla sua 67esima edizione”.


SPECIALE / VIAREGGIO 2015

IL GRAN RIFIUTO DEL MILAN: “ADDIO VIAREGGIO” Di Carlo Tagliagambe

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iamo il club più titolato…del Viareggio!”. Ebbene sì, anche a livello di calcio giovanile i rossoneri possono fregiarsi dell’etichetta che ha tanto fatto discutere sulla conta dei trofei a livello internazionale. Però, almeno per quanto riguarda il calcio giovanile, non c’è storia: i rossoneri si sono infatti aggiudicati ben nove edizioni della manifestazione, tra cui quella del 2014 conquistata da Pippo Inzaghi e i suoi ragazzi. Ma il numero delle Coppe Carnevale già messe in bacheca, probabilmente, resterà tale per diverso tempo, perché i rossoneri - con un duro comunicato - hanno sancito il loro addio alla nota rassegna giovanile. Il motivo? Problemi… di campo, visto che la società milanese non ha gradito lo stato di salute del manto erboso dello stadio Bresciani di Viareggio e ha espresso tutto il proprio disappunto per bocca del responsabile del settore giovanile Filippo Galli: “Il campo su cui si è giocata Milan-Psv (gara vinta dagli olandesi, ndr) era veramente indegno per chi, come noi, prova a proporre gioco. Credo che la nostra esperienza al Viareggio terminerà con questa stagione. Non è una reazione a caldo per il risultato, ma non possiamo venire a giocare su questi terreni”. Insomma, una vera e propria sfuriata che sancisce l’addio (definitivo?) dei rossoneri alla più importante kermesse giovanile italiana.

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GALLI NON CI STA Il responsabile del settore giovanile del Milan adirato con il Viareggio...

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SPECIALE BOMBER gli artisti della punizione ARTISTA VERO

foto Agenzia Liverani

Zico, mortifero sui calci piazzati...

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SPECIALE BOMBER/ GLI ARTISTI DELla PUNIZIONE

COME MUORE UNA FOGLIA Ci sono attimi in cui un calcio piazzato diventa poesia… di Gabriele CANTELLA

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IL MIGLIORE DEL LOTTO

Pirlo ha segnato più gol di tutti su punizione...

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l portiere sistema la barriera davanti a sé. Vuole un uomo in più a copertura del primo palo, quello libero. Lui va a presidiare il secondo. D'altra parte della barricata, pardon, della barriera, il numero 10 raccoglie il pallone umido di pioggia e lo asciuga con il bordo inferiore della maglia. Lo accarezza, lo bacia. Poi lo mette giù, lo adagia morbidamente su un letto d'erba e s'allontana. Tre passi indietro, un occhio al portiere, il fischio dell'arbitro. Sembra si sia arrestato il tempo. È un attimo, ma dura una vita. Un tocco lieve, il pallone prende l'ascensore e comincia a salire. Sale oltre la barriera, la scavalca e girando su se stesso continua a salire. Poi d'un tratto scende, planando leggero, come una foglia cullata in aria da un Ponentino estivo. Scende alle spalle del portiere, tramonta laddove s'incontrano i pali, lì dov'è impossibile arrivare. Goool! Chi di noi, da bambino, non ha immaginato, sognato, desiderato, almeno una volta, di essere il protagonista di una scena così. Quante volte abbiamo provato a imitare Platini e Zico, sforzandoci di far salire il pallone oltre la barriera, una barriera di macchine parcheggiate per strada, per poi farlo scendere all'incrocio, non dei pali, ma dei bordi della saracinesca di un garage. Quante volte abbiamo provato a calciare una punizione a foglia morta e la maledetta, non quella di Pirlo, rimaneva sempre viva! Già, come muore una foglia? Dev'esserselo chiesto, molto prima di noi, Mariolino Corso, che di foglie nella sua parabola da calciatore ha fatto strage. Se l'è chiesto e si è anche risposto: una foglia muore accarezzando il pallone con la parte interna del piede, il sinistro nel suo caso, così da imprimergli un particolare effetto rotatorio, simile a quello di un'elica che gira. Girando l'elica permette all'aeroplano di decollare, allo stesso modo, il pallone, girando, si solleva da terra e inizia a salire fino a che non perde quota e comincia a scendere verso la destinazione finale, il sette. Corso ha sfidato la fisica, si è fatto beffe della gravità, ha

ANDREA PIRLO

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SPECIALE BOMBER/ GLI ARTISTI DELla PUNIZIONE

UN GESTO MERAVIGLIOSO Segnare da calcio piazzato è un'arte per pochi eletti...

Arthur Antunes Coimbra, alias ZICO

mostrato a tutti come muore una foglia. Al posto della foglia, per poco non moriva una signora, sulla Rue Saint-Exupéry di Joeuf, dove un bambino di sette anni, più simile a un nano in pantaloncini, si allenava tutti i giorni a calciare le punizioni. La porta è la saracinesca del garage dei vicini, il portiere Fufi, il cane di sua cugina Stefanina, ma il pallone non sempre finisce dove dovrebbe e così capita che una volta andò a colpire una donna che passava per strada, mandandola all'ospedale. Per continuare ad allenarsi sulle punizioni a foglia, senza rischiare di avere sulla coscienza una donna morta, il nano in pantaloncini decise di cambiare bersaglio e cominciò a mirare al palo del telegrafo di fronte casa. Si chiamava Michel quel nano in pantaloncini, Michel Platini, e il palo del telegrafo era capace di centrarlo anche 10 volte di seguito. Dal palo del telegrafo di fronte casa all'incrocio dei pali della porta del Comunale di Torino, cambia il bersaglio,

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identico il risultato. A dispetto delle chiare origini italiane, novaresi per l'esattezza, Michel è francese a tutto tondo, di italiano non ha nulla, italiano non s'è mai sentito, neanche un po'. Francese Platini lo era anche in campo, francesi erano le sue punizioni, calciate con quella pigra indolenza che velava la compiaciuta arroganza, tutta francese, di chi è già sicuro di far gol. Il 26 febbraio 1984 Platini di gol ne fa due, il primo di testa, il secondo, neanche a dirlo, su punizione. L'avversario della Juventus, in quel pomeriggio di trentun anni fa, era il Toro di Bersellini, che ha trascorso notti insonni alla ricerca di un antidoto al veleno delle traiettorie di Michel e alla fine lo trovò, o meglio, pensò d'averlo trovato. A dieci minuti dal termine della partita, ecco per il tecnico granata l'occasione di scoprire se funziona. Punizione dal limite per la Juve, calcia Platini. Goool! L'antidoto non ha funzionato, evidentemente non era quello giusto. Ma qual era questo


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antidoto? Consapevole del fatto che la destinazione finale, il naturale punto d'approdo delle parabole di Platini era il sette dal lato opposto a quello del portiere, Bersellini aveva pensato di proteggerlo, quel sette, piazzando Italo Galbiati a presidiarlo. Eppure Michel riuscì a far passare il pallone tra la traversa e la pelata di Galbiati. Fortuna? Nient'affatto! Aveva mirato proprio lì Platini, volutamente, per dimostrare a Bersellini e a tutto il mondo che non esisteva antidoto al veleno delle sue traiettorie. Arrogante? No, semplicemente francese. Semplicemente Michel Platini. Semplicemente brasiliano, una sorta di Carmen Miranda prestata al calcio, è Zico, che di Platini ha rappresentato la nemesi, mentre un altro duello, in quei meravigliosi anni '80, andava in scena nel mondo della musica, quello tra Duran Duran e Spandau Ballet. Se non esisteva antidoto alle punizioni di Platini, a quelle di Zico era altrettanto inutile provare

ad opporsi, nove su 10 finivano nel sette. Ci provò il Professor Scoglio, che alla vigilia di un Genoa-Udinese di 32 anni fa, esclamò eureka! come Archimede e annunciò al mondo d'aver trovato il modo di disinnescare le mine del Galinho: "Basta far saltare la barriera al momento giusto". E la barriera saltò, ma Zico calciò rasoterra e il pallone non trovò ostacoli nel suo viaggio verso l'angolino. Goool! Inevitabile. Se è vero che, come insegna Esopo, nessuno sfugge al proprio destino, le punizioni di Zico sono un destino al quale i portieri avversari non possono sottrarsi. Come le sentenze della Cassazione, le punizioni di Zico sono inappellabili. Lo sapeva bene Sandro Ciotti, che una volta, ai tempi preistorici di "Tutto il calcio minuto per minuto", chiese la linea da Catania per informare "gli amici ascoltatori" che Zico stava per battere un calcio di punizione. Chiese la linea già sicuro che il pallone sarebbe finito dove finiva sempre. Dove i pali della porta

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SPECIALE BOMBER/ GLI ARTISTI DELla PUNIZIONE

DA BAGGIO A DEL PIERO Di Gabriele Cantella

Numeri 10 capaci di calci piazzati magistrali… l 10 sulle spalle, il codino, un interno destro tagliente come la katana di un samurai. Con quell'interno destro Roby Baggio sapeva tagliare traiettorie irridenti per i portieri avversari, inebrianti per i tifosi della Juventus, che dai tempi di Michel Platini, non vedevano simili magie. Come muore una foglia Roberto lo ha imparato da Zico, ammirando e imitando le punizioni del Galinho, non immaginando che un giorno sarebbero le sue punizioni ad essere ammirate e imitate. 6 Aprile 1993, al Delle Alpi sbarca il PSG del futuro milanista Weah, la Juve del Trap si gioca un posto in finale di Coppa Uefa. La clessidra si è quasi del tutto svuotata, l'1-1 sta bene ai parigini, decisamente meno ai bianconeri. È cominciato l'ultimo giro di orologio quando Vialli viene abbattuto al limite dell'area avversaria, punizione per la Juve.

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Punizione per Baggio. Di Canio tocca il pallone verso Vialli, che lo arresta con la suola e lo lascia a Roby. La katana del samurai taglia una traiettoria irridente per il portiere francese, esaltante per il popolo bianconero che non vedeva simili prodezze da quando giocava Le Roi. Baggio lo ha insegnato a un giovanotto, veneto come lui, che insieme a lui si allena sull'erba spelacchiata del vecchio Comunale, da quando il Trap ha deciso di aggregarlo alla prima squadra. Da Baggio a Del Piero, da un 10 all'altro, da Raffaello a Pinturicchio. L'interno destro di Alex è il pennello d'un pittore d'alta scuola, uno alla Bernardino di Betto, maestro di geometrie rinascimentali. Con quel pennello Pinturicchio dipinge una tela degna del Louvre il 5 novembre 2008 e la incastona nella cornice suggestiva del Santiago Bernabeu: Casillas sistema la barriera davanti a sé, ma dimentica di piazzare un uomo a protezione del primo palo. Lui va a coprire l'altro. E Del Piero la mette sul primo. Una pennellata nel sette, dove nessun portiere ci può mai arrivare. Un colpo da fuoriclasse assoluto, momenti da ricordare per sempre.

21 VOLTE BAGGIO

ROBERTO BAGGIO

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Un altro che, su calcio piazzato, ci sapeva fare...


SPECIALE BOMBER/ GLI ARTISTI DELla PUNIZIONE

IL GRANDE DIEGO

Classifica All-Time gol su punizione in Serie A POSIZIONE

GIOCATORE

GOL

1 2 3 4 5

Mihajlovic Pirlo Del Piero R.Baggio Totti Zola Maradona Chiesa Platini Recoba

28 27 22 21 20 20 14 13 13 13

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7 8

Maradona sapeva fare tutto, soprattutto da palla ferma

* dati aggiornati al 15/02/2015

s'incontrano, lì dov'è impossibile arrivare. Da un brasiliano a un argentino, da Udine a Napoli, teatro di sogni che lui, il ragazzo d'oro, sapeva trasformare in incredibile realtà. Lui è Diego, il Diez, l'uomo dei sogni. Lui è Diego Armando Maradona, in lui il Dio del calcio si è compiaciuto. Sul campo Diego compie autentici miracoli, rende possibile l'impossibile, accarezza il pallone e prende a calci la scienza. È il 3 novembre 1985, al San Paolo arriva "L'invincibile Armata", non quella di Filippo II, ma la Juventus di Trapattoni e Platini, otto su otto in campionato, a caccia della nona vittima da sacrificare sull'altare dello scudetto. E invece la nona la suona Maradona, novello Beethoven, che compone un "Inno alla gioia" per i 70.000 del San Paolo. Se ne sono andati 27 minuti della

DIEGO MARADONA

ripresa quando Giancarlo Redini da Pisa fischia una punizione a due nell'area della Juve. Sul pallone Pecci e Maradona, ma stavolta, neanche Diego riuscirebbe a metterla nel sette, troppo vicina la barriera per provare a scavalcarla, troppo esigua la distanza dalla porta perché la palla possa scendere all'incrocio anche ammettendo che riesca a superare il muro bianconero. Lo dice la fisica, è scienza, non è un'opinione. Ma Diego della fisica se ne infischia e la scienza la prende a calci. Il pallone invece lo accarezza e con quella carezza lo mette proprio dove pareva impossibile metterlo. Dove i pali della porta s'incontrano, lì dov'è impossibile arrivare. Maradona 1 Juventus 0, Maradona 1 Fisica 0. The impossible made possibile. Per Diego non esiste Mission Impossible.

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SPECIALE Major League Soccer

LA NUOVA MECCA

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Da Lega per attempati senatori a torneo di vere stelle, l’MLS al suo meglio… di Fabrizio PONCIROLI foto Image SPORT e Agenzia LIVERANI

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er anni abbiamo sentito risuonare un ritornello: “Negli States il calcio non attecchirà mai”. In effetti, in un Paese dominato da baseball, basket, hockey e football (americano ovviamente) pareva pura utopia pensare di poter introdurre anche il calcio. Ma, fatto noto, gli statunitensi, quando si mettono in testa qualcosa, difficilmente falliscono. E, dopo tanti tentativi mal riusciti e mille peripezie, alla fine siamo giunti ad un torneo, la MLS, che inizia a far invidia a tanti. Dopo essersi sorbiti attempati senatori ad un passo dal chiudere con il calcio, i tifosi a stelle e strisce stanno iniziando a gustarsi vere e proprie stelle del calcio internazionale, in particolare europeo. Giovinco, da questo punto di vista, rappresenta la brutale inversione di rotta. La MLS, forte di una Lega sana e ben strutturata, può garantire un calcio qualitativamente in

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crescita esponenziale e, aspetto da non sottovalutare, ingaggi importanti e garantiti. Una solidità, quella dell’attuale MLS, raggiunta grazie ad una policy ben definita. Fondata, ufficialmente, nel 1993 (presentata, altrettanto ufficialmente, “solo” due anni più tardi), la MLS ha, nel corso di circa due decenni, saputo imparare dai propri errori. Prendendo spunto dalle altre leghe americane, ha creato un “sistema” infallibile. Nessuna retrocessione, regular season e play-off, draft annuale, salary cap (per controllare ricavi e spese di ogni franchigia) e, in particolare, tutto centralizzato, appunto, nella Lega con Don Garber, il suo presidente, punto di riferimento e confronto per tutti i proprietari delle singole franchigie. Un nome, quello di Garber, di un certo peso. Con 16 anni di esperienza nel mondo NFL alle spalle (uomo noto anche per il suo impegno nella NFL Europa League), “The Soccer Don” (il suo soprannome), sin dal suo primo giorno a capo della MLS (4 agosto 1999) ha lavorato proprio per rendere la Lega in grado di sostenersi autonomamente. Un format vincente che ha permesso alla MLS di “catturare” sempre più credibilità. Dopo aver seminato per anni, ora è il tempo di raccogliere i frutti, leggi campioni veri… NASL, ESPERIMENTO FALLITO Prima della MLS, l’America aveva già assaggiato il prodotto calcio. La memoria va alla NASL, il primo, vero, tentativo di introdurre il pallone negli States. Nata, nel lontano 1966 (si narra sull’onda del successo dell’Inghilterra ai Mondiali del 1966), la Lega partì alla grande, con ben 17 franchigie al via. L’entusiasmo durò poco, tanto che, nell’edizione del 1969, ci fu l’adesione di solo cinque società. Nel 1971 il colpo di genio: la nascita dei New York Cosmos. Di proprietà di due fratelli noti nel mondo musicale, i Cosmos dovevano diventare la squadra delle grandi stelle del calcio. In effetti, l’impatto fu notevole. La NASL, nel 1975, tornò a 20 franchigie, grazie, appunto, alla presenza nel torneo di fuoriclasse assoluti, su tutti Pelé, uomo copertina proprio dei Cosmos (insieme a lui, negli anni, a NY arrivarono altre leggende del calibro di Beckenbauer, Carlos Alberto, Wilson, Chinaglia, e tanti altri…). Il novizio popolo di tifosi americani si esalta nel vedere all’opera gente come O Rey, Cruijff (uomo franchigia dei LA Aztecs) o Bettega (48 presenze e 11 gol con i Toronto Blizzard). Nel 1978 si decide anche di introdurre la novità indoor (gare al chiuso), così da prolungare la presenza del calcio sul territorio del Nord America. Purtroppo, ad inizio degli anni Ottanta, la NASL crolla. Le TV, in particolare la ABC, molla i diritti, scontenta del poco audience e la Lega naufraga. L’ultimo campionato fu disputato nel 1984, con successo finale dei Chicago Sting. Qualche mese fa, il Chicago Tribune ha pubblicato quella che è risultata la miglior formazione di tutti i tempi della NASL: Stojanovic tra i pali, difesa con John Best, Bruce Wilson, Carlos Alberto e Mike England. A centrocampo Vladislav Bogicevic, Franz Beckenbauer, Ilija Mitic. Attacco formato da Giorgio Chinaglia (cinque volte miglior marcatore della NASL), Karl-Heinz Granitza e, ovviamente, Pelé. Non proprio una squadra di seconda fascia… MLS, SCOMMESSA VINTA Dopo aver archiviato l’esperimento NASL, gli States, per poter organizzare i Mondiali del 1994, accettano, non con grande entusiasmo per la verità, di riprovarci. Nasce la MLS. Dopo


SPECIALE / Major

Il bomber azzurro ha indossato la casacca dei Cosmos

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Prima della MLS, l’America sperimentò la NASL dei famosi Cosmos di Pelé e Beckenbauer…

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IL GRANDE CHINAGLIA

League Soccer

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SPECIALE / Major

LA CLASSE DI Pelé

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Grazie alla The Beckham Rule, i club della MLS hanno grande potere di acquisto internazionale

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Negli States si sono goduti tantissimi fuoriclasse, tra cui O Rey...

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SPECIALE / Major

anni tribolati, nel 1996, si parte. Al via 10 franchigie. Fino all’anno di grazia 2006 la partecipazione è limitata, sia come franchigie che come spettatori. L’edizione 2007 è quella della prima, vera, svolta. Oltre all’ingresso nella lista delle partecipanti di Toronto, prima realtà canadese nella MLS, viene varata, dagli alti vertici, la cosiddetta Designated Player Rule, una sorta di deroga al rigido tetto salariale (punto di forza della MLS), che permette ai LA Galaxy di ingaggiare un mito internazionale come David Beckham. È la prima vera stella del calcio che mette piede in MLS. Il ritorno è impressionante, sia in termini mediatici che di sponsorizzazioni. Grazie all’arrivo del forte inglese, la MLS si sdogana, diventando, di colpo, un torneo mappato nel calcio che conta. Il numero delle franchigie partecipanti aumenta di anno in anno. Nel 2012 sono 19, quest’anno si arriva, a quota 20 (uscita di scena dei Chivas USA ma ingresso di Orlando City e New York City). Don Garber, numero uno della MLS, non si accontenta e punta in alto: “Il nostro obiettivo è raggiungere le 24 franchigie nel 2020”. Insomma, l’MLS ha svoltato. Lo dicono i numeri e l’interesse che si è scatenato attorno a quella che, secondo molti addetti ai lavori, è la Nuova Mecca del calcio… Non a caso, la MLS può ora mettere sul piatto nomi altisonanti come quelli di Steven Gerrard, Frank Lampard, Sebastian Giovinco, David Villa e Kakà, tanto per citare i più quotati…

ALBO D'ORO MVP MLS 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014

Giocatore Carlos Valderrama Predag Radosavljevic Marco Etcheverry Jason Kreis Tony Meola Alex Pineda Chacón Carlos Ruíz Predag Radosavljevic Amado Guevara Taylor Twellman Christian Gómez Luciano Emilio Guillermo Barros Schelotto Landon Donovan David Ferreira Dwayne De Rosario Chris Wondolowski Mike Magee Robbie Keane

Franchigia

LA LEGGE BECKHAM

Si chiama Designated Player Rule ed è la normativa che ha permesso all’MLS di avere Giovinco…

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erché la MLS ha potuto permettersi Giovinco, ossia un giocatore nel pieno della sua forma e, quindi, con un ingaggio da star? La risposta sta nella Designated Player Rule, meglio nota come The Beckahm Rule. Nella MLS è in vigore il Salary Cup che impone, ad ogni franchigia, un tetto salariale ben definito (attorno ai tre milioni di dollari a stagione ndr). Dall’anno di grazia 2007, è stata introdotta un’eccezione, appunto la The Beckham Rule. Una “scappatoia” che, di fatto, permette ad ogni club di potersi permettere giocatori di prima fascia internazionale. In sintesi: il patron della franchigia si compra una stella pagando di tasca sua l’ingaggio che, quindi, non va ad incidere sul salary cup del club (se non in minima percentuale). Grazie a questa norma, i Los Angeles Galaxy hanno ingaggiato, in passato, Beckham (con contratto garantito da 6,5 milioni di dollari a stagione). Il primo di una lunga serie visto che, dopo l’inglese, tanti altri hanno approfittato della The Beckham Rule. Solo nell’ultima finestra di mercato, sono già oltre 10 i campioni internazionali acquistati dalle franchigie a stelle e strisce grazie alla Designated Player Rule. Da Gerrard (LA Galaxy) a Lampard (New York City), passando per I vari Maloney (Chicago Fire), Emeghara (San Josè Earthquakes), Wright-Phillips (New York Red Bulls) e Giovinco (Toronto). Una normativa che sta facendo la fortuna dell’MLS…

Tampa Bay Mutiny Kansas City Wizards D.C. United Dallas Burn Kansas City Wizards Miami Fusion Los Angeles Galaxy Kansas City Wizards MetroStars New England Revolution D.C. United D.C. United Columbus Crew Los Angeles Galaxy FC Dallas foto Images Sport

Stagione

League Soccer

D.C. United San Jose Earthquakes Chicago Fire Los Angeles Galaxy

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SPECIALE / Major

League Soccer

I CAMPIONI DEL FUTURO

Con il Draft, le franchigie si assicurano i campioni del futuro…

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no dei segreti del successo della MLS (e, prima, di tutte le altre Leghe professionistiche americane) è, senza ombra di dubbio il Draft. Un sistema che permette ai club di mettere sotto contratto giovani talenti provenienti dal college o dalle varie academy e, di riflesso, di avere risorse preziose per tutti i club. Ogni anno, il Draft è un appuntamento imperdibile per tutte le franchigie, desiderose di accaparrarsi i migliori prospetti in circolazione. L’MLS Super Draft 2015 è stato decisamente intrigante. Complice la decisione di Jordan Morris (segnatevi questo nome) di restare all’università ancora per un anno, la prima scelta assoluta, nelle mani di Orlando, è caduta su Cyle Larin (University of Connecticut). Primo canadese ad essere chiamato con la N.1, 19 anni, ha segnato 23 reti in 39 gare al college, a dimostrazione del suo talento. Anche la seconda chiamata è finita per premiare un attaccante: Khiry Shelton (Oregon State), finito ai New York City. Stessa scelta per Montreal Impact che, alla N.3 ha chiamato Romario Williams (18 gol in 51 gare con University of Central Florida). Tra i nomi più intriganti, attenzione ad Alex Bono. Di ruolo portiere, ha fatto vedere grandi cose a Syracuse University, tanto da convincere Toronto a chiamarlo alla sesta (già nel giro della nazionale). Questa la lista delle prime 10 chiamate all’MLS Super Draft 2015: 1. Cyle Larin (Att), University of Connecticut – Orlando City SC; 2. Khiry Shelton (Att), Oregon State University – New York City FC; 3. Romario Williams (Att), University of Central Florida – Montreal Impact; 4. Fatai Alashe (Cent), Michigan State University – San Jose Earthquakes; 5. Nick Besler (Cent), University of Notre Dame – Portland Timbers; 6. Alex Bono (Port), Syracuse University – Toronto FC; 7. Matt Polster (Difen), Southern Illinois University of Edwardsville – Chicago Fire; 8. Zach Steinberge (Cent), Butler University – Houston Dynamo; 9. Clement Simonin (Difen), North Carolina State University – Toronto FC; 10. Connor Hallisey (Cent), University of California, Berkeley – Sporting Kansas City. Nomi da segnare sul libretto… KAKA' AD ORLANDO

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L'ex rossonero è una delle stelle di oggi della MLS

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TIFOSI OVUNQUE Ben 19.148 spettatori di media e siamo solo all’inizio

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egli States sanno come valorizzare i propri asset. Una Lega forte, in grado di “gestire” al meglio ogni aspetto del prodotto calcio, significa anche avere una promozione stellare. La conferma arriva dall’incredibile media spettatori che riguarda il mondo MLS. Abituati, in Italia, a stadi semi vuoti (con l’eccezione dei big match), fa una certa impressione pensare che, in MLS, ci siano 19.148 tifosi ad ogni partita (media stagione 2014). Un dato in continua crescita (+2,9% rispetto alla stagione 2013). Sorprendente, in particolare, la città che garantisce più tifo. Los Angeles? Toronto? No, Seattle. Se LA Galaxy e Toronto FC si difendono alla grande (21.258 e 22.088 presenze rispettivamente), fa impressione il pensare che, alle gare interne dei Seattle Sounders ci siano la bellezza di 43.474 spettatori di media. Il Century Link Field, dimora dei Sounders, è uno spettacolo per gli occhi, con bandiere verdi e blu, speciali coreografie e tifo organizzato ovunque. Una passione viscerale che porta allo stadio tifosi di ogni età ed estrazione sociale, a dimostrazione che l’MLS è pensata per tutti, nessuno escluso. La Lega punta, con l’allargamento a 24 squadre nel 2020, ad arrivare ad una media spettatori superiore alle 25.000 unità. Obiettivo più che fattibile, considerate le premesse…

ALBO D'ORO MLS Stagione

Franchigia Campione

Franchigia Finalista

1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014

D.C. United D.C. United Chicago Fire D.C. United KC Wizards S.J. Earthquakes L.A. Galaxy S.J. Earthquakes D.C. United L.A. Galaxy Houston Dynamo Houston Dynamo Columbus Crew Real Salt Lake Colorado Rapids L.A. Galaxy L.A. Galaxy Sporting K.C. L.A. Galaxy

Los Angeles Galaxy Colorado Rapids D.C. United Los Angeles Galaxy Chicago Fire Los Angeles Galaxy New England Revolution Chicago Fire Kansas City Wizards New England Revolution New England Revolution New England Revolution New York Red Bulls Los Angeles Galaxy FC Dallas Houston Dynamo Houston Dynamo Real Salt Lake New England Revolution


SPECIALE / Major

L'ex bianconero è stato ricoperto d'oro da Toronto...

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L’obiettivo dichiarato della MLS è di arrivare a 24 franchigie a partire dalla stagione 2020…

foto Image Sport

PAPERONE GIOVINCO

League Soccer

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SERIE B VICENZA

di Tommaso MASCHIO

L'UOMO GUIDA Di Gennaro è l'anima pensante del Vicenza

LA MENTE DEL VICENZA

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a lunga trafila nelle giovanili del Milan (“che ringrazierò sempre per avermi formato come calciatore e uomo”) e tanta Serie B alle spalle con due promozioni in massima serie conquistate nella sua carriera, ma

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solo un anno da protagonista in A con la Reggina nel 2008-09 che lo portò a un passo dall'Europeo Under21 con l'Italia. Ora l'avventura col Vicenza dove studia, con profitto, da regista basso. Il Vicenza è una delle sorprese stagionali. Ripescati in extremis state

viaggiando a ritmo play off. C'è un segreto dietro tutto questo? “Il segreto è credere nel lavoro che si fa giornalmente per migliorarsi e crescere come gruppo e squadra. Con l'arrivo di mister Marino la nostra crescita è stata esponenziale, perché anche grazie ai risultati positivi la nostra autostima e fidu-

foto Federico Gaetano

Arretrare per avanzare. Di Gennaro punta alla A: “Ancelotti mi consigliò di giocare più arretrato…”


SERIE B/ VICENZA

foto Federico Gaetano

stante avessi 1-2 anni meno degli altri”.

cia è aumentata, siamo diventati sempre più consapevoli dei nostri mezzi e delle nostre qualità”. Siete una squadra costruita in pochi giorni. Questo può aver influito su un inizio di stagione meno brillante? “Siamo partiti fra mille difficoltà essendo una squadra costruita in 10 giorni dopo la notizia del ripescaggio. Con mister Lopez qualche difficoltà all'inizio c'è stata anche se alla fine stavamo facendo un buon cammino. Sicuramente quelle difficoltà affrontate all'inizio ci hanno aiutato a compattare il gruppo e venire fuori alla distanza”. Che differenze ci sono fra Lopez e Marino? “All'inizio eravamo una squadra alla ricerca di un'identità. Mister Lopez adottava un modulo (il 4-4-2 ndr) per cercare di sopperire a queste difficoltà e trovare la quadratura del cerchio. Con Marino abbiamo cambiato modulo, passando a quello per cui la squadra era stata costruita, e le cose sono andate bene, come è sotto gli occhi di tutti. Il mister poi ha portato con sé un grande bagaglio d'esperienza accumulata in tanti anni e anche su panchine importanti e questo ha aiutato”. Facciamo un salto indietro nel passato. Se dico Milan che ricordi ti vengono in mente? “Ricordi legati a tutta la mia infanzia e adolescenza. Sono arrivato in rossonero

a sei anni e me ne sono andato per la prima volta a 18. Mi hanno reso il calciatore e l'uomo che sono e non finirò mai di ringraziarli per questo, sarò sempre grato alla società rossonera. Sono rimasto legato al Milan fino a 24 anni, tornando in rossonero sotto la guida di Leonardo, ma poi si sono fatte altre valutazioni e le nostre strade si sono divise”. Andiamo avanti. A Bologna e Reggio Calabria le prime esperienze da “grande”. “Bologna è stata la mia prima da professionista ed è stata una grande esperienza. Ho contribuito a riportare in Serie A una squadra prestigiosa dopo tanti anni giocando con continuità e trovando un allenatore come Arrigoni a cui sarò sempre grato. Conservo i ricordi di quel periodo con grande piacere. A Reggio andò peggio a livello sportivo, ma ho trovato grande continuità a livello personale e ho anche in questo caso ottimi ricordi. Inoltre ero molto coccolato dal pubblico e questo fa sempre molto piacere”. Hai anche sfiorato l'Europeo con l'Under 21 quell'anno. “Con mister Casiraghi avevo un ottimo rapporto. Ho raccolto più presenze in Under 21 quando ero in anticipo sul biennio rispetto alla 'mia' annata, anche a causa di qualche infortunio di troppo, come quello che mi costrinse a saltare l'Europeo. Quello era un gruppo molto forte e sono felice di averne fatto parte nono-

A Modena e Spezia le tue stagioni finora migliori dal punto di vista realizzativo, ma la A ti sfugge ancora. “In gialloblu ho disputato quella che reputo la mia miglior stagione nel complesso. Al termine di quell'anno avevo anche proposte in Serie A, ma preferii approdare allo Spezia per sposare un progetto ambizioso come quello del presidente Volpi che mirava alla promozione. Un progetto poco fortunato però visto che lo Spezia è ancora in B e non è riuscito a conquistare la categoria superiore. A fine anno si fece avanti il Palermo, una squadra prestigiosa che valeva la Serie A e mi trasferii lì. Abbiamo raggiunto subito la promozione ed è stato un momento emozionante e felice”. Che ricordi hai di mister Iachini? “Con Iachini il rapporto è stato ottimo. Lo devo anche ringraziare perché nel girone di ritorno della passata stagione mi impostò come regista davanti alla difesa, il ruolo in cui gioco ora, una scelta vincente in fin dei conti”. Una scelta che potrebbe anche essere una svolta nella sua carriera come accaduto ad altri in passato, su tutti Andrea Pirlo. “Si, la scelta di Vicenza è anche legata a questo. Qui sapevo di poter giocare con continuità in questo ruolo nuovo per me, crescere e migliorarmi come regista. Questo ruolo può darmi molto e, nonostante sia ancora abbastanza giovane, permettermi di giocare più a lungo oltre che di affermarmi ad alti livelli. Ricordo che già Ancelotti ai tempi della Primavera del Milan mi consigliò di cambiare e giocare più arretrato, ma all'epoca ero giovane e segnavo molto nelle giovanili e ho preferito continuare nel ruolo di trequartista”. A quasi 27 anni sei nel pieno della maturità calcistica. Che obiettivi ti poni? “Innanzitutto voglio finire bene la stagione col Vicenza e ripagare una società che ha creduto molto in me. Questa è la cosa che più mi interessa nell'immediato. Poi certo il pensiero va alla Serie A e alla possibilità di ritagliarmi uno spazio importante visto che nel mio ruolo non ci sono tantissimi interpreti in giro”.

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Squadra unita, obiettivi prestigiosi

LEGA PRO AREZZO

di Pasquale ROMANO

L’uomo dei miracoli Intervista esclusiva a Eziolino Capuano, allenatore dell’Arezzo e storico personaggio della Lega Pro

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'eziologia' di Eziolino è studio complicato. Il calcio spesso è fatto della stessa materia dei sogni, Capuano è riuscito in diverse occasioni ad afferrarla. Il più delle volte in contesti quantomeno complicati, alle prese con difficoltà di ogni genere. Squadre prossime al fallimento o costruite con pochi soldi e tante idee? Capuano è la persona ideale per accompagnarle verso l'impresa. Personaggio fuori dagli schemi e dalle righe, impossibile da catalogare o classificare. Altrettanto difficile riuscire a tenerlo fermo per più di un anno nello stesso posto, i pochi contatti pluriennali firmati nel corso della carriera sono finiti nel cestino "In nome di una dignità che non può essere barattata con nient'altro". Le perle di saggezza si sprecano: il tecnico campano riesce a passare con disinvoltura da pensieri alti ('La libertà di pensiero dovrebbe essere il più nobile sentimento che alberga nell'animo umano') a fuoriuscite piene di ironia che hanno fatto il giro del web, ad esempio l'ultima 'l'Arezzo in serie D? Sarebbe

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come Belen che fa la barista'. Il calcio come fonte di vita, sgorga sincera e inevitabile.

cosa che non mi è mai mancata. Stiamo vivendo un sogno, il miracolo è a portata di mano".

Un brutto infortunio ha stoppato precocemente la carriera da calciatore, nelle giovanili dell'Empoli inizia a farsi strada quella che viene definita 'una vocazione'... "Ho cominciato come osservatore del club toscano, ancora li ringrazio per la possibilità che mi è stata concessa. Da quel momento è iniziata la mia carriera, mi sentivo già allenatore".

L'Arezzo staziona a metà classifica, l'obiettivo salvezza sembra essere in cassaforte. "Voglio ricordare che la squadra è stata costruita in gran ritardo, a campionato già iniziato. Alla terza giornata praticamente non avevo un gruppo, è un qualcosa di incredibile quello che sta accadendo".

Tantissime le esperienze, tutte al Sud prima di Arezzo. Come mai? "Forse da campano mi è venuto più naturale lavorare al centro-sud, ma devo dire che il calcio è uguale dappertutto. Sicuramente nel meridione c'è più passione, questo sport viene vissuto in maniera completamente diversa". In Toscana la prima avventura in un ambiente diverso, le differenze principali? "Dal punto di vista del calore e della passione sembra di essere al Sud. L'importante è avere la giusta adrenalina,

La sfida sembra essere sempre la stessa. Nelle situazioni di difficoltà, Capuano si esalta e spesso centra una missione che pareva impossibile. È così? "Vero, quando bisogna remare contro avversità di tutti i tipi do il meglio di me. Probabilmente, mi sento più coinvolto quando si è in mezzo alla tempesta. Mi reputo una persona di grandi principi, davanti alle difficoltà non scappo". Difficile trovare una piazza dove Capuano non sia stato idolo dei tifosi. Spesso si è creata una simbiosi perfetta, quali i motivi di un rapporto

foto di Jacopo DurantiTuttoLegaPro.com

FORZA AREZZO


LEGA PRO/ AREZZO

MISTER CAPUANO

foto Giuseppe Celeste/Image Sport

Un tecnico abile ed esperto per volare in alto...

così intenso? "Mi definisco un uomo del popolo, che lavora con grande dedizione e rispetto verso i tifosi. Mi è capitato di festeggiare come un pazzo in mezzo alla gente, esternazioni inaspettate ma sincere. Come molti di loro so cosa significa la vera sofferenza, per queste ragioni sappiamo gioire in modo simile". Tanta Lega Pro, quasi trent'anni di panchina e mai una vera chance nel campionato cadetto. C'è rimpianto o rammarico? "Non sono mai rimasto fermo per una stagione, la continuità è figlia di passione e abnegazione. Poi riconosco che non è semplice andare d'accordo con un carattere come il mio, per nulla accomodante". Integrità e moralità i punti fermi. La grande occasione in Serie A è arrivata, in Belgio con l'Eupen, ma è durata poche settimane. Per la poca voglia di scendere a compromessi? "Esattamente, c'è stata una diversità di vedute troppo profonda. Non ho avuto dubbi nel lasciare e stracciare un contratto importante, i soldi non valgono la dignità professionale".

Dimissioni ma anche esoneri lampo, come a Caserta. La squadra ha concluso la stagione al primo posto, al fianco del Messina. "Ho costruito io quel gruppo, con un simile organico sarebbe arrivata prima anche con un bambino in panchina. Anche in quell'occasione ho visto cose che non mi sono piaciute, l'esonero dopo appena tre giornate non credo possa essere motivato con i risultati". La carriera ideale di un allenatore dovrebbe vivere di un percorso graduale, maturo e consapevole. Gavetta che invece spesso viene saltata a piè pari, numerosi gli esempi illustri. Cosa ne pensa Capuano? "Sono orgoglioso del mio percorso, fatto di tanta fatica ed esperienze in tutte le categorie. Noto che tanti tecnici rischiano di bruciarsi per inesperienza, la mia convinzione è che non si può fare il vescovo senza aver fatto prima il parroco". Ha avuto la possibilità di conoscere da vicino due 'guru' del calibro di Mourihno e Van Gaal, con quali sensazioni? "Si tratta di due grandissimi allenatori,

tra i migliori in circolazione. Hanno metodologie e caratteri completamente diversi, mi sento più vicino a Mourihno per quanto riguarda la filosofia gestionale di un gruppo". Capuano ha avuto dei miti che ne hanno influenzato la formazione? "Dire mito forse è esagerato, sicuramente reputo Sacchi un precursore. All'inizio della carriera ho tratto ispirazione dal suo modo di proporre calcio in modo innovativo e l'equilibrio tattico". Da poco compiuti 50 anni, sarebbe tempo di bilanci. Capuano però sfugge nuovamente alla normalità... "Li fa chi si guarda indietro, io invece sono sempre proiettato al futuro. Mi sento un ragazzino, mi alzo alle 7 e respiro calcio 18 ore al giorno". L'uomo dei tanti miracoli sportivi ha ancora qualche sogno nel cassetto? "Mi reputo soddisfatto per quanto fatto sinora, ma non si smette mai di imparare o sognare. Voglio vivere intensamente ogni attimo della vita, calcistica e non. E salvare l'Arezzo, sono sicuro che ce la farò anche stavolta...".

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SERIE D CIVITANOVESE

di Simone TONINATO

ORGOGLIO ROSSOBLU

CORAGGIO CITANÒ DOPO UN OTTIMO AVVIO, I PROBLEMI SOCIETARI. MA C’È IL BOMBER AMODEO A TRASCINARE I MARCHIGIANI

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itanò è il modo in cui i civitanovesi chiamano in dialetto la propria città e la propria squadra. Una compagine dalla casacca rossoblu, che da più di novanta anni, era il 1919 quando la Civitanovese venne fondata da Gerardo Bella, scalda il cuore dei propri tifosi. Qualche anno di C nel palmares e l’immensa soddisfazione di aver segnato un gol al “grande” Milan, dell’allora presidente Farina. I rossoneri, che in quell’agosto ’84 presentavano il nuovo acquisto, l’inglese Mark Hateley, si imposero per 3-1, in un “Comunale di Civitanova, pieno come un uovo” (scrisse così Ferretti, penna de “La Stampa”). Ma la Civitanovese non era stata proprio a guardare ed era anzi passata in vantaggio con Mazza, al 40’, prima di capitolare nella ripresa. Oggi la squadra marchigiana vive un momento difficile a livello societario, ma continua a lottare tra le prime, trascinata da Giovanni Amodeo, professione attaccante, che per idolo aveva proprio il successore di Hateley al Milan, Marco Van Basten. Paganini non ripete, ma Amodeo ne-

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anche. Mi spiego, ci sono calciatori “ripetitivi”, perché vestono sempre la stessa maglia, lei invece la cambia praticamente ogni anno. C’è un motivo particolare? “La vita di un calciatore, ancor più per un attaccante, dipende dalle richieste che si hanno. Se fai bene ti cercano in tanti, se fai male, la società di cui fai parte non ti tiene. E se non ti tengono devi cambiare squadra. Quando ero più giovane avevo bisogno sempre di nuovi stimoli, oggi i cambi possono essere motivati anche dalla ricerca della stabilità economica”. In questo girovagare per l’Italia mai in Piemonte, regione di nascita. Perché? “In Piemonte ho avuto solo esperienze a livello di settore giovanile, quando ero piccolo. Poi non ho mai più avuto la possibilità di giocarci, la motivazione è questa. Spesso in queste categorie ti cercano le squadre del tuo stesso girone o di un girone confinante. Mi piacciono i raggruppamenti centromeridionali perché ti portano a giocare in piazze belle, a volte anche palcoscenici calcistici importanti”. E a Civitanova, come ha vissuto questi primi mesi?

foto Fabio Burgio

Assalto ai play... poi chissà

“Siamo partiti benissimo, in ritiro c’era entusiasmo ed un progetto importante. A metà campionato ci siamo trovati ad un solo punto dalla prima, poi le vicende societarie non ci hanno consentito di avere serenità e la concentrazione è un po’ calata. Oggi la situazione è grave e non sono problematiche facili da risolvere. Mi auguro che tutto vada per il meglio e che si possa ricominciare a pensare solo al calcio giocato”. Con questo clima che si è venuto a creare, i playoff sono ancora alla vostra portata? “Oggi è difficile dirlo, non possiamo crearci obiettivi, pur avendo in squadra calciatori importanti. Siamo tutti ragazzi, adesso abbiamo tanti problemi e se non verranno risanati sarà sempre più difficile proseguire, soprattutto per chi abita lontano e per chi ha famiglia. Fino ad oggi la squadra in campo non ha risentito troppo di queste componenti e nonostante tutto siamo ancora quarti. La Maceratese è un discorso a parte, sta facendo un grande campionato e gliene va dato tutto il merito”. In fumo anche la possibilità di battere


SERIE D/ CIVITANOVESE

GIOVANNI AMODEO

foto Fabio Burgio

Dopo tanto girovagare, i gol del bomber sono arrivati a Civitanova

Ciononostante lei ha già segnato diciassette gol ed in carriera non ha mai fatto male il suo dovere, non può dipendere solo dalla fortuna. C’è un segreto? Un attaccante a cui si ispira o si è ispirato? “La chiave per me è l’esperienza. Se riesci a maturarla fin da giovane puoi diventare un gran calciatore, se la acquisisci più avanti, ti ritagli degli spazi in questi campionati che ci permettono di vivere, ma non sono certo la Serie A che sognavamo da bambini, quello è un altro calcio. L’esperienza influisce enormemente dal punto di vista della concretezza e compensa al calo fisiologico che si ha negli anni, dal punto di vista fisico. Tanto che i miei gol sono aumentati e non di-

foto Fabio Burgio

il proprio record personale di marcature in un unica stagione? “Il record è battibile, ma se tutto quello che ci circonda torna a darci serenità. Non è il mio primo pensiero, mettiamola così. Penso a questa squadra, sarebbe un peccato mettere nei guai novant’anni di storia, con questa tifoseria poi, che ha capito i problemi che stiamo vivendo e continua a sostenerci. Ho visto veramente grande passione attorno a questa squadra”.

minuiti. Da bambino amavo Marco van Basten, sono andato a vederlo diverse volte. È la prima punta per eccellenza, aveva tutto: colpo di testa, forte di piede, ottimo fisico, gran tecnica, era un calciatore totale ed un grande uomo. Degli attuali, mi piace tantissimo Ibrahimovic”. Lì davanti è meglio stare solo o in compagnia? “Sono un attaccante un po’ atipico, sono alto ma mi piace giocare palla a terra.

Mi piace avere un trequartista o una seconda punta vicino. Come assetto preferisco il 4-2-3-1 e il 4-3-1-2”. E una volta appesi gli scarpini al chiodo? “Ancora non ci penso, perché quando pensi di smettere di giocare, è l’ora che lo fai. Ho ancora voglia di giocare nel miglior modo possibile e mi auguro di chiudere la carriera fra diversi anni, il più tardi possibile”.

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I RE DEL MERCATO U. Savini e L. Pino

CI SIAMO FATTI DA SOLI

Elio Letterio Pino ed Ulisse Savini. Nomi fuori dall'ordinario ed una certezza: “Orgogliosi di quanto fatto”

di Marco CONTERIO foto Mourad Balti Touati/Photoviews

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I RE DEL MERCATO / U. sAVini e L. PINO

UN GENNAIO DA SOGNO Pino e Savini sono stati gli intermediari per Shaqiri-Inter e Salah-Fiorentina

ELIO LETTERIO PINO

ULISSE SAVINI

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I RE DEL MERCATO / U. sAVini e L. PINO

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è profumo di vernice fresca, intorno a noi. Le maglie di Mauro Icardi, di Baldè Diao Keita, di Modibo Diakité, ricordi e memorie che però devono ancora arrivare. Il nuovo ufficio della Top Eleven è come la vita di Elio Letterio Pino e di Ulisse Savini. È un work in progress continuo, dove non ci si ferma mai. Dove da un punto c'è una nuova partenza e così via. Una parola ed un occhio al cellulare. Una risposta a noi ed una ad un messaggio. Senza sosta. Però c'è anche, e soprattutto, spazio per raccontare le storie di due uomini che s'incontrano. Prima però toglietemi una curiosità: Elio Letterio ed Ulisse non sono due nomi comuni. Letterio: “Viene dalla Madonna della Lettera, la patrona di Messina. Io sono cresciuto qui, a Milano, ma i miei genitori hanno origini siciliane. Ed ho sempre vissuto nel dubbio di molti, tra quale fosse il nome e quale il cognome”. Ulisse: “Era il nome di mio nonno. I miei ICARDI E KEITA

Due dei nomi più importanti che hanno segnato la carriera dei due procuratori

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Mentre la Fiorentina Prendeva Latorre, ero certo: quello forte era Batistuta

pensarono anche di darmi un secondo nome, uno comune, ma alla fine mio padre ne scelse uno solo”. Passiamo alle vostre radici. Letterio: “Sono diplomato in ragioneria, poi per rinviare il militare mi iscrissi a giurisprudenza. Ho lavorato anche come giornalista, ma dal 1995 faccio il procuratore”.

Ulisse: “Vengo dal Molise, poi vado a vivere a Bologna. È una città che ho scelto, e che mi ha scelto, durante la gita scolastica di quarta superiore. Ho studiato e mi sono fermato lì, laureandomi in giurisprudenza nel 2002. Volevo fare l'agente, quella di poter fare l'avvocato era l'alternativa. Mi sono iscritto a magistratura, ma si studiava troppo, nonostante fossi pure bravo. E non era una


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LAUREATI IN SOGNI Nonostante gli studi, hanno deciso entrambi di seguire la propria vocazione

questione di ore sui libri, adesso lavoro pure 18 ore al giorno, ma lì solo di quello si trattava”. Parliamo del vostro amore per il football. Letterio: “Devo tutto a mio padre. A quattro anni andavo allo stadio, conoscevo a memoria tutti i giocatori. Una volta, per difendere mio padre ad un signore 'tuttologo', dissi: “se sai tutto, allora chi è il secondo del Foggia? Non lo sai? È Pietro Villa”. Ricordo che piangevo quando l'Inter perdeva e, ahimè, è capitato spesso. A vent'anni poi c'è stato un punto di svolta importante: un ristoratore mi disse 'parli sempre di calcio, ma mica ti dà da mangiare'. Gli dissi “no, ma accadrà”. Ed è successo”. Ulisse: “Capodistria faceva vedere sempre i campionati stranieri, volevo vedere se i talenti che ammiravo lì sarebbero venuti poi in Italia. Ricordo quando la Fiorentina seguiva Latorre. Mio cugino, tifoso viola, si augurava il colpo, io gli dissi: “ma no, quello forte è Batistuta”, che pure giocava punta esterna a destra”.

Ulisse: “Volevo fare l'agente a prescindere, dopo il lavoro andavo a vedere i giovani nei campetti di Pescara e dintorni visto che nel Molise, nella mia terra, non è una realtà concreta quella del calcio. Vidi una partita dove c'era Scarpello della Juventus, ed il padre cercava una squadra al ragazzo...”. Letterio: “Aggiungo: le nostre consorti sono entrambe di Cariati, ma non si

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Devo tutto a mio padre Domenico. E per Ulisse ho fatto quel che tanti non hanno fatto per me

Come vi siete incontrati?

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L'ESPERTO

Agente dal 1995, Pino confessa: "Ho pianto spesso per la mia Inter"

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IL GIOVANE

Il primo assistito di Savini è stato Diakitè. "Con lui un rapporto eccezionale"

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Legato emotivamente a Diakité, per me è stato il primo trasferimento importante conoscevano all'epoca. Scarpello era un mio assistito ma il padre disse ad Ulisse 'chiama questo signore, che è lo zio'”. E quindi? Ulisse: “Beh, non lo era...” Letterio: “Non sapeva chi fossi, mi disse di essere un agente e mi spiegò come funzionava in questi casi. Gli spiegai poi che ero io il procuratore del ragazzo, ma mi fece simpatia e tenerezza”. Come andò a finire? Letterio: “Dopo alcuni minuti mi richiamò dicendomi se poteva passare a Milano per vedermi. Mi piacque la sua intraprendenza”. Ulisse: “Poi, alla fine, portammo Scarpello al Lanciano insieme. Io cercavo chi mi potesse aiutare, Elio fu l'unico che credette in me”. Non solo agenti, non solo uomini di legge, però. Letterio: “Ho fatto le pulizie, il catering mentre mi laureavo. Ricordo una volta che provai un profondo imbarazzo perché, mentre facevo già l'agente, stavo per offrire dei pasticcini a Pasqualin che stava andando in sede all'Inter per il rinnovo di Branca”. Ulisse: “Ho fatto la sicurezza nei locali, ma sono stato cacciato, perché ero sempre al telefono coi ragazzi che assistevo... E poi di tutto, ho consegnato anche le pizze a domicilio. Facevo lavori per mantenermi e per vivere”. Come hanno visto le vostre famiglie questo lavoro? Ulisse: “Vengo da una famiglia bene. Non mi è mai mancato niente, quando lasciai gli studi per la magistratura per dedicarmi al lavoro di agente mio padre mi disse che avevo scelto la mia vita, ma che da quel momento dovevo arrangiarmi senza i soldi di famiglia. Beh, oggi è

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Icardi è un ragazzo fantastico, non fermatevi solo alla sua immagine una soddisfazione esserci riuscito con le mie gambe, aver scelto la mia strada, ed anche lui è ben orgoglioso che ce l'abbia fatta”. Letterio: “Chiudo un cerchio: chi mi ha aiutato di più è stato mio padre Domenico. E lui sa bene perché”. Forse anche per questo vi siete scelti. Letterio: “Sono figlio di un bancario, non ho mai avuto un padre dirigente o calciatore. Ho fatto per lui quello che nessuno ha mai fatto per me, anche se ho avuto grandi consigli e supporti da persone come Antonio Dell'Aglio, dello studio Branchini. È stata dura, all'inizio, ricordo una Solbiatese-Varese Berretti. Avevo mille lire in tasca, non potevo neanche pagare il caffè ai genitori dei miei ragazzi. Mi nascondevo, a fine gara sono andato in auto e sono scoppiato a piangere. Così ho chiesto un segnale, se stessi sbagliando strada, ma da quel giorno è sempre successo qualcosa di bello”. Partiamo, ora: chi il vostro primo giocatore? Letterio: “Giuseppe Pellegrini, un '78 dell'Inter. Gran fisico e qualità, ma ricordo ancora un episodio del mio passato: nella finale del Viareggio del 2000, avevo sette undicesimi dell'Inter titolare”. Ulisse: “Modibo Diakité, classe '87 del Pescara. Era in una squadra spettacolare, con Aquilanti, Carrozza, Ciofani, Paolucci, Artipoli, Aridità, Balzano”. Come si sviluppa il vostro percorso? Letterio: “Per due anni e mezzo mi aiuta Dell'Aglio, poi per altrettanto tempo lavoro con Fioranelli, Morabito e Vigorelli. In seguito, collaboro in società con Sauro Catellani”. Ulisse: “E dal 2011 inizia il nostro percorso insieme, quando costituiamo la Top Eleven, dove siamo soci al cinquanta per cento”. Letterio: “E ci tengo a dire una cosa:

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Ulisse è stato sempre una persona corretta, cosa non banale e scontata. I miei giocatori avevano finito o stanno finendo un ciclo. I suoi, quelli che aveva contrattualizzato lui, sono nostri. Insieme”. Parliamo di Icardi? Ulisse: “Parte da una segnalazione di Nunzio Marchione, che collaborava con noi e viveva a Barcellona. È una sua intuizione: ce lo descrisse come crack, mentre giocava con le giovanili del Barcellona. Elio andò là con Riccardo Pecini, della Sampdoria, all'epoca non conoscevamo quello che anche oggi è il suo agente, e con cui collaboriamo, Morano. Andammo a vederlo per conto del Doria, contro l'Espanyol, ma non giocava. C'era Thiago Alcantara falso nueve, per fortuna poi entrò...”. Letterio: “E piacque a Pecini, l'uomo che l'ha portato in Italia. Lì abbiamo anche iniziato il percorso con Morano. Adesso siamo gli intermediari ufficiali nelle trattative per il ragazzo”. Che tipo è Icardi? Letterio: “Un ragazzo fantastico, che stride con l'immagine che in molti si sono fatti di sé. È generoso, bravo, altruista. Vederlo coi bambini intorno è meraviglioso, commovente”. Ulisse: “Ho un ricordo di Mauro. Giocava nella Primavera della Samp, fece quattro gol col Sassuolo e i blucerchiati volevano mandarlo nell'Under 19 dell'Italia. Lo presi dopo la partita e venne a casa mia: era triste, disse subito di no perché si sentiva, e chiaramente si sente, argentino. Insomma, eravamo da me e vedemmo Barça-Madrid, lui tifoso dei blaugrana e io dei Blancos. In spagnolo, ma vincemmo noi... Per questo non vede più il Barcellona da me”. Savini, tolga una curiosità: ma è stato lei il primo agente di Angelo Ogbonna? Ulisse: “È stato il mio secondo giocatore dopo Diakité. Lo contattai quando era alla Primavera del Torino. Insieme abbiamo firmato il primo contratto pro, quello con la Nike ed anche il contratto coi granata che ha avuto sino al trasferimento alla Juventus. Cambiò agenti, poi, passando a Giovanni Branchini, ma anche con lui ci siamo perfettamente chiariti e collaboriamo in tante operazioni all'estero”. Come Shaqiri, dal Bayern Monaco

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Con Icardi e Keita in Spagna, grazie a Marchione, abbiamo aperto una nuova strada

INTUIZIONE SHAQIRI

Conosciuto ai tempi del Basilea, sono stati intermediari del passaggio dell'esterno in nerazzurro

all'Inter. Elio: “Il rapporto con Xherdan nasce ai tempi del Basilea. Lo proponemmo in Italia 3 anni fa, l'Inter era interessata ma il Bayern lo prese”. Ulisse: “Nella trattativa per Shaqiri all'Inter, adesso, ho imparato da un maestro come Branchini delle cose che neanche immaginavo esistessero. Certo, se mi guardo indietro, in vita mia sono stato un pazzo suicida, ma anche bravo, fortunato e con quella presunzione giusta che mi è poi servita”.


I RE DEL MERCATO / U. sAVini e L. PINO

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Ho fatto di tutto in vita mia per mantenere questo segno: anche sicurezza e consegna pizze

importante, i miei primi soldi veri, il primo giocatore in A. È stato il primo per tante cose”. Sempre in casa Lazio, passiamo a Keita. Letterio: “Un altro talento segnalatoci da Nunzio Marchione. È stata una grande operazione”. Ulisse: “Strategicamente, una delle migliori. In Spagna, un giovane si può solo cedere e non dare in prestito, per questo intervenimmo per portarlo alla Lazio. Ed abbiamo aperto la strada per molti altri, in una metodologia dove però in pochi altri hanno avuto successo”. Letterio: “Come qualità prezzo, sono state grandi operazioni. È facile prendere questi ragazzi a cinque milioni, difficile portare Tounkara alla Lazio per 50mila euro ed Icardi alla Sampdoria per 300mila euro”. Ed ora, dove vi porta il futuro? Ulisse: “Mi piacerebbe fare il ds, non l'agente per tutta la vita. Però adesso è bellissimo e la nostra idea è lavorare sui campionati più importanti, concentrandoci sui top e sulle mediazioni”. Letterio: “Continuerò un po' di anni, ma mi piacerebbe poi fare esclusivamente l'osservatore. Un agente non deve esserlo per forza ma per me, per noi, anche grazie a Nunzio, è stato un valore aggiunto”.

FUTURO E AMBIZIONI "Un giorno mi piacerebbe fare il ds -dice Savini-. Ma non è ancora il momento"

Un gennaio ricco: anche Salah alla Fiorentina. Letterio: “Abbiamo conosciuto Cristina Marice che gestiva il ragazzo ed abbiamo avuto il mandato per l'Italia. È stata una fortuna che i viola abbiano creduto in lui, i risultati gli stanno dando ragione”. Parliamo di Diakité, Savini? Ulisse: “È uno di famiglia, quello a cui emotivamente sono più legato. Per Modibo metto da parte anche la professionalità. È stato il mio primo trasferimento

Il rimpianto più grande? Letterio: “Luis Jimenez. Era un giocatore top, ma i nostri percorsi non sono andati avanti insieme e non ha avuto il successo meritato”. Ulisse: “Diakité al Napoli. Era fatta, poi è saltato tutto. E sarebbe stata un'altra carriera, anche se Cagliari, adesso, è un gran bel punto di ripartenza”.

Intervista di Marco Conterio

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I GIGANTI DEL CALCIO ROBERTO PRUZZO

L’UNICO VERO BOMBER

Faccia a faccia con Pruzzo, l'uomo che ha segnato anche cinque gol in una sola gara...

di Fabrizio PONCIROLI foto Mourad Balti Touati/Photoviews

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I GIGANTI DEL CALCIO / ROBERTO PRUZZO

GOLEADOR DI RAZZA Ovunque è stato, Pruzzo ha sempre segnato gol importanti...

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I GIGANTI DEL CALCIO / ROBERTO PRUZZO

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iciamolo… Per chi l’ha visto giocare, Pruzzo non può essere considerato un attaccante come tanti altri. Davanti alla porta, O Rey di Crocefieschi era glaciale, efficace, unico. Un bomber di quelli che sanno mettere la palla in fondo alla rete. Per anni ho sentito mio padre lamentarsi per “…la scelta di Bearzot di lasciare a casa Pruzzo, uno che vale dieci Rossi…”. Lo incontro, grazie all’amico Dario Zanotto, uno che di calcio ne sa parecchio, all’Hotel Melià a Milano. Lui è il “Bomber” (titolo della sua autobiografia), uno che ha saputo segnare cinque gol in una partita, uno degli artefici dello scudetto della Roma 1982/83, uno che giocava per passione… “Ieri c’è stato un servizio su Sky sullo scudetto della Roma 1982/83… Mamma mia che flash rivedersi in campo, davvero un flash. Che squadra però… Quando c’è il Barone di mezzo, è sempre fantastico…”. L’intervista non è ancora cominciata e già abbiano uno spunto. Il ricordo della Roma di Liedholm, un

pezzo di storia del nostro calcio. Ma ci arriveremo… Roberto, spiegaci questa leggenda metropolitana secondo la quale non volevi fare il calciatore… “No, non è che non volevo fare il calciatore. Io volevo giocare a calcio, non avevo l’obiettivo dichiarato di diventare qualcuno, semplicemente mi piaceva giocare a calcio, tutto qua. Non ho mai pensato a cosa avrei potuto fare di diverso, visto che a 15 anni ero già nel giro del calcio che contava”. Quando hai capito che il calcio sarebbe stato il tuo vero mestiere? “Quando solo andato a Genova ho capito che potevo fare qualcosa di importante. Quando a 17 anni giochi in Serie A, ecco lì capisci che sei arrivato ad un certo livello. Se poi iniziano anche a darti dei soldi, beh allora è proprio fatta”. Come dicevi, hai iniziato prestissimo a calcare i campi della Serie A. Mai sentito la pressione? “Mai avuto pressione, zero. Era talmente un fatto naturale che non ci pensavo

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Quando a 17 anni giochi in Serie A, ecco lì capisci che sei arrivato ad un certo livello neanche. Fino a quando non ho giocato con la Nazionale militare, a 20 anni, ho sempre giocato con la testa libera. Mi veniva tutto naturale. Poi, piano piano, tutto cambia”. Dopo Genova, ecco l’approdo a Roma per circa tre miliardi di vecchie lire… “Mi pare un po’ meno ma, comunque, erano parecchi soldi. Credo che, dopo Savoldi al Napoli, fosse il trasferimento più costoso all’epoca. Devo essere sincero, al tempo non ho dato tanto peso ai soldi. Ho solo pensato che andavo in una squadra scarsa (ride, ndr) perché, ve lo assicuro, la prima Roma che ho trovato non era di primissimo livello”.

ASSI DELLA ROMA

foto Fornasari

Pruzzo e Conti, due degli assi della Roma dello scudetto 1982/83...

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I GIGANTI DEL CALCIO / ROBERTO PRUZZO

BOMBER GIALLOROSSO

foto Agenzia Liverani

Dieci stagioni in giallorosso, con tanti gol e trofei...

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I GIGANTI DEL CALCIO / ROBERTO PRUZZO

AUTOBIOGRAFIA ALLA PRUZZO Da non perdere il libro firmato dal bomber...

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Lo scudetto? Vincerlo è stato incredibile. Tra l’altro l’abbiamo vinto contro il mio Genoa Spiegaci meglio… “Beh, tieni conto che, due anni prima, dovevo andare alla Juventus. Poi c’è stato il Milan. Alla fine Moggi ha avuto un’intuizione fantastica, ovvero pensare che anche a Roma si potesse vincere lo scudetto. Hanno lavorato bene e si sono mossi per allestire una squadra importante. Il primo anno, però, è stato drammatico, la squadra non c’era, ci siamo salvati dalla retrocessione per un mio gol. Per questo dico che era una squadra scarsa… “. Poi tutto è cambiato… “Sì, assolutamente. E’ cambiato tutto nel giro di poco tempo. Con l’arrivo di Viola e Liedholm, la Roma ha cambiato pelle. Quel duo ha fatto volare la Roma. Ogni anno arrivavano giocatori importanti, uno o due alla volta, per continuare nella crescita del gruppo. Con Liedholm alla guida, la mentalità è cambiata e abbiamo cominciato a vincere. Prima le Coppa Italia e poi è arrivato lo scudetto. Poi ci sarebbe anche la questione Coppa Campioni (persa in finale contro il Liverpool ndr)…”. Ecco, parliamo della Coppa Campioni “Momento più triste della mia carriera. Se ci penso ancora oggi, mi girano i cog….i. Tra l’altro io ho lasciato la cosa a metà. Avevo fatto gol ma sono dovuto uscire per infortunio ed è stata durissima. Credo che in quella serata si sia conclusa la nostra era”. Per fortuna c’è sempre il ricordo dello scudetto del 1982/83… “Vincerlo è stato incredibile. Tra l’altro l’abbiamo vinto a Genova, la squadra che mi aveva lanciato nel calcio che conta. Comunque, in tutti i 10 anni di Roma, non ho mai rimpianto di non essere andato altrove. A Roma ho trascorso anni

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I GIGANTI DEL CALCIO / ROBERTO PRUZZO

“” Coppa Campioni? Momento più triste della mia carriera. Se ci penso ancora oggi, mi girano i cog….i

SEMPRE IN CORSA

Momenti dell'intervista, anche con l'amico Dario Zanotto

bellissimi, indimenticabili”. Ora voglio sapere dei benedetti cinque gol rifilati all’Avellino… “Giornata sfigatissima (ride ndr). Ma no, sono arrivati quasi per caso, uno dietro l’altro. Tra l’altro potevo fare anche il sesto…”. Poi hai chiuso la tua carriera a Firenze. Che ricordi hai di quella stagione? “Bellissima esperienza. Ho avuto Eriksson come allenatore che avevo già avuto a Roma. Qualche problema con lui l’avevo avuto, ma a Firenze abbiamo risolto tutto. Io abito a Lucca e facevo il pendolare di lusso. C’era gente come Borgonovo, Baggio, Dunga, quest’ultimo un personaggio davvero clamoroso. Ricordo il mio gol, l’ultimo della mia carriera, ironia della sorte segnato contro la Roma. Il modo migliore per chiudere”. Hai giocato con tanti campioni, me ne dici due o tre fuori categoria… “Vero, se ci penso, ho giocato con tantissimi campionissimi. Sul podio ci metto sicuramente Baggio. Roby è stato, a mio avviso, il migliore con cui abbia mai giocato. Un talento pazzesco. Poi ci metto Bruno Conti, un grande compagno e un fuoriclasse nel suo ruolo. Poi ci metto un altro calciatore, con cui ho giocato solo in Nazionale militare. Dico D’Amico, un talento senza eguali. Tecnicamente incredibile. Come stranieri, dico Falcao. Era un grande in tutto, completo, uomo squadra e goleador. Poi ci sarebbero Cerezo, Dunga, Voeller, stranieri davvero tantissimi ma Falcao lo metto al primo posto”. Lo segui ancora il calcio oggi? “Per vedere una partita intera ce ne vuole… se è una grande partita magari la seguo, ma non sono mai stato uno che

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I GIGANTI DEL CALCIO / ROBERTO PRUZZO

CRESCIUTO NEL GENOA

foto Agenzia Liverani

Con il Grifone, Pruzzo è diventato un grande giocatore...

RAZZA DI BOMBER Di Fabrizio Ponciroli

Numeri eccezionali per un attaccante eccezionalE

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ruzzo è un’istituzione nel mondo del calcio. Negli anni ’70 e ’80, a dettare leggere era lui, il ragazzo di Crocefieschi. Che sia dotato di grandi qualità lo si comprende subito. Nel 1973 fa il suo esordio in Serie A, con la casacca del Genoa. Il suo primo gol nel massimo campionato arriva nell’ottobre del 1976, contro la Roma, la squadra del futuro. Nel 1978, infatti, dopo 57 gol, in 143 gare con il Grifone, passa ai giallorossi. Con la squadra capitolina è amore a prima vista. Vince il titolo di capocannoniere tre volte (1981, 1982, 1986), conquista scudetto (1982/83) e quattro Coppa Italia (1980, 1981, 1984, 1986). Segna la bellezza di 138 gol (di cui 106 in Serie A), con la Roma, tra cui la famosa rete che salva i giallorossi dalla retrocessione nell’orribile annata 1978/79 (contro l’Atalanta), il gol scudetto nella sfida contro il Genoa,

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sua ex squadra e pure la fantastica e leggendaria cinquina ai danni dell’Avellino nella stagione 1985/86. Momenti bellissimi con una sola macchia: la finale di Coppa Campioni del 1983/84 persa contro il Liverpool ai rigori. Conclude la sua ineguagliabile carriera con la Fiorentina. Una sola stagione (1988/89), solo 13 presenze, nessuna rete in campionato ma con, però, il pesantissimo gol nello spareggio Uefa a Perugia, contro il vecchio amore giallorosso, che vale l’accesso alla Coppa Uefa ai viola di Eriksson (dall’altra parte, a guidare la Roma, Liedholm, l’allenatore più amato e rispettato da Pruzzo). Splendido nelle squadre di club, meno fortunato con la Nazionale. L’esordio avviene presto, nel 1978, contro la Turchia. Nel 1980 viene convocato per gli Europei ma non vede mai il campo. Per i Mondiali del 1982 sembra certa una sua chiamata ma, a sorpresa, Bearzot lo lascia a casa. Nel 1986, Mondiali del Messico, altra chance. E’ il capocannoniere del campionato ma, ancora una volta, non fa parte della spedizione azzurra. In totale disputa solo sei gare con l’Italia: “Ho avuto qualche occasione ma non l’ho sfruttata. Capita. Di sicuro, dopo quanto accaduto nel 1982, il rapporto era ormai incrinato e quindi sapevo che non sarei più tornato nel giro azzurro”, ci confida. Pruzzo tenta poi anche la carriera da allenatore e dirigente. Ma, come riferisce Dario Zanotto, da sempre al suo fianco, “…il bomber è nato per segnare”.


I GIGANTI DEL CALCIO / ROBERTO PRUZZO

LA CINQUINA A ZANINELLI Di Thomas Saccani

Ci sono imprese destinate a restare nella storia del calcio per sempre… record, si sa, sono parte integrante del calcio. Un primato, molto spesso, equivale a diventare immortali. Se poi si compie qualcosa di eccezionale nella categoria dei gol, l’anima del pallone, è chiaro che la cassa di risonanza aumenta in maniera vertiginosa. Quello che ha combinato Pruzzo il 16 febbraio del 1986 è una di quelle imprese che ti rendono leggenda. La Roma di Eriksson sfida, all’Olimpico, l’Avellino del tecnico Robotti. Non una squadra malvagia quella irpina, come dimostra la presenza nell’undici iniziale di gente come Amodio, De Napoli, Batista, Diaz e Bertoni. Tuttavia, in quella giornata, Pruzzo è pressoché inarrestabile. Al 15’ 1-0, segna Pruzzo su rigore. Pareggio di Diaz al 27’. Nella ripresa Pruzzo si scatena. Va in rete al 58’, al 69’, all’86’ e, dulcis in fundo, anche all’89, ancora su calcio di rigore. Zaninelli, portiere dell’Avellino, è incredulo. Cinque gol subiti sono tanti, se poi te li segna sempre lo stesso giocatore, beh, allora fa davvero male. Pruzzo, nell’immediato, non si rende conto di quanto è riuscito a combinare. Non sa che l’ultimo ad aver segnato un pokerissimo in Serie A era stato un certo Kurt

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Hamrin, circa 22 anni prima (Atalanta-Fiorentina 1-7). Ma, con il passare del tempo, la sua impresa contro l’Avellino acquista sempre più importanza. Gli anni passano e nessuno riesce a fare altrettanto: “Può capitare a chiunque di fare gol ma cinque insieme non è che capiti proprio a tutti…”, ci spiega. E, in effetti, prima di assistere ad una performance simile bisogna attendere oltre 27 anni. L’incantesimo viene spezzato da Klose che, nel 6-0 rifilato dalla sua Lazio al Bologna, trova la via della rete per ben cinque volte. Fantastico, meraviglioso. Un’altra prestazione da leggenda. Il 14esimo giocatore a riuscirci. Ecco, poi ci sarebbero Silvio Piola e Omar Sivori, ancor più in alto, con sei gol in singolo match (primato assoluto nel nostro campionato). Comunque stiamo sempre parlando di record di notevole peso specifico. Certo, se paragonati a quanto ha combinato tale Panagiotis Pontikos, sembrano di poco valore. Di ruolo attaccante, classe 1979, il cipriota in questione, nel magico giorno del 7 maggio 2007, ha stabilito un record destinato a restare negli annali del calcio a lungo. Nella sfida tra l’Olympos Xylofagou, la sua squadra) e , valida per la terza divisione del non irresistibile campionato cipriota, il buon Pontikos ha messo a segno la bellezza di 16 gol nel 24-3 finale con cui l’Olympos Xylofagou ha asfaltato gli avversari. Dopo aver messo a segno quattro gol nella prima frazione, Pontikos si è scatenato nella ripresa, con altre 12 reti a sua firma, per un totale di 16 centri. Superato, così, il precedente record che apparteneva ad Archie Thompson: 13 gol nel confronto tra la sua Australia e Samoa Americane (31-0)…

TUTTI I GOL DI PRUZZO in serie a Stagione

Squadra

1973-1974 1974-1975 1975-1976 1976-1977 1977-1978 1978-1979 1979-1980 1980-1981 1981-1982 1982-1983 1983-1984 1984-1985 1985-1986 1986-1987 1987-1988 1988-1989

Genoa Genoa Genoa Genoa Genoa Roma Roma Roma Roma Roma Roma Roma Roma Roma Roma Fiorentina

Serie Presenze A B B A A A A A A A A A A A A A

19 33 32 30 29 29 28 28 26 27 27 21 24 19 11 13

Reti 0 12 18 18 9 9 12 18 15 12 8 8 19 4 1 0

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L'ULTIMO ACUTO VIOLA

foto Agenzia Liverani

Un suo gol, alla Roma, ha portato la Fiorentina in Uefa..

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I GIGANTI DEL CALCIO / ROBERTO PRUZZO

ANCORA TANTO DA FARE

Pruzzo ha diversi progetti da portare avanti, sempre di corsa...

guarda tanto calcio in tv…”. Cambiato tanto il calcio rispetto ai tuoi tempi? “Ma sai, ai miei tempi c’erano due stranieri per squadra e 15 giocatori in rosa, ora sono 15 stranieri e 30 in rosa. Ai miei tempi si vedevano più facilmente quelli scarsi, ora è più complicato. Ecco, il fatto che ci siano così tanti stranieri, secondo me, non aiuta, anche se mi rendo conto che non è semplice tornare indietro. Sarebbe bello vedere rose da 25 giocatori, con 20 italiani e cinque stranieri ma, ripeto, so che non è facile”.

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Sul podio dei migliori ci metto Baggio. Roby è stato, a mio avviso, il migliore con cui abbia mai giocato

Non facile il lavoro di Conte… “Assolutamente, credo che questa sia la Nazionale più scarsa di sempre. Ai miei tempi la qualità era nettamente superiore, potevi scegliere tra tanti italiani di qualità, ora ti accontenti di quello che hai”.

è stato dipinto nel corso degli anni. Probabilmente non aver giocato in squadre come Inter, Milan o Juventus magari ha influito. In quel periodo andavano di moda i blocchi. Ecco, il fatto che fossi capocannoniere da due anni, forse quello un po’ stonava con le scelte del Ct”.

Parlando di Nazionale.. Hai mai capito perché non sei andato al Mondiale del 1982? “No, non ho mai avuto l’occasione di chiarirmi con Bearzot. Onestamente non credo sia stato un grande scandalo come

Roberto che mi dici della tua autobiografia… “Mi è stata proposta questa opportunità e mi è sembrata una buona idea. È stato bello perché ho potuto ricordare un sacco di persone e, alla fine, ho parlato

di chi sono veramente, che è quello a cui tenevo di più. In tanti hanno sottolineato la parte in cui ho fatto riferimento al suicidio. Personalmente credo che capiti a chiunque, nel corso di una vita, di fare certi ragionamenti. Non credo di essere un’eccezione. Certo poi c’è anche chi non riflette su certe cose e va bene anche così. Comunque, al di là di questo polverone, sono contento perché, chi l’ha letto, l’ha trovato molto interessante”. Ed era normale che fosse così… Quando hai di fronte Pruzzo, nulla è banale.

Intervista di Fabrizio Ponciroli

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SPECIALE STORIA COPPA DEI CAMPIONI IL GRANDE Müller

Attaccante glaciale, uno dei punti di forza dei bavaresi

ANCORA BAYERN Bis per i bavaresi del duo Beckenbauer-Muller. Niente impresa per la sorpresa Leeds di Gabriele PORRI

foto Agenzia Liverani

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l 1974 è l’anno del calcio tedesco: il Bayern ha vinto la sua prima Coppa dei Campioni e dato sei uomini alla Nazionale che, proprio a Monaco, ha ottenuto il suo secondo titolo mondiale sconfiggendo l’Olanda. Anche la Coppa delle Coppe va a una tedesca, ma d’Oltrecortina: il Magdeburgo, anch’esso serbatoio della Germania Est

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che, unica volta nella storia, si è qualificata per la fase finale dei Mondiali e vince lo scontro fratricida di Amburgo. Il duello prosegue in Coppa Campioni, Bayern e Magdeburgo vengono sorteggiate insieme agli ottavi…, ma fermiamoci un attimo e facciamo un piccolo passo indietro. L’edizione 1974-75 della Coppa Campioni passa alla storia come l’unica senza squadre italiane. La Lazio scudettata di Maestrelli e Chinaglia è stata squalificata dalla UEFA

per gli episodi di violenza nella gara con l’Ipswich, sedicesimi di Coppa UEFA 73-74. I biancocelesti hanno perso 4-0 all’andata, ma a Roma vanno sul 2-0 alla mezzora. Nella ripresa, l’arbitro concede un rigore agli inglesi e viene spintonato dai giocatori laziali che lo fanno cadere. L’arbitro, per svelenire il clima, non interrompe il match, concede un rigore anche alla Lazio e convalida il 4-1 di Chinaglia in netto off-side. Al fischio finale dalle tribune viene lanciato


SPECIALE COPPA DEI CAMPIONI/ 1974-1975

di tutto e ci sono incidenti con feriti sia tra i tifosi che nelle forze dell’ordine, sugli spalti e fuori. Inevitabile la decisione UEFA: un anno senza coppe. Poche sono le squadre che possono insidiare il Bayern. In pole troviamo il Barcellona, al rientro tredici anni dopo la finale persa col Benfica. È un Barça olandese, con Michels in panchina, Cruyff e Neeskens che cercano di rinverdire in Catalogna i successi dell’Ajax. C’è il Leeds United, che ha vinto il suo secondo titolo nell’anno di una clamorosa retrocessione del Manchester UTD, ma in estate deve subire lo “choc” della partenza di Don Revie verso la Nazionale, con l’ingaggio di Nigel Clough. I 44 giorni di Clough al Leeds sono narrati nel libro di David Peace “Il Maledetto United”, che evidenzia la profonda spaccatura tra il manager e i suoi “odiati” giocatori. Al posto di Clough viene ingaggiato Jimmy Armfield, ma nel primo turno sulla panchina del Leeds siede il “traghettatore” Maurice Lindley, vecchio vice di Don Revie, che elimina lo Zurigo senza grossi problemi. Sono poche le sorprese e poche le sfide equilibrate dei sedicesimi. Spicca la qualificazione dell’Olympiacos ai danni del Celtic, quella per i gol in trasferta dell’Anderlecht sullo Slovan Bratislava, mentre il Saint-Étienne estromette lo Sporting Lisbona. La manifestazione entra nel vivo agli ottavi, con lo scontro fratricida tra tedeschi a cui abbiamo già accennato. Il Bayern vi arriva senza Breitner, ceduto in estate al Real Madrid e nel pieno di una crisi in Bundesliga. Anche la sfida col Magdeburgo sembra mettersi male, un’autorete di Hansen e una rete di Sparwasser portano i sassoni avanti 2-0 all’Olympiastadion, ma nella ripresa Gerd Müller rimette le cose a posto e i bavaresi ribaltano il punteggio. Al ritorno Müller inizia da dove aveva terminato, realizzando una doppietta e chiudendo il discorso: non basta il singolo gol di Sparwasser. In Bundesliga, però, le cose precipitano e il quattordicesimo posto con cui il Bayern chiude l’andata provoca le dimissioni di Lattek. Al suo posto, i bavaresi assumono il giramondo Dettmar Cramer, (Giappone, Egitto, Stati Uniti, Malesia, Tailandia e Corea del Sud le sue tappe). È soprannominato “Napoleone” per la bassa statura, ma anche “Il Professore”. Le cose non migliorano di molto in Bundesliga, alla fine il Bayern sarà de-

cimo, ma prosegue il dominio europeo. Intanto, si qualificano ai quarti anche il Ruch Chorzow, facile sul Fenerbahçe e i campioni sovietici, gli armeni dell’Ararat Erevan. Un complessivo 3-0 promuove sia l’Atvidaberg nella sfida nordica con l’HJK Helsinki, sia il Barcellona con il Feyenoord dove, nel derby di Neeskens e Cruyff emerge Rexach. Sono gli ottavi delle rimonte, riuscite e mancate. Il Saint-Étienne a mezzora dalla fine è sotto 2-5 nel totale, dopo l’1-4 di Spalato contro l’Hajduk di Tomislav Ivic e l’1-1 casalingo: Jovanic segna al 60’, un solo minuto e lo imita Bathenay, seguono il rigore di Bereta e la rete di Yves Triantafylos. È lo stesso franco-greco a realizzare la rete decisiva nel primo tempo supplementare. Al contrario, una tripletta di Galakos sul neutro di Patrasso non basta per pareggiare i conti all’Olympiakos, sconfitto 5-1 all’andata dall’Anderlecht. Va bene anche al Leeds, che vince entrambe le sfide con lo Ujpest, nonostante all’andata perda McKenzie, espulso dopo un quarto d’ora. Di Lorimer, Fazekas e McQueen i gol per il 2-1 inglese; il Leeds poi si conferma a Elland Road dove si impone 3-0. La legge del 3-0 vale anche ai quarti di finale, con l’Anderlecht va a segno anche lo “Squalo” Joe Jordan, insieme ai soliti McQueen e Lorimer. Anche questa volta la squadra del West Yorkshire ottiene una vittoria – di misura – in trasferta e arriva in semifinale senza troppi patemi, così come il Barcellona contro l’Atvidaberg: 5-0 totale. Il Bayern affronta l’Ararat prima a Monaco, sconfiggendo gli armeni con i gol di Uli Hoeness e Torstensson e resiste al ritorno a Erevan, 1-0 con la rete di Arkady Andriasyan, che sarà negli anni anche allenatore e vice-presidente del club. Passa anche il Saint-Étienne, ancora una volta costretto a rimontare. Stavolta la vittima è il Ruch Chorzow, che dopo 60’ della gara di andata conduce 3-0. Le reti sono di Larqué e ancora di Triantafylos, prelevato dall’Olympiacos, ma che da giovanissimo aveva disputato due partite con i Verts nella vittoriosa stagione 1966-67. Al “Geoffroy Guichard” segna Janvion dopo pochi minuti, basterebbe per passare in semifinale, ma la situazione resta in bilico fino al rigore di Revelli, a sei minuti dalla fine. A Leeds va in scena il primo atto tra lo United e il Barça. Detto della forza dei

catalani, anche il Leeds è squadra solida e trova subito il gol con Bremner, servito di testa da Jordan. I Blaugrana pareggiano con Asensi su assist di Cruyff e il gol nel finale è di Allan Clarke, su cross di Reaney. Il vantaggio è risicato, ma il Leeds si porta al comando anche al Camp Nou nei minuti iniziali e sembra tenere sotto controllo la sfida. Verso la metà della ripresa tuttavia McQueen viene espulso per fallo di reazione, il Barcellona pareggia e si porta a un solo gol dal supplementare, ma le parate di Stewart portano il Leeds alla finale di Parigi. L’altra semifinale è una rivincita per il Bayern, contro il Saint-Étienne che, primo avversario incontrato nel 69-70, all’esordio in Coppa Campioni, l’aveva eliminato, ovviamente in rimonta. Questa volta la migliore organizzazione di gioco di capitan Beckenbauer e compagni ha la meglio. In Francia finisce 0-0, ma al ritorno l’equilibrio si spezza dopo soli due minuti, con un bel diagonale di “Kaiser” Franz dopo una serpentina tra le maglie avversarie. Dürnberger raddoppia e il Bayern va in finale. La sede, per il ventennale della Coppa, è la stessa dell’edizione inaugurale: il Parco dei Principi a Parigi. La partita non è delle migliori, come spesso capita nelle finali, ma il comportamento dei tifosi inglesi e alcune decisioni dell’arbitro francese Kitabdjian l’hanno resa una delle più controverse. Yorath entra su Andersson per fagli male e il terzino del Bayern deve abbandonare il campo dopo soli 4’ (nessun provvedimento contro l’attaccante inglese). Il Leeds prende in mano le redini del gioco, poi il direttore di gara nega due rigori al Leeds, uno per fallo di mano di Beckenbauer e l’altro per una trattenuta dello stesso capitano bavarese, netta, come lo stesso Franz ammetterà in seguito. Nella ripresa, Lorimer viene fermato mentre è lanciato a rete per un fuorigioco dubbio e i tifosi inglesi dietro la porta di Maier cominciano a lanciare oggetti. Cramer, che ha esaurito i cambi nel primo tempo mettendo Wunder al posto dell’acciaccato Hoeness, arretra Müller e trova i gol negli ultimi minuti, con Roth servito da Torstensson e con lo stesso Gerd in contropiede. In un clima pesantissimo, tra il lancio di seggiolini e razzi e gli scontri dei tifosi inglesi con la polizia parigina, Franz Beckenbauer alza la coppa per il secondo anno di fila.

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SEMIFINALE 1

SEMIFINALE 2

FINALE

LEEDS UNITED-BARCELLONA 2-1 (1-0)

SAINT ETIENNE-BAYERN MONACO 0-0

BAYERN MONACO-LEEDS UNITED 2-0 (0-0)

Mercoledì 9 aprile 1975, ore 19:30 LEEDS (Stadio "Elland Road") Arbitro: Vital LORAUX (BEL) Spettatori: 50.393

Mercoledì 9 aprile 1975, ore 20:30 SAINT-ETIENNE (Stadio "Geoffroy Guichard") Arbitro: Walter HUNGERBÜHLER (SUI) Spettatori: 35.200

Mercoledì 28 maggio 1975, ore 20:15 PARIGI (Stadio "Parco dei Principi") Arbitro: Michel KITABDJIAN (FRA) Spettatori: 48.374

LEEDS UNITED: David STEWART, Paul REANEY, Frank GRAY, William BREMNER (cap.), Gordon MC QUEEN, Paul MADELEY, Terence YORATH, Allan CLARKE, Joseph JORDAN, John GILES, Edwin GRAY Commissario tecnico: James ARMFIELD.

SAINT ETIENNE: Ivan CURKOVIC, Pierre REPELLINI, Gerard FARISON, Osvaldo PIAZZA, Christian LOPEZ, Gerard JANVION [81' Alain MERCHADIER], Patrick REVELLI, Jean Michel LARQUÉ (cap.), Yves TRIANTAFYLOS, Hervé REVELLI, Christian SYNAEGHEL [62' Dominique BATHENAY] Commissario tecnico: Robert HERBIN.

BAYERN MONACO: Josef MAIER, Bernd DÜRNBERGER, Björn ANDERSSON [4' Josef WEISS], Georg SCHWARZENBECK, Franz BECKENBAUER (cap.), Franz ROTH, Conny TORSTENSSON, Rainer ZOBEL, Gerhard MÜLLER, Ulrich HOENESS [38' Klaus WUNDER], Hans-Josef KAPELLMANN Commissario tecnico: Dettmar CRAMER.

BAYERN MONACO: Josef MAIER, Bernd DÜRNBERGER, Björn ANDERSSON, Georg SCHWARZENBECK, Franz BECKENBAUER (cap.), Franz ROTH, Conny TORSTENSSON, Hans-Josef KAPELLMANN, Gerhard MÜLLER, Ulrich HOENESS, Klaus WUNDER Commissario tecnico: Dettmar CRAMER.

LEEDS UNITED: David STEWART, Paul REANEY, Frank GRAY, William BREMNER (cap.), Paul MADELEY, Norman HUNTER, Peter LORIMER, Allan CLARKE, Joseph JORDAN, John GILES, Terence YORATH [75' Edwin GRAY] Commissario tecnico: James ARMFIELD.

Reti: 10' William BREMNER, 65' Juan Manuel ASENSI, 78' Allan CLARKE.

Reti: 71' Franz ROTH, 82' Gerhard MÜLLER. Ammoniti: 11' Paul REANEY, 22' Georg SCHWARZENBECK, 80' Norman HUNTER.

Ammonito: 64' Klaus WUNDER. Ammonito: 66' Allan CLARKE.

BAYERN MONACO-SAINT ETIENNE 2-0 (1-0)

Mercoledì 23 aprile 1975, ore 20:45 BARCELLONA (Stadio "Nou Camp") Arbitro: Erich LINEMAYR (AUT) Spettatori: 100.000

Mercoledì 23 aprile 1975, ore 20 MONACO (Stadio "Olympia") Arbitro: Charles CORVER (NED) Spettatori: 72.919

BARCELLONA: Salvador SADURNÍ, MARIO MARINHO, GALLEGO, MIGUELI, Jesus Antonio DE LA CRUZ, Johan NEESKENS, Carlos REXACH, Juan Carlos HEREDIA, Johannes CRUYFF (cap.), Juan Manuel ASENSI [46' Joaquim RIFÉ], Manuel CLARES Commissario tecnico: Marinus MICHELS.

BAYERN MONACO: Josef MAIER, Bernd DÜRNBERGER, Björn ANDERSSON, Georg SCHWARZENBECK, Franz BECKENBAUER (cap.), Josef WEISS, Conny TORSTENSSON [70' Karl Heinz RUMMENIGGE], Rainer ZOBEL, Gerhard MÜLLER, Ulrich HOENESS, Hans-Josef KAPELLMANN Commissario tecnico: Dettmar CRAMER.

LEEDS UNITED: David STEWART, Trevor CHERRY, Frank GRAY, William BREMNER (cap.), Gordon MC QUEEN, Norman HUNTER, Paul MADELEY, Allan CLARKE, Joseph JORDAN, Terence YORATH, Peter LORIMER Commissario tecnico: James ARMFIELD. Reti: 8' Peter LORIMER, 69' Manuel CLARES. Ammonito: 48' GALLEGO. Espulso: 65' Gordon MC QUEEN.

RITORNO

RITORNO

BARCELLONA-LEEDS UNITED 1-1 (0-1)

SAINT ETIENNE: Ivan CURKOVIC, Alain MERCHADIER [87' Jacques SANTINI], Gerard FARISON, Osvaldo PIAZZA, Christian LOPEZ, Dominique BATHENAY, Patrick REVELLI, Jean Michel LARQUÉ (cap.), Yves TRIANTAFYLOS, Hervé REVELLI, Christian SYNAEGHEL [87' Pierre REPELLINI] Commissario tecnico: Robert HERBIN. Reti: 2' Franz BECKENBAUER, 69' Bernd DÜRNBERGER. Ammoniti: 13' Osvaldo PIAZZA, 42' Bernd DÜRNBERGER.

foto Agenzia Liverani

BARCELLONA: Salvador SADURNÍ, Enrique COSTAS [27' Joaquim RIFÉ], MARIO MARINHO, GALLEGO, Jesus Antonio DE LA CRUZ, Johan NEESKENS [70' JUAN CARLOS], Carlos REXACH, MIGUELI, Johannes CRUYFF (cap.), Juan Manuel ASENSI, Juan Carlos HEREDIA Commissario tecnico: Marinus MICHELS.

ANDATA

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SPECIALE COPPA DEI CAMPIONI/ 1974-1975

Franz Beckenbauer

foto Sport Image

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ACCADDE A L'impresa di Zeman

di Stefano BORGI

IL BOEMO BIANCOCELESTE Zeman ha lasciato un bel ricordo ai tifosi della Lazio...

IL CAPOLAVORO DI ZEMAN

foto Liverani

Il trionfo di Zemanlandia, i viola di Batistuta e Rui Costa sull'ottovolante del boemo...

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ACCADDE A/L'impresa di zeman

P

er qualcuno è il punto più alto della Lazio di Zeman. Per altri, allargando il concetto, è il capolavoro in assoluto di Zeman allenatore: più di Foggia, più di Roma (sponda giallorossa), più di Pescara qualche anno dopo. Per altri, infine, uno spettacolo addirittura superiore alla Lazio scudettata di Eriksson: Cravero meglio di "Miha", Winter meglio di Veron, Casiraghi meglio di Salas. Il boemo? Meglio di "svengo", ovviamente... Di fronte la malcapitata Fiorentina di Ranieri, con Toldo, Rui Costa, Baiano e Batistuta (come dire, mica pizze e fichi...) suo malgrado distrutta, sgretolata dalla coralità zemaniana. Stiamo parlando di Lazio-Fiorentina 8-2 del 5 marzo 1995. Viola in fase calante, reduci da una sola vittoria nelle ultime otto partite, biancocelesti protagonisti di una doppia vita (un classico di Zeman) sospesi tra casa e trasferta. Pensate, 16 gol realizzati all'Olimpico tra febbraio e marzo: vittime di turno Fiorentina, Milan e Genoa. Di contro tre sconfitte esterne con Toro, Parma e Napoli. Più lo squallido pareggio di Cremona per 0-0. Roba da esaurimento nervoso. Per poi riprendersi con la vittoria nel derby (2-0 il 23 aprile) ed il 3-0 in casa della Juve il 7 maggio, la prima di cinque vittorie consecutive nelle ultime cinque di campionato. Insomma, tutto normale se questo accade nel paese di "Zemanlandia". Eh già, chi non ricorda quel gustoso neologismo nato ai tempi di Foggia? Zemanlandia come un luogo ideale dove gli attaccanti stanno al potere, dove lo 0-0 era bandito, dove portiere e difensori sono nemici da combattere. Persino da umiliare, se possibile. Regole fondamentali? Il modulo, rigorosamente il 4-3-3. Quindi la partecipazione al gioco di tutti gli elementi, terzini e mediani compresi. E poi filtranti sui tagli, sovrapposizioni continue, cross dal fondo. Proprio quello che andò a sublimarsi in quel LazioFiorentina 8-2. PRONTI VIA, CASIRAGHI-GOL! - Mattatore della partita Pier Luigi Casiraghi, autore di quattro gol. Il bomber brianzolo, quell'anno, fu il secondo realizzatore della Lazio con 12 reti. Davanti a lui, con 17, Beppe Signori che quel 5 marzo contro la Fiorentina non giocò. Facile fa-

cile il primo centro al 4': fuga di Boksic sulla sinistra, cross radente e tape-in vincente di Casiraghi. Fateci caso, già dalla prima azione emergono alcuni dettami dello Zeman-pensiero: sovrapposizione dell'attaccante, cross dal fondo, gol dall'area piccola. Secondo sigillo al 49', e stavolta è l'asse Di Matteo-Negro a bucare il centrocampo viola: cross rasoterra del terzino e di nuovo Casiraghi a ribadire in rete. Di nuovo dall'area piccola. All'82' si replica: sempre dalla destra (Rambaudi per Di Matteo), cross teso a centro area e Gigi scarica in rete la tripletta personale. Che diventerà poker col rigore dell'89'. Uno, due, tre gol in fotocopia, quasi fosse un "mantra" da mandare a memoria. Tutto troppo facile? Tutto troppo bello, almeno per la Nord. ALEN, IL GEMELLO... - Se Casiraghi era il cannoniere, Boksic era il braccio che lo armava. Alen non era un goleador, non è mai stato un goleador, anzi... spesso arrivava sotto porta per poi fallire il tocco decisivo. E comunque, nel campionato '94-'95, l'alieno (così veniva chiamato Boksic) andò in rete la bellezza di 9 volte, una anche nella goleada contro i viola: è il 57', ancora un cross dalla destra, ponte di Casiraghi e tuffo del croato per il momentaneo 5-0. Dall'area piccola di Toldo, tanto per cambiare. LA COOPERATIVA DEL GOL - Non solo la coppia Casiraghi-Boksic. Lo abbiamo detto, a "Zemanlandia" tutti si divertono: dal terzino all'attaccante, dal libero al mediano. E infatti non tardano gli acuti di Paolo Negro (incornata su schema da corner per il gol del 2-0) e Roberto Cravero (rigore al 35' che fissa il primo tempo sul 3-0). Manca all'appello il gol del 7-2, griffato da un ragazzino del quale sentiremo parlare. Il suo nome è Marco Di Vaio, allora 19enne, che aveva già esordito e segnato in Serie A nel 4-1 casalingo al Padova. Si ripete in quel rutilante 5 marzo, ed il suo è un gol d'autore: scatto perentorio a tagliare l'area, controllo in corsa e destro incrociato alle spalle dell'incolpevole Toldo. Sempre e comunque (repetita iuvant) ai limiti dell'area piccola. A questo punto urge una spiegazione: fate attenzione, sei gol sugli otto finali (tolti i due rigori) sono stati segnati dall'interno dell'area del portiere avversario. Come si dice in

gergo? Entrare in porta col pallone... La Lazio di Zeman era tutto questo, e anche di più. CONSIDERAZIONI FINALI - Due parole anche sulla Fiorentina. Impossibile fermare "quella" Lazio, impossibile arginare le squadre di Zeman. Soprattutto se affrontate nel loro periodo migliore. I gol di Rui Costa al 60' e di Batistuta su rigore al 74' (il "re leone" aveva sbagliato un altro penalty nel primo tempo) servirono solo ad addolcire la pillola. Resta una sconfitta storica che andò a macchiare una stagione tutto sommato positiva. La Fiorentina tornava nella massima serie dopo l'incredibile retrocessione del '93, vantava un Batistuta capocannoniere con 26 gol. Viola che pagarono un girone d'andata sorprendente con un ritorno assai deludente: 10° posto finale a 16 punti dalla Lazio 2° classificata dietro la Juve. La stessa Lazio che si qualifica in Coppa Uefa col miglior attacco del campionato (69 gol), la miglior differenza reti (+35). Con la stella di Zeman che brillerà ancora un anno (3° posto nel '95-'96) per poi offuscarsi inesorabile con l'esonero del gennaio '97. Sopra ogni cosa, però, restano otto gol indimenticabili sotto gli occhi di Giorgia e Suor Paola (tifose doc), ed una grande prova di forza. La certezza che meglio di così, al calcio, non si può davvero giocare. LAZIO-FIORENTINA 8-2 Stadio Olimpico - 5 marzo 1995 Campionato di Serie A 1994/95 23° giornata - Spettatori: 43.000 LAZIO: Marchegiani, Negro, Nesta, DiMatteo, Bergodi, Cravero, Rambaudi, Fuser, Boksic (62' Di Vaio), Winter (62' Venturin), Casiraghi. A disp. Orsi, Bacci, De Sio. All. Zeman. FIORENTINA: Toldo, Sottil (46' Flachi), Luppi, Cois (46' Amerini), Pioli, Malusci, Carbone, Tedesco, Batistuta, Rui Costa, Baiano. A disp.: Scalabrelli, Innocenti, Campolo. All. Ranieri. Arbitro: Treossi (Forlì). Marcatori: 4' Casiraghi, 30' Negro, 35' Cravero (rig), 49' Casiraghi, 57' Boksic, 60' Rui Costa, 74' Batistuta (rig), 82' Casiraghi, 86' Di Vaio, 89' Casiraghi (rig). Ammoniti: Nesta per la Lazio, Malusci e Cois per la Fiorentina. Espulsi: al 76' Pioli.

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DOVE SONO FINITI FRANCESCO CHIMENTI

di Stefano BORGI

VINCENTE IN BIANCONERO

foto Image Sport

Due scudetti, uno revocato per Chimenti alla Juve...

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DOVE SONO FINITI/ FRANCESCO CHIMENTI

DINASTIA CHIMENTI

Col padre ed uno zio centravanti, Antonio decide di fare il portiere. Finché un giorno Totti lo soprannomina "zucchina".

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evoluzione della specie. In principio fu Francesco Chimenti, padre di Antonio. Centravanti potente, una carriera tra Bari e Sambenedetto del Tronto (Serie B e C) col sogno irrealizzato della Serie A. Poi è la volta di Vito, fratello minore di Francesco, zio di Antonio. Anche lui attaccante, a differenza di Francesco più agile, più tecnico. Per lui 77 presenze e 13 reti in Serie A, ma soprattutto un dribbling ("la bicicletta") che ha fatto la storia. Infine Antonio Chimenti, figlio di Francesco, nipote di Vito. Di professione portiere, così... tanto per cambiare. I Chimenti, una vera e propria dinastia di calciatori, come i tre fratelli Trevisanello, i tre fratelli Maldera. Piuttosto che i tre Mazzola: Valentino, Sandro e Ferruccio.... al tempo andava di moda. La storia di Antonio Chimenti è singolare, ed è lui stesso a raccontarcela: "Diciamo che fino ai 15 anni anch'io ho giocato come attaccante. Poi mi piaceva Tacconi, che aveva giocato con mio padre, e in spiaggia a San Benedetto lo imitavo. Addirittura Stefano un giorno mi regalò la sua maglia, ed io da tifoso della Juve se lo può immaginare..."

boemo era molto diverso da come appariva, anzi le dirò... Zeman era simpaticissimo. Certo pretendeva molto, i suoi allenamenti erano molto duri, i portieri poi venivano trattati in modo particolare. Io gli andavo bene perché ero bravo con i piedi".

FAMIGLIA DI CALCIATORI

In casa Chimenti, il calcio è l'argomento principale...

Chissà contento Zeman... "Zeman, mi sembra, non fece una piega. Però non riuscirà a farmi parlare male di Zeman. Il

Leviamoci il dente: se le dico "zucchina"? "Quale dente? "Zucchina" mi evoca ricordi piacevolissimi. Fu Francesco Totti a darmi quel soprannome. Nel '97 avevo pochi capelli, un giorno mi presentai nello spogliatoio completamente pelato. Al che Francesco se ne uscì con quel soprannome, e quando parlava Totti..." Ok, a parte il soprannome "Zucchina", nei due anni di Roma disputò 32 partite. Non male per un "dodicesimo"... "Devo dire mi aiutarono gli infortuni di Konsel. Comunque si, Roma giallorossa fu per me una grande esperienza, praticamente feci il titolare aggiunto. Soprattutto Roma fu una grande speranza..."

Tempio Pausania, Monza, ancora Sambenedettese. Poi Salernitana quattro anni: un anno di C, tre anni di B. Non male per essere all'inizio... "Per niente, tanto che mi compra la Roma per 3 miliardi di lire. Esordisco in Serie A in un RomaLecce 3-1, espulsione di Konsel, prendo il posto di Balbo. E che ti faccio?" Non ci lasci in sospeso... "Paro subito un rigore. Si rende conto? Prima palla toccata, rigore parato. L'autore del tiro fu Maspero, mi sembra. Un sogno che si realizza..."

Il classico portiere di Zeman... "Mi aiutò il passato da attaccante. E poi già alla Salernitana ero abituato a giocare con i piedi. Delio Rossi (allievo di Zeman ndr.) voleva un portiere bravo a giocare il pallone, e per me quella fu una grande palestra".

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Il mio idolo era Tacconi, ricordo ancora quando mi regalò la sua maglietta

Finché arrivò la chiamata della Juventus. Ci dica: che senso ha lasciare la Roma da quasi titolare e andare alla Juve... come riserva? "Innanzitutto la Juventus era un sogno che si realizzava. Forse è vero: in carriera mi è mancata una "grande" che mi abbia offerto un posto da titolare. Però gliel'ho detto: Zoff era il mio idolo, poi è venuto Tacconi, da bambino tifavo Juve... Lei cosa avrebbe fatto?" Non fa una piega. Però tornava a fare il dodicesimo... "Che centra? La Juventus giocava in tre competizioni. Pensavo ci sarebbe stato spazio per tut-

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DOVE SONO FINITI/ FRANCESCO CHIMENTI

IL RICORDO DELL'OLD TRAFFORD

foto Image Sport

Chimenti ha difeso la porta della Juve contro lo United...

Del Piero. Me lo lasci dire: tanta roba. Però voglio precisare, non ce l'avevo con la società. Non ce l'avevo con Moggi, né con Giraudo".

Purtroppo l'esperienza in bianconero non finì bene... "Diciamo che non finì secondo le mie aspettative, e in effetti ci rimasi male. Nel 2005, durante il trofeo Berlusconi, s'infortuna Buffon. Io da parte della società spero mi venga data una chance, un'occasione. Poi se non andavo bene, sarei stato io il primo ad andarmene. E invece presero Abbiati in prestito. Non ce l'ho con nessuno, però avrei voluto che mi fosse data una possibilità. E invece niente..." La vendetta è un piatto che si consuma freddo. Più o meno come quando parò un rigore a Del Piero... "Non lo nego, quel rigore parato ad Alex ebbe un gusto particolare. Nel gennaio 2006 vado al Cagliari, ed in un Cagliari-Juve paro un rigore a

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foto Agenzia Liverani

ti. E comunque mi tolsi delle soddisfazioni. Ad esempio, la partita dell'Old Trafford nel 2003: Manchester United - Juventus. Perdemmo 2-1, ma vuol mettere? E poi i trofei: tre scudetti (uno reale, due virtuali cancellati da calciopoli ndr.) due supercoppe italiane. Insomma, la Juve è sempre la Juve..."

IL SEGNO DI TOTTI Il soprannome Zucchina è stato un'idea del 10 della Roma...

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Il soprannome 'Zucchina'? Me lo dette Totti, un giorno che mi ero tagliato i capelli a zero

Andiamo per esclusione: ce l'aveva con Capello? "Ripeto: non ce l'avevo con la società. Mi fanno ridere le accuse per calciopoli, la Juve favorita. Lo sa quanti giocatori della Juve c'erano nella finale mondiale del 2006 tra Italia e Francia? Glielo dico io, ce n'erano 11. E secondo lei la Juventus non era la squadra più forte? Io so solo che, sul campo, mi allenavo e lottavo per vincere. Del resto non sapevo niente". Un anno e mezzo a Cagliari, poi Udine ed il ritorno alla Juventus... "Tornai alla Juve come terzo portiere. Sapevo che prima di me c'erano Buffon e Manninger, ma io me la volevo giocare..." E infatti se la giocò, fino a rompersi un polso... "Quello fu uno scatto di nervi. Era il 2010, venivo da un infortunio, la domenica giocai a Siena e subii delle critiche. A mio parere ingiuste. Poi andammo a Londra, col Fulham... altre critiche. An-


DOVE SONO FINITI/ FRANCESCO CHIMENTI

Di Biagio, Montella e Di Francesco... Tutti amici che, a parte il capitano (Totti ndr.) che gioca ancora, sono diventati eccellenti allenatori. Guardi le dico una cosa: il mondo del calcio è nettamente migliore di quello che sembra. Almeno visto dalla parte dei calciatori".

che queste eccessive. Gioco a Genova, prendo un gol balordo da Cassano, rientro negli spogliatoi nell'intervallo e per la rabbia spacco un tavolino. Risultato? Un polso rotto e carriera finita. Sinceramente me la potevo risparmiare". Appende i guanti al chiodo e segue Ferrara alla Sampdoria. Ma è solo l'inizio... "Con Ciro feci il preparatore dei portieri, a Genova. L'avevo fatto anche alla Juventus l'anno prima. Oggi, invece, lavoro con l'Under 21 di Di Biagio. Che faccio? Preparo i portieri, è la cosa che faccio meglio..." Lei ha giocato con i giocatori più grandi, con autentici fuoriclasse. Dovesse sceglierne uno per andarci in ferie? "Non saprei, io andavo d'accordo con tutti. Potrei citare Buffon, Cannavaro, Ferrara. Poi Totti,

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A gennaio 2006 lascio la Juve per Cagliari. Poche settimane dopo paro un rigore a Del Piero... Che rivincita!

Antonio Chimenti, è contento di se stesso? "Contentissimo. Anche perché, in gioventù, non tutti credevano in me. Anzi... E invece con il lavoro, col sacrificio, con l'impegno ce l'ho fatta. Niente di trascendentale, ma ce l'ho fatta. Rimpianti? Solo uno: non ho mai giocato in nazionale. In nessuna nazionale, dalle giovanili a quella maggiore. Quando ero alla Roma, nel '98, se ne parlò, sembrava ci fosse la possibilità, e invece... Non chiedevo tanto, almeno una convocazione. Ma va bene così. Sono felice lo stesso, di me e della mia carriera".

Vito “bicicletta” Chimenti Di Stefano Borgi

Zio di Antonio, fratello di Francesco, Vito Chimenti inventò un dribbling che ha fatto storia

foto Agenzia Liverani

U

n dribbling ti cambia la vita. Mutuando il celebre spot, pensate ad un signore baffuto (anche un po' traccagnotto) che ad un tratto alza il pallone con i talloni, lo fa roteare sopra la testa, per poi colpirlo di collo piede... preferibilmente col sinistro. E qualche volta fa pure gol. Ecco, quel dribbling si chiama "bicicletta", e quel signore si chiama Vito Chimenti... zio di Antonio. "Sai quante volte gliel'ho visto fare sulla spiaggia di San Benedetto? - racconta il nipote d'arte - Ed ha pure tentato di insegnarmelo, ma niente. Non mi riusciva. Non a caso poi ho deciso di fare il portiere". Se diciamo che suo zio è famoso (soprattutto) per quel dribbling? Non è che poi se la prende... "No, lo sa anche lui. In effetti il mito di Vito Chimenti vive per quella prodezza, quasi una magia da circo. In tanti hanno tentato di copiarlo, ma come lo faceva lui..." In realtà la carriera di Vito Chimenti non si ferma alla "bicicletta": su tutti quel gol alla Juventus in finale di Coppa Italia. È il 20 giugno 1979, sul neutro del San Paolo di Napoli si disputa Juventus-Palermo. Dopo appena un minuto l'allora 26enne Chimenti dribbla Zoff e depone in rete. Un'intera isola, la Sicilia, sogna la grande affermazione. Ma il sogno svanisce all'83' col pareggio di Brio, muore definitivamente a tre minuti dalla fine dei supplementari per il gol di Causio. Nel frattempo Chimenti era uscito per infortunio, dopo uno scontro con Cabrini... forse un segno del destino. Non solo Paler-

VITO CHIMENTI

mo nella carriera del "bomber della bicicletta". Un buonissimo girone d'andata con la Pistoiese nel campionato '80-'81, nel quale gli "arancioni" toscani stupirono un po’ tutti. E Chimenti con loro, grazie a 9 reti. Poi, nel ritorno, il crollo verticale e l'ultimo posto in classifica. Soprattutto Chimenti fece benissimo nel Taranto in C1 (capocannoniere nel 1983 con 13 reti), e successivamente in Serie B dove resta fino al 1985. Poi una squalifica di 5 anni per il calcio scommesse gli fa terminare la carriera. Un dribbling ti cambia la vita, abbiamo detto... La bicicletta di Chimenti fu addirittura ripresa da Ardiles nel film "Fuga per la vittoria", e poi ricordiamo Giovanni Roccotelli per la "rabona" e Palanca per i gol su calcio d'angolo. All'estero meritano menzione il messicano Blanco per la "Cuauchteminha", il portoghese Quaresma per la "trivela", il colombiano Higuita per lo "scorpione". Tutti gesti tecnici che, come recita la famosa telefonata, cambiano una vita sportiva.

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LIGA SPAGNA

UNA STELLA RINATA Torres, a Madrid, ha riscoperto di essere un giocatore ancora capace di esaltarsi…

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orres: 45 mila persone allo stadio per la presentazione di un giocatore. La folla delle grandi occasioni, numeri che fanno pensare all'arrivo del fuoriclasse del momento, l'uomo in rampa di lancio che renderà grande una squadra. E se vi dicessimo che questa marea umana è stata radunata da un attaccante che in campionato non va in doppia cifra da cinque anni? Mai come in questo in caso i gol non sono tutto, perché lo stadio in questione è il Vicente Calderon e il calciatore si chiama Fernando Torres. Al Milan è stato

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una meteora, mesi di completo anonimato con un solo gol all'attivo, l'involuzione del giocatore ha però origini più lontane. Neppure al Chelsea è riuscito a esprimersi come ai vecchi tempi, tanto che Mourinho l'anno scorso fece presente a più riprese la necessità di un puntero, eppure il numero nove era sulle spalle di un bomber dal pedigree prestigioso. Cosa è accaduto nel frattempo? Per aver il quadro completo della situazione, dobbiamo fare un salto di 21 anni quando un bambino di Fuenlabrada - diventato attaccante allenandosi con uno dei suoi fratelli, portiere,

realizza la bellezza di 55 gol in una stagione con la maglia del Rayo 13. Il ragazzo diventa una mezza celebrità a Madrid, gli mette gli occhi addosso l'Atletico che lo aggrega al settore giovanile. Da lì è un crescendo, passando per allori a livello giovanile fino ad arrivare all'esordio in prima squadra, datato 27 maggio 2001. Fernando impiegherà solo sette giorni per realizzare la prima rete, contro l'Albacete, sono tempi duri per l'Atletico, ma in questa stagione inizia la rinascita con il ritorno nella massima serie. Torres ha 17 anni, mai l'Atletico Madrid ha mandato


di Paolo BARDELLI

foto Agenzia Liverani

Torres è tornato a Madrid, da dove tutto è cominciato...

in campo un ragazzo tanto giovane. È solo il primo di una serie di record. Di gol ne arrivano altri, sempre di più, a 19 anni diventa il capitano più giovane in tutta la storia dei Colchoneros. Non lo ferma nessuno. La piazza lo ama e non smetterà di amarlo, ma per Fernando nell'estate del 2007, dopo annate a suon di gol, arriva il momento di cambiare aria. Ne guadagna anche il club, visto che il Liverpool mette sul tavolo 20 milioni di euro più il cartellino di Luis Garcia. Torres viene considerato senza mezze misure il centravanti più forte del mondo e, nonostante qualche problema fisico, ripaga i Reds con prestazioni notevoli che gli valgono il terzo posto nella classifica del Pallone d'Oro. Soldi a non finire, ingaggio ritoccato al rialzo nella stagione successiva, lo spagnolo resta ad Anfield dal 2007 al gennaio 2011, mettendo a segno 81 reti in 142 incontri. Scusate se è poco. Nel frattempo, vince da protagonista Euro 2008. Stende la Germania in finale con un

gran gol, il continente intero è ai piedi del bomber, è il primo trofeo importante della carriera, ne arriveranno altri ma la storia di Fernando cambierà. Il 31 gennaio 2011 il Chelsea lo ricopre d'oro, quasi 60 milioni per il suo cartellino. Mai si era speso tanto in Inghilterra. Quell'esborso, purtroppo, peserà come un macigno sulle spalle di Torres. Cinque stagioni nelle quali arrivano una Coppa d'Inghilterra, una Champions League e un'Europa League, detto così verrebbe da pensare a un'esperienza trionfante, visto che nel frattempo arrivano pure un mondiale e un altro Europeo con la Spagna, ma le prestazioni di Torres assumono i connotati di un mistero. Le parole del diretto interessato, datate maggio 2014, spiegano l'assurdità della situazione: "Oggi sono un giocatore differente e non voglio dire bugie: a volte mi manca davvero essere il giocatore che ero, quello che sapeva di avere il posto garantito all’inizio della partita. A un certo punto, mi sono anche messo a riguardare i video dei miei gol: volevo capire come funzionava, prima, quando segnavo". Quando segnavo. L'ha detto veramente. Difficile spiegare cosa sia andato storto, certamente qualcosa si è inceppato per sempre tra gennaio e giugno 2011, mister 60 milioni (o 58, se vogliamo fare i pignoli) piazzò nel sacco un solo pallone. Al Chelsea Torres è sempre apparso un corpo estraneo. Poi è giunto Mou e le sue scelte. Fondamentale l'arrivo di Diego Costa, che ha preso il posto di Fernando Torres a Stamford Bridge. Lo stesso Costa è stato terminale offensivo dell'Atletico Madrid che ha conquistato la Liga e un'insperata finale di Champions League. Il nazionale brasiliano però non è riuscito a prendere il posto di Torres nel cuore del popolo rojiblanco che continuavano a sognare il ritorno del figliol prodigo. In casa Atletico questo 31enne è e resta Niño, bambino, il soprannome che si porta appresso da una vita, come se il tempo si fosse fermato ai giorni in cui il Calderon si svegliava dal torpore per abbracciare il simbolo della sua rinascita. Un eterno presente, riecco Torres e l'Atletico di nuovo insieme, sembra tutto come allora. L'attaccante ritrova Simeone e Burgos, Colchoneros calciatori quando era capitano e ora in panchina, ciò che non è cambiato è l'amore della sua gente. "Fernando vuelve a casa", con

SUBITO PROTAGONISTA Appena arrivato, El Nino dimostra che sa ancora segnare…

foto Image Sport

IL RITORNO DEL FIGLIOL PRODIGO

TORRES

Subito l'occasione per scriverne nuove pagine: derby di coppa. Debutto all'andata e doppietta al ritorno, due zampate per graffiare gli odiati rivali al Bernabeu. Fernando è di nuovo a casa, ancora un gol contro il Barcellona, sempre in Copa del Rey, stavolta però inutile ai fini della qualificazione. Passa il tempo, alcune cose restano uguali, come abbiamo visto, altre invece cambiano in maniera inaspettata. Torres si è scrollato di dosso l’etichetta di acquisto flop ed è stato incoronato colpo del mercato invernale da un sondaggio della Uefa. “Tutto ciò che dobbiamo decidere è cosa fare col tempo che ci viene dato”. Torres ha fatto tesoro delle parole di Tolkien, scrittore che ama particolarmente, il tempo perduto certo non si recupera, ma se lo trascorri nel posto che chiami casa potrai fartelo amico. questo messaggio la società ha ratificato il regalo di Natale, sotto l'albero la maglia numero 19. Guarda caso, quella abbandonata da Diego Costa. Il cerchio si chiude, una storia si riapre…

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PREMIER LEAGUE INGHILTERRA

DISCESA AGLI INFERI Negli ultimi anni, solo delusioni per i Rangers di Glasgow…

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n incubo apparentemente senza fine. È quello che stanno vivendo i tifosi dei Rangers di Glasgow da tre anni a questa parte. Ovvero da quando il loro amato club è finito in bancarotta e ha perso la possibilità di giocare nella Premier scozzese. Dopo essere passati per le divisioni minori, i Gers ora disputano la serie cadetta, sebbene al momento il distacco dalla capolista Heart of Midlothian (altra nobile decaduta) appaia incolmabile. È inutile girarci intorno: i ragazzi in blu giocano un pessimo calcio, tanto che l'i-

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cona Ally McCoist ha rassegnato a malincuore le sue dimissioni da manager lo scorso dicembre. Il buon Ally, il bomber più prolifico della storia dei Light Blues con 355 goal in tutte le competizioni, evidentemente era fin troppo conscio degli enormi limiti della sua squadra. Ormai il glorioso e splendido Ibrox Stadium si sta tristemente svuotando. Altro che i 44mila abbonati dei bei tempi, ormai è tanto se si riempie la metà dei quasi 51mila posti a disposizione. Paradossalmente c'erano più supporter ad assistere ai match di quarta serie contro i paria del calcio scozzese che

quest'anno, che tutto sommato una speranza di promozione ancora esiste – la seconda della Championship disputa infatti un play off contro l'undicesima della Premier. Nei cuori dei sostenitori del club protestante di Glasgow albergano ben poche speranze di un futuro roseo, sia esso nella massima serie o in quella cadetta. Il perché è presto detto: il trambusto societario non accenna a placarsi. Anzi. Adesso si parla con insistenza di un forte interessamento del proprietario del Newcastle, Mike Ashley, ad aumentare le sue quote del club e a diventare


di Luca Manes

I Rangers stanno vivendo un momentaccio...

MALE ANCHE NEL DERBY Non c’è proprio fine al periodo no dei Rangers foto Liverani

azionista di maggioranza. Ma dietro ci potrebbe essere una mossa a trabocchetto: Ashley vorrebbe infatti mettere le mani sul glorioso Ibrox, principale asset dei Light Blues. Intanto l'ultimo giorno del calcio mercato invernale ha fatto arrivare in prestito dal Newcastle una mezza dozzina di giocatori di secondo piano dei Magpies.

IBROX DESOLATO

Ally McCoist

foto Liverani

foto Agenzia Liverani

Il tentativo di “scalata virtuosa” della società da parte dei tifosi non dà garanzia, perché, sebbene il club navighi in brutte acque, serve comunque un bel gruzzolo di milioni per rilevarlo. Anche un'altra cordata, composta da alcuni uomini d'affari molto facoltosi e legatissimi ai colori della compagine protestante di Glasgow, appare in difficoltà nell'intavolare una trattativa con il board attuale, “misteriosamente” più propenso a cedere ad Ashley sebbene la sua offerta sia inferiore. Beghe di palazzo che non fanno certo l'interesse degli appassionati, sempre più disillusi. Facciamo però un passo indietro. Come è nato questo sconquasso? Perché qualcuno aveva provato a lucrare in maniera sconsiderata sulla squadra più vincente di Scozia (nel loro palmares vantano 54 titoli, 33 coppe nazionali e una Coppa delle Coppe). L'ex azionista di maggioranza dal 1988 fino al 2011, David Murray aveva a lungo nascosto la reale entità del debito contratto con l'erario a causa di azzardate mosse di finanza creativa, per poi dover finalmente gettare la spugna. Ma a rilevare il testimone, purtroppo per i Rangers, è stato uno degli avventurieri che solcano i mari del calcio moderno, tale Craig Whyte. Per comprarsi le quote dei Rangers aveva pagato la cifra simbolica di una sterlina, accollandosi 18 milioni di debiti e promettendo grandi acquisti, ma in realtà usando lo stesso trucchetto adottato dai padroni americani del Manchester United: “trasferire” la spesa alla società appena acquistata. Per far ciò aveva “impegnato” gli introiti derivanti dagli abbonamenti dei successivi quattro anni, facendosi anticipare il denaro dalla Ticketus, una compagnia specializzata in questo tipo di operazioni. Insomma, Whyte aveva finito per peggiorare le cose tanto che la federazione

Per chiudere questo cahier de doleances apparentemente infinito, un'ultima nota dal campo. Dopo 1008 giorni, i Rangers hanno disputato di nuovo un Old Firm Derby contro i rivali di sempre del Celtic nella semifinale di Coppa di Lega disputatasi all'Hampden Park (lo stadio della nazionale) il 1 febbraio. È andata malissimo. Gli attuali campioni di Scozia hanno vinto 2-0, tra cori di scherno e giubilo assoluto della metà biancoverde dell'arena. A memoria non ricordiamo una stracittadina di Glasgow così poco equilibrata, con una squadra che non ha praticamente mai tirato in porta ed è stata in balia dell'avversario per tutti e 90 minuti. “Ha da passà a nuttata” diceva Eduardo De Filippo. Purtroppo per loro quella dei Rangers è una notte cupa e apparentemente senza fine. scozzese lo aveva dichiarato “unfit” (inadatto) a guidare il club. Da quel punto in poi le cose sono precipitate in maniera drammatica, raggiungendo il nadir con la retrocessione in quarta divisione.

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BUNDESLIGA GERMANIA

ASCESA AUGSBURG La Baviera non è solo Bayern Monaco e Norimberga: occhio alla squadra di Regensburg…

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ra la stagione 2010-2011, dopo 104 anni di storia, con il secondo posto ottenuto in Zweilte Bundesliga, l'Augsburg festeggiava la prima promozione della sua storia nella massima serie tedesca. A guidare quella squadra, arrivata seconda dietro l'Hertha Berlino, c'era il tecnico olandese Jos Luhukay, che nel 2011-2012 la condusse ad ottenere un più che decoroso quattordicesimo posto, che significò salvezza. Luhukay, ironia del destino, abbandonò la Baviera proprio per passare all'Hertha, che allenerà sino al gennaio del 2015. Per guidare l'Augsburg nella sua

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seconda avventura in campionato viene ingaggiato dal Jahn Regensburg il classe 1974 Markus Weinzierl. La prima stagione è altalenante, con un quindicesimo posto (ed una conseguente salvezza) arrivato solamente in extremis, grazie alla vittoria ottenuta all'ultima giornata contro il Greuther Furth. Il milione e mezzo di euro versato al Basilea per l'attaccante argentino Raul Bobadilla, autore solamente di 3 goal in 17 presenze, non sembra essere stato speso molto bene. Stesso discorso per il promettente classe 1994, di nazionalità polacca, Arkadiusz Milik, arrivato in prestito dal Bayer Leverkusen (18 presenze

e due goal). Parliamo dello stesso Milik che, acquistato dall'Ajax, nella stagione in corso ha realizzato 8 goal in 16 partite di Eredivisie ed ha una valutazione di mercato che molti stimano essere di circa 10 milioni di euro. Nonostante questo la società non ha mai pensato di cambiare allenatore, ma ha confermato la fiducia al tecnico, convinta che con la forza delle idee e con giocatori vogliosi di mettersi in mostra, le cose sarebbero potute andare per il verso giusto. E la stagione 2014-2015, perlomeno sino a metà campionato, gli sta dando ampiamente ragione. La campagna di rafforzamento estiva, tra acquisti e cessioni, si è con-


di Flavio SIRNA

foto Liverani

C'è una squadra della Baviera che sta incantando...

clusa con un passivo di circa 6 milioni di euro. Sono stati spesi 4 milioni per fare arrivare l'attaccante sloveno Tim Matavz dal PSV e circa 2,5 per il terzino sinistro ex-Greuther Furth, Rahman Baba (20 anni, ghanese, si è messo così in mostra che su di lui hanno messo gli occhi anche alcuni club italiani, Napoli in primis). In particolar modo Matavz avrebbe dovuto prendere il posto, in termini di goal, di Andrè Hahn, autore di 12 segnature nel 2013-2014 e ceduto per quasi 3 milioni di euro al Borussia Monchengladbach. Weinzierl ha disegnato la squadra con un 4-2-3-1, che in alcuni frangenti è in grado di potersi trasformare in un 4-14-1. In porta si sono alternati il classe Hitz e una vecchia conoscenza del calcio italiano, ossia l'austriaco Alex Manninger. Sulle fasce, oltre al già citato Rahman Baba, si destreggia il terzino olandese col vizio del goal (5) Paul Verhaeg, uno dei reduci della storica promozione. Il muro centrale è formato dall'estone Klavan e dal classe 1994 Dominik Kohr, che

di tanto in tanto ha preso il posto dell'esperto Callsen-Bracker, altro reduce della promozione. Davanti alla difesa ha giostrato la manovra l'esperto Markus Feulner, che ha formato un’ottima coppia con il numero 10 della squadra, Daniel Baier (altro reduce). Il primo però, anche a causa di qualche problema fisico, ultimamente ha lasciato il posto al danese Pierre-Emile Hojbjerg, arrivato in prestito dal Bayern Monaco, dove Guardiola gli ha accordato poca fiducia. Ma è il trio di trequartisti che, onestamente, sta facendo la differenza e sta trascinando la squadra nelle zone più che nobili della classifica. Il classe 1985 Tobias Werner, in squadra dall'estate del 2008, ha macinato corsa ed anche capacità realizzativa, come dimostrano le sue sei segnature. Al centro ci si è avvalsi della grande esperienza e dell'ottimo tasso tecnico del turco Halil Altintop: non ha più la freschezza ed il passo dei tempi dello Schalke 04 o dell'Eintracht Francoforte, ma è comunque fondamentale nell'economia del gioco. A fungere da finalizzatore della manovra non è stato invece, come si sperava, Matavz (solamente due reti), ma l'ala destra argentina Raul Bobadilla: dopo valanghe di goal in Svizzera, ci sono volute due stagioni al sudamericano per mostrare che ci troviamo di fronte ad un giocatore completo, in grado di muoversi su tutto il fronte d'attacco ed essere sia goleador che assist-man. Come punta centrale, detto di Matavz, si stanno tutt'ora alternando il coreano Dong-Wong Ji, lo sloveno classe 1986 Nikola Djurdjic e il giovanissimo (1994, doppia nazionalità, tedesca ed americana) Shawn Parker, acquistato un anno fa dal Mainz. La sensazione, senza esagerare, è che la posizione di classifica avrebbe potuto essere ancora più entusiasmante nel momento in cui, oltre ai goal messi a segno dal trio di trequartisti, ci sarebbe stata la presenza di una punta stabile (nelle prime posizioni solamente il Monchengladbach, con una difesa però molto più solida, ha fatto peggio in quanto a goal realizzati). Tutto comunque passerà in secondo piano se effettivamente, il prossimo maggio, la squadra riuscirà nell'impresa di festeggiare, oltre che la terza salvezza consecutiva, anche la sua prima storica qualificazione ad una competizione europea. E di sicuro in Baviera, a poca distanza tra una città e l’altra (solamen-

Reus RESTA Il talento del Dortmund ha rinnovato fino al giugno del 2019

foto Imago/Image

LIETA SORPRESA

MARCO REUS

Il Dortmund sta a poco a poco risalendo la classifica della Bundesliga, abbandonando la zona retrocessione e l’ultimo posto che aveva, ovviamente, del clamoroso. Nel frattempo la società ha però provveduto ad effettuare l’adeguamento del contratto alla stella della squadra, ossia il tedesco Marco Reus, che sino a qualche mese fa veniva considerato in partenza, con destinazione (in primis) Bayern Monaco ed in seconda battuta Barcellona o Arsenal. In scadenza nel giugno del 2017, l’ex-Borussia Monchengladbach ha prolungato sino al giugno del 2019 ed ha espresso tutta la sua soddisfazione: “Sono molto felice di essere rimasto, il Borussia Dortmund è casa mia, questo è il mio club. Sono proiettato verso un futuro pieno di successi con la nostra squadra e col supporto dei nostri fantastici tifosi. C'è tanto lavoro da fare e voglio fare la mia parte”. Il direttore generale dei gialloneri Hans-Joachim Watzke ha confermato l’intenzione della società di fare di Reus una vera e propria bandiera: “Non abbiamo mai dato peso a certi rumors di calciomercato e abbiamo sempre creduto nelle nostre chance di riuscire a trattenere uno straordinario talento come Marco Reus. Può essere il giocatore-simbolo di una nuova era, come Seeler all'Amburgo o Gerrard a Liverpool. È per l'identificazione con questo club al più alto livello che ha deciso di rinnovare con noi, per giunta nel bel mezzo di una crisi tecnica. Siamo molto orgogliosi di questo”. te 75 km tra Monaco di Baviera e Augusta) dove di solito si festeggiano titoli a go-go, un'Europa League creerà entusiasmo tanto quanto un Meisterschale.

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LIGUE 1 FRANCIA

LA FORZA DEI PICCOLI In Francia, è accaduto più volte che realtà minori raggiungessero la vetta…

L’

ormai celebre telefonata tra Claudio Lotito e il ds dell’Ischia Pino Iodice ha per giorni animato la cronaca sportiva italiana. Le dichiarazioni del presidente della Lazio nonché Consigliere Federale della FIGC, hanno colpito l’opinione pubblica tanto per il tono quanto per i contenuti. In soldoni, secondo il patron di Lazio e Salernitana, la promozione in massima serie di club con un bacino d’utenza relativamente basso (nello specifico Carpi e Frosinone) danneggerebbe in maniera evidente la Serie A, per lo meno dal punto di vista

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economico. Ecco, appunto. Attenendoci all’aspetto meramente economico della questione, forse, Lotito non ha poi nemmeno tutti i torti. Ma, ahilui, il calcio – e lo sport in generale – sono soliti premiare chi è più bravo, non chi ‘rende’ di più in termini monetari. Di conseguenza, le parole di Lotito, sono sicuramente da censurare e, con esse, la teoria che vi sta alle spalle. Il calcio è meraviglioso anche per la sua innata capacità di sovvertire i pronostici e di scrivere delle vere e proprie favole sportive. Qualche anno fa, in Italia, ci fu quella del Castel di Sangro, da tempo nel nostro Paese proseguono

quelle di Chievo e Sassuolo. In Francia, se possibile, ci si è spinti ancora oltre grazie a piccole realtà locali che hanno fatto sognare migliaia di tifosi. Già, migliaia non milioni. Ma va già benissimo così. Uno degli esempi più eclatanti è quello del Montpellier. Il club fondato nel 1974 ed espressione di poco più di 250mila abitanti, nel 2012 è riuscito nell’impresa di conquistare il titolo di Campione di Francia a scapito del PSG, club ricco e – per restare in tema – simbolo calcistico di una città come Parigi, la cui popolazione sfiora i 2.5 milioni di abitanti. Un’impresa


di Renato MAISANI

Adrien RABIOT e Thiago SILVA

foto Liverani

foto Liverani

In Francia tante cenerentole sono diventate principesse

unica, impronosticabile e praticamente impensabile nel calcio di oggi, dove – appunto – è quasi impossibile riuscire a mettere in piedi una squadra competitiva, se non si hanno alle spalle proprietà miliardarie e ricchi sponsor, requisiti che difficilmente appartengono alle compagini cosiddette ‘provinciali’. Se però, a distanza di 3 anni, in tanti si ricordano della favola del Montpellier e – noi in primis – la raccontano ancora, significa che il bello del calcio sta proprio qui: nell’imponderabile, nel ‘non banale’. E pensare che una ‘SuperLega Europea’, progetto che sembra sempre meno lontano dall’essere definito un’utopia, metterebbe di fronte soltanto squadre dello stesso livello fa un po’ rabbrividire: che fine faranno i Verona, i Montpellier e i Blackburn trionfatori al cospetto delle grandi storiche? La Francia, dal canto suo, è stata spesso espressione di piccole realtà capaci di lasciare il segno nella massima serie. L’Auxerre, ad esempio, nel 1996 si è laureato Campione di Francia e il numero dei suoi abitanti è inferiore ai 40mila. Una favola ancor più esaltante di quella del Montpellier. E, se si pensa che Frosinone vanta quasi 50mila abitanti e Carpi circa 70mila, è facile capire come le dichiarazioni di Lotito, ancora una volta, siano anacronistiche e inadeguate. È vero, sicuramente l’Auxerre non ha lo stesso fascino del PSG o del Lione, club grazie ai quali gli incassi derivanti dai diritti televisivi si sono impennati anno dopo anno. Tuttavia, però, raccontare un’annata come quella che ha condotto al successo l’Auxerre o il Montpellier non è altro che un vantaggio per chi quei diritti li ha acquistati e li detiene. E poi, mettendo un attimo da parte l’aspetto economico, perché privare il calcio della possibilità di raccontare storie simili che, se ben interpretate, non fanno altro che trasmettere messaggi positivi e di speranza a tutti? L’Auxerre, dicevamo, ma non solo. Il Sochaux, ad esempio, retrocesso in Ligue 2 lo scorso anno, è la squadra che vanta più partecipazioni al massimo campionato francese, ben 65. E la sua realtà è tra le più piccole del calcio transalpino. Il Guingamp, addirittura, riempie settimanalmente uno stadio da 18.000 posti nonostante gli abitanti della città siano appena 8.000. La moltiplicazione dei tifosi. Miracoli del calcio, insomma.

FAVOLE DI COPPA Nella Coppa Nazionale, tante le sorprese nel corso della storia…

foto Buffa/Imge Sport

EFFETTO GUINGAMP

Il sistema della Coppa Nazionale, poi – altro aspetto sul quale il calcio italiano farebbe bene a riflettere – permette alle piccole realtà di confrontarsi con le grandi storiche del calcio francese e, talvolta, di metterle al tappeto e di dare vita a delle parabole clamorose. È il caso del Lorient, vincitore della Coppa di Francia nel 2002 o di Calais ed Amiens, finaliste rispettivamente nel 2000 e nel 2001. Lo stesso Sochaux, nel 2007, ha conquistato la Coppa di Francia, ma ancor più clamorose sono state le cavalcate di Vannes e Quevilly. Il Vannes, nel 2009, si è arreso soltanto in finale di Coppa di Lega al Bordeaux, dopo aver eliminato Nizza, Metz, Auxerre, Valenciennes, Amiens e Dijon. Il Quevilly, invece, nel 2012 è andato ancora oltre. Con la spinta dei suoi 22.000 abitanti, la compagine giallonera, piccolissima realtà del calcio transalpino, sfiorò un’impresa destinata a restare negli almanacchi del calcio, ammesso che già non lo sia. Eliminando Angers, Olympique Marsiglia e Rennes, la compagine allenata all’epoca da Regis Brouard, si presentò al Saint Denis per la finalissima di Coppa di Francia, al cospetto del Lione. Alla fine, a spuntarla, fu l’OL che però faticò parecchio ad imporsi per 1-0. Il Lione, fresco dei 7 titoli vinti consecutivamente, costretto a faticare contro una squadra composta da dilettanti. Ecco il bello del calcio. Che nessuno può portarci via.

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PHOTOGALLERY / IL TIFO RACCONTA

Milan-Cesena serie A 22.02.2015

Torino-Athletic Bilbao Europa League 19.02.2015

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PHOTOGALLERY IL TIFO RACCONTA

IL CALCIO DEI TIFOSI di Thomas SACCANI

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l bello del calcio è spesso raccolto in pochi attimi. Riuscire a fotografarli è un’arte e, soprattutto, il modo migliore per raccontare ciò che accade. Nulla avrebbe senso senza la presenza del pubblico. I tifosi sono l’essenza stessa del mondo del pallone, doveroso un tributo per raccontarne la vera passione…

Sampdoria-Sassuolo serie A 08.02.2015

Inter-PALERMO Serie A 08.02.2015

SAMPDORIA-Genoa Serie A 24.02.2015

Roma-Parma serie A 15.02.2015

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PHOTOGALLERY / IL TIFO RACCONTA

Roma-Feyenoord Europa League 19.02.2015

Juventus-Milan serie A 07.02.2015

Sampdoria-Genoa Serie A 24.02.2015

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PHOTOGALLERY / IL TIFO RACCONTA

Tottenham-Fiorentina Europa League 19.02.2015

Cesena-Juventus serie A 15.02.2015

SAMPDORIA-Genoa Serie A 24.02.2015

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scovate da CARLETT BARONIO

KOVACIC

Con gli ex Ganz, Carrera, Filippini e Possanzini, un simpatico Baronio immortala un momento di relax durante il loro corso di aggiornamento

Non possiamo certo dire che il centrocampista dell’Inter abbia delle brutte sorelle

BERTOLACCI

MATERAZZI

Insieme a Cristiano Militello dopo aver realizzato il servizio andato in onda a Striscia La Notizia

Per chiunque sarebbe un sogno incontrare l’ex stella del basket americano Michael Jordan, figuriamoci per uno come Materazzi che ha scelto il suo stesso numero di maglia

CUADRADO

RONALDO

Ha appena lasciato l’Italia ed eccolo con la nuova divisa del Chelsea in mezzo a campioni come Fabregas e Diego Costa

L’unico, l’originale, che con una semplicità disarmante si selfa tranquillamente nella metropolitana di New York

GUARIN Momento d’oro per il giocatore colombiano dell’Inter e si vede anche dal bel sorriso nel suo selfie in auto

NEYMAR Rimane il più attivo di tutti sui social. Ecco l’attaccante brasiliano del Barcellona godersi il concerto di Katy Perry da una posizione naturalmente privilegiata

Il DJ/Speaker di RTL 102.5 Carlo CARLETTO Nicoletti seguirà i profili Instagram e Twitter dei giocatori più importanti del pianeta Calcio e ci segnalerà le foto e i tweet più divertenti e particolari. Segnalate Calcio 98 Calcio 2OOO 2OOO quelle che magari potrebbero sfuggirgli scrivendogli al suo profilo Instagram e Twitter: @carlettoweb




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