Mensile | MAGGIO 2015 | N. 209 | Italia | Euro 3,90
Calcio 2OOO il mensile diretto da FABRIZIO PONCIROLI
ESCLUSIVA
PEPE & GILARDINO professione
GIGANTI DEL CALCIO - MANNINI, BANDIERA SAMP INCHIESTA - PRO E CONTRO MOVIOLA I RE DEL MERCATO - LA SCELTA DI ACCARDI SPECIALE 1980 - IL RITORNO DEGLI STRANIERI
SPORTIKA crea la tua divisa esclusiva!
STORIE DI CALCIO
CAMPo!
DIGITAL DESIGN
Maglia e pantaloncino completamente personalizzaƟ con la tua graca,
i tuoi colori, lo sponsor, lo scudeƩo, il numero e il nome per ogni giocatore. Le divise SporƟka sono realizzate con tessuƟ di alƟssima qualità e stampaƟe con tecnologia ogia HD system: colori brillanƟ, disegni niƟdi e indelebili.
www.sportika.it info@sporƟka.it
Mensile | MAGGIO 2015 | N. 209 | Italia | Euro 3,90
N. 209 - MAGGIO 2015
N
on ho compreso la vera ragione della nostra viscerale passione per i “grandi ritorni”. Quando un calciatore, infortunato o erroneamente dato per finito, torna in campo, è un tripudio di emozioni. Nella mente è forte il ricordo di Ronaldo. Caduto (e pure in maniera rovinosa) a terra e sempre rialzatosi. Forse sarà anche per questo che vado orgoglioso della cover di questo mese (al di là della bravura di Benny, artista vero), dedicata a Pepe e Glilardino, due veri “immortali”. Il bianconero, dopo mille e più infortuni, è tornato a correre sulla sua amata fascia, il Gila, dopo l’esperienza cinese, è tornato in Italia, alla Fiorentina, per dimostrare di non aver perso il grande fiuto per il gol che lo ha sempre contraddistinto. Che belle storie di calcio. Ma andiamo oltre, visto che c’è dell’altro. Da buon amante del calcio che fu, non potevo perdere l’occasione di miscelare vecchio e nuovo. Ecco, quindi, lo speciale dedicato alla riapertura delle frontiere (mitico anno 1980) e, a fare da contraltare, l’inchiesta sulla Moviola in campo. Poi, come sempre, spazio a giganti del calcio e re del mercato e tanto altro. Vi informo che per lo scudetto della Juventus (comprendo la scaramanzia bianconera ma vado abbastanza sul sicuro), sto pensando ad una grande sorpresa. Ora, però, spostiamoci su altri temi. Vado sul personale. Sono stato ad assistere a Juventus-Genoa. Uno stadio vero, un luogo pensato per chi ama il calcio, l’apoteosi dell’idea di prodotto calcistico moderno. Poi ho osservato, alla TV, la Diretta della Serie B, con stadi vuoti e obsoleti e mi sono chiesto: ma è lo stesso sport? Non riesco a capire. Continuiamo a ripetere sempre le stesse cose ma, alla fine, abbiamo uno stadio moderno e tante realtà che nulla c’entrano con lo spirito del calcio. Non ripartiremo mai senza i mezzi giusti e, purtroppo, credo che pochi, pochissimi abbiamo la voglia (e le risorse) per fare ciò che è chiaro a tutti: modernizzare il calcio a partire dalle fondamenta, ovvero il luogo dove tutto si celebra… Spendo ancora due parole per rispondere ai tantissimi che mi hanno interpellato sul “caso Parma”. Se un personaggio come Manenti (per fortuna fermato in tempo dalle istituzioni) è riuscito a tenere in scacco l’intero mondo calcistico della Serie A significa che la professionalità, nel nostro ambiente, è pari a zero. Non c’è nulla da aggiungere… Chiudo con un proverbio che è anche un monito per chi ha in mano le redini del pallone italiano:
Calcio 2OOO il mensile diretto da FABRIZIO PONCIROLI
SIMONE PEPE - ALBERTO GILARDINO
3
ENTRA IN
ESCLUSIVA
PEPE & GILARDINO professione
2OOO
2
crea la tua grafica
direttore@calcio2000.it
Calcio
1
scegli un modello sportika
L'EDITORIALE di Fabrizio PONCIROLI
GIGANTI DEL CALCIO - MANNINI, BANDIERA SAMP INCHIESTA - PRO E CONTRO MOVIOLA I RE DEL MERCATO - LA SCELTA DI ACCARDI SPECIALE 1980 - IL RITORNO DEGLI STRANIERI
“Se ti fermi ogni volta che un cane abbaia, non arriverai mai a destino…”.
www.calcio2000.it Calcio 2OOO
3
sommario n.209
Anno 19 n. 5 MAGGIO 2015
issn 1126-1056
6 La bocca del leone
di Fabrizio Ponciroli
Registrazione al Tribunale di Milano n.362 del 21/06/1997 - Iscritto al Registro Operatori di Comunicazione al n. 18246
8 INTERVISTA ESCLUSIVA
SIMONE PEPE
di Fabrizio Ponciroli
20 INTERVISTA ESCLUSIVA
ALBERTO GILARDINO
8
di Pietro Lazzerini
30 INCHIESTA MOVIOLA
GOL LINE TECNOLOGY di Fabrizio Ponciroli
INFALLIBILI RIGORISTI di Stefano Benetazzo
20
Redazione
di Fabrizio Ponciroli
di Tommaso Maschio
52 LEGA PRO - REGGINA
di Pasquale Romano
54 Serie D - POGGIBONSI
30
di Simone Toninato
56 I Re del Mercato
GIUSEPPE ACCARDI di Alessio Alaimo
66 I Giganti del Calcio
MORENO MANNINI di Gaetano Mocciaro
36
League 1975/76
di Gabriele Porri
Statistiche
di Luca Gandini
ROBERTO COLACONE
42
Stampa
56
di Thomas Saccani
IL PROSSIMO NUMERO sarà in edicola il 15 maggio 2015 4
Calcio 2OOO
Distribuzione
Pieroni S.r.l. via Carlo Cazzaniga, 19 20132 Milano Tel 02 25823176 Fax 02 25823324
www.calcio2000.it
98 SCOVATE da CARLETTO RTL NUMERO CHIUSO IL 31 marzo 2015
Contatti per la pubblicità: Tiber S.p.A. Via della Volta, 179 - 25124 Brescia (Italy) Tel. 030 3543439 Fax. 030349805
94 IL TIFO RACCONTA
Redazione Calcio2000 e-mail: media@calcio2000.it
di Stefano Borgi
CAMPIONATI STRANIERI 86 SPAGNA di Paolo Bardelli 88 INGHILTERRA di Luca Manes 90 GERMANIA di Flavio Sirna 92 FRANCIA di Renato Maisani
Image Photo Agency (imagephotoagency.it), Federico De Luca, Massimo Rana, Vincenzo Blandino, Agenzia Aldo Liverani. TC&C S.r.l.
L'impresa del parma
82 DOVE SONO FINITI?
Sergio Stanco, Alessio Alaimo, Stefano Benetazzo,Pasquale Romano Simone Toninato, Gabriele Porri, Luca Gangini, Stefano Borgi Gabriele Cantella, Paolo Bardelli Luca Manes, Renato Maisani, Flavio Sirna Carletto RTL, Thomas Saccani.
Realizzazione Grafica
80 ACCADDE A...
Hanno collaborato
Fotografie
76 Storia Champions
Diretto da
Fabrizio Ponciroli Marco Conterio, Luca Bargellini, Cristina Guerri, Gaetano Mocciaro, Chiara Biondini, Simone Bernabei, Lorenzo Marucci, Pietro Lazzerini, Tommaso Maschio.
50 SERIE B - SPEZIA
TC&C srl Strada Setteponti Levante 114 52028 Terranuova Bracciolini (AR) Tel +39 055 9172741 Fax +39 055 9170872 Michele Criscitiello
42 SPECIALE 1980 tornano gli stranieri
EDITORE
DIRETTORE RESPONSABILE
36 SPECIALE BOMBER
Calcio2OOO
66
Calcio2000 è parte del Network
PER SCRIVERCI: media@calcio2000.it
LA BOCCA DEL LEONE di Fabrizio Ponciroli - foto Image Sport e Federico De Luca ALLEGRI MEGLIO DI CONTE Egregio Ponciroli, dove sono tutti quelli che criticavano Allegri? Ora sono lì a dire che è bravissimo e che è la forza di questa Juve. Salvo lei e pochi altri, tutti l’hanno massacrato prima di vedere come allena sul campo. In Italia tutti sono professori ma nessuno sa quello che dice. Direttore, mi faccia un piacere: lo intervisti lei Allegri, come sa fare lei le interviste che sono sempre originali e diverse dal solito. Simone, mail firmata Innanzitutto grazie per i tanti, troppi complimenti… Vero, ho sempre detto che Allegri sa il fatto suo. L’ho seguito tanto ai tempi del Milan e mi è sempre piaciuto il suo saper gestire ogni situazione, oltre alla sua notevole capacità di adeguarsi ai giocatori che ha a disposizione. Sai che faranno quelli che l’hanno criticato al suo arrivo a Torino? Niente, ora lo celebreranno, in attesa di un suo passo falso per tornare a criticarlo. Purtroppo funziona così e, onestamente, non ho mai capito perché. Se uno è bravo, lo è per sempre poi, ovvio, può avere stagioni positive o negative. Comunque, oltre
MASSIMILIANO ALLEGRI
6
Calcio 2OOO
ad Allegri, complimenti ad ogni singolo giocatore. Giocare con la determinazione messa in campo dalla Juventus in tutti questi mesi è incredibile…
difesa titolare e, purtroppo, a gennaio non sono arrivati rinforzi utili alla causa. Io proseguirei con Garcia, mi pare l’uomo giusto per la Roma…
DELUSO DA GARCIA Buongiorno Direttore, prima i complimenti per la rivista, ma mi mancano le statistiche. Sono un tifoso romanista e sono deluso da quello che ha fatto Garcia. Prima ci promette lo scudetto e poi perde di colpo la presa sulla squadra. Non bisogna mai esagerare, perché poi ci rimetti del tuo. Non ho mai sentito Allegri dire che avrebbe vinto lo scudetto, anche se l’avevano già vinto. Chi verrà al posto di Garcia? Gianfranco, mail firmata
HO UNA DOMANDA PERSONALE… Buongiorno Dottor Ponciroli, leggendo i suoi editoriali su Tuttomercatoweb ho scoperto che è anche il direttore di Calcio2000 e che fa tante altre cose. Ho una domanda per lei: come ha fatto? Sia sincero, mi raccomando. Ho 17 anni e mi piacerebbe una risposta sincera, visto che vorrei fare il giornalista da grande. Grazie e scusi il disturbo Marcello, mail firmata
Caro Gianfranco, ci andrei piano con Garcia. Credo che le dichiarazioni, sicuramente forti, sul fatto che la Roma avrebbe vinto lo scudetto siano state fatte per spronare la squadra a crederci. Lo dico da anni, Roma è una piazza particolare. Si passa dall’esaltazione massima allo sconforto totale in un battito di ciglia. Credo che Garcia sia un grande allenatore. Ricordiamo che la Roma ha perso quasi tutta la
RUDI GARCIA
Caro Marcello, leva il Dottor… Allora, sincero e diretto: umiltà, fortuna e una passione che va oltre al lecito. Ritengo che sia questa la ricetta per almeno provarci. Il mondo del giornalismo è cambiato profondamente negli ultimi anni ma, alla fine, c’è ancora spazio per provarci. Ho dedicato tantissimo tempo a progetti non retribuiti, solo per imparare il mestiere e avere, un giorno, un’occasione. Bisogna sapersi adattare ed aver sempre voglia di imparare. Senza spirito di sacrificio e
volontà, non servirà nessun attestato o raccomandazione. Almeno questo è il mio pensiero… PERCHÈ IL NAPOLI NON DECOLLA? Direttore, non ci siamo! Qui a Napoli siamo disperati. Tra arbitraggi e giocatori che non decollano, il Napoli s’è piantato. Ok, siamo ancora in gioco in Europa e in Coppa Italia ma così non va bene. Ma perché il signor Benitez non cambia un po’ il modo di giocare? Perché andiamo avanti sempre con gli stessi che fanno sempre i medesimi errori? Mi aiuti lei Direttore che io non capisco perché… Santino, mail firmata Caro Santino, avessi la risposta, sarei un veggente… So solo che nel calcio ci sono momenti buoni e altri meno positivi. Il Napoli, come tutte le altre squadre (Juve a parte), in campionato qualche passo falso l’ha fatto ma, come hai detto bene, è in corsa in altre competizioni (mi pare che Inter, Milan e Roma non abbiano la stessa fortuna). Benitez è un signor allenatore, uno dei migliori in circolazione e credo che non cambierà mai le sue idee. Quando vin-
Rafael Benitez
ci tantissimo come ha fatto Rafa, cambiare è sempre rischioso… Giocano gli stessi? Quando hai delle certezze, non è semplice invertire la rotta. Mi auguro solo che Gabbiadini diventi sempre più una certezza… ZAZA E' DA JUVENTUS? Direttore, si sente parlare tanto di Zaza. Secondo lei farebbe bene ad andare alla Juventus? E' a livello dei bianconeri? Filippo, mail firmata Caro Filippo, onestamente non credo sia una buona idea andare alla Juve per Zaza. Farebbe tanta, troppa panchina e, uno come lui, deve giocare per crescere ulteriormente. Con un Morata così, diventa difficile trovare spazio in bianconero... RICEVIAMO & PUBBLICHIAMO... MA VALE QUALCOSA? Gentile Direttore, la sua passione per le figurine mi ha contagiato e sono andato a cercare da mia madre i miei vecchi album. Purtroppo non è andata benissimo, visto che la mia cara mamma me li ha gettati tutti
ma, per fortuna, uno si è salvato. Visto che lei è un esperto, magari mi sa dire, guardando la foto, se può avere un qualche valore. Non capisco perché non ci sia scritto Panini, magari è un falso. È completo, magari quindi può valere qualcosa di più. Scusi ma di lei mi fido, così so che fare. Ernesto, mail firmata Ciao Ernesto, hai fatto benissimo a contattarmi. Allora si tratta di uno dei tanti album di figurine editi dalla Edizioni Lampo. Non è un “falso”. Fino a pochi anni fa, c’erano diverse aziende che realizzavano album dedicate ai calciatori, era la normalità (anche se, mio parere personale, Panini ha sempre avuto una marcia in più). Altri ti direbbero, invece, che la Lampo era decisamente più avvenente. Diciamo che sono punti di vista, entrambi rispettabili. Il tuo album (non vedo l’interno ma mi auguro non ci siano strappi o scritte extra raccolta) ha un valore più che discreto. Completo e in buone condizioni non lo darei via per meno di € 150. Si tratta di una collezione molto ricercata, non avrai difficoltà a “piazzarla”…
SIMONE ZAZA
Calcio 2OOO
7
COPERTINA Simone Pepe
COPERTINA / SIMONE PEPE SEMPRE DI CORSA Pepe non ha mai smesso di correre, in campo e fuori...
IL GUSTO DI PEPE
Uomo spogliatoio, ragazzo divertente ma, soprattutto, un calciatore vero‌
di Fabrizio PONCIROLI 8
Calcio 2OOO
foto Massimo RANA
Calcio 2OOO
9
COPERTINA / SIMONE PEPE
L
a neve cade copiosa su Torino. è una di quelle giornate in cui sarebbe preferibile restarsene a casa. Ma c’è una ragione importante per non mancare. è il giorno dell’intervista a Simone Pepe. L’appuntamento è, ironia della sorte, al locale Pepe. Come tradizione, arriviamo in largo anticipo (nonostante la neve). Subito la sorpresa: Simone è già dei nostri. Un dettaglio che ci fa subito comprendere come sia uno che va di fretta. Il tempo di due battute (ecco perché Marchisio l’ha definito il più simpatico dello spogliatoio) e si comincia… Simone, sempre il pallone in testa o, da piccolino, hai avuto altri sogni? “Già mi viene da ridere… Da piccolo volevo fare il benzinaio. Ricordo che, dove andavo con mia mamma, il benzinaio aveva sempre il portafogli pieno e da lì mi è venuta la fissa…”. Per fortuna poi ti sei dato al calcio… “Guarda, mio padre giocava a calcio,
COPERTINA / SIMONE PEPE
“” Ero destinato a fare il calciatore… Ricordo che mi facevano tanti regali ma, alla fine, giocavo sempre con il pallone mio fratello pure, quindi ero destinato a fare il calciatore… Ricordo che mi facevano tanti regali ma, alla fine, giocavo sempre con il pallone”. Quale è stato il momento in cui hai capito che avevi la stoffa per diventare un professionista? “Quando avevo 14/15 anni sentivo la gente parlare bene di me e lì ho iniziato a capire che potevo fare qualcosa di importante. Poi sai che nel calcio ci vogliono tante altre componenti per arrivare a
certi livelli”.
UNA VERA ISTITUZIONE
A chi devi dire grazie? In particolare riferito agli inizi della tua carriera? “Direi mio padre. Mi è stato molto vicino, mi ha insegnato molto e mi ha permesso di non commettere certi errori”.
Alla Juventus, Pepe è diventato un giocatore di fondamentale importanza
Simone mi racconti da dove arriva il tuo soprannome, Er Chiacchiera? “è nato a Palermo con Terlizzi e Berti. Io ero un ragazzino, loro più grandi ma rispondevo comunque sempre e da lì è nato il soprannome. Io sono diventato Er Chiacchiera mentre Terlizzi è stato Tre Mondiali… Comunque posso dire che è un soprannome che mi avrebbero potuto dare tutti, visto che parlo in continuazione da sempre (Ride ndr)”. Come mai hai fatto così tanta gavetta prima di sfondare? “Ad oggi, guardando indietro, credo sia stato giusto fare la gavetta che ho fatto. Gente come Totti o Del Piero è chiaro che la gavetta non la fanno, ma per me è stato giusto. Mi ha permesso di crescere”. Poi, a Udine, sei esploso… Come mai
RAGAZZO SPOGLIATOIO
Simone sa come farsi apprezzare, ha la battuta sempre pronta...
10
Calcio 2OOO
Calcio 2OOO
11
COPERTINA / SIMONE PEPE proprio all’Udinese? “Udine è il luogo migliore dove crescere. C’è un’organizzazione perfetta alle spalle, una grande società. Per me è stato il massimo”. Mi racconti come è avvenuto il tuo passaggio alla Juventus? “Mi ha chiamato il mio procuratore prima del Mondiale (2010 ndr). In effetti già Gino Pozzo mi aveva accennato che c’era una squadra che mi voleva. Poi il mio agente mi disse che c’era la Fiorentina. Poi, però, arrivò la Juventus e, in un amen, ho accettato. Non potevo certo rifiutare la Juventus…”. Incredibilmente, alla Juventus, hai fatto subito il botto… “Alla Juve mi sono trovato subito bene. Il mio primo anno, quello iniziato con Del Neri, è stato importante, è stato quello dell’inserimento. Purtroppo, nel girone di ritorno, è andata male a livello di risultato. Poi, con l’arrivo di Conte, tutto è andato a meraviglia. Un anno magico…”. VOGLIA DI STUPIRE Dopo tanti infortuni, Simone è tornato decisivo come ai bei tempi...
COPERTINA / SIMONE PEPE
“” Conte ci ha dato
è stato di parola... Ricordo che, dalla gara di Firenze, non sono più uscito”.
davvero tanto. C’è però da dire che ha anche trovato una rosa super disponibile a seguirlo
Torniamo alla Juventus e, in particolare, allo Juventus Stadium… “Meraviglioso, un luogo spaziale. Tutti gli stadi dovrebbero essere così. Ricordo sia la mia prima amichevole allo Juventus Stadium, sia la prima con il Parma in cui ho anche segnato dopo la prima rete di Lichtsteiner. Qui è come è andare a teatro. Per fortuna altri ci stanno pensando, penso all’Udinese che è già molto avanti nel progetto nuovo stadio…”.
Merito della tua duttilità… Sempre stato un giocatore duttile o ti sei “costruito” nel tempo? “Io nasco come centravanti. Poi, a Udine, ci siamo trovati in sei attaccanti, diversi dei quali con più fiuto del gol di me. Marino, l’allenatore di allora, mi ha detto: ‘Guarda, se resti, parti come sesto attaccante’. A me andava bene, con la promessa che, se avessi fatto bene, mi avrebbe dato spazio. Ho fatto bene e Marino
E di Conte che mi dici? “Conte ci ha dato davvero tanto, sia a livello di gioco che mentale. C’è però da dire che ha anche trovato una rosa super disponibile a seguirlo. Bravo lui e bravi noi a seguirlo. Un mix perfetto. Non era facile trovare giocatori, magari come Pirlo o Buffon, che, dopo aver vinto tutto, vanno a 200% all’ora ad ogni allenamento. Comunque non si vincono tre scudetti di fila a caso…”.
“” Udine è il luogo migliore dove crescere. organizzazione perfetta e una grande società
CONSIGLI A POGBA Pepe non perde l'occasione per far crescere il divin Paul...
Mi sembra che, anche con Allegri, non sia cambiato nulla… “Guarda, prima avevamo bisogno di uno come Conte. Adesso, con tre anni di esperienza alle spalle, credo fosse giusto passare ad uno come Allegri. Parliamo di due allenatori diversi di carattere. Conte sempre sul pezzo, Allegri magari più disponibile alla battuta. Comunque ci tengo a dire che anche Conte, fuori dal campo, era molto piacevole. Stessa cosa per Allegri. è uno che magari scherza di più ma, quando arriva il momento di fare sul serio, non si tira mai indietro”. Nel frattempo hai dovuto affrontare un bel calvario a livello di infortuni. Come ne sei uscito? “Ci vuole la testa. Credo che il mio carattere mi ha aiutato parecchio. Ti possono stare vicini in migliaia ma, se non hai la testa, non ce la fai. Io ho fatto 8/9 volte a rientrare e poi fermarmi nuovamente. Poi, ricordati che io, prima di questo calvario, non avevo mai avuto infortuni”. Scherzando, hai avuto modo di vedere da vicino Pogba… “Uno che ha quelle qualità lì non può che diventare un grandissimo del calcio. Spesso gli dico: ‘A te il Signore ti ha preso e ti ha mandato sulla Terra ad insegnare calcio…’. Uno che ha quella forza fisica e quella tecnica non s’è mai visto. è giovane, a fine allenamento, si mette a giocare. Ha ancora una passione pazzesca per il gioco. è l’atleta perfetto e, pensa che ti dico, secondo me potrebbe fare ancora meglio”. Anche a livello di testa mi sembra molto solido… “Non gli si può dire nulla. Alla sua età non è facile non farsi travolgere dai media. Davvero un bravo ragazzo”. Come sta il calcio italiano?
12
Calcio 2OOO
Calcio 2OOO
13
COPERTINA / SIMONE PEPE
COPERTINA / SIMONE PEPE
SEMPRE DI CORSA Di Fabrizio Ponciroli
Simone Pepe ha sempre spinto sull’acceleratore e non ha intenzione di smettere… desso Llorente è più felice… Sono tornato a correre sulla fascia e qualche cross al bacio glielo farò avere…”. Fuori intervista, Pepe scherza. E’ il suo modo di fare ed essere. Tuttavia nello scherzo c’è sempre un fondo di verità. Per fare cross al bacio devi sapere saltare l’uomo e, soprattutto, devi correre. E Pepe, da questo punto di vista, non si mai risparmiato. Già a 18 anni, nella sua prima esperienza da professionista, al Lecco, era uno che correva tanto, anche se giocava da centravanti puro. Poi, a Udine, l’hanno scoperto tutti. Grazie a Marino (e alla sua determinazione) si è trasformato in attaccante esterno. Ben 16 le reti in maglia friulana, sette delle quali nella magica stagione 2009/10, quella che gli ha aperto le porte della Juventus. La Vecchia Signora, per portarlo a Torino, ha speso tanto (tra prestito oneroso e diritto di riscatto, siamo sui 10 milioni di euro). Soldi spesi bene. Nella prima annata bianconera gioca 42 partite, con sei gol (il primo, in maglia Juventus, contro la Sampdoria). L’anno seguente, con l’arrivo di Conte, è quello della consacrazione: 33 presenze, sei gol e lo scudetto da protagonista. Poi arrivano i tanti infortuni che, di fatto, lo tengono fuori gioco per due anni. Nelle nefaste stagioni 2012/13 e 2013/14, colleziona solo quattro presenze totali, colpito, in maniera incessante da continue ricadute. Poi, il 15 gennaio del 2015, la svolta. Nella rotonda vittoria
foto Image Sport
“A
della Juventus sul Verona in Coppa Italia (6-1 il finale), Pepe gioca, dopo quasi tre anni, da titolare, mostrando una condizioni fisica invidiabile. La prova che è finalmente tornato, voglioso di ricominciare a correre su quella fascia che tanto ama magari per rindossare anche la casacca della Nazionale, rapporto interrotto nel 2011, dopo 23 presenze…
LA CARRIERA DI PEPE Stagione 2001-gen. 2002 gen.-giu. 2002 2002-2003 2003-2004 2004-2005 2005-gen. 2006 gen.-giu. 2006 2006-2007 2007-2008 2008-2009 2009-2010 2010-2011 2011-2012 2012-2013 2013-2014 2014-2015
Squadra Roma Lecco Teramo Palermo Piacenza Palermo Udinese Cagliari Udinese Udinese Udinese Juventus Juventus Juventus Juventus Juventus
Campionato Comp A C1 C1 B B A A A A A A A A A A A
Pres 5 31 19 30 3 6 36 33 33 32 30 31 1 2 4
Reti . 11 1 12 3 3 4 7 5 6 -
Totale Stagione Pres 5 31 24 32 6 9 39 37 45 36 42 33 1 3 6
Reti 11 3 13 3 3 6 7 6 6 -
* dati aggiornati al 05/03/2015
14
Calcio 2OOO
Calcio 2OOO
15
COPERTINA / SIMONE PEPE “Beh, innegabile che il calcio italiano sia calato come qualità. Ti faccio un esempio: 10 anni fa, uno come Pepe nella Juventus non avrebbe mai giocato. Prima c’erano Nedved e Camoranesi…”. Eppure la Vecchia Signora continua a vincere… “è una questione di mentalità. Qui c’è la cultura della vittoria. Se pareggi una partita, il giorno dopo è un funerale… La società ha una mentalità vincente pazzesca”. Ma la voglia di vincere c’è ancora? “Ma scherzi? Quando cominci a vincere, vuoi subito riprovare quella sensazione… Io, tra l’altro, ho iniziato a vincere tardi e, quindi, ho ancora più voglia di rivincere. Poi, come detto, quando sei alla Juve la respiri questa voglia di vincere, sempre, ogni giorno ed è qualcosa che mi piace molto”. Peccato che in Champions non basti solo quella… Avverti qualche limite quando scendi in campo nell’Europa
SCARPE DA CAMPIONE Per essere dei vincenti, è necessario avere i mezzi giusti…
N
on c’è calciatore che non ami le proprie scarpe. Senza la calzatura giusta, è impossibile raggiungere certe performance e poter, sul campo, fare la differenza. Pepe, uomo abituato a correre sulla fascia, ha bisogno di una scarpa che gli dia garanzie elevatissime, sulla quale possa sempre contare, come la Nitrocharge. Per poter sprigionare tutta l’energia che possiede, Pepe si affida a lei. Scarpa perfetta per "The Engine", il motore della squadra, ovvero per i centrocampisti e per tutti i giocatori d'azione (come il nostro Pepe), la Nitrocharge è la risposta a chi cerca affidabilità, confort e prestazioni importanti… Il nuovo posizionamento della fascia di supporto energysling insieme a un incremento dell'area con cuscinetti e mesh protettivi sono stati uti16
Calcio 2OOO
COPERTINA / SIMONE PEPE
“”
Pogba? è l’atleta perfetto e, pensa che ti dico, secondo me potrebbe fare ancora meglio. Glielo dico sempre che conta? “Ma no… Ci sono 3/4 squadre fuori categoria ma, con tutte le altre, te la puoi giocare secondo me. Credo che sia solo dovuto al fatto che è qualche anno che non si arriva in fondo. Dai su, chi ha il centrocampo che ha la Juventus in Europa? Parliamo di un centrocampo top…”.
“Io credo che, alla fine, il campionato italiano sia sempre il più difficile. I campioni che fanno 100 gol in Spagna, Inghilterra o Germania, non penso che farebbero 100 gol in Italia. Certo, il contorno è diverso. Basti pensare al pubblico o agli stadi ma, ripeto, da noi è dura e quindi ci tengo a sottolineare il livello del nostro calcio”. Simone quale è stata la più grande amarezza da quando sei alla Juventus? “Non posso non citare la sconfitta con il Galatasaray che ci è costata l’accesso agli ottavi di finale in Champions League… Ero in tribuna, la situazione surreale, un campo impraticabile. Pensa che Mancini manco voleva scendere in campo. è stata una partita pesantissima per noi, una sconfitta davvero durissima da digerire”.
Lasciando stare il mercato, c’è un mercato estero che ti affascina più di altri?
Fuori dal calcio? “Beh, ho qualche tatuaggio (Ride ndr). Mi diverte molto giocare a golf, uno sport che guardo anche tantissimo alla Tv…”.
lizzati per fornire una stabilità ineguagliabile. Ecco uno dei segreti di Pepe e della sua incisiva corsa sulla fascia. Il centrocampista/attaccante bianconero ha scelto adidas per, parole sue, “…la grande qualità che sanno mettere nelle
scarpe che realizzano. Per me è un onore indossare le scarpe adidas. Basta indossarle per farsi un’idea del livello del prodotto”. Come dargli torto? Quando sei legato alle performance, devi scegliere il meglio…
QUESTIONE DI TESTA
MAI ARRENDERSI Ci sono giocatori che non alzano mai bandiera bianca, come Pepe...
Di Fabrizio Ponciroli
Pepe non è l’unico calciatore ad essere tornato al top dopo un lungo calvario…
T
ornare al top, dopo una lunga assenza, non è impossibile. Pepe, costretto ai box, di fatto, per due anni, ha finalmente visto la luce in fondo al tunnel. “Era durissima guardarsi tutti gli allenamenti e non poter giocare ma, alla fine, devi combattere per tornare ed è quello che ho fatto”, ci racconta. Pepe è uno di quelli che ce l’hanno fatta. Prima di lui altri si sono distinti per determinazione e voglia di tornare. Il primo nome che sovviene è quello di Ronaldo. Dopo due, gravissimi, infortuni ai tempi della militanza all’Inter (tendine rotuleo), Ronie non si abbatte e torna decisivo: Mondiale vinto con il Brasile, Pallone d’Oro e quattro stagioni e mezza alla grande con il Real Madrid (104 gol in 177 partite). E che dire di Roby Baggio? Tantissimi gli infortuni alle martoriate ginocchia ma sempre capace di rientrare e giocare da Divin Codino. Altro gladiatore è stato Cech. Durante la stagione 2006/07, al top della sua carriera, durante la gara con il Reading, si procura una frattura al cranio. Rischia di non poter più giocare. Resta lontano dai campi per sei mesi ma, anche grazie ad un caschetto protettivo, torna protagonista e lo è ancora adesso. Un duro lo è sempre stato anche Javier Zanetti. Ancor di più se si pensa al suo infortunio: rottura del tendine d’Achille a quasi 39 anni. In tanti avrebbero alzato bandiera bianca, non Zanetti che, 195 giorni dopo il crack, rimette piede in campo (contro il Livorno). Impressionante anche quanto compito da Henrik Larsson. Durante la partita, di Coppa Uefa, tra Celtic e Lione, il bomber svedese, in uno scontro di gioco con Blanc, si rompe tibia e perone. Un dramma sportivo e fisico. Bene, la stagione successiva, Larsson rientra e segna 35 gol in 37 gare… Pensiamo anche a gente come Baresi e Maradona. Il primo, al Mondiale del 1994, si infortuna al menisco. Tutto finito? No, 25 giorni dopo, Franco è in campo. Forza di volontà anche per il Pibe de Oro. Ai tempi del Barcellona, Goikoetxea gli rompe la caviglia. Maradona perde il 30% della mobilità ma sarà comunque il migliore di sempre. La lista è lunga, ci sarebbe da parlare dei vari Riva, Antognoni, Del Piero… La conferma che, se si vuole tornare, non c’è infortunio che tenga… Calcio 2OOO
17
COPERTINA / SIMONE PEPE
CON CALCIO2000
Un flash dell'intervista, con la nostra/vostra rivista in primo piano...
Come può un calciatore, abituato all’azione, a cimentarsi con uno sport, come il golf, fatto di pause concentrazione massima? “L’opposto ti attrae. Quando sei abituato a giocare davanti a 40.000 persone, magari che ti insultano, con scontri fisici pesanti, ecco magari ti può piacere l’idea di giocare su un campo verde, senza nessuno attorno e in totale relax… Poi sai, nel calcio sei in 11, a golf ci sei tu e la pallina ed è una bella sensazione essere da soli…”. Un film in cui ti sarebbe piaciuto esse-
re il protagonista? “Il Gladiatore. Mi sarebbe piaciuto essere il protagonista, un grande…”. Futuro? Ci stai già pensando a cosa farai una volta smesso di correre sulla fascia? “Prima pensavo alla figura dell’allenatore… Poi però ho iniziato a rifletterci e, onestamente, mi pare un ruolo tosto. Devi stare sempre sul pezzo, entrare nella testa di 30 giocatori. Non stacchi mai. Da giocatore, una volta fatto il tuo dovere, puoi pensare ad altro, ho paura che per l’allenatore non sia così. Anzi ne sono sicuro…”. A proposito di testa, come le vivi le grandi sfide? Ci pensi tutta la settimana? “No, io posso scherzare anche cinque minuti prima della partita. Il problema è trovare con chi scherzare. Ormai hanno tutti le cuffie, guardano nel vuoto e sembrano dei serial killer...”.
Intervista di Fabrizio Ponciroli 18
Calcio Calcio 2OOO 2OOO
Nazionale capitolo chiuso?
“Nel calcio mai dire mai, anche se, ad agosto, farò 32 anni. E’ vero che ho dimostrato di poter tornare a giocare a certi livelli e lo farò ancora per tanti anni ma è altrettanto vero che ci sono tanti giovani interessanti in circolazione. Comunque, dovesse arrivare la chiamata, mi ci tuffo di testa”. Simone, come vorresti essere ricordato quando non giocherai più? “Come una persona simpatica che stava bene nello spogliatoio. Tanto mi ricorderanno per quello… I campioni, gente come Buffon, Pirlo o Tevez, resteranno nella memoria di tutti quanti per sempre ma Pepe se lo ricorderanno perché faceva fare due risate (Ride ndr)”. E due risate, anzi decisamente di più, ce le siamo fatti. Come se non bastasse, abbiamo anche scoperto la grande voglia che anima un giocatore essenziale nei meccanismi, perfetti, della Vecchia Signora. Come dice Simone, dei campioni si ricorderanno tutti ma, per vincere, servono i Pepe..
COPERTINA / ALBERTO GILARDINO
COPERTINA ALBERTO GILARDINO
CASA DOLCE CASA Gilardino: a Firenze per ritornare al top
IL VIOLINISTA DEL GOL
Intervista esclusiva ad uno dei bomber pi첫 prolifici del nostro campionato
di Pietro LAZZERINI 20
Calcio 2OOO
foto Federico DE LUCA
Calcio 2OOO
21
COPERTINA / ALBERTO GILARDINO
D
alla Cina è tornato nel Belpaese dopo meno di sei mesi. Non che l'Oriente fosse brutto, ma la vacanza dal calcio che conta era finita e di tempo, per tornare ai massimi livelli, ce n'era in abbondanza. Alberto Gilardino ha girato l'Italia segnando ovunque. Ha fatto esultare i tifosi di Piacenza, Hellas Verona, Parma, Milan, Fiorentina, Genoa e Bologna. Una melodia da bomber suonata sempre con il solito violino. Un marchio di fabbrica nato per gioco, che ha però accompagnato tutti i momenti più importanti della sua carriera, fino a quel gol agli Stati Uniti che gli permise di mettere il suo sigillo sulla vittoria del Mondiale in Germania. Alla fine era un predestinato fin dal giorno della sua nascita: il 5 luglio del 1982. Nelle stesse ore in cui piangeva per la prima volta cullato dalla mamma, l'Italia di Paolo Rossi batteva in rimonta il grande Brasile, in una partita epica che potremmo mettere a confronto con quella della Nazionale di Lippi contro la Germania di Jurgen Klinsmann. Adesso di storie da raccontare ce ne sono tante, ma di fermarsi non se ne parla: “Finché mi reggono le gambe continuerò a giocare – mette subito in chiaro il Gila – La passione è sempre la stessa di quando ho iniziato e ho intenzione di segnare tanti gol prima di appendere le scarpette”. Già tre anni fa a Firenze, qualcuno insinuò che la luce nei suoi occhi di bomber si era spenta, ma non ha ancora smesso di fare gol, allora la bolletta l'aveva pagata? “Quegli ultimi mesi con la maglia viola nel 2011 erano stati molto difficili. Tra infortuni e il gol che non arrivava, decisi di cambiare. C'era aria di cambiamento, un vero e proprio cambio generazionale. Mi dispiacque lasciare la squadra a metà stagione ma non potevamo andare avanti. La battuta della luce? Conoscevo il mio valore e lo conosceva anche la gente. Non mi ha pesato, alla fine mi sembra di aver continuato a segnare come sempre e in qualsiasi squadra”. Adesso è tornato a Firenze su espressa richiesta di Andrea Della Valle, la lampadina è sempre accesa? 22
Calcio 2OOO
COPERTINA / ALBERTO GILARDINO
“” Sono voluto tornare a Firenze con forza e per ripartire da dove ci eravamo lasciati. Ora punto ai 200 gol in Serie A “Direi di sì. Sono molto felice di essere tornato a Firenze, era quello che volevo, appena ho saputo che il patron aveva intenzione di richiamarmi ho fatto di tutto per tornare. Qui sono sempre stato bene. In viola ho toccato il top, segnando gol importanti ed esultando con i tifosi. Sono contento anche perché mi ha voluto lo staff tecnico, sono qui per continuare dove ci eravamo lasciati, con il violino in mano sotto la curva”. Ora tutti riconosco il campione, ma come è stato l'inizio della carriera? Quando ha capito di poter raggiungere questi livelli? “Ai tempi di Piacenza giocavo perché era la mia passione. Ho sempre amato il calcio e lo amo tutt'ora come la prima volta che ho messo le scarpette. Fino a Verona non mi ero reso conto di quello che avrei potuto fare, poi a Parma capii che il mio amore poteva trasformarsi in professione e fu uno dei giorni più felici della mia vita”. Ci saranno stati grandi festeggiamenti in famiglia il giorno del primo contratto da professionista... “In realtà quando firmai con il Piacenza prendevo il minimo federale, ma ero già felicissimo. Poi arrivò il Verona che mi fece un contratto di quattro anni. Eravamo tutti felici per questo traguardo, ma ho una famiglia molto tranquilla e a 18 anni il massimo del festeggiamento fu una cena fuori con i miei genitori”. Stavamo parlando del Parma. Il club ducale è una vera e propria svolta nella sua carriera, quali sono i ricordi legati a quella esperienza? “Il primo anno avevo davanti campioni come Adriano e Mutu. Giocavo poco, ma
mi guardavo intorno e cercavo di imparare dai giocatori con i quali avevo l'onore di allenarmi. Poi, grazie all'infortunio dell'Imperatore iniziai a trovare spazio e a segnare. Mi riusciva tutto, toccavo la palla ed entrava in rete. È stato un periodo fondamentale per la mia maturazione e Prandelli fu l'artefice di questa crescita”.
GIGLIO SUL CUORE
Alberto ha raggiunto l’apice della sua carriera proprio in maglia viola
Si può dire che è stato l'allenatore che ha maggiormente segnato la sua carriera? “In effetti sì. In quegli anni è vero che ero fortunato e che mi girava tutto bene, ma accadeva questo perché il mio allenatore aveva capito come esaltare le mie caratteristiche. Mi ha insegnato i movimenti che poi mi sono portato dietro tutta la vita. Mi ha plasmato trasformandomi in una vera e propria macchina da gol”. C'è tanta differenza dal Parma in cui giocava lei e quello che purtroppo vediamo adesso protagonista su tv e giornali, come vive questa tragedia sportiva? “Con sgomento e anche un po' di rabbia. Qualcuno si poteva muovere prima, siamo nel 2015, mi pare assurdo che si arrivi a questa situazione. A gennaio potevo tornare proprio in gialloblu, ma quando mi sono informato sul progetto, nessuno si immaginava quello che sarebbe successo. Conosco tutti a Parma, dal magazziniere fino ai cuochi, e vederli in crisi mi fa stare male. Ai giocatori invece si deve solo fare un applauso perché si stanno comportando da veri professionisti. Stanno lottando per i propri diritti, ma mentre lo fanno lottano anche per coloro che non hanno voce. Spero tanto che la situazione si risolva al più presto, la gente di Parma non merita tutto questo”. Archiviato il discorso Parma, passò al Milan. Che emozione si prova ad entrare nella “Scala del Calcio” da protagonista? “La prima volta è stata incredibile. Da bambino sognavo di vestire la maglia di una grande squadra e di entrare a San Siro con il boato del pubblico ad accompagnare i miei passi verso il centro del campo. Quando il sogno si è avverato l'emozione è stata di quelle indelebili, di quelle che non ti scordi mai”. Un'esperienza che però ha vissuto di Calcio 2OOO
23
COPERTINA / ALBERTO GILARDINO
COPERTINA / ALBERTO GILARDINO
Il bomber vuol tornare a fare una sviolinata alla Fiesole
Tutti i gol di Gilardino in Serie A Stagione
Squadra
1999-2000 2000-2001 2001-2002 2002-2003 2003-2004 2004-2005 2005-2006 2006-2007 2007-2008 2008-2009 2009-2010 2010-2011 2011-gen. 2012 gen.-giu. 2012 2012-2013 2013-2014 gen.-giu. 2015
Campionato Comp A A A A A A A A A A A A A A A A A
Piacenza Verona Verona Parma Parma Parma Milan Milan Milan Fiorentina Fiorentina Fiorentina Fiorentina Genoa Bologna Genoa Fiorentina
Pres 17 22+2 * 17 24 34 38+1 * 34 30 30 35 36 35 12 14 36 36 4
Reti 3 3 2 4 23 23+1 * 17 12 7 19 15 12 2 4 13 15 -
* Spareggi salvezza - Dati aggiornati al 16/03/2015
alti e bassi, dai gol che non erano mai abbastanza ai fischi del pubblico. “È stata un'esperienza tosta, che mi ha forgiato. A 24 anni giocare nel Milan non è facile per nessuno. Quella squadra era composta da campioni. Aveva una mentalità vincente che mi ha accompagno tutt'ora. Nonostante tutto è stata una bellissima esperienza, non recrimino nulla, perché penso che dovesse andare in quel modo”. Qualcuno disse che il suo rapporto con Ancelotti si era incrinato, è vero? “È stato veramente bravo con tutti in quegli anni. È un allenatore dalla grande personalità. In quei tre anni abbiamo vinto tanto, è stato un periodo di trionfi importantissimi per il club. Guardando adesso al passato, in una squadra come quella, era normale passare un po' di tempo in panchina”. Ma se tutto è andato così bene perché i tifosi la fischiavano? Cosa è andato storto? “Niente, semplicemente i tifosi rossoneri, 24
Calcio 2OOO
“”
Vincere a Dortmund contro la Germania è stata l'emozione più grande del Mondiale 2006. Quella sera resterà sempre nel mio cuore come tutti i tifosi milanesi, sono di palato fine e vogliono sempre vedere vincere le proprie squadre a suon di gol. Mi volevano bene e sapendo cosa potevo dare cercavano di spronarmi. Negli ultimi sei mesi giocavo sempre meno, arrivarono anche altri grandi campioni come Ronaldinho, a quel punto capii che era il momento di cambiare”. Mi sembra di capire che è un'espe-
rienza che ha segnato la sua carriera, c'è un aneddoto particolare che la lega al Milan? “La prima telefonata di Berlusconi. Il presidente mi chiamò e mi disse: 'Sei arrivato in una grande famiglia, crediamo molto in te'. Mi fece molto piacere, perché fu una chiamata inaspettata, mi sentii molto orgoglioso”. In quegli stessi anni Alberto Gilardino ha raggiunto l'apice della propria carriera con il Mondiale in Germania. Un altro sogno che molti bambini cullano fin da quando iniziano a giocare. “Ci andò tutto bene. Siamo stati fortunati ma allo stesso tempo umili, determinati e pazienti. Ci davano tutti contro. Eravamo nel bel mezzo di Calciopoli e anche i giornalisti ci andavano giù pesante. L'opinione pubblica era scettica e tutto questo non ha fatto altro che rafforzarci”. Quando si parla di quel Mondiale si parla sempre del gruppo e mai di un singolo. Chi è stato il vero valore aggiunto per la vittoria finale?
CLASSIFICA ALL TIME MARCATORI SERIE A IN ATTIVITà Pos.
Nome
Reti
Pres.
1
Francesco Totti
240
581
2
Antonio Di Natale
3
Alberto Gilardino
4
Luca Toni
5
Giampaolo Pazzini
6
Sergio Pellissier
7
Fabio Quagliarella
203 174 142 98 89 85 85 75 72 71 69 65 61 58
412 454 310 308 362 290 331 241 272 260 177 221 268 196
Amauri 9
Alessandro Matri
10
Marek Hamsik
11
Marco Borriello
12
Rodrigo Palacio
13
Germán Denis
14
Sergio Floccari
15
Massimo Maccarone
Dati aggiornati al 16/03/2015
L’AVVENTURA CINESE… Di Pietro Lazzerini
Chinese Super League, quando il calcio è divertimento (e poco altro) l campionato italiano non lo ha mai vinto, ma in compenso, Alberto Gilardino ha vinto una Chinese Super League, ovvero il campionato cinese. 14 presenze e 5 gol il suo bottino nel 2014, un ottimo score che ha trascinato gli uomini di Lippi alla vittoria del torneo. "Un'esperienza totalmente diversa - racconta l'attaccante - Non avevo mai provato così tanta fatica a giocare a calcio". Il clima di Pechino e di qualsiasi città cinese è umidissimo e forse il ricordo più vivido nella mente del bomber è proprio quello legato alle condizioni ambientali pazzesche per rincorrere un pallone sul campo verde. Un cambio assimilato bene dalla famiglia, un po' peggio dallo stesso giocatore: "Mi sono divertito, ma a fine stagione ho capito che dovevo tornare nel calcio che conta". Il rapporto con Marcello Lippi è stato forse la molla che lo ha spinto a questa rivoluzione nella propria carriera, come lo è stata l'esclusione dai Mondiali in Brasile. "Mi porterò dietro le immagini di un popolo che ama il calcio in modo pazzesco - racconta il Gila - ma la nostalgia di casa era veramente troppa per poter restare". Il club cinese non si è certo lamentato del suo rendimento. Se è arrivata la vittoria finale è stato anche merito suo. È vero, come ci ha raccontato lui “ci è voluto un mese per entrare in forma”, ma una volta abituatosi al nuovo paese ha cambiato anche la storia della sua squadra suonando il solito violino, quello che nonostante passino gli anni, continua a suonare una melodia celestiale, la canzone del gol. Finito il campionato con l'addio dell'ex Ct della Nazionale, anche Gilardino decise di interrompere le ferie calcistiche per sposare nuovamente la Serie A. La famiglia amava stare in Cina: "C'era tutto per le mie figlie e per mia moglie, ci trovavamo benissimo", ma il cibo, la cultura e soprattutto il calcio, non potevano vincere il confronto con il Belpaese. Insieme a Diamanti ha abbandonato l'Estremo Oriente e si è ripreso la maglia viola. La Cina è il passato, il presente (e forse anche il futuro) si chiama Fiorentina.
I
foto Celeste/Image Sport
SVIOLINATA
Calcio 2OOO
25
COPERTINA / ALBERTO GILARDINO
COPERTINA / ALBERTO GILARDINO
“”
“Senza dubbio mister Lippi. Ha plasmato una squadra incredibile. Un gruppo coeso che riuscì a lasciar fuori dai cancelli di Coverciano tutti i problemi legati al nostro campionato. Cambiò la mentalità di ognuno di noi sia dentro che fuori dal campo trascinandoci alla vittoria. Ci aiutavamo l'un con l'altro e allo stesso tempo crescevamo anche singolarmente e Lippi fu la nostra guida”. Lei è stato una sorta di predestinato per la vittoria del Mondiale, ci può raccontare l'emozione più forte che ha provato? “Vincere a Dortmund contro la Germania padrona di casa tra migliaia di tifosi tedeschi. Mi ricorderò per sempre quella notte, l'ansia e poi la gioia per la vittoria finale. Prima di partire nessuno pensò al fatto che ero nato il 5 luglio (il giorno della vittoria della Nazionale di Bearzot contro il Brasile n.d,r.), dopo me lo hanno ricordato in tanti. Forse era proprio destino”. Quel giorno, come sempre quando ha potuto scegliere, indossava la maglia numero 11. Cosa la lega a quel particolare numero? “Ai tempi di Parma il figlio di Tanzi era molto legato a questo numero di maglia e mi chiese di indossarlo per la mia permanenza in Emilia. Con quel numero in-
A Milano mi fischiavano perché mi volevano bene. Ho salutato perché sentivo che era il momento di cambiare dosso ho segnato tanti gol e da lì non ho più voluto cambiare. Adesso vesto la numero 9 in viola e sono contento lo stesso, considerando anche il valore di questa maglia per i fiorentini”. Tornando al nostro campionato, un'altra squadra che è stata importante per la sua maturazione definitiva è stata il Bologna. “Ho vissuto anni importanti in rossoblu. Mi sono trovato subito bene, dopo un anno travagliato passato tra la Fiorentina e il Genoa e soprattutto fra mille infortuni. I miei 13 gol hanno permesso alla squadra di salvarsi. Pensavo che sarei rimasto più a lungo ma le società non si misero d'accor-
CERTI AMORI FINISCONO Di Pietro Lazzerini
Il ricordo del periodo rossonero, tra alti e bassi…
G
ilardino arrivò a Milano nell'estate del 2005 dopo aver segnato gol a grappoli nel Parma di Prandelli. Il primo contratto da campione per il giovane Alberto, che da bambino non tifava rossonero, ma che allo stesso tempo sognava di calcare il manto erboso di San Siro da protagonista. Arrivò tra grandi aspettative, soprattutto da parte dei tifosi che impararono subito a volergli bene. Il ragazzino pulito, appassionato e con quel modo di esultare così originale da entrare nel cuore degli appassionati sempre dalla porta principale. “Le prime due stagioni andarono alla grande – racconta l'attaccante – poi iniziai a giocare meno. Nel 2007 potevo andare via, ma mi ero già affezionato a quel club così vincente”. Quella stagione fu condita da un insuccesso dopo l'altro. Po26
Calcio 2OOO
do. Ero arrivato in prestito dal Grifone e alla fine della stagione mi toccò tornare in Liguria. Non fu certo un peso, ma dovevo dimostrare a Preziosi e al pubblico genoano quanto valevo e grazie alla squadra e a Gasperini feci una delle più belle stagioni della mia carriera”. Dalla rinascita in rossoblu alla partenza per la Cina, il passo non pare essere così breve, cosa è successo? “Al Genoa giocai per mesi con la mano fratturata solo per rispondere alla chiamata della Nazionale. Avevo giocato tanto, Prandelli mi aveva chiamato spesso durante la stagione, poi al momento delle convocazioni il mio nome non era in lista. Fu una grande delusione, rispetto le decisioni prese a suo tempo da Prandelli, ma fu comunque un momento molto deludente della mia carriera. In quegli stessi mesi mi chiamò Lippi e mi propose di raggiungerlo in Cina. Presi la mia delusione, la misi da parte e decisi di provare questa nuova esperienza”. Piccola digressione: anche Giuseppe Rossi rimase molto deluso dall'esclusione al Mondiale, perché come lei affrettò i tempi di recupero per rispondere alla chiamata di Prandelli, vi siete mai confrontati su questo tema? “Non abbiamo mai parlato di questo,
che presenze. Pochi gol, tanti fischi: “Lo facevano perché mi amavano e sapevano quanto potevo dare alla squadra, non me la sono mai presa con i tifosi, era un loro diritto fischiarmi”. Anche con Ancelotti sembrava cambiato il rapporto che inizialmente sembrava idilliaco: “Non ero contento, ma se mi guardo indietro adesso, restare fuori tra tutti quei campioni era normale”. Il Gila segue ancora il Milan e la battuta che gli esce spontanea appena si nomina i rossoneri la dice lunga: “Adesso è tutto cambiato da quando c'ero io, anche i fischi avevano un altro valore, perché la squadra aveva un altro valore. Mi dispiace per Pippo, è dura far bene in questo momento”. Certi amori non finisco, altri sì, e questo sembra proprio quel caso. Con la maglia del Diavolo il bomber di Biella ha vinto anche un Mondiale ma questo non basta per mantenere vivo l'affetto nei confronti di Milanello. Non che Gilardino pensi al Milan con risentimento, non è nel suo carattere, non è nelle corde del suo violino, ma è evidente come siano altre le esperienze alle quali è rimasto affezionato nel corso della sua carriera. L'amore è stato forte per tanti motivi, dalle vittorie ai gol passando per la maglia azzurra, ma nonostante questo il cuore preferisce guardare altrove. In luoghi dove, per un motivo o per un altro, le sue qualità sono state apprezzate senza essere mai state messe in dubbio.
Calcio 2OOO
27
OLTRE OLTRE6.000.000 6.000.000DI DIPERSONE PERSONE
COPERTINA / ALBERTO GILARDINO
Gila con il numero di Calcio2000 con Zaza in copertina
ma le nostre situazioni sono diverse. Lui è ancora molto giovane. Ha grandi prospettive e credo che potrà essere ancora per molto uno dei pilastri della Nazionale. Spero che rientri presto e che possa dare continuità alle sue stagioni, sarebbe importante per la Fiorentina e per la maglia azzurra. Poi è un bravo ragazzo, merita di tornare alla grande e di levarsi molte soddisfazioni”. Tornando invece all'Estremo Oriente, esattamente, cosa ha trovato? “Un popolo che ama il calcio, ma allo stesso tempo uno dei climi più assurdi per giocarlo. L'umidità ed il caldo ti ammazzano, tanto che mi ci volle un mese prima di poter giocare senza problemi. È stata un'esperienza sicuramente diversa ed inusuale che però mi ha permesso di maturare altri aspetti del mio essere
Intervista di Pietro Lazzerini 28
Calcio 2OOO
SOFFRONO SOFFRONOLA LAFAME FAME
“” Un giorno mi
BOMBER A CONFRONTO
piacerebbe allenare, ma adesso non ci penso. Finché mi reggono le gambe continuerò a giocare con la voglia di fare gol
calciatore. Al termine della stagione decisi di tornare in Italia ed aspettare una chiamata, ne sono arrivate tante, ma alla fine ho scelto la Fiorentina”. Ma fuori dal campo cosa faceva? “Niente di che, il tempo lo passavo con la mia famiglia. Le mie tre figlie e mia moglie si sono ambientate benissimo. Abbiamo passato un periodo felice, poi conoscevo anche Alessandro Diamanti dai tempi di Bologna, anche questo ha significato tanto. Per le bambine poi era come un grande parco giochi, c'era veramente di tutto e questo ci ha fatto trascorrere quei mesi in modo molto sereno”. Adesso è tornato in Italia, ha 32 anni e nessuna voglia di smettere di giocare, ma di preciso, qual è il sogno di Gilardino dopo tutti i traguardi che ha raggiunto? “Sto giocando per continuare ad emozionarmi attraverso il gol. L'obiettivo è quello di mettere a segno il 200° in Serie A e in un modo o nell'altro ce la farò”. Molti suoi colleghi, a fine carriera hanno subito fatto il grande salto in panchina, tra cinque anni si vede in quel ruolo? “Ho ancora tanta voglia di giocare, ma ogni tanto ci penso. Mi piacerebbe tanto allenare, ma partirei da una squadra del-
MA MACI CISONO SONOGESTI GESTI CHE CHELA LAPOSSONO POSSONO SAZIARE SAZIARE
le giovanili, sarebbe troppo iniziare subito tra i grandi. Il mio amico Inzaghi ha fatto un'esperienza che ritengo incredibile anche se non riesce ad avere il successo che merita, ma nei suoi panni sarebbe andato in difficoltà uno con 30 anni di lavoro sulle spalle, figuriamoci uno che ha iniziato da un paio di stagioni”. Ecco ma se la Fiorentina tra qualche anno le offrisse di restare a Firenze anche dopo aver lasciato il calcio giocato, rifiuterebbe per tornare a casa oppure ci farebbe un pensierino? “Sono tornato qui perché mi sento a casa. La mia famiglia è contenta e abbiamo tanti amici in città. Nel calcio non si sa mai, però mi piacerebbe costruirmi una futura professione in viola. Starà a me essere bravo a crearmi delle opportunità, ma adesso non ci penso, adesso penso al campo”. Per concludere, siccome non ha nessuna intenzione di smettere di segnare, ci spiega perché quando esulta fa il gesto del violino? Sono nate tante leggende, dal fatto che ama la musica classica ad un messaggio da lanciare ai tifosi, ma qual è il suo reale significato? “Nessuno (ride). Nel senso che una sera a cena con Marchionni in un ritiro con il Parma pensammo che sarebbe stato originale se io avessi mimato il violino e lui si fosse messo ad applaudire. Era un'esultanza tra amici che mi portò fortuna”. Ma si sente pronto a suonarlo ancora? “Senza dubbio, ogni volta che manderò la palla in fondo alla rete”.
ILILTUO TUO5XMILLE 5XMILLE A FONDAZIONE A FONDAZIONE BANCO BANCO ALIMENTARE ALIMENTARE ONLUS ONLUS Ogni Ogni giorno giorno recuperiamo recuperiamo cibo cibo perper i poveri i poveri in in Italia Italia
CODICE CODICE FISCALE: FISCALE:
97075370151 97075370151 www.bancoalimentare.it www.bancoalimentare.it
Guarda Guarda le VIDEO le VIDEO TESTIMONIANZE TESTIMONIANZE
INCHIESTA GOAL LINE TECNOLOGY
di Fabrizio PONCIROLI
C’è un metodo infallibile per aiutare gli arbitri e arriva dagli States…
foto NBAE / Getty Images
MOVIOLA IN STILE NBA
INCHIESTA / GOAL LINE TECNOLOGY
L’AIUTO CHE SERVE
Tanti occhi tecnologici per non sbagliare mai…
I
mmaginate i post partita senza discussioni su millimetrici fuorigioco o interventi al limite del rosso. Fantasia? No, affatto. Aiutare l’arbitro, avvalendosi della tecnologia, è possibile. Nel calcio di oggi, gli errori arbitrali sono sempre meno tollerati. Una scuola di pensiero continua a ripetere che “errare humanum est”, 30
Calcio 2OOO
provando a togliere pressioni all’operato del direttore di gara ma, in realtà, in uno sport come il calcio, in cui si concentrano le attenzioni di milioni di appassionati, lo sbaglio arbitrale non ha più cittadinanza. Con tempi biblici, i massimi organi federali stanno cercando il modo di inserire la cosiddetta Moviola in campo. Uno stratagemma che potrebbe (o dovrebbe) limitare al massimo la possibilità di errore da parte dell’arbitro e, di conseguenza,
rendere le partite meno “condizionate” e più veritiere. Ma esiste una Moviola che possa, senza rallentare eccessivamente il gioco, diventare un supporto notevole per l’arbitro? La risposta è affermativa. C’è una Lega che, da anni, si avvale dell’occhio tecnologico, con risultati straordinari, tanto da essere accettata senza riserve. Stiamo parlando dell’NBA, il gotha del professionismo cestistico. Per evitare discussioni e malintesi, l’NBA ha deciso di allestire
l’NBA Replay Center, una struttura ubicata a Secaucus, NJ, in grado di supportare, istantaneamente, l’operato di qualsiasi direttore di gara impegnato su una delle 29 arene NBA. Grazie ad una rete di alta velocità e ad una tecnologia da fantascienza, l’NBA Replay Center è una sorta di “chiama a casa” al quale gli arbitri si possono rivolgere ogni qualvolta si sentono in dovere di far luce su un’azione di gioco non chiara. Grazie a ben 15 replay (da di-
verse angolazioni) e diverse funzioni di zoom, l’arbitro può vedere e rivedere l’azione incriminata, trovando così la risposta ad ogni sua perplessità. Tutto, ovviamente, in presa diretta, senza attese. E qui sta il vero upgrade. Secondo tanti detrattori della Moviola in campo, con l’introduzione della tecnologia nelle partite, ci sarebbero troppi tempi morti. In realtà non è così e la conferma arriva direttamente dall’NBA Replay Center. Per capire se un tiro è stato da
tre o da due punti (paragonabile ad un caso calcistico di fuorigioco), avvalendosi della tecnologia, gli arbitri hanno “speso” 33,7 secondi di media (377 casi “vivisezionati”). Circa mezzo minuto di attesa concluso il quale, avendo una risposta certa, si eviterebbero una sequela infinita di discussioni da bar e, fatto più grave, incidenti tra tifoserie di opposto parere. Non basta? Altro esempio. Per decidere se una stoppata è valida o meno, gli arbitri, attraverso Calcio 2OOO
31
INCHIESTA / GOAL LINE TECNOLOGY
INCHIESTA / GOAL LINE TECNOLOGY
I SEGRETI DELL’NBA REPLAY CENTER
CENTRO OPERATIVO ALL’AVANGUARDIA L’NBA sa come supportare il lavoro degli arbitri
foto NBAE / Getty Images
foto NBAE / Getty Images
Andiamo a radiografare quella che è l’anima della tecnologia statunitense applicata al basket…
94
monitor HD (di cui 32 touch screen)
BASTA GOL FANTASMA…
Di Thomas Saccani
La Goal Line Technology è attesa, in pianta stabile, per la prossima stagione…
20
postazioni di lavoro (17 per i “replay operator” e 3 per i “replay manager”)
29
le arene NBA direttamente connesse all’NBA Replay Center
1
La decisione finale è presa del primo arbitro
10
Connessione 10 gigabit Ethernet a 10 gigabit, che trasmette dati a 10 Gb/secondo da ogni arena al Replay Center
foto Image Sport
foto NBAE / Getty Images
foto NBAE / Getty Images
15
le situazioni in cui gli arbitri possono rivolgersi all’NBA Replay Center
31.500
Il numero di ore di video stimate che l’NBA Replay Center dovrebbe analizzare in una singola stagione
560
In una serata ricca di partite, l’NBA Replay Center archivierà oltre 28 terabyte di video, un equivalente di 560 DVD Blu-Ray double-sided
foto NBAE / Getty Images
300
le immagini e i replay dell’NBA Replay Center, hanno impiegato 71,7 secondi di media. Traslando, visto che si parla di fase ascensionale o discendente di una palla, potremmo pensare al pallone da calcio che supera o meno la linea di porta. Ecco, immaginate un sistema simile applicato al nostro calcio. In un amen, l’arbitro, attraverso tali occhi bionici, potrebbe comprendere se esi32
Calcio 2OOO
stono gli estremi per un rigore o valutare se la gomitata era reale o frutto di una simulazione ben orchestrata. Tuttavia, per poter contare su un sistema valido ed efficiente come quello NBA, è necessario avere gli strumenti adatti e, soprattutto, investire sulla tecnologia. Per poter emulare l’NBA Replay Center, ogni stadio dovrebbe essere dotato di computer e rete che permettano
una veloce consultazione. Impensabile chiedere la totale efficienza alla tecnologia se poi gli impianti si presentano fatiscenti. Infine c’è una regola d’oro che va sempre ricordata. Come negli States, nonostante la presenza, forte e costante dell’NBA Replay Center, la decisione finale è presa sempre dall’arbitro. La tecnologia può aiutare ma non può sostituire…
miliardi - La facility ha la capacità di registrare HD video stream multipli e simultantei, e scattare foto a velocità fino a 300 miliardi di bit di informazioni al secondo (300 Gbps)
17
postazioni per i “replay operator”, assegnati ad una singola partita. Ogni stazione ha uno schermo più grande e quattro monitor più piccoli, con almeno 9 inquadrature distinte per replay
3
postazioni per i “replay manager”, che monitorano più match contemporaneamente e comunicano con gli arbitri quando il replay è richiesto. Se l’arbitro vuole un’altra angolatura, il replay manager la trova
1
telecamera per Borgia, per parlare ai referenti delle tv locali o nazionali, per spiegare la decisione, se necessario
A
nche se la Lega spinge per un IL CASO suo esordio già nella prossiMUNTARI Il famoso ma finale di Coppa Italia (7 gol non visto giugno), in realtà la Goal Line del rossonero Technology farà il suo debutto ufficiale a partire dalla prossima stagione. La conferma è arrivata direttamente da Tavecchio, stanco di casi di “gol fantasma”. La Lega, attraverso le parole del presidente Beretta, si è mostrata entusiasta: “La Goal Line risolverà realmente il problema del goal non goal e ci è parsa la tecnologia migliore: ci saranno 14 telecamere dislocate e non invasive che chiariranno tutti i dubbi”, le parole dello stesso presidente. Ma per i costi? Tutto chiaro… Circa 5/6 milioni di euro per implementarla in Serie A, con un esborso pari a circa 200/300 mila euro per singola società. Per singola annata, la spesa totale sarebbe attorno ai 900 mila euro, con un esborso pari a circa 2500 euro a partita. Per il sistema operativo, tanti soluzioni tecniche, anche se il Goalcontrol 4D, utilizzato dalla Fifa anche ai recenti Mondiali del 2014) pare il più affidabile. Insomma un primo passo verso la Moviola in campo. E quale futuro per gli arbitri di porta, vista l’imminente introduzione della Goal Line? La Federazione arbitrale dice che possono coesistere. L’ex arbitro Collina ci è andato giù ancor più pesante, spiegando come l’arbitro di porta sia utile per mille altre situazioni (falli, palla oltre la linea di fondo etc.). In realtà gli arbitri di porta costano alla Figc circa 800 mila euro all’anno e, quindi, potrebbero essere sacrificati… A giugno la risposta definitiva. Calcio 2OOO
33
INCHIESTA / GOAL LINE TECNOLOGY
Di Thomas Saccani
Di Thomas Saccani
Tiziano Pieri favorevole all’uso della Moviola in campo ma lasciando all’arbitro l’ultima parola…
34
Calcio 2OOO
foto Image Sport foto Image Sport
L
a Moviola in campo fa discutere. Abbiamo sentito Tiziano Pieri, ex arbitro, ora moviolista, per capire come la tecnologia possa integrarsi, senza stravolgere nulla, nel calcio di oggi… Buongiorno Pieri, da ex arbitro che idea si è fatto del possibile uso della Moviola in campo? “Da arbitro avrei accettato qualsiasi supporto che migliorasse le mie performance e che togliesse un po’ di responsabilità all’arbitro che, fidatevi, sono davvero tante. Ma ci andrei comunque piano…”. Si spieghi meglio… “Io sono favorevole ad una tecnologia che sia di supporto all’operato dell’arbitro, non che possa prendere il suo posto. Se così fosse, verrebbe ridotto e impoverito il ruolo dell’arbitro. Non possiamo
pensare di robotizzare il calcio”. Insomma non bisognerebbe abusare del mezzo tecnologico… “Esatto. Non bisogna correre il rischio di stravolgere quello che è il calcio, fatto di situazioni complicate e decisioni non semplice. Pensiamo al fuorigioco. Se ci fosse sempre presente un occhio tecnologico, l’arbitro potrebbe smettere di fischiarlo. Se poi arriva il gol, basterebbe guardare il replay ma, così facendo, si fermerebbe la partita ad ogni dubbio. Penso che la soluzione ideale sarebbe un numero massimo di chiamate da parte dei singoli allenatori”. è prossimo l’esordio della Goal Line… “Favorevole. Solo contento che una tecnologia mi possa aiutare a capire se la palla ha oltrepassato la linea oppure no. Se la mia percezione è stata sbaglia-
foto Federico De Luca
foto Federico De Luca
N
el nostro piccolo, ancora oggi TANTE ci interroghiamo sul famoso SITUAZIONI gol annullato al giallorosso DUBBIE Nel corso della Turone contro la Juventus (10 storia, si sono maggio 1981) o sul presunto rigore neavuti diversi gato al bomber dell’Inter Ronaldo contro errori… la Juventus (26 aprile 1998) o, ancora, la famosa rete annullata a Muntari nella sfida scudetto MilanJuventus (25 febbraio 2012). Chissà come sarebbe andata con la Moviola in campo. Tuttavia ci sono altri casi, ancor più grandi che, probabilmente, avrebbero avuto esiti diversi, se l’arbitro fosse stato supportato dal mezzo tecnologico. La mente va ai Mondiali del 1966 e al gol fantasma più famoso della storia del calcio. Durante la finalissima InghilterraGermania (finita 4-2 per gli inglesi), Hurst, inglese, colpisce la traversa, la palla ricade in campo ma non varca la linea di porta. L’arbitro sarà di vedute diverse e convaliderà il gol. Nel 2010 è l’Inghilterra a gridare vendetta. Lampard, contro la Germania, colpisce la traversa, la palla ricade in campo ma dopo aver superato, abbondantemente, la linea di porta. Il direttore di gara, l’uruguaiano Larronda, non vedrà il gol. Ancora protagonista gli inglesi: Europei 2012. L’Ucraina perde 1-0 contro la nazionale dei Tre Leoni ma a Devic non viene assegnato un gol regolarissimo, visto che Terry toglie la palla dalla porta dopo che questa ha già varcato la linea. Esempi di come la storia del calcio, non solo italiano, sarebbe potuto essere riscritta se ci fosse stato l’ausilio di un occhio bionico…
foto Image Sport
foto Federico De Luca
Tanti i momenti storici che, con la tecnologia in campo, avrebbero avuto un esito diverso…
“Non robotizziamo il calcio” foto Image Sport
CASI DA MOVIOLA…
INCHIESTA / GOAL LINE TECNOLOGY
ta, giusto cambiare L'IMPORTANZA il fischio. Credo che DELL'ARBITRO Tanta tecnologia la Goal Line sia un ma autorità passo obbligato. Ci del direttore permetterà di elimidi gara nare parte della cultura del sospetto che tanto è di moda nel nostro Paese. Senza il classico “gol fantasma’, probabilmente ci saranno meno discussioni e polemiche nei post match”. Pronto a questo nuovo calcio tecnologico? “Ripeto, se non robotizziamo il calcio, credo sia importante introdurre la tecnologia in campo. Comunque non è la prima volta che si prova a migliorare le prestazioni del direttore di gara. Ricordo l’esperimento del doppio arbitro, sperimentato durante la Coppa Italia. Non andò bene, speriamo che con la tecnologia l’esito sia differente”. Calcio 2OOO
35
SPECIALE BOMBER
SPECIALE BOMBER/ INFALLIBILI RIGORISTI
INFALLIBILI RIGORISTI
EROI DAGLI 11 METRI
MISTER ELEGANZA Van Basten, dagli 11 metri, era uno spettacolo...
Calciare un rigore sembra semplice ma, sul dischetto, sei completamente solo… di Stefano BENETAZZO
36
Calcio 2OOO
IL GRANDE ALEX
Freddezza e lucidità, le armi di Del Piero
foto Sport Image
foto Agenzia Liverani
N
ino non aver paura / di sbagliare un calcio di rigore / non è mica da questi particolari / che si giudica un giocatore / un giocatore lo vedi dal coraggio / dall’altruismo e dalla fantasia. Chi non conosce la famosissima canzone dal titolo “La leva calcistica del ‘68” di Francesco De Gregori che racconta la storia di un dodicenne alle prese con un provino, ma col cuore colmo di paure? Quanti calciatori vivono per vedere la palla in fondo al sacco, quanti quelli che non vedono l’ora che l’arbitro fischi un rigore per posizionare la palla sul dischetto e gonfiare la rete e quanti sono quelli che nei momenti decisivi si sono tirati indietro un attimo prima di prendere la rincorsa e tirare il proprio penalty? Ogni giocatore è diverso, ognuno ha le sue caratteristiche, la sua tecnica, la sua pazzia, la sua fantasia ma anche i suoi timori e le sue paure, e tenere sotto controllo tutte le emozioni concentrandole in pochissimi secondi non è per niente facile, ancor più in uno stadio gremito e in partite chiave; serve massima concentrazione e freddezza, quella che solo i grandi campioni e/o i fuoriclasse posseggono in quantità industriale. Palla da una parte portiere dall’altra e il gioco è fatto; detto così sembra facile, ma nella realtà le cose possono andare diversamente e prendere pieghe inaspettate, ecco perché non tutti i calciatori possono essere considerati dei cecchini infallibili dagli undici metri seppur di rigoristi ne è pieno il mondo. Stando all’interno dei confini nazionali, il miglior rigorista di sempre è Roberto Baggio, autore di ben 68 rigori realizzati nel massimo campionato con le maglie di Juventus (25), Fiorentina (17), Bologna (11), Brescia (11), Milan (3) e Inter (1) ai quali si aggiungono quelli messi a segno in altre competizioni ovvero nel torneo cadetto e in Nazionale, il cui totale lo proietta a 108 penalty segnati. Tiro con il piede destro forte e potente o di astuzia e preciso,
ALESSANDRO DEL PIERO Calcio 2OOO
37
L'INFINITO TOTTI Lunga carriera e record assoluti per il Capitano
FRANCESCO TOTTI
38
Calcio 2OOO
IL RIGORE DI BALO Supermario si accinge a calciare il penalty contro il Genoa...
MARIO BALOTELLI IL GENIO DI PIRLO Bravo sulle punizioni, micidiale dal dischetto
GIANNI RIVERA
foto Sport Image
a mezza altezza, a destra, a sinistra, a incrociare; il campionario di Baggio era infinito, la sua rincorsa poco oltre il limite dell’area e il suo passo cadenzato come una gazzella difficilmente lasciavano scampo al portiere avversario, che poteva solo raccogliere il pallone in fondo al sacco. Sublime sinfonia. È ancora in attività, ed è sempre un piacere vederlo su un rettangolo verde invece Francesco Totti, che vanta ben tre record di cui uno difficilmente battibile; è autore del maggior numero di rigori realizzati con la stessa squadra (64), del maggior numero di errori (17) nonché del maggior numero di sbagli in un campionato (5) sempre con la maglia della Roma addosso (dati aggiornati al 14 marzo, ndr). Tanti i rigori segnati e, anche in questo caso, con tipologie diverse; su tutti spiccano i famosi “cucchiai”, che tante gioie hanno regalato non solo ai tifosi giallorossi, ma a tutti coloro che hanno a cuore le sorti della Nazionale. Come dimenticare quello forse più importante nella carriera di Totti. Kaiserslautern, 26 Giugno 2006: vi ricorda qualcosa? Dalla Roma alla Juve, da una bandiera all’altra, il passo è breve e ha un sol nome: Alessandro Del Piero, autore di tiri precisi, potenti e imprendibili e di una mira quasi sempre infallibile. Rincorsa, tiro, palla in rete e lingua fuori nella tipica esultanza, Pinturicchio è stato in grado di far gioire i tifosi bianconeri per anni nonché quelli della Nazionale, vittoriosi del Mondiale tedesco anche grazie alle sue prodezze e ai suoi rigori. Ma non finisce qui, perché tra i migliori rigoristi italiani ci sono anche Giuseppe Signori, Roberto Boninsegna, Giuseppe Savoldi, Gianni Rivera, Silvio Piola, Mario Balotelli, Andrea Pirlo e molti altri ancora. Squadre diverse, epoche e stili differenti, tipi di calcio e di calciatori distinti tra loro ma uguale fiuto del gol e precisione nei tiri dal dischetto. Brevissima, anzi, praticamente inesistente la rincorsa con la quale Beppe Signori si apprestava a calciare, con un formidabile sinistro e una battuta implacabile: a fine carriera svelò il suo segreto, ovvero guardare fino all’ultimo secondo
foto Sport Image
SPECIALE BOMBER/ INFALLIBILI RIGORISTI
foto Sport Image
SPECIALE BOMBER/ INFALLIBILI RIGORISTI
Andrea Pirlo
la gamba d’appoggio del portiere e orientando il tiro di conseguenza, dalla parte opposta al tuffo dell’estremo difensore. I tifosi di Foggia, Lazio, Sampdoria e Bologna – solo per citare le principali squadre in cui ha militato – e della Nazionale non potranno certo dimenticarlo. Il Bonimba, come lo chiamavano ai tempi di Inter e Juve – alias Roberto Boninsegna – vantava un sinistro ai limiti della perfezione, potente e preciso che gli ha permesso di realiz-
zare ben 19 rigori consecutivi, ad oggi una delle serie più lunghe. Poco importa se ha cominciato a tirare dal dischetto più tardi rispetto ai coetanei, visti i numerosi centri e le innumerevoli partite vinte anche grazie alle sue realizzazioni. A battere Boninsegna in questa speciale classifica ci ha pensato Mario Balotelli, che si è fermato a quota 21 tra squadre di club e Nazionale; a fermare l’attaccante italiano era stato il portiere del Napoli Pepe Reina, il primo a riuscire a neutralizzare un calcio di rigore di Balotelli, fino a quel momento imbattibile dagli undici metri grazie ad una breve rincorsa, una finta e un tiro non sempre potente ma il più delle volte preciso ed efficace. Tre sole squadre in 18 anni a cui si aggiungono le presenze in Nazionale: Giuseppe Savoldi ha lasciato ottimi ricordi sia all’Atalanta (squadra che lo ha fatto esordire in Serie A, ndr) che al Napoli ma soprattutto al Bologna che lo ricordano con piacere e ammirazione. Non solo un bomber di primo livello, capace di siglare gol a grappoli in qualsiasi situazione e in ogni modo, ma anche un grande rigorista: mister due miliardi – come venne soprannominato dopo il passaggio dal Bologna al Napoli – ha messo a referto 45 calci di rigore su 56 calciati, con i picchi massimi raggiunti con Bologna e
Napoli (21 a testa). Ha alzato al cielo il Pallone d’Oro nel lontano 1969 – primo italiano a vincerlo -, ha giocato un’infinità di partite, ha realizzato gol come se piovesse, è stato una grandissima bandiera rossonera e con il Milan ha vinto tutto quello che c’era da vincere: Gianni Rivera è stato un simbolo dentro e fuori dal campo per intere generazioni, e una piccola parte della sua gloriosa carriera è rappresentata dai calci di rigore, anche se non ne ha calciati tantissimi ma la sua mira era eccellente. “Appena ho cominciato a sbagliarli ho smesso”, aveva rivelato Rivera poco tempo fa, infatti i più grandi ricorderanno che l’anno dello scudetto della stella il rigorista designato era il povero Stefano Chiodi. Ovunque è andato ha lasciato un ricordo bellissimo, ha incantato la platea a suon di magie e realizzato reti importanti; la sua specialità sono le punizioni, ma anche nei rigori non se la cava male: Andrea Pirlo ha fatto le fortune in particolar modo di Milan e Juventus ed è uno dei giocatori che riesce a realizzare gol su palla inattiva anche nelle situazioni più complicate e difficili, grazie alla sua calma, alla sua freddezza e alle sue qualità fuori dal comune. Silvio Piola, attualmente – e per sempre? – cannoniere principe della Serie A, ha tirato un buon numero di calci di rigore, seppur non tutti andati a segno; dal dischetto non è stato proprio un cecchino infallibile. Lo abbiamo voluto inserire, però, poiché se rimane in cima alla classifica cannonieri di tutta la storia del maggiore campionato italiano un piccolo contributo è dato anche da quei 29 rigori realizzati in oltre vent’anni di carriera. Italiani ma non solo, perché nel nostro campionato hanno giocato anche fior fiori di stranieri, alcuni dei quali specializzati proprio nei rigori: è il caso di Tevez, Ibrahimovic, Maradona, Shevchenko, Menez, solo per citarne alcuni, che dal dischetto difficilmente hanno sbagliato mira. Una citazione particolare la merita Marco Van Basten, idolo indiscusso dei tifosi rossoneri ma, più in generale, di tutti coloro che amano il bel calcio abbinato all’eleganza; l’olandese nonostante una carriera troppo breve causa una caviglia mal Calcio 2OOO
39
SPECIALE BOMBER/ INFALLIBILI RIGORISTI
Un rigore maledetto Di Thomas Saccani
Il ricordo del penalty fallito a Pasadena, finale del Mondiale 1994, è ancora forte nella mente di Roby…
C
i sono rigori e rigori. Ancora oggi, tra i più famosi (e struggenti) penalty della storia del nostro calcio, è in pole position il rigore fallito, dallo specialista Roberto Baggio, a Pasadena, il 17 luglio 1994, giorno della finale del Mondiale contro il Brasile. Un errore che permise alla nazionale brasiliana guidata da capitan Dunga di portarsi a casa la Coppa
SPECIALE BOMBER/ INFALLIBILI RIGORISTI del Mondo. La palla che va oltre la traversa, il sogno degli Azzurri che sfuma, proprio lì, dagli 11 metri. Recentemente, a Rete Globo, il Divin Codino è tornato su quel momento drammatico, rivelando il perché dell’errore: “Non avevo mai calciato un rigore sopra la traversa. Penso che quel giorno è stato Ayrton Senna che, dal cielo, ha spinto il pallone verso l'alto. È stato lui a far vincere il Brasile (i giocatori verdeoro dedicarono il trionfo proprio al leggendario pilota brasiliano ndr)”. L’ex stella, tra le altre, di Juventus, Milan, Inter e Fiorentina, ha poi aggiunto: “È una ferita che non si chiuderà mai. Avevo sempre sognato di giocare una finale mondiale e che l'avversario fosse il Brasile. Ma quando ho avuto questa opportunità ho sbagliato quel rigore…”. A volte quei fatidici 11 metri possono diventare un incubo…
BEPPE, CHE PERFEZIONE Potenza chirurgica per bomber Signori...
L'ATTIMO DI PASADENA
curata, è stato probabilmente uno dei calciatori più completi, eleganti, infallibili e migliori che il calcio possa vantare. Tra le sue innumerevoli reti ve ne sono molte anche su calcio di rigore: una normale rincorsa, un saltello prima di partire e…..GOOOLLL, il pallone andava a baciare la rete con una delicatezza degna di un quadro di Degas. A questi si aggiungono altri artisti del pallone che in Italia vediamo solo da avversari, ma che sono dei cannonieri eccezionali, su rigore così come in tutti gli aspetti del gioco e i nomi parlano per le loro carriere: Johan Cruijff, Cristiano Ronaldo, Lionel Messi, Steven Gerrard. La potenza è nulla senza controllo, recitava una famosa pubblicità; lo sapeva bene Istvan Nyers, attaccante francese di nascita ma ungherese d’adozione. Un nome che forse i più giovani faticheranno a ricordare, ma una presenza fissa per anni in Serie A, con Inter e Roma. Trentasette calci di rigore messi a segno su 51 calciati, trenta dei quali in maglia nerazzurra e quasi tutti grazie ad una potenza vista poche altre 40
Calcio 2OOO
volte fino a quel momento. Non ce ne voglia l’immenso Paulo Roberto Falcao, l’ottavo re di Roma, ma lo citiamo per mostrare come non sia facile prendersi delle responsabilità in certi momenti: finale di Coppa dei Campioni ‘84, Roma-Liverpool decisa dai calci di rigori, una terribile roulette dalla quale il buon Falcao, si estromesse poco prima di andare sul dischetto, scelta quanto mai discutibile che in pochi apprezzarono. Si è discusso molto e si continuerà in eterno a chiedersi se sia stato meglio tirare e sbagliare il rigore come fecero Conti e Graziani piuttosto che chiamarsi fuori dalla mischia. Giusto per informazione, ad oggi in Serie A il portiere italiano che ha parato il maggior numero di calci di rigore è Gianluca Pagliuca, issatosi fino a 24 tiri fermati; del resto l’ex numero 1 di Sampdoria e Inter è stato uno dei più bravi estremi difensori che la nostra nazione può vantare, in attesa che altri lo possano raggiungere. Rigoristi si nasce, non si diventa.
foto Agenzia Liverani
ROBERTO BAGGIO
foto Agenzia Liverani
Roby Baggio calcia ma la palla va oltre la traversa
Calcio 2OOO
41
SPECIALE 1980 tornano gli stranieri
FRONTIERE (RI)APERTE
UN AUSTRIACO A MILANO I nerazzurri si affidano al talento di Prohaska
SPECIALE / 1980
tornano gli stranieri
L'IRLANDESE BIANCONERO Brady, l'uomo scelto dalla Juventus nell'estate del 1980...
20 marzo 1980, la Serie A riabbraccia gli stranieri. Si torna a sognare e disperarsi…
di Fabrizio PONCIROLI Si ringrazia PANINI per la gentile concessione delle foto.
42
Calcio 2OOO
capace, con le sue arti pedatorie, di far sognare squadra e tifosi. C’è chi si butta sul Sudamerica, convinto che solo Brasile ed Argentina siano portatori di vero talento, altri guardano all’Europa, magari a campionati solidi, con giocatori già pronti per il duro torneo italiano. I primi 11 stranieri tesserati, alla fine, sono un perfetto mix di giocatori già noti per le proprie doti e scommesse dall’identità tutto da scovare. La lista è diventata, nel corso degli anni, leggendaria: Brady (Juventus), Falcao (Roma), Krol (Napoli), Prohaska (Inter), Daniel Bertoni (Fiorentina) e qui pausa di silenzio… Insieme a questi cinque validissimi rappresentanti del calcio al di fuori dei nostri confini nazionali, si aggiungono, in ordine misto, Neumann (Udinese), Eneas (Bologna), Juary (Avellino), Van de Korput (Torino), Fortunato (Perugia) e, dulcis in fundo, Luis Silvio Danuello, giocatore (o meglio “mestierante”) di cui parleremo, abbondantemente… Il fascino del calciatore esotico cattura, immediatamente, l’attenzione ogni singolo amante del pallone. Sono stranieri, portatori di nuove culture e, ci si augura, giocate sopraffine. L’estate del 1980, famosa per il lancio del videogame Pac-Man e per il brano “Video killed the radio star”, diventa un susseguirsi di voci di mercato. La Vecchia Signora, dopo aver sondato mille piste, sceglie Brady, strappandolo all’Arsenal. Il ricordo della sua recente grande partita, nella semifinale di Coppa delle Coppe, proprio contro la Juventus (eliminata dai Gunners del regista irlandese) è decisivo per convincere i dirigenti bianconeri a puntare su di lui. A Roma sognano Zico ma, alla fine, il patron Viola decide di portarsi nella capitale Falcao (non se ne pentiranno). La Fiorentina si assicura il Campione del Mondo 1978 Daniel Bertoni, argentino che sa il fatto suo, mentre l’Inter puntò su Prohaska, austriaco di buone qualità, voluto espressamente dall’allora tecnico nerazzurro Bersellini. In realtà la Beneamata stava trattando Platini, ma il tutto svanì e poi, ironia della sorte, Le
foto Agenzia Liverani
I
n origine furono 11. Correva l’anno di grazia 1980 e la Serie A si preparava, dopo 15 anni di proibizionismo, a riabbracciare i calciatori stranieri. Ma andiamo con ordine. Torniamo, con la mente, al febbraio del 1965. Per “aiutare” gli Azzurri, pronti a farsi valere agli imminenti Mondiali del 1966 (in Inghilterra, la patria del calcio puro), il Consiglio Federale delibera il blocco delle importazioni di giocatori stranieri. Purtroppo le cose non vanno benissimo all’Italia in terra inglese. La rete di Pak Doo Ik, eroe per caso della Corea del Nord, manda al tappeto la Nazionale. Dramma nei confini nazionali. Lo “straniero” viene visto come un problema. Le proroghe si susseguono, senza indugi. La svolta giunge il 7 luglio 1979: il blocco viene abolito, frontiere (ri) aperte. Il 20 marzo 1980 viene stilata la nuova normativa: le 16 squadre iscritte al massimo campionato italiano, stagione 1980/81, potranno tesserare un calciatore straniero. Uno e uno soltanto. Un’occasione sposata da 11 club su 16 (allora la Serie A era composta da 16 squadre). Ascoli, Brescia, Cagliari, Catanzaro e Como preferiscono puntare sul Made in Italy. L’idea di attingere da altri campionati non li convince o, forse, non ci sono le condizioni economiche per potersi permettere stranieri di un certo livello, quindi meglio soprassedere e stare alla finestra, per capire cosa faranno le altre. Ecco, le altre… In un calcio ancora ferito dal “Calcio Scommesse” (Milan e Lazio retrocesse), le 11 squadre che scelgono di prendere in pugno la nuova normativa, sperano di riportare l’entusiasmo tra i tifosi con qualche colpo esotico e anche un pizzico di fantasia. Anche il calciomercato ha un’impennata imprevista. Il poter “pescare” in bacini off limits per anni stuzzica la mente di presidenti e dirigenti. Tutti si sentono in grado di individuare il fuoriclasse
Calcio 2OOO
43
tornano gli stranieri
FALCAO, ASSO DELLA ROMA Doveva andare all'inter, poi ci ha pensato Viola...
SPECIALE / 1980
foto Agenzia Liverani
SPECIALE / 1980
DALL'OLANDA ALL'ITALIA Krol, scommessa del club partenopeo...
tornano gli stranieri
“I favolosi anni ‘80”
Il ricordo di Caliendo: “Con l’apertura al mercato straniero, il calcio cambiò profondamente”…
N
ei primi anni ’80, con la riapertura delle frontiere, si sente la necessità di figure che sappiano consigliare al meglio presidenti e allenatori, chi andare a prendere. Caliendo, in quegli anni, si dimostra uomo di grande influenza, diventando, a tutti gli effetti, uno dei primi grandissimi procuratori del nostro calcio…
foto Agenzia Liverani
Caliendo, che effetto le fa pensare agli anni ’80 e alla riapertura delle frontiere? “Parliamo di un momento storico che ha cambiato il calcio in maniera profonda. Il poter inserire in rosa stranieri ha permesso a tutti di allargare le proprie vedute e i propri interessi di calciomercato”.
Roi fece grande la Juventus. Ci provò anche per Falcao, niente da fare… Ed ecco il perché di Prohaska, comunque elemento valido (ma non un fuoriclasse). Affascinante (e contro corrente) la scelta del Napoli: Krol. Decisamente non più giovanissimo (31 anni al momento del suo approdo al club partenopeo), l’ex stella dell’Ajax (protagonista delle tre Coppa dei Campioni vinte dai lancieri) sembrava destinato a concludere la propria carriera in Canada. Ma, dopo 16 gare in NASL (l’ex MLS), ecco la chiamata del Napoli e la nuova avventura in Serie A. Insomma, a modo loro, i primi cinque crack del nostro calcio, i primissimi di una lunga serie. Ovviamente, non tutto andò per il verso giusto. Al fianco dei cinque appena citati, s’infilano giocatori che, per usare un eufemismo, non incantano le masse. Se i vari Juary e Van de Korput non possiamo parlare solamente male, considerate le discrete prove offerte sui terreni italiani, per i restanti quattro alfieri stranieri è difficile usare parole confortanti e rassicuranti. Per informazioni chiedere ad Udinese, Bologna, Perugia e Pistoiese. Ad Udine, del biondo Neumann, si ricordano l’avvenente moglie Maria Porto e la Ferrari GT 308 rossa fiammante, con cui amava gironzolare per le via della città. Di Eneas, oggetto di culto a Bologna, tutti rimembrano la sua idiosincrasia al freddo (giocava bardato come Bab44
Calcio 2OOO
Lei, allora, era già piuttosto influente… “Sì, operavo nel calciomercato già dagli anni ’70, nel corso degli anni ’80 c’è stata una sorta di impennata nella mia professione. Ora i giocatori si comprano su internet, allora dovevi avere delle persone di fiducia a cui rivolgerti e io ero uno di queste persone di fiducia. Ricordo che c’era tanta voglia di trovare il giocatore giusto e, essendoci uno o due posti in squadra, non potevi certo andare a caso. Dovevi essere certo di quello che compravi”. Come mai era così quotato? “Forse perché pensavano fossi argentino…”. Si ricorda il suo primo straniero portato in Italia? “Ci avevo provato con un giocatore ad Avellino, ma non se ne fece nulla… Poi, parliamo del 1982, ci furono i primi veri colpi. Mi sto riferendo a Zmuda, che andò al Verona, e, soprattutto, a Boniek, acquistato dalla Juventus. Quelli furono i miei primi due veri stranieri nel nostro campionato”. Tutta storia… Gli stranieri di oggi devono ringraziare i loro “antenati”, quelli che hanno aperto la strada… “Certamente, senza di loro e quello che di buono hanno fatto, molti non sarebbero qui adesso”.
ANTONIO CALIENDO Calcio 2OOO
45
tornano gli stranieri
Eneas, non un grande acquisto per il Bologna
bo Natale in inverno). Fortunato al Perugia costò un patrimonio (780 milioni di lire) e non rese nulla. Poi c’è Danuello, icona a Pistoia, al quale abbiamo dedicato uno spazio tutto suo, visto che, a conti fatti, si tratta del primo autentico “bidone del nostro amato calcio…”. L’UOMO DA 170 MILIONI DI LIRE… Si dice che il personaggio di Aristoteles, nel film cult “L’Allenatore del Pallone”, sia ispirato a lui (con esiti diametralmente opposti). Stiamo parlando di Luis Silvio Danuello, il primo vero, inimitabile, “bidone” del nostro calcio. La sua storia è degna di un romanzo a tinte di giallo, così come il suo arrivo alla Pistoiese. Estate del 1980, il patron del club di Pistoia Melani, desideroso di inserire un campione in squadra (per ben figurare in Serie A), invia il fidato Malavasi (vice dell’allora tecnico Vieri) in Brasile per scovare il talento del futuro. Assistendo alla partita Ponte Preta-Commercial, il tecnico 46
Calcio 2OOO
resta affascinato da un ragazzino di 20 anni. Segna una doppietta, fa impazzire tutti gli avversari, è l’uomo giusto. Melani mette sul piatto 170 milioni di lire per portarlo a Pistoia, rinunciando a Palinho, il vero obiettivo della missione brasiliana di Malavasi. Firma un contratto (di sette lunghi anni) principesco: 26 milioni e 500 mila lire a stagione. L’attesa è enorme. I fan lo attendono gioiosi. “Sei più bello di Cabrini”, uno degli striscioni più eloquenti della grande attesa per il “fenomeno di Julio Mesquita”). Lui, Luis Silvio Danuello, ci mette del suo: “I difensori italiani non mi fanno paura. Li supererò con la mia velocità”, dichiara alla Gazzetta dello Sport (11 agosto 1980). Anche il tecnico Vieri crede nel brasiliano, nonostante Falcao, in un’intervista, fa sapere
tornano gli stranieri
L'OLANDESE DEL TORINO
foto Agenzia Liverani
ALCHE QUALCHE BIDONE
SPECIALE / 1980
foto Agenzia Liverani
SPECIALE / 1980
Van de Korput, la scelta dei granata per rilanciarsi
di non averne mai sentito parlare: “Ha un bel controllo di palla, è velocissimo”, spiega a La Nazione (11 agosto 1980). Che sia velocissimo non ci sono dubbi. Dopo pochi spezzoni di partita e tante critiche, messo fuori rosa, Danuello tornò in Brasile. In realtà si rivide (così si narra) a Pistoia, l’anno dopo, per riscuotere i soldi del contratto ma, diciamo così, non andò benissimo. Per anni, è circolata una voce secondo cui i dirigenti del Ponte Preta, desiderosi di vendere Luis Silvio Danuello, si misero d’accordo con il Commercial per fargli fare un figurone. C’è chi dice che abbia venduto gelati nelle strade adiacenti allo stadio di Pistoia. Racconti che lo stesso Luis Silvio, a distanza di anni, ha confermato essere bufale: “La balla più grossa è quella dei gelati allo stadio. Ho lasciato l’Italia nel 1981 e non ci sono più tornato. Il Ponte Preta non ha truccato la partita con il Commercial, non ne aveva bisogno, avevo mercato in Brasile”. Chissà, per noi resta un mito… L’IMPORTANZA DELLO STRANIERO Fatta eccezione per i cosiddetti “bidoni”, lo straniero, comun-
que, ha un impatto devastante sul nostro campionato. La gente si innamora, a dismisura, del giocatore esotico. 11 non sono abbastanza, ne servono di più. La crescita è esponenziale, senza freni. Prima due, poi tre, poi, complice la legge Bosman, apertura totale (con qualche limitazione al numero di extracomunitari). La globalizzazione è servita. Nella scorsa stagione (2013/2014), solo tra argentini e brasiliani, siamo giunti a 107 giocatori. Ai quali vanno aggiunti 18 uruguayani, 13 colombiani, 7 cileni, 2 paraguayani e 2 peruviani, oltre ad uno statunitense e un giocatore dell’Oceania (Valeri, ex Sassuolo, ora in forza al Melbourne Victory). Spostando l’attenzione all’Europa, ecco i 26 francesi, seguiti da Paesi come Spagna (16), Svizzera (15) e Croazia (12). Più distaccata la Germania (8). Da non dimenticare neppure i 10 africani… Tanti, troppi? Beh, solo un anno prima (stagione 2012/13), si è arrivati a quota 351 stranieri totali (su 581 giocatori impiegati in Serie A), quindi parlare di numero esorbitante, cifre alla mano, ha un senso. Che fare? DifficiCalcio 2OOO
47
tornano gli stranieri
La danza della bandierina… Di Thomas SACCANI Juary Jorge dos Santos Filho, noto a tutti come Juary. Cinque anni in Italia e un’esultanza mai vista prima… ra i leggendari 11 stranieri che ebbe l’onore (e l’onere) di mettere piede sul suolo italiano, alla riapertura delle frontiere, c’era anche lui. Il nome è tutto un programma: Juary Jorge dos Santos Filho, per tutti Juary. È stato il primo straniero dell’Avellino anni ’80 ma, attenzione, non era un signor nessuno. Non giochi per caso nel Santos e non indossi la casacca della nazionale brasiliana se sei scarso. Il suo sbarco nel club irpino, allora gestito dal patron Sibilla, è paragonabile ad una storia di gangster (per fortuna in salsa da commedia italiana). Juary, nella stagione 1979-1980, gioca in Messico, nell’UAG, acronimo di Universidad de Guadalajara, uno dei top team del calcio messicano. Si trova bene e non sta pensando a nessun’altra destinazione, ben che meno all’Italia. Ma qualcosa accade e il racconto di Juary è tanto poetico quanto surreale: “La stagione era terminata e, infatti, stavo per andare in vacanza. Mi dicono che devo andare in Italia, a vedere alcuni giocatori, perché io ho fiuto per i talenti. Sull’aereo mi fanno bere un po’, alla fine sbotto e voglio sapere che succede. Mi rispondono: ‘Non puoi andare da nessuna parte, ti abbiamo venduto all’Avellino’… Mi spiegano che è una questione di soldi, che Luis Vinicio (brasiliano come Juary ndr) mi aveva voluto e altre storie ma, alla fine, si capisce che è per soldi…”. Inizialmente l’impatto con la squadra è terrificante. Lo vedono come troppo esile per fronteggiare la Serie A. Ma il campo dirà tutt’altro. In due stagioni con l’Avellino (34 partite totali), mette a segno 13 gol, diventando l’idolo assoluto della curva che stravede per lui e, soprattutto, per il suo innovativo modo di esultare. Ad ogni gol, Juary si mette a gironzolare attorno alla bandierina del calcio d’angolo. Un’esultanza che lo rende famoso. Come è nata? Per caso, come racconta il diretto interessato: “È nato tutto ai tempi del Santos. Prima di una gara con il San Paolo mi chiedono come avrei esultato in caso di gol? Risposi che avrei improvvisato e così feci. Girai attorno alla bandiera al primo gol e così al secondo e al terzo… Quell’esultanza mi aveva portato fortuna e decisi di rifarla… Tutto qui, niente di studiato, solo improvvisazione ed istinto”. Ma di istinto Juary ne aveva tanto. Gioca bene ad Avellino, poi così così ad Ascoli. Va all’Inter (in realtà ci resta per circostanze particolari, visto che doveva essere parcheggiato al Cesena) ma non incanta e così anche alla Cremonese. Nel 1985 lascia l’Italia. Sembra destinato al dimenticatoio, anche se ha solo 26 anni. Sbagliato. Va al Porto dove vince tutto, compresa un’incredibile Coppa Campioni (1986/87). Geniale, non solo per la danza della bandierina…
SPECIALE / 1980
tornano gli stranieri ANDIAMO CON L'ARGENTINA
foto Agenzia Liverani
SPECIALE / 1980
La Fiorentina pesca Bertoni, Campione del Mondo...
48
Calcio 2OOO
le rispondere. Il partito del “ridiamo spazio ai giocatori italiani” punta il dito sulla scarsezza di buona parte di questa ingente quantità di giocatori stranieri, messi sotto contratto solo per puro vantaggio economico (un prospetto italiano ha costi maggiori). Il partito pro frontiere aperte, mostra, con orgoglio, l’esempio Udinese, società che, della valorizzazione dei giocatori non italiani, ha fatto il suo punto di forza, nonché il proprio marchio di fabbrica. Probabilmente entrambe i partiti hanno licenza di esistere. Il dibattito sarà eterno. L’unica certezza è che l’adrenalina che si avvertiva nell’estate del 1980 per il futuro campione straniero che avrebbe indossato la casacca della propria squadra del cuore è andato perso, probabilmente per sempre… Nel corso dei decenni a venire, lo straniero è diventato un “affare quotidiano”. La sua figura è stata sdoganata a tal punto che paradossalmente, nel calcio italiano di oggi, il vero straniero sembra quasi il giocatore italiano. Ora, nelle rose dei vari club, gli italiani si contano sulle dita di una mano, ancora meno quelli che poi scendono in campo, mentre gli stranieri sono la casta forte. Poi, vuoi per nostro retaggio culturale o per nostalgia del passato, tira sempre più un Cassaninho di un Cassano, proprio come accadeva nell’estate del 1980…
foto Agenzia Liverani
T
Calcio 2OOO
49
SERIE B SPEZIA
VOGLIA DI CRESCERE
Datkovic ha tanti obiettivi da raggiungere...
L’
esordio nella Serie A croata con l'HNK Rijeka appena diciottenne, quello in Europa Lague ad appena venti e una fascia da capitano dell'Under 21 croata portata con orgoglio durante le qualificazioni europee fino all'amara eliminazione ai play off con l'Inghilterra. Questo è il difensore Niko Datkovic sbarcato in Italia, e più precisamente allo Spezia, nel gennaio del 2014 e diventato quasi immediatamente una colonna della squadra bianconera con Devis Mangia prima e con Nenad Bjelica poi. A 22 anni ancora da compiere Datkovic è già il decano della colonia croata – Matija Katanec, Mario Situm, Mato Milos, Dario Canadija e Josip Brezovec gli altri membri - in Liguria, ma non guarda troppo avanti restando concentrato sul presente e sull'assalto a una storica promozione in A dello Spezia.
foto Image Sport
Sei arrivato allo Spezia lo scorso gennaio. Qual è il tuo bilancio di questo primo anno? “Molto positivo. Mi piace molto la città, l'ambiente e mi sono trovato bene fin da subito. La società poi è seria e forte. Sono felice di essere qui”. Dalla Croazia all'Italia. Come è stato l'impatto con la nuova realtà? “All'inizio un po' difficile perché sono due tipi di calcio diversi. Qui c'è molta più tattica e le squadre sono molto più equilibrate fra loro. In Croazia ci sono tre grandi club, che sono fortissimi, e poi tutte le altre che non sono altrettanto buone né paragonabili alle prime per forza. Qui invece la prima può cadere contro l'ultima e le forze in campo sono più livellate”.
SERIE B/ SPEZIA Il tuo primo allenatore è stato Devis Mangia. Che ricordi hai? “È una grande persona e mi ha aiutato molto quando sono arrivato. Non conoscevo l'italiano e lui è stato paziente con me. Inoltre mi ha insegnato molto sul piano tattico e lo devo ringraziare per quanto ha fatto”. Ora c'è il tuo connazionale Nenad Bjelica. Cosa è cambiato con lui? “Non lo conoscevo di persona, ma solo attraverso i giornali. Devo dire che mi trovo benissimo. Anche lui mi sta aiutando molto a crescere e migliorare il mio gioco giorno dopo giorno. Sono contento di averlo come mister. È una bravissima persona e un gran lavoratore”. Tu sei un centrale di difesa, ma in questa stagione hai giocato anche a centrocampo o come terzino. Dove ti trovi meglio? “Avevo già giocato da terzino destro con la Nazionale, per me non è un problema e penso che sia un bene saper fare più ruoli. Sono un centrale, ma sono anche a disposizione del mister e cerco di giocare al meglio ovunque venga schierato”. Che obiettivi ti poni per questa stagione? “Il mio obiettivo è entrare nuovamente fra le prime otto e giocare i play-off. Poi provare a conquistare quella Serie A che tutti vogliamo fortemente. Poi si vedrà. Nel calcio tutto può cambiare in una frazione di secondo e ne sono consapevole”. A fine anno scade il prestito allo Spezia. Speri nel riscatto? “Non ci sto pensando in questo momento, sono serio. Penso solo a dare il massimo per questa squadra e questa maglia senza ragionare sul
futuro. In estate vedremo e prenderemo tutte le decisioni del caso, ma non prima”. Capitolo Nazionale. Con l'Under 21, di cui sei capitano, vi siete fermati a un passo dall'Europeo. Rimpianti? “Abbiamo affrontato le qualificazioni per l'Europeo con due allenatori: prima Niko Kovac, che ora allena la Nazionale maggiore, e poi con Nenad Gracan. Con entrambi abbiamo lavorato bene e duramente vincendo il nostro gruppo e fermandoci solo ai play-off contro l'Inghilterra. È stata un'esperienza bella e importante che mi ha dato molto e insegnato altrettanto. Voglio ringraziare sia Kovac sia Gracan che hanno creduto in me e mi hanno responsabilizzato con la fascia di capitano”. Il sogno adesso è la Nazionale maggiore croata. Visto che c'è Kovac sulla panchina e ti conosce “Certamente è il mio obiettivo e spero di vestire quella maglia. Ma so di dover crescere molto, di dover fare ancora di più e impegnarmi al massimo per convincere il ct a chiamarmi. Lavoro per questo e un giorno spero di raggiungere questo traguardo”. C'è un difensore a cui ti ispiri maggiormente? “Il brasiliano Lucio mi è sempre piaciuto molto e mi piacerebbe assomigliare a lui”. Fra i tuo connazionali invece chi ammiri di più? “Credo che Dejan Lovren del Liverpool e Vedran Corluka della Lokomotiv Mosca siano molto bravi e fra i più forti in Croazia nel ruolo. Io lavoro per raggiungere il loro livello e spero un giorno di riuscirci”.
IL GIGANTE DELLO SPEZIA 50
Calcio 2OOO
foto Image Sport
Dopo un anno allo Spezia e in Italia Niko Datkovic fa un primo bilancio della sua esperienza, fra sogni e obiettivi da raggiungere con il club e la Nazionale croata. Partendo dalla Serie B italiana per ripercorrere le orme dei suoi idoli: “Mi ispiro a Lucio, ma in Croazia ammiro Lovren e Corluka. Spero di arrivare al loro livello”.
foto Alberto Andreani
di Tommaso MASCHIO
Calcio 2OOO
51
LEGA PRO/ REGGINA Emanuele, il cerchio si chiude. Dopo vent´anni di attività chiuderai la carriera da dove hai iniziato... “Si, a giugno smetterò con il calcio giocato. La Reggina mi ha dato tanto, mi sembrava giusto dimostrare riconoscenza verso la città e la società. Nelle situazioni difficili si tende a scappare, io sono tornato per dare una mano“.
CHE RIMPATRIATA
Certi amori non finiscono proprio mai...
Salvatore, ritrovi la Reggina dopo diversi anni. La prima volta fu nel 1998. “Arrivavo dalla Juventus, pochi mesi e poi il trasferimento al Crotone. In squadra c´erano Belardi e Cirillo, tutto mi sarei aspettato tranne di ritrovarli quasi diciotto anni dopo“.
foto Ufficio Stampa Reggina Calcio
L´esordio in amaranto nel 1995, tra pochi mesi i titoli di coda. Tanti i traguardi raggiunti nel corso della carriera, te l´aspettavi così? “Riguardo con soddisfazione a quello che è stato il mio percorso, i sacrifici sono stati pienamente ripagati. Quando mi aspettavo la grande occasione non è arrivata, poi a sorpresa è arrivata la possibilità di vestire la maglia della Juventus“.
52
Calcio 2OOO
emanuele belardi
Hai indossato la maglia dell’Inter, vinto un Europeo con l‘Italia Under 21 e giocato in Champions League con l’Aek Atene. Traguardi raggiunti grazie a cosa soprattutto? “Ai sogni. Da bambino giocavo per strada, è stata una palestra di vita indimenticabile, mi è servita per fare una carriera che non mi aspettavo. Non ho nessun rimpianto, spero che i giovani capiscano che bisogna avere umiltà e passione per raggiungere gli obiettivi. E non bisogna mai smettere di sognare. Sono tornato in Lega Pro dopo tanti anni perchè, assieme a tutti i miei compagni, sogno di salvare la Reggina“.
Già presa una decisione per il prossimo giugno? “Ancora mi vedo in campo, mi auguro di proseguire per un´altra stagione anche perché sono reduce da un anno di inattività forzata a Palermo. In futuro mi vedo ancora all´interno di questo mondo, ma ancora non so in quale veste“. foto Ufficio Stampa Reggina Calcio
foto Ufficio Stampa Reggina Calcio
U
omini veri. Emanuele Belardi, Bruno Cirillo e Salvatore Aronica sono tornati per aiutare una Reggina alle corde, nel momento di maggiore difficoltà della sua storia recente. Questione di coraggio e riconoscenza, il senso di appartenenza supera ampiamente la consapevolezza di tuffarsi in un´ardua impresa. La società amaranto è alle prese con una doppia lotta disperata, condotta con orgoglio e passione. Da una parte la squadra proverà ad evitare la seconda retrocessione consecutiva, che farebbe sprofondare la Reggina nel baratro dei dilettanti. Al contempo, il presidente Foti è alla ricerca di soluzioni che possano permettere di far respirare le casse sociali, la crisi economica infatti rischia di inghiottire la centenaria storia del club calabrese. Centouno gli anni della Reggina, complessivamente sono dieci in più quelli del trio composto da Belardi, Cirillo e Aronica, tornati tutti a vestire l´amaranto all´età di trentasette anni.
Una carriera da giramondo. Grecia, Francia, Spagna, Cipro e India. Quali i bagagli ideali nella valigia? “Serve carattere, altrimenti si scappa dopo poche settimane. Non mi aspettavo di fare così tante esperienze fuori dall´Italia, sono partito dalla Grecia e da quel momento non mi sono più fermato“.
A Napoli le maggiori soddisfazioni della tua carriera. La Champions League con la maglia azzurra l´apice? “La Champions dà emozioni incredibili, uniche. In generale ho superato le mie aspettative, non mi aspettavo una carriera cosi felice e appagante“.
Buffon il compagno di ruolo, Nedved e Del Piero e altri campioni in squadra. Cosa s‘impara da giocatori simili? “La schiettezza e l´umiltà, si è campioni sempre e non per novanta minuti la domenica. Arrivavo puntuale all´allenamento e Nedved già sgobbava sul tapis roulant. Se fa così un Pallone d´Oro capisci che il sacrificio è tutto“.
Per alcuni giocatori, tornare a casa è un imperativo...
Dagli splendori della Serie A, all´incubo dilettanti da scacciare. Con quale stato d´animo si vive questa diversità di emozioni? “Non è una bella sensazione, fa specie ripensare agli anni stupendi della Serie A. La situazione attuale è completamente diversa, stiamo provando tutti insieme a raggiungere l´obiettivo salvezza“.
Adesso il ritorno alla Reggina, c‘é bisogno di un altro miracolo ma la situazione è completamente diversa. “L‘affetto e la stima mi hanno riportato qui. La piazza è già scossa per la retrocessione dello scorso anno, vogliamo evitare che la storia si ripeta. Sappiamo che si tratta di un traguardo complicato da raggiungere, tutto è cambiato rispetto a pochi anni fa ma l´importante adesso è riuscire ad ottenere la salvezza“.
Quanto è possibile la missione salvezza della Reggina? “Ci proveremo fino all´ultima giornata. Noi siamo arrivati a gennaio per dare un po‘ di esperienza a un gruppo giovane. Vogliamo vedere la Reggina ancora tra i professionisti, la speranza non deve mai morire“.
di Pasquale ROMANO
Prima peró c’è un obiettivo da raggiungere. Cosa ti ha riportato in amaranto? “Il cuore, mi hanno guidato sentimenti importanti. Reggio Calabria e la Reggina mi hanno dato tutto, alla chiamata del presidente Foti ho detto sì in un secondo. Qui sono cresciuto e diventato uomo, è difficile descrivere cosa provo per questa terra“.
In mezzo un´altra esperienza con la maglia amaranto. La cittadinanza onoraria il riconoscimento per una straordinaria stagione rimasta nella storia della Reggina. “La salvezza ottenuta nonostante gli undici punti di penalizzazione è uno dei ricordi più belli della mia carriera. In pochi credevano in una simile impresa, forse solamente noi e mister Mazzarri, splendido condottiero“.
In un calcio sempre più preda degli interessi, i sentimenti valgono ancora qualcosa? “Si tende sempre a dimenticare chi ti ha dato opportunitá importanti, a me non piace questa superficialità. Se si ha la possibilità di dimostrare riconoscenza, bisogna farlo a prescindere dalle difficoltà senza voltare lo sguardo altrove per comodità“.
L’ULTIMA MISSIONE
Bruno, per te invece questa è l´ultima esperienza da calciatore? “Salvo sorprese sì, la voglia è ancora quella di un bambino ma molto probabilmente appenderò le scarpette al chiodo“.
salvatore aronica
foto Ufficio Stampa Reggina Calcio
LEGA PRO REGGINA
BRUNO CIRILLO Calcio 2OOO
53
SERIE D/ POGGIBONSI Fusci, lei aveva già allenato il Poggibonsi, anche tra i professionisti. Quali sono stati i motivi che l’hanno spinta a tornare sulla panchina giallorossa? “Ho fatto la gavetta in tutte le categorie dilettantistiche. Qui avevo allenato anche in C2, ma per motivi legati al mio lavoro avevo deciso di abbandonare il calcio. Poi tutto si è sistemato, si è presentata l’occasione e sono tornato. Sono qui perché la D è una categoria importante e perché questa è la mia città, ci sono cresciuto. Qui sono stato calciatore e poi allenatore”.
ATTENZIONE AI GIALLOROSSI
Il Poggibonsi non ha voglia di accontentarsi...
Da poggibonsese avrà più stimoli, ma sente anche più pressione? “Indubbiamente sento più di altri la piazza e le responsabilità che il mio ruolo comporta. Per me allenare il Poggibonsi è una questione di cuore. Stiamo disputando un grande campionato, anche inaspettato per certi versi. Siamo ripartiti la scorsa estate, abbiamo ricostruito e fino a qui siamo andati benissimo. È una grossa soddisfazione”.
foto Ufficio Stampa Poggibonsi
Ha lasciato questa panchina nel 2007 e se ne è impossessato di nuovo prima che iniziasse questa stagione. Rispetto alla precedente esperienza è cambiato qualcosa? “Devo dire di si, con la famiglia Pianigiani al vertice della società, è cambiato molto. Adesso c’è un centro sportivo, un pullman di proprietà, è migliorato il settore marketing, insomma c’è stato un miglioramento sotto tutti i punti di vista. Ad oggi il Poggibonsi Calcio è un’azienda cresciuta tantissimo, con una struttura importante. Parliamo di una società a tutti gli effetti da Lega Pro”. A proposito di Lega Pro. Siete primi appaiati al Siena, chi la spunterà? “Spero il Poggibonsi, ma da qui al termine sarà difficile per tutti. Per chiudere bene conterà la condizione fisica, la qualità, specie sotto porta, e anche la componente fortuna. Ma attenzione, perché non
IL RUGGITO DEI LEONI NEL GIRONE E, I GIALLOROSSI SFIDANO IL SIENA NEL DERBY CHE VALE PRIMATO E LEGA PRO
P
oggibonsi e Siena, una vita gomito a gomito, geograficamente e calcisticamente. Pari all’andata e al ritorno, sempre con lo stesso punteggio (0-0), le due squadre si equivalgono anche in classifica e si giocano la promozione in volata. I Giallorossi vincono tanto, perdono poco e vantano la miglior difesa dell’intera serie D, al pari della Maceratese (gir. F). In panchina è tornato Massimo Fusci, poggibonsese doc, che dei Leoni è stato giocatore ancor prima che allenatore. Oggi guida un gruppo affiatato, spinto dall’entusiasmo dei tifosi e dai gol del bomber Foderaro. Così il Poggibonsi ha dimenticato la retrocessione dello scorso anno ed è tornato a sorridere e sognare. 54
Calcio 2OOO
Attendiamo di sapere come finirà allora. Ma ad oggi il vostro campionato può definirsi esaltante. Ci dice il segreto del suo Poggibonsi? “Il segreto è un gruppo fantastico, composto da ragazzi in gamba, è stata questa la nostra arma in più. Ci sono state partite che ci hanno caricato, su tutte direi il pari a Siena e la vittoria a Gavorrano, ma più di tutto ha inciso il gruppo, che merita questa classifica. Il primato ce lo siamo guadagnato, partendo da lontano e recuperando domenica dopo domenica fino a diventare primi”. Il modulo con cui vi trovate meglio? “Giochiamo col 4-3-1-2, una sorta di 4-4-2 col centrocampo a rombo. È il nostro vestito da inizio anno, il modulo con cui siamo cresciuti, con cui abbiamo fatto bene e trovato l’equilibrio giusto”. Ma in casa andate meglio che fuori. Lei che vive la squadra ogni giorno, ha trovato una motivazione? “In casa abbiamo sicuramente fatto meglio che fuori, è vero, ma non credo in realtà che ci sia un motivo particolare per questa differenza di rendimento. Sicuramente giocare davanti ai nostri tifosi ci dà una carica in più”. Lei è stato giocatore, quanto conta? Per allenare si ispira a qualcuno? “I campionati fatti da giocatore danno e insegnano molto. Ho visto come si lavora, come si imposta la settimana, come un tecnico si rapporta ad un calciatore, anche nel
MASSIMO FUSCI
modo di parlare. Ho avuto tanti buoni allenatori: da Novellino, a Castagner a Papadopulo. Da ognuno di loro ho imparato e ‘rubato’ qualcosa, ma su ciò che ho appreso ho sempre cercato di metterci del mio”. E del bomber Foderaro che ci dice? Ha già segnato dieci gol, può vincere la classifica marcatori? “Si, può farcela. Per noi sarebbe importante, innanzitutto perché Foderaro è un nostro calciatore e poi perché qualche marcatura in più potrebbe essere fondamentale per la nostra classifica”. All’inizio abbiamo detto che lei è un uomo di queste parti. Ci parli dei suoi concittadini nei panni di tifosi. “C’è tanto entusiasmo intorno alla squadra e questa è già una vittoria, perché dopo la retrocessione la piazza era abbattuta e si era un po’ allontanata. Invece grazie al lavoro che stiamo facendo, l’ambiente si è compattato, i tifosi riempiono lo stadio e ci seguono in trasferta. Ora manca il finale, speriamo bene e incrociamo le dita”.
foto Ufficio Stampa Poggibonsi
di Simone TONINATO
ci siamo solo noi e il Siena: Rieti, Sansepolcro, Massese e Ponsacco lotteranno fino alla fine. Otto turni ancora da giocare, non sono pochi e domenica c’è Siena – Rieti. Non ci sono più vantaggi ad affrontare squadre con una classifica peggiore, perché a questo punto c’è chi vuol salire, chi non vuole scendere, e la difficoltà delle partite sarà la stessa, perché tutti hanno grossi stimoli”.
foto Ufficio Stampa Poggibonsi
SERIE D POGGIBONSI
Calcio 2OOO
55
I RE DEL MERCATO Giuseppe Accardi
I RE DEL MERCATO / Giuseppe ACCARDI L'IMPORTANZA DEI VALORI
Per Accardi i soldi non sono la priorità assoluta
ACCARDI, CITTADINO DEL MONDO
Agente sui generis, con una storia che assomiglia ad un romanzo, senza ancora un finale certo…
di Alessio ALAIMO foto Vincenzo BLANDINO 56
Calcio 2OOO
Calcio 2OOO
57
I RE DEL MERCATO / GIUSEPPE ACCARDI
B
eppe Accardi è come lo vedi. Schietto, anche troppo. Senza peli sulla lingua e sempre con la battuta pronta. E una parola per tutti. Da calciatore ha sfidato Trapattoni. “O gioco o me ne vado”, “…bene, quella è la porta…” e via, l’occasione della vita è persa. Ma non c’è mai tempo per avere rimpianti, perché il mondo va avanti. E i treni ripassano. Oggi Beppe Accardi, palermitano di nascita ma cittadino del mondo, è un agente Fifa in rampa di lancio, ha conquistato rispetto, stima e simpatia da parte di tutti gli addetti ai lavori. Tutto guadagnato sul campo. E le origini non si dimenticano. Accardi ci apre le porte di casa sua, a Palermo. Poi fa un salto indietro nel tempo e ci conduce nel solco che gli ha dato i natali. “Il mio quartiere, la Madonna di tutto il mondo”, dice mentre i vecchi abitanti della zona lo incontrano dopo qualche anno. Tra abbracci, sorrisi e foto ricordo. Beppe Accardi calciatore, come inizia? “Ho iniziato a giocare nella scuola calcio più prestigiosa di Palermo: l’Ac Bacigalupo, con Marcello Dell’Utri presidente e Mormile allenatore. La struttura della società era eccezionale, organizzata, all’avanguardia. Ho fatto in tempo ad inaugurare il nuovo campo, dove adesso sorge il Velodromo, e poi a fine anni ’70 sono andato all’Amat, da dove siamo venuti fuori io, Totò Schillaci, Massimo Taibi, Carmelo Mancuso, Tommaso Napoli.... E come dimenticare la nostra guida, Mario Falanga, quello che ci ha dato i principi basilari delle regole, del rispetto. Il premio settimanale sapete qual era? Chi si comportava meglio andava a fare il raccattapalle. I nostri idoli in quell’epoca non erano i giocatori di Serie A, ma i giocatori più grandi dell’Amat, che giocavano in Serie D e il mio idolo non era il Facchetti di turno, ma Giuseppe Adelfio, da lui cercavo di studiare tutto. E dopo l’Amat, per me, il Bologna…”. Dal Bologna poi all’Inter, anche se doveva andare all’Udinese… “Con la Cavese giocai una grande partita contro l’Inter in Coppa Italia. Ricordo che andai a Milano con il presidente 58
Calcio 2OOO
I RE DEL MERCATO / GIUSEPPE ACCARDI
“” Ebbi la Stupidità di sfidare Trapattoni dicendogli ‘O gioco o me ne vado’… Mi rispose: ‘Te ne puoi andare’… Amato, ma pensavo di andare a firmare per l’Udinese… Sul taxi mi disse: ‘Beppe, lo sai dove stiamo andando?’, io non sapevo che lì ci fosse la sede dell’Inter e risposi ‘…a vedere la statua di Napoleone?’. ‘No, stiamo andando all’Inter, ma tu devi dire che non ci vuoi andare perché l’Udinese mi dà più soldi’. Figuriamoci… Arrivato in sede ad un certo punto si apre la sala delle coppe, entrai nell’ufficio del ds Beltrami, presi la penna e chiesi: ‘Dove devo firmare?’, senza sapere quanti soldi avrei preso e di quanti anni fosse il mio contratto. Impossibile dire di no all’Inter. Poi io sono tifoso interista, come mio padre, che avevo perso un anno prima. Il mio grande problema, subito dopo la firma, era telefonare a mia moglie e mia madre per dire che avevo firmato per l’Inter senza farmi ridere dietro…”. All’Inter però non timbrò mai il cartellino: zero presenze. “E tanti riscaldamenti! Ma per non aspettare ebbi la stupidità di sfidare Trapattoni dicendogli ‘O gioco o me ne vado’…”. Cosa le rispose il Trap? “Con un secco ‘Te ne puoi andare….” Il mio rimpianto più grande. Ma in quel momento non ero pronto, giocare all’Inter o in piazza era uguale… gli errori li cominciai a capire quando dal paradiso mi stavo ritrovando all’inferno. Infatti oggi, ai miei giocatori, cerco sempre di fargli capire che bisogna sapere aspettare il proprio momento”. Dopo l’addio all’Inter? “Andai al Campobasso in prestito, come allenatore c’era Tord Grip, un riferimento di Eriksson. L’Inter mi mandò lì in prestito, perché voleva seguire il mio percorso
professionale. Quell’anno retrocedemmo ai rigori, sarei dovuto restare all’Inter. Ma ci fu l’avvento di Casillo nel calcio, al Foggia. Fece di tutto per comprarmi dall’Inter, inizialmente rifiutai. Poi ad un certo punto mi sembrava poco cortese dire di no al direttore Pavone e così sparai una cifra talmente alta che pensai si tirassero indietro e, invece, il Foggia senza neanche parlare mi accontentò, paradossalmente mi fecero un contratto più alto rispetto a quello dell’Inter. Ma in quell’anno il Foggia era uno squadrone, voleva vincere. Non era una squadra da Serie C, ma da A. Tuttavia, un po’ per il carattere di Casillo e dell’allenatore le cose non andarono bene. Io presi le difese del mister e venni sbattuto fuori rosa, non andammo in Serie B. Volevo andar via ma arrivò Caramanno come allenatore e mise come condizione imprescindibile la mia permanenza. Gli dissi ‘Mister, per lei mi faccio tagliare braccia e gambe. Ma con questo presidente io qui non ci rimango’. Rinunciai ad un contratto da 140 milioni di lire all’anno per altri due anni, per andare a giocare a Licata in B per andare a prendere 65 milioni. Nella mia vita i soldi non sono mai stati una priorità. Se avessi seguito delle regole diverse dal mio modo di pensare avrei guadagnato di più, magari mi sarei divertito anche di più. Oggi non rifarei certe scelte. A Licata feci una stagione spettacolare, partimmo alla grande e tutti pensavano che potessimo andare in serie A. Poi ci furono una serie di incomprensioni tra società e allenatore, ma ci salvammo tranquillamente. Avevo il contratto di un anno, mi volevano Lazio e Atalanta. Ma lì poi, anziché andare in serie A, feci una scelta di cuore”.
MILLE AVVENTURE Da calciatore, ha sempre seguito il suo istinto...
Andò al Palermo… “Sì, era l’anno della ricostruzione. Mio padre mi portava in curva, il mio legame con il Palermo è qualcosa che parte da lontano. Per me, giocare in rosanero, era un sogno. Tornavo a casa, da giocatore affermato. Ma fu l’errore più grande della mia vita”. Perché? “Ero l’unico palermitano della squadra dei titolari, la città aveva tante aspettative. Non giocavamo alla Favorita, ma a Trapani e facemmo un’annata importante in cui però non riuscimmo a centrare l’obiettivo promozione in Serie B. E non Calcio 2OOO
59
I RE DEL MERCATO / GIUSEPPE ACCARDI
I RE DEL MERCATO / GIUSEPPE ACCARDI
ANCHE CON CALIENDO
I primi passi da procuratore sono arrivati in tempi brevi...
solo, all’inaugurazione della Favorita prima del Mondiale del ’90, la squadra perse ai rigori contro la,Lucchese la finale di Coppa Italia. Ma fu una serata spettacolare, allo stadio c’erano 43 mila spettatori. Ma quell’anno io capii che per me non era più il tempo di stare a Palermo: succedevano le cose positive ed era merito di chi veniva da fuori, quando c’erano i problemi invece dovevano risolverli i palermitani. E poi c’è una cosa che non ho mai sopportato: sono molto legato alla mia città, quando arrivano i giocatori da fuori, i tifosi si fanno ammazzare per loro, poi ci sono i palermitani che non vengono amati. Dai suoi figli, Palermo, pretende tanto. La gente si ricorda di gente come Biffi, Chimenti… dimenticandosi di Schillaci, Tommaso Napoli, Compagno, Parisi, Vasari. La gente ce l’ha con Zamparini, ma il presidente al Palermo ha fatto vedere il calcio vero. I tifosi che cosa hanno fatto? Il primo anno 38 mila abbonamenti, poi meno della metà. A Napoli invece lo stadio è sempre pieno. I palermitani dovrebbero ringraziare Zamparini, che per dieci anni ci ha fatto divertire”. Lei ama le sfide. Fu il primo giocatore 60
Calcio 2OOO
“”
In Indonesia ebbi la fortuna di giocare con due dei giocatori che hanno fatto la storia del calcio: Mario Kempes e Roger Milla italiano ad andare in Indonesia. Se le dico Pelita Jaya? “Correva l’anno 1995. Si era suicidato da poco mio suocero. L’anno prima ero stato dato in prestito dalla Reggiana al Venezia di Zamparini, a fine prestito ero in trattativa per la risoluzione del contratto. Trattavo con la Pistoiese, ma un mese prima dell’inizio del ritiro un procuratore italiano che viveva a Reggio Emilia, Salvatore Trunfio, venne al campo e mi disse: ‘Ci vuoi andare a giocare in
Indonesia?’. E sa perché andai a giocare in Indonesia?’…”. Provo ad immaginare: Sandokan? “Sì, esatto. Davvero, non scherzo. Ero affascinato da Sandokan, pensai ‘…se mi danno i soldi vado in Indonesia’. Incredibile, accettarono le condizioni. Alle 23.45, una sera, mi arrivò il contratto via fax. Il rullo girava, andava avanti. C’era il contratto da 500 mila dollari. Chiesi scusa al ds Salvatori e presi l’aereo per l’Indonesia. Arrivai a Giacarta e subito, in aeroporto, fu come se fossi a casa (ride, ndr). Iniziarono a dirmi ‘Suka’, che in siciliano è una parolaccia, ma in indonesiano vuol dire ‘Piacere di conoscerti’, all’epoca non lo sapevo. E ci fu un piccolo equivoco (ride, ndr). Mi ritrovai a firmare il contratto al 40esimo piano di un palazzo megagalattico. L’Indonesia mi ha cambiato la vita”. Cosa si porta dietro di quell’esperienza? “Ancora oggi sono in contatto con delle persone che conobbi all’epoca, me le sono ritrovate nel mio percorso futuro, appese le scarpe al chiodo. Sono sincero, lì trascorsi un anno e mezzo spettacolare, poi ebbi la fortuna di giocare con due dei
giocatori che hanno fatto la storia del calcio: Mario Kempes e Roger Milla. Con Kempes nacque un’amicizia importante. Poi lì scoppiò la rivoluzione, fui costretto a ritornare in Italia. In Indonesia conobbi una persona, Roberto Regis Milano, che faceva trading in Indonesia. Mi contattò, chiedendomi quale fosse l’occasione migliore. Subito andammo a trattare la Reggiana, ma non trovammo l’accordo. Poi saltò fuori l’occasione Torino. Mi ritrovai subito, da calciatore a dirigente del Toro: ero diventato il responsabile dell’area tecnica granata, nel 1996. Potevo decidere tutto quello che volevo, ma non avevo l’esperienza, la caratura, per gestire una società del genere. Mi accodai a delle persone che all’epoca erano più competenti. Ma ho un rimpianto…”. Cioè? “Un giorno andai a Parigi da un amico, che mi portò a vedere dei ragazzi di colore. Vidi un ragazzino che mi fece subito una buona impressione. Gli chiesi ‘Vuoi venire a provare a Torino?’. ‘Subito’, la sua risposta. Dissi ai responsabili del settore giovanile del Toro di provarlo. Dopo una settimana lo bocciarono, così mi feci mettere tutto per iscritto. Telefonai
“”
Credo di aver fatto il trasferimento più incredibile della storia. Ciccio Grabbi dalla Ternana al Blackburn, per 22 miliardi e mezzo a Leo Mannone, presidente del Marsala, gli mandai questo ragazzino. Sapete chi era? Patrice Evra. Da lì cominciò la sua storia. Intanto il Torino fu venduto, Ciminelli e Luciano Moggi mi proposero il rinnovo di contratto. Ma li ringraziai e presentai le dimissioni. Da un po’ di tempo Beppe Galli e Antonio Caliendo mi stavano addosso, così mi convinsero ad andare a lavorare con loro. Facemmo una società, da cui andai via dopo sei mesi perché il mio modo di pensare era
diverso rispetto a quello di Caliendo”. In che senso? “Per me i soldi sono importanti, ma alcuni principi di più. Così facemmo una società io e Beppe Galli, che aveva il patentino da agente. Cominciammo una storia durata sei-sette anni. E io credo di aver fatto il trasferimento più incredibile della storia del calcio”. Addirittura? “Sì, Ciccio Grabbi dalla Ternana al Blackburn, per 22 miliardi e mezzo. Quell’anno lo volevano tutte le squadre. Ma per 22 miliardi fu un trasferimento epocale, perché addirittura Vieri fu venduto all’Atletico Madrid per meno. Ma attenzione, io non mi definisco un procuratore”. Ah no? “No, mi diverto di più ad andare in giro a vedere i ragazzi. E a farli crescere. Perché io ho fatto degli errori e vorrei che i giocatori che assisto adesso non li ripetessero. La prima cosa che ho detto a Ibrahima Mbaye, quando ci siamo conosciuti, è stata ‘Ibra, piano piano si arriva lontano’. Oggi è il suo motto”. Calcio 2OOO
61
I RE DEL MERCATO / GIUSEPPE ACCARDI
I RE DEL MERCATO / GIUSEPPE ACCARDI
UN RIMPIANTO: EVRA L'aveva portato a Torino ma non andò come sperava...
Se Mbaye andasse dall’allenatore a dire ‘O gioco o me ne vado’ come fece lei con Trapattoni? “Lo prenderei a calci in culo. Ho capito l’errore, non devi sbagliare perché il calcio va veloce e non ti aspetta. Poi con Ibra ho un rapporto particolare, è il maschio che non ho mai avuto come figlio. Sono sempre stato contento di avere avuto due figlie, ma Dio mi ha mandato Mbaye, è come se fosse mio figlio”. Beh, lo è a tutti gli effetti. Lo ha adottato. “Abbiamo iniziato la pratica d’adozione, stiamo aspettando dei documenti dal Senegal per definire tutto. Era la giusta conseguenza del rapporto d’affetto che ci lega”. Non capita tutti i giorni che un agente adotti un proprio assistito… “Io e la mia famiglia siamo molti legati ad Ibra. Le mie figlie l’hanno da sempre considerato come un fratello minore e sono state fondamentali in questa scelta”. Come nasce il vostro rapporto? “Una volta andai a vedere l’Etoile Lusitana, mi segnalarono un ragazzino di
“”
Con Ibra Mbaye ho un rapporto particolare, è il maschio che non ho mai avuto come figlio. Le mie figlie l’adorano da sempre 14 anni. ‘E’ il più forte che abbiamo’, mi dissero. Lo vidi e lo proposi all’Inter. Piero Ausilio mi disse ‘Ti faccio sapere…’, ma non mi dava risposte. Così tramite un dirigente dell’Etoile Lusitana contattai Mourinho. Il giorno dopo mi chiamò Ausilio, Mou gli aveva detto che se Mbaye non fosse andato all’Inter per una prova, lo avrebbe fatto cacciare. In quel momento non avevo la certezza che l’Inter prendesse Ibra, così lo proposi anche al Palermo. C’era Walter Sabatini che mi disse: ‘Se l’Inter dà un milione all’Etoi-
le Lusitana, io te ne do due’. Ma avevo dato la parola all’Inter. E per me la parola conta più di ogni altra cosa. Nel periodo in cui stavamo preparando tutta la documentazione Ibra venne a stare a casa mia. L’Inter gli dava 150 euro al mese, io lo andai a prendere per fargli trascorrere il Natale con me e intanto fece un gesto incredibile, con suo padre: prese 200 euro e glieli mise in mano, senza far vedere niente a nessuno. Gli disse indicando me: ‘Papà, buon Natale. Io vado con lui…’. Il papà cominciò a piangere dall’emozione. Poi arrivammo a casa mia. E sapete come si presentò? Con un regalo per ognuno della mia famiglia. Anziché andare a spendere i primi soldi, li ha raccolti per quattro mesi per comprarci i regali. E’ un ’94, in quel periodo aveva 14 anni. Oggi la persona con cui ha un rapporto incredibile è mia moglie, la considera sua madre. Non mi devo preoccupare degli altri procuratori, ma di mia moglie. E se devo fare una cosa per Ibra, quasi devo chiedere il permesso a mia moglie. Lui è destinato a fare bene, a diventare un giocatore importante. Dei soldi non gli interessa. Mi dice ‘Io gioco, penso solo a giocare’. Un IL RAPPORTO CON MBAYE
Da procuratore a padre adottivo, una storia unica
62
Calcio 2OOO
Calcio 2OOO
63
I RE DEL MERCATO / GIUSEPPE ACCARDI
I RE DEL MERCATO / GIUSEPPE ACCARDI
PAUSA CAFFE' A PALERMO
Accardi è legatissimo alla sua terra e agli amici di un tempo...
comportamento così ti dà forza…”. Lei è anche il procuratore di Leandro Rinaudo, che per un periodo l’ha lasciata. Poi è tornato sui suoi passi… “Con Leandro ho un rapporto affettivo. Si è trovato dal sogno di giocare alla Juve, a rischiare di perdere tutto. Andò alla Juve nel 2010 in prestito con diritto di riscatto l’ultimo giorno di mercato, arrivato in bianconero conquistò il posto da titolare. Ma durante un allenatore di rifinitura ebbe un problema alla schiena. Da lì cominciò la tragedia calcistica di Leandro, la schiena gli causò dei problemi al tendine. Quando è arrivato davanti alla porta del paradiso, ha trovato l’inferno. Era diventato meno riflessivo, aveva voglia di giocare a tutti i costi, perché voleva dimostrare che stava bene. L’anno dopo quindi tornò a Napoli gli consigliai di non muoversi fino al suo recupero. Gli ultimi giorni di mercato discutemmo animatamente: correva il rischio di andare in un’altra squadra, farsi male e chiudere con il calcio. Per me il legame con 64
Calcio 2OOO
le persone conta più dei soldi, quindi a volte – sbagliando – penso che la gente debba accettare il mio pensiero quando sono convinto di una cosa. Finito il mercato Leandro era molto arrabbiato, in quel periodo era sempre alterato e così le nostre strade si divisero. Quando iniziai a leggere sul giornale che stava per andare a Novara, consigliai al fratello di suggerirgli di non andare. Aveva un problema al tendine, andare a giocare su un campo sintetico significava andare a complicare le cose. Poi un giorno mi chiamò la moglie di Leandro e mi disse ‘Vuoi farmi un regalo? A maggio battezziamo i nostri figli, vieni al battesimo’, accettai di andare alla festa e quando Leo mi vide si staccò da tutti e ci abbracciamo. Poi mi chiese: ‘Ma perché quando non ragionavo non mi hai preso e sbattuto al muro?’, replicai dicendogli: ‘In quel momento eri diventato insopportabile’. Poi dopo l’abbraccio, tutto come prima. E oggi il nostro rapporto è ancora più forte”. Schietto, sincero, mai banale. Il suo
carattere, nel calcio, è un pregio o un difetto? “A volte trovi ragazzi che pensano solo ai soldi. Ma con i soldi non vinci, sono una conseguenza. Non condivido che un procuratore chieda dei soldi quando un giocatore è ad inizio carriera. Magari con 1000 euro un ragazzino fa un regalo alla madre… i soldi nella vita non sono tutto. Io sono fatto così e il mio carattere, a me va bene così. Non riesco a fare come tanti procuratori, che vivono nel mio mondo e pur di prendere un giocatore in procura s’inventano chissà cosa. Si dice in giro che ci sono miei colleghi che per prendere le procure vanno in giro e pagano i giocatori: questo, se fosse vero, non può mai diventare un rapporto vero e sincero. Queste cose non le accetterò mai”. I colleghi che sono anche amici? “Il mio caporale quando facevo il militare: Alessandro Pellegrini. Con lui abbiamo un rapporto di amicizia, è una persona per bene. Se devo fare qualche nome,
tra gli amici che ho nel calcio, cito Nicola Ferrante e l’avvocato Annalisa Rosetti. E poi Denis Gianni, un giovane ragazzo umile con cui lavorare è veramente un piacere. Nell’ambiente del calcio ho più amici che nemici. O meglio, più simpatie che antipatie. Anche se qualche volta mi sono arrabbiato quando qualcuno con delle bassezze ha provato a portare via qualche mio giocatore. Se hai la capacità di prendere un giocatore da un altro agente senza tirare fuori i soldi vuol dire che qualcosa tra te e il calciatore non va. E quindi ti devi mettere in discussione”. Dove andrà quando lascerà il calcio? “Tra Palermo e San Vito Lo Capo, magari a fare il nonno. Quando smetterò di dedicarmi al calcio vorrei pensare alla famiglia e alle cose che magari sto trascurando a causa del mio lavoro”. Se non avesse fatto prima il calciatore e poi l’agente? “Avrei fatto il ladro. A Palermo o fai il ladro o fai il carabiniere (ride, ndr). Scher-
zi a parte, non ci ho mai pensato. Ma mi sarebbe piaciuto fare l’attore. Del resto, in tv vengo bene. No?”
E oggi ritornando qui, cosa direbbe ad un ragazzo che vuole fare l’agente? “Di cambiare mestiere”.
Torniamo indietro di qualche anno: ci porta dove è nato? “Molto volentieri”.
Esagerato… “No, dico davvero. Oggi devi partire con una base economica importante, pensare che i primi anni devi autofinanziarti senza pensare di andare a guadagnare chissà quali soldi. E soprattutto guardare anche a mercati come il Vietnam, il Bahrein, tutti posti che magari ora sono inesplorati. Perché nel calcio non ci sono solo gli slavi e gli indonesiani”.
L’automobile si mette in moto, Accardi ci conduce nel suo primo quartiere di Palermo. “Madonna di tutto il mondo”. Venti minuti dal centro del capoluogo siciliano e… ci siamo. Che effetto le fa tornare qui? “Come se tornassi a casa. Sono andato via a 14 anni, ma è come se non avessi mai lasciato. A volte, quando sono a Palermo, la notte vengo a fare delle passeggiate proprio qui. Ricordo i tornei, le partite con gli amici. Ricordi incredibili, belli, emozionanti. Anche se adesso conduco una vita più agiata e ho casa in una zona magari migliore, qui ho il cuore. Quando nasci in un posto come questo non lo puoi dimenticare".
Intervista di Alessio Alaimo Calcio 2OOO
65
I GIGANTI DEL CALCIO MORENO MANNINI
I GIGANTI DEL CALCIO / MORENO MANNINI UN DIFENSORE FURBO 15 anni alla Sampdoria e tante soddisfazioni...
MORENO, BANDIERA DORIANA
Ben 15 stagioni con la Sampdoria, con la grande soddisfazione dello Scudetto 1990/91…
di Gaetano MOCCIARO foto Federico DE LUCA 66
Calcio 2OOO
Calcio 2OOO
67
I GIGANTI DEL CALCIO / MORENO MANNINI
I
n un periodo dove a farla da padrona è il business e i personaggi del calcio di oggi sembrano quasi irraggiungibili, fare un tuffo nel passato ci fa capire che c'è stato un mondo pallonaro diverso, dove c'era davvero chi rimaneva per la maglia e dove i presidenti erano molto più umani. Moreno Mannini, bandiera della Sampdoria degli anni d'oro, ci accoglie nella sua Imola, nella splendida struttura del Palace Beach e ci racconta di un'epoca splendente per il calcio italiano e che sembra distante anni luce. Moreno Mannini, la tua carriera nasce dalla gavetta: dopo aver giocato a Imola e Forlì arriva, infatti, la chiamata del Como come primo trampolino di lancio. Anno 1982. “Andai a fare un provino, accompagnato dal mio allenatore del Forlì e ricordo che giocai quest’amichevole dove non toccai un pallone. Tornai frustrato dalla mia prestazione, più che altro perché non me la passavano mai. Mi ero già vestito per tornarmene a casa mestamente, mentre
l'allenatore del Como Tarcisio Burgnich mi fermò e mi disse: “per la velocità che tu hai se ti insegno a marcare diventi uno dei migliori difensori italiani”. Mi prese e alla fine ha avuto ragione. Certo, fui fortunato perché lui essendo difensore della grande Inter fu un grande maestro per me”. Due anni a Como e poi il grande salto alla Sampdoria. "Anche qui, tutto nasce da un’amichevole. Nella fattispecie era Como-Sampdoria, presente Paolo Mantovani che voleva vedere Roberto Galia. Facemmo questa partita e alla fine presero me e lasciarono Galia ancora un anno al Como. Insomma, una serie di circostanze fortunate anche mi hanno portato a questa carriera”. Anno 1984: la Samp all’epoca stava costruendo la squadra più forte della sua storia. “C’erano le Olimpiadi di Los Angeles del 1984 e Pietro Vierchowod era impegnato con la nazionale olimpica, per cui ho avuto l’opportunità di giocare tutte le partite di pre-campionato e quando tornò io che dovevo inizialmente essere panchinaro giocai titolare in coppia con lui”.
I GIGANTI DEL CALCIO / MORENO MANNINI
“” Una volta
ANCHE ALL'ESTERO Non un bel ricordo l'avventura al Nottingham Forrest...
c'erano al massimo 2-3 stranieri, adesso è una cosa vergognosa. Accendo la tv e vedo partite della Serie A senza italiani Al primo anno in blucerchiato sei agli ordini di Eugenio Bersellini. Che allenatore era? “Apparteneva alla vecchia scuola allenatori, stesso allenamento, un po’ monotono visto che non cambiava di una virgola. Lo dipingevano come sergente di ferro ma aveva un cuore anche lui”. Il passaggio alla Samp dalla realtà piccola di Imola è stato traumatico?
UN GRAZIE A VIERCHOWOD Mannini ha avuto subito spazio in blucerchiato grazie allo Zar...
68
Calcio 2OOO
Calcio 2OOO
69
I GIGANTI DEL CALCIO / MORENO MANNINI to vorresti guadagnare? E ti metteva in difficoltà, perché avevi paura di dire troppo, di dire una cavolata. Che poi il contratto era già firmato da lui, per cui se chiedevi una lira in più non te la dava mica, ma se ti aspettavi centomila lire in meno lui comunque ti dava quanto aveva già stabilito. Il suo divertimento era cercare di capire quanto tu ti valutavi. A Cerezo gli portò un contratto scritto in un tovagliolo al ristorante, per dire. E poi odiava i procuratori, diceva sempre che chi doveva guadagnare erano i giocatori, non gli intermediari. L'unica volta che un nostro giocatore si presentò col procuratore, successe con Pellegrini, lo mandò via. L'unica eccezione la concedeva ai giocatori stranieri, che magari non conoscendo la lingua ne avevano bisogno".
"Sinceramente no. Semmai è stato stimolante e io ho avuto la fortuna di giocare in 10-15 anni dove sono passati dei grandi campioni. Adesso l'Italia non è più come una volta dove i migliori stranieri ambivano a venire in Italia. Poi una volta c'erano al massimo 2-3 stranieri, adesso è una cosa vergognosa. Accendo la tv e vedo partite della Serie A senza italiani. E pensiamo di fare una nazionale forte?" In quella Samp il punto di forza era il presidente Paolo Mantovani. Si troveranno più presidenti come lui? "Un presidente innamorato dei suoi giocatori e della sua squadra. Lui ci voleva vedere felici, sapendo che se lo fossimo stati la squadra avrebbe fatto bene anche in campo. Creò una squadra prendendo dei giovani giocatori come me, Vialli, Mancini, Salsano e negli anni la squadra è diventata fortissima. La sua soddisfazione era creare una squadra partendo da giocatori semisconosciuti e ci è riuscito. Quella Samp si divertiva e faceva divertire e anche i non sampdoriani, ci tifavano in Europa, mica come adesso dove tra tifosi di squadre italiane ci si gufa. Noi eravamo per tutti la squaANCORA IN GRANDE FORMA Mannini sa ancora dare del tu alla palla...
dra simpatia. Eccetto che per i genoani (ride, ndr)".
In che senso? "Nessuno ha mai discusso un contratto con Paolo Mantovani. Arrivava con il contratto fatto e poi si divertiva a mettertelo davanti, girato al rovescio e ti diceva: quanto pensi di valere? QuanCalcio 2OOO
STIMA INFINITA PER MANTOVANI Parole al miele per l'ex patron della Sampdoria
Un gruppo storico che è rimasto unito nonostante le richieste dalle big. Siete rimasti per Mantovani? "Assolutamente sì. Eravamo talmente legati a lui che avremmo fatto qualsiasi cosa. Ai nostri tempi c'era più serietà. Le società non andavano a bussare dal giocatore, ma passavano prima dall'altro club. Mantovani ci raccontò dopo che
C'è un aneddoto legato a Paolo Mantovani? "Paolo Mantovani era un personaggio che oltre a venire a giocare a carte con noi la sera, veniva al ristorante con noi. Quando partivamo per giocare in Europa, quando passavamo con l'aereo sopra Ginevra diceva: "Vedete? Chi sposa mia figlia quella casa laggiù è sua". Personaggio fantastico, di una simpatia e di un affetto unico nei nostri confronti. Per lui noi eravamo la priorità: ad esempio diceva alla sua segretaria ogni volta che si presenta un giocatore, cancella tutti gli appuntamenti e fai venire il giocatore. Non come adesso che i presidenti sono irraggiungibili, devi prendere appuntamento. E poi lui si divertiva a giocare con noi con i contratti".
70
I GIGANTI DEL CALCIO / MORENO MANNINI
una mattina alle 6 si presentò a casa sua Agnelli che voleva comprare me, Vierchowod, Vialli e Mancini. Per noi quattro aveva messo sul piatto 50 miliardi di lire. Questo non ce l'aveva mai detto, lo fece solo anni dopo, una volta vinto lo scudetto nel 1991. Ci confidò che aveva rifiutato quell'offerta perché voleva provare a vincere con la Samp". Rimpianti per non essere andato alla Juventus? "No. Eravamo talmente legati tra di noi, d'altronde. Facemmo un patto dove nessuno avrebbe lasciato la squadra prima di vincere lo scudetto. E poi c'era Boskov che ci faceva divertire. Lui non aveva la presunzione di dire cosa fare a grandi giocatori, li metteva semplicemente nelle condizione di far bene, gestiva la testa". I maligni dicono che erano i senatori facevano la formazione… "Boskov era bravissimo a far credere questo. Poi alla fine faceva sempre quello che gli pareva. Mi ricordo che dovevamo fare una partita di Coppa delle Coppe contro il Malines, dove c'era una pioggia battente. Andammo a parlare con Boskov
“”
Paolo Mantovani era un personaggio che oltre a venire a giocare a carte con noi la sera, veniva al ristorante con noi chiedendogli di non far giocare Cerezo, perché la domenica avevamo una partita più importante. Lui ci disse: sì sì, avete ragione. Andiamo in campo e vediamo nella formazione: Cerezo titolare". Personaggio d'altri tempi, Vujadin Boskov. "Non poteva non volergli bene, ma era furbo. Aveva capito di avere a che fare con dei giocatori bravissimi, però doveva lasciargli una certa libertà e fare in
modo di non segregarli negli atteggiamenti e nei comportamenti altrimenti non avrebbe ottenuto risultato. Arrivammo al punto che avevamo sette nazionali. E ricordo che Sacchi, che era il ct, diceva più di una volta: “se vi avessi allenato io per quanto eravate forti sapete quanto avreste vinto in più?” Vialli gli rispondeva: Arrigo, chi lo dice che invece che fare l'allenamento alle 11 col sorriso sulle labbra potevamo rendere allenandoci magari alle 9 in maniera più rigida? Non c'era la controprova!". Che allenatore è stato Sacchi? "Un allenatore incredibile, un perfezionista. Ho imparato da lui tantissimo anche se avevo più di trent'anni. Ho visto curare i falli laterali, cosa mai vista nella mia carriera". Insomma, un'altra scuola rispetto a Boskov. "Boskov la domenica mattina faceva questo discorso: te Moreno, te Vierchowod marcate questi giocatori, togliete palla e date a Toninho Cerezo. Poi lui butta avanti che tanto Vialli e Mancini fan gol. Era un grande a livello psicoloCalcio 2OOO
71
I GIGANTI DEL CALCIO / MORENO MANNINI
I GIGANTI DEL CALCIO / MORENO MANNINI
DIFENSORE VERO
ANCHE SETTE GOL In 377 presenze con i doriani, si è fatto vedere pure in zona rete..
Di Fabrizio Ponciroli
Cresciuto ad Imola è diventato grande con la casacca della Sampdoria… oreno Mannini muove i primi passi nel calcio professionistico con la casacca dell’Imola. Poi si cimenta con Forlì e Como prima di passare, nel 1984, alla Sampdoria di Mantovani. Con i doriani disputa ben 15 stagioni, collezionando 377 presenze totali, condite da sette gol. A Genova vince uno Scudetto (1990/91), quattro Coppa Italia (1984/85, 1987/88, 1988/89 e 1993/94), una Supercoppa Italiana (1991) e una Coppa delle Coppe (1989/90). Nel 1999 lascia la Samp e si avventura in terra inglese, Gioca, per una stagione, al Nottingham Forrest (10 presenze), prima di tornare in Italia per chiudere la carriera con l’Imola. Si toglie la soddisfazione anche di giocare con la Nazionale (10 gettoni, esordio il 19 febbraio 1992, a Cesena, contro San Marino). E’ considerato uno dei difensori più tosti e duri della storia dei blucerchiati, di cui è considerato una vera e propria bandiera…
M
Menotti invece è stato una meteora. "Ha portato un paio di giocatori argentini sul quale è meglio lasciar perdere. Per fare bene doveva avere in mano una squadra superiore alle altre di due spanne. Con lui abbiamo fatto una preparazione ridicola, subito col pallone mai fatto una salita, mai fatto una corsa. Diceva che il campo non aveva salite quindi era inutile farle. Noi d'altro campo non era-
vamo più la stessa Samp, nonostante il figlio di Paolo Mantovani, Enrico, continuasse a prendere buoni giocatori". Enrico Mantovani molto sfortunato e nemmeno amato dai tifosi… "Sì è trovato lì, che in realtà il padre non voleva che i figli proseguissero la sua presidenza. Non si presentò bene in quel momento lì, ma secondo me ha dato tutto
Allenatore Spalletti, com'era all'inizio della sua carriera? "Io ci ho litigato e ho lasciato la Samp. Eppure tecnicamente e come preparazione lo ritengo il migliore che abbia avuto. Però ci siamo scontrati su situazioni più personali che altro. Mi spiace aver litigato, ci sono stato male e poi non andava niente a beneficio della Sampdoria. In quel momento mi disse cose che mi ferirono, del tipo che giocavo solo per fare le presenze. Come, io che in questa squadra ci sono cresciuto? Adesso comunque abbiamo chiarito, siamo tornati in buoni rapporti".
Mannini ha avuto la fortuna di affrontare i migliori, come Maradona...
STAGIONE
SQUADRA
SERIE
PRESENZE
GOAL
1980-1981
IMOLESE
D
25
2
1981-1982
F.C. FORLI
C1
10
1
1982-1983
COMO
B
17
2
1983-1984
COMO
B
36
3
1984-1985
U.C. SAMPDORIA
A
24
-
1985-1986
U.C. SAMPDORIA
A
26
1
1986-1987
U.C. SAMPDORIA
A
28
1
1987-1988
U.C. SAMPDORIA
A
29
2
1988-1989
U.C. SAMPDORIA
A
18
-
1989-1990
U.C. SAMPDORIA
A
29
-
1990-1991
U.C. SAMPDORIA
A
26
2
1991-1992
U.C. SAMPDORIA
A
28
-
1992-1993
U.C. SAMPDORIA
A
27
-
1993-1994
U.C. SAMPDORIA
A
30
-
1994-1995
U.C. SAMPDORIA
A
28
-
1995-1996
U.C. SAMPDORIA
A
27
1
1996-1997
U.C. SAMPDORIA
A
22
-
1997-1998
U.C. SAMPDORIA
A
25
-
1998-1999
U.C. SAMPDORIA
A
10
-
1999-2000
NOTTINGHAM FORREST
ING
10
-
2000
IMOLESE
C2
1
-
Calcio 2OOO
Dopo Boskov, Eriksson. Due personalità diverse. "Persona bravissima, un signore. Non l'ho mai visto arrabbiato. Pensa che lo chiamavi "mister" e lui diventava rosso. Molto bravo tatticamente".
“”
Sacchi? Un Allenatore incredibile, un perfezionista. Ho imparato da lui tantissimo anche se avevo più di trent'anni
quello che poteva dare ma si è trovato in una situazione che non c'era dentro. Mentre la figlia, Francesca, faceva parte di noi, era sempre con noi, Enrico era in America a studiare e quando è tornato non conosceva l'ambiente. Si è anche dovuto affidare a personaggi che non sempre erano all'altezza e siamo retrocessi con una squadra che non era nemmeno da retrocessione".
TANTI AVVERSARI IMPORTANTI
LA CARRIERA DI MORENO MANNINI
72
gico: quando perdevamo si incazzava se non ridevamo, dovevamo andare fuori a festeggiare, mentre quando vincevamo ci massacrava. Diceva: se avete perso e in più infierisco non recuperate più; invece quando vincete posso pure massacrarvi perché dopo che avete vinto potreste fare anche un'altra partita dopo 2 ore".
Calcio 2OOO
73
I GIGANTI DEL CALCIO / MORENO MANNINI
I GIGANTI DEL CALCIO / MORENO MANNINI
IMOLA NEL CUORE
NIENTE COME LA SAMP
Mannini è legatissimo alla sua città natale...
Ha vinto tutto in maglia blucerchiata, lo Scudetto resta il massimo...
Sei così emigrato in Inghilterra, al Nottingham Forest. "Avevo 38 anni, in realtà non volevo neanche andare. Ero ormai tornato a casa, mi è arrivata una telefonata il 31 luglio da David Platt che era diventato allenatore e mi disse: vieni a giocare con me. Io ero stuzzicato dall'avventura in Inghilterra per imparare la lingua e chiedo: quando inizia il campionato? E lui: il 2 agosto. Cioè, due giorni dopo la chiamata". Che esperienza è stata? "Platt mi voleva fare un quadriennale, io a 38 anni non avevo intenzione di stare così a lungo e ho optato per il primo, anche per vedere come mi sono trovato. E infatti mi sono trovato male, soprattutto con i giocatori. Attilio Lombardo, che all'epoca era al Crystal Palace, mi aveva avvertito. I giocatori per il fatto che io arrivassi dall'Italia e che David in un suo libro ha scritto che il difensore più furbo che abbia incontrato ero io, non mi vedevano bene. Quando gli spiegavo le cose facevano finta di non capire, mi hanno messo il bastone tra le ruote e io mi sono stufato, tanto che il 6 gennaio ero a casa". Anche Nottingham non era il massimo… "Lasciamo perdere, a parte Londra in Inghilterra non c'è nulla. Hanno come mentalità quella di bere, sin dalle 4. Poi la sera è tutto chiuso. Per non parlare del tempo, sempre piovoso". E con l'inglese poi come te la sei cavata? L'hai almeno imparato? "Pochissimo, anche perché avendo il club preso anche Matrecano e Petrachi e an74
Calcio 2OOO
“”
A parte Londra, in Inghilterra non c'è nulla. Hanno come mentalità quella di bere, sin dalle 4. Poi la sera è tutto chiuso dando spesso a mangiare al ristorante italiano, non è che mettevamo in pratica molto inglese". Soddisfazione più grande: scudetto o cavalcata in Champions? "Per lo scudetto ci stavamo preparando. Avevamo perso una finale di Coppa delle Coppe, poi vinta l'anno dopo con l'Anderlecht, quindi eravamo consapevoli di poter vincere il campionato. Pensare invece di arrivare alla finale di Coppa dei Campioni al primo anno è stata una sorpresa. Col Barcellona in quella finale a Wembley potevamo vincere, che peccato". Avevate capito che il ciclo era finito? "Sì, sapevamo che a Wembley finiva il nostro ciclo. Vialli era ormai ceduto alla Juve, il nostro presidente stava morendo. Capimmo che in quella partita si chiudeva un cerchio. Quella partita fu un'esperienza comunque indimenticabile. E nel calcio ci sono cose che non puoi comprare come le emozioni. Ricordo con piacere anche l'emozione che provai alla seconda par-
tita in Serie A al San Paolo a marcare Diego Armando Maradona. Quella era la sua prima partita in campionato a Napoli e lo stadio era una bolgia, al punto che non riuscivi a sentire nemmeno il tuo compagno di squadra a dieci metri". Capitolo Nazionale: rimpianti per aver iniziato tardi? "All'epoca erano molto conservativi, c'erano delle gerarchie. Con Vicini avevano la priorità i giocatori che avevano fatto l'Under 21 con lui. Quando mi ha convocato Sacchi ero in un momento di forma tale che non potevano non chiamarmi. Diciamo che ci potevo stare prima in Nazionale". Di cosa ti occupi adesso? Sei rimasto nel mondo del calcio? “Ho dedicato il mio tempo alla famiglia. Avevo dei bambini piccoli e ho preferito non allontanarmi più. Sono molto legato a Imola. A Genova sono stato bene ed è la città dove sono nati i miei figli, ma è qui che ho radici e con tutto il rispetto le amicizie fatte a 20 anni sono diverse a quelle con le quali sei cresciuto”.
Intervista di Gaetano Mocciaro Calcio 2OOO
75
SPECIALE STORIA - COPPA DEI CAMPIONI
di Gabriele PORRI
Niente da fare, il sogno del Saint Étienne si spezza al cospetto del Bayern Monaco dell’inossidabile Beckenbauer
foto Agenzia Liverani
LA FORZA DEL KAISER Beckenbauer porta il Bayern ad un altro grande trionfo...
LA LEGGE BAVARESE 76
Calcio 2OOO
L’
edizione 1975-76 della Coppa dei Campioni inizia con un primo turno completo, frutto della vittoria del Borussia Mönchengladbach in Bundesliga. I neroverdi sono guidati da Udo Lattek, mister della prima coppa del Bayern e hanno vinto anche la Coppa UEFA in finale con gli olandesi del Twente, con un 5-1 in Olanda dopo uno 0-0 in casa. Con Heynckes, Stielike, Bonhof, Vogts e il piccolo folletto danese Allan Simonsen è potenziale candidata al titolo europeo, insieme a Bayern, Real e alle solite altre. In Italia, continua il dominio juventino in patria che, tuttavia, non si traduce in prestazioni convincenti in Coppa, nemmeno in questa stagione. Curioso come l’esordio del Borussia ricalchi la finale di Coppa UEFA. Contro il Wacker Innsbruck del portiere Koncilia e di un giovane Bruno Pezzey, il Borussia soffre in casa in modo davvero inatteso. Solo un rigore di Simonsen a sette minuti dalla fine permette ai tedeschi di pareggiare, dopo la rete di Welzl al 43’. In Austria le cose sembrano ripetersi, con il vantaggio tirolese del danese Flindt-Bjerg, ma Stielike riesce a trovare il pari allo scadere di tempo. Con la sfida in assoluta parità dopo tre quarti, si scatena l’enfant du pays Jupp Heynckes, che dopo il vantaggio di Simonsen cala il poker per l’1-6 finale. Grande equilibrio invece nello scontro che ha messo di fronte il Magdeburgo e il Malmö. I tedeschi raggiungono il 2-1 al ritorno, pareggiando i conti con la gara in Svezia, grazie a un rigore di Streich. Gli svedesi perdono l’espulso Sjöberg, ma resistono fino ai rigori che si rivelano la sagra dell’errore. Dopo quattro tiri dal dischetto, il Magdeburgo ne ha segnato solo uno con Steinbach, gli svedesi hanno fatto poco meglio, con “Puskas” Ljungberg e Roy Andersson. Il quarto errore dei sassoni con Zapf dà il passaggio al Malmö agli ottavi, dove trova il Bayern. Il resto dei sedicesimi non vede sorprese, la Juve perde 2-1 in Bulgaria contro il CSKA, al ritorno Furino e ancora Anastasi danno il 2-0 decisivo. Passano facilmente il turno anche Bayern, Benfica, PSV Eindhoven, Hajduk, Rangers e SaintÉtienne. Rimonta il Derby County sullo Slovan Bratislava con Lee protagonista in cinque minuti di fuoco. Sull’1-1 complessivo, la punta a fine carriera segna al 78’, sbaglia un rigore due minuti dopo e segna il gol della sicurezza dopo altri due minuti. Manca di pochissimo una clamorosa rimonta lo Zurigo, che dopo aver perso 4-0 in casa dell’Ujpest pareggia i conti all’intervallo del ritorno. Al 57’, però, il portiere Grob commette un errore e Nagy segna il gol che permette agli ungheresi di andare avanti, anche
SPECIALE COPPA DEI CAMPIONI/ 1975-1976 se con qualche sofferenza dopo il gol del 5-1 di Risi. Il primo turno non riserva sorprese, unica “piccola” che passa è l’IA Akranes, che ha usufruito di un sorteggio favorevole con l’Omonia. L’urna degli ottavi sorride alla Dinamo Kiev, che trova gli islandesi dopo avere eliminato in un primo turno equilibrato l’Olympiacos. I campioni sovietici battono l’Akranes con un 5-0 complessivo e passano quindi ai quarti. Le partite clou del secondo turno sono Borussia-Juventus e Derby County-Real Madrid. Il “Gladbach” è costretto a emigrare in quel di Düsseldorf, ma non ne risente contro una Juve rimaneggiata poiché, oltre al previsto stop di Causio, squalificato, arriva il forfait di Capello all’ultimo. Curiosamente, la notizia viene portata alla stampa da un tifoso, che lo viene a sapere proprio dallo stesso centrocampista goriziano, che ha un ginocchio gonfio per una botta presa a Como. Le assenze si fanno sentire e così, dopo un avvio discreto della Juve arriva il gol tedesco, con Heynckes che anticipa Spinosi e devia nella porta di un sorpreso Zoff. Altri dieci minuti e un lancio di Wittkamp viene arpionato da Simonsen che triangola con Heynckes e fa il 2-0. Nonostante il doppio svantaggio, c’è ottimismo per il ritorno a Torino con il rientro degli assenti. Non hanno torto, visto che con Gori (dopo tiro di Scirea ribattuto da Vogts) e Bettega (ancora sgroppata di Scirea e velo di Gori) ristabiliscono la parità. Al 69’ però, un’incertezza di Zoff permette a Danner di segnare il gol decisivo. La rete di Simonsen a fine partita è la ciliegina sulla torta del Borussia. Più controverso il confronto tra Derby e Real. In Inghilterra, il Derby ottiene due rigori e al Real viene annullato un gol regolare dal famoso Tofik Bakramov, il guardalinee di Inghilterra ’66 che concesse il gol fantasma di Hurst nella finale mondiale. «Non mi piace parlare di arbitri – ebbe a dichiarare Breitner – ma oggi l’arbitraggio ha rovinato il lavoro di un anno, ora capisco come si sentivano i giocatori del Leeds nella finale di Parigi.» Per sua fortuna, il Real al Bernabeu pareggia i conti a cinque minuti dalla fine e trova il gol qualificazione nei supplementari con Santillana. Peccato che il rigore del 4-1 di Pirri per fallo su Amancio non ci sia. Polemiche, ma anche onestà. David McKay, mister del Derby dichiara: “Il Real è stato penalizzato a Derby, noi siamo stati penalizzati qui e fa più male perché è successo a un passo dal traguardo.” Gli fa eco il suo collega madridista, Miljanic: “Sicuramente non era rigore, ma questo sfortunatamente è il calcio.” Gli ottavi vedono il Bayern soffrire a Malmö, dove perdono 1-0 e ribaltare il punteggio con un 2-0 casalingo, l’Ujpest rimonta il 2-5 in casa del Benfica, va sul 3-0, ma Nené realizza il gol decisivo per il lusitani. Facili le qualificazioni di Saint-
Étienne, Hajduk e PSV. Sono proprio queste ultime due a scontrarsi in un entusiasmante quarto, con gli jugoslavi che vincono 2-0 in casa, ma sono eliminati dal gol del 3-0 olandese di van der Kuylen, ai supplementari. Identico l’andamento tra la Dinamo Kiev di Blokhin e Lobanovsky e il Saint-Étienne e in questo caso sono i francesi a passare. Guidati in panchina dal giovane Hervé Revelli, trovano il gol qualificazione a opera di Rocheteau, giocatore di punta della squadra a soli 21 anni. A Düsseldorf, si gioca un quarto di prestigio tra Borussia e Real. I tedeschi prendono due gol di vantaggio con Jensen e Wittkamp, ma nelle file Merengues emerge l’ex di turno, Netzer. Martinez di testa e Pirri dalla distanza permettono al Real di rimontare. Al ritorno, Heynckes porta avanti di nuovo i suoi, ma un’incornata di Santillana su cross di Amancio dà la qualificazione al Madrid grazie ai gol fuori casa. Non c’è solo Rocheteau, anche il Bayern ha un ventunenne emergente in attacco: è Karl-Heinz Rummenigge che, dopo i gol all’esordio contro la non irresistibile Jeunesse D’Esch, trova la rete anche nel 5-1 con cui il Bayern estromette il Benfica. Real-Bayern e PSV-Saint Étienne sono dunque le semifinali. I francesi vincono l’andata in casa grazie a una punizione di Larqué, il PSV (con in formazione Portvliet e i gemelli van de Kerkhof) pensa di poter andare facilmente a Glasgow, ma le parate di Curkovic ci mandano invece i biancoverdi. Lì trovano nuovamente il Bayern, che in Bundesliga continua a cedere il passo al Borussia, ma in Europa resta al top. Col Real va subito sotto per merito di Roberto Martinez, ma trova il pari grazie a “Der Bomber”, Gerd Müller. Senza l’ex Breitner e Pirri, il Real attacca ma non trova il gol. A Monaco, Müller realizza due gol nel primo tempo, raggiungendo quota 50 e il Bayern va in finale per la terza volta di fila. Ad Hampden Park, i tedeschi hanno la grossa fortuna di trovare Rocheteau, infortunato, a languire in panchina. Il Verts sono seguiti da 30.000 tifosi e trovano la traversa con Bathenay dai venti metri. Anche Santini colpisce la stessa traversa con un colpo di testa, cinque minuti dopo. Non sembra serata per i campioni di Francia, anche se Curkovic salva su Rummenigge e anticipa all’ultimo Müller. Il gol-vittoria arriva a inizio ripresa, con una punizione dal limite di Roth che si infila all’angolino basso. Herbin gioca la carta Rocheteau nel finale, ma la mossa non cambia il risultato e Beckenbauer alza la coppa per la terza volta consecutiva, dimostrando come non sia facile in Europa avere la meglio sui bavaresi, nonostante una certa dose di fortuna nelle tre finali. Per i Verts¸ che hanno portato una francese in finale 17 anni dopo il Reims, svanisce il sogno di diventare la prima squadra transalpina a conquistare il trofeo. Calcio 2OOO
77
SEMIFINALE 1
SEMIFINALE 2
FINALE
SAINT ETIENNE-PSV EINDHOVEN 1-0 (1-0)
REAL MADRID-BAYERN MONACO 1-1 (1-1)
BAYERN MONACO-SAINT ETIENNE 1-0 (0-0)
Mercoledì 31 marzo 1976, ore 20:30 SAINT-ETIENNE (Stadio "Geoffroy Guichard") Arbitro: Alfred DELCOURT (BEL) Spettatori: 38.676
Mercoledì 31 marzo 1976, ore 21 MADRID (Stadio "Santiago Bernabeu") Arbitro: Erich LINEMAYR (AUT) Spettatori: 111.000
Mercoledì 12 maggio 1976, ore 20:15 GLASGOW (Stadio "Hampden Park") Arbitro: Karoly PALOTAI (HUN) Spettatori: 54.670
SAINT ETIENNE: Ivan CURKOVIC, Gerard JANVION, Gerard FARISON, Osvaldo PIAZZA, Christian LOPEZ, Dominique BATHENAY [84' Pierre REPELLINI], Dominique ROCHETEAU, Jean Michel LARQUÉ (cap.), Hervé REVELLI, Christian SYNAEGHEL, Patrick REVELLI Commissario tecnico: Robert HERBIN.
REAL MADRID: MIGUEL ANGEL, Juan Cruz SOL, José Antonio CAMACHO, Vicente DEL BOSQUE, Gregorio BENITO, Benito RUBIÑAN, AMANCIO (cap.), Manuel VELAZQUEZ [36' Alberto VITORIA], SANTILLANA, Günter NETZER, Roberto MARTINEZ [60' Carlos Alfredo GUERINI] Commissario tecnico: Miljan MILJANIC.
BAYERN MONACO: Josef MAIER, Johnny HANSEN, Udo HORSMANN, Georg SCHWARZENBECK, Franz BECKENBAUER (cap.), Franz ROTH, Karl Heinz RUMMENIGGE, Bernd DÜRNBERGER, Gerhard MÜLLER, Ulrich HOENESS, Hans-Josef KAPELLMANN Commissario tecnico: Dettmar CRAMER.
BAYERN MONACO: Josef MAIER, Johnny HANSEN, Udo HORSMANN, Georg SCHWARZENBECK, Franz BECKENBAUER (cap.), Franz ROTH, Karl Heinz RUMMENIGGE, Bernd DÜRNBERGER, Gerhard MÜLLER, Ulrich HOENESS, Hans-Josef KAPELLMANN Commissario tecnico: Dettmar CRAMER.
SAINT ETIENNE: Ivan CURKOVIC, Gerard JANVION, Pierre REPELLINI, Christian LOPEZ, Osvaldo PIAZZA, Dominique BATHENAY, Patrick REVELLI, Jean Michel LARQUÉ (cap.), Hervé REVELLI, Jacques SANTINI, Christian SARRAMAGNA [83' Dominique ROCHETEAU] Commissario tecnico: Robert HERBIN.
Reti: 8' Roberto MARTINEZ, 43' Gerhard MÜLLER.
Rete: 57' Franz ROTH.
PSV EINDHOVEN: Jan VAN BEVEREN (cap.), Gerrie DEIJKERS, Peter DAHLQVIST [46' Henricus LUBSE], Ralf EDSTRÖM, Jan POORTVLIET [84' Nicholas DEACY], Huub STEVENS, Reiner VAN DE KERKHOF, Willhelmus VAN DE KERKHOF, Adrianus VAN KRAAY, Kees KRIJGH, Willhelmus VAN DER KUYLEN Commissario tecnico: Cornelis RIJVERS.
GARA DI ANDATA
GARA DI ANDATA
SPECIALE COPPA DEI CAMPIONI/ 1975-1976
Rete: 15' Jean Michel LARQUÉ. Ammonito: 5' Adrianus VAN KRAAY.
BAYERN MONACO-REAL MADRID 2-0 (2-0)
Mercoledì 14 aprile 1976, ore 20 EINDHOVEN (Stadio "Philips") Arbitro: John Keith TAYLOR (ENG) Spettatori: 20.000
Mercoledì 14 aprile 1976, ore 20 MONACO (Stadio "Olympia") Arbitro: Clive THOMAS (WAL) Spettatori: 78.000
PSV EINDHOVEN: Jan VAN BEVEREN (cap.), Gerrie DEIJKERS, Huub STEVENS, Ralf EDSTRÖM [46' Nicholas DEACY], Jan POORTVLIET, Henricus LUBSE [65' Peter DAHLQVIST], Reiner VAN DE KERKHOF, Willhelmus VAN DE KERKHOF, Adrianus VAN KRAAY, Kees KRIJGH, Willhelmus VAN DER KUYLEN Commissario tecnico: Cornelis RIJVERS.
BAYERN MONACO: Josef MAIER, Johnny HANSEN, Udo HORSMANN, Georg SCHWARZENBECK, Franz BECKENBAUER (cap.), Franz ROTH, Karl Heinz RUMMENIGGE, Bernd DÜRNBERGER, Gerhard MÜLLER, Ulrich HOENESS, Hans-Josef KAPELLMANN Commissario tecnico: Dettmar CRAMER. REAL MADRID: MIGUEL ANGEL, Juan Cruz SOL, José Antonio CAMACHO, PIRRI (cap.), Gregorio BENITO, Vicente DEL BOSQUE, AMANCIO (cap.), Paul BREITNER, SANTILLANA [61' José Luis LOPEZ], Günter NETZER, Carlos Alfredo GUERINI Commissario tecnico: Miljan MILJANIC. Reti: 9' e 31' Gerhard MÜLLER. foto Agenzia Liverani
SAINT ETIENNE: Ivan CURKOVIC, Gerard JANVION, Gerard FARISON, Osvaldo PIAZZA, Christian LOPEZ, Dominique BATHENAY, Dominique ROCHETEAU [55' Christian SARRAMAGNA], Jean Michel LARQUÉ (cap.), Hervé REVELLI, Christian SYNAEGHEL, Patrick REVELLI [80' Jacques SANTINI] Commissario tecnico: Robert HERBIN.
GARA DI RITORNO
GARA DI RITORNO
PSV EINDHOVEN-SAINT ETIENNE 0-0
Ammonito: 60' AMANCIO. Espulso: 90'+1 AMANCIO per doppia ammonizione. Karl-Heinz Rummenigge
78
Calcio 2OOO
foto Agenzia Liverani
Franz Beckenbauer
di Luca GANDINI
L'IMPRESA DEL PARMA VITTORIA DEL GRUPPO
foto Liverani
Un Parma fantastico, un successo epico
PARMALAND, IL DUCATO DELLE MERAVIGLIE A 20 anni dalla finale UEFA tra Parma e Juventus. Due mercoledì da leoni che solo quel calcio poteva regalare
80
Calcio 2OOO
ACCADDE A/L'impresa dEL PARMA
D
imentichiamoci per un attimo di tutte le disavventure di queste ultime settimane, dai beni pignorati alle partite saltate, dalla girandola di presidenti alla prospettiva di un futuro che se va bene si chiama Serie B, per spostare indietro le lancette della storia di 20 anni. Un periodo in cui il Parma era la regina delle provinciali del nostro calcio, espressione di una città ai primissimi posti nelle classifiche per qualità della vita, con alle spalle un colosso industriale (la Parmalat) pronto a foraggiarne i sogni di gloria con poderosi investimenti. Tanto esaltante quanto effimera, la grande epopea dei ducali ebbe come palcoscenico quegli anni '90 in cui, almeno nel calcio, tutto sembrava possibile. Il vivaio italiano produceva talenti a getto continuo, la Serie A, non a caso definita “il campionato più bello del mondo”, era l'approdo ideale per i più grandi assi stranieri, che proprio qui da noi avrebbero raggiunto l'apice della maturazione. E poi l'Europa, con le sue competizioni divenute terra di conquista per i nostri club. Uno degli esempi più emblematici fu proprio la Coppa UEFA del 1994/95. Un'edizione che, per blasone e qualità, non aveva nulla da invidiare alla Champions League attuale. Vi presero infatti parte Real Madrid, Juventus, Borussia Dortmund, Blackburn Rovers e Nantes, compagini che, proprio in quella stagione, avrebbero conquistato il titolo nazionale in Spagna, Italia, Germania, Inghilterra e Francia rispettivamente. E poi ecco il Parma, la mina vagante più temuta d'Europa, che già nel 1992/93 aveva festeggiato il successo in Coppa delle Coppe per poi strappare la Supercoppa Europea dalle grinfie del Milan degli “Invincibili” con una maestosa dimostrazione di calcio-spettacolo a San Siro. UNA COPPA FATTA IN CASA Non poteva che essere dunque tra Juventus e Parma la finale della 24ª Coppa UEFA. La grande tradizione sabauda contro la novità dei ducali, una sfida infinita che quell'anno aveva visto le duellanti lottare fino alla fine sia in campionato che in Coppa Italia. Fu la Juventus ad imporsi su entrambi i fronti, ma in Europa era diverso. Il Par-
ma, sapientemente impostato secondo il celebre 5-3-2 di Nevio Scala, era una squadra compatta e sicura di sé. In porta Luca Bucci, estremo difensore agilissimo ed abile con i piedi. Antonio Benarrivo e Alberto Di Chiara frecce sulle fasce, con Lorenzo Minotti, l'ultimo grande libero del calcio italiano, a coordinare due gendarmi d'area quali Fernando Couto e Gigi Apolloni. In mediana ecco la sostanza di Dino Baggio, il grande ex della partita, la generosità di Néstor Sensini e le geometrie di Gabriele Pin. E poi l'attacco, con il genio di Gianfranco Zola ad ispirare le folate di Faustino Asprilla. Dall'altra parte, la Juventus di Marcello Lippi, con il tridente Roberto Baggio-Gianluca Vialli-Fabrizio Ravanelli, un undici sempre pronto ad imporre il proprio gioco dall'alto di un'inappagabile ferocia agonistica. Il 3 maggio 1995, nella gara d'andata al Tardini (all'epoca la finale era strutturata sui due incontri), il Parma trovò subito la rete con Dino Baggio, dopodiché la Juventus si svegliò e strinse gli avversari nella propria metacampo. Solo alcuni miracoli di Bucci e la poca lucidità sotto porta degli attaccanti bianconeri impedirono un 1-1 che sarebbe stato tutto sommato meritato. Ritorno in programma due settimane dopo, il 17 maggio, a Milano. Era stata la Juventus stessa a designare San Siro come propria arena in luogo del mai troppo amato Delle Alpi. Altro mercoledì da leoni, dunque, in cui Madama era chiamata a gettare il cuore oltre l'ostacolo, al cospetto di un Parma che non ne voleva sapere di cedere.
Baggio, abile a finalizzare di testa una splendida azione corale. La Juventus, ferita, andò vicina al 2-1 pochi minuti dopo, ma un dubbio fuorigioco di Vialli su sinistro vincente di Moreno Torricelli rese vano ogni sforzo. Nemmeno l'ingresso in campo della baby stella Alex Del Piero, riuscì a dare lucidità e slancio al forcing juventino. Il Parma, che aveva sfruttato al massimo le occasioni create nell'arco dei 180 minuti, chiudeva così in modo trionfale questa indimenticabile sfida. La Coppa UEFA era sua, ma entrambe le squadre, quella notte di maggio, avevano meritato gli applausi degli appassionati. La Juve si sarebbe consolata la stagione seguente, vincendo la prima vera Coppa dei Campioni della sua storia. Tristemente note, invece, le vicende legate a quel Parma, il cui sogno sarebbe naufragato insieme alle manie di grandezza del proprio patron, Calisto Tanzi, protagonista, insieme alla Parmalat, del più grande crac finanziario mai registrato in Europa. Migliaia di risparmiatori truffati, i processi, le condanne e lo sconcerto di una piazza esiliata dai più prestigiosi palcoscenici pallonari. Sembrò tornare un po' di serenità con la gestione di Tommaso Ghirardi, ma era solo un'illusione. Un nuovo viaggio nell'angoscia attende ora la regina delle provinciali. Con l'insopportabile sensazione che il peggio debba ancora venire. LA FELICITA’ DI TINO
Asprilla si gode la grande vittoria…
DINO, L'ALTRO BAGGIO Pur privi di Apolloni, Pin e Sensini, squalificati, gli emiliani potevano contare sul rientrante Massimo Crippa e sul giovanissimo Stefano Fiore a dare vitalità al centrocampo, oltre che su Massimo Susic in difesa, un onesto gregario poi rivelatosi tra i migliori. Se l'andata non aveva deluso le attese, il ritorno fu ancor più esaltante. Vialli aprì le marcature al 35°, con una bomba mancina sotto la traversa, ma la Juve non sfondava. Troppo confuse le sue trame di gioco, troppo ispirato, dall'altra parte, Luca Bucci, che in più di un'occasione chiuse la porta in faccia ai bianconeri. Con pazienza e convinzione, intanto, il Parma tirava fuori gli artigli e, al 9° della ripresa, trovava il pari con il solito Dino
foto Liverani
ACCADDE A
Calcio 2OOO
81
DOVE SONO FINITI
di Stefano BORGI
DOVE SONO FINITI/ ROBERTO COLACONE
ROBERTO COLACONE
CHIAMATELO “COLAC-ONE”
CLASSE DI FERRO Colacone è nato nel 1974, l'anno di Del Piero
Il numero uno nel destino: una presenza in Serie A, una in Coppa delle Coppe. E poi la scuola calcio individuale...
foto Agenzia Liverani
C
hi l'avrebbe mai detto? Roberto Colacone paragonato a Josè Mourinho. Non certo per la carriera di allenatore ("Non ci penso nemmeno, e poi non mi vedo su una panchina - precisa Roberto- Piuttosto vorrei fare il dirigente"), né per quella di calciatore. Ricordiamo infatti che il tecnico del triplete nerazzurro giocò a malapena nelle serie minori portoghesi, Colacone invece ha toccato la Serie A, addirittura ha esordito in Coppa delle Coppe. E poi ai tempi di Parma era una delle promesse del calcio italiano. Insomma Colacone-Mourinho, tutta colpa di un neologismo... lo Special-one. Di un’assonanza fonetica che (guarda caso) fa rima con Colac-One. E allora partiamo proprio da quell'uno finale...
IL NUMERO 17
Roberto ha indossato 17 casacche diverse in carriera...
Dovendo sceglierne uno? "Senza dubbio sceglierei Apolloni. Giocavamo in ruoli diversi, ma Gigi ti dava indicazioni solo con lo sguardo. Tra l'altro l'ho ritrovato come allenatore a Modena. Al tempo i giovani davano più rispetto, il posto te lo dovevi conquistare. Non come oggi..."
foto Agenzia Liverani
Colpa di qualcuno in particolare? "Nel calcio di adesso avrei fatto di più, non c'è dubbio. Oggi i giovani hanno più possibilità, ci sono le presenze imposte dai regolamenti. È più facile trovare spazio. Ai miei tempi era tosta in ogni serie: addirittura in C1, con la Carrarese, affrontai il Bologna di Ulivieri. Diciamo che, caratterialmente, giocavo più per la squadra che per me stesso. Dovevo essere più egoista".
82
Calcio 2OOO
Abbiamo giocato col suffisso "One". Ce le racconta queste due partite?
Lì invece andò meglio... "Le racconto un aneddoto. Dovevamo giocare la semifinale di ritorno col Benfica, Scala ci raduna e dice: Zola ha la febbre, se non ce la fa gioca Roberto. Capito? Roberto ero io, in quel momento l'emozione salì a mille. Poi Gianfranco ce la fece, io entrai a partita in corso e giocai 35'. Perdemmo in finale con l'Arsenal, ma resta una grandissima esperienza". Com'era il Parma di Scala? "Quel Parma giocava un grandissimo calcio. Tatticamente era molto avanti, la difesa a tre una delle prime in circolazione. Soprattutto, in quel Parma, c'erano grandi giocatori, uno spogliatoio eccezionale: Asprilla, Melli, Sensini, Benarrivo. Lo stesso Zola..."
Roberto, una presenza in Serie A, un gettone in Coppa delle Coppe. E poi? "E poi tanta Serie B. Anche in piazze importanti: Foggia, Vicenza, Genoa, Ascoli. Però il treno del grande calcio era passato, ed io non ci sono più salito".
Si spieghi meglio... "Dovevo fare più gol. Come caratteristiche ero una seconda punta, molto tecnica, ma realizzavo poco. Diciamo che potevo ricordare Montella e Del Piero. Certo loro erano dei fuoriclasse, e poi segnavano tantissimo..."
"La mia unica presenza in Serie A fu col Parma di Scala, il 10 aprile 1994. Era la quart'ultima di campionato e perdemmo 2-0. Entrai al 70' al posto di Zoratto, ricordo segnarono Balbo e Festa. La settimana dopo esordii anche in Europa".
Da quel giorno Roberto Colacone (anzi... Colac-One) entra in un frullatore che ricorda il film "Sliding Doors". Occasioni perdute per un niente, trasferimenti sfumati all'ultimo secondo.
“”
In carriera dovevo essere più egoista. Ero una seconda punta alla Del Piero...
Tutto quello che può condizionare (in negativo) la carriera di un calciatore... "Allora andare a farsi le ossa era la prassi. Carrarese, Spal, Foggia, Lucchese... A Lucca feci anche abbastanza bene, giocavo con Stellone. Eravamo entrambi del Parma, riscattarono lui ed io rimasi alla Lucchese in contropartita. Prima occasione persa". Calcio 2OOO
83
DOVE SONO FINITI/ ROBERTO COLACONE
DOVE SONO FINITI/ ROBERTO COLACONE
Ovunque è stato, ha dato il meglio che poteva...
All'inizio ci ha detto che vorrebbe fare il dirigente. Si riferiva a qualcosa di preciso? "Sto portando avanti un progetto innovativo. Si chiamerà: "Palestra del calcio", e sarà una scuola calcio individuale. Non ci sarà una squadra, al massimo un allenatore per quattro giocatori. Con attrezzi che importiamo dall'estero. Ad esempio, avremo delle reti di rimbalzo con l'Iphone che ti conta i palleggi. Faremo un lavoro parallelo con le altre squadre: loro ci mandano i ragazzi due volte la settimana, e noi con loro faremo un lavoro mirato".
foto Agenzia Liverani
Alla sua età? "Gioco a calcio a sette nei tornei amatoriali. A Milano c'è un giro eccezionale, con grandi excalciatori: recentemente ho giocato con Seedorf, Ganz, Cauet... Addirittura sono stato contattato da Lugano per fare dei tornei. Capirai, sono ancora giovane, e gliel'ho detto... tecnicamente me la cavo egregiamente".
SEMPRE IN GIOCO
“”
Oggi pratico il calcio a sette. Mi diverto come un pazzo, gioco con gente come Seedorf, Ganz...
Siete i primi a tentare un esperimento del genere, ancora una volta torna il Colac-One... "Non ci sarò solo io. Con me ci sarà Davide Cattaneo ex della Cremonese, e Matteo Lombardo ex della primavera dell'Inter e Cristian Zenoni (ex Samp, Juve e Bologna). Poi avremo un avvocato sportivo per curare i servizi con le società. Il tutto a Paderno Dugnano. Gireremo con i pulmini, andremo anche nei centri sportivi a fare gli allenamenti, insomma... ci daremo da fare". Ultima... Da ex, che pensa della situazione del Parma? "Una cosa tristissima. Ora che succede in Serie A, ad una grande come il Parma, tutti ne parlano. Ma sapesse quante situazioni simili ci sono in Serie B, oppure in C. Per esempio il Monza, il Barletta. Lo dico non tanto per i calciatori, quanto per i lavoranti: steward, magazzinieri, intere famiglie a rischio. Ci vorrebbero più garanzie, più controllo, ma le regole sono vecchie..."
foto Agenzia Liverani
SI DIVERTE ANCORA OGGI
84
Calcio 2OOO
Negli ultimi anni anche un'avventura a Cremona
“”
Calcioscommesse? Lo voglio dimenticare. La sensazione più brutta è che non potevi difenderti
Passi il calciatore. Ma l'uomo Colacone quanto ha sofferto? "I primi mesi sono stati brutti, qualcuno si è allontanato. La famiglia? No, quella mi è stata vicina. Ho una moglie, un figlio di 5 anni, tanti amici sono rimasti. Ora aspetto la riabilitazione, manca poco più di un anno (la squalifica in primo grado, di 4 anni, finisce a maggio 2016 ndr.) e comunque continuo a giocare a calcio".
foto Image Sport
CON LA CREMONESE
Apriamo il capitolo calcio-scommesse. L'inchiesta è quella di Cremona, le lasciamo tema libero... "La sensazione più brutta è che non potevi difenderti. Cioè... anche andare davanti ad un magistrato a dire le tue ragioni serviva a poco. Sono stato squalificato per due accuse di Gervasoni, un pentito, su due partite partite del 2009. Su una hanno ascoltato la mia versione, sulla seconda non mi hanno neppure sentito. D'accordo col mio avvocato non ho nemmeno fatto ricorso, inutile perdere tempo... e soldi. Comunque l'inchiesta è stata chiusa, spero nell’archiviazione".
foto Image Sport
Nella sua carriera ha incontrato tantissimi allenatori. Uno a caso, Orrico... "Carattere esuberante, di grandissima personalità. Con lui, devo dire, andavo d'accordo, anche se non dovevi andargli contro. Se faceva già la famosa "gabbia"? Certo, facevamo gli allenamenti con i parastinchi per rinforzare le gambe.
E poi pressing esasperato, scambi strettissimi... Un bel personaggio".
foto Image Sport
Andiamo avanti... "A Como, dal 2000 al 2002. Due promozioni consecutive dalla C alla A. In rosa c'erano già due seconde punte, Oliveira e Carbone, quindi toccò a me andare a Vicenza. La sera stessa Oliveira fu venduto al Catania, ed in Serie A ci andò solo Carbone. Bastava solo qualche ora in più... Stessa cosa ad Ascoli, nel 2005, io e Bucchi segnammo 30 gol in due. Con Giampaolo disputai la mia stagione migliore, giocavamo un gran calcio. Però anche lì... Perdemmo i play-off col Torino per salire in Serie A, così l'Ascoli ci vendette entrambi al Modena. Pochi giorni dopo il Torino fallì e l'Ascoli fu ripescato, ma ormai la cessione al Modena era cosa fatta. Fino alla stagione 2008 quando con l'Albinoleffe perdemmo uno storico spareggio con il Lecce. Che dire? In certi casi ci vuole anche fortuna".
40 anni ma la passione di sempre per il pallone
Calcio 2OOO
85
LIGA SPAGNA
di Paolo BARDELLI
foto Imago(Image Sport
Troppe le società con difficoltà economiche...
LIGA, CONTI IN ROSSO
I
l calcio italiano ha tanti problemi, spesso - vuoi per un eccesso di esterofilia, vuoi per semplice tafazzismo - ci piace immaginare le realtà straniere come un paradiso lontano. In queste settimane tiene banco il caso Parma, una storia triste dai contorni quasi grotteschi, vicenda che ci porta a riflessioni sull'ecosistema calcio Italia. Mal comune non sarà mezzo gaudio, visto che sta a noi risanare le paludi del nostro movimento, però in Spagna non se la passano meglio. Spesso considerata terra del bengodi da alcuni nostri 86
Calcio 2OOO
dirigenti, che la portano come esempio di bassa pressione fiscale e modello di business da seguire, la Liga presenta alcuni casi preoccupanti. L'economista José María Gay de Liébana già nel 2012 suonava l'allarme: "Il calcio spagnolo sta morendo, nel giro di cinque anni i fatti mi daranno ragione". L'Elche sicuramente non se la passa bene, la giunta straordinaria degli azionisti indetta per fine mese è solo l'ultimo atto di una situazione drammatica, due anni con un bilancio preoccupante, stipendi non pagati. Vi ricorda qualcosa? I biancoverdi rischiano forte, servono
CRISTIANO RONALDO
foto Imago(Image Sport
Tanti club spagnoli sono in crisi, la situazione potrebbe precipitare presto…
nuovi investitori altrimenti la società verrà messa in liquidazione. È a rischio la permanenza nel professionismo, a complicare ulteriormente la situazione ci sono le indagini relative al calcioscommesse, nel mirino la gara contro il Malaga dello scorso anno. Veniamo ora a un'altra squadra sul filo del rasoio, il Getafe. A spiegare le condizioni degli Azulones c'è il curioso caso di Pedro León. La Federcalcio spagnola a inizio stagione, ha imposto al club di non inserire il giocatore in lista, considerato che il suo ingaggio avrebbe portato a sforare i 17 milioni complessivi previsti come tetto salariale. L'art. 22 del Regolamento di Controllo Economico parla chiaro: “È considerato indicativo di una possibile situazione di disequilibrio economico e finanziario futuro quando la spesa annuale legata alla prima squadra per i giocatori e i tecnici dei club supera il 70% delle entrate”. La LFP non ci va leggera - e fa bene - in casi come questo è prevista anche la retrocessione. Il
caso León è comunque stato risolto lo scorso 24 novembre, il giorno in cui il giocatore spegneva 28 candeline. Ad aver bisogno di auguri, oltre a Elche e Getafe, sono numerose squadre di Segunda Division, Real Saragozza, Recreativo Huelva e Sporting Gijon tra le più inguaiate. La Federcalcio ha bloccato il mercato invernale a tali società come misura cautelare, in attesa che vengano saldati i debiti. Un tema spinoso è quello riguardante i diritti tv, il governo ha espressamente fatto sapere di voler maggior mutualità tra i club di Liga, sulla falsa riga del modello inglese, al momento Real Madrid e Barcellona incassano il 46% degli introiti. Quello in questione è il campionato maggiore con le maggiori disparità di reddito a livello continentale (Serie A seconda classificata), i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Gli ultimi segnali ci parlano di un calcio spagnolo in leggera ripresa, almeno per quanto riguarda i ricavi che hanno registrato un incoraggiate +9,4 ma crescono anche i costi (+7,6 %). A preoccupare sono comunque i debiti, il sistema ha rischiato il collasso nel 2013 con un buco da 750 milioni e società appese al filo. Si pensi al Valencia. I debiti sono in calo ma gravano ancora sul sistema, stando ai dati di pochi mesi fa l'arretrato dei club nei confronti del fisco ammontava a ben 500 milioni di euro. Real e Barça hanno la forza per restare a galla, grazie ad introiti e ad un peso politico che garantisce lo status di "intoccabili", ma neppure i blaugrana possono permettersi di abbassare troppo la guardia considerato il reato di evasione fiscale riconosciuto all'ex presidente Bartomèu. Sotto la lente d’ingrandimento è finito l'acquisto di Neymar, caratterizzato da varie irregolarità, si è addirittura parlato di esclusione dalla Liga per il club catalano, ma questo quadro pare francamente improbabile. È evidente però che al luccicare dei trofei non corrispondano conti altrettanto brillanti. Si pensi all'Atletico Madrid, competitivo sul campo ma con un bilancio tutt'altro che sano. Preoccupa pure l'Espanyol, che ha chiuso in rosso l'esercizio 2013/2014. 134,4 milioni a bilancio ma circa un terzo (43,2 per la precisione) sono da versare ad Hacienda. La seconda squadra di Barcellona si è accordata con il fisco spagnolo per la rateizzazione dei debiti.
MALAGA CHE CAOS… Al Thani ha prima promesso mare e monti, per poi finire nelle aule di tribunale… foto Adrián Blanco Bernabéu Digital
PREOCCUPAZIONE IN SPAGNA
Sergio Sánchez Ortega
Il calcio spagnolo paga (e pagherà) anni vissuti al di sopra delle proprie possibilità. Molti ricorderanno gli investimenti del Malaga targato Al Thani, un quadriennio durante il quale è stato imbastito e smontato uno quadrone. Il club ha attraversato momenti difficili, è servito l'ingresso di Bluebay - società del settore alberghiero - per evitare il fallimento. Al momento è in atto una battaglia legale, poiché lo sceicco controlla ancora il 51% della società Nas Spain 2000 SL, creata per salvare il club, a Bluebay il restante 49%. Al Thani cedette 565.861 azioni, adesso Bluebay reclama la propria percentuale del capitale azionario. Iniziata a suon di milioni e grandi acquisti per poi finire nelle aule di tribunale, passando per stipendi non pagati e conti a secco. Questa è stata la parabola del Malaga dello sceicco. Ci auguriamo che il calcio spagnolo non faccia la stessa fine. Calcio 2OOO
87
PREMIER LEAGUE INGHILTERRA
di Luca Manes
MODELLO VINCENTE
bassa e alle piccole rimangono le briciole. Tanto che quelle troppo piccole c'è chi nell'èlite del calcio italiano nemmeno ce le vorrebbe – vero Lotito?
La Premier League è florida, merito di strategie pensate per far contenti tutti…
88
Calcio 2OOO
Sky e BT – la piattaforma di Rupert Murdoch pagherà 4,2 miliardi di pounds per 126 match, la British Telecom 960 milioni per i rimanenti 42 incontri. Poi ci sono gli introiti che ogni squadra incassa per la vendita dei diritti all'estero. Un fiume di quattrini che ha contribuito a rendere la massima divisione inglese se non il campionato più bello del Pianeta, sicuramente quello più seguito. Merito anche di una più equa distribuzione del denaro incassato, una delle principali differenze tra la Premier e la Serie A, dove le grandi fanno man
SKY BOX
foto Image Sport
“M
oney makes the world go round”. I soldi fanno girare il mondo, cantava Liza Minelli. Lo sanno bene gli spin doctor della Premier League, che ormai a cadenza triennale portano a casa contratti televisivi sempre più ricchi. L'ultimo, siglato lo scorso febbraio, è relativo al periodo 20162019 e ammonta a 5,13 miliardi di sterline (oltre 7 miliardi di euro), circa 2 miliardi in più rispetto al precedente. E stiamo parlando solo dei diritti per trasmettere in esclusiva 168 partite nel territorio del Regno Unito acquistati da
In Premier i (tantissimi) denari pagati da Sky e dalle altre emittenti satellitari avvicendatesi negli ultimi anni vanno divisi per il 50% in parti uguali, per il 25% in base alle apparizioni televisive (da scegliere secondo l’andamento del campionato), mentre il restante 25% dipende dal piazzamento finale in classifica. Un buon incentivo per giocarsi anche un apparentemente inutile ultima di campionato, per decidere un decimo o un undicesimo posto, verrebbe da dire. Forse si eviterebbero partite sospette – o truccate – come sembra sia accaduto dalle nostre parti. Per i diritti venduti all'estero la torta viene divisa in parti uguali tra tutte e 20 le squadre che partecipano al campionato. Non a caso guardando la classifica dei
Non è un caso, infatti, che per la maggioranza dei club inglesi le tre principali fonti di guadagno, ovvero tv, biglietti e merchandising, sono alquanto bilanciate, mentre in Italia i club – soprattutto le big – dipendono in maniera sproporzionata dalle entrate derivanti dai diritti televisivi. Non ci vuole un genio per capire che così le società sono meno soggette agli sbalzi d’umore del mercato. Nello sfruttamento del merchandising, poi, il calcio d’oltre Manica è sempre stato all’avanguardia, occupando subito le consistenti fette del mercato asiatico – dove la Premier può contare su milioni di appassionati. Noi siamo rimasti fin troppo indietro e non basta spostare a Doha la Super Coppa italiana per risolvere il problema. Se provassimo a copiare un sistema del genere forse potremmo garantire maggiore dignità e sostenibilità economica alle “piccole” tanto bistrattate da Lotito. Avremmo un campionato più competitivo e, forse, più equilibrato. Ma sicuri che sulla questione della spartizione dei diritti TV non siano anche altri a non volere l'introduzione del “modello inglese”?
SPIDERCAM
foto Image SPort
foto Imago/Image Sport
In Inghilterra sanno come far decollare il pallone...
PARTITE IN TV In Inghilterra non tutti i match sono in diretta televisiva… foto Image Sport
guadagni legati agli introiti televisivi, si nota che tra il team che si laurea campione d'Inghilterra e quelli che retrocedono il divario non è amplissimo. Nel 2013-14 il Manchester City ha incassato 96 milioni di sterline, il Cardiff (ultimo in classifica) 65. Da noi è stato calcolato che, nel 2012-13, alla Juventus spettavano quasi 100 milioni di euro, al Pescara circa 20, ma soprattutto che 13 club non superavano i 35 milioni.
STRATEGIE VINCENTI
Un’altra differenza tra l'Italia e l'Inghilterra sta nel numero di partite trasmesse. Così come nel resto d’Europa, anche oltre Manica i frequentatori di stadi si sono abituati a dover rinunciare all’orario canonico d’inizio match, il tutto per soddisfare l'appetito degli spettatori televisivi, che di solito cominciano l'abbuffata del week end all’ora di pranzo del sabato. Poi il turno si completa con altri posticipi rarefatti tra il tardo pomeriggio del sabato stesso, la domenica e la sera del lunedì – anche se il Monday Night non è una regola fissa. Con il nuovo contratto si parla anche di gara da disputarsi il venerdì sera, una novità assoluta per la Premier. Eppure c’è un dettaglio che forse troppo spesso viene ignorato, sottovalutato o semplicemente omesso: a fronte di quattro, massimo cinque partite della Premier trasmesse in diretta televisiva, per vedere tutte le altre non rimane che munirsi di biglietto di ingresso allo stadio. Alle 15 di sabato pomeriggio Sky e le altre televisioni britanniche non mandano in onda alcun match di nessuna divisione professionistica inglese. Un’altra buona ragione per cui gli impianti di provincia o delle grandi città sono tutti o quasi pieni, in Premier ma anche nei campionati minori, mentre da noi in tanti appassionati preferiscono dotarsi di schede e decoder. Calcio 2OOO
89
BUNDESLIGA GERMANIA
di Flavio SIRNA
foto Imago/Image Sport
Roberto punta a fare grandi cose con lo Schalke...
ANCORA LUI, DI MATTEO l’ex CHELSEA sta facendo vedere di saper allenare davvero. Lo sanno bene quelli dello Schalke…
D
allo scorso 7 ottobre la Bundesliga ha nuovamente come protagonista, dopo i successi passati di Giovanni Trapattoni sulla panchina del Bayern Monaco, un altro allenatore italiano. Parliamo dell'ex-Chelsea Roberto Di Matteo, chiamato al posto di Jens Keller per cercare di risollevare le sorti del club di Gelsenkirchen, che stava viaggiando nelle zone mediobasse della classifica. Contratto sino al 2017, al tecnico di origine svizzera è stato dato come incarico, perlomeno relativamente alla stagione in corso, quello di portare la squadra nelle 90
Calcio 2OOO
prime quattro posizioni, che valgono un piazzamento in Champions League. Gli avversari principali, esclusi Bayern Monaco e Wolfsburg, hanno il nome di Bayer Leverkusen e Borussia Monchengladbach. Avversari a parte, c'è comunque parziale soddisfazione per quanto Roberto è riuscito a fare sino a questo momento alla guida di Draxler e compagni. Il rendimento in campionato ha mostrato una squadra più forte tra le mura amiche che fuori casa, dove come unico risultato di rilievo è arrivato il pareggio (nel girone di andata) all'Allianz Arena contro la corazzata guidata da Guardiola. Un’alternanza di prestazio-
ni che va additata alla scarsa personalità di coloro che dovrebbero fungere da leader (Boateng su tutti) ed alla carta di identità di molti elementi della squadra, decisamente giovani (Sanè classe 1996, Goretzka e Meyer 1995, Draxler e Nastasic 1993, Ahyan 1994). A livello di modulo Di Matteo non ha voluto assolutamente adattarsi ai più importanti colleghi europei, che oramai optano per un classico 4-2-3-1. Al contrario ha schierato spesso la squadra con un innovativo 3-1-4-2. Accanto ad Huntelaar, sempre più cannoniere, è stato piazzato il veloce e guizzante camerunense Choupo Mouting. Nel-
le ultime partite, compresa la sfida di Champions col Real Madrid (incredibile vittoria per 4-3 e qualificazione sfiorata dopo lo 0-2 dell’andata in terra tedesca), è stato lanciato il giovane talento classe 1996 Leroy Sané. A centrocampo, sugli esterni, si è puntato spesso su Christian Fuchs a sinistra e lo svizzero Tranquillo Barnetta a destra. Ha comunque trovato il suo spazio, nonostante si trovi meglio in una difesa a 4, il giapponese Uchida. Centralmente hanno invece impressionato le prestazioni del giovane Max Meyer: 19 anni, contratto sino al giugno del 2018, il ragazzo di Oberhausen nasce come trequartista ma (può essere adattato anche come esterno viste le caratteristiche fisiche, 173 cm di altezza), complice la presenza dell'inesauribile Marco Hoger, ha trovato la sua dimensione anche come regista. Meyer è inoltre molto abile in fase di conclusione, come dimostrano le cinque reti realizzate in campionato. A garantire protezione al reparto difen-
sivo, oltre al citato Hoger, c'è Roman Neustadter, che funge come una sorta di Desailly versione Milan di Capello. Davanti a Farhmann, portiere titolare, costituiscono il trio di centrali l'exFiorentina Nastasic, da poco rilevato a titolo definitivo dal Manchester City, il camerunense Matip e una delle bandiere della squadra, ossia Benedikt Howedes, allo Schalke dal lontano 2007. Ha trovato spesso spazio, perlomeno ultimamente, al posto di Matip, il giovane turco Kaan Ayhan: cresciuto nelle giovanili dello Schalke, possente dal punto di vista fisico (185 cm di altezza), si è fatto preferire per una maggiore adattabilità alla difesa a 3 rispetto a Matip, che si troverebbe probabilmente più a suo agio in un reparto a 4 o come protettore della difesa alla Neustadter. Altri hanno deluso. In primis c'è da segnalare la profonda crisi dell'ex-Milan Kevin Prince Boateng: quasi 1.000 minuti giocati sino ad oggi e nessuna rete (la dirigenza tedesca ha sborsato 10 milioni di euro per averlo). Ad inizio anno si pensava che fosse tutta colpa di Keller, che lo aveva posizionato come centrocampista centrale, ruolo mai occupato in carriera. L'avvento di Di Matteo ha invece confermato che il giocatore sta attraversando una fase calante dalla quale non sembra, almeno attualmente, in grado di potersi risollevare. Deludente anche il rendimento dell'exLeverkusen Sydney Sam, che avrebbe dovuto essere sulla carta uno dei fiori all'occhiello della scorsa campagna acquisti estiva (costo del suo cartellino quasi 3 milioni di euro). Fermati invece dagli infortuni la stella Julian Draxler (lacerazione parziale al tendine dallo scorso ottobre) e colui che viene considerato il suo erede (Julian potrebbe finire all’Arsenal), ovvero Leon Goretzka: dopo lo strappo alle fasce muscolari che lo ha tenuto fuori dai giochi sino a febbraio, adesso il ragazzo sta cercando di recuperare e di ritrovare la migliore condizione: al momento del suo rientro dovrà però fare i conti con Max Meyer. La situazione appena descritta fa presagire che se all'inizio della prossima stagione, la 2015-2016, nessuno di questi elementi, siano essi titolari o riserve, dovesse abbandonare la Veltins Arena, ci saranno oggettivamente tutte le condizioni per Di Matteo, a prescindere dal raggiungimento del
PEP NON SE NE VA Guardiola-Bayern Monaco, segnali di rinnovo…
foto Image Sport
L'ITALIANO DELLA BUNDES
Josep Guardiola
Nonostante il diretto interessato continui a non volersi sbilanciare riguardo quello che sarà il suo futuro dopo il giugno del 2016, in casa Bayern Monaco col passare dei mesi cresce l’ottimismo per il possibile prolungamento del contratto del tecnico Pep Guardiola. A far propendere per l’ipotesi della permanenza sono state soprattutto le dichiarazioni del manager spagnolo sul Barcellona: ha infatti escluso categoricamente di tornare in Catalogna dopo le nuove elezioni presidenziali. L’unica ipotesi plausibile in piedi è quella che lo vorrebbe in Premier League a prendere il posto di Manuel Pellegrini sulla panchina del Manchester City. Supposizioni a parte, a parlare per ultimo, in ordine di tempo, delle sorti di Guardiola è stato l’amministratore delegato dei Campioni di Germania Karl-Heinz Rummenigge: “Pep è stato fondamentale per i successi del nostro club in questi anni e penso che resterà con noi anche dopo il 2016. Guardiola e la sua famiglia si trovano bene a Monaco quindi non c'è nulla che mi fa pensare ad un suo addio”. Chi invece certamente resterà al Bayern anche una volta appesi gli scarpini al chiodo sarà il capitano Lahm: "Gli ho già detto in sede di rinnovo che se vuole resterà al Bayern con un ruolo dirigenziale". quarto posto e del relativo approdo in Champions League, di poter diventare, insieme al Borussia Dortmund, la principale avversaria del Bayer Monaco nella lotta al titolo della Bundesliga… Calcio 2OOO
91
LIGUE 1 FRANCIA
di Renato MAISANI
foto Imago/Image Sport
Il Monaco sta dimostrando di essere un top team...
L’ABITO NON FA IL MONACO
A
ppena qualche mese fa, proprio su queste pagine, parlavamo del Monaco come di un progetto riavviato in maniera attenta e scrupolosa, che aveva fatto seguito all’era dei Falcao e dei James Rodriguez e, più in generale, dei milioni spesi a cuor leggero qua e là. Il russo Dmitrij Rybolovlev, sulla scia del connazionale Abramovich e del ‘vicino’ di casa Al-Khelaifi aveva inizialmente – per lo meno in apparenza – tentato di lanciare in orbita il Monaco seguendo la politica del sensazionalismo, degli 92
Calcio 2OOO
acquisti portati a termine senza badare a spese e della reazione a catena derivante dalla presenza di stelle in organico che, solitamente, non fanno altro che attirare altre stelle. Poi il cambio di rotta che, secondo molti, è figlio anche del ‘divorzio del secolo’, come è stato ribattezzato dal quotidiano svizzero ‘Le Temps’ quello tra Rybolovlev e l’ex moglie Elena. Più di 3 miliardi di euro la cifra che il magnate russo ha dovuto versare alla sua ex signora, vale a dire la metà del suo intero patrimonio. Da lì il ridimensionamento del club che però, a conti fatti, è stato solo parziale.
Jardim Leonardo
foto Image Sport
Prima c’erano i soldi ma non i risultati, ora tutto va per il verso giusto…
Anzi, per molti non ha rappresentato altro che il punto di partenza di una nuova rinascita. Mediante una gestione oculata ed un perfetto mix tra giovani talenti e calciatori d’esperienza, la squadra adesso guidata dal portoghese Leonardo Jardim è riuscita ad arrivare laddove non era mai riuscita a fare nelle ultime dieci stagioni, vale a dire a conquistare la partecipazione alla Champions League. Già, perché dalla finalissima persa con il Porto di Mourinho nel 2004, i monegaschi non erano più riusciti a centrare la qualificazione alla massima competizione europea per club, ritrovata soltanto al termine della scorsa stagione con il 2° posto in classifica conquistato alle spalle del PSG. Poi, la favola. Il Monaco, presentatosi ai nastri di partenza come la squadra col punteggio più basso nel ranking europeo ed aiutato anche da un girone non certo impossibile, ha vinto il Gruppo C avendo la meglio su Bayer Leverkusen, Zenit e Benfica, presentan-
dosi agli ottavi di finale come testa di serie. Stavolta, però, i sorteggi non sono stati benevoli con Berbatov e compagni, chiamati a sfidare la migliore dell’urna ‘delle seconde’, vale a dire l’Arsenal. Un inatteso 1-3 all’Emirates è valso una buona fetta di qualificazione, difesa – si fa per dire – in occasione del match di ritorno, perso in casa per 0-2. A poco sono servite le lamentele di Wenger in merito al regolamento: i goal fuori casa, per ora, valgono ancora ‘doppio’ e tanto basta al Monaco per accedere ai quarti di finale. Adesso la strada del club del Principato si incrocerà con quella della Juventus di Allegri, da molti data per favorita. E, in effetti, sembrerebbe proprio così. Attenzione però all’aspetto mentale: i bianconeri, giocando col favore del pronostico, hanno tutto da perdere, i francesi – al contrario – giocheranno senza assilli, proprio come a Londra. La Champions 2014-2015 ha fin qui sorriso ai club francesi: ben due di essi infatti, PSG e appunto Monaco, hanno conquistato l’accesso alla Final Eight. Soltanto la Liga (con 3) è più rappresentata della Ligue 1. Il Monaco, peraltro, è proprio l’ultimo club francese ad aver partecipato alla finale di Champions, persa a Gelsenkirchen contro il Porto. Anche quell’anno la squadra all’epoca guidata da Didier Deschamps colse tutti di sorpresa, eliminando prima il Real Madrid e poi il Chelsea. Le analogie tra il Monaco di allora e quello di oggi non sono molte, ma le coincidenze piacciono anche in terra transalpina e qualcuno sogna già di volare a Berlino, sede – nuovamente tedesca – che quest’anno ospiterà la finale. “Se la Juve ha Pogba, il Monaco ha Kondogbia”, è stato il ritornello che con maggior frequenza ha presenziato sul web nelle ore immediatamente successive al sorteggio. In realtà, la Juventus non avrà Pogba per via del noto problema fisico, ma ad ogni modo il vero punto di forza di questo Monaco sembra non essere Kondogbia, bensì Anthony Martial. Per molti è il nuovo Henry, paragone sicuramente azzardato, ma non certo inadeguato. Capace di ricoprire tutti i ruoli sul fronte offensivo, Martial – classe 95 - è stato l’assoluta rivelazione della squadra ed è pronto a dire la sua anche nella fase calda della stagione. Di Berbatov parleremo a parte… Poi c’è Ferreira Carrasco, invece, che è la ‘variabile pazza’,
ANCORA BERBATOV Doveva giocare a Firenze, ora sarà avversario della Juve di Allegri…
foto Imago/Image Sport
SORPRESA ASSOLUTA
Dimităr Berbatov
Pericolo numero 1 del Monaco rimane tuttavia Berbatov, vicinissimo all’Italia nell’estate del 2012 quando, conteso tra Fiorentina e Juventus, decise a sorpresa di firmare col Fulham, stufo dei dispetti vicendevoli tra i due club italiani. Adesso il bulgaro, 34 anni sulla carta d’identità, è il faro del gioco offensivo di Jardim. Sbarcato al Monaco nel gennaio del 2014 (dal Fulham, per sostituire l’infortunato Falcao), l’ex United ha convinto tutti. Nove i gol lo scorso anno, con tanto di rinnovo di un anno. Quest’anno siamo già a otto reti e l’idea è di far male alla miglior difesa europea, quella della Juve… imprevedibile. Fenomenale nell’uno contro uno, alterna numeri da fenomeno a partite anonime: perderlo di vista, però, può sempre costare caro.Nonostante non disponga certo di un reparto offensivo ‘spuntato’, il vero punto di forza del Monaco è il reparto difensivo. Tra i pali, sufficienti sono le garanzie offerte da Subasic (l’affidabile Stekelenburg ne è infatti soltanto il vice), in difesa, pur non essendo presenti degli autentici ‘Top Player’, l’esperienza di Carvalho unita alle qualità indiscusse di Fabinho e Kurzawa fa il resto. Kondogbia, Toulalan e Moutinho, infine, danno qualità ed equilibrio ad una linea mediana senza particolari punti deboli. Insomma, se nel cielo di Montecarlo non brillano più le stelle di Falcao e James Rodriguez, sul campo del Louis II le stelle non mancano di certo. Calcio 2OOO
93
PHOTOGALLERY IL TIFO RACCONTA
PHOTOGALLERY / IL TIFO RACCONTA
IL CALCIO DEI TIFOSI di Thomas SACCANI
I
ATALANTA-Udinese serie A 15.03.2015
l bello del calcio è spesso raccolto in pochi attimi. Riuscire a fotografarli è un’arte e, soprattutto, il modo migliore per raccontare ciò che accade. Nulla avrebbe senso senza la presenza del pubblico. I tifosi sono l’essenza stessa del mondo del pallone, doveroso un tributo per raccontarne la vera passione…
Borussia Dortmund-Juventus Champions League 18.03.2015
Torino-Zenit San Pietroburgo Europa League 19.03.2015
Lazio-Hellas Verona serie A 22.03.2015
Roma-FIORENTINA EUROPA LEAGUE 19.03.2015 94
Calcio 2OOO
Roma-Sampdoria serie A 16.03.2015 Calcio 2OOO
95
PHOTOGALLERY / IL TIFO RACCONTA
PHOTOGALLERY / IL TIFO RACCONTA
Sampdoria-Inter serie A 22.03.2015
Juventus-GENOA SERIE A 22.03.2015
Milan-Cagliari serie A 21.03.2015
Sampdoria-Inter serie A 22.03.2015
Lazio-Hellas Verona serie A 22.03.2015
Juventus-Genoa SERIE A 22.03.2015
96
Calcio 2OOO
Calcio 2OOO
97
scovate da CARLETT www.carlettoweb.com
CASSANO
HEGAZY
Avendo rescisso con il Parma, il campione barese si dedica ad una bella vacanza alle Maldive. Qui ritratto dalla moglie Carolina con Jack Daniel
Appena dato in prestito al Perugia, l'ex difensore della Fiorentina approfitta della pausa del campionato di serie B, per tornare a Firenze e regalarci un bellissimo scorcio dell'Arno
DE SILVESTRI Gli artefici dei due gol alla Roma nella trasferta vittoriosa della Sampdoria all'Olimpico. Il difensore romano e tifoso laziale De Silvestri e l'attaccante Muriel
I tifosi dell'Inter si aspettano tantissimo dal suo arrivo, al momento, tranne qualche piccolo lampo di classe, non si può dire che stia facendo la differenza
GERVINHO
ROBINHO
La forte ala della Roma in un bel ritratto... allupato
GUARIN Molto attivo sui social, il centrocampista colombiano dell'Inter ci regala uno scatto... elegante!
98
PODOLSKI
Calcio 2OOO
Vecchia conoscenza del calcio italiano, l'attaccante brasiliano ex Milan ci regala un'immagine inedita degli spogliatoi brasiliani
VIERI Accoppiata vincente quella formata da Vieri e Bettarini. Entrambi hanno scelto di trascorrere gran parte dell'anno a Miami... Come contraddirli...
Il DJ/Speaker di RTL 102.5 Carlo CARLETTO Nicoletti seguirà i profili Instagram e Twitter dei giocatori più importanti del pianeta Calcio e ci segnalerà le foto e i tweet più divertenti e particolari. Segnalate quelle che magari potrebbero sfuggirgli scrivendogli al suo profilo Instagram e Twitter: @carlettoweb