Calcio 2000 n.211

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Mensile | LUGLIO 2015 | N. 211 | Italia | Euro 3,90

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LE S IA TU IO EC N GG SP VE MA JUN O

Calcio 2OOO il mensile diretto da FABRIZIO PONCIROLI

Esclusiva Riccardo SAPONARA “RINATO AD EMPOLI”

Esclusiva Paolo ROSSI PABLITO, L’UOMO DEL MONDIALE

Stefano MAURI

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The UEFA and EURO 2016 words, the UEFA EURO 2016 Logo and Mascot and the UEFA EURO Trophy are protected by trademarks and/or copyright of UEFA. All rights reserved.

Speciale Stagione Juventus 2014/2015 Allegato a CALCIO2000 n. 211 Luglio 2015 - non vendibile separatamente

foto Insidefoto/Image Sport

Esclusiva Giocondo MARTORELLI “SEMPRE SUL PEZZO”

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N. 211 - LUGLIO 2015

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LE S IA TU IO EC N GG SP VE MA JU O

U

n altro anno, calcisticamente parlando, va in soffitta. Una stagione, decisaLA COLLEZIONE DI FIGURINE ammettiamolo, UFFICIALE mente emozionante. Penso al popolo bianconero. Beh, sfidoCHILE chiunque a raccontarmi che COPA AMERICA 2015 aveva previsto tutto… L’addio di Conte poteva scatenare una serie di problematiche infinita ed, invece, San Allegri ha portato tranquillità e saggezza, LA COLLEZIONE DI FIGURINE UFFICIALE mantenendo SULL’EVENTO quella fame CALCISTICO di vittorie che fa della Vecchia SignoDELL’ANNO ra il modello vincente del calcio italiano. Per onorare al meglio la sublime cavalcata bianconera, ci è sembrato opportuno reE T IE N galarvi un allegato, corposo e fotografico, che ripercorre il film CO N LI C IA E P S dell’indimenticabile stagione a tinte bianconere… Ma, Juve a parte, ci sono stati altri club che hanno portato a casa consensi e sorrisi. Penso alla Lazio. Anche in questo caso, sfido chiunque a dirmi che era tutto ampiamente preventivato. Che fosse una buona squadra lo si sapeva, che diventasse, a mio giudizio, la vera sorpresa del torneo, ecco questo era difficile da prevedeINIZIA LAaCOLLEZIONE re, anche con una sfera di cristallo… E, quindi, spazio MauVIRTUALE! ri, capitano di una Lazio, quella di Pioli, che ha dimostrato di potersi sedere al tavolo dei migliori e, soprattutto, poter dire anche la propria. Bei momenti, ma anche tragiche vicendeCon(semil codice sul retro delle figurine raddoppia il tuo pre calcisticamente parlando). A Milano, ad esempio, non sedivertimento. la passano bene, sia quelli che giacciono sulla sponda rossonera che i “cugini” dell’altra riva, quella nerazzurra. Tutto è girato per il verso storto. Per fortuna il mercato è già entrato nel vivo e, conoscendo la voglia di primeggiare di entrambi i club, almeno avremo di che parlare durante la torrida estate che ci attende. Fatemi soffermare anche sull’amato Calcio2000. Volevo ringraziare tutti voi che, nonostante l’incessante correre del progresso tecnologico, ancora credete nella nostra/vostra rivista. Certo, è da migliorare (sono il primo ad ammetterlo), si può e deve fare di più, ma, comunque, siamo ancora in corsa e questo è già un traguardo di cui andare fieri, considerato il periodo di vacche magre (a tutti i livelli). Come sapete, niente vacanze per Calcio2000. C’è da rilassarsi (ed esaltarsi) con il mercato estivo e poi si tornerà in campo, nella speranza che sia un’altra stagione da brividi. Chi ha fatto bene, vuole riconfermarsi… Chi ha fatto male, sogna il riscatto. E noi, grazie a tutti voi, saremo in prima fila a gustarci quel che accadrà…

STEFANO MAURI

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Calcio

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L'EDITORIALE di Fabrizio PONCIROLI

“Solo che poi, se ti abitui alle emozioni, le vuoi sempre, le pretendi ogni giorno…”

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sommario n.211

Anno 19 n. 7 LUGLIO 2015 issn 1126-1056

8 La bocca del leone

di Fabrizio Ponciroli

Registrazione al Tribunale di Milano n.362 del 21/06/1997 - Iscritto al Registro Operatori di Comunicazione al n. 18246

10 INTERVISTA ESCLUSIVA

STEFANO MAURI di Fabrizio Ponciroli

22 INTERVISTA ESCLUSIVA

RICCARDO SAPONARA

10

di Raffaella Bon

30 SPECIALE

SENZA AZZURRO

I DURI DEL CALCIO di Pierfrancesco Trocchi

22

Marco Conterio, Luca Bargellini, Cristina Guerri, Gaetano Mocciaro, Chiara Biondini, Simone Bernabei, Lorenzo Marucci, Pietro Lazzerini, Tommaso Maschio, Lorenzo Di Benedetto.

di Fabrizio Ponciroli

di Tommaso Maschio

50 LEGA PRO - TERAMO

di Alessandro Cosattini

52 Serie D - LUPA Castelli ROMANI

30

di Simone Toninato

54 I Re del Mercato

GIOCONDO MARTORELLI di Alessio Alaimo

64 I Giganti del Calcio

Paolo ROSSI

di Lorenzo Marucci

36

League 1977/78

TC&C S.r.l.

Statistiche

MONDIALE 1982

Redazione Calcio2000

di Simone Toninato

82 DOVE SONO FINITI?

CARLO MURARO

42

di Stefano Borgi

CAMPIONATI STRANIERI 86 SPAGNA di Paolo Bardelli 88 INGHILTERRA di Simone Toninato 90 GERMANIA di Flavio Sirna 92 FRANCIA di Renato Maisani

54

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Calcio 2OOO

Distribuzione

Mepe S.p.A. Via Ettore Bugatti, 15 20142 Milano Tel +39 0289592.1 Fax +39 0289500688

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98 SCOVATE da CARLETTO RTL IL PROSSIMO NUMERO sarà in edicola il 15 LUGLIo 2015

e-mail: media@calcio2000.it

Stampa

di Thomas Saccani

NUMERO CHIUSO IL 31 MAGGIO 2015

Contatti per la pubblicità: Tiber S.p.A. Via della Volta, 179 25124 Brescia Tel. +39 0303543439 Fax. +39 030349805

94 IL TIFO RACCONTA

Image Photo Agency (imagephotoagency.it), Federico De Luca, Agenzia Aldo Liverani, Porta/Photoviews.

Realizzazione Grafica

di Gabriele Porri

80 ACCADDE A...

Hanno collaborato

Alessio Alaimo, Alessandro Cosattini, Gabriele Porri, Antonello Schiavello, Luca Gandini, Stefano Borgi, Raffaella Bon, Paolo Bardelli, Simone Toninato, Flavio Sirna, Renato Maisani, Carletto RTL, Thomas Saccani.

Fotografie

76 Storia Champions

Diretto da

Fabrizio Ponciroli

Redazione

COPA LIBERTADORES

48 SERIE B - CITTADELLA

TC&C srl Strada Setteponti Levante 114 52028 Terranuova Bracciolini (AR) Tel +39 055 9172741 Fax +39 055 9170872 Michele Criscitiello

42 SPECIALE

EDITORE

DIRETTORE RESPONSABILE

di Luca Gandini

36 SPECIALE

Calcio2OOO

64

Calcio2000 è parte del Network


PER SCRIVERCI: media@calcio2000.it

LA BOCCA DEL LEONE di Fabrizio Ponciroli - foto Image Sport e Federico De Luca MANCINI NON È DA INTER Buongiorno Direttore, le avevo scritto mesi fa e torno a farlo adesso che l’Inter è uscita anche dall’Europa League della prossima stagione. Continuo a sentire persone che parlano bene di Mancini ma io non capisco. Con Mazzarri siamo andati in Europa League e con una rosa scarsa, questo ha avuto i giocatori che ha chiesto e non si è qualificato. Io ho paura che son tutti bravi a parole ma sono i fatti che contano e Mancini non ha fatto nulla di buono da quando è arrivato all’Inter. Anche Capello, quando è tornato al Milan, ha fatto disastri e Mancini sta facendo uguale. Lei che ne pensa Direttore? Ho ragione o no? Saluti Giancarlo, mail firmata Buongiorno Giancarlo, allora un paio di considerazioni. Vero che Mancini non ha conquistato il pass per l’Europa, ma ricordiamoci anche che ha ereditato una squadra che era stata modellata sulle idee di un altro tecnico (Mazzarri). Secondo punto: vero che gli hanno comprato un paio di giocatori che cercava ma il Mancio ha, in mente, tutta un’altra squadra… Credo che il vero

ROBERTO MANCINI

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banco di prova sarà il prossimo anno. Lì non avrà scuse: l’Inter dovrà volare e Mancini lo sa bene…

tutto per tornare a vincere. Allegri al Milan non poteva restare, non c’erano più le condizioni. A volte capita…

ALLEGRI, ERRORE DI CHI? Direttore, sono un milanista deluso. Stagione da piangere con un allenatore da piangere. Ma come si fa a difendere una società che manda via Allegri e punta su Inzaghi? Io credo che Galliani e Berlusconi non siano più quelli di una volta. Servono persone nuove e più competenti ma mi sa che andremo avanti con loro due e faremo ancora male. Chi ha mandato via Allegri ha rovinato il Milan del presente e del futuro. Direttore, si ricordi le statistiche!!! E il mio Milan. Mauro, mail firmata

COSA SERVE ALLA JUVE? Egregio Direttore Ponciroli, ogni giorno sento parlare di colpi pazzeschi per il nostro attacco (sono tifoso della Juventus). Dybala, Cavani, Falcao, Van Persie e pure Icardi. Io non so se è una buona idea cambiare una squadra che ha fatto tutto e l’ha fatto benissimo. A volte, per migliorare una squadra, la si rovina. Ad esempio, io uno come Llorente non lo manderei via. In fin dei conti il suo apporto l’ha dato quando è stato chiamato. E se prendi uno forte, magari Morata non gioca più e perde fiducia e poi se ne va. Vorrei una sua risposta. Complimenti per l’intervista a Pepe, mi è piaciuta molto. Alessio, mail firmata

Non credo che la colpa della crisi del Milan sia riconducibile solo all’allontanamento di Allegri. Ritengo che si sia concluso un ciclo, vincente e duraturo. Quando tocchi il fondo, non è semplice tornare a primeggiare. Bisogna dare fiducia al duo Berlusconi-Galliani. Se il Diavolo è diventato il club più titolato del mondo, il merito è essenzialmente loro. Il calcio è cambiato ma non è detto che bisogna per forza cambiare

MASSIMILIANO ALLEGRI

Ciao Alessio, concordo con te. Migliorare una squadra perfetta come la Juventus non è facile, anzi si rischia di andare a squilibrare un meccanismo che, a conti fatti, è risultato perfetto. Ma, tuttavia, è normale ambire sempre a migliorare la propria squadra e Marotta è un maestro in quest’ambito.

Paulo Dybala

Ti dico cosa penso. Ormai concluso l'affare Dybala (giocatore che, a mio avviso, verrà fatto crescere per poi prendere il posto di Tevez), non andrei a prendere nessun altro bomber, in particolare tra quelli citati. Terrei anche io Llorente e lascerei a Morata la possibilità di giocare ancor con più continuità (e responsabilità). Piuttosto proseguirei nella caccia a giovani di grande interesse e futuro (Sturaro si è rivelato un acquisto azzeccato). Ricordiamo che torneranno a disposizione Caceres ed Asamoah… TOP 11 DEL CAMPIONATO… Gentile Direttore, sono Mattia, gestisco un blog, e leggo sempre con grande interesse sia la sua rivista che il suo editoriale su TMW. Vorrei chiederle un favore, se può aiutarmi. Vorrei la sua Top 11, allenatore compreso, del campionato. Mi serve per una mia statistica che sto facendo. Mi renderebbe felice avere un suo parere in merito. Grazie e scusi il disturbo… Mattia, mail firmata

visto il dominio, assoluto, dei bianconeri in campionato ma provo ad essere di più ampie vedute. Vado con il 4-3-3. Perin (Genoa), in porta, difesa, un po’ forzata, con Darmian, Bonucci e Chiellini. A centrocampo mi affido a Nainggolan, Pogba, Marchisio e Candreva. In avanti Tevez, Icardi e Toni. Diciamo che ho provato ad accontentare più persone possibili… RICEVIAMO & PUBBLICHIAMO AZZURRI IN FIGURINE: VIADANA CAPITALE DELLE “FIGU” Una storia tinta d'azzurro raccontata attraverso le figurine, un mito che si tramanda di generazione in generazione: dal 23 maggio al 21 giugno Viadana è la capitale delle “figu”, grazie alla mostra Azzurri in Figurine, patrocinata dal Comune di Viadana, in collaborazione con Panini e la Galleria civica d'arte contemporanea Mu.Vi. e con il supporto dell'associazione Apeiron e di UnPOxEXPO. Quasi cinquant'anni di calcio, ma di fatto anche

di cultura, del nostro Paese: si parte dai Mondiali di Messico 1970, quelli della “partita del secolo” tra Italia e Germania, e si arriva sino al Mondiale brasiliano del 2014 in una lunga cavalcata tra volti indimenticabili di eroi e avversari, maglie azzurre e arte applicata allo sport, il tutto grazie agli album appartenenti ad uno dei più grandi esperti e collezionisti europei di figurine, Gianni Bellini, che al Mu.Vi. porterà una preziosa parte della sua immensa collezione che già ha ottenuto grande successo nelle precedenti mostre a San Felice sul Panaro nel 2010 e a Cattolica nel 2014. Oltre agli album, alcuni dei quali pezzi unici e pregiate rarità, saranno esposte anche una trentina di opere di artisti che, nel corso della loro carriera, si sono ispirati allo sport, e i disegni dedicati allo sport dei ragazzi delle società sportive di Viadana. La mostra, ad ingresso gratuito, inaugurata sabato 23 maggio alle ore 17, resterà aperta sino alle ore 19 di domenica 21 giugno.

Ci mancherebbe, eccomi qua. Allora, a voler essere preciso, bisognerebbe riportare l’undici titolare della Juventus,

MATTIA PERIN

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COPERTINA STEFANO MAURI

COPERTINA / STEFANO MAURI CAPITANO VERO Mauri è la vera bandiera della Lazio...

il TUTTOCAMPISTA

Ad inizio stagione non è mai considerato poi, invece, tutti si accorgono di Mauri…

di Fabrizio PONCIROLI foto Stefano PORTA/PHOTOVIEWS 10

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COPERTINA / STEFANO MAURI

L

o aspettiamo nella storica Antica Pizzeria da Giulio (anno di apertura, 1925). Tommaso, il gentilissimo proprietario, ci vizia con pietanze d’alto lignaggio. Poi, d’improvviso, arriva Stefano. Ha appena giocato, con la sua Lazio, a Bergamo. Non è andata benissimo (“Abbiamo giocato male…”, ci confida) ma il sorriso non l’ha perso. È stato a casa di mamma, zona Monza, normale essere su di morale. Il tempo di prepararsi e via con l’intervista… Allora Stefano, oggi calciatore ma hai cominciato con il nuoto… “Vero, i miei genitori non volevano che giocassi a calcio, così mi hanno iscritto a nuoto. Ci hanno provato ma non era proprio il mio sport. Non mi divertivo affatto, ricordo che piangevo quando dovevo andare in piscina. Così, alla fine, si sono convinti e mi hanno permesso di andare a giocare a calcio, la mia vera passione”. Immagino abbiano dovuto fare tanti sacrifici…

COPERTINA / STEFANO MAURI

“”

I miei genitori non volevano che giocassi a calcio, così mi hanno iscritto a nuoto. Ci hanno provato ma non era il mio sport

Serie B, con il Modena siamo arrivati in Serie A”. Si dice che il tuo sogno era fare l’attaccante? “No, non è vero, anzi ho cominciato come esterno sinistro quasi di difesa poi, con il passare degli anni, mi sono spostato a centrocampo e poi quasi a fare l’attaccante. Ho fatto il percorso inverso rispetto a tanti giocatori che cominciano in attacco e chiudono la carriera in difesa”.

“Esatto. I miei genitori lavoravano entrambi. Mio nonno paterno e, a volte, anche loro, hanno fatto davvero tanti sacrifici per permettermi di giocare ma ne è valsa la pena (ride ndr)”.

Parliamo di Brescia… “Tappa importante per la mia carriera. Ho avuto la fortuna di conoscere grandi giocatori, come Roby Baggio e Di Biagio. Era l’ultimo anno di Roby ed è stato fantastico giocarci insieme… Un fenomeno, nonostante tanti infortuni alle spalle, con il pallone era uno spettacolo”.

Quando hai capito che avevi le qualità per sfondare? “Forse il momento cruciale è stato quando sono passato dal Meda, che giocava in Serie C2, al Modena, in Serie B. Li ho capito che potevo farcela. Poi sono stato fortunato perché, dopo un solo anno in

Per un ragazzo giovane come te, deve essere stato esaltante trovarti di fronte Roby Baggio… “Beh sì, all’inizio un po’ di soggezione c’è stata ma poi, quando lo conosci, scopri che è una persona squisita, con cui non puoi non andare d’accordo”.

PIZZAIOLO DOC

Eccolo mentre si diletta a preparare una Pizza da Tommaso...

GRAZIE AD ADIDAS

Un bel regalo, le scarpe autografate di Stefano...

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COPERTINA / STEFANO MAURI Mi dici i tre più grandi giocatori con cui hai giocato ad oggi? “Uno Roby Baggio, poi ci metto Klose e Di Natale. Totò, quando l’ho conosciuto a Udine, non era ancora quello degli ultimi anni ma si vedeva che aveva delle doti eccezionali”. Ma come fa uno come Klose, alla sua età, ad essere ancora tanto decisivo e determinato? “Ha una voglia matta di continuare a giocare a calcio, è la sua vita. Cura ogni singolo dettaglio. Va a letto presto, mangia sano e conduce una vita impeccabile. Poi, chiaro, ha delle qualità uniche come goleador”. Non scherza neanche Felipe Anderson… “Ha dei numeri importanti, può diventare un crack, anche se, durante la partita, ha ancora delle pause ma, con il passare degli anni, crescerà sicuramente” Torniamo alla tua carriera e soffermiamoci su Udine…

COPERTINA / STEFANO MAURI

“” con Ho giocato Roby Baggio. Un fenomeno, nonostante tanti infortuni alle spalle, con il pallone era uno spettacolo “Ho un piacevole ricordo dell’Udinese. Al primo anno abbiamo conquistato la Champions League e, quindi, ho avuto la possibilità, per la prima volta nella mia carriera, di giocare nell’Europa che conta. È stata una bellissima avventura”. Poi è arrivato il momento di cambiare e siamo alla Lazio. Come è andata? “È vero, quando siamo usciti dalla Champions League, avevo capito che era giunto il momento di nuove sfide. È arrivata

la chiamata della Lazio e ho detto di sì. C’era anche il Palermo, ma ho scelto la Lazio perché mi hanno voluto a tutti i costi. Sono stato uno dei primi colpi di Lotito (ride ndr)”. Lazio in cui sei subito diventato protagonista, anche se il primo trofeo (Coppa Italia ndr) non ti ha visto in campo nella finale… “È vero, sono stato in panchina, speravo di entrare ma non è accaduto. Comunque è stata un’emozione fortissima. Ricordo che, alla vigilia, ero agitatissimo”. Vincere a Roma, poi, ha un sapore unico… “Sì, se vinci due partite, qui ti amano alla follia, se ne perdi altrettante, allora è crisi nerissima. Comunque, quando li hai dalla tua parte, ti danno una spinta incredibile. Lo si è visto quando, nelle ultime gare, sono venuti in 50.000 allo stadio, un calore pazzesco”. Come mai uno come te, alla fine, gioca sempre? ECCO IL LAVORO FINITO Stefano presenta, insieme al titolare Tommaso, la sua opera d'arte

“” A Roma è tutto speciale. Se vinci 2 partite, qui ti amano alla follia, se ne perdi altrettante, allora è crisi nerissima

SEMPRE A TESTA ALTA Comunque sia, Mauri è uno che non si abbatte mai

“Guarda, in ritiro pre campionato, leggendo i giornali, nessuno mi dà mai titolare ma, con il passare del tempo, mi ritrovo sempre a giocare con continuità. Probabilmente perché ho un senso tattico innato che può tornare utili a qualsiasi giocatore. So adattarmi a qualsiasi ruolo e modulo, una qualità che, alla fine, mi ha sempre aiutato moltissimo nella mia carriera”. Grande senso tattico, quindi futuro da allenatore? “Non so, sicuramente mi piacerebbe restare nel mondo del calcio”. Mi scegli tre gol ai quali sei più legato? “Ce ne sono tanti, per fortuna ho segnato diversi gol nella mia carriera, anche se diversi brutti, stile Inzaghi (ride ndr). Ricordo un gol contro l’Udinese al volo, poi ci sono stati i tre gol nel Derby. Forse, in assoluto, il gol, in rovesciata, contro il Napoli (Lazio-Napoli 3-1, stagione 2011/12 ndr) resta il più bello, quello che mi piace ricordare di più”. Parliamo di allenatori… A chi devi dire grazie? “Devo ringraziare De Biasi perché mi ha portato a Brescia e mi ha fatto esordire in Serie A. Con lui sono cresciuto molto. Molto preparato Spalletti ma ricordo con affetto anche Reja e, ovviamente, Pioli”. Ecco, Pioli. Te lo aspettavi così decisivo su una panchina importante come quella della Lazio? “Mi ha stupito, onestamente non me l’aspettavo così preparato, sia sull’aspetto

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COPERTINA / STEFANO MAURI VOGLIA ANCORA DI LAZIO Il suo futuro? Si sente biancoceleste al 100%

COPERTINA / STEFANO MAURI

DA MEDA A ROMA… Di Fabrizio Ponciroli

LA CARRIERA DI MAURI Stagione

Dall’Interregionale all’essere una bandiera della Lazio, la lunga corsa di Mauri… on mi piacciono le statistiche, io penso solo a giocare e a dare il mio contributo alla squadra”. Parole di Mauri ma, alla fine, i numeri hanno sempre una loro valenza. Quando segni oltre 50 gol in Serie A, significa che hai lasciato il segno. Partito dal Meda, in Interregionale, Mauri è arrivato a diventare una bandiera biancoceleste, togliendosi diverse soddisfazioni. Dopo le esperienze a Modena, Brescia e Udinese, approda alla Lazio nel gennaio del 2006 (via Modena, club proprietario del cartellino). Esordisce in Coppa Italia, contro l’Inter (1-1). Il primo gol in maglia Lazio arriva nella sfida con il Chievo (2-2 finale). In breve tempo conquista la casacca da titolare e non la molla più. Il primo trofeo (Coppa Italia) giunge al termine della stagione 2008/09. Non gioca la finalissima ma realizza comunque due gol nella competizione. Arriva anche il trionfo in Supercoppa Italiana): 2-1 all’Inter, in quel di Pechino, con tanto di assist per il 2-0. La stagione 2012/13 è esaltante. Con l’addio di Rocchi a gennaio, diventa il capitano della squadra. Vince la sua seconda Coppa Italia, in finale contro la Roma (1-0). L’anno seguente viene fermato per la questione legata al calcioscommesse ma torna, a febbraio, più carico che mai. Fa in tempo a segnare quattro gol in sole 12 gare di campionato. Sensazionale l’ultima annata, con record di reti in Serie A e una leadership totale, dentro e fuori dal campo. Da Meda a Roma, la storia di Stefano…

“N

Squadra

Campionato

Totale

Comp

Pres

Reti

Pres

Reti

1998-1999

Meda

CND

30

9

30

9

1999-2000

Meda

C2

21

1

21

1

2000-2001

Meda

C2

31

2

31

2

2001-2002

Modena

B

9

1

11

1

2002-2003

Modena

A

25

1

27

2

2003-2004

Brescia

A

30

7

31

7

2004-2005

Udinese

A

32

5

40

8

2005/gen. 2006

Udinese

A

16

0

25

1

gen.-giu. 2006

Lazio

A

15

2

17

2

2006-2007

Lazio

A

29

6

31

6

2007-2008

Lazio

A

24

3

33

3

2008-2009

Lazio

A

26

1

31

3

2009-2010

Lazio

A

35

3

44

4

2010-2011

Lazio

A

29

6

30

6

2011-2012

Lazio

A

16

4

19

5

2012-2013

Lazio

A

26

3

36

4

2013-2014

Lazio

A

12

4

12

4

2014-2015

Lazio

A

27

9

29

9

* Dati aggiornati al 12/5/2015

X15,

LA SCARPA DI STEFANO

Ideale per tutti i giocatori che vanno a caccia dell’eccellenza… el calcio di oggi, avere la giusta scarpa fa la differenza tra una buona e un’eccezionale prestazione personale. Per questo motivo, ogni campione va a caccia della scarpa perfetta per esaltare le proprie doti. Mauri, testimonial adidas, si è affidato alla nuova X15, la scarpa ideale per i giocatori che devono ragionare in fretta ma che devono anche garantire una certa imprevedibilità in attacco. Una scarpa all’avanguardia, grazie al nuovo “telaio” a più strati che avvolge il piede senza comprometterne la leggerezza. “Il mio rapporto con adidas è grandioso. So che, con loro, ho

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sempre a disposizione il meglio in fatto di scarpe e questo mi aiuta particolarmente quando devo scendere in campo”, ci racconta lo stesso centrocampista in forza alla Lazio. L’X15 ha caratteristiche uniche: la tomaia è in eXoskin, nuovo materiale morbido e leggero per il cosiddetto Non Stop Grip. Inoltre, l’aggiunta del collare techfit, offre una migliore calzata e maggiore com-

pressione alla caviglia per il supporto dinamico oltre ad un tatto comodo. Infine la conformazione dei tacchetti (diversa da ACE) garantisce un miglior cambio di direzione durante il gioco, altra “qualità” fondamentale per chi deve essere sempre al posto giusto nel momento giusto… Insomma, una scarpa decisamente di ottima fattura per chi cerca, continuamente, il top…

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COPERTINA / STEFANO MAURI

COPERTINA / STEFANO MAURI

più bello della mia carriera è quello realizzato contro il Napoli

Stefano, come sta il calcio italiano? “Sicuramente a livello di nomi, abbiamo perso tanto. Una volta i più forti erano tutti qua, ora non è così, anche se qualche giocatore di livello è tornato da noi, penso a Klose e Tevez. Sicuramente resta però un campionato molto difficile e tattico, quindi non è facile far bene qui, per nessuno. Comunque, come hanno dimostrato i nostri risultati in Europa quest’anno, direi che stiamo tornando protagonisti”.

non avere pubblico. Sembra di giocare un’amichevole. Per fortuna, all’Olimpico, ci sono sempre più di 30.000 persone, nelle ultime uscite anche 50.000…. Ecco, qualcosa dovremmo fare, non so cosa, ma qualcosa dovremmo fare per riavere gli stadi pieni come un tempo”.

Eppure gli stadi sono sempre più vuoti… “Guarda, per noi calciatori, più gente viene allo stadio e meglio è. È difficile spiegare cosa si prova a giocare in stadi semi vuoti. È come andare a teatro e

Mai pensato di andare a giocare all’estero? “Onestamente non c’è mai stata l’occasione… Personalmente mi sarebbe piaciuto provare un’esperienza all’estero, magari in Spagna o in Germania”.

(Lazio-Napoli 3-1, stagione 2011/12 ndr)

Quindi futuro in MLS? Pirlo ci sta pensando…

Originario di Monza, torna spesso al Nord...

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PENSIERI DI CALCIO

Per ora Stefano ha in mente solo il pallone...

Di Fabrizio Ponciroli

L’ex bandiera biancoceleste: “Ha saputo farsi amare a Roma che non è mai facile”

Piatto preferito, film in cui ti sarebbe piaciuto essere protagonista e vacanza ideale... "Piatto preferito sicuramente pasta alla carbonara, visto che mia mamma me la prepara fin da quando sono piccolo. Pure io me la preparo (ride ndr)… Film? Mi sarebbe piaciuto essere il protagonista di “Fuori in 60 secondi”, pellicola con Nicolas Cage. Vacanza ideale? Miami mi piace tantissimo perché si può fare di tutto lì…”.

PER LE VIE DI MILANO

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ODDO: “CAPITANO VERO”

Massimo Oddo

M

assimo Oddo conosce benissimo Stefano Mauri. I due hanno giocato, fianco a fianco, per circa un anno. Rispetto reciproco, tra due capitani veri. L’ex difensore biancoceleste ha solo parole al miele per l’attuale centrocampista della Lazio: “Credo che Stefano sia uno dei giocatori più eclettici dell’intero campionato italiano. La sua dote migliore è indubbiamente la grandissima intelligenza calcistica, dote che gli ha permesso di fare bene in questi anni e che, probabilmente, gli ha anche allungato la carriera. Ha un’incredibile capacità di mettersi sempre nel posto giusto in campo e questo è un vantaggio, sia per lui che per qualsiasi allenatore”. Oddo sa bene come sia complicato imporsi in una piazza come Roma: “Io ho un ricordo bellissimo dei miei anni alla Lazio e ho conservato un ottimo rapporto con i tifosi. Loro amano più la maglia dei giocatori, quindi non è mai facile farsi amare. Lui è lì da tanti anni e questo significa che ha fatto breccia nel popolo biancoceleste, sia fuori che dentro al campo. Non è facile ma Stefano ci è riuscito alla grande, dando sempre tutto in campo e parlando sempre in maniera corretta fuori dal campo”. Un carattere forte che gli ha consentito di essere un capitano modello: “Ha imparato bene da me… Scherzo, se la merita quella fascia. È un ruolo di grande responsabilità, io lo so bene ma credo che Stefano lo sappia e si stia comportando alla grande”. Come se non bastasse ci sono anche diversi gol: “Ecco, un altro aspetto da non sottovalutare. Torniamo a quel senso innato della posizione che, anche sotto porta, può tornare utile. Quando segni così tanto giocando non da punta, significa che hai un feeling particolare con la porta. Non può essere un caso”.

foto Image Sport

“” DIREI CHE il gol

Parliamo della tua vita privata. Da Monza a Roma, un bel salto… “All’inizio non è mai stato facile. Ero abituato a realtà molto più piccole. Sono stato a Modena, Brescia e Udine, città a misura d’uomo. A Roma tutto è ingigantito all’ennesima potenza. Sai che giochi per tantissima gente e quindi ci vuole un po’ per abituarsi, anche se l’adrenalina che respiri è fantastica”.

foto Federico De Luca

tattico che motivazionale. Sa far crescere anche benissimo i giovani e questa è una dote rara. Io lo avevo avuto, per un mese, a Modena ma è cresciuto moltissimo in questi anni. Si è messo in gioco in una piazza importante e difficile come Roma, ma è andato alla grande”.

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Mauri è apprezzato per la sua capacità di giocare ovunque

“Adesso chiamo Pirlo e vedo che mi dice… No, a parte le battute, io sono in scadenza con la Lazio e devo parlare con il presidente Lotito, ma non credo che ci saranno problemi. Comunque se dovesse arrivare una proposta interessante dall’MLS la valuterei, questo è sicuro”. Hai altri obiettivi a livello sportivo? “Guarda, io penso sempre al bene della squadra. Io so che il calcio è un gioco di squadra e come tale lo considero. Certo, ci sono degli obiettivi personali, ma pri-

ma penso sempre alla squadra”.

intriga. Non mi piace il golf…”.

Tu come vivi il Derby con la Roma? “In città non si parla d’altro, la rivalità tra romani e laziali è continua ma, alla fine, a me piace questa cosa. Poi, quando arriva il Derby, la tensione è spasmodica e lì bisogna stare calmi”.

Ora sappiamo davvero tutto del Capitano della Lazio… Il tempo di dilettarsi con la “creazione” di una pizza all’interno del ristorante e divertirsi a farsi immortalare vicino a graffiti milanesi ed ecco che è giunto il tempo dei saluti. Il Capitano se ne va, certo di aver dato il suo contributo, come sempre…

Mi dici un avversario che temi particolarmente? “Quando devi giocare contro Pirlo è sempre dura. Sai che ogni punizione a suo favore può essere un problema. Quest’anno mi ha impressionato Tevez. Ho capito il perché sia stato l’uomo in più della Juventus”. Visto che ami “Fuori in 60 secondi” sarai appassionato di macchine… “Sì, in generale sì”. Ti ricordi la tua prima macchina? “Una Fiat Punto gialla”.

Intervista di Fabrizio Ponciroli 20

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Videogame? “No, neanche da giovane ci ho mai giocato. Sono appassionato di NBA, il basket mi piace molto. Anche il tennis mi

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TM


INTERVISTA RICCARDO SAPONARA

INTERVISTA / RICCARDO SAPONARA TALENTO PURISSIMO Saponara, la risposta a chi dice che non ci sono fenomeni in Italia

IL RAGAZZO DELLE

SETTE ANIME Faccia a faccia con Saponara, uno dei giovani talenti del nostro calcio…

di Raffaella BON foto Federico DE LUCA 22

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INTERVISTA / RICCARDO SAPONARA

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hi l’ha detto che, in Italia, non ci sono giovani interessanti? Basta non fermarsi all’apparenza e scavare fino in fondo… Pensate a Saponara, oggetto misterioso in maglia Milan (non per colpe sue) e, successivamente, nuovamente uomo cardine del favoloso Empoli griffato Sarri. Lo abbiamo intervistato, certi di trovare un ragazzo che ama le sfide, anche quelle impossibili… Riccardo, iniziamo dalla tua esperienza, agrodolce, con la casacca del Milan… “È stata un’esperienza che mi ha formato come calciatore, nonostante non sia andata come speravo. Resta il fatto che, grazie questa avventura con la casacca del Diavolo, sono cresciuto tanto. Il Milan mi ha lasciato tanto. La possibilità di confrontarmi con grandi campioni è stata fondamentale per me. Un bagaglio di emozioni che mi porterò dietro per i

INTERVISTA / RICCARDO SAPONARA

“” Rapporto con Inzaghi è sempre stato buono, ha sempre avuto parole importanti per me, di assoluta stima

possa riscattare dopo questa annata non fortunata”. A Milano, comunque, hai avuto la possibilità di respirare l’aria, decisamente unica, del Derby… “Sicuramente si tratta di una partita completamente diversa da tutte le altre, soprattutto se sei un milanista come me. È una partita che mi ha lasciato sensazioni ed emozioni indimenticabili. Una serata davvero pazzesca ed incredibile che porterò sempre con me, nel mio cuore”.

GRAZIE MILLE SARRI Il tecnico dell'Empoli sta facendo un lavoro straordinario...

prossimi anni”. Parliamo anche del tuo rapporto con Inzaghi… “È sempre stato buono, ha sempre avuto parole importanti per me, di assoluta stima. Purtroppo le cose non sono andate per il verso giusto a livello di squadra, quindi non c’è mai stata la possibilità di darmi spazio in maniera importante. Onestamente non gli rimprovero niente e non ho nessun senso di rivalsa nei suoi confronti. Anzi, spero vivamente che si

E poi hai visto Kakà… In tanti dicono che ci assomigli… “Kakà è, senza ombra di dubbio, il giocatore del Milan che mi ha impressionato maggiormente nella mia avventura in rossonero”. Come mai, a tuo giudizio, in Italia è così difficile imporsi per un giovane azzurro? “Forse è più difficile per le grandi squadre, dove c’è una concorrenza e delle

TORNATO A CASA All'Empoli ha ricominciato a correre e segnare...

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INTERVISTA / RICCARDO SAPONARA TANTI SOGNI

Per ora l'Empoli ma, in futuro, la voglia di un grande club

INTERVISTA / RICCARDO SAPONARA

GRAZIE ATZORI

MILAN, ALTI E BASSI

In rossonero poche partite ma tanta esperienza

Di Raffaella Bon

Ravenna 2008, Saponara viene inserito in Prima squadra da un allenatore di grandi vedutE arri l’ha plasmato ma Atzori, per così dire, l’ha scoperto. Anno 2008, Saponara indossa la casacca del Ravenna. Ha 16 anni, tanti sogni e voglia di mettersi in luce. Il Ravenna è allenato da Atzori che, dando credito al suo istinto, decide di inserirlo in Prima squadra, nonostante sia giovanissimo e senza esperienza a certi livelli. Una stagione d’oro per il giovane Saponara che colleziona sette presenze totali, tra cui una, in Coppa Italia, contro il Genoa. L’attuale centrocampista dell’Empoli ha parole al miele per il suo ex mister: “Ricordo che mi portò in Prima squadra a Ravenna, nonostante all’epoca fossi giovanissimo”. Atzori ha un bel ricordo del giovane Saponara: “L’ho lanciato nel calcio che conta quando aveva solo 16 anni. Ricordo ancora la telefonata di Vitale, direttore sportivo dell’Empoli, in cui mi chiedeva informazioni su questa giovane promessa. Parlavamo di un investimento importante per un ragazzino, circa 800.000 euro per la metà del cartellino. Gli ho sempre detto che stava prendendo un assegno circolare tra le mani e così è stato – continua Atzori - Posso anche aggiungere che, grazie alla sua esperienza all’Empoli, è esploso, sia dal punto di vista fisico che tattico. Ha trovato delle persone eccezionali che sono state molto brave a farlo crescere nel giusto modo”.

UNA CARRIERA DI FRETTA Di Thomas Saccani

Subito protagonista nel calcio che conta, grazie ad un talento precoce...

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uando, sin da giovanissimo, ti dicono che assomigli a Kakà, non è facile mantenere i piedi ben saldi per terra. Dopo aver mosso i primi passi, rispettivamente, con Sammartinese e Sporting Forlì, grazie ad Atzori, si confronta con il calcio che conta a Ravenna. Sette presenze nella stagione 2008/09 e poi ecco la chiamata dell’Empoli. Debutta, in cadetteria, contro l’Atalanta. Nel suo primo anno in Serie B, colleziona 17 presenze ma nessun gol. Per quella bisogna aspettare l’anno seguente: 26 settembre 2011, contro la Reggina. La stagione 2012/13 è quella della consacrazione: 40 presenze con i toscani, con ben 13 gol all’attivo. Arriva la chiamata del Milan che, durante la finestra di mercato di gennaio (stagione 2012/13) si è già assicurata la metà del suo cartellino, per circa quattro milioni di euro. Sceglie la casacca numero 8 e debutta, con il Diavolo, contro il Parma, in campionato. Il 22 dicembre ha il privilegio di giocare il Derby contro l’Inter, probabilmente il ricordo 26

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foto Image Sport

S

più luccicante del suo anno e mezzo a Milano (in totale otto presenze e nessun gol). Al Milan non trova lo spazio che vorrebbe e, quindi, nel gennaio del 2015, fa ritorno all’Empoli (formula del prestito con diritto di riscatto). È la svolta. È subito decisivo, arrivando a segnare sette reti in campionato (la sua prima, in assoluto, nella massima serie, contro l’Udinese). Solo Maccarone ha fatto meglio (10) ma non il doppio delle partite giocate… Parallelamente è una colonna dell’Under 21 dove è impiegato regolarmente dal 2011 al 2013 (22 presenze totali, con tre reti). Tutto questo a soli 23 anni…

LA CARRIERA DI SAPONARA Stagione

Squadra

Serie

Pres.

Gol

Pres. Tot

Reti Tot.

2008-2009

Ravenna

1D

3

0

7

0

2010-2011

Empoli

B

17

0

17

0

2011-2012

Empoli

B

30+2

1+0

34

1

2012-2013

Empoli

B

36+4

11+2

40

13

2013-2014

Milan

A

7

0

7

0

2014-gen. 2015

Milan

A

1

0

1

0

gen.-giu. 2015

Empoli

A

16

7

17

7

* Dati aggiornati al 17/5/2015

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INTERVISTA / RICCARDO SAPONARA

NON CI SI FERMA PIU' Dopo un grande anno, c'è la voglia di fare ancora meglio...

aspettative importanti. I top team hanno pressioni quotidiani altissime e, talvolta, preferiscono affidarsi a giocatori di maggior esperienza, che sappiano gestire certi momenti. Comunque, ultimamente, mi sembra che ci sia più spazio, nel nostro calcio, per i giovani. Credo che sia una notizia positiva che aiuterà sicuramente il calcio italiano a tornare ai livelli di un tempo”. All’Empoli, invece, tutto fila sempre liscio. Cosa rappresenta per te questa piazza? “Fondamentalmente sono cresciuto all’Empoli. Grazie a questa squadra, sono diventato un uomo e sono cresciuto a livello calcistico. Ho avuto l’opportunità di giocare prima in Serie B e poi in Serie A. Non posso dimenticare che, pagando cifre importanti per una società come quella toscana, mi ha rivoluto dopo

Intervista di Raffaella Bon 28

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“”

Personalmente mi intrigano soprattutto il calcio spagnolo e quello inglese ma ora penso All’Italia un anno e mezzo non fantastico per me, dandomi nuovamente la fiducia necessaria per tornare a giocare come so”. Quale è stato l’allenatore che ti ha dato di più durante la tua carriera? “Sicuramente Sarri…”. Pregi e difetti del tecnico Sarri? “Di pregi ne ha davvero tanti. Parliamo di una persona splendida con cui è bello confrontarsi, su ogni argomento. Difetti? Forse è un po’ troppo maniacale in tutto quello che fa ma forse non è un difetto (Ride ndr)”. Spostiamoci sul ragazzo Riccardo… Cibo preferito, film e luogo ideale dove andare in vacanza… “Per il cibo vado sul sicuro: pasta e sushi.

Per quanto riguarda il mio film preferito, ho un debole per Sette Amine di Will Smith. Luogo ideale dove andare in vacanza? Fammi pensare… Direi Parigi”. Parigi? Quindi pensi ad un’esperienza all’estero, magari in Francia? “Personalmente mi intrigano soprattutto il calcio spagnolo e quello inglese ma, al momento, non sento nessuna vocazione che mi possa spingere e trasferirmi in un campionato all’estero. Prima penso a fare bene in Italia”. Ultima domanda: tra 10 anni sarai contento se… “Se mi sarò affermato in un grande club…”. Ed ecco qua il giovane ambizioso che, nonostante la prima volta non sia andata per il verso giusto, è pronto a riprovarci. Sicuramente, in questo mercato, sarà uno dei giocatori più ambiti. In tanti hanno già bussato alla porta dell’Empoli, per capire come avere questo centrocampista che abbina qualità e quantità, con anche una vena realizzativa niente male. Testa sulle spalle e voglia di sacrificarsi, Saponara continua il suo percorso di crescita, imparando da ogni esperienza, sicuro che, prima o poi, tutto torna utile…


SPECIALE SENZA AZZURRO

di Luca GANDINI

SPECIALE / SENZA AZZURRO

MIRAGGIO AZZURRO

foto Agenzia Liverani

foto Agenzia Liverani

Il calcio italiano e i suoi mille paradossi. Storia di 11 campioni che non hanno mai avuto l'onore di indossare la maglia della Nazionale

SEBASTIANO ROSSI RECORD SENZA AZZURRO: Rossi è ancora il titolare del record di imbattibilità in A, eppure...

NEREO ROCCO e GIOVANNI TRAPATTONI MANCA IL PARON: Sarebbe stato bello vedere Rocco alla guida della Nazionale

M

eglio Dino Zoff o Gigi Buffon? Chi fu più grande tra Giacinto Facchetti e Antonio Cabrini? E poi ancora: Gaetano Scirea o Franco Baresi? Giuseppe Meazza o Gianni Rivera? Gigi Riva o Pablito Rossi? Proprio vero: schierare la migliore formazione italiana di tutti i tempi è da sempre compito arduo, grazie alla grande quantità di campioni espressa dalla nostra scuola calcistica in oltre un secolo di storia. Altrettanto difficile è ipotizzare una “Nazionale” ideale composta da quei grandi giocatori che, per una ragione o per l'altra, la maglia azzurra non l'hanno in realtà mai indossata. Chi perché inviso al commissario tecnico di turno, chi perché chiuso da campioni che hanno fatto epoca, chi ancora perché strappato alla vita troppo presto. Noi ci abbiamo pro30

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vato. Ci sono capitani silenziosi, operai specializzati del pallone, recordman bizzosi e marcatori da cui è meglio stare alla larga. E dalla panchina, già si odono le direttive in dialetto triestino del c.t.... I MINISTRI DELLA DIFESA E allora partiamo. Come portiere, spazio a SEBASTIANO ROSSI (Cesena, 1964), il gigantesco estremo difensore del Milan degli Invincibili. Formidabile nelle uscite alte grazie al metro e 97 di altezza, ma abile anche tra i pali per via dello spiccato senso del piazzamento, detiene tuttora il record di imbattibilità nel nostro campionato (929 minuti consecutivi senza subire gol). Romagnolo focoso, spesso al centro di clamorose polemiche, fu, nonostante tutto, uno dei migliori portieri degli anni '90, epoca in cui vinse 5

Scudetti e una Champions League. Durante la gestione Sacchi, venne convocato due volte in Nazionale, ma non ebbe mai modo di esordire perché chiuso dai vari Gianluca Pagliuca, Angelo Peruzzi e Luca Marchegiani. Maglia da terzino destro a GIUSEPPE BRUSCOLOTTI (Sassano, 1951). Storica bandiera del Napoli e detentore del record di presenze in Serie A con il club partenopeo (387, distribuite in 16 stagioni), vinse il primo Scudetto al fianco di Maradona, oltre a 2 edizioni della Coppa Italia. Uomo-spogliatoio, era il classico marcatore senza macchia e senza paura che s'incollava ai garretti dell'ala sinistra avversaria per tutti i 90 minuti. Soprannominato “palo 'e fierro” per via del fisico possente, deciso negli interventi ma mai sleale, non rientrò mai nelle gerarchie di Enzo Bearzot, che gli preferì prima Claudio Gentile e poi Beppe Bergomi. Come primo difensore centrale, chi meglio di FILIPPO GALLI (Monza, 1963)? Abile sia nella marcatura a uomo che in quella a zona, fece parte, con Mauro Tassotti, Franco Baresi, Billy Costacurta

e Paolo Maldini, della difesa più forte della storia del Milan. Nonostante una carriera funestata dagli infortuni, riuscì a conquistare 3 Coppe dei Campioni. Memorabile, in particolare, il successo sul Barcellona del 1994, quando, ormai veterano, mise la museruola al temibilissimo Romário. Non giocò mai in Nazionale maggiore, ma con l'Olimpica partecipò ai Giochi di Los Angeles '84, finendo quarto. Come secondo difensore centrale, un autentico asso: SERGIO BRIO (Lecce, 1956). Formidabile marcatore dalla stazza imponente, veloce ed imbattibile nel gioco aereo, vinse tutte le competizioni possibili con la maglia della Juventus. Applicazione negli allenamenti, studio dell'avversario e grande umiltà: ecco le armi segrete di un giocatore che avrebbe sicuramente meritato una chance in Nazionale. La contemporanea presenza di tanti bravi stopper, da Fulvio Collovati a Riccardo Ferri, senza dimenticare Pietro Vierchowod, gli chiuse però ogni porta. Uno tra i difensori più temuti nella storia del calcio italiano: provocatore, rissoso, ma Calcio 2OOO

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SPECIALE / SENZA AZZURRO

SPECIALE / SENZA AZZURRO

IL PUPILLO DI HERRERA

IL DURO DEL NAPOLI: Nella lista dei non azzurri anche Bruscolotti

COLPA DEGLI ALTRI: Galli ha pagato i tanti campioni al fianco al Milan

anche irriducibile marcatore. Non passava di certo inosservato PASQUALE BRUNO (San Donato di Lecce, 1962). Ricoprì tutti i ruoli difensivi, ma fu come terzino sinistro che contribuì a fare del Como, nel 1986/87, la seconda miglior difesa del campionato. Con la Juventus vinse poi una Coppa Italia e una Coppa UEFA, ma il meglio della carriera lo visse al Torino, dove divenne l'idolo della Curva Maratona. Persona gradevole fuori dal campo, nel rettangolo verde era un autentico mastino. Memorabili alcuni duelli al calor bianco con Marco van Basten, Roberto Baggio e Gianluca Vialli. A testimoniare la sua caparbietà, anche una positiva militanza in Scozia, terra di Highlanders per eccellenza...

to campioni del mondo del calibro di Pietro Rava, Giovanni Ferrari ed Eraldo Monzeglio, oltre al sommo Gianni Rivera, Tagnin era un implacabile mediano marcatore che compensava le lacune a livello tecnico con corsa e spirito di sacrificio. Esordì in Serie A con il Torino, la squadra per cui tifava da bambino, ma visse gli anni d'oro nella Grande Inter. Pupillo di Helenio Herrera, annullò il celebre Alfredo Di Stéfano nella finale di Coppa dei Campioni del 1964, primo trionfo internazionale per i nerazzurri. In posizione centrale, a dettare i tempi della manovra, trova spazio AGOSTINO DI BARTOLOMEI (Roma, 1955 – Castellabate, 1994), grande leader della Roma scudettata nel 1983. Capitano di poche parole ma dalla personalità svettante, non velocissimo ma in possesso di un tiro potente e preciso, era il centrocampista in grado di dare equilibrio alla squadra e di farla ripartire con la sapiente visione di gioco. Non furono sufficienti le 350 presenze e i 63 gol in Serie A con Roma, Milan e Cesena. La maglia azzurra, per lui, restò inspiegabilmente una

CUORE, CERVELLO E POLMONI E passiamo ora al centrocampo, dove una maglia da titolare va sicuramente a CARLO TAGNIN (Alessandria, 1932 – Alessandria, 2000). Ennesimo prodotto del fertile vivaio alessandrino, una terra che ha sforna32

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FILIPPO GALLI

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GIUSEppe bruscolotti

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Tagnin ha vinto tutto con l'Inter ma non è bastato...

CARLO TAGNIN Calcio 2OOO

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AGOSTINO DI BARTOLOMEI

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SERGIO BRIO

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PASQUALE BRUNO

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PAOLO DI CANIO

FORSE TROPPO CATTIVO: Ci è andato vicino ma non l'ha mai presa per davvero

L'AVREBBE MERITATA: Brio, fondamentale per la Juve non per la Nazionale

IL LEADER DELLA ROMA: Fantastico in giallorosso, eppure mai alfiere italiano

TUTTI I COLORI, NON L'AZZURRO: Di Canio ha giocato in mille club ma non in Nazionale

chimera. Come terzo centrocampista, ecco ANGELO COLOMBO (Mezzago, 1961), “la littorina della Brianza”, il biondo e infaticabile mediano del Milan di Arrigo Sacchi. Famosa la frase del tecnico di Fusignano, che una volta lo definì “prezioso come Maradona”. Ammettiamo pure un pizzico di esagerazione, ma resta il fatto che Colombo fu un perno indispensabile nell'economia del gioco di quella squadra. Pur non essendo un goleador, segnò una rete pesantissima al Napoli nella 13ª di andata del campionato 1987/88, dando il via alla clamorosa rimonta poi culminata nello Scudetto. Nelle due Coppe dei Campioni consecutive vinte dai rossoneri non saltò mai una partita. Per lui anche l'esperienza con l'Olimpica ai Giochi di Seoul '88, chiusi al quarto posto.

fantasia quasi sudamericana. Romano del Quarticciolo e tifoso della Lazio, è tuttora un simbolo dell'orgoglio biancoceleste. Fantasista dai raffinati mezzi tecnici, anche se discontinuo, si rivelò proprio con la maglia della sua squadra del cuore, da cui però fu ceduto ancora giovanissimo. Non convinse appieno alla Juventus e al Milan, dopodiché visse una lunga e a tratti esaltante avventura in Premier League. Tornò alla Lazio a 36 anni, giusto per segnare alla Roma in un incandescente derby capitolino. Per lui 9 presenze con l'Under-21, ma nessun gettone con la Nazionale maggiore. Il carattere spigoloso e l'indole ribelle non furono evidentemente fattori estranei alle mancate convocazioni... Nel ruolo di centravanti, applausi per PIETRO PAOLO VIRDIS (Sassari, 1957). Attaccante altruista, scaltro, abile di testa e in possesso di fondamentali tecnici di prim'ordine. Nonostante i 2 Scudetti, non brillò nel suo periodo juventino, ma esplose definitivamente con il Milan. Capocannoniere del campionato nel 1986/87, realizzò la celebre dop-

pietta al San Paolo di Napoli la stagione successiva, decidendo in pratica il discorso Scudetto. Galantuomo e professionista esemplare, contribuì al successo nella Coppa dei Campioni 1988/89 con 3 reti, di cui una pesantissima nel pareggio casalingo contro la Stella Rossa. 101 gol in totale per lui in Serie A, ma mai nessuna presenza in Nazionale. Si accontentò dell'avventura olimpica a Seoul '88. Altro campione fu FRANCO OSSOLA (Varese, 1921 – Superga, 1921), jolly d'attacco del Grande Torino, con cui vinse tutti e 5 gli Scudetti. Partì come centravanti, ma nel corso della carriera si spostò prima sulla fascia destra e infine su quella sinistra. Micidiale goleador, nella stagione 1947/48 andò in rete in 8 giornate consecutive (dalla 25ª alla 32ª). Segnò pure una doppietta nella vittoriosa finale di Coppa Italia 1942/43 contro il Venezia. La Seconda Guerra Mondiale e la limitata attività internazionale di quel periodo gli impedirono di vestire la maglia dell'Italia. Morì a 28 anni non ancora compiuti nel tragico schianto di Superga.

A LEZIONE DAL PARÒN E come c.t.? Lunga ed importante è la lista dei maghi della panchina italiani che non hanno avuto la chance di rappresentare la Nazionale. Noi scegliamo un nome che metterà d'accordo tutti: NEREO ROCCO (Trieste, 1912, Trieste, 1979). Spesso ritenuto, a torto, portabandiera di un calcio ostruzionistico e catenacciaro, fu tecnico abile ad adattarsi a qualsiasi situazione di gioco. Impareggiabile nel creare uno spirito di gruppo, lanciando giovani talenti e rigenerando vecchi campioni ritenuti erroneamente al capolinea, fu consegnato alla storia dai tanti successi sulla panchina del Milan: una Coppa Intercontinentale, 2 Coppe Campioni, 2 Coppe delle Coppe, 2 Scudetti e 3 Coppe Italia. “Il paròn” vantò anche un'esperienza alla guida della rappresentativa olimpica, al fianco di Gipo Viani, ai Giochi di Roma '60, dove assaporò per la prima volta la classe squisita di un diciassettenne alessandrino destinato a divenire il suo più illustre discepolo: Gianni Rivera.

ABILI E MAI ARRUOLATI Abili, anzi abilissimi, ma mai arruolati, i tre attaccanti della nostra Top-11. A destra PAOLO DI CANIO (Roma, 1968), a inventare giocate di qualità dall'alto di una 34

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SPECIALE

di Pierfrancesco TROCCHI

SPECIALE/ i DURI del calcio

I DURI DEL CALCIO

LA FORZA DI BENETTI Leadership e determinazione, le sue doti migliori

“YO SOY UN DURO, NO UN MALO” Essere un duro, a volte, paga… RACCONTO di giocatori che sono passati alla storia per essere dei guerrieri… L'ANIMALE BRUNO

C’

è una percentuale di tifosi che ogni giorno accende la televisione per godersi le ultime delizie dei goleador, le geometrie più raffinate, le azioni impeccabili dei Palloni d’Oro. Poi c’è un’altra percentuale, meno ampia, ma più arcigna, degli instancabili romantici; di quelli che vivono una nostalgia incontrollata per “90° minuto” e le marcature a uomo dove persino l’aria rischiava di dover affrontare accertamenti medici a fine partita. Il codice d’onore prima di tutto, al di là di perbenismi e interviste compiacenti a fine partita, applicato in singolar tenzoni di medievale memoria. Se pensate che i veri “cattivi” siano il portoghese Pepe, l’affamato Suarez o lo schietto Chiellini, forse vi siete persi qualcosa. Iniziamo ora una sorta di Decameron, che, però, non ha la 36

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sua ambientazione sulle tranquille colline fiorentine, bensì proprio nel ventre della peste. Sconsigliamo la passeggiata ai deboli di cuore e, per i più arditi, raccomandiamo l’utilizzo di parastinchi. Possiamo trovare il capostipite, il gran Khan dei cacciatori di taglie? Eccome. Siamo nel ’66, precisamente nel contesto della semifinale mondiale tra il Portogallo e i padroni di casa inglesi. Per i lusitani gioca un certo Eusebio, pronto a disegnare calcio con la più delicata grammatica. A marcarlo c’è un piccolo satanasso, un incendio perenne negli occhi e un’arcata dentale mancante, che odia i professori. Risponde al nome di Norbert Stiles, ma si volta comunque se lo chiamate “Il boia sdentato”. Cresciuto nella non esattamente serena periferia di Manchester, il buon Nobby è un mediano dal tackle puntuale e, quando serve, parecchio sgraziato.

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Il difensore ha sempre ruggito, in campo e fuori

ROMEO BENETTI Calcio 2OOO

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SPECIALE/ i DURI del calcio

SPECIALE/ i DURI del calcio

QUEI BRAVI RAGAZZI

IL BOIA SDENTATO Stiles, mediano dal tackle puntuale e deciso

Di Pierfrancesco Trocchi Storia di una squadra che ha lasciato il segno, storia del Wimbledon di Vinnie Jones…

foto Agenzia Liverani

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imbledon non è soltanto campi da tennis e aplomb britannico. Wimbledon per noi è soprattutto la Crazy Gang, quel manipolo di folli che, nella stagione 1987/88, festeggiò la F.A. Cup al suono del tonfo di una delle regine del cosiddetto Culture Club, il Liverpool. Scordatevi le verticalizzazioni e il tiki taka, perché quella squadra era composta da mestieranti assetati, veri e propri galeotti mancati. Per darvi un’idea, Gary Lineker sentenziò così riguardo le prestazioni della gang: “Il modo migliore per guardare il Wimbledon è sul televideo”. C’erano giocatori di scarsa misericordia, tra cui l’attaccante John Fashanu, Dennis Wise (“Sarebbe in grado di scatenare una rissa in una stanza vuota”, ebbe a dire di lui Ferguson) e, soprattutto, quel Vinnie Jones capace di accaparrarsi l’espulsione più veloce della storia: 3 secondi netti. Ribattezzato simpaticamente Psycho, Jones guida i compagni a traguardi impensabili per una “provinciale”, il tutto a colpi

Vinnie Jones oggi

di gomito, baruffe ed entrate da reclusione immediata. Il pezzo forte del Wimbledon FC è covare e fomentare l’odio negli avversari, soprattutto quando sono potenti e blasonati. Come quando il caro Vinnie, prima di una partita contro il Liverpool – ce l’aveva con loro, pare chiaro – appese un biglietto sopra al cartello “This is Anfield” con su scritto “Bothered”, la cui traduzione italiana più nobile è “Che p***e!”. Iconoclasti di mestiere, quei goodfellas hanno il merito di aver portato la classe operaia al Settimo Cielo.

Sta facendo la fortuna del Manchester United, con il 4 sulle spalle ed una capacità d’interdizione inusuale. Nonostante giochi con le lenti a contatto a causa di una vista a dir poco compromessa, individua benissimo le tibie degli avversari. Anche quelle di Eusebio: la Pantera Negra tocca il pallone giusto per il calcio d’inizio, quel giorno. Inutile ricordare come l’Inghilterra vinca poi il Mondiale, l’unico transitato per la terra d’Albione fino ad ora. Grazie, anche, ad un mediano dalle ginocchia storte, ma solidissime come Stiles. Rimaniamo oltremanica, grembo di grandi soddisfazioni per la forza “nera” del calcio. Oltre a Vinnie Jones e alla sua “Crazy gang” (che meritano un’attenzione più marcata, vedi box), c’è un ragazzo di Cork, sangue irlandese, che spesso e volentieri gli sale alla testa. Si tratta di Roy Keane, di cui Sir Alex Ferguson, suo mentore in quel dell’Old Trafford, riassume i tratti in maniera concisa: “Aveva un atteggiamento intimidatorio da individuo feroce”. Basta? Sì, sarebbe sufficiente, ma noi vogliamo raccontarvi un episodio altrettanto indicativo. Il norvegese Alf Inge Haaland è un difensore del Leeds quando, nella stagione 1997/1998, interviene su Roy e gli fa saltare i legamenti – anche lui non ha di certo un posto prenotato in paradiso. Si potrebbe ridurre la questione ad una sfortunata coincidenza, se Haaland non urlasse in faccia a Keane, a terra dolorante, di smettere di simulare. 38

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L’irlandese ha un ginocchio in frantumi, ma le orecchie funzionano benissimo. Troppo. Quattro anni più tardi, in un contesto eufemisticamente caldo come il derby di Manchester, Keane prende il karma per i capelli e restituisce l’affronto. Lo scandinavo ha appena il tempo per passare il pallone, prima di ricevere sulla gamba una tacchettata che riecheggia fino in Francia. Scontato quanto il cartellino rosso, arriva puntuale lo sfogo verbale sul corpo inerte di Haaland: “Beccati questo, s*****o”. “Avevo aspettato abbastanza”, dirà serafico Roy. Doveste andare in Irlanda, fate attenzione a parlare. Manchester, sponda Devils, oltre ad essere regno di trofei, si dimostra essere terreno fertile per gli animi inquieti. Una ventina d’anni vi giocava un ragazzo dall’accento transalpino che avrebbe fatto a pugni pure con lo specchio. Era riconoscibile al primo sguardo per l’arroganza del colletto tenuto verticalmente e un talento straordinario, divino. Eric Cantona era un calciatore atipico, tremendamente intelligente fuori e dentro il campo, cui, però, era stato sempre insegnato a colpire per primo. Da Montpellier l’avevano cacciato per un calcio volante sul viso del malcapitato JeanClaude Lemoult, suo compagno di squadra, reo di avergli rivolto parole poco accondiscendenti. Poi da Marsiglia al Nimes, esperienza durante la quale getta con forza il pallone contro l’arbitro in un incontro di Ligue 1 del 1991. Decide o,

Di Pierfrancesco Trocchi Forza, coraggio e quella durezza che ti rende un guerriero. In una parola: Romeo Benetti…

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i parlava prima di Romeo Benetti. Come non citarlo? Sampdoria, Milan, Juventus tra tutte, tra gli anni ’60 e ’80 ognuna delle sue squadre ha goduto di una determinazione e di un impeto che, senza di lui, non avrebbero posseduto. Un mediano vincente, tanto vigoroso sul campo quanto impeccabile fuori, Benetti all’anagrafe non evoca per nulla terrore e falli… Lei si chiama Romeo, un nome di certo non adatto a un “cattivo”. “Io sono gemello di una femmina, siamo nati a Verona. Non ebbero molta fantasia i miei genitori a chiamarci Giulietta e Romeo! Era un obbligo, direi (ride, ndr)”. Lei ha dichiarato: “Grazie alla fama da cattivo, sono diventato più bravo di quello che ero”. “È la verità, gli avversari mi lasciavano spesso la palla per questo motivo”. Questa reputazione è meritata? “Fui battezzato così dalla stampa, quindi ero cattivo per tutti. Il mio successo principale fu questo: un giorno, in un luogo pubblico, una madre stava parlando con il proprio figlio che piangeva. Ad un certo punto disse: “Se non stai zitto, chiamo Benetti”. Lì mi accorsi di essere famoso (ride, ndr)”. Rocco si innamorò di lei dopo un Sampdoria-Milan in cui

foto Image Sport

Norbert Stiles

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NOMEN (NON) OMEN

ROMEO BENETTI oggi

aveva atterrato Trapattoni, Schnellinger e Cudicini in un solo colpo. La volle subito al Milan. “È vero, Rocco ci vide lungo. Gli serviva forza d’urto e io potevo dargliela. Furono sei anni meravigliosi con lui”. Se giocasse adesso, quale giocatore marcherebbe volentieri per insegnargli come “si sta in campo”? “L’ideale sarebbe contro Messi, anche se la vedo un po’ difficile (ride, ndr). È un giocatore un po’ scorbutico, nel senso che con la sua tecnica ti verrebbe voglia di sparargli, naturalmente in senso buono (ride, ndr)”. Secondo Lei chi è stato il giocatore più feroce della storia? “Io sono stato eletto come il terzo giocatore più cattivo al mondo, glielo ricordo!” E quale è la sua classifica definitiva? “Vengo io, poi tutti in coda, chi siano non lo so (ride, ndr)”. Abbiamo passato in rassegna diversi “cattivi”, ma, se lo dice lui, meglio fidarsi sulla parola! Altrimenti ci arrabbiamo! Calcio 2OOO

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SPECIALE/ i DURI del calcio

SPECIALE/ i DURI del calcio

IL PAZZO ERIC

Cantona, tanto talento ma anche "uscite" particolari

KEANE, IL FEROCE

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In pochi sono stati aggressivi come l'ex United...

ROY KEANE vs JAAP STAM

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meglio, gli fanno decidere che con il calcio francese non è più cosa e viene spedito in Inghilterra. Inizia al Leeds, poi la grande occasione, il Manchester United. Qui 64 goal in 143 partite in maglia rossa e l’alloro di calciatore del secolo per la tifoseria Red Devils non bastano a far dimenticare un fatto al limite della cinematografia. In casa del Crystal Palace, nel 1995, Cantona viene espulso – e questo non ci sorprende. Mentre si allontana dal campo, i tifosi avversari insinuano a più riprese una presunta dubbia moralità delle madri dei francesi. Come reagirà il nostro Eric? Si avvicina ad uno di loro e ripete l’acrobazia che già Lemoult aveva potuto ammirare da vicino. 120 giorni di servizi sociali, 80 giorni di squalifica. Serviva dirlo? Simply Cantona. Avviciniamoci alle nostre latitudini. Se leggiamo Maradona vengono in mente due cose: miglior giocatore di sempre ed Andoni Goikoetxea. Andoni nel 1983 è un ragazzone basco, difensore dell’Atletic Bilbao, che il 24 settembre si trova di fronte il Barcellona del Pibe de Oro al Camp Nou. C’è da aggiungere un dettaglio: Goikoetxea un paio d’anni prima aveva spezzato un ginocchio al malcapitato Schuster, centrocampista blaugrana. Ergo, non è che dagli spalti quel giorno gli regalassero caramelle. Quel giorno decide di fare

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di peggio, perché ad un certo punto arriva in ritardo su Maradona e non tira indietro il piede. El Pibe si accascia al suolo con una caviglia in cocci. Diego si riprenderà nel giro di pochi mesi e diventerà quello che conosciamo tutti, fortunatamente. Goikoetxea, autore del fallo più odiato della storia del calcio, si prenderà 18 giornate di squalifica e il risentimento di mezzo mondo. Ah, l’orgoglio basco! Infine, rientriamo nei confini nazionali. Al di là di Romeo Benetti (vedi box), la carta d’identità del vero Terminator del pallone nostrano recita Pasquale Bruno. Recordman in Italia per quanto riguarda le giornate di squalifica – una cinquantina – è sufficiente un aneddoto per tutti. Torino-Brescia, è il 1993 e Bruno veste granata. Nel tunnel, incontra l’attaccante delle Rondinelle Raducioiu: “Guarda che oggi non ho voglia di correre”. Il rumeno, evidentemente, non lo sente, perché ritorna a casa con 9 punti di sutura tra tallone e polpaccio. Avreste il coraggio di non ascoltarlo, voi? Tutti questi giocatori – e quanti altri ne dimentichiamo! – hanno messo in ogni minuto sul campo ogni battito del proprio cuore. Certo, a volte anche qualche tacchetto, ma il calcio è gioco di cuore. “Yo soy un duro, no un malo”. Testo e musica di Andoni Goikoetxea. Calcio 2OOO

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SPECIALE COPA LIBERTADORES

L’ALTRA COPPA DEI CAMPIONI

SPECIALE / COPA LIBERTADORES

IL SOGNO SUDAMERICANO La Libertadores è l'ossessione dei club non europei

Da noi va di moda la Champions League, in Sudamerica impazziscono per la Copa LibertadoreS

di Fabrizio PONCIROLI foto Image Sport e Agenzia Liverani

MISTER SPENCER… In Champions League ci stiamo gustando la rivalità, per il 42

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n Europa non c’è nulla di affascinante come la Champions League. In Sudamerica non c’è nulla di affascinante come la Copa Libertadores… Nata, nel lontano 1960, come Copa de Campeones de America, nel 1998, complice l’ingresso di uno sponsor dal peso specifico importante, diventa, per tutti, la Copa Toyota Libertadores. A seguire abbiamo, come sponsor (e, di conseguenza, nomi differenti), Santander e Bridgstone ma, per fortuna, resta immutato il senso della competizione: incoronare il club più forte al di fuori dei confini europei. Diciamo che l’Argentina ha, da sempre, un feeling particolare con questo torneo. Ben 23 volte, infatti, la Copa Libertadores ha visto trionfare un club argentino. A seguire il Brasile, “fermo” a quota 17. A livello di club, la squadra regina della Libertadores risponde al nome dell’Independiente, capace di aggiudicarsela per ben sette volte. Tantissime, anche se l’ultimo trionfo risale al lontano 1984 (successo ai danni del Gremio). Una curiosità: l’Independiente non ha mai perso una finale di Libertadores: sette successi su altrettante presenze nell’ultimo atto. Subito dietro il Boca Juniors, con sei vittorie (e 10 finali disputate). La Libertadores è un torneo decisamente particolare. Le sorprese sono sempre dietro l’angolo. Nelle ultime tre edizioni, ad esempio, hanno vinto tre club che mai avevano alzato al cielo il trofeo dedicato ai Libertadores, gli eroi delle guerre di indipendenza delle nazioni latinoamericane. Nel 2012 è toccato al Corinthians, l’anno dopo all’Atletico Mineiro e, lo scorso anno, al San Lorenzo. Ecco, rispetto alla Champions League, muove meno denaro (il vincitore si assicura circa sei milioni di dollari) ma il fascino è notevole…

titolo di capocannoniere assoluto di tutti i tempi, tra Cristiano Ronaldo e Messi. In Copa Libertadores sarà dura trovare chi possa fare meglio di Alberto Spencer. L’ex stella di Peñarol e Barcelona de Guayaquil, è, dati alla mano, il goleador per eccellenza della storia della Copa America. Ben 54 le reti messi a segno dal bomber ecuadoregno. Noto con il soprannome di Cabeza Magica, Spencer (deceduto nel 2006) è, ancora oggi, un idolo assoluto in Ecuador, tanto da essere considerato il miglior giocatore di tutta la storia del Paese. Figlio di un giamaicano di origini inglesi, è cresciuto nelle fila

dell’Everest, club ecuadoregno. Nel 1960 il suo passaggio al Peñarol, club con cui vince tutto, comprese tre edizioni di Copa Libertadores (1960, 1961 e 1966). Si narra che, dopo il suo secondo successo in Coppa Intercontinentale (1966), sia stato ad un passo dal trasferirsi in Italia (all’Inter). Ben 11 le sue partecipazioni (nove con il Peñarol e due con il Barcelona de Guayaquil) alla Libertadores. Ha segnato in ogni edizione cui ha preso parte, con l’eccellente performance nella stagione 1968: 14 presenze, 10 gol!!! Colpitore di testa spettacolare, ha ricevuto parole al miele anche da un certo

Pelè: “Qualcuno che era più bravo di me a colpire la palla di testa era Spencer. Io ero bravo ma lui era spettacolare nel colpirla di testa…”. Il titolo di miglior marcatore del torneo (con assegno di circa 30.000 dollari) è noto con il nome ufficiale di Alberto Spencer Trophy… IL PORTIERE DEI RECORD Se Spencer è il goleador di tutti i tempi, Ever Hugo Almeida si può fregiare di un altro record altrettanto rimarchevole. Nessuno ha giocato più gare di Libertadores di questo porCalcio 2OOO

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SPECIALE / COPA LIBERTADORES

SPECIALE / COPA LIBERTADORES

TIFOSI IN DELIRIO

LA VORREBBE ANCHE IL PRINCIPE

tiere uruguaiano, classe 1948, naturalizzato paraguaiano nel 1975. Perché il Paraguay? Semplice, perché Almeida è legato, in maniera indissolubile, all’Olimpia, club calcistico di Asuncion, in Paraguay. Con La “O” (nickname dell’Olimpia), Almeida ha giocato dal 1973 al 1991, conquistando tutti i titoli possibili, comprese due Copa Libertadores (la prima nel 1979, al seconda 11 anni più tardi, nel 1990). Noto per la sua grande abilità nel parare i rigori, è, ancora oggi, il giocatore con più presenze in Libertadores: 113 per l’esattezza, tutte collezionate con l’amata maglia dell’Olimpia. Almeida è l’unico giocatore “centenario” del torneo. Nessuno, oltre al portiere dell’Olimpia, ha superato quota 100 gettoni in Libertadores. Al secondo posto della classifica All Time troviamo Antony de Avila, fermatosi a 94 presenze (dal 1983 al 1998, con America de Calì e Barcelona de Guayaquil). Come nel caso di Spencer, difficile che qualcuno possa solo immaginare di poter scalzare Almeida dalla posizione numero uno come giocatore con più gettoni in Libertadores… LA PRIMA VOLTA… Tra le favole più raggianti nella storia della Copa America, merita una certa attenzione l’impresa firmata dal Colo-Colo. Noto per essere il club più famoso del Cile (30 titoli naziona44

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li), è, ad oggi, l’unica squadra cilena ad aver alzato, almeno una volta, la Copa Libertadores. Lo storico evento è accaduto nell’edizione 1991. Che fosse una stagione particolare per il Colo-Colo lo si era già capito dalla fase a gironi: primo posto con nove punti, frutto di tre successi su altrettante gare disputate. Negli ottavi arriva il successo ai danni dell’Universitario. Il Nacional prova a fermarlo nei quarti, nulla da fare. Il capolavoro arriva in semifinale. Il Colo-Colo affronta il Boca Juniors. All’andata, in terra argentina, vittoria dei locali per 1-0. Sembra finita ma, al ritorno, i cileni si impongono per 3-1 e volano in finale. Non una partita come le altre. A 8’ dal fischio finale, i Los Albos sono fuori. Il Colo-Colo vince ma per 2-1, risultato che varrebbe la qualificazione agli Xeneizes. Ma, all’82’, Ruben Martinez segna il suo secondo gol nel match, la rete più importante della sua carriera, quella che vale la sfida, nell’ultimo atto, contro i paraguaiani dell’Olimpia. Nonostante l’assenza di Dabrowsky (infortunato, miglior marcatore del torneo, per quanto riguarda il club di Jozic, con sei gol a referto), il Colo-Colo ci crede. Andata, ad Asuncion, senza reti poi, al ritorno, al Monumental di Santiago, il Colo-Colo esagera: 3-0, con doppietta di Perez (non schierato nella gara d’andata) e rete finale di Herrera. È l’apoteosi. Il Colo-Colo entra nelle leggenda. La formazio-

foto Image Sport

Dopo la Champions, sarebbe bello avere la Libertadores

foto Agenzia Liverani

Caldi ed appassionati, è una Copa che attrae attenzioni

ne di quella splendida realtà è nota ad ogni tifoso dei Los Albos: D.Morón, L.Garrido, M.Ramírez, J.Margas, E.Vilchez, J.Peralta, R.Espinoza, J.Pizarro, G.Mendoza (L.Herrera), L.Pérez, M.Barticciotto. Allenatore il croato Jozic. Nomi entrati nella leggenda… RIVALITÀ INFINITA Argentina vs Brasile, il succo della Libertadores. Spesso i club più rappresentativi dei due Paesi, calcisticamente parlando, più brillanti del Sudamerica, si sono affrontati con in palio il massimo trofeo internazionale. Il primo “scontro” è datato 1963. Il famoso Santos di Pelè duella con un Boca Juniors desideroso di primeggiare in Sudamerica. Il successo va ai brasiliani, bravi ad imporsi in entrambe le sfide (3-2 e 2-1). Indimenticabile l’epilogo del 1977, con vittoria del Boca Juniors, ai rigori, contro il Cruzeiro, dopo che le due sfide erano finite entrambe sull’1-0 per le rispettive compagini. Anche nel 1992, il confronto (questa volta tra San Paolo e Newell’s, finisce ai penalty, con vittoria a favore dei brasiliani). In tempi recenti non si può non citare Boca Juniors-Santos, edizione 2007, con largo trionfo degli Xeneizes (5-1 complessivo) e l’ultimo faccia a faccia, quello che ha visto il Corinthians piegare la resistenza ancora una volta del Boca Juniors (1-1 e

2-0 in favore del club brasiliano). Per gli amanti delle statistiche, sono stati ben 12 i duelli, in finale, tra compagini rispettivamente di Argentina e Brasile. Gli argentini ci sanno fare meglio: otto vittorie, a fronte di quattro sconfitte… L’EDIZIONE DEL CAOS La Copa Libertadores 2015, in corso di svolgimento, è la 56esima edizione della massima competizione per club del Sudamerica. Al via si sono presentati 38 club, provenienti da 11 Paesi. La cavalcata del San Lorenzo, squadra detentrice del trofeo, si è fermata immediatamente. Nella fase a gironi, il club argentino è arrivato alle spalle di Corinthians e San Paolo, dicendo addio al sogno di bissare l’impresa dell’anno passato. Negli ottavi ben tre “derby”, due brasiliani e uno argentino. Il San Paolo si è arreso al Cruzeiro (ai rigori) mentre l’Internacional ha eliminato l’Atletico Mineiro. Purtroppo la sfida più attesa, quella tra Boca Juniors e River Plate, si è trasformata in un fatto di cronaca, invece che un manifesto ideologico del calcio. Dopo aver perso la gara d’andata, il Boca, tra le mura amiche, non ha avuto la possibilità di provare a rimontare lo 0-1 dell’andata. Il Superclasico, infatti, è durato solo 45’. Al rientro in campo, quattro giocatori Millonarios sono stati colpiti da una bomba lacrimogena Calcio 2OOO

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SPECIALE / COPA LIBERTADORES

SPECIALE / COPA LIBERTADORES

CLUB VINCITORI

TALENTI PURISSIMI

Grazie alla Libertadores, ci si può mettere in grande mostra

COPA LIBERTADORES

foto Agenzia Liverani

Squadra

UN PO' DI SANA FOLLIA

foto Agenzia Liverani

Si fa di tutto per sospingere il proprio club alla vittoria...

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lanciata, all’interno del tunnel, da tifosi (presunti tali) Xeneizes. Ramiro Funes Mori, Leonardo Ponzio, Leonel Vangione e Matías Kranevitter, i quattro giocatori del River colpiti, hanno riportato ustioni sul viso e sul corpo. Soprattutto, non hanno potuto riprendere il gioco. Inevitabile la sospensione della gara. In Argentina, Olé ha definito questa sfida (attesissima), la “Gara della Vergogna”. Funes Mori ha raccontato quanto accaduto con tanta rabbia: “Ci hanno tirato addosso dello spray urticante, senza farsi vedere. Sono dei vigliacchi, hanno rovinato tutto”. Devastato anche Leonardo Ponzio: “Onestamente mi è sembrata più una guerra vera e propria, piuttosto che una gara di calcio come doveva essere. Fatico a capire come si possa arrivare a simili gesti”. Una scena di guerriglia che ha portato all’eliminazione del Boca dalla Libertadores (sconfitta a tavolino)… Per fortuna c’è anche del buono nell’edizione che si concluderà con la doppia finale estiva (29 luglio l’andata, il 5 agosto il ritorno). Ad esempio la splendida storia di Gustavo Leonardo Bou, già autore di otto reti in maglia Racing (La Academia è ancora in corsa). Classe 1990, ex River, si sta mettendo in luce come uno degli attaccanti più interessanti visti in Libertadores. E, attenzione, la sensazione è che potrebbe fare ancora meglio… Stesso anno e stesso ruolo per Miler Bolanos. La sorpresa Emelec (club ecuadoregno capace di agguantare gli ottavi di finale)

Coppe Vinte

Finali Giocate

Independiente

7

7

Boca Juniors

6

10

Peñarol

5

10

Estudiantes

4

5

Olimpia

3

7

San Paolo

3

6

Nacional

3

6

Santos

3

4

Cruzeiro River Plate Grêmio Internacional Palmeiras Atlético Nacional Colo-Colo Racing Club San Lorenzo Argentinos Jrs Vélez Sarsfield Vasco da Gama Once Caldas LDU Quito Corinthians Atlético Mineiro Flamengo

2 2 2 2 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1

4 4 4 3 4 2 2 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1

Edizioni Vinte 1964, 1965, 1972, 1973, 1974, 1975, 1984 1977, 1978, 2000, 2001, 2003, 2007 1960, 1961, 1966, 1982, 1987 1968, 1969, 1970, 2009 1979, 1990, 2002 1992, 1993, 2005 1971, 1980, 1988 1962, 1963, 2011 1976, 1997 1986, 1996 1983, 1995 2006, 2010 1999 1989 1991 1967 2014 1985 1994 1998 2004 2008 2012 2013 1981

* Dati aggiornati ad edizione 2014

deve tanto a questo bomber dal gol facile (24 gol stagionali nel 2014). Già cinque i centri in questa Libertadores, a conferma che il ragazzo ha i numeri giusti per sfondare… E come dimenticarsi del “nostro” Milito? Gli anni passato ma Il Principe si fa sempre notare: altri quattro gol per ricordare a tutti che l’eroe del Triplete nerazzurro è ancora in grado di fare la differenza… Calcio 2OOO

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SERIE B CITTADELLA

SERIE B/ CITTADELLA NELLE MANI DI PIEROBON Esperienza e saggezza, portiere senza fine

“Quando il Cittadella, la squadra della tua città, ti chiede di dare una mano non puoi dire di no”. Come ci si sente a essere il giocatore più anziano non solo in attività, ma nella storia del calcio italiano? “Arrivare a quasi 46 anni e essere ancora in campo è una cosa fantastica. Ho ancora quella voglia di scendere in campo per allenarmi e per giocare. Certo sarebbe ancora più bello se il campionato del Cittadella fosse finito in un altro modo”.

L’HIGHLANDER DEL CITTADELLA

foto Giuseppe Celeste/Image Sport

Passo indietro. La sua avventura nel calcio è partita da Cittadella quasi 30 anni fa. Che ricordi ha dell'esordio? “Ero un ragazzino di 18 anni o poco più ed esordii all'ultima gara di campionato. Quello è un momento indelebile nella mia memoria, perché è quello che ha dato il via alla mia carriera, ricordo che feci anche una grande parata. Poi l'anno dopo feci un altro paio di presenze e conquistammo la promozione in Serie C2. E ricordo anche l'esordio fra i professionisti, sono cose che restano per la vita e che mi piace raccontare ai miei figli”.

di Tommaso MASCHIO

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Il giocatore più anziano del calcio italiano ma con una passione infinita: Pierobon… uarantasei anni e non sentirli. Andrea Pierobon, portiere del Cittadella, è diventato nel corso dell'ultima stagione il calciatore più anziano a giocare in una serie professionistica nella storia del calcio nostrano. Un record di longevità che ha pochi eguali nel Mondo e che potrebbe essere ancora allungato visto che il portierone veneto, si è ancora dimostrato all'altezza del compito. “Devo ringraziare il Cittadella perché probabilmente altrove non avrei avuto la possibilità di giocare fino a quasi 46 anni fra i professionisti”.

La sua prima esperienza da titolare è però al Giorgione, dove conquista un'altra promozione in C2 e gioca 100 partite. “Lì ho cominciato a formare il mio carattere, anche grazie a un allenatore come Gianfranco Bellotto e iniziato la mia ascesa verso il calcio che conta. Nel 1993 andai poi alla Massese e l'anno dopo proprio mister Bellotto mi portò ad Andria dove esordii in Serie B a 25 anni. Fu un grande momento perché all'epoca il calcio era diverso e si dava maggior spazio all'esperienza nella serie cadetta, per uno della mia età non era facile imporsi in quella categoria, ma ce la feci e mi ritagliai uno spazio importante”. Nel 1997 approda alla Spal dove si ferma 8 anni collezionando 263 partite (solo 9 quelle saltate). Si può dire che sia la sua seconda casa? “Si, sono stato benissimo a Ferrara, una città dove si vive benissimo e si respira calcio. Portai anche mia figlia che era appena nata e che fece parte delle scuole in quella città. Mi sono trovato benissimo sia in campo sia fuori. Ho giocato 263 partite su 272, praticamente tutte,

e per metà della mia carriera sono stato legato al nome della Spal. Ho ricordi eccezionali e ancora tanti amici a Ferrara, inoltre continuo a seguire con interesse le vicende della squadra e sono convinto che meriterebbe di giocare in categorie superiori”. Nel 2005 la Spal fallisce, ma lei è già di ritorno al Cittadella. “Mi chiamò il presidente Gabrielli per tornare a casa e io accettai con piacere questa chiamata. Pochi mesi dopo la Spal fallì e mi dispiacque molto. Da un lato fu brutto, ma dall'altro ero felice di poter tornare a giocare nella mia città e nella mia squadra”. Nel 2009-10 il punto più alto per lei e il Cittadella furono i playoff per la promozione… “Fu uno degli anni più belli, anche se ricordo con grande piacere anche la promozione in Serie B, che per una realtà come Cittadella era già tantissimo. Dopo esserci salvati al primo anno ci trovammo a giocare per la promozione in maniera inaspettata e assaporammo il sapore della Serie A, che sarebbe stato un traguardo storico e qualcosa di impensabile a inizio stagione. Tantissimi ragazzi di quella squadra fecero poi comunque il salto di qualità andando a giocare altrove. Di sicuro è un onore per me aver fatto parte della squadra che ha raggiunto il punto più alto nella storia del Cittadella”. Lei e il mister Claudio Foscarini siete le bandiere di questa squadra. Qual è il vostro rapporto? “Con il mister ormai ci si capisce con lo sguardo. C'è stima e soprattutto rispetto fra di noi perché senza queste due cose non si sarebbe potuto creare un rapporto così duraturo. Dieci anni sono tantissimi e non è facile viverli sempre a contatto. I risultati però ci danno ragione e credo che il mister abbia dimostrato il suo valore in questi anni”. Che rapporto ha avuto coi tanti portieri che l'hanno affiancata in questi 10 anni di Cittadella? “Ho sempre avuto ottimi rapporti con tutti loro anche se poi alla fine io restavo e loro andavano via. Coi vari Villanova, Di Gennaro, Cordaz siamo rimasti in contatto anche se ultimamente mi sento soprattutto

con gli ultimi due. Ma conservo un ottimo ricordo di tutti loro”. Ogni anno sembra l'ultimo da giocatore e invece lei sorprende tutti mostrandosi ancora all'altezza del compito. Qual è il suo segreto? Come ci si adatta ai cambiamenti? “È vero che ogni anno sembra l'ultimo, ma in questi ultimi sette anni – ovvero da quando ho iniziato a meditare di poter smettere – la società mi ha sempre chiamato in causa e chiesto una mano. Sentire che la società crede in me è un attestato di stima importante e io ho cercato di ripagarla dando sempre il massimo per la squadra. Questo mi ha fatto continuare fino a oggi. Inoltre giocare con la squadra della propria città è una delle cose più belle che si possano vivere nel mondo del calcio. Devo ringraziare il Cittadella perché probabilmente altrove non avrei avuto la possibilità di giocare fino a quasi 46 anni fra i professionisti”. Come vede il suo futuro una volta appesi i guanti? Ancora in campo – magari da allenatore o preparatore – o lontano da questo mondo? “Qualcosa ho in testa e da qualche anno a questa parte ovviamente, ma quando la società ti chiede di dare una mano non puoi dire di no. Ora sono concentrato solo sul lavoro sul campo, poi una volta messo in archivio anche questo campionato valuteremo il da farsi”. Il momento più bello e quello più brutto della sua carriera? “Di momenti belli che ne sono tantissimi, ho conquistato cinque promozioni in carriera e sono state tutte esperienze fantastiche e indimenticabili. Quando si vince e si raggiungono determinati obiettivi è sempre splendido. Ma ricordo con piacere anche le tante salvezze in Serie B, magari arrivate all'ultima giornata, quando tutti ci davano per spacciati e condannati. Qualche momento brutto c'è stato, ma lo tengo per me, preferisco pensare ai momenti belli. Se proprio devo dirne uno forse la mancata promozione in Serie A ha lasciato un po' di amaro in bocca perché per me, che allora avevo 40 anni, era l'ultima occasione per provare a misurarmi con un'altra realtà. Però arrivò al culmine di una stagione magnifica e quindi fu brutto, ma allo stesso tempo bellissimo”.

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LEGA PRO TERAMO

LEGA PRO/ TERAMO TERAMO IN FESTA

come omber

Foto Vincenzo Ranalli - 2

Missione compiuta, si va in cadetteria

di Alessandro COSATTINI

e senza dubbio ci hanno messo in grande difficoltà. Ciò che ha fatto la differenza è stata la nostra voglia di crescere, quella di ragazzi che si sono messi totalmente a disposizione del mister Vivarini”. Per Lapadula, arrivato in Abruzzo perché “convinto dal progetto Teramo”, ciò che ha caratterizzato maggiormente la promozione in Serie B è stata la forza del gruppo, soprattutto dopo la sconfitta contro il Prato per 1-0 del 19 aprile: “Quel giorno siamo giunti in Toscana reduci da 24 risultati utili consecutivi, siamo usciti dal campo con i musi lunghi. Il giorno dopo, però, eravamo già sul campo d’allenamento con lo stesso spirito di sempre: il sorriso sui nostri volti non è mai mancato e, grazie alla compattezza del gruppo, siamo riusciti ad affrontare nel migliore dei modi le successive partite contro Pontedera, Savona ed anche Ascoli. Dopo un tonfo simile molti si aspettavano che la promozione fosse a rischio, e invece… Abbiamo reagito da grande squadra”.

mi sarà utile nel proseguo della mia carriera”. A fine stagione l’attaccante classe 1990 è arrivato a realizzare ben 21 gol. Meglio di lui ha fatto solo il partner d’attacco Donnarumma, che - grazie alla doppietta nell’ultima giornata contro l’Ascoli - ne ha messi a segno 23. Il capocannoniere del Girone B di Lega Pro, reduce da un’annata travagliata in Serie B con il Cittadella, ci ha spiegato i motivi che l’hanno spinto a scendere di una categoria: “Ha prevalso in me la voglia di mettermi in discussione e fare una stagione da autentico protagonista. Avevo diverse proposte dalla Lega Pro, ma il progetto illustratomi dal direttore sportivo del Teramo è stato molto convincente, e col senno di poi penso che non avrei potuto fare scelta migliore. L’anno prossimo non so se sarò ancora qui: il mio cartellino è di proprietà del Pescara, a breve io e il mio agente parleremo con loro e troveremo una collocazione per il futuro. Certamente rimanere ancora a Teramo sarebbe meraviglioso”.

Lapadula, dopo l’esperienza in Slovenia dell’anno passato, ha avuto un ottimo impatto con l’ambiente abruzzese: 5 gol nelle prime 7 presenze, salvo poi rimanere a bocca asciutta per ben 10 giornate. Il giocatore, nativo di Torino e cresciuto col mito di Del Piero, ci ha spiegato i motivi della temporanea astinenza: “In quel periodo non ero al 100% fisicamente, ero un po’ acciaccato, ma il mister ha sempre continuato a schierarmi in campo. È normale per un attaccante essere un po' frustrato in un momento simile, ma io ho continuato ad allenarmi con il massimo impegno finché sono tornato al gol. È stato comunque un momento che mi ha insegnato molto e che

Dello stesso pensiero è anche Lapadula, il cui cartellino appartiene al Parma: “Rimanere qui in Abruzzo è una reale possibilità. Io sto bene in questa città, i tifosi mi hanno accolto sin da subito a braccia aperte”. L’attaccante, nell’ultimo incontro di campionato contro l’Ascoli, è stato protagonista di un curioso episodio, che in pochi giorni ha fatto il giro d’Italia: “Sì, prima che iniziasse la partita ho chiesto a mia moglie di sposarmi. Ho fatto la proposta di matrimonio in questo particolare clima perché lo stadio è uno dei posti in cui mi sento più a mio agio. Già in passato avevo pensato a questo momento, ma non volevo distrarmi dall’obiettivo promozione. Quindi

ho aspettato, e una volta raggiunto aritmeticamente il traguardo ho agito. È stata una delle emozioni più grandi della mia vita”. Ma come hanno fatto i due bomber a non ‘pestarsi i piedi’ nel corso della stagione? “Siamo stati entrambi intelligenti - continua Donnarumma -, la squadra stava facendo qualcosa di importante e noi abbiamo contribuito al meglio. L’intesa tra di noi è cresciuta giorno dopo giorno, e penso che con le nostre caratteristiche anche negli altri gironi di Lega Pro avremmo potuto far male a chiunque”. Sulla stessa lunghezza d’onda anche Lapadula, che però aggiunge un interessante dettaglio: “Il mister ci ha sempre chiesto di giocare ispirandoci ad Immobile e Cerci, quando ancora militavano nel Torino di Ventura. Ci vuole molto stretti e dobbiamo scambiarci la palla in continuazione, muovendoci costantemente per non dare punti di riferimento agli avversari”. Il momento più bello della stagione? “Quando siamo tornati da Savona, verso le 2.30/3 di notte con la matematica conferma della promozione in Serie B - conclude Donnarumma - La piazza era gremita di gente che ci aspettava, è stata una sorpresa meravigliosa, la degna conclusione di quanto fatto nel corso dell’intera stagione. I tifosi sono stati la nostra arma in più”. Della stessa opinione anche Lapadula, che ha un desiderio per la prossima stagione: “Che io rimanga qui o no, il sogno è vedere lo stadio Bonolis di Teramo colmo di gente come nell’ultima gara contro l’Ascoli. C’erano quasi 9000 persone, l’entusiasmo della gente è stata la soddisfazione più grande che potessimo ottenere”.

Intervista a Donnarumma e Lapadula, i due bomber del Teramo neo-promosso in Serie B

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Foto Vincenzo Ranalli / teramocalcio.net

ontano - per lo meno inizialmente - dalle luci dei riflettori, si costruiscono sempre le imprese più grandi e memorabili del calcio. Dopo un inizio di stagione alle spalle dell’Ascoli, con l’avvento della Primavera arriva la svolta: è il 23 marzo, i bianconeri nell’incontro del giorno prima pareggiano contro la Reggiana e il Teramo gioca contro il San Marino, squadra che si trova in zona retrocessione. Spinti dal pubblico di casa gli abruzzesi vincono per 2-0 grazie alle reti di Scipioni e Donnarumma, e volano in testa a +2 sull’inseguitrice Ascoli, partita ad inizio anno con i favori del pronostico. La cavalcata finale è avvincente, ma ad una giornata dal termine il Teramo è aritmeticamente in Serie B. Gran parte dei meriti per la promozione è dell’allenatore, Vincenzo Vivarini, in grado di costruire un’autentica macchina da gol: 62 reti messe a segno in 38 partite, miglior attacco dell’intero Girone B di Lega Pro. La curiosità è che 44 di questi sigilli sono stati realizzati da due giocatori, i bomber più prolifici dell’intero panorama calcistico italiano: Alfredo Donnarumma e Gianluca Lapadula. Intervistati in esclusiva da Calcio2000, i due hanno svelato il segreto che sta dietro all’inaspettata promozione in Serie B: “All’inizio nessuno si aspettava di vederci così in alto - ci dice Donnarumma - perché la nostra squadra non era stata allestita per ambire al campionato cadetto. Compagini come l’Ascoli e la Reggiana erano molto ben attrezzate la rosa del teramo stagione 2014/2015 50

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FESTA PRINCIPESCA

foto Ufficio Stampa Lupa Castelli Romani -2

Colpo della Lupa, un'impresa da ricordare...

Giuseppe siclari

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oveva essere l’anno della Viterbese, ma chi fa i conti senza l’oste spesso e volentieri finisce per rimetterci. Così è stato, anche questa volta. Il Campionato lo ha vinto la Lupa Castelli Romani, squadra tosta e quadrata che ha raccolto 78 punti, subendo pochi gol e segnandone tanti, specie con Giuseppe Siclari, attaccante ventottenne. Che campionato è stato? “Beh, se guardiamo la classifica – dice il goleador - sembra un campionato dominato. Per chi non ha seguito, non c’è stata storia, però è bene precisare che noi non eravamo i favoriti all’inizio. Avevamo costruito una squadra per far bene, ma la favorita era la Viterbese e anche Olbia e Ostia Mare sembravano pronte a lottare per la testa della classifica”. Poi però: “Abbiamo giocato proprio con l’Ostia Mare capolista, abbiamo vinto, siamo diventati primi e lì siamo rimasti. È stata una vittoria fondamentale”. Con quel successo è cambiato qualcosa, c’è stato l’insediamento di Galluzzo in panchina e i primi miglioramenti anche dal punto di vista del gioco: “Il mister è una bravissima persona, è stato mio compagno di squadra da giocatore, e da tecnico si è rivelato un’arma in più. Due giorni prima era ad allenarsi con noi, due dopo era lui ad allenarci, per certi versi questo ha facilitato tutto. Con lui abbiamo acquisito personalità e assunto una precisa identità di gioco, fino a lì eravamo andati bene ma spesso grazie ai singoli. Poi si è creato un grande gruppo. Il capitano, Baylon, è una persona eccezionale e Daniele Nohman è tecnicamente un attaccante di categoria superiore. Ha segnato ventuno gol e mi ha dato una mano a segnarne ventidue. E poi i ragazzi arrivati a dicembre, vedi La Cava, insomma un grande gruppo. Se a tutto ciò si aggiunge che abbiamo potuto

SERIE D/ LUPA CASTELLI ROMANI contare sul totale appoggio della società, il gioco è fatto. Per vincere un campionato ci vogliono tante componenti”. Ostia a parte, ci sono altri due, tre passaggi che è bene rammentare nella cavalcata che ha portato alla promozione finale… “A Terracina abbiamo giocato una grande partita, eravamo sotto 2-0 e poi abbiamo vinto 3-2. E nello scontro diretto con la Viterbese perdevamo 1-0 e siamo riusciti a pareggiare. Quello è stato il momento in cui abbiamo capito di potercela fare davvero. Avevamo quattro punti di vantaggio e pareggiare voleva dire mantenere invariato lo scarto. Dopo quella partita noi abbiamo continuato a vincere, loro invece hanno perso ancora qualche punto per strada (alla fine il distacco è arrivato a 7 punti, ndr). E che dire di Fondi, quella è stata l’emozione più grande. Ci bastava anche un punto, ma noi eravamo partiti per vincere. Al triplice fischio è stata una grande gioia”. Ma è possibile che in questo cammino esaltante non ci sia mai stato un momento difficile, una fase di appannamento? “Se guardiamo il nostro anno, devo dire che non abbiamo mai avuto un periodo di difficoltà. Non posso parlare neanche di mini-crisi, perché male che andasse pareggiavamo e portavamo a casa un punto. Quando concludi una stagione con due sole sconfitte è difficile trovare momenti complicati”. Adesso, chiuso al primo posto il proprio raggruppamento, tocca continuare a vincere per portare a casa anche lo scudetto di categoria. “Sì, ora abbiamo la poule scudetto, un torneo nel torneo. Si tratta di tutte squadre che hanno vinto il proprio girone, hanno il morale alle stelle e come noi sono fortissime. Dal

canto nostro, cercheremo di giocare come abbiamo sempre fatto, con serenità e tranquillità. E poi c’è anche la curiosità di vedere che differenze ci sono tra il nostro girone e gli altri. Inizieremo con un triangolare con Akragas e Andria, squadre che hanno un certo blasone. Indipendentemente dall’esito sarà una bella vetrina e un modo per confrontarsi, ma sarà anche una festa. Noi scenderemo in campo sempre per vincere”. Ma per farlo bisognerà segnare ancora, se da punta o meno, poco importa… “Credo di essere nel clou della mia carriera e nelle ultime stagioni ho avuto la fortuna e la bravura di fare parecchi gol. Mi ritengo un esterno d’attacco o al più una seconda punta, nonostante il fisico possa sembrare da prima. Di certo mi piace arrivare in porta, ma posso dire di non essermi mai ispirato a nessuno”. Maturità e prolificità sotto porta, due cose che sembrano sposarsi bene con la Lega Pro appena conquistata, o meglio, riconquistata, vero? “Intanto bisogna vedere cosa accadrà, perché con la società ho un ottimo rapporto, ma non si è ancora parlato di futuro, anche se è chiaro che qui sto bene. Sulla Lega Pro posso dire che adesso, dall’esterno, mi sembra più competitiva, anche perché ora è unica. Poi ci sono degli obblighi sull’inserimento in rosa dei ragazzi. Quando ho esordito in C, e ci ho giocato sei anni, ero giovane, adesso sono maturato e penso di poter dire la mia”. Purtroppo in uno stadio “muto”… “Sembra incredibile, ma è così. Abbiamo vinto, ma senza tifosi. Noi non ne abbiamo. Per me che ho giocato in piazze calde posso dire che un calcio senza tifosi è un calcio un po’ così. Che ti esaltino o ti critichino è sempre meglio averli”.

LUPA, SEI PRO…MOSSA di Simone TONINATO

Alla faccia degli scettici, la squadra di Galluzzo ce l’ha fatta. A suon di gol, quelli di Siclari. Ma senza tifosi…

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Alessandro Virzi

Pietro Rosato

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SERIE D LUPA CASTELLI ROMANI


I RE DEL MERCATO GIOCONDO MARTORELLI

I RE DEL MERCATO / GIOCONDO MARTORELLI VECCHIA SCUOLA Martorelli è uno dei primi agenti nel calcio...

L’ESPERIENZA DI

GIOCONDO Martorelli è uno degli agenti con più anni di professione alle spalle e, soprattutto, sempre sul pezzo…

di Alessio ALAIMO foto Federico DE LUCA 54

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“” I primi

orrettezza prima di tutto. Provate a chiedere in giro di Giocondo Martorelli, agente dalla pluriennale esperienza. Difficilmente qualcuno ve ne parlerà male. Rispetto e attenzione verso i suoi assistiti e anche per i colleghi. Perché mettere i bastoni tra le ruote a chi fa il suo stesso lavoro, non è abitudine di Martorelli, che sceglie Calcio2000 per ripercorrere le tappe della sua carriera.

Muraro, Bini e Canuti”.

Martorelli agente Fifa, perché? “Tutto nasce dalla grande passione per il calcio che ho sempre avuto. Vengo da un paese molto piccolo, Vibonati, lì sono rimasti fino al liceo e poi mi sono trasferito a Firenze, dove ho avuto dei contatti importanti che mi mettevano in buoni rapporti con alcuni calciatori dell’Inter. Parlo della fine degli anni ’70. I primi giocatori che ho conosciuto sono stati

E poi, Beppe Bergomi… “Era ancora un ragazzino. Quando è tornato dal Mondiale era già campione del mondo e il nostro rapporto si è sempre più intensificato. Anche se i primi tempi era un rapporto un po’ particolare: prima non c’erano cellulari o social network. La grande passione per il calcio mi ha portato ad innamorarmi di questo ambiente e così ho fatto l’esame da pro-

giocatori sono stati Muraro, Bini e Canuti. Bergomi? Era un ragazzino quando l’ho conosciuto…

curatore italiano e poi quello da agente Fifa. Il mio primo giocatore è stato, appunto, Beppe Bergomi. Ci lega un rapporto fraterno, una delle cose più belle che mi ha dato il calcio”.

RISPETTO PER TUTTI Amico della stampa, intollerante con chi non ha buoni valori

Quando scatta la scintilla? “Gli studi di giurisprudenza hanno fatto si che mi avvicinassi sempre di più a questo mondo, la molla me l’ha data Beppe Bergomi grazie al nostro grande rapporto. Ma non solo lui: vorrei citare anche ragazzi che ho cresciuto dalle giovanili, forse dimenticherò qualcuno ma Passoni, Dei, Rossetti, Danilevicius e altri calciatori che sono stati con me fin dalla gioventù non li dimenticherò mai. E ancora oggi abbiamo un bel rapporto”. Ha mai avuto un modello da seguire? “No, non c’è. In quel momento eravamo pochissimi. Io ho la tessera numero 40, oggi siamo tanti. Ai tempi avevo un bel rapporto con Luciano Marangon, un ragazzo sveglio, simpatico. Ma non c’era

MAI FERMO

Sempre in azione, a scovare nuovi talenti

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I RE DEL MERCATO / GIOCONDO MARTORELLI

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IL COLPO BONAVENTURA

I PENSIERI DEGLI AMICI

L'approdo di Jack al Diavolo porta la firma di Martorelli

Di Alessio Alaimo

Da Damiani a Bergomi, solo parole al miele per l’agente Martorelli… iocondo Martorelli è l’esempio che il lavoro paga. Pochi nemici, tanti rapporti cordiali. E qualche amicizia coltivata nel tempo. Come per esempio con Oscar Damiani, decano dei procuratori sportivi. “Giocondo è un ragazzo serio, ha fatto la trafila, è un collega serio e preparato”, racconta Damiani sul collega Martorelli. “Ci siamo conosciuti quando Stovini poteva andare in Francia. C'è un rapporto di stima e amicizia, Giocondo è davvero una brava persona”. Tanti pregi, pochi difetti. “Sa stare vicino ai propri calciatori, gli da un servizio completo. Ha buoni rapporti con i calciatori e con le società, questo lo aiuta nel suo lavoro. E soprattutto – sottolinea Damiani – non è legato a nessun carro. Questo gli fa onore. Quando ha portato Bonaventura al Milan gli ho fatto i complimenti, assolutamente meritati. Giocondo è una persona davvero a modo”. “Con Giocondo siamo amici, ci sentiamo tutti i giorni”, racconta il suo primo calciatore, Beppe Bergomi. Insieme sono diven-

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BEppe bergomi

OSCAR DAMIANI 58

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tati grandi e ancora oggi tra loro c’è un’amicizia fraterna. “Lui - dice Bergomi - interista da ragazzo veniva ad Appiano Gentile, era amico di Bini e Muraro poi da lì è nato il nostro rapporto di amicizia. Negli anni ’90 studiava da avvocato. Poi ha deciso di fare il procuratore, gli ho dato la procura e da lì e nata un'amicizia fraterna. Siamo come fratelli. Un rapporto che va oltre il calcio”. Un aggettivo per descrivere Martorelli? “Caparbio”, Bergomi non ha dubbi. “Si è fatto da solo, davvero. Quando ha preso me, probabilmente avere Bergomi lo ha aiutato, ma si è fatto da solo attraverso la sua caparbietà. Il calcio se non hai il nome non è un mondo facile, lui grazie al suo lavoro e con poco aiuto si è costruito un nome. È straordinario, ha fatto tanta gavetta e merita i successi che ha avuto”. L’agente ha occhio per i talenti, l’ultimo trasferimento importante in ordine di tempo Bonaventura al Milan. “Una bella operazione, meritata. Ci ha creduto anche quando l'Atalanta lo voleva dare via. È stato bravo, poi sono venute fuori le caratteristiche di Giacomo, un bravissimo ragazzo oltreché un calciatore molto importante. Sono felice per Giocondo”. Parola dello Zio. E Martorelli adesso va a caccia del prossimo talento, sempre con i suoi modi pacati. Perché il calcio non è solo frenesia e isterismi…

un modello da seguire, perché eravamo davvero pochi”. Dicono degli agenti: “I padroni del calciomercato”. Che ne pensa? “Non è una cosa che condivido. Il calciatore è la figura dominante del sistema calcio, è giusto che sia sempre lui, perché senza non c’è procuratore che faccia valere le sue qualità. Se non c’è Messi non c’è il suo agente. Il nostro ruolo è stato ingigantito, amplificato dal sistema. D’altra parte, in un mondo in cui regna la comunicazione, è difficile poter arginare questo tipo di situazione”. Intanto la FIFA ha cancellato gli agenti. Che ne pensa? “Le regole le fanno coloro i quali non vivono il calcio. Togliendo l’albo degli agenti si crea un mondo di anarchia, selvaggio, dove tutto è incontrollabile. Chi ha lavorato in maniera seria non avrà

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Giacomo Bonaventura l’ho visto crescere. Rappresenta quello che è l’aspetto sano di questo mondo. problemi, ma si avvicineranno a questo lavoro persone che non hanno mai fatto questa professione. Non sono d’accordo con questa modifica, anche se poi alla fine non cambierà nulla”. Il suo rapporto con la stampa? “Ottimo. Penso di avere rispetto verso

coloro i quali lavorano, do sempre la mia disponibilità, cerco di essere sempre corretto, leale. Non vivo la stampa come una situazione pesante. Anzi, ho grande rispetto per chi fa il vostro lavoro. Oggi però a volte si va alla ricerca della notizia che magari non c’è”. Sincero: ha mai provato a prendere un giocatore di un altro agente e viceversa? “Non voglio apparire come colui che ha l’aureola. In trent’anni di attività non ho mai avuto un atteggiamento irriguardoso verso un collega. Mentre qualcun altro, nei miei confronti lo ha fatto. E questa è la cosa più brutta che ci possa essere dal punto di vista deontologico. La cosa che più mi gratifica è il rapporto di grande stima ed affetto con tutti i calciatori che ho avuto ed ho ancora. Molti li ho visti crescere”. Il prossimo predestinato è Giacomo Calcio 2OOO

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I RE DEL MERCATO / GIOCONDO MARTORELLI IL NUMERO 40

Uno dei primi "operatori di mercato" veri in Italia

I RE DEL MERCATO / GIOCONDO MARTORELLI Bonaventura. “Giacomo l’ho visto crescere. Il nostro è un rapporto importante, è un ragazzo di grande equilibrio e maturità. Rappresenta quello che è l’aspetto sano di questo mondo. A volte si considera il calciatore un po’ superficiale, frivolo. E invece ci sono ragazzi come Giacomo che hanno un equilibrio e una grande maturità, una cultura che ti rende orgoglioso di seguire la sua crescita”. Dall’Atalanta al Milan, come è nata la trattativa. “Tutto fatto nelle ultime tre ore di mercato. C’era una trattativa ben avviata con l’Inter. E anche il Verona attraverso Sogliano si era mossa per Giacomo. Sogliano stimava e stima molto Giacomo. Alle 20 dell’ultimo giorno di mercato la trattativa con l’Inter si stava arenando. E proprio in quei minuti, mentre saltava la trattativa con i nerazzurri, arrivò la chiamata di Galliani che ci chiese di andare in sede. E così nacque questa cosa

“”

Agente modello? No, non c’è. In quel momento eravamo pochissimi. Io ho la tessera numero 40… bellissima, perché raggiungere il Milan è una soddisfazione enorme”. Chi è Giocondo Martorelli fuori dal campo? “Un buon padre di famiglia che ama i suoi cari più di ogni altra cosa. Amo mia moglie Barbara e i miei due gioielli, Carlo e Giulia. Penso di comportarmi da buon padre di famiglia e di dare ai miei ragazzi quell’educazione che i miei geni-

tori hanno saputo inculcarmi. Mio figlio Carlo ha quattordici anni, gioca nella Fiorentina, gli ho sempre fatto capire che il calcio deve viverlo divertendosi. Non sempre però se ti occupi di calcio tuo figlio deve fare il calciatore, ecco perché gli ho detto che deve essere qualcosa di naturale. Poi il tempo dirà se è bravo oppure no. Ma non ho mai pensato che lui dovesse fare il calciatore solo perché io lavoro in questo mondo”. Il suo rapporto con i colleghi? “Credo di avere un buon rapporto con tutti, mi ritengo una persona corretta. Poi ci sono delle pecore nere che non stimo e non saluto. Di persone scorrette ce ne sono”. Il giocatore che non ha reso secondo le aspettative? “Avrei scommesso qualcosa, anche il dito di una mano su Giacomo Bonora, ragazzo del 1980, ex Primavera della Fiorentina. Un esterno sinistro nato per giocare

L'IMPORTANZA DELLA FAMIGLIA

foto Daniele Mascolo/Photoviews

La forza di Martorelli sta nel nucleo familiare

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I RE DEL MERCATO / GIOCONDO MARTORELLI

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QUALCHE FASTIDIO

SEMPRE SUL PEZZO

C'è anche chi non si è comportato bene, in Serie A...

a calcio, talento puro. Ma purtroppo si è perso, mi dispiace molto”. I prossimi talenti di cui sentiremo parlare? “Gori già Nazionale Under 16 e di proprietà della Fiorentina, poi Luca Ranieri, Purro, Giuseppini e Nannini. Tutti e cinque ’99 della Fiorentina. E sempre della Fiorentina, i 2000 Cavallini e Meli”. Ma come, non mi parla di suo figlio Carlo, 99 della Fiorentina? “Voglio che siano gli altri a giudicarlo, non sta a me farlo”. La sua ultima vacanza? “Alle Maldive con la famiglia, l’anno scorso. Lì ho staccato un po’ la spina”. La prossima? “Amo ritornare a Sapri d’estate. Trovo serenità, tranquillità, riposo. Mi vengono a trovare tanti amici, tra cui Beppe”. E la sua famiglia, come vive il suo 62

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Martorelli sa che, in questo lavoro, non ci si rilassa mai...

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Sono un buon padre di famiglia che ama i suoi cari. Amo mia moglie Barbara e i miei due gioielli, Carlo e Giulia lavoro? “Ho una grande fortuna: Barbara, mia moglie, è straordinaria. Sa qual è il mio lavoro. E i miei due figli non me lo fanno mai pesare. Quando torno a casa trovo sempre grande allegria che mi fa dimenticare la stanchezza, riesco a staccare grazie a loro”. Quante volte parla di calcio a casa? “Di lavoro mai. Di calcio con mio figlio

sì, perché vediamo le partite sul divano, comincia a farmi qualche domanda. E cerca di avere dei confronti. Questo mi fa piacere”. Quanto si sente tutelato dalla Federazione come agente? “Poco. Veniamo considerati tutti come delle pecore nere. Siamo riconosciuti solo quando ci devono fare le multe… molte cose andrebbero riviste. Ci vorrebbe maggiore tutela. Ai poteri forti, coloro i quali devono prendere decisioni, spero arrivino persone che conoscono questo mondo”. Una delusione in carriera? “Un ragazzo che è andato in Serie A firmando un contratto di cinque anni, poi ha consentito che i miei guadagni andassero a qualcun altro. Spero rifletta…”. Questa è facile, la più grande soddisfazione? “Il mio pensiero va sempre a lui: Beppe Bergomi. Ma non posso non posso ringraziare tutti”. Calcio 2OOO

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I GIGANTI DEL CALCIO PAOLO ROSSI

I GIGANTI DEL CALCIO / PAOLO ROSSI L'UOMO DEL 1982

Rossi è l'eroe del Mondiale di Spagna

SEMPLICEMENTE

ROSSI

Ancora oggi, ripensando al Mondiale del 1982, torna in mente lui, Pablito…

di Lorenzo MARUCCI foto Federico DE LUCA

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aolo Rossi ha ancora l’aria del ragazzino. Passano gli anni ma il sorriso, l’ironia, la voglia di scherzare sono quelli dei giorni migliori. Il suo nome è inciso nella storia del calcio italiano, anzi mondiale, da quando nel 1982, a suon di reti, portò la Nazionale a vincere la Coppa del Mondo. Un trofeo che mancava da quarantaquattro anni. Pablito era diventato in quel periodo un’icona internazionale, il goleador sognato e cercato da tutti. Da tutti meno che, ovviamente, dai brasiliani. Sì, perché con la sua tripletta aveva fatto… piangere il Brasile a Spagna '82. Ancor oggi Rossi racconta: “Quando a fine anni Ottanta andai a giocare un torneo di vecchie glorie in Brasile, un taxista mi riconobbe e mi fece scendere immediatamente. Non poteva sopportare di avere in auto un nemico... Quella sconfitta è ancora vista come un incubo e io ero stato il loro 'carrasco', il boia. L’anno scorso però ho girato, sempre in Brasile, uno spot che mi vede protagonista (è la pubblicità di una carta di credito, ndr) e mi sono accorto che in fondo in tanti hanno

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“” Il mio idolo è

CRESCIUTO A VICENZA Pablito è esploso con la casacca biancorossa

stato Kurt Hamrin, l’Uccellino. Guardavo lui per capire come si muoveva, come scattava, come dribblava, come toccava la palla ammirazione e stima nei miei confronti. Il popolo brasiliano oltretutto è affettuoso e accogliente”. Il tempo insomma aiuta a riconoscere il valore del giocatore e della persona. “Fortunatamente la mia immagine viene vista con piacere, il ricordo della gente nei miei confronti è bello, nel mondo e soprattutto in Italia. Ed è legato al Mondiale '82, che ha fatto storia, diventando sotto tutti i punti di vista indelebile. È stato un momento emozionante e gratificante per me”. Quella di Rossi è una lunga storia di

un predestinato, partita da ragazzino quando muoveva i primi passi vicino a casa sua… “A Prato, dove sono nato e cresciuto, giocavamo specialmente con mio fratello Rossano nell’uliveta di Santa Lucia, a due passi da dove abitavo. Ci rimanevamo anche col buio, finché non venivamo richiamati dai genitori. Poi a dodici anni mi trasferii a giocare a Firenze, zona Soffiano, alla Cattolica Virtus. Ricordi belli, di un bambino: prendevo ben tre autobus per arrivare fino al campo d’allenamento. E quella maglia giallorossa

ATTACCANTE VERO

foto Agenzia Liverani

In pochi hanno saputo fare la differenza come Rossi

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I GIGANTI DEL CALCIO / PAOLO ROSSI della Cattolica la porto sempre nel cuore, è un pezzo della mia vita a cui rimarrò sempre particolarmente affezionato”. Erano gli anni in cui simpatizzavi per la Fiorentina… “Sì mio padre tifava viola e tutte le domeniche venivo a Firenze con lui per vedere le partite allo stadio. Per lo scudetto del ‘68-69 sono sempre stato presente. E negli anni precedenti, il mio idolo era stato Kurt Hamrin, l’Uccellino. Guardavo lui per capire come si muoveva, come scattava, come dribblava, come toccava la palla. Ho iniziato a giocare nel suo ruolo, come ala destra. E portavo il numero sette sulle spalle. Quando entravo in campo, insomma, nei sogni volevo essere Hamrin”. A sedici anni arrivi alla Juventus: chi ti scopre? “Luciano Moggi. Faceva l’osservatore per i bianconeri e lo colpii in un torneo che giocammo a Chieti. Fu poi Allodi a chiudere l’affare e a portarmi a Torino, per quattordici milioni e mezzo di lire. Mia madre in particolare era un po’ scettica sul mio trasferimento a Torino, ma

I GIGANTI DEL CALCIO / PAOLO ROSSI

“” Il più forte con cui ho giocato è stato Platini, la classe che aveva era immensa e cristallina. Mi sono rivisto in Inzaghi, ma anche in Pepito Rossi alla fine partii per la mia grande avventura. Mi avevano cercato anche altri club ma la Juventus fu la più tempestiva. Giocando a Firenze si era fatta avanti ad esempio anche la Fiorentina, che poi all’inizio degli Ottanta mi contattò di nuovo: andai a casa dei Pontello per discutere di un mio trasferimento. Detti anche la mia disponibilità, ma il cartellino era del Vicenza e quelli non erano ancora gli anni in cui un calciatore poteva

decidere il suo destino”. Come fu l’impatto con la Juventus? “Mi trovai a contatto con grandi giocatori che avevo solo visto in tv o sulle figurine, cercai subito di imparare da loro. C’erano Zoff, Gentile, Causio ma soprattutto giocatori molto più esperti come Capello e Altafini. Non giocai praticamente mai in prima squadra, anche in seguito ad una serie di infortuni. Fui impiegato in una partita di Coppa Italia con il Cesena e nel ’75 fui ceduto al Como per fare esperienza”.

LA CALMA DEL CAMPIONE

Ancora oggi, Rossi è un uomo di totale eleganza

La grande esplosione però arriva al Vicenza… “Sì, e devo dire grazie a Fabbri che mi trasformò da ala a centravanti. Capì che quello sarebbe stato il mio ruolo perfetto, dove avrei potuto sfruttare la mia scaltrezza e il mio fiuto per il gol. Insieme a Bearzot, Fabbri è stato l’allenatore più importante per me, quasi come un padre. Mi dava sempre consigli, ci teneva a farmi crescere e migliorare, ma era molto attento anche a tenere sempre unito tutto il gruppo. Quelli al Vicenza sono stati francamente gli anni più belli del-

UNA MOSTRA PERSONALE Momenti indimenticabili griffati Paolo Rossi

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I GIGANTI DEL CALCIO / PAOLO ROSSI

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I RICORDI IN BIANCONERO

FOTOGRAFIE STORICHE Istantanee di una carriera sempre da protagonista

Oltre al Mondiale, tante soddisfazioni con la Juve

la mia carriera. In B segnai addirittura ventuno reti e diventai il capocannoniere della squadra. E l’anno dopo feci ancora meglio realizzando 24 gol in A”. È in coppia con Zanone segni gol a raffica… “Sì, con Niki ci intendevamo a meraviglia. Era e resta come un fratello per me. Ci conoscevamo dai tempi di Torino, dove vivevamo in un appartamento insieme”. Anche con il presidente Farina il rapporto è stato speciale… “Ciò che fece andò oltre ogni previsione. Pur di trattenermi al Vicenza decise di mettere in busta quasi tre miliardi di lire (era in comproprietà con la Juventus che invece in busta mise meno di un miliardo, ndr). Esagerò, scatenando una serie di polemiche pazzesche perché in tanti arrivarono a sostenere che mi aveva pagato più di un quadro d’autore. Quando poi mi riprese al Milan a metà degli anni Ottanta, non potei dargli grandi gioie e mi dispiacque molto. Ma gli infortuni mi avevano ormai consumato”. Come ha vissuto la squalifica per il calcioscommesse? 70

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“Ho avuto spesso modo di dire che fu una grave ingiustizia. Di fatto non avevo commesso niente. Avevo solo parlato con una persona che mi aveva presentato un mio compagno di squadra (Della Martira, ndr). Ma in quel colloquio e soprattutto nella mia condotta successiva non ci fu niente che potesse portare alla squalifica. Da parte mia non ci fu nessun illecito. Persi però due anni della mia carriera. Ho pagato per un fatto che non ho commesso”. Quei due anni di squalifica come furono? “Un’eternità. Provai a non pensarci, o quanto meno tentai di immaginare di dover recuperare da un nuovo infortunio. Per fortuna che poi arrivò la chiamata della Juve che mi voleva. E tra Boniperti e Farina fu trovato un nuovo accordo, intorno ai tre miliardi. Tornai per il finale di campionato dell’81-82, giocai tre partite e segnai anche una rete. Partecipai alla conquista dello scudetto della Juve”. Come hai fatto a convincere Bearzot a portarti a Spagna ’82? “Mi stimava moltissimo dai tempi dei Mondiali in Argentina. E poi durante gli

allenamenti con la Juve, prima del mio rientro effettivo, era venuto a volte a vedermi, per capire come stavo, per incoraggiarmi e per rincuorarmi. Mi aveva fatto capire che mi avrebbe voluto convocare. Ci teneva, credeva in me e fu pronto anche ad affrontare tutte le critiche di coloro che ritenevano che non fossi pronto per una competizione del genere". Arriviamo allora al Mondiale del 1982: che cosa ti viene in mente? “La mia maglia numero venti, la tripletta fantastica al Brasile, la grande festa per la conquista della Coppa. Ma tra le altre cose anche il silenzio stampa che fu deciso durante il mondiale”. Ci fu in effetti anche chi lanciò accuse e insinuazioni sull'Italia che non ingranava e su di te… “Si innescarono polemiche roventi con la stampa dopo un girone eliminatorio al di sotto delle aspettative, con critiche a vari giocatori, me compreso. Alla fine ci fecero prendere questa decisione, con Zoff unico portavoce della squadra. Bearzot mi sostenne anche quando nelle prime partite non riuscivo a incidere. La sua fiCalcio 2OOO

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I GIGANTI DEL CALCIO / PAOLO ROSSI

DALLA SQUALIFICA AL MONDIALE Di Antonello Schiavello

730 giorni a pensare e pochi attimi per decidere una Coppa del Mondo

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ono tanti 730 giorni per pensare a non pensare! Il 23 marzo 1980, impetuoso come il più terribile degli uragani, si abbatte con tutta la sua forza sul calcio italiano lo scandalo delle scommesse clandestine. Il grande sogno diventa improvvisamente un enorme incubo. E quando il polverone lentamente si dirada facendo intravedere le colpe e i colpevoli, in mezzo alla verità si materializza anche la figura di Paolo, Pablito agli occhi del mondo. Già, il mondo! Grande bella figura questi italiani agli occhi del mondo alla vigilia di un europeo da disputarsi in casa propria. Due anni sono tanti… L’inattività agonistica gli manca. Lui, nato calciatore non vuole morire senza avere un pallone tra i piedi! Placa il desiderio ritornando a Vicenza. Si allena con gli ex compagni, ma non ex amici. Distrae la mente e maltratta il pallone con calci e rabbia. Sa che prima o poi l’incubo finirà e potrà rivedere la luce. Un giorno di quei 730, lo chiama Boniperti, lo rivuole la Juventus. L’accordo con Farina questa volta non necessita di nessuna busta. Rossi ritorna a Torino. Si allena duramente, con entusiasmo con la solita volontà, perseveranza e abnegazione in attesa del fatidico ritorno in campo. Il 28 aprile termina la sosta forzata. Tre giorni dopo, il 2 maggio 1982 è in campo a Udine con la maglia della Juve e il numero 9 sulle spalle. Passa un minuto e Miano porta in vantaggio i bianconeri di casa. Marocchino, Cabrini e poi lui, al 4° minuto della ripresa. Di testa. Quella testa finalmente libera da ogni cattivo pensiero. La palla entra in rete e quella testa ora ha centomila pensieri. Giocherà anche le ultime 2 partite conquistando lo scudetto a Catanzaro grazie al rigore di Brady. Il risveglio non poteva essere più dolce! O forse sì… Bearzot, che non aveva mai smesso di fargli sentire la sua vicinanza, lo include volontariamente nella lista dei 22 azzurri che voleranno in Spagna per il Mondiale. La stampa non ci mette molto ad aggredire le scelte del CT. Ma come? Porti Rossi che non gioca da 2 anni a scapito di altri che meriterebbero la convocazione? Lo stesso clima teso ed agguerrito nei confronti della Nazionale porterà, nel pre e nei primi giorni del Mundial, alla decisione del famoso silenzio stampa. Camerun, Perù e Polonia. Il nostro girone non sembra proibitivo, ma lo passiamo solamente grazie alla differenza reti. Il gioco scadente e privo di emozioni fornito dalla squadra azzurra alimenta ancor di più le critiche dei media. Ma Bearzot va dritto per la sua strada. Rossi, impalpabile le ha giocate tutte e tre. È in evidente pessimo stato di forma. L’inattività ha pesato indubbiamente ma la sua è solo una questione di testa. 72

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I GIGANTI DEL CALCIO / PAOLO ROSSI Qualsiasi allenatore avrebbe fatto a meno di lui nel proseguo della competizione. Enzo Bearzot no. Rossi è titolare contro l’Argentina di Maradona. La sua maglia numero 20 si bagnerà di sudore ancora una volta. I movimenti sono più naturali, meno legati. Sente che sta ritornando il Pablito di un tempo. Vinciamo 2-1 grazie ai gol di Tardelli e Cabrini. Le cornacchie appollaiate sulle tribune del Sarria gracchiano finalmente commenti lusinghieri nei confronti degli azzurri. E ancora non è nulla! La terza squadra del mini girone è il Brasile di Zico, Falcao, Socrates ed altri straordinari interpreti della materia. Passeggia sulle strisce biancoazzurre argentine imponendosi per 3-1. Contro di noi nell’ultima gara potrebbero accontentarsi di un pareggio per via della miglior differenza reti ma loro sono il Brasile. Dai tempi di Pelé il Brasile è sinonimo di spettacolo, gol e vittoria. Perché accontentarsi di un pareggio? È lunedì 5 luglio 1982. L’orologio segna le 17.15. Non sembra nemmeno un normale giorno di lavoro in Italia. Sulle strade deserte l’afa imbestialita cerca disperatamente qualcuno dove appoggiarsi. Dalle finestre spalancate impetuosa scivola libera ed unanime dal nord al sud la voce amica di Nando Martellini. È il giorno di Italia-Brasile, la madre di tutte le partite. Zoff, Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati, Scirea, Conti, Tardelli, Rossi, Antognoni, Graziani. Altro che i sette re di Roma! Con tutto il rispetto, per noi la storia da imparare a memoria era questa! L’israeliano Klein fischia l’inizio. Agli azzurri bastano 300 secondi per far capire ai brasiliani che forse era meglio per loro accontentarsi di un pareggio! Brunetto da Nettuno cambia gioco e da destra apre a Cabrini padrone della fascia sinistra. Controllo in corsa e cross preciso sul secondo palo dove irrompe Rossi che di testa piazza la sfera sul palo opposto prendendo in controtempo Valdir Peres portandoci in vantaggio. E vaiii. Si è sbloccato Rossi. Pareggia Socrates. Ma ancora lui, il ragazzo di Prato ci riporta in vantaggio al 25°. Nella ripresa Falcao infila nella porta di Zoff il gol del momentaneo 2-2. Zico e compagni potrebbero accontentarsi. Questo risultato sarebbe sufficiente a qualificarli per le semifinali. Ma loro sono il Brasile! Vero, ma oggi Paolo non è Paolo Rossi. E semplicemente un’iradiddio… Al 74° dagli sviluppi del primo calcio d’angolo a favore degli azzurri nasce il nuovo e definitivo vantaggio. Il corner lo batte Conti, un difensore respinge di testa. Tardelli pur contrastato riesce a tirare nello specchio dove, appostato a pochi metri dalla porta c’è ancora lui, Rossi. Scaltro, opportunista e al posto giusto nel momento giusto. Zampata felina e palla in fondo al sacco. E sono tre. Apoteosi. Nel finale Zoff proteggerà questa vittoria compiendo un’incredibile parata su un colpo di testa di Oscar ormai certo di aver segnato. Il triplice fischio sancisce la fine delle ostilità. Italia, pardon, Rossi 3-Brasile 2. Siamo in semifinale. Non male per una nazionale subissata da critiche e polemiche solamente pochi giorni prima! E Paolo? Che ha fatto piangere il Brasile con i suoi tre gol? Non male per uno che, a detta delle solite cornacchie, non doveva nemmeno vederli in televisione quei mondiali ed invece è diventato la maledizione vivente di una nazione! E il vecio dalla pipa fumante? Non male per uno che ha sempre e comunque creduto in questi ragazzi,

LA MAGICA NUMERO 20

Rossi e la Nazionale, un rapporto senza fine

aprendosi come un ombrello per proteggerli. Non male davvero! La semifinale contro la Polonia, orfana di Boniek, assume le sembianze di una semplice formalità. Capirai, abbiamo vinto contro il strafavorito Brasile, cosa vuoi che sia far un solo boccone dei polacchi… Bearzot però non la pensa alla stessa maniera. Impone ai suoi “figli” concentrazione massima e attenzione . Anche il Brasile ci aveva sottovalutati. Non facciamo lo stesso errore. Rossi e poi ancora Rossi e quella scritta sul grande schermo dello stadio: Paolo Rossi L’hombre del partido! La consapevolezza che ormai niente e nessuno poteva fermare la loro corsa verso il trionfo era nata subito dopo la gara con il Brasile ma adesso era cresciuta a dismisura. Solo Bearzot versava acqua gelida sugli entusiasmi ma, permetti che la mia voce arrivi lassù dove ora sei. Sono sicuro che una goccia di quell’acqua non ti ha mai bagnato. E lo sai anche tu. Madrid 11 luglio 1982, stadio Santiago Bernabeu. Atto finale di un Mundial entusiasmante, travolgente e indimenticabile. È il grande giorno di Italia-Germania. Per i tedeschi la rivincita dell’Azteca 1970, per noi semplicemente il giusto e meritato coronamento di un torneo in crescendo. Le tribune sono stracolme. In mezzo a loro, posato e pacato emerge la figura del nostro Capo dello Stato, l’indimenticato Sandro Pertini. Sulle prime, il comportamento è consono al ruolo che interpreta. Dopo il terzo gol di Altobelli…non ce n’è per nessuno! Grande Presidente. Ti immagino lassù assieme al vecio immersi nelle nuvole di fumo mentre litigate con le carte in una mano e le pipe nell’altra…Grazie di

tutto. Memorabili. Così come memorabili resteranno quelle foto scattate sull’aereo presidenziale che riportò gli azzurri in Italia mentre ritraggono Pertini, Causio, Zoff e Bearzot impegnati in una storica partita a scopone scientifico, sotto lo sguardo lucente e dorato di una coppa. O quando, arrivati al Quirinale e pronti per il pranzo d’onore disse: Bearzot alla mia destra, Zoff alla mia sinistra e poi via via tutto il resto della squadra. E se gli onorevoli non trovano posto…che si arrangino! Mitico. Ma tutto questo sarebbe venuto poi. Prima c’è il rigore sbagliato da Cabrini, prima c’è il gol di Rossi, prima c’è l’altro urlo famoso della storia dopo quello di Munch, prima c’è il gol di spillo, prima c’è il gol di Breitner. Prima c’è il trionfo. Prima c’è il giro di campo con la coppa tra le mani del quarantenne Zoff. Prima c’è un’Italia paralizzata, impazzita, festante e sul tetto del mondo. Agli occhi del mondo… Con 6 reti Paolo è il capocannoniere di quella edizione dei Mondiali. Dopo, arriveranno altri riconoscimenti a titolo personale. La Scarpa d’Oro quale miglior giocatore dei Mondiali e il Pallone d’Oro. Dopo Rivera nel 1969 il secondo italiano a vincerlo. L’82, prima di finire, riserva per Paolo però un’altra gioia, la più grande che un uomo possa provare. La nascita di un figlio. Ho realizzato tutti i miei sogni. Sono un uomo felice e un calciatore appagato ampiamente. Cosa posso volere di più dalla vita? Dopo aver vinto un Mondiale cos’altro mi resta da vincere? Domande lecite. Dalla bufera dello scandalo calcioscommesse alla Coppa del Mondo, il miracolo firmato da Paolo Rossi… Calcio 2OOO

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I GIGANTI DEL CALCIO / PAOLO ROSSI

I GIGANTI DEL CALCIO / PAOLO ROSSI

BEARZOT, IL MAESTRO

PABLITO E I SUOI AMICI

Il tecnico che ha creduto, sempre e comunque, in Rossi

Rossi mostra alcune foto con tanti amici campioni...

ducia verso di me era totale. In generale, Bearzot era un allenatore preparato, studiava alla perfezione gli avversari, ci diceva tutti i particolari della squadra che avremmo affrontato il giorno successivo. E poi come persona, era di una serietà assoluta, dotato di quei valori veri, di un tempo”. E tu lo hai ampiamente ripagato… “Vincere quel Mondiale è stata un’impresa favolosa, non a caso se ne parla ancora a distanza di più di trent’anni. La partita col Brasile è stata forse la gara del secolo, con emozioni incredibili da una parte e dall'altra, fino alla fine”.

foto Agenzia Liverani

E poi c’era il tifo speciale del presidente della Repubblica… "Sì, ricordo Pertini come uno dei nostri grandi tifosi in quel Mondiale, ma anche come uno di quei personaggi straordinari che non ci sono più e che sono stati capaci di rendere ancora più particolare quella Coppa. Non dimentico che quando ci ricevette al Quirinale per festeggiare, ci disse: ‘Non sapete quanto sono felice oggi. Tutte le volte che invece devo ricevere i capi di Stato, una noia…”

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Bearzot? Ci teneva, credeva in me e fu pronto pure ad affrontare tutte le critiche di coloro che ritenevano che non fossi pronto Torniamo al calcio: il giocatore più forte con cui ha giocato? “Platini, la classe che aveva era immensa e cristallina” Il giocatore che più si è avvicinato alle tue caratteristiche? "Inzaghi. Ma mi sono rivisto anche in Giuseppe Rossi. E non per una questione di omonimia. È veloce e anche tecnico, sa giocare, dribbla. Magari rispetto a me ha anche un tiro potente e preciso. Mi auguro che possa riprendersi totalmente

e tornare alla grande”. Chiudiamo col presente: perché dopo la fine della carriera non sei rimasto nel calcio? “Perché non ho mai avuto la volontà di fare l’allenatore o di ricoprire altri ruoli nel mondo del pallone. Ho avvertito l'esigenza di staccarmi un po'. Mi sono dedicato ad altre attività, pur continuando a seguire il mondo del pallone. E adesso mi diverto a commentare le partite della Champions per Sky, facendolo con il massimo dell’obiettività. Senza dimenticare che comunque la famiglia ha sempre un valore importantissimo”.

Intervista di Lorenzo Marucci Calcio 2OOO

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SPECIALE STORIA - COPPA DEI CAMPIONI

di Gabriele PORRI

Liverpool da sogno, in finale cade il Bruges grazie ad un guizzo di Dalglish…

foto Agenzia Liverani

BIANCONERI SFORTUNATI Il Bruges ferma la corsa della Vecchia Signora...

LA JUVE SI FERMA IN SEMIFINALE 76

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opo la Coppa dei Campioni del 1977, il Liverpool ottiene il double, vincendo il decimo titolo inglese con un punto di vantaggio sul Manchester City. I Reds, grazie alla perdurante assenza degli albanesi, passano direttamente agli ottavi di finale. King Kevin Keegan ha lasciato Anfield per l’ambizioso Amburgo. Per sostituirlo, il manager Paisley preleva dal Celtic per 440.000 sterline (60.000 in meno di quelle incassate per la cessione di Keegan) Kenny Dalglish, ala ventiseienne che con i Bhoys ha conquistato sei titoli in sette anni. Il Liverpool resta la squadra da battere anche per la stagione 1977-78, gli avversari sono Borussia Mönchengladbach, nonostante la cessione al Real di Stielike e del danese Jensen, Juventus, Ajax, Benfica e Atletico Madrid. Come spesso accade, nei sedicesimi ci sono poche sfide equilibrate. Solo una, tra Benfica e Torpedo Mosca, termina ai rigori con la vittoria dei portoghesi e un’altra, tra il Dukla Praga e il Nantes, si decide a favore dei secondi grazie ai gol in trasferta. Vanno avanti le squadre favorite, con le sorprese B1903 Copenaghen, che elimina il Trabzonspor e Glentoran, fortunato nel trovare gli islandesi del Valur sulla sua strada. Ancor di più la Juventus che, dopo un facile primo turno contro l’Omonia Nicosia, agli ottavi pesca proprio il Glentoran, che regola in scioltezza con un 6-0 complessivo. Oltre alla Juve, il sorteggio degli ottavi arride anche al Benfica, che pesca i danesi e riesce a trovare il massimo risultato con il minimo sforzo, due 1-0 entrambi siglati dal terzino destro Minervino Pietra. Nella stagione che porterà l’Austria al mondiale argentino, i campioni della Nazione alpina del Wacker Innsbruck riescono a conquistare i quarti dopo una prestazione magistrale, con un 3-0 al Celtic che ribalta il punteggio (1-2) dell’andata. L’esordio dei campioni in carica è roboante, ad Anfield la Dinamo Dresda viene sepolta di reti, 5-1 con doppietta di Jimmy Case, che da ragazzo pensava di fare l’elettricista e che invece in quel 1978 vince il Bravo, neonato premio per il miglior under 23 europeo. Il 2-1 con cui la Dinamo Dresda vince al ritorno è ininfluente, il Liverpool è ai quarti, dove il Borussia si presenta in modo eclatante dopo gli otto gol rifilati nel doppio confronto alla Stella Rossa di Belgrado. Vanno avanti anche l’Ajax (doppio 2-1 ai bulgari del Levski), l’Atletico Madrid che nell’ultimo quarto d’ora ribalta l’esito della sfida con il Nantes e il Bruges allenato da Ernst Happel, vincitore della storica Coppa dei campioni sulla panchina del Feyenoord

SPECIALE COPPA DEI CAMPIONI/ 1977-1978 qualche anno prima. La serie dei quarti ha un inizio choc quando l’Innsbruck al 27’ è già in vantaggio 3-0 sul Mönchengladbach. Segna Peter Koncilia (fratello del più famoso portiere) dopo soli 8’, raddoppia Kriess di testa e triplica Schwarz su punizione. La squadra del tedesco Kessler potrebbe addirittura portarsi sul 4-0 quando il rumeno Rainea le concede un penalty, ma Peter Koncilia sbaglia. Arriva così il gol di Heynckes che rimette tutto in discussione, in vista del ritorno. A Mönchengladbach, i tedeschi ottengono un rigore al 18’, che Bonhof trasforma, poi è lo stesso Bonhof a offrire l’assist per il gol di testa di Heynckes alla mezzora. Gli austriaci attaccano per tutto il secondo tempo, ma il risultato finale resta il 2-0 dell’intervallo e sarà la rete in trasferta a dare la semifinale ai renani. Al penultimo atto arrivano anche i campioni in carica, a spese del Benfica. I lusitani passano in vantaggio al “Da Luz” con Nené, per la gioia della monumentale folla sugli spalti, ma il Liverpool non si scompone e al 25’ trova il pareggio con Dalglish. Il pari potrebbe andare bene alla squadra di Paisley (rafforzatasi in inverno con l’arrivo di Graeme Souness), che si difende con ordine e al 71’ trova addirittura il gol-vittoria del difensore Hughes. Al ritorno gli inglesi vincono con un secco 4-1 ed è semifinale. Il Bruges ospita l’Atletico in una sfida equilibrata, con gli episodi favorevoli ai belgi: gol con un tiro da fuori di Courant a fine primo tempo, raddoppio al 55’ con tiro di Coubert da fuori area, deviato, a ingannare Reina. Marcial spreca un rigore assegnato per fallo di Leekens su Ruben Cano e poi gli spagnoli si vedono annullare un gol dal tedesco Aldinger. I madrileni, allenati dalla gloria locale Luis Aragones, mancano l’1-2 nel finale con Cano, ma nella sfida di ritorno vanno al riposo sul 2-0, pareggiando i conti, grazie a Benegas di testa e Marcial con un rasoterra. Al 56’ Cools spara una botta da fuori, traversa e gol. Ora l’Altetico deve segnare due gol: ne trova subito uno con Ruben Cano di testa, ma mentre attacca per il 4-1, il 3-2 di Lambert chiude il discorso. Abbiamo finora parlato poco della Juve, complici i primi due turni all’acqua di rose. Con l’emergente Trapattoni in panchina, Boniperti ha vinto la sua scommessa. Lo scudetto 1977 è passato alla storia come quello dei record, 51 punti su 60 contro i 50 del Toro a cui la Juve ha scucito lo scudetto dal petto. La Juve costituisce anche l’ossatura della nazionale che ha conquistato il pass per l’Argentina a spese niente meno che dell’Inghilterra. Nel marzo 1978, ai quarti di Coppa Campioni l’avversario è l’Ajax allenato da Tomislav Ivic, lontano parente di quello di inizio decennio. L’eliminatoria si svolge nel segno del “vecchio” Zoff, che ad

Amsterdam para il parabile e anche qualcosa in più, tranne il gol di van Dord all’86’. Sembra tutto perduto, ma all’ultimo giro di orologio Causio lanciato da Tardelli batte Schrijvers in uscita con un tocco delizioso di esterno destro. È fatta, dicono i commentatori, con lo 0-0 al ritorno la Juve è in semifinale. I bianconeri vanno oltre e a Torino passano in vantaggio con Tardelli, ma al 76’ La Ling li raggiunge: ai supplementari non accade nulla ed è ancora il portiere friulano a portare avanti la Juve, parando due rigori nella serie finale. La Juve trova il Bruges in semifinale, mentre dall’altra parte l’urna di Zurigo regala il replay della finale della precedente stagione. Il Borussia ha Simonsen infortunato, ma nonostante ciò a Düsseldorf il centrale Hannes porta avanti i suoi verso la mezzora. Quando il Liverpool pareggia con l’incornata di Johnson a due minuti dalla fine, gli inglesi pensano di riuscire a portare a casa il pareggio, ma non hanno fatto i conti con la grinta di Bonhof che batte Clemence facendo passare la palla tra le braccia del portiere e la traversa. A Torino, intanto, il Bruges sta facendo ammattire i bianconeri con un’applicazione ossessiva della trappola del fuorigioco. Happel sembra riuscire nel suo intento di portare a casa lo 0-0, ma a tre dalla fine Bettega trova la rete del vantaggio. Le semifinali di ritorno ribaltano in entrambi i casi il punteggio dell’andata, ma se per il Liverpool è tutto facile e si risolve col 3-0 di Case a inizio ripresa, al Bruges servono i supplementari per conquistare la finale, nonostante il gol dell’1-0 che pareggia i conti arrivi dopo tre soli minuti di gioco con capitan Bastijns. A quattro minuti dal fischio finale arriva il gol vittoria di Vandereycken, dopo che la Juve ha avuto molto da recriminare per l’espulsione di Gentile (doppia ammonizione) e un rigore non dato a Cabrini. I bianconeri escono dopo la miglior prestazione esterna dell’anno, a testa alta, ma a Wembley ci vanno i fiamminghi. Liverpool-Bruges non è una novità, a livello di finale europea. Due anni prima è stata la doppia finale di Coppa UEFA, in cui i belgi hanno fatto soffrire i Reds, costretti in casa all’andata a rimontare da 0-2 a 3-2, conquistando poi il trofeo con l’1-1 in Belgio. Sono ben cinque le facce nuove rispetto alla finale dell’Olimpico di un anno prima per il Liverpool, che nel primo tempo non riesce a scardinare il fortino di Happel. Il copione dopo il riposo non cambia, almeno per i primi 19’, poi Souness fa filtrare un pallone per Dalglish che in diagonale batte Jensen. Una doccia fredda per i belgi, che cercano di portarsi avanti, ma non riescono a essere incisivi, il Liverpool controlla, l’1-0 basta, ed è la prima volta che una squadra inglese alza questo trofeo per due stagioni di fila. Calcio 2OOO

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SEMIFINALE 1

SEMIFINALE 2

FINALE

BORUSSIA MÖNCHENGLADBACH-LIVERPOOL 2-1 (1-0)

JUVENTUS-BRUGES 1-0 (0-0)

LIVERPOOL-BRUGES 1-0 (0-0)

Mercoledì 29 marzo 1978, ore 20 DÜSSELDORF (Stadio "Rhein") Arbitro: Emilio GURUCETA MURO (ESP) Spettatori: 62.000

Mercoledì 29 marzo 1978, ore 20:30 TORINO (Stadio "Comunale") Arbitro: Jean DUBACH (SUI) Spettatori: 70.000

Mercoledì 10 maggio 1978, ore 19:15 LONDRA (Stadio "Wembley") Arbitro: Charles CORVER (NED) Spettatori: 92.500

BORUSSIA MÖNCHENGLADBACH: Wolfgang KLEFF, Hubert VOGTS (cap.), Wilfried HANNES, Horst WOHLERS, Rainer BONHOF, Carsten NIELSEN, Karl DEL'HAYE, Herbert WIMMER, Ewald LIENEN [81' Dietmar DANNER], Christian KULIK, Josef HEYNCKES Commissario tecnico: Udo LATTEK.

JUVENTUS: Dino ZOFF, Antonello CUCCUREDDU, Claudio GENTILE, Giuseppe FURINO (cap.) [51' Antonio CABRINI], Francesco MORINI (cap.), Gaetano SCIREA, Franco CAUSIO, Marco TARDELLI, Roberto BONINSEGNA, Romeo BENETTI, Roberto BETTEGA Commissario tecnico: Giovanni TRAPATTONI.

LIVERPOOL: Raymond CLEMENCE, Philip NEAL, Alan HANSEN, Philip THOMPSON, Raymond KENNEDY, Emlyn HUGHES (cap.), Kenneth DALGLISH, James CASE [62' Stephen HEIGHWAY], David FAIRCLOUGH, Terence MC DERMOTT, Graeme SOUNESS Commissario tecnico: Robert PAISLEY.

BRUGES: Birger JENSEN, Alfons BASTIJNS (cap.), Eduard KRIEGER, Georges LEEKENS, Jozef VOLDERS, Julien COOLS, René VANDEREYCKEN, Daniel DE CUBBER, Bernard VERHEECKE, Paul COURANT, Jan SØRENSEN Commissario tecnico: Ernst HAPPEL.

BRUGES: Birger JENSEN, Alfons BASTIJNS (cap.), Eduard KRIEGER, Georges LEEKENS, Gino MAES [65' Jozef VOLDERS], Julien COOLS, René VANDEREYCKEN, Daniel DE CUBBER, Jan SIMOEN, Lajos KÜ [58' Dirk SANDERS], Jan SØRENSEN Commissario tecnico: Ernst HAPPEL.

Rete: 87' Roberto BETTEGA.

Rete: 64' Kenneth DALGLISH.

Ammoniti: 54' Julien COOLS, 81' Daniel DE CUBBER.

Ammoniti: 29' James CASE, 34' René VANDEREYCKEN.

LIVERPOOL: Raymond CLEMENCE, Philip NEAL, Thomas SMITH, Philip THOMPSON, Raymond KENNEDY, Emlyn HUGHES (cap.), Kenneth DALGLISH, James CASE, Stephen HEIGHWAY [85' Graeme SOUNESS], Terence MC DERMOTT [63' David JOHNSON], Ian CALLAGHAN Commissario tecnico: Robert PAISLEY.

GARA DI ANDATA

GARA DI ANDATA

SPECIALE COPPA DEI CAMPIONI/ 1977-1978

Reti: 28' Wilfried HANNES, 88' David JOHNSON, 89' Rainer BONHOF.

BRUGES-JUVENTUS 2-0 d.t.s. (1-0, 0-0; 0-0, 1-0)

Mercoledì 12 aprile 1978, ore 19:30 LIVERPOOL (Stadio "Anfield Road") Arbitro: Karoly PALOTAI (HUN) Spettatori: 51.500

Mercoledì 12 aprile 1978, ore 20 BRUGES (Stadio "Olympial") Arbitro: Ulf ERIKSSON (SWE) Spettatori: 32.000

LIVERPOOL: Raymond CLEMENCE, Philip NEAL, Thomas SMITH, Philip THOMPSON, Raymond KENNEDY, Emlyn HUGHES (cap.), Kenneth DALGLISH, James CASE, Stephen HEIGHWAY, Terence MC DERMOTT, Graeme SOUNESS Commissario tecnico: Robert PAISLEY.

BRUGES: Birger JENSEN, Alfons BASTIJNS (cap.), Eduard KRIEGER, Georges LEEKENS [75' Dirk SANDERS], Jozef VOLDERS, Julien COOLS, René VANDEREYCKEN, Jan SIMOEN, Raoul LAMBERT [46' Gino MAES], Bernard VERHEECKE, Jan SØRENSEN Commissario tecnico: Ernst HAPPEL.

BORUSSIA MÖNCHENGLADBACH: Wolfgang KLEFF, Hubert VOGTS (cap.), Wilfried HANNES, Hans Jürgen WITTKAMP, Rainer BONHOF, Horst WOHLERS [71' Winfried SCHÄFER], Karl DEL'HAYE, Herbert WIMMER [71' Ewald LIENEN], Carsten NIELSEN, Christian KULIK, Josef HEYNCKES Commissario tecnico: Udo LATTEK.

GARA DI RITORNO

GARA DI RITORNO

LIVERPOOL-BORUSSIA MÖNCHENGLADBACH 3-0 (2-0)

JUVENTUS: Dino ZOFF, Antonello CUCCUREDDU, Antonio CABRINI, Claudio GENTILE, Luciano SPINOSI, Gaetano SCIREA, Franco CAUSIO (cap.), Marco TARDELLI [91' Giuseppe FURINO], Pietro FANNA [105' Roberto BONINSEGNA], Romeo BENETTI, Roberto BETTEGA Commissario tecnico: Giovanni TRAPATTONI.

Reti: 7' Raymond KENNEDY, 34' Kenneth DALGLISH, 55' James CASE.

Reti: 3' Alfons BASTIJNS, 116' René VANDEREYCKEN.

Ammonito: 43' Thomas SMITH.

Ammoniti: 111' Claudio GENTILE, 119' Roberto BONINSEGNA, 55' Romeo BENETTI, 56' Eduard KRIEGER, 9' Claudio GENTILE. Espulso: 111' Claudio GENTILE.

ROBERT PAISLEY

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di Simone TONINATO

ACCADDE AL/MONDIALE 1982

MONDIALE 1982

C

UN EVENTO MEMORABILE Il Mundial ci ha regalato emozioni fortissime...

Era il 12 luglio 1982, un giorno in cui le carte presero il potere… 80

Calcio 2OOO

foto Liverani

SCOPONE MUNDIAL 82

i sono partite che non si dimenticano: Italia – Germania 3-1, finale del Mondiale ’82, è una di queste. Il rigore sbagliato da Cabrini nel primo tempo, poi i gol di Rossi, Tardelli e Altobelli, il Presidente della Repubblica Sandro Pertini che si alza dicendo, un po’ a parole, un po’ a gesti: “non ci prendono più” e la voce di Martellini che urla a tutti gli italiani: “Campioni del Mondo, Campioni del Mondo, Campioni del Mondo”. Per tre volte, a enfatizzare il concetto che per la nostra Nazionale, quello in Spagna è il terzo successo mondiale (pareggiamo il conto col Brasile). Poi ci sono i dopopartita, di quelli di solito non si ha memoria, vuoi perché si consumano privatamente, tra calciatori e tecnici che poi puntualmente scendono da un aereo, in mezzo a fotografi, giornalisti e fan impazziti che li acclamano, vuoi perché in fondo l’importante è vincere e di ciò che viene dopo, chi se ne frega. Di solito, ma non sempre: non quella volta. Anzi, si tratta forse di uno dei pochi casi in cui quanto avvenuto dopo i novanta minuti di gioco, per certi versi è forse ancor più significativo della partita stessa. I meno “calciofili”, potrebbero infatti aver dimenticato la sequenza dei gol azzurri (al rogo costoro), o che la Germania Ovest accorciò nel finale con Breitner. Ma non potrebbero mai dimenticare una foto, scattata sull’aereo presidenziale di ritorno da Madrid all’indomani della finale, in cui viene ritratta la Coppa del Mondo in bella mostra sul tavolo, insieme a quattro persone. A destra ci sono: Enzo Bearzot, lato corridoio, e Pertini, finestrino. A sinistra: Franco Causio, di fronte al Presidente, e Dino Zoff, dirimpetto al “Vecio”, nomignolo simpaticamente affibbiato al Commissario Tecnico. Bearzot fuma la consueta pipa, Pertini, anch’egli incallito sostenitore del fumo lento, no, ma la tiene vicino a sé, spenta, accanto all’oblò. Mentre gli altri sull’aereo scherzano e sorridono, lui appare teso e concentrato nel guardare verso il centro del tavolo. Paura dell’aereo? Macché neanche per sogno, uno come lui poi. Paura di perdere? Si, ma perdere cosa se il Mundial è già nostro e lui ha assistito dalla tribuna al trionfo di Zoff e soci? Ha paura di uscire sconfitto

dalla partita nella partita, una bisca, uno scopone scientifico. Tatticamente si schierarono a “X”: Zoff-Pertini, CausioBearzot, un capitano e un presidente, contro un barone e un condottiero. Intrigo internazionale ad alta quota, sul DC9 3113 diretto a Ciampino. Ma di chi fu la sensazionale trovata? “Diciamo che fu un’idea un po’ di tutti – è di Dino Zoff la voce narrante – si decise così di fare una smazzata a scopone, non fu il Presidente ad organizzarla, ma era certo d’accordo che si giocasse. Chiese a noi cosa eravamo soliti fare nel tempo libero e noi di solito questo facevamo, giocavamo a carte”. Perché i selfie non c’erano ancora, i tweet e gli hashtag nemmeno, altrimenti sai che “like”. Qualcuno portava le carte, ci si sedeva attorno a un tavolo, si mischiava, si alzava e via, senza pensarci su, improvvisando anche sulla composizione delle coppie: “Sì, anche gli accoppiamenti furono casuali. Pertini era un buon giocatore di carte, Bearzot era bravo, Causio anche, e io me la cavo. Diciamo che eravamo tutti discretamente capaci”. Più che capaci evidentemente, perché la partita è tiratissima e in perfetta parità (14-14), quando Causio, barone si ma baro no, si fa cadere di mano un sette con una nonchalance da bluffatore consumato. Pertini lo guarda, ma non lo prende. Bearzot, che ha il settebello, invece, ne fa un sol boccone: è il punto decisivo. Apriti cielo, Pertini se la prende con tutto e

tutti, col fato, con i vincitori e pure con il suo povero compagno Zoff: “Vinsero loro e ci fu una discussione sulla ballata del sette lanciato da Causio che Pertini lasciò passare. Eravamo pari e con quel punto perdemmo. Il Presidente lì per lì si arrabbiò, come accade sempre quando si gioca a carte, ma non direi che si trattò di una arrabbiatura vera e propria. Subentrarono delle discussioni sul perché e per come, così e colà, un asso non preso eccetera eccetera”. Una informale discussione con un uomo qualunque insomma: “Era certamente un uomo normale – prosegue Zoff – e c’è anche da dire che in un certo senso il gioco finisce per parificare un po’ tutto”. Ma a guardar bene la vicenda, una differenza c’è, perché è vero che in tutte le partite di carte chi perde finisce per accusare tutti, ma l’accusatore viene anche accusato a sua volta o preso in giro dal resto della cricca. Questa volta no, in fondo era pur sempre il Presidente della Repubblica: “Non dissi mai a Pertini che a sbagliare era stato lui e non io, ma un anno dopo, quando mi ritirai dal calcio, mi spedì un telegramma in cui tra le altre cose ammetteva l’errore commesso in quella partita. Probabilmente ci ha ripensato dopo (ride,ndr), ma io sul suo errore non dissi mai nulla”. Era il 12 luglio del 1982, il giorno in cui, dopo aver vinto il Mondiale, l’Italia del calcio e quella della politica se la giocarono a carte… e si rischiò la guerra civile.

foto Liverani

ACCADDE AL

Sandro Pertini Calcio 2OOO

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DOVE SONO FINITI

di Stefano BORGI

DOVE SONO FINITI/ carlo muraro

CARLO MURARO

Carletto “Jair” Sparalesto

LEGATO ALL'INTER Scudetto e Coppa Italia con i nerazzurri

Ala vecchio stampo, agile, scattante, forte di testa. Herrera lo paragonava al grande Jair...

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l calcio vive di storie, di miti, di imprese eroiche... e di soprannomi. Alcuni, come Rivera, ne avevano addirittura due. Ricordate? Golden Boy da una parte, Abatino dall’altra. Gigi Riva era per tutti “rombo di tuono”, Baggio il “divin codino”. Per non parlare di Totti (“er pupone”) e Del Piero (“pinturicchio”). Insomma nessuno può sfuggire, neppure Carlo Muraro da Gazzo Padovano. “Herrera mi chiamava lo ‘Jair bianco’ - racconta - per il mio dribbling, la mia velocità. Carletto Sparalesto, invece, me lo dette Gianni Brera. Anche se io con Brera non ci ho mai parlato...”.

Nel ‘75 il prestito al Varese in Serie B “Arrivammo quarti, segnai ben 16 gol. Facevo la prima punta, avevo elevazione, e poi eravamo una squadra di grandi promesse: Dal Fiume, Ferrario, Martina, Maggiora, Sabatini (Walter, l’attuale DS della Roma, ndr.)”

CARRIERA DA ALLENATORE Muraro, smesso di giocare, si è divertito ad allenare

Beh, sentirsi dare del ‘Jair bianco’ non è male... “Direi proprio di no. Tra l’altro col vero Jair mi sono anche allenato, era il 1972 mi sembra. Comunque un po’ mi ci rivedo, anche se lui era destro ed io sinistro...”

foto Agenzia Liverani

Carletto Sparalesto, invece? “Credo per la mia velocità, e per la rapidità nel tiro. Del resto Brera ne aveva uno per tutti. Io ho sempre accettato i soprannomi senza problemi, non mi hanno mai pesato...”

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Torniamo ad Herrera “Mi ha fatto esordire in Serie A, fu il primo a credere in me. Ricordo che avevano tutti paura di lui, anche gente come Mazzola, Facchetti, Boninsegna. Io con Herrera ebbi un buonissimo rapporto, mi ha fatto maturare, spesso mi metteva terzino per farmi crescere. Ricordo che ci allenavamo a grandi ritmi, con grande attenzione, e ad ogni allenamento il pallone c’era sempre. Helenio era molto avanti...”

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Herrera fu il primo a credere in me, mi fece esordire in serie A. Ricordo che tutti avevano paura di lui...

Poi il ritorno all’Inter e la corte di Boniperti “Il ‘76-’77 fu l’anno della mia consacrazione. Le premesse erano di una grande carriera, migliore di quella che poi è stata. Ricordo un filotto di tre partite, tra dicembre e gennaio, nel quale feci sette gol. A quel punto tutti cominciarono a chiamarmi il Jair bianco: oltre ad Herrera anche Benito Lorenzi. Maroso arrivò a dire che ero più potente di Jair. Fu lì che arrivò l’interessamento della Juventus. Addirittura seppi che ero già stato ceduto in cambio di Anastasi. Poi si mise di mezzo Mazzola, che era molto influente in società. Devo dire gli sono grato, io e Sandro siamo stati anche in camera insieme...” C’è qualche rimpianto, o sbaglio? “Diciamo che quella della carriera inferiore alle attese è un’impressione anche mia. Però che vuole, svanisce l’effetto sorpresa, gli avversari cominciano a conoscerti. In più ho subito tanti infortuni che mi hanno ostacolato... Dovevo sempre ricominciare da capo”. Tutto qua? “Ero molto sensibile, forse troppo. Soffrivo in maniera eccessiva i miei errori, avrei dovuto essere più menefreghista. Ma è il mio carattere, non ci posso far niente. E comunque sono contento di quello che ho fatto”. E allora andiamo col palmares: una Coppa Italia, un Mundialito per club, soprattutto uno scudetto. Tutto con l’Inter... Calcio 2OOO

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DOVE SONO FINITI/ carlo muraro

In più un certo Muraro... “Quell’anno giocai 24 partite con 5 gol. L’anno prima 27 presenze e ben 11 gol. Sopratutto correvo come un matto. Ero il primo a portare il pressing, addirittura sui calci piazzati marcavo l’avversario più bravo di testa. Ricordo tanti duelli con Brio della Juventus”. Già, il colpo di testa. Eppure lei è alto appena 176 cm... “Questione di esplosività, l’elevazione è una dote naturale. Io sui palloni ci andavo prima, ed anticipavo l’avversario. Ho fatto tantissimi gol di testa, ed anche di destro, nonostante fossi un sinistro naturale”.

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In carriera potevo fare di più. Ero troppo sensibile, soffrivo gli errori. Dovevo essere più menefreghista

A proposito di rimpianti, la Coppa dei Campioni del 1981? “No, nessun rimpianto. La vinse il Liverpool sul Real Madrid, mica le ultime arrivate. Noi fummo la sorpresa, conquistammo la semifinale e perdemmo dal Real. Tutta colpa del Santiago Bernabeu”. Si spieghi meglio... “Quell’Inter nasceva dallo zoccolo duro del vivaio. Per molti di noi era la prima esperienza ad alti livelli, ed il Bernabeu ti mette paura. Ricordo che ci tremavano le gambe. Nella partita d’andata perdemmo 2-0, anch’io ebbi una grande occasione per segnare. Nel ritorno vincemmo 1-0, sfiorammo l’impresa, ma non ci fu verso. Comunque la partita del Bernabeu la considero il punto più alto della mia carriera: sia perché era una semifinale di Coppa dei Campioni, sia per l’importanza dello stadio”. Con Bersellini come andava? “Bersellini veniva considerato un sergente di ferro, ed era vero. Però le racconto due aneddoti: il giorno della conquista dello scudetto (27 aprile 1980, Inter-Roma 2-2 ndr.) ero infortunato e

non potevo giocare. Bersellini mi portò in panchina e mi mise a mezz’ora dalla fine. Praticamente fece di tutto per farmi giocare. Non toccai palla, però portai fortuna perché con me in campo pareggiammo e facemmo il punto decisivo. Poi l’alimentazione. Eravamo sempre in ritiro e Bersellini stava molto attento a quanto e cosa si mangiava. A volte, però, ci ritrovavamo di nascosto per fare una spaghettata. Sono sicuro che lui lo sapeva, ma faceva finta di niente. Ricordo che Mozzini era bravissimo a fare gli spaghetti”.

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Il punto più alto della mia carriera? La semifinale di Coppa dei Campioni al Bernabeu

Ancora due anni in prestito, Udine ed Ascoli, poi il ritorno a Milano. Perché se n’era andato? “Perché non sentivo più la fiducia della società. Certe cose le avverti anche se non te le dicono. Quando tornai nel 1983 stava cambiando tutto: c’era Mazzola dirigente, di lì a poco sarebbe arrivato Pellegrini presidente. C’era anche Rummenigge, lo spazio per giocare non era granché. E poi ero a fine carriera...” Alla soglia dei 60 anni, come passa le giornate Carlo Muraro? “Appese le scarpette al chiodo avevo aperto una

BERSELLINI

pasticceria. Oggi faccio il commentatore a Sky, soprattutto ho due nipotini piccoli che mi fanno stare di un bene... Praticamente, con loro, sono tornato bambino. Ah dimenticavo, faccio parte dei “bindun”... In che serie giocate? “Magari... Ci ritroviamo ogni tanto per beneficenza. A volte giochiamo anche in Argentina, “bindun” significa vagabondi. Con noi ci sono Riccardo Ferri, Bergomi, Baresi, a volte viene Ranocchia. Ma anche gente fuori dal calcio, per esempio Gianni Bugno. Grazie alla società “Agorà 97” raccogliamo denaro per allestire case per bambini disadattati. A Rodero, tra Como e Varese”. Ripensa mai ai tempi del ‘Jair bianco’? “Ogni tanto ci torno con la mente. Cose belle, cose brutte, me ne vengono in mente tante. Certo il pericolo della depressione, quando le luci si spengono... C’è, eccome. Però, nel mio caso, mi ha aiutato restare nell’ambiente del calcio. A quasi 60 anni, devo dire, non mi lamento. Non mi lamento proprio...” TALENTO PURISSIMO

55 GOL NERAZZURRI

Da ala sinistra ha fatto contenti tanti bomber...

foto Agenzia Liverani

In nove stagioni all'Inter, tanti momenti da ricordare

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Calcio 2OOO

foto Agenzia Liverani

“Già, stagione ‘79-’80. Anche se, devo dire, l’anno prima eravamo ancora più forti. Perdemmo parecchi punti per inesperienza, ricordo un derby che eravamo in vantaggio 2-0 poi ci facemmo raggiungere. L’anno dopo avevamo grandi giocatori: Bordon in porta, Bini libero, Oriali, Marini e Pasinato a centrocampo, Altobelli e Beccalossi in attacco. Una grande squadra, non c’è che dire”.

DOVE SONO FINITI/ carlo muraro

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LIGA SPAGNA

di Paolo BARDELLI

foto Imago/Image Sport

Il Barça è un sistema perfetto e vincente

GIOIA E RIVOLUZIONE Il Barcellona si veste di nuovo ripartendo da vecchie abitudini: gol e vittorie

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L CAMMINO - Il titolo conquistato dal Barcellona appare ovvio se visto col senno di poi, a giochi fatti è semplice magnificare il trio Messi-Suarez-Neymar, le nuove dinamiche di gioco e la tenuta atletica di una squadra capace di arrivare in fondo a tre competizioni su tre. Facile ora, ma in corso d'opera le cose sono state ben più complesse. Quest’anno è nato un nuovo futuro, ma il passato ha preteso il suo tributo. Il calcio trita risultati e pareri, sminuzzandoli e lasciando solo i brandelli di frasi e pensieri che 86

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sembravano macigni, ora poco più di sassolini che Luis Enrique può togliersi dalle scarpe. Un inizio difficile, a metà stagione la panchina dell'asturiano sembrava una sauna finlandese, tanto che l'esonero a gennaio pareva cosa fatta. Troppa voglia di spiccare, colpa di un approccio ideologico - che già a Roma gli è costato il posto - Luis Enrique ha giocato con il fuoco, ma forse serviva proprio una scossa. E allora via i senatori, con Xavi ai margini del gruppo e tiki-taka in soffitta, Piqué panchinato a più riprese, vittima dei furori di Luis è stato anche Messi. Incredibile ma vero,

una rivoluzione. Ma a metà. I PROTAGONISTI - Definizioni, record e titoli di giornale gli vanno stretti, il protagonista è sempre lui: Leo Messi. Sfondata quota 40 gol in campionato, numeri che dalle nostre parti suonano come statistiche da videogame ma per lui sono un'abitudine. Eppure l'annata non era cominciata così bene, come abbiamo già accennato. Primi mesi nebbiosi, dopo un mondiale sfuggito in finale. La solita maledizione del duello a distanza con Maradona sul primato nella storia del calcio (discorso ormai

stucchevole), il Pallone d'Oro sollevato dal rivale Cristiano Ronaldo dopo la conquista della Decima. La stampa spagnola ci ha messo prontamente il carico. A complicare le cose ci si è messo pure l'ego di Luis Enrique, ma ancora più ingombrante è l'appetito della Pulce cannibale. Quando Messi ha cambiato marcia nessuno ha potuto contenerlo. Un dominatore. Menzione d'onore per Neymar, che zitto zitto ha realizzato abbastanza gol per essere capocannoniere in qualsiasi campionato, e Suarez, a lungo squalificato per il morso a Chiellini e poi pronto a inserirsi negli automatismi con cervello e altruismo insospettabili per chi non lo conosce. Tutti in piedi per i Tre Tenori, ma occhio al nuovo direttore d'orchestra. Xavi è ai saluti, 17 anni di fedeltà e classe cristallina, lo spartito è cambiato e ora lo scandisce il ritmo sincopato di Ivan Rakitić. E' lui l'uomo del nuovo Barcellona "verticale", addio tiki taka, la musica è cambiata.

LA PARTITA DECISIVA - Siamo abituati a pensare al Clásico come gara decisiva, ma è stato un altro match a cambiare le sorti catalane. Torniamo a inizio anno, 4 gennaio. Dimentichiamo il Luis Enrique trionfante, campione di Spagna e castigatore in Champions di Pep Guardiola, timoniere del Barça pigliatutto che fu. Pochi mesi fa l'asturiano era a un passo dall'esonero, stando ai media spagnoli sarebbe stato addirittura Leo Messi a chiedere la sua testa al presidente Bartomeu. Lui, l'uomo della rivoluzione blaugrana, cacciato dai senatori che ha cercato di domare. Il sostituto designato era Rijkaard. Aria di restaurazione. All'Anoeta di San Sebastián il Barcellona si presenta senza Messi, Neymar, Dani Alves, Pique e Rakitić. L'idea è puntare forte su Suarez, con Pedro e Munir a sostegno, ma la Real Sociedad non perdona esperimenti e vuole un altro scalpo illustre dopo quelli di Real e Atletico. Ottanta secondi dopo il fischio d'inizio Jordi Alba mette alle spalle di Bravo e getta il Barça nel panico. E' una gara brutta, che i baschi - spinti dal frastuono del pubblico - interpretano con ferocia. Luis Enrique rinnega parte delle sue scelte e manda dentro Messi e Neymar. Terza sconfitta in campionato per i catalani, Real Madrid che resta avanti. Luis Enrique ha imparato da questo ceffone, utile a smussare alcune scelte fin troppo eccentriche. Futuro e passato si mischiano, cocktail esplosivo. La cavalcata inizia qui. GLI SCONFITTI - Il Real vive emozioni opposte a quelle dei rivali. L’entusiasmo per la Decima, con il passare dei mesi, ha lasciato spazio all’isteria. Scelte di mercato che sono andate ad intaccare automatismi perfetti. Ceduto Di Maria, uomo fondamentale per gli equilibri tattici, in entrata James Rodríguez, mezzala che poco ha in comune con l’argentino. Ancelotti è costretto a ridisegnare la squadra, ora meno ficcante in fase di ripartenza, a fare il resto ci pensa l’ambiente. Casillas contestato, con i tifosi che invocano Diego Lopes con tanto di hashtag (#Diegoesmiportero), Bale preso di mira dopo il match di ritorno contro il Barça con tanto di calci all’automobile, Khedira in scadenza messo fuori rosa. E chi più ne ha più ne metta. A pagare il conto per una

UNA PORTA PER DUE Nella Liga piace l’idea di avere due grandi portieri, ognuno titolare a modo suo…

foto Buffa/Image Sport

NON SOLO MESSI

CLAUDIO BRAVO

In Spagna imperversa la moda del doppio portiere, sul solco dell'esperienza Real con Lopez in campionato e Iker in Champions. Il Barcellona si è affidato a due portieri stranieri, Marc-André ter Stegen e Claudio Bravo. Il tedesco, giovane, ma già in evidenza al Borussia Mönchengladbach, gioca in Copa del Rey e Champions League, il cileno, recordman di presenze con la nazionale cilena, replica in campionato quanto di buono ha fatto ai Mondiali brasiliani. Un mix curioso ma perfetto, Bravo ha tenuto fede al suo nome mantenendo inviolata la porta per ben 21 gare e ha demolito un primato che durava da più di 30 anni, quello di Artola, altro blaugrana: 754 minuti. Notevoli pure le prestazioni di ter Stegen, la cui abilità con i piedi lo pone sulla scia del suo connazionale Neuer, numero uno dei numeri uno. Víctor Valdés, portero blaugrana per più di dieci anni, è stato sostituito al meglio. gestione scellerata è Carletto, i trionfi di pochi mesi fa sono già dimenticati. E pensare che il Clásico di ottobre (esordio di Suarez) era stato monologo blanco, quello di marzo (deciso da Suarez) ha però evidenziato il cambio di passo blaugrana portando il vantaggio sulle merengues a quattro lunghezze. La zampata decisiva. Calcio 2OOO

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PREMIER LEAGUE INGHILTERRA

di Simone TONINATO

foto Imago/Image Sport

Blues sul trono d'Inghilterra, Mourinho lo sapeva...

MOU… ANCORA TU

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icordate Lucio Battisti, quando diceva, pardon cantava: “Ancora tu, ma non dovevamo vederci più?” È chiaro, quando si parla di Inghilterra, patria del rock, tirare in ballo il cantautorato italiano sembra inappropriato. Ma in realtà il riferimento al testo viene spontaneo quando si pensa a Josè Mourinho e al Chelsea. Chiusa la prima esperienza a Stamford Bridge, chi avrebbe pensato che ce ne sarebbe stata una seconda? Francamente in pochi e forse addirittura nessuno, data la nota volontà del portoghese di guar88

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dare sempre davanti a sé e mai indietro. Eppure Mourinho nel West London c’è tornato e ha vinto, di nuovo, come la prima volta, pur mettendoci un anno di più. Ha iniziato a marzo con la League Cup, sbarazzandosi del Tottenham in finale, e ha continuato con il campionato. Un trionfo: sempre in testa dal primo all’ultimo turno, con sole quattro giornate in cui la leadership è stata condivisa. Alla fine il distacco inflitto alle altre pretendenti al titolo è enorme e dei sogni cullati dal City di sgambettare i Blues, fra qualche tempo non se ne ricorderà più nessuno. L’illusione (per-

ché solo di questo si è trattato) per la squadra di Pellegrini è durata giusto il tempo di una partita. È la ventesima giornata, il City prevale 3-2 sul Sunderland, mentre a White Hart Lane il Chelsea busca 5-3 dagli Spurs nel derby. In classifica: City 46, Chelsea 46, stesso numero di vittorie, di pareggi, di sconfitte, di gol fatti e subiti e 1-1 nello scontro diretto. L’equivalenza delle due squadre inizia e finisce qui, perché già la settimana dopo i londinesi sono di nuovo a più due in classifica e quella successiva addirittura a più cinque. È ancora il trentun gennaio, ma di fatto

José Mourinho

foto Imago/Image Sport

Con lo Special One in regia, il Chelsea è tornato a dominare in terra inglese…

il campionato è già terminato, anche perché all’orizzonte altre squadre non se ne vedono. L’altro Manchester è attardato, così come Tottenham e Arsenal, e il Southampton è la classica rondine che non fa primavera. E poi c’è il Liverpool di Brendan Rodgers. Poveri Reds. Un anno fa, di questi tempi, ad Anfield recriminavano per un campionato perso nelle battute finali, proprio a spese del City che, quella volta sì, aveva portato a termine una rimonta da incorniciare. Guardando l’amara realtà, quell’incubo di ieri, oggi equivarrebbe a un sogno. La vetta è distante una ventina di punti ed essere ottimisti sul futuro appare alquanto difficile. Del resto: quando hai in attacco Suarez (31 gol nel campionato 2013/14), lo cedi al Barcellona e per rimpiazzarlo prendi Balotelli, cosa ti aspetti? È stato un disastro. Totale. Per di più - a voler mettere il coltello nella piaga - oggi El Pistolero si gioca da protagonista una finale di Champions e ha vinto la Liga con il Barça. Balo? Nada. Ha giocato poco, spesso è finito addirittura in tribuna, e in campionato, tra gli attaccanti del Liverpool, meno di lui ha segnato solo Sinclair: un diciottenne che ha disputato complessivamente ventisette minuti. Fate un po’ voi. Doveva essere lui l’Italiano all’estero a far parlare di sé e invece tutta la scena se l’è guadagnata Graziano Pellè, che con i suoi gol ha fatto sognare i Saints (Southampton) e si è meritato la convocazione in Nazionale. Ma siccome al peggio non c’è mai fine, per quanto sia andata male a Pellegrini, Rodgers e Balotelli c’è perfino qualcuno per cui la stagione si è chiusa ancor più mestamente: Charles Austin, attaccante venticinquenne. L’inglese, che prima di giocare a calcio faceva il muratore con il padre, ha esordito alla grande in Premier, ma ha avuto la “sfortuna” di militare nel Queens Park Rangers, neopromosso e altrettanto velocemente riretrocesso in Championship. Nonostante ciò, Austin è stato in grado di duellare fino alla fine con Sergio Aguero, Harry Kane, Diego Costa e Alexis Sanchez per la conquista del titolo di capocannoniere. Ma, è chiaro, una cosa è giocare nel City, nel Tottenham, nel Chelsea o nell’Arsenal, un’altra è giocare nel QPR. E basta questo per far passare Charlie dagli sconfitti ai vincitori.

YOU’LL NEVER WALK ALONE Dopo una vita con il Liverpool, Gerrard ha detto basta…

foto Agenzia Liverani

LA LEGGE DI MOU

Steven Gerrard

Steven Gerrard lascia il Liverpool dopo diciassette anni – dodici da capitano - e più di 700 presenze raccolte tra campionato e coppe: una enormità, come si addice a una bandiera. Il tributo di Anfield Road nell’ultima gara disputata in casa è stato commovente e non sarebbe potuto essere altrimenti, dato quanto Stevie G-Force ha fatto per i Reds. Tra i tanti ricordi, c’è n’è uno più vivo degli altri nella memoria di tutti. Tornarci è facile, basta uno schiocco di dita e si va indietro di dieci anni: Gerrard è appena venticinquenne ma ha già la fascia di capitano al braccio e alza al cielo la Champions League. Il Liverpool ha battuto il Milan, impensabile all’intervallo dato che i rossoneri conducevano per tre reti a zero. Poi al 9’ della ripresa Gerrard segna (alla fine sarà eletto uomo partita) e inizia la rimonta che porterà la squadra di Benitez sul tetto d’Europa. Oggi il ragazzo del Merseyside lascia il Liverpool, per andare a giocare nei Los Angeles Galaxy, ma una cosa è certa, con la Kop nel cuore Stevie… non camminerà mai solo. Calcio 2OOO

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BUNDESLIGA GERMANIA

di Flavio SIRNA

foto Imago/Image Sport

In Bundes nessuno come il Bayern di Pep

TRIS ANNUNCIATO

ria matematica, nonostante un girone di ritorno che ha visto Neuer&C. al quarto posto per punti conquistati, col Borussia Monchengladbach capolista della seconda fase del campionato.

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L CAMMINO - La Bundesliga edizione 2014-2015 è stato un campionato con un solo padrone e con nessuna reale antagonista al Bayern Monaco, campione per la terza volta consecutiva, la seconda con Pep Guardiola in panchina. Coloro che avrebbero dovuto essere gli avversari principali dei bavaresi, ossia Borussia Dortmund e Bayer Leverkusen, non hanno, come spesso gli capita, saputo tenere il passo sin dall'inizio (i gialloneri hanno addirittura fallito anche l'appuntamento con la qualificazione europea). Alla fine del girone 90

Calcio 2OOO

di andata il vantaggio sulla prima inseguitrice, l'ottimo Wolfsburg di Hecking, era di 11 punti. Nemmeno la sconfitta per 4-1 proprio contro i Lupi nello scontro diretto (la prima in campionato dopo 17 risultati utili consecutivi) e la maggiore attenzione che Muller e compagni hanno voluto attribuire a metà stagione alla Champions League, ha reso la situazione incerta, anche perché in contemporanea De Bruyne e compagni, causa anche l'impegno in Europa League, non hanno saputo più dare continuità alle loro prestazioni. Ecco quindi arrivare, con quattro giornate di anticipo, la vitto-

PEP GUARDIOLA

foto Imago/Image Sport

Il Bayern Monaco ha dominato in Germania, peccato per i problemi in Champions…

I PROTAGONISTI - A livello realizzativo ha spiccato il trio formato da Arjen Robben (17 reti e 7 assist), Robert Lewandowski (16 reti) e Thomas Muller (13 reti e 10 assist). L'olandese, quando i suoi ciclici problemi fisici non lo hanno fermato, è stato inarrestabile più che mai: le sue accelerazioni, la sua capacità di accentrarsi ed andare alla conclusione, rappresentano un qualcosa di imprescindibile per questa compagine. Il polacco ex-Dortmund, alla sua prima stagione all'Allianz Arena, dopo un inizio in sordina, ha fatto vedere anche ai suoi nuovi tifosi di che cosa è capace, mostrandosi come un attaccante completo, capace anche di adattarsi al calcio di Guardiola, diverso da quello del suo antico maestro Klopp. Ennesima conferma inve-

LA PARTITA DECISIVA - Quando domini un campionato così come ha fatto il Bayern Monaco sin dalle prime giornate, non è possibile parlare di un'unica partita decisiva tra le 34 giocate. Partendo però dal presupposto che, perlomeno sulla carta e come già sopra indicato, i principali antagonisti avrebbero dovuto essere i gialloneri del Westfalen Stadion, possiamo indicare la sfida dell'Allianz Arena della decima giornata di campionato come l'emblema di questo campionato. Sotto di un goal contro il Dortmund (in goal Marco Reus), Ribery e compagni (il francese, entrando in campo al posto di Gotze, ha dato un apporto fondamentale ai suoi compagni di squadra) sono riusciti a ribaltare il risultato negli ultimi 10 minuti grazie alle reti di Lewandowski e Robben, non a caso i principali due goleador della squadra in Bundesliga. Il Borussia è stato sconfitto anche nella gara di ritorno (1-0, in goal ancora l'ex-Lewandowski). Una vittoria ed una sconfitta invece contro il Wolsfburg, che ai punti è stato il vicecampione del torneo. GLI SCONFITTI - Onestamente, il dominio Bayern Monaco, annunciato già prima dell'inizio della Bundesliga, non consente di parlare di sconfitti. Di sicuro, come già sottolineato, ha deluso molto il Borussia Dortmund, che avrebbe dovuto essere perlomeno una mosca in grado di ronzare intorno alla panchina di Guardiola. Per quanto riguarda invece le altre compagini c'è da fare i complimenti, e quindi considerare promossi, sia il Wolfsburg che il Borussia Monchengladbach. Tra le due però lo scettro finale di migliore outsider deve essere sicuramente attribuito al 'secondo' Borussia, che dal punto di vista del budget è sicuramente meno dotato rispetto ai Lupi della Wolkswagen. Il trio formato da Patrick Herrmann, Max Kruse e Raffael (33 goal complessivi) ha permesso alla squadra di superare il Leverkusen ed approdare direttamente alla fase a gironi della Champions League. A proposito del Leverkusen, le Aspirine, a differenza del passato, hanno avu-

AVVERSARIE INDIGESTE Schalke 04 e Borussia Monchengladbach, due “incidenti” di percorso…

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ce per il tuttofare tedesco: in qualunque posizione di campo venga impiegato assicura sia quantità che qualità. Ha però terminato la benzina leggermente in anticipo rispetto alle precedenti stagioni.

MANCA SOLO LA CILIEGINA

Roberto Di Matteo

Nelle 34 giornate di campionato disputate dal Bayern campione, i bavaresi hanno però trovato sulla loro strada due compagini che non li hanno fatti gioire in toto sia nella gara di andata che in quella di ritorno. Parliamo dello Schalke 04 di Di Matteo e del Borussia Monchengladbach di Lucien Favre. La squadra dell'ex-Chelsea (che però non era in panchina nella gara di andata) è infatti riuscita a bloccare sul pari Xabi Alonso e compagni in entrambi i match, terminati per 1-1. Ancora meglio ha fatto il Borussia: 0-0 tra le proprie mura nella 9 giornata di andata, vittoria secca e netta per 2-0 nella gara di ritorno all'Allianz Arena grazie alla doppietta messa a segno da Raffael. Nel momento in cui questi ultimi non smantelleranno la squadra nella prossima stagione con cessioni eccellenti non è difficile pensare che possano essere loro i secondi favoriti per la vittoria finale del Meisterchale. to un rendimento più costante (e non il solito inizio esaltante ed il crollo finale), riuscendo alla fine a fare una discreta figura sia in Bundesliga (quarto posto) che in Champions League (eliminazione ai rigori agli ottavi di finale contro l'Atletico Madrid). Calcio 2OOO

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LIGUE 1 FRANCIA

di Renato MAISANI

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Con lo svedese in avanti, il PSG sorride sempre...

IBRA FA TRIS PSG ancora campione, lo svedese continua a vincere e convincere…

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sono 5! 3 nelle ultime 3 stagioni. Il Paris Saint Germain si è laureato nuovamente Campione di Francia, seppur faticando parecchio per aggiudicarsi l’Hexagoal. Un tris che ha però il retrogusto di una ‘prassi rispettata’, di un ‘niente di straordinario’, di un qualcosa che il PSG non poteva esimersi dal fare. Troppo superiore l’organico a disposizione di Laurent Blanc rispetto a quello delle rivali, troppo decisivo un giocatore come Zlatan Ibrahimovic in un campionato come la Ligue 1. Troppa, secondo molti, anche la fatica fatta dal 92

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PSG per aggiudicarsi il titolo. Fatica che, unita ai deludenti risultati europei, per qualcuno ha addirittura il sapore di un piccolo fallimento. Blanc continua a non convincere tifosi e critica, il PSG fatica a fare quel salto di qualità praticamente necessario per imporsi come superpotenza in Francia e tenere il passo dei top club in Europa. Ma un campionato vinto è sempre un campionato vinto e, almeno per adesso, è giusto che Blanc, i suoi giocatori e i tifosi tutti, si godano la festa. IL CAMMINO - Alla 37° giornata, la penultima del campionato, il PSG andando

a vincere sul campo del Montpellier ha ottenuto la matematica conquista del titolo. E pensare che, fino alla giornata numero 30, i parigini non si erano mai trovati al comando della classifica. I 6 pareggi raccolti nelle prime 9 giornate, infatti, avevano fatto perdere loro parecchio terreno nei confronti dell’Olympique Marsiglia di Bielsa che, in seguito ad una partenza a razzo, aveva allungato con decisione sui campioni in carica. Il PSG, tuttavia, nonostante le pressioni e l’ansia di riportarsi al comando, ha fatto della continuità la propria forza, continuando a confidare nel crollo delle

rivali. Crollo che ha colpito prima l’O.M. e poi anche il Lione che, frattanto, aveva costretto Ibrahimovic e compagni a vestire i panni degli inseguitori fino a marzo. Ma alla fine i più forti l’hanno spuntata: con merito secondo molti, in maniera fortunosa secondo qualcuno. I PROTAGONISTI - Non saranno i 30 goal del 2012-2013, né i 26 dello scorso campionato, ma Zlatan Ibrahimovic è risultato ancora una volta il bomber principe del PSG nonché il giocatore chiave del club parigino. Un Ibra, è giusto precisarlo, meno devastante degli scorsi anni ma sufficientemente abile a trascinare i compagni al trionfo. Impossibile non ergerlo a protagonista assoluto del 5° trionfo della storia del PSG, nonostante quest’anno sia venuto a mancare in alcuni momenti chiave. Ma il PSG ha avuto ancora una volta dalla sua il vantaggio di poter contare su altri campioni assoluti, a cominciare da Edinson Cavani, co-protagonista del film

LA PARTITA DECISIVA - Domenica 5 aprile, ore 21. Il ‘Velodrome’ di Marsiglia ospita più di 65.000 persone per la sfida tra l’OM e il PSG. La classifica, a 8 turni dalla fine del campionato, recita così: Lione 61 (ma con una partita in più), PSG 59, Marsiglia 57. È tutto ancora in gioco per la corsa all’Hexagoal. L’Olympique non sta attraversando il suo momento migliore, ma Bielsa sa motivare i suoi come pochi: il tecnico crede nella possibilità di conquistare il titolo, il PSG non convince. Il primo tempo fa registrare due esplosioni di gioia per il pubblico accorso al Velodrome: Gignac porta in vantaggio i suoi alla mezzora, Matuidi pareggia 5 minuti dopo ma è ancora Gignac a riportare avanti il Marsiglia prima dell’intervallo. Il Marsiglia va a riposo a quota 60, con un punto di vantaggio sul PSG e uno in meno rispetto al Lione. Ma la festa dura poco: l’insospettabile Marquinhos trova il pari al 4’ della ripresa, un’autorete di Morel vale il 2-3 per i parigini. Il risultato non cambierà più. Il PSG si porta in vetta alla classifica, per non scendere più. Fino alla festa finale. GLI SCONFITTI - Proverbio vuole che il titolo di “primo tra gli sconfitti” spetti al 2° classificato. In questo caso, però, doveroso appare assegnare la palma di ‘re degli sconfitti’ al Marsiglia. La

MA LA DIFESA? PSG campione ma, in difesa, qualcosa non funziona a dovere…

foto Imago/Image Sport

della stagione. Tanto si è detto e tanto si è scritto sulla difficile coesistenza tra il ‘Matador’ e Ibra, ma i due hanno messo insieme più di 40 goal in stagione e criticarne la convivenza appare per lo meno fuori luogo. Seppur con qualche giro a vuoto e con un rendimento un po’ inferiore rispetto a quello delle precedenti stagioni, anche Salvatore Sirigu ha confermato di essere un numero 1 all’altezza del club più forte di Francia, così come – infortuni permettendo – Thiago Silva si è confermato un lusso per la Ligue 1. Bene hanno fatto anche Pastore (in ripresa dopo mesi difficili) e Matuidi, senza infamia né lode le stagioni di Lavezzi e Verratti, troppo altalenante il rendimento di Lucas. A permettere al PSG di trionfare, più che negli anni precedenti, è stata però l’abbondanza di stelle che ha dato la possibilità a Blanc di ruotare i propri calciatori nel migliore dei modi sfruttandone i momenti più brillanti di forma.

ZLATAN, IL VINCENTE

Laurent Blanc

Il PSG ha vinto il campionato ma, a differenza dei due trionfi precedenti, la squadra di Blanc non è riuscita a far registrare anche la miglior difesa. Se in occasione dei primi due campionati vinti i goal incassati erano stati appena 23 (ben 9 in meno rispetto al Saint Etienne nel 20122013 e 3 in meno del Lille nel 20132014), quest’anno Sirigu e Douchez hanno raccolto in fondo alla rete – nel momento in cui scriviamo - ben 34 palloni, 8 in più rispetto a quelli del Monaco, miglior difesa del campionato. Insomma, non è tutto oro quel che luccica, trofeo a parte… squadra di Bielsa sembrava aver tutte le carte in regola per conquistare il titolo e probabilmente le aveva, seppur disponendo di un parco giocatori non certo paragonabile a quello del PSG. Poi, però, Mandanda e compagni si sono sciolti come neve al sole, perdendo prima la leadership, poi persino la piazza d’onore ed infine facendosi scavalcare anche dal Monaco, ritrovandosi fuori anche dai playoff per accedere alla Champions League. Più sconfitti di così… Calcio 2OOO

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PHOTOGALLERY IL TIFO RACCONTA

PHOTOGALLERY / IL TIFO RACCONTA

IL CALCIO DEI TIFOSI di Thomas SACCANI

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l bello del calcio è spesso raccolto in pochi attimi. Riuscire a fotografarli è un’arte e, soprattutto, il modo migliore per raccontare ciò che accade. Nulla avrebbe senso senza la presenza del pubblico. I tifosi sono l’essenza stessa del mondo del pallone, doveroso un tributo per raccontarne la vera passione…

LAZIO-Roma SERIE A 25.05.2015

JUVENTUS-Napoli SERIE A 23.05.2015

JUVENTUS-Napoli SERIE A 23.05.2015

SAMPDORIA-Juventus SERIE A 02.05.2015

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Lazio-ROMA SERIE A 25.05.2015

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PHOTOGALLERY / IL TIFO RACCONTA

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SASSUOLO-Milan serie A 17.05.2015

MILAN-Torino serie A 24.05.2015

Juventus-LAZIO COPPA ITALIA 20.05.2015

FROSINONE-Crotone SERIE B 16.05.2015

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CHIELLINI Primo piano importante per il difensore juventino. Maglia personalizzata e rigorosamente le 4 dita che stanno ad indicare il numero degli scudetti vinti consecutivamente dalla Juventus.

CRISCITO Lo aspettavano in Nazionale e invece lui continuare a giocare, bene, in Russia con lo Zenit. Eccolo con i compagni di squadra.

D’AMBROSIO Il difensore interista ospite con la bella fidanzata ad una puntata di Italian's Got Talent.

DAVID LUIZ Sempre attivissimo sui social e quasi sempre con una bella linguaccia. Il difensore del PSG con i suoi amici.

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DEL PIERO Eccolo a Milano di ritorno da uno degli ennesimi giri intorno al mondo. Grande stile per ALEX DEL PIERO.

DENIS Reduce dal cazzotto al difensore dell'Empoli Tonelli, il bomber dell'Atalanta con il figlio piccolo per stemperare le tensioni dell'episodio che lo ha visto protagonista.

MESSI Il campione argentino del Barcellona si gode il derby argentino tra River Plate e Boca Juniors.

PODOLSKI Si è finalmente sbloccato l'attaccante ell'Inter proveniente dall'Arsenal ed eccolo in una posa allegra con i compagni di squadra durante l'allenamento.

Il DJ/Speaker di RTL 102.5 Carlo CARLETTO Nicoletti seguirà i profili Instagram e Twitter dei giocatori più importanti del pianeta Calcio e ci segnalerà le foto e i tweet più divertenti e particolari. Segnalate quelle che magari potrebbero sfuggirgli scrivendogli al suo profilo Instagram e Twitter: @carlettoweb


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