Calcio2000 n. 212

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Mensile | AGOSTO 2015 | N. 212 | Italia | Euro 3,90

Calcio 2OOO il mensile diretto da FABRIZIO PONCIROLI

SPECIALE MERCATO I BOMBER DEL CALCIOMERCATO FOCUS ON I SIGNORI DELLA ROVESCIATA

Esclusiva Francesco ACERBI “PIÙ FORTE DEL MALE”

Esclusiva Lilian THURAM UN VERO SIGNORE

Esclusiva Edy BIVI IL RAGAZZO DI TALENTO

ESCLUSIVA

Esclusiva Giuseppe RISO A CASA DI RISO

PARMA NEL CUORE

foto Daniele Buffa

José MAURI



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i tuoi colori, lo sponsor, lo scudeƩo, il numero e il nome per ogni giocatore.

2OOO

SPECIALE MERCATO I BOMBER DEL CALCIOMERCATO FOCUS ON I SIGNORI DELLA ROVESCIATA

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José MAURI

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Mensile | AGOSTO 2015 | N. 212 | Italia | Euro 3,90

N. 212 - AGOSTO 2015

S

iamo incontentabili. Quando la morsa del gelo ci attanaglia, auspichiamo il caldo coLA COLLEZIONE DI FIGURINE UFFICIALE cente. Quando arriva l’estate, speriamo che l’afa non ci ammazzi… Incontentabili, proprio COPA AMERICA CHILE 2015 come tutti i fan del dio pallone. Eppure, l’afosa estate 2015, si sta dimostrando portatrice di ricche novità. La Serie A, bistrattata per anni sul mercato, è torLA COLLEZIONE DI FIGURINE UFFICIALE nata in auge,SULL’EVENTO mettendo aCALCISTICO segno colpi a suon di quattrini (tanti) DELL’ANNO e, finalmente, smettendola con i cari vecchi parametri zero tanto noti in casa Milan. Juve spettacolare come sempre, con acquisti E T IE N CO N speciali, milanesi in grande forma, romane che si muovono con LI C IA E P S attenzione, Napoli “Made in Italy”, Samp e Fiorentina in scia. Che bello… Meglio non chiedersi da dove arrivino i tanti milioni immessi sul mercato, pensiamo a goderci il momento. Da qui la scelta di regalare la cover a José Mauri. Un regalo del Parma che non c’è più, un sicuro protagonista della prossima stagione e di quelle a venire. Ci stiamo preparando ad una nuova annata. INIZIAconferme, LA COLLEZIONE Sotto il solleone sembriamo indiavolati. Cerchiamo VIRTUALE! leggiamo di tutto e di più, bramiamo colpi su colpi. E’ il bello del binomio estate-pallone. Abbiamo più tempo, siamo meno stressati, c’è più curiosità nell’aria. Date un occhio alle storie di Con il codice sul retro delle figurine raddoppia Acerbi e Thuram, due grandi persone, ognuna a suo modo. il tuoPerdivertimento. ché no, un giro tra gli artisti della rovesciata potrebbe aiutare, così come scoprire che, anche all’estero, si sono spesso dimenticati di veri fuoriclasse (in ottica nazionale). Insomma, godetevi la nostra/vostra rivista. A Castiglioncello, dove sono stato per i TMW Awards, ho capito che siamo ancora competenti e amati. In un momento in cui si guarda a vista, bello ricevere tanti attestati di stima… Chiudo con una riflessione. In poche settimane ho dovuto assistere all’addio del Parma e alla bufera Catania. Due montanti al volto che avrebbero seccato chiunque. Eppure, in questa valle di lacrime, ho notato tanta speranza e voglia di rifarsi. Forse è questa la nostra dote migliore, il saperci sempre rialzare, anche quando un, anzi due treni merce ci arrivano dritti sul muso. E’ la magia del dio pallone. Non si sgonfia mai, troppa la passione che lo anima, la passione di tutti noi che ci lamentiamo per il troppo caldo…

JOSÉ MAURI

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L'EDITORIALE di Fabrizio PONCIROLI

“Dentro un ring o fuori non c’è niente di male a cadere. È sbagliato rimanere a terra”

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sommario n.212

Anno 19 n. 8 AGOSTO 2015

issn 1126-1056

8 La bocca del leone

di Fabrizio Ponciroli

Registrazione al Tribunale di Milano n.362 del 21/06/1997 - Iscritto al Registro Operatori di Comunicazione al n. 18246

10 INTERVISTA ESCLUSIVA

JOSè MAURI

di Cristina Guerri

20 SPECIALE MERCATO

100 COLPI DELLA SERIE A

10

di Fabrizio Ponciroli

28 INTERVISTA ESCLUSIVA Francesco ACERBI

SENZA NAZIONALE di Luca Gandini

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Redazione

di Fabrizio Ponciroli

di Tommaso Maschio

52 LEGA PRO - REGGINA

di Pasquale Romano

54 Serie D - MEZZOLARA

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di Simone Toninato

56 I Re del Mercato

Giuseppe riso di Marco Conterio

66 I Giganti del Calcio

Lilian THURAM di Sergio Stanco

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76 Storia Champions

League 1978/79

Statistiche

42

di Simone Toninato

CAMPIONATI STRANIERI 86 SPAGNA di Paolo Bardelli 88 INGHILTERRA di Luca Manes 90 GERMANIA di Flavio Sirna 92 FRANCIA di Renato Maisani

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Distribuzione

Mepe S.p.A. Via Ettore Bugatti, 15 20142 Milano Tel +39 0289592.1 Fax +39 0289500688

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98 SCOVATE da CARLETTO RTL IL PROSSIMO NUMERO sarà in edicola il 15 AGOSTo 2015

e-mail: media@calcio2000.it

Stampa

di Thomas Saccani

NUMERO CHIUSO IL 30 GIUGNO 2015

Contatti per la pubblicità: Tiber S.p.A. Via della Volta, 179 25124 Brescia Tel. +39 0303543439 Fax. +39 030349805

94 TMW AWARDS 2015

Fotografie

Image Photo Agency, Federico De Luca, Agenzia Aldo Liverani, Agenzia Photoviews.

Redazione Calcio2000

di Pierfrancesco Trocchi

EDY BIVI

Sergio Stanco, Luca Gandini, Tommaso Maschio, Pasquale Romano, Simone Toninato, Gabriele Porri, Pierfrancesco Trocchi, Luca Manes, Paolo Bardelli, Renato Maisani, Flavio Sirna, Thomas Saccani, Stefano Benetazzo, Carletto RTL.

TC&C S.r.l.

ESTATE ITALIANA

82 DOVE SONO FINITI?

Hanno collaborato

Realizzazione Grafica

di Gabriele Porri

80 ACCADDE A...

Diretto da

Fabrizio Ponciroli Marco Conterio, Luca Bargellini, Cristina Guerri, Gaetano Mocciaro, Chiara Biondini, Simone Bernabei, Lorenzo Marucci, Pietro Lazzerini, Tommaso Maschio, Lorenzo Di Benedetto.

50 SERIE B - VIRTUS LANCIANO

TC&C srl Strada Setteponti Levante 114 52028 Terranuova Bracciolini (AR) Tel +39 055 9172741 Fax +39 055 9170872 Michele Criscitiello

42 SPECIALE maghi della rovesciata

EDITORE

DIRETTORE RESPONSABILE

di Sergio Stanco

36 SPECIALE

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PER SCRIVERCI: media@calcio2000.it

LA BOCCA DEL LEONE di Fabrizio Ponciroli - foto Image Sport MANCINI VS MAZZARRI Direttore Ponciroli, mi faccia capire lei che io, nonostante i quasi 60 anni, non ho capito. Seguo l’Inter da oltre 40 anni e mi piace anche andare allo stadio, quando posso. Non mi piaceva Mazzarri ma devo dire che un po’ mi spiace per lui. Quando è arrivato, Thohir gli ha dato giocatori scarsi. Medel gli hanno preso mentre a Mancini, forse perché è più bravo a parlare, gli hanno preso Kondogbia. Perché? I soldi non c’erano prima e ci sono ora? Mazzarri non ha avuto nulla, Mancini ha chiunque. Non mi sembra giusto, o sbaglio? Mi piacerebbe avere una sua risposta in merito, grazie da Monza Antonio, mail firmata Caro Antonio, le logiche del mercato sono strane… Ammetto che Mazzarri non ha avuto, diciamo così, una grande mano da parte del patron Thohir. È anche vero che, i vari Medel e M’Vila, li ha richiesti lo stesso Mazzarri. Mancini, da sempre, è abituato ad avere giocatori di primissimo livello nelle sue rose. Kondogbia l’ha voluto e ci ha messo la faccia per averlo, anche se, sono convinto, sarebbe stato più felice se fosse arrivato Touré…

ROBERTO MANCINI

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PROBLEMA HIGUAIN Buongiorno, credete che Higuain possa rimanere un altro anno a Napoli senza Champions? In caso di cessione come vedreste Immobile? Ricordo che il Napoli di Benitez prendeva tantissimi gol… Rosario, mail firmata Caro Rosario, come saprai bene, De Laurentiis è uno che vende i propri campioni solo a determinate cifre. Per Higuain vuole 88 milioni di euro, difficile che qualche top club decida di fare una follia simile… Speriamo che il Pipita rimanga convinto e con entusiasmo, in caso contrario meglio cederlo. Immobile? Non so, prendere il posto di Higuain non sarebbe facile per nessuno. Vero, il Napoli di Benitez prendeva tanti gol ma ha anche vinto dei titoli… STATISTICHE? Direttore, una nuova stagione della nostra/vostra rivista sta per iniziare. Torneranno le statistiche? Sa che ci teniamo particolarmente e siamo in tanti a continuare a chiederle. Ho visto che qualcosa si sta muovendo nei servizi ma le grandi, belle

Gonzalo Higuaín

statistiche di un tempo le rivedremo? MI raccomando Direttore, ci teniamo!!! Francesco, mail firmata Sapete tutti che ci tengo anche io e sono convinto che, a breve, qualcuno sarà contento. Forse non come sperava ma sicuramente faremo un passo avanti in tal senso… GALLIANI ADDIO? Gentile Direttore, ma perché il sig. Galliani non capisce una buona volta che dovrebbe limitarsi a fare l'AD e lasciare il mercato a gente competente, giovane, che è in grado di valutare i giocatori e dedica a questo compito tutto il suo tempo e per l'intero campionato? L'Inter e la Juventus ne hanno due, il Milan nessuno! Non ci si può più permettere di sperperare i soldi per l'incompetenza dei massimi livelli della società. Vogliamo ricordare qualcuno? Darmian, Pierre Aubameyang, Saponara ... e mi riferisco solo a giocatori che erano già di proprietà del Milan! Questa mattina leggo che Berlusconi sarebbe addirittura pronto a spendere 60 milioni per Higuain! Questa è follia pura. Il centravanti del Napoli, per quanto bravo, non può

ADRIANO GALLIANI

trasformare una squadra di mediocri in un top club. È questa esasperata rincorsa del nome, nel tentativo di illudere i tifosi, che irrita e intristisce i veri tifosi, perché sta a significare che la dirigenza milanista non ha ancora imparato alcuna lezione dagli errori commessi negli ultimi anni. Con quei soldi, sig. Presidente, si possono prendere due, se non tre, ottimi giocatori che vadano a riempire i vuoti che esistono nella formazione e costituiscano la base per una vera e risolutiva rifondazione della squadra. Vorrei fare qualche nome, ma, non ritenendomi un esperto, mi limito a ribadire che per riconquistare la fiducia degli appassionati dei colori rossoneri, i vertici della società dovrebbero innanzitutto fare ordine al proprio interno e fare un bel bagno di umiltà, ammesso che conoscano il significato di questa parola, orgogliosi come sono. Barbara Berlusconi l'aveva capito e proclamato a chiare lettere ancora ai tempi di Allegri. Eppure, nemmeno suo padre sembra averle creduto. Buon giorno e buon lavoro… Gianni, mail firmata Non aggiungo altro, quoto ogni suo pensiero…

MAURO ICARDI

PREVISIONI PROSSIMO CAMPIONATO Direttore, siamo un gruppo di amici. La seguiamo sempre e le chiediamo un po’ di cose, se può farci la cortesia. Primo: chi vincerà il prossimo Scudetto? Il capocannoniere del prossimo torneo, chi andrà in Champions e chi se ne andrà in Serie B? Lo so, è difficile ma ci provi… Gianmarco, mail firmata Alla faccia delle domande semplici… Poi adesso che manca una vita… Comunque, ci provo. Scudetto alla Juventus, seconda l’Inter, terza la Roma… Capocannoniere vado con Icardi… Retrocesse? Chievo, Carpi e Frosinone… Non me ne voglia nessuno, solo previsioni a caso… JUVE IMBATTIBILE Egregio Direttore, le dico una cosa: mi piace come parla di calcio… Le dico anche che la Juventus vincerà ancora per tanti anni, almeno in Italia. Guardi al mercato. In un lampo ha fatto Dybala, Khedira e Mandzukic… E le altre si ammazzano per Kondogbia che, fino a qualche settimana fa, sembrava il nome di un panino… Non ci siamo, tutti dicono che la Juventus è da

Sami Khedira

seguire come modello ma nessuno lo fa e per questo continuano a perdere. Se non lo si era capito, sono bianconero da sempre. Luca, mail firmata Concordo pienamente sulla questione “mercato Juve”. Marotta si sa muovere e lo fa sempre in fretta, senza aspettare niente e nessuno. Non sono d’accordo su Kondogbia. Credo che questo, nome da panino a parte, sia un sicuro campione del futuro. L’ho visto giocare più volete e i numeri ci sono tutti… Vediamo come andrà a San Siro… KONDOGBIA VALE POGBA? Direttore, sono un tifoso interista e devo ammettere che, finalmente, Thohir ha iniziato a fare sul serio. Sono molto curioso di vedere all’opera Kondogbia. Lo abbiamo pagato tantissimo, secondo lei vale Pogba? Filippo, mail firmata Kondogbia ha talento da vendere ma vediamo come si adatterà alla Serie A. Personalmente ritengo che Pogba sia di un’altra categoria ma posso anche sbagliarmi…

Paul Pogba

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COPERTINA JOSé MAURI

COPERTINA / josé MAURI GIOIELLO PURO

Nonostante sia giovanissimo, Mauri è già un fenomeno...

SONO PARMIGIANO DOC

Faccia a faccia con Mauri, giovane gioiello del calcio italiano, sicuro fuoriclasse del futuro…

di Cristina GUERRI foto Nicola CIANCAGLINI 10

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COPERTINA / JOSé MAURI

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irettamente da Realicó, cittadina della Pampa, regione centralissima dell'Argentina, è partita l'avventura di José Mauri. L'italo-argentino, il titolare più giovane di tutta la Seria A ha appena 19 anni e tutta una carriera calcistica davanti a sé. Ma la testa è quella di un veterano. "Tutto merito di Donadoni, un 'vecchio' che mi piace". Partiamo dalle radici. Come si viveva a Realicó? "Bene, a me piace dire che lì ci sono più mucche che persone. Siamo circa 8mila abitanti, quindi ci conosciamo tutti in pratica. Ci sono molti terreni da coltivare, ma mio padre aveva un negozio di autoricambi, mia mamma faceva la parrucchiera e insegnava il folklore, un ballo argentino". Quindi la danza rientra tra tue le passioni? "Diciamo di sì, che ci provo. Però oltre al calcio mi piace molto anche la boxe. La pratico da quando avevo 8 anni, secondo mio padre è l'allenamento più com-

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COPERTINA / JOSé MAURI

“” Non mi sento uno straniero in Italia. Vivo in Italia da tanti anni. Mi sento un parmigiano doc pleto che ci sia. Per fortuna a Realicó non mi è mai mancato niente, quindi dopo la scuola potevo dedicarmi al calcio. Mi allenavo un'ora al giorno con una squadra che si chiama Ferro (sui parastinchi porta la foto dello stemma, ndr), poi passavo il resto del pomeriggio al campetto di quartiere con gli amici". Perché dedicare così tanto tempo al calcio? "Per mio fratello maggiore. Adesso ha 26 anni, ma in passato ha giocato anche nella massima serie del campionato argentino (due presenze, ndr). Mio fratello è il mio modello, io ho cercato solo di imitarlo. Lui aveva di sicuro più qualità di me, io forse più determinazione. Quando

voglio una cosa faccio di tutto per prendermela". Dopo il Ferro quali altre maglie hai vestito? "Dopo due anni al Ferro sono andato a giocare in una squadra più competitiva, il Talleres de Huinca, a poco più di 20 chilometri da casa mia. Ci sono rimasto altri due anni, poi sono passato al Recreo de Santa Rosa. Ho anche fatto un'esperienza in Cile, all'età di 12 anni. partecipai a due tornei con una squadra filiale dell'Argentinos Juniors, uno dei tanti club di Buenos Aires. Dopo avrei potuto trasferirmi proprio lì, ma mio padre pensava che fossi troppo piccolo per vivere in una città come Buenos Aires. Anche io pensavo che non mi avrebbe fatto male crescere un altro po' a casa. E invece...".

VOGLIA DI STUPIRE Mauri sta letteralmente bruciato le tappe...

Invece è arrivata l'Italia… "Sembra impossibile, ma è stato tutto molto facile. Il figlio dello scout che voleva portarmi all'Argentino Juniors giocava in Italia e parlando con l'amico Dino Zampacorta, quello che adesso è il mio agente, venni segnalato a lui. Grazie a queste due persone arrivai in Italia, nell'agosto del 2009, per un provino al Brescia. Però nel frattempo ero tornato

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COPERTINA / JOSé MAURI PASSIONE TATUAGGI A volte li nasconde ma ne va davvero fiero

COPERTINA / JOSé MAURI

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in Argentina, e a dicembre venni notato da Antonello Preiti del Parma. A marzo del 2010 ero quindi di nuovo in Italia, per sostenere un altro provino. Ad agosto dell'anno successivo ero un giocatore del Parma". Con i genitori al seguito? "Mi hanno accompagnato, ma poi non ho voluto che restassero con me. Non mi sembrava il caso che tutta la famiglia affrontasse un cambio così radicale, soprattutto per mia sorella, che all'epoca aveva soltanto 11 anni". È stata dura? "Facile non di certo. Ma grazie all'aiuto di alcune persone, tra cui Zampacorta e la famiglia Martinez, mi sono sentito più al sicuro. Non mi vergogno ad ammetterlo, ma avevo di tutto: vestiti, soldi, mangiare. I Martinez, argentini come me, hanno due figli con cui giocavo a calcio. Ero come un figlio, stavo sempre con loro". E i primi approcci al calcio italiano? "Stavo bene, anche se non potevo giocare perché non avevo ancora il passaporto italiano. Dopo gli allievi Nazionali con Annoni ho giocato con la Primavera di Cristiano Lucarelli e vincendo il campionato. Ma tra le altre persone che mi hanno fatto sentire a casa c'è lo zio Francesco Palmieri, il responsabile del settore giovanile del Parma. Lo chiamo così perché di genitori se ne hanno due, di zii no. Lui ha sempre avuto fiducia in me, certo ogni tanto lo facevo arrabbiare tanto che doveva mettersi le mani in tasca per non cedere alla tentazione di darmi una zuppa". A proposito di passaporto. Dopo qualche presenza con il settore gio14

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Donadoni? Mi ha cambiato il ruolo e ora sono più duttile, posso ricoprire quasi tutti i ruoli Del centrocampo

Io ho dei tatuaggi, ma cerco di coprirli così non mi può fare la ramanzina. Ora ne ho fatto uno sul polpaccio… vanile della Nazionale non sei stato più chiamato per problemi burocratici. Nel frattempo hai scelto con quale maglia giocherai qualora dovessi essere chiamato a rispondere? "Per il momento non mi ha chiamato nessuno, quindi resto tranquillo. Sinceramente questa situazione non rappresenta un problema. Però mi ha dato fastidio quando tempo fa un giornalista argentino mi chiese che effetto facesse vestire la maglia diversa rispetto alla propria Nazionalità. Ci rimasi male". Perché? "I miei genitori sono entrambi argentini, ma i miei nonni sono italiani e io vivo in Italia da ormai tantissimo tempo. Non mi sento uno straniero in Italia. Mi sento un parmigiano doc. Conosco la città come le mie tasche, e so come ragionano i miei concittadini. Poi, ripeto, la Nazionale è un altro discorso, ma c'è tempo per affrontarlo".

un suo sguardo per capire se faccio una cosa giusta o sbagliata. Non penso sia una persona dura, ma si impegna a tenere le distanze con i calciatori. Gli piacciono le persone responsabili, senza tanti grilli per la testa". Come i tatuaggi e gli orecchini... "Sotto questo aspetto è un po' all'antica, e fa bene ad esserlo. Io ho dei tatuaggi, ma cerco di coprirli così non mi può fare la ramanzina. Poco fa ne ho fatto uno sul polpaccio, con i calzini lunghi lo posso coprire bene. Anche se con il caldo soffrirò un po'".

Torniamo a chi ha contribuito al tuo adattamento al calcio italiano. "Faccio il nome di Fausto Pizzi. È stato un ottimo calciatore e adesso è un bravissimo allenatore. Voleva sempre un tocco di palla, massimo due. Ho imparato a ragionare più velocemente e a comprendere le situazioni di gioco. Poi c'è Donadoni...".

Nel frattempo sono già due stagioni in Serie A. Chi, nello spogliatoio, ti è stato più vicino? "Ho avuto la fortuna di allenarmi con calciatori di importanza mondiale e in un certo senso tutti hanno contribuito alla mia crescita. Anche se se ne è andato via lo scorso gennaio faccio il nome di Gabriel Paletta. Per Donadoni sarebbe il calciatore perfetto. Mai una parola fuori posto, mai un gesto inappropriato. Ogni tanto lo vedo ancora in Italia, ci vediamo a casa sua con altri amici e prepariamo una bella cena di asado. Per me è stato un vantaggio vivere vicino a lui. Veniva a prendermi e andavamo insieme allenamento; arrivavo sempre in anticipo, cosa che Donadoni apprezza".

Il mister merita un capitolo a parte… "Assolutamente. Diciamo che Donadoni mi ha dato la cosiddetta mazzata finale. Mi ha fatto diventare un calciatore, di testa. Sul campo, sotto il profilo tecnico avrò ancora molto da imparare e capire, ma la mentalità che mi ha inculcato il mister mi ha fatto crescere molto. Basta

Paletta sembra un po' il contrario di Cassano… "Anche io sono diverso rispetto a Paletta, ci tengo a precisarlo. Cassano non è difficile da prendere, è una persona di cuore. Magari alle persone non piace ascoltare la verità, cosa che comunque lui dice sempre. Quello che gli passa per

la testa lo tira fuori, è più forte di lui. Con lui mai avuto un problema. Anzi in campo mi chiedeva sempre di passargli la palla dicendomi che sarebbe stato più facile per tutti. Mi chiedeva personalità, credo di averlo accontentato". Che idea ti sei fatto di Leonardi e Ghirardi? "Penso che in un certo senso abbiano fatto bene a noi calciatori. Perché da tutta questa spiacevole situazione è emerso un aspetto importante, che forse non tutti capiscono. Ovvero che noi calciatori siamo persone vere, a prescindere da chi è andato via e da chi invece è rimasto. Siamo tutti cresciuti dal punto di vista umano, sia io che Lucarelli che ne ha 38 abbiamo imparato molto. Poi potrei dire che hanno rovinato una realtà bellissima come quella del Parma, hanno messo in difficoltà diverse persone. Potremmo scrivere un libro con tutto quello che hanno fatto queste due persone, meglio lasciar perdere e aspettare che la giustizia faccia il suo dovere e che tutti paghino per gli errori commessi, anche se forse non si rendono nemmeno conto di quello che hanno combinato". Pensi che avresti giocato titolare senza il caos Parma? "Ho iniziato a giocare titolare alla quarta giornata, i problemi con la società sono iniziati qualche tempo dopo. Ad agosto sono andati via tanti giocatori, vedi per esempio Marchionni, quindi penso che avrei trovato comunque spazio. A livello personale non posso che essere contento, anche se un dubbio mi rimane. Fosse filato tutto liscio come l'olio, e il Parma avesse ripetuto la stagione scorsa, forse avrei potuto rendere ancora di più". Donadoni ti ha anche cambiato ruolo. "Avevo sempre giocato davanti alla difesa, non mi vedevo da altre parti e quindi all'inizio ho fatto un po' fatica quando Donadoni ha deciso di spostarmi nel ruolo di interno. Non saprei dire se mi ha cambiato per esigenze tattiche o tecniche, sta di fatto che adesso sono più duttile, posso ricoprire quasi tutti i ruoli del centrocampo. Ha avuto ragione il mister, anche perché il mediano è un ruolo difficile e forse non avevo la giusta esperienza per farlo. E ringrazio ancora Donadoni, perché questo cambiamento non mi ha messo mai in difficoltà, è stata Calcio 2OOO

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COPERTINA / JOSé MAURI OBIETTIVI IMPORTANTI Siamo solo all'inizio ma il futuro sarà roseo...

COPERTINA / JOSé MAURI

“HA FATTO TUTTO LUI” Di Cristina Guerri

Preiti racconta la veloce consacrazione del giovane Mauri… osé Mauri? Non è stato merito mio, ha fatto tutto lui". Antonello Preiti, responsabile dell'area tecnica al Parma, ripercorre per noi le tappe della scoperta del giovane centrocampista italo-argentino. "Mi son serviti 10 minuti per capire di che pasta era fatto il ragazzo. Dissi subito al mio scout che mi erano bastati per vedere che c'era qualcosa di buono, anzi speciale in lui. Si giocava in un campetto alla periferia di Buenos Aires, e le due squadre erano composte da tutti classe '91, e lui che è del '96 era quindi il più giovane". Piccolo fuori vista la statura, grande dentro. "Fisicamente poteva ricordarmi Mascherano. Ha una struttura molto piccola, ma era leggero nel tocco di palla, bravo sia col piede destro che col mancino. E aspetto molto importante è la testa. In campo comandava, si vedeva che aveva personalità da vendere. Il fatto di essere partito per l'Italia, poi, lo ha responsabilizzato ancor di più. Di testa dimostra più anni rispetto a quelli che ha". Un talento da preservare. Anche se il futuro al Parma è tutt'altro che scontato. "Non sono in grado di capire quello che potrà succedergli da qui a poche settimane. Il consiglio che mi sento di dargli è quello di continuare a giocare. Non importa se dovrà scendere di categoria, basta che continui ad allenarsi con lo stesso impegno e la

“TANTE SCOMMESSE PERSE”

foto Federico De Luca

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ANTONELLO PREITI

stessa costanza. Donadoni? Lui e il suo staff premevano da tempo per portarlo in prima squadra, e José si è fatto trovare pronto. Ha saputo sfruttare il momento particolare della società e ripagato la fiducia del mister e dei compagni di squadra".

LA CARRIERA DI MAURI Stagione

Squadra

Campionato

Totale

Comp

Pres

Reti

Pres

Reti

0

3

0

2

31

2

2013-2014

Parma

A

2

2014-2015

Parma

A

31

* Dati aggiornati al 14/6/2015

Di Cristina Guerri Parole al miele da parte di Zampacorta, agente del fenomeno del Parma

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foto Federico De Luca

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utor, padre putativo, amico di José Mauri. Parla Dino Zampacorta, agente del centrocampista argentino del Parma, da oltre 25 anni nel mondo del calcio con la passione per scoprire giovani talenti. “La prima volta che ho visto José aveva 13 anni e mezzo. Parlava poco, perché a lui piacciono soprattutto i fatti, ma quando lo faceva sembrava avesse 10 anni in più”. Zampacorta confessa di aver perso tante scommesse con il ragazzo. “Facemmo una scommessa, persa volentierissimo, sul suo esordio in Serie A . Io dicevo che lo avrebbe fatto a 18 anni, lui ha avuto ragione esordendo a 17. Ma lui fin da ragazzino sapeva già quello che voleva e quello che avrebbe ottenuto. E' determinato, intelligente e scaltro”. Zampacorta si sofferma poi sul rapporto coi genitori. “In Argentina si vive con una passione sfrenata il calcio, quindi i genitori di José non hanno esitato a lasciarlo partire per l'Italia, anche se così giovane”.

JOSé Mauri con la maglia del Parma Calcio 2OOO

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COPERTINA / JOSé MAURI una cosa del tutto naturale". Un voto alla prima, vera stagione in Serie A? "Non sono bravo a giudicarmi, lo fanno gli altri. Secondo alcuni giornali ho una media del 6.11, quindi pienamente sufficiente. L'obiettivo è quello di migliorare, anno dopo anno". Vorresti diventare come il tuo idolo Mascherano? "Ha tantissime qualità che mi piacciono. Mi ispiro a lui, lo studio, cerco di ripetere i suoi movimenti, le sue entrate, il suo tocco. Mi piace la sua cattiveria". In Italia non ti ispiri a nessuno? "Ci sono tantissimi calciatori a cui vorrei assomigliare. Chi non vorrebbe avere il modo di calciare di Pirlo, gli inserimenti di Marchisio, la tecnica di Pogba, la grinta di Vidal...". C'è tempo per crescere e migliorare. Specie se si hanno forse ancora 15 anni di carriera davanti… "Sono tanti, la strada è lunga, quindi non ho fretta. Spero solo di avere la stessa voglia di giocare che Lucarelli sta dimostrando a 38 anni".

“”

Mascherano? Mi ispiro a lui, lo studio, cerco di ripetere i suoi movimenti, le sue entrate, il suo tocco l'ormai ex fidanzata". Girano video dove ti chiedeva di tornare insieme... "Sì, come ho detto sono uno spontaneo. Ci eravamo lasciati e per riconquistarla feci l'appello in televisione. Poi la nostra storia è finita lo stesso". Piani per l'estate? "Torno a Realicó, dalla famiglia e gli amici". Come vive un calciatore di Serie A di soli 19 anni?

"Sono normalissimo, non sono affatto ricco. Faccio le stesse cose di quando avevo 14 anni, ovvero lunghe passeggiate, bowling, cinema, Go Kart. Vivo da solo, ma con la cucina non me la cavo un granché. Per fortuna vicino casa mia c'è il ristornate del mio amico Alfonso. Sono sempre da lui, in pratica".

ROAD TO UEFA EURO 2016

In Italia andavi a scuola? "Ci ho provato, la prima volta son durato una settimana, l'anno dopo sei mesi. Ma poi ho avuto un problema con una professoressa. Trovai un compito che avremmo dovuto svolgere e l'ho passato a tutta la classe; la cosa è venuta fuori e sono stato costretto a lasciare, anche se poi a quella professoressa restavo simpatico. Al di là di questo episodio dispiace non avere finito la scuola. Questa non è una frase di circostanza, lo credo davvero. Sarebbe per esempio importante imparare bene a fare i conti, perché molto spesso i calciatori si affidano a persone e non pensano minimamente alla fine che fanno i soldi. Non dico che sono andati in mezzo a una strada, ma molti miei colleghi hanno buttato via molto denaro".

Al di là di quello che succederà al Parma pensi che l'Italia sia il Paese giusto per giocare a calcio? "Come mi sono abituato all'Italia posso tranquillamente abituarmi a un altro paese. Certo, qui sto bene, ma se dovesse arrivare la possibilità di andare all'estero la prenderei in considerazione".

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EMPIO

Ti piace viaggiare? "Ho viaggiato poco per il momento. L'anno scorso sono stato a Parigi con

UCEB-21GR-L5M1 Intervista di Cristina Guerri 18

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SPECIALE i 100 colpi della serie a

SPECIALE / i 100 colpi della serie a di Fabrizio PONCIROLI

SEMPRE IBRA

Gli anni passano, la classe resta

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TUTTI I BOMBER DEL MERCATO

Gonzalo Higuaín

È

vero: le difese fanno vincere i campionati ma gli attaccanti fanno vendere i biglietti. Non c’è ruolo nel calcio che affascini maggiormente di quello del bomber. Loro sono quelli che fanno gol, quelli che ti portano alla vittoria. Normale che, durante il calciomercato, siano i più ricercati in assoluto. Chi ha soldi da spendere, solitamente si butta su centravanti di primissimo livello, i classici Top Player. Altri, con le casse meno rigogliose, privilegiano bomber in cerca di riscatto o giovanissimi da far crescere. Si cerca il colpaccio, sperando che, sul campo, non si trasformi in un bidone… POCHI E DIFFICILI, I TOP PLAYER Chiaramente, il sogno di ogni presidente è di avere, in rosa, un top player. In circolazione, purtroppo, ce ne sono pochissimi e tutti costosissimi. Si pensi ad Higuain. Vale non meno 20

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di 60 milioni di euro (De Laurentiis ne ha chiesti addirittura 100). Anche i vari Cavani, Aguero e Di Maria non vengono via a tanto meno… Forse per questo, un certo Ibrahimovic, top player assoluto, nonostante non sia più giovanissimo, resta un nome da tener presente. Vero, il PSG lo ha confermato ma, se proprio si vuole fare una follia, Zlatan potrebbe essere la soluzione ideale. Tanti soldi a lui ma prezzo del cartellino, tutto sommato, Ibrahimovic. Stesso discorso per Jovetic. Il fatto che al City, soprattutto nell’ultima stagione, abbia fatto più lo spettatore che il giocatore (cinque reti in sole 26 presenze totali), non significa molto. Il montenegrino ha i numeri del fuoriclasse assoluto e, quindi, vale un sacrificio. Qualche dubbio su Lamela. Alla Roma aveva incantato, al Tottenham molto meno (sei reti in due stagioni). L’età (classe 1992) pende dalla sua parte, investire 30 milioni potrebbe essere un azzardo esagerato, anche per chi ha liquidità in abbondanza. Piuttosto meglio virare su un altro argentino. Anche lui già applaudito nel nostro calcio

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Dall’inossidabile Ibrahimovic alla giovane promessa Iheanacho, gli attaccanti dominano la scena…

Zlatan Ibrahimović Calcio 2OOO

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SPECIALE / i 100 colpi della serie a

SPECIALE / i 100 colpi della serie a

Didier Drogba

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Giampaolo PAZZINI

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Kevin Prince Boateng

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Ezequiel Lavezzi

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100 ATTACCANTI DA CALCIOMERCATO

(a Napoli), Lavezzi resta un nome altisonante, di quelli che eccitano le folle. Il PSG potrebbe anche lasciarlo partire, decisiva la sua volontà… Altro attaccante di grande interesse è Dzeko. Come Jovetic, pare pronto a rimettersi in gioco altrove. Al City non è certo di essere una pedina importante, potrebbe diventare una grande occasione da prendere al volo. Come lo è Mandzukic, non a caso, sin dai primi giorni di mercato, obiettivo di mezza Europa e subito blindato dalla Juventus, eccezionale nell’accaparrarsi le migliori opportunità del mercato… USATO SICURO, GARANZIA CERTA Se i top player sono troppo impegnativi, si può sempre rimediare su quei giocatori che, per loro parlano i numeri, sono garanzia assoluta di gol. Se Toni è diventato capocannoniere del nostro torneo a 28 anni, c’è una speranza per tutti. Ed è per questo che uno come Drogba (un anno più giovane di Toni) potrebbe essere un colpaccio assoluto. La sua carriera è fonte di ispirazione per tanti giovani attaccanti (268 gol in 639 gare da professionista). Ha voglia di divertirsi, trovasse la piazza giusta, sarebbe un valore aggiunto incredibile. De22

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cisamente più giovane ma altrettanto intrigante è Immobile. Non bisogna farsi ingannare dall’annata no a Dortmund, Ciro ha già dimostrato, sia a Pescara che a Torino, di avere un feeling particolare con il gol. Basta dargli fiducia e tutto andrà per il meglio. Continuità è la parola magica per Llorente. 30 anni, integro fisicamente e con uno spirito di sacrificio con pochi eguali. Alla Juventus fatica ad avere lo spazio che vorrebbe, altrove sarebbe il bomber di riferimento (ad un prezzo modico). Copia e incolla per Pazzini. Da poco entrato nella ristretta categoria dei Centenari del gol in Serie A, il Pazzo sogna di tornare titolare e di diventare nuovamente implacabile in area di rigore, come la sua carriera insegna. Maxi Lopez e Pinilla sono meno gettonati, eppure, anche loro, i gol li hanno sempre fatti… Tuttavia, il vero gioiello sarebbe Van Persie. Nonostante continui a ripetere di voler restare allo United, è chiaro che, al cospetto di un progetto intrigante, l’olandese ci farebbe un pensierino. È passato dai 30 gol della sua prima stagione ai Red Devils, a soli 10 reti lo scorso anno. A 32 anni è ancora letale in zona gol e in grado, da solo, di fare reparto. Un affare, senza dubbi…

GIOCATORE Aguero Arda Turan Aubameyang Ayew Bacca Balotelli Belfodil Benteke Benzema Berardi Bergessio Boateng Borini Brahimi Calhanoglu Callejon Carrasco Cassano Cavani Cerci Comi Cop Cuadrado Damiao De Bruyne Defrel Deloufeu Destro Di Maria Douglas Costa Doumbia Drogba Duvan Zapata Dzeko Eder Embolo Fischer Gervinho Gignac Gomez Granoche Guedes Guerreiro Guidetti Hernandez Higuain Hirving Lozano Honda Ibarbo Ibrahimovic

NAZIONE ARGENTINA TURCHIA FRANCIA GHANA COLOMBIA ITALIA ALGERIA BELGIO FRANCIA ITALIA ARGENTINA GHANA ITALIA ALGERIA TURCHIA SPAGNA BELGIO ITALIA URUGUAY ITALIA ITALIA CROAZIA COLOMBIA BRASILE BELGIO FRANCIA SPAGNA ITALIA ARGENTINA BRASILE COSTA D'AVORIO COSTA D'AVORIO COLOMBIA BOSNIA ITALIA SVIZZERA OLANDA COSTA D'AVORIO FRANCIA GERMANIA URUGUAY PORTOGALLO PORTOGALLO SVEZIA MESSICO ARGENTINA MESSICO GIAPPONE COLOMBIA SVEZIA

QUOTAZIONE 60 25 20 0 30 15 0 20 25 30 5 0 10 40 18 20 20 0 50 10 5 8 30 20 30 10 20 15 60 25 15 0 10 25 10 15 15 10 0 15 5 12 12 6 10 60 12 10 15 10

GIOCATORE Iheanacho Immobile Isco Jesè Jovetic Kane Kerzakhov Kishna Konopljanka Lamela Lavezzi Leandro Damiao Llorente Lukaku Mandzukic Marcos Guilherme Marilungo Martial Mastour Mauri Maxi Lopez Menez Meyer Mitroglou Mkhitaryan M'Poku Negredo Okaka Oscar Osvaldo Pato Pavon Pazzini Pellé Perisic Pinilla Pizarro Pjaca Podolski Rabiot Reus Salah Sneijder Soldado Sterling Van Persie Vietto Walcott Yilmaz Zaza

NAZIONE NIGERIA ITALIA SPAGNA SPAGNA MONTENEGRO INGHILTERRA RUSSIA OLANDA UCRAINA ARGENTINA ARGENTINA BRASILE SPAGNA BELGIO CROAZIA BRASILE ITALIA FRANCIA MAROCCO ARGENTINA ARGENTINA FRANCIA GERMANIA GRECIA ARMENIA RP CONGO SPAGNA ITALIA BRASILE ITALIA BRASILE ARGENTINA ITALIA ITALIA CROAZIA CILE PERU' CROAZIA GERMANIA FRANCIA GERMANIA EGITTO OLANDA SPAGNA INGHILTERRA OLANDA ARGENTINA INGHILTERRA TURCHIA ITALIA

QUOTAZIONE 10 15 30 20 20 40 15 20 15 30 15 15 10 30 15 12 5 10 15 12 5 10 15 10 20 8 15 15 25 10 10 10 0 10 15 5 5 15 5 25 30 15 12 15 35 5 20 20 18 15 Calcio 2OOO

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SPECIALE / i 100 colpi della serie a

SPECIALE / i 100 colpi della serie a

I trasferimenti più costosi di sempre

JO-JO, CHE NUMERI

Posizione

Giocatore

Da

A

Milioni

Anno

1 2 3 4 5

Gareth Bale Cristiano Ronaldo Luis Suárez James Rodríguez Ángel Di María Zinedine Zidane Zlatan Ibrahimović Kaká Edinson Cavani David Luiz Luís Figo Radamel Falcao Fernando Torres Hernán Crespo Carlos Tevez Mesut Özil Rui Costa Gaizka Mendieta Ronaldo James Rodríguez Gianluigi Buffon Hulk Lucas Moura Sergio Agüero Juan Mata Rio Ferdinand Thiago Silva Alexis Sánchez Andriy Shevchenko Christian Vieri

Tottenham Hotspur Manchester United Liverpool AS Monaco Real Madrid Juventus Inter Milan Napoli Chelsea Barcellona Atlético Madrid Liverpool Parma Manchester United Real Madrid Fiorentina Valencia Inter Porto Parma Porto São Paulo Atlético Madrid Chelsea Leeds United Milan Barcellona Milan Lazio

Real Madrid Real Madrid Barcellona Real Madrid Manchester United Real Madrid Barcellona Real Madrid Paris Saint-Germain Paris Saint-Germain Real Madrid AS Monaco Chelsea Lazio Manchester City Arsenal Milan Lazio Real Madrid AS Monaco Juventus Zenit Paris Saint-Germain Manchester City Manchester United Manchester United Paris Saint-Germain Arsenal Chelsea Inter

€ 100 €94.4 € 94 €79.5 € 75 € 75 € 69 € 65 € 64 €62.6 € 62 € 60 € 58 €56.5 € 53 € 50 €49.7 € 48 € 46 € 45 € 45 €44.7 € 45 € 45 €44.8 €44.8 €44.4 € 44 €43.78 € 43

2013 2009 2014 2014 2014 2001 2009 2009 2013 2014 2000 2013 2011 2000 2009 2013 2001 2001 2002 2013 2001 2012 2013 2011 2014 2002 2012 2014 2006 1999

7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 22 23 24 25 27 28 29 30

Talento purissimo per il montenegrino

* Dati aggiornati alla stagione 2014

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lare categoria abbiamo il nostro favorito: Defrel. A Cesena, nonostante la stagione negativa, si sono accorti tutti del bagaglio tecnico di questo 24enne dal sangue francese. Attaccante atipico, in grado di giocare anche da trequartista, ha numeri d’alta scuola. Nel contesto giusto, potrebbe esplodere e diventare un crack. Prenderlo adesso potrebbe rivelarsi un colpo da mille e una notte… IN CERCA DI RISCATTO E veniamo a chi, invece, cerca la redenzione. La lista è lunga, tanti coloro che sono caduti in disgrazia (alcuni per proprie colpe, altri no) e che ora rincorrono la luce. Apriamo le danze con Cassano. Dallo scorso gennaio, dopo aver rescisso con il Parma, è fermo. Ma, fidatevi, FantAntonio non è il tipo che molla. Ha voglia di tornare in sella. A 33 anni si sente ancora abile e arruolato, con la giusta determinazione di rispondere, sul cam-

foto Image Sport

CHI MERITA LA GRANDE OCCASIONE Tutti meritiamo, almeno una volta nella vita, una grande occasione. Nel calcio, tuttavia, capita meno di quanto ci si possa immaginare. Ci sono talenti che hanno dovuto aspettare degli anni per esplodere e altri che non hanno mai potuto dimostrare il loro valore. Ecco, quindi, che i vari Zaza e Berardi sperano che sia giunto il loro momento. Al Sassuolo hanno confermato di essere pronti per il salto di qualità. Made in Italy, hanno un obiettivo chiaro: far vedere a tutti che sono in grado di fare la differenza anche in un top club. Ci pensa, da tanto, anche Pellé. L’essere riuscito a vestire l’azzurro è un primo passo da rimarcare, ora sarebbe fantastico trovare la grande squadra che creda ciecamente in lui. Il patron Ferrero lo adora ma anche Eder è nella stessa identica situazione di Pellé. A Genova è esploso, normale che ora abbia in agenda il sogno di misurarsi in una società di primissimo livello. Anche in questa partico-

Stevan Jovetić Calcio 2OOO

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SPECIALE / i 100 colpi della serie a DALLE STELLE ALLE STALLE Il Balo non è più un re del mercato...

SPECIALE / i 100 colpi della serie a

BALO, ULTIMA CHIAMATA? Di Fabrizio Ponciroli Da uomo mercato a campione dimenticato, la triste parabola di SuperMario…

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po, a chi lo considera pronto per l’archiviazione. Cassano è in buona compagnia. Boateng, ex stella del Milan, ha la stessa motivazione. Allo Schalke l’hanno dipinto come uno scansafatiche, potrebbe impiegare la rabbia accumulata per far felice qualche allenatore. Sempre in ottica Diavolo, da seguire con attenzione i nuovi sentieri che attendono Destro e Cerci. Volevano diventare grandi in rossonero, ora sono costretti a rimboccarsi le maniche per zittire tutti coloro che li hanno criticati. Destro sa che è questo il momento per svoltare, stesso pensiero dell’ex fantasista del Torino. Ma ci sono due “personaggi” che, probabilmente, hanno più fame di vendetta di tutti: Osvaldo e Pato. Partiamo dal primo, croce e delizia di ogni allenatore. A 29 anni, l’italo/argentino ha già indossato le maglie di 11 club diversi. Gol indimenticabili ma anche scenate assurde. Al Boca, sua ultima destinazione, pareva aver trovato la sua dimensione. Tutto falso, tutto da rifare. Il Southampton, proprietario del cartellino, non lo vuole vedere neanche di striscio. Un ribelle difficile da gestire ma dall’indubbio fascino. Poi c’è il Papero. Sembra trascorsa una vita dal giorno del suo addio al Milan (gennaio 2013). Tornato in Brasile, non ha deluso sia in maglia Corinthians che San Paolo. Tuttavia, il richiamo dell’Italia è troppo forte. Pato, da noi, stava bene, normale che sia sempre connesso con il Bel Paese. In tanti si dimenticano che, in fin dei conti, parliamo di un classe 1989, quindi di un giocatore che ha ancora tanto da dare. Vitale che sia motivato e coccolato… GIOVANI DI PROSPETTIVA… Ci sono, infine, i giovani prospetti, ossia coloro che hanno iniziato a far intravedere il loro talento ma che, ad onor del vero, sono ancora delle vere e proprie scommesse. La Juventus è un club molto attento ai giovani campioni, lo conferma l’affare Dybala. Ma tante altre società italiane hanno capito che, per fare cassa in futuro, conviene puntare i propri quattrini su giocatori dalle

foto Federico De Luca

Paulo Dybala

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soli 25 anni, Balotelli ha già vissuto, a livello di calciomercato, tantissimi momenti di pura esaltazione. Il primo “colpo da mille e una notte” arriva nell’agosto del 2010. A soli 20 anni, passa dall’Inter al Manchester City per ben 28 milioni di euro, un’enormità per un ragazzino così giovane (seppur intriso di talento grezzo). Passano meno di tre anni e, nel gennaio del 2013, il nome di Balotelli torna d’attualità. Calciomercato invernale impazzito alla notizia del suo ritorno in Italia, al Milan, per circa 20 milioni di euro. L’idillio con il Diavolo dura meno del previsto. Nell’estate del 2014, si torna a parlare solo di SuperMario (e Raiola). Altro trasferimento, questa volta al Liverpool, sempre per circa 20 milioni di euro. Tre momenti top che rischiano di restare gli unici della carriera di Balotelli. A 25 anni, la sua storia di grandezza pare essere già giunta al capolinea. Nessuno, in questa afosa finestra di mercato, parla di lui. O, meglio, se ne parla ma in tono minore. Il grande SuperMario conteso da, con tutto il rispetto, squadre di media grandezza italiana e turca… Come è possibile? Semplice, sono le leggi del mercato, anzi, del calciomercato. Raiola, solo 12 mesi fa, dichiarava: “Il Liverpool è l’ultima spiaggia per Balotelli. Mario ha 24 anni. Non ha più l’alibi dell’età”, le sue parole al Corriere. Parole profetiche, purtroppo in senso negativo per l’ex bomber della Nazionale. Ai Reds è andata male e, ora, più nessuno bussa alla sua porta (o meglio alla porta di Raiola) per proporre l’accordo del secolo. Per fortuna, va sempre ricordato, che la giostra non smette mai di girare. Il calciomercato è una bestia strana, di quelle che si possono svegliare da un minuto all’altro. Non è detto che, un giorno, magari anche prima di questa finestra di mercato, qualcuno si decida a fare la pazzia e far tornare SuperMario protagonista assoluto del calciomercato. Ci manca il suo nome tra i colpi dell’estate…

foto Image Sport

Dalle stelle alle stalle, metaforicamente parlando. A

José Mauri

poche primavere sulle spalle. In circolazione, di giovani di talento, ce ne sono diversi. Apriamo con il “nostro” José Mauri. Il fatto che gli abbiamo concesso di apparire nella cover del nostro/ vostro giornale, la dice lunga su quanto crediamo in lui e nelle sue capacità. Un diamante grezzo, da non lasciarsi scappare. Di un anno più giovane (classe 1994) è Berardi. Anche in questo caso, la Juventus, di fatto, lo controlla e fa più che bene. Quando uno riesce a segnare 31 gol nelle sue prime due stagioni in Serie A, allora significa che ha talento da vendere. Classe cristallina che scorre anche nelle vene di Giovanni Simeone. Figlio del tecnico dell’Atletico Madrid, il 20enne bomber argentino del River Plate ha dimostrato di essere pronto per il grande salto all’ultimo Mondiale Sub 20 dove si è laureato capocannoniere con nove reti. Sempre del 1995 è anche Marcos Guilherme, stellina in forza all’Atletico Paranaense. Non altissimo (172 cm), ha un controllo di palla leggendario. Ci spostiamo poi in Messico, dove sarebbe stato meglio muoversi in fretta per Hirving Lozano. El Chucky (suo soprannome), dopo aver incantato con la casacca del Pachuca, è passato al PSG che, comunque, potrebbe anche cederlo (in prestito) per farlo maturare. Un’occasione da non perdere. Discorso simile si può fare per Iheanacho. Miglior giovane africano del 2013 (è un classe 1996), è di proprietà del Manchester City che, tuttavia, davanti ad un progetto di crescita affidabile, potrebbe anche lasciarlo andare (sempre in prestito). Altra chance da cogliere al volo è quella che porta il nome di Guedes. Classe 1996, è già talmente noto in Portogallo che il suo agente è un certo Jorge Mendes (lo stesso che segue Cristiano Ronaldo). In tanti credono ciecamente anche in Gaston Pereiro. In grado di giocare in ogni ruolo in attacco, ha segnato cinque reti nell’ultimo Sub 20, confermando una crescita esponenziale. Il Nacional lo considera il nuovo Recoba (suo idolo). Se, invece, si vuole puntare su giovani stelle della Bundes, Calhanoglu e Meyer sono due nomi da tener presenti… Calcio 2OOO

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INTERVISTA FRANCESCO ACERBI

INTERVISTA / FRANCESCO ACERBI DURO COME LA ROCCIA Francesco Acerbi ha sconfitto il tumore due volte

La doppietta pi첫 bella

foto Federico De Luca

Intervista esclusiva con Francesco Acerbi, difensore del Sassuolo

di Sergio STANCO 28

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INTERVISTA / FRANCESCO ACERBI

Com’è nata invece l’idea del libro e cosa ti ha convinto? “In tanti mi avevano proposto di scriverlo, ma avevo sempre rifiutato, anche perché sono un tipo molto riservato. Poi, però, quando ho conosciuto Alberto (Pucci, l’autore ndr) siamo entrati subito in sintonia e ho deciso di tuffarmi in quest’avventura, anche per mandare un messaggio a chi stava vivendo una situazione come la mia”.

mollo niente, la voglia di lottare ce l’ho dentro, nel DNA quello che ho vissuto, mi dà una marcia in più per superare le difficoltà”. Cosa ricordi di quel momento in particolare e di quel periodo in generale? “La prima volta ricordo solo che mi avevano detto: “In un mese torni a giocare”. Allora non l’ho presa poi così male. Mi son detto: “Mi opero e passa in fretta”. La seconda, invece, è stata più dura, prima di tutto perché - anche se tecnicamente non lo era - era un po’ come se fosse una ricaduta. Poi c’era la chemioterapia da fare e all’inizio è stata davvero tosta, come possono testimoniare mia mamma e i miei familiari. I primi giorni l’avevo presa male, non mi si poteva parlare, volavano telefonini (ride, ndr). Poi, però, quando ho capito come funzionavano i cicli e sapevo il giorno che sarei stato meglio, tenevo duro e passava in fretta”.

Un’iniziativa che ha anche uno scopo benefico giusto? “Sì, perché parte del ricavato sarà destinato a Play For Change, la charity sostenuta da Football Capital, la società che mi segue. Altri ricavi saranno destinati al Centro di Oncobiologia Sperimentale dell’Università di Palermo e al San Raffaele di Milano”.

Com’è stato tornare a giocare la prima e la seconda volta? “La prima volta niente di che, perché son rientrato come ero prima, senza particolare passione e convinzione. Ultimamente avevo perso un po’ di entusiasmo e, sì, giocavo, ma senza particolare trasporto. La seconda, invece, dopo la chemioterapia, è cambiato tutto, sono tornato ad essere il ragazzino che da giovane si divertiva, che non avrebbe mai smesso di giocare a pallone. È stato bello, perché mi sono reso conto di aver buttato al vento opportunità che in molti sognano e mi sono detto che non sarebbe più dovuto accadere”.

Ora puoi rivivere con serenità i terribili momenti dell’annuncio: ti capita di ripensarci ogni tanto? “Certo che sì, ci ripenso ogni volta che c’è qualche problema non così grave, che però mi fa arrabbiare. A quel punto penso a quello che ho passato e capisco che non ne vale la pena. Dopo quello che mi è successo, vivo tutto con maggiore serenità. Guardarmi indietro e pensare a

E infatti non è più accaduto, tanto che è arrivato anche l’esordio in Nazionale: è stata quella l’emozione più grande? “In quel momento ero molto orgoglioso di quello che avevo fatto per arrivare fino lì. Forse più che esordire, mi ha emozionato l’atteggiamento di mister Conte. Prima della partita, infatti, mi ha chiamato in disparte e mi ha detto:

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C’è stato un momento in cui hai ripensato a quello che ti era successo? “Ci penso ogni giorno, perché voglio ricordarmelo per evitare di perdermi come mi era accaduto prima di ammalarmi. Al Milan credevo di essere “arrivato” e mi sono seduto. Ho dimostrato di non essere uno da Milan, prima con la testa e poi con i piedi. Adesso non mollo niente, la voglia di lottare ce l’ho dentro, nel DNA”. In questi momenti si dice sempre che la famiglia sia fondamentale e che veramente capisci chi siano le persone che ti vogliono bene: è stato così anche per te? E chi ti è stato particolarmente vicino che vuoi ringraziare… “È vero, anche io ho fatto parecchia pulizia… (ride, ndr). Voglio ringraziare ovviamente la mia famiglia che mi ha sopportato nei momenti più difficili e poi gli amici che mi sono stati vicini. Non è vero che nel calcio è difficile fare amicizia, basta selezionare quelle giuste: io ad esempio ho Paloschi, Bonazzoli, mister Atzori…”.

“” Ho superato la malattia e ho ripreso a giocare a calcio. E questo è l’importante

GRAZIE AL CIELO Un bacio a chi, da lassù, ha avuto uno sguardo benevolo

In che modo il calcio ti ha aiutato a superare le difficoltà? “È stato fondamentale: guardavo tutte le partite, soffrivo, volevo tornare in campo, mi dispiaceva non poter andare allo stadio. E poi andavo a tutti gli allenamenti della squadra come se dovessi parteciparvi anch’io. Mi sedevo a bordo campo ed era come se corressi a fianco ai miei compagni. Mi sono servite tanto le loro pacche d’incoraggiamento, le parole del mister e di tutta la dirigenza. Devo dire che tutto il Sassuolo con me è stato meraviglioso. Praticamente mi sono ammalato appena arrivato, ma loro non mi hanno mai fatto pesare questa cosa. Anzi, sono sempre stati un grande supporto per me”. C’è stato anche un aneddoto legato ad un tuo idolo da ragazzino, vero? “Sì, è vero, lo racconto anche nel mio libro. Un giorno ricevo una telefonata e dall’altra parte sento: “Ciao, sono George… George Weah”. All’inizio pensavo fosse uno scherzo, invece era tutto vero. È stato carinissimo, mi ha detto di tenere duro e che tutti stavano facendo il tifo per me”. Cosa ti ha insegnato o lasciato questa esperienza? “Mi ha insegnato tanto, come solo le brutte esperienze possono fare. Adesso vivo sicuramente più alla giornata, non faccio programmi a lunga scadenza, do tutto quello che ho giorno dopo giorno e non voglio sprecare nemmeno un secondo della mia vita. La malattia mi ha cambiato in meglio, mi ha dato valori che prima non avevo”. foto Image Sport

Partiamo dal titolo del tuo libro: come nasce? “Nasce dal fatto che è finita tutto bene, che nonostante quello che ho passato, ora sono qui. Ho superato la malattia e ho ripreso a giocare a calcio. E questo è l’importante (sorride, ndr), per cui “Tutto bene””.

“” Adesso non

“Ti ammiro molto, sei un ragazzo forte, ma io non ti ho chiamato per la malattia, ma perché sei bravo”. E già questo è stato bello, ma poi mi ha abbracciato, una cosa che sinceramente non mi aspettavo, tanto che ero un po’ imbarazzato. È stato un gesto che non dimenticherò. Il momento più emozionante in assoluto, invece, è stato quando mi hanno detto che potevo tornare a giocare. Non tanto quando son tornato in campo per le partite, ma proprio quando il medico mi ha dato l’idoneità e il primo allenamento con la squadra”.

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uella di Francesco Acerbi, purtroppo, è una storia comune che, probabilmente, se lui non fosse stato un calciatore famoso, non avrebbe neanche fatto notizia. Ma poiché questa bellissima storia ha un lieto fine, e può anche essere d’aiuto per persone che vivono la stessa situazione, che da questa possono trovare la forza di lottare e non arrendersi, vale la pena di raccontarla. E Francesco l’ha fatto in un libro (Tutto Bene – La mia doppia vittoria sul tumore, scritto con il giornalista Alberto Pucci, edizioni Sperling&Kupfer).

INTERVISTA / FRANCESCO ACERBI

Cosa, invece, ti fa ancora imbestialire? “Non sopporto la gente che mi guarda negli occhi e mi fa: “Come va? Ma stai bene ora?”. Mi verrebbe da rispondere: Calcio 2OOO

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INTERVISTA / FRANCESCO ACERBI

Ci sono storie che hanno un lieto fine bellissimo… vevo appena pubblicato un libro “Il valore speciale di un goal” (Urbone Publishing, 12 €), che parla di 15 storie di atleti “tornati” alla vita (normale e professionale) dopo un periodo difficile. Così, quando abbiamo avuto l’occasione di intervistare Acerbi, il collegamento è sorto automatico. La storia di Acerbi, infatti, può essere considerata come la “sedicesima” non inclusa nel libro. Anche la storia di Acerbi comprende un goal dal ‘valore speciale’, che non può che essere quello realizzato il 25 ottobre del 2014, contro il Parma. Un goal che, in un semplice gesto, cancella (o quasi) tutto ciò che il difensore lombardo è stato costretto a fronteggiare per 14 lunghissimi mesi. Prima del lieto fine. La lista di “Quelli che non mollano”, fortunatamente, è lunga: proprio nelle ultime settimane, un’altra storia ha fatto battere il cuore degli appassionati di calcio. È quella di Jonas Gutierrez, centrocampista del Newcastle e della Nazionale argentina, costretto ad interrompere la propria carriera nel marzo del 2013. Tumore ai testicoli, è la terribile diagnosi che lo sconvolge. Jonas, però, non molla: il tumore viene asportato, ma meno di un anno dopo si ripresenta. Nuovamente chemioterapia, altre sofferenze. Jonas, però, per tutti ‘El Galgo’, non si arrende e proprio come il levriero dal quale ha preso il soprannome, torna a correre: il 4 marzo, due anni dopo la terribile scoperta.. Ma non si accontenta. Gutierrez riesce persino ad andare oltre, mettendo la firma con un suo goal alla salvezza del Newcastle, proprio in occasione dell’ultima gara – decisiva – contro il West Ham. E vi ricordate di Ivan Klasnic? Goal a raffica con la maglia della Croazia e con quella del Werder Brema, prima dell’inatteso stop. Nel 2006 una disfunzione renale lo costringe a fermarsi e

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Tutto è Bene... Di Sergio Stanco

Un libro toccante, il manifesto di chi non si arrende mai… utto bene – La mia doppia vittoria sul tumore è un libro che parla di determinazione, voglia di lottare, tenacia e forza d’animo. Partendo dal racconto della propria carriera – dalle giovanili del Pavia al Sassuolo, fino all’azzurro della Nazionale – Francesco Acerbi racconta, insieme ad Alberto Pucci, con grande emotività e trasporto la storia del suo tumore, sconfitto per ben due volte. Il calciatore descrive i suoi primi passi da difensore, l’intenso rapporto con il padre, il legame con una famiglia che gli è sempre stata accanto, le passioni e i momenti spensierati di un ragazzo innamorato del calcio. Riavvolgendo il nastro dei ricordi, torna a vestire tutte le maglie da lui indossate, compresa quella azzurra della Nazionale, conquistata con la stessa grinta con cui ha battuto due volte l’avversario più temibile. Tutto bene – La mia doppia vittoria sul tumore è il messaggio emozionante ed autentico di Francesco nei confronti di chi lotta ogni giorno contro una malattia che, se affrontata con coraggio e caparbietà, può essere sconfitta.

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è quella di Julio Gonzalez, attaccante paraguaiano che in Italia ricordiamo con la maglia del Vicenza. Proprio nel momento migliore della propria carriera, e con un precontratto già firmato con la Roma in tasca, il bomber rimane vittima di un grave incidente sull’autostrada Vicenza-Padova. Dopo aver rischiato di perdere la vita, Gonzalez riesce a sopravvivere ma è costretto a ‘sacrificare’ il braccio sinistro, amputatogli un mese dopo l’incidente. Impossibile, o quasi, tornare in campo. Ma Gonzalez non molla e, meno di 6 mesi dopo, è già pronto per tornare a giocare. A Vicenza urlano al miracolo, ma l’entusiasmo viene smorzato dalla burocrazia: è impossibile per Julio ricevere il certificato di idoneità. Addio al calcio, dunque? Neanche per sogno. Gonzalez non si arrende e torna in Paraguay, dove riprende regolarmente la sua attività di calciatore. Non è più riuscito a tornare a calcare i campi “ufficiali”, ma ha comunque vinto la sua partita anche Dario Silva. L’attaccante che i meno giovani ricorderanno alla guida dell’attacco del Cagliari nei primi Anni ’90, nel settembre del 2006 – quando era ancora in attività ed appena svincolato dal Portsmouth – restò vittima di un terribile incidente stradale che costrinse i medici ad amputargli la gamba destra per evitare guai peggiori. ‘Sa Pibinca’, però, duro come pochi, riuscì a rialzarsi. Prima psicologicamente, poi anche fisicamente. E poco più di due anni dopo tornò in campo. Non più nei panni di calciatore professionista, purtroppo, ma in tempo per disputare la sua partita d’addio. Perché l’addio al calcio, Dario Silva, voleva darlo proprio in maglietta e pantaloncini su un campo da calcio e non in vestaglia su un letto d’ospedale. E se li abbiamo definiti ‘Quelli che non mollano’, un motivo doveva pur esserci…

Non mollare mai, in campo e fuori Di Stefano Benetazzo

Una carriera sempre di corsa e a testa alta… a Vizzolo Predabissi alla Nazionale passando per Chievo Verona, Milan e Sassuolo e da una brutta doppia storia di malattia che avrebbe abbattuto chiunque. Francesco Acerbi, difensore classe ’88, ha mosso i primi passi nelle giovanili del Pavia, esordendo in prima squadra nell’allora Serie C1, mettendosi in evidenza nel grande calcio con il Chievo, dopo l’esperienza positiva con la Reggina e quella fugace con il Genoa. Con il Grifone nel 2011-12 svolge la preparazione estiva prima di trasferirsi alla formazione clivense nello scambio con Constant; positivo l’esordio nella massima serie, coinciso con una vittoria per 2-1 sul Catania così come decisiva

D

è stata la prima rete ufficiale, nell’1-1 casalingo contro il Siena. L’ottima annata disputata non passa inosservata alla dirigenza del Milan che lo acquista nell’estate del 2012, dove Acerbi sceglie la maglia numero 13 appartenuta ad Alessandro Nesta; la buona sorte sembra arridere al difensore visto che sia l’esordio in campionato che quello in Champions coincidono con due successi, contro Bologna (3-1) e Malaga (1-0) seppur con i rossoneri colleziona solo 6 presenze in 5 mesi, motivo che spinge Acerbi a fare ritorno al Chievo a gennaio 2013 dopo il riscatto dell’altra metà del cartellino da parte del Genoa ma la sua seconda avventura dura solo pochi mesi, fino a luglio 2013 quando viene acquistato dal Sassuolo neo promosso in Serie A. Durante le visite mediche però gli viene diagnosticato un tumore al testicolo: operato d’urgenza viene dimesso in buona salute ma durante un test antidoping nel dicembre ’13 risulta positivo alla gonadotropina e sospeso. I controlli rivelano una ricaduta del tumore, ancora una volta sconfitto. In carriera vanta due gettoni in Nazionale: il primo con Prandelli e il secondo con Antonio Conte, convocato per le amichevoli contro Inghilterra e Albania. Una buona carriera per Acerbi, in cui spicca la vittoria più importante, quella con la vita. Soddisfazione più grande non esiste.

LA CARRIERA DI ACERBI

Stagione

Squadra

Campionato

Totale

Comp

Pres

Reti

Pres

Reti

2005-2006

Pavia

C1

1

0

3

0

2006-gen. 2007

Pavia

C1

0

0

0

0

gen. 2007

Renate

D

1

0

1

0

gen.-giu. 2007

Pavia

C1

1

0

1

0

2007-2008

Spezia

B

0

0

0

0

2008-2009

Pavia

2D

22

2

25

2

2009-2010

Pavia

2D

24+2

1

25

1

2010-2011

Reggina

B

40+2

2

43

2

2011-2012

Chievo

A

17

1

20

1

2012-gen. 2013

Milan

A

6

0

10

0

gen.-giu. 2013

Chievo

A

7

0

7

0

2013-2014

Sassuolo

A

13

0

13

0

2014-2015

Sassuolo

A

22

3

22

3

Calcio 2OOO

* Dati aggiornati al 12/6/2015

Di Renato Maisani

a sottoporsi ad un trapianto, eseguito qualche mese dopo. Pericolo rientrato? Macché. Il corpo del giocatore rigetta il rene ricevuto e Klasnic è costretto ad un nuovo intervento, stavolta fortunatamente a buon fine. E proprio un anno dopo quella diagnosi da incubo, Klasnic riesce a tornare in campo e a riprendere la propria carriera proprio da dove l’aveva interrotta. Ormai 20 anni fa, in Italia, un altro croato se la vide brutta. Nel Padova 1995-96, quello dell’eccentrico statunitense Alexis Lalas e dell’olandese Kreek, il terzo straniero in organico era Goran Vlaovic, attaccante affidabile e che ne corso della prima stagione in maglia biancoscudata aveva lasciato il segno con 6 reti, una delle quali determinante nello spareggio salvezza che spedì in Serie B il Genoa salvando proprio il club veneto. Improvvisamente, però, il calcio, la più grande passione del giovane Goran, diventò l’ultimo dei suoi problemi. Un forte mal di testa, insopportabile. Poi il trasferimento a Gand, in Belgio, per le cure. “Ipertensione endocranica benigna”, fu la diagnosi che tuttavia non privò Vlaovic della speranza di farcela. A superarla e persino a tornare in campo. E così fu: meno di due mesi dopo l’intervento, Vlaovic tornò ad allenarsi regolarmente. “Piuttosto siamo stati fortunati ad accorgercene prima che comportasse danni irreparabili”, commentarono i medici. Più recente è invece la storia che ha visto come sfortunato protagonista il centrocampista serbo Nenad Krsticic. Giunto giovanissimo in Italia, dove Paratici e la Sampdoria lo portarono strappandolo di fatto alla guerra, Nenad iniziò ad incantare con la Primavera di Fulvio Pea. Pronto per il salto in prima squadra, però, fu bloccato da un brutto infortunio al ginocchio. Infortunio che probabilmente gli salvò la vita. Nel corso di una visita di controllo, infatti, i medici gli diagnosticano il ‘linfoma di Burkitt’, malattia rara e ancora poco nota. Sembrava addirittura che al giovane Krsticic, all’epoca appena 18enne, restassero pochi giorni di vita. Ma Krsticic riuscì a rialzarsi, in tempo per esordire in Serie A, per realizzare il suo primo goal e per riprendere a vivere e a giocare, archiviando quel brutto capitolo con rapidità e senza conseguenze. Un’altra brutta storia, ma a lieto fine,

foto Image Sport - 4

Quelli che non mollano

INTERVISTA / FRANCESCO ACERBI

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INTERVISTA / FRANCESCO ACERBI

LA NAZIONALE

Dopo il ritorno al calcio, anche l'esordio in azzurro per Acerbi

“Sto meglio di te”. Mi dà fastidio perché è come se non ci credessero, che si aspettassero che uno che è stato malato debba portarne i segni o che lo rimanga per sempre. Sto bene, benissimo, mai stato meglio”. Sdrammatizzando un po’, ci vuole coraggio anche a vestire la 13 di Nesta… “No, ci vuole incoscienza, sono stato indegno di quella maglia, c’è poco da dire. Il coraggio ce l’hanno avuto gli altri a darmela (sorride, ndr): in quel momento, molto semplicemente, non ero da Milan: sono cose che capitano e ti fanno crescere”. Restando al calcio, tu sei uno che ti sei guadagnato la A facendo tutta la gavetta: qual è stata secondo te l’esperienza più formativa? “Il primo anno di Chievo e poi a Reggio Calabria, dove ho capito di poter diventare calciatore, perché fino ad allora l’avevo vissuta come un gioco, senza troppe pressioni”. Il mister che ti ha insegnato di più? “Ce ne sono tanti, i più importanti per me sono stati Atzori e Di Carlo. E poi c’è Di Francesco, che mi ha aiutato tanto, anche 34

Calcio 2OOO

“”

Maglia di Nesta? Ci vuole incoscienza, sono stato indegno di quella maglia, c’è poco da dire tatticamente, ma non solo. Mi ha dato tanta fiducia, mi ha voluto fortemente dopo un periodo non certo esaltante e poi mi ha ributtato nella mischia dopo la malattia. Pensavo di metterci di più a tornare in campo, gli ho anche detto “Non mi devi far giocare per forza”, invece lui aveva fretta (ride, ndr). Meglio così”. E l'attaccante tormento che proprio non sopporti? “Non ho dubbi, Ibra. Mamma mia, è un animale, sia dal punto di vista fisico che tecnicamente. Poi ce ne sono altri, Cavani, Tevez, ma nessuno è come Ibra”. Cosa ti senti di dire ai tuoi colleghi che magari si lamentano per inezie?

“A volte guardo i giovani che sprecano il loro talento e mi viene una rabbia… D’altronde, però, non posso certamente rimproverarli, chi sono io per farlo? In passato l’ho fatto anch’io, quindi non sarei credibile. Cerco di farglielo capire, di spiegarglielo e spero che non mi guardino come il vecchio rompiballe (ride, ndr)”. E a persone che magari stanno vivendo la tua stessa esperienza? “Che io sono la dimostrazione che questa battaglia si può vincere, che non si deve mollare mai, che c’è sempre una buona ragione per lottare, anche quando sei incazzato (testuale, ndr) e non ne avresti nessuna voglia. È questo che di solito dico loro quando mi contattano sui social, ad esempio, o quando qualcuno mi invita a qualche incontro sul tema. Non sono mai stato molto bravo con le parole, ma se la mia presenza può essere d’aiuto, compatibilmente con gli impegni calcistici, io ci sono”. Qual è ora il sogno da realizzare? “I sogni ce li ho, come tutti, ma non è importante quali siano. Questa esperienza mi ha segnato che bisogna lavorare duro, lottare e non mollare mai. Solo così si realizzano”.


SPECIALE QUELLI SENZA NAZIONALE

di Luca GANDINI

SPECIALE / QUELLI SENZA NAZIONALE

LA NAZIONALE DEGLI ESCLUSI

Carriere prestigiose, talvolta leggendarie, coronate da gol, Coppe e record, a cui è però mancata la consacrazione più grande.

PER IL PROPRIO PAESE: Non sempre si arriva all'amata Nazionale...

S

ono tanti i campioni del grande calcio internazionale di ieri e di oggi a non aver mai avuto l'onore di rappresentare il proprio Paese. L'Italia, come visto nel numero 211, ha saputo proporre una "Nazionale" di tutto rispetto, trascinata dalle parate di Sebastiano Rossi, dalle invenzioni di Paolo Di Canio e dai gol di Pietro Paolo Virdis, ma anche dall'estero ci giungono importanti esempi in tal senso. Capitani che hanno alzato la Coppa dei Campioni, goleador inarrestabili, fantasisti a ritmo di samba e difensori patrioti. Una formazione di 11 stelle che si portano in dote, complessivamente, 12 Coppe dei Campioni, 4 Coppe Intercontinentali, 2 Mondiali per Club, 2 Coppe UEFA, 2 Coppe delle Coppe e 5 Coppe Libertadores. Tutta gente che ha, però, un malinconico "zero" alla voce "presenze in Nazionale". 36

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Perché anche il calcio, a volte, sa offrire clamorose sorprese. ASSI DI COPPE Non bastarono la Coppa Intercontinentale e le 3 Coppe dei Campioni vinte, il record d'imbattibilità nel campionato olandese di 1082 minuti consecutivi senza subire gol e l'estrema affidabilità. Per HEINZ STUY (Germania, 1945), portiere del grande Ajax anni '70, non si spalancarono mai le porte della Nazionale. Nato in Germania, ma olandese a tutti gli effetti, di quella squadra leggendaria non era certo la stella più splendente. Fu comunque un estremo difensore di buon livello, bravo a disimpegnarsi anche fuori dall'area secondo i dettami del calcio totale, che volevano il portiere come una sorta di libero aggiunto, non sfigurava nemmeno nelle uscite basse, grazie al

foto Agenzia Liverani

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ENZO BEARZOT e CARLOS BILARDO

CARLOS BILARDO IL CASO BILARDO: Grande tecnico ma da calciatore niente Argentina...

tempismo e al coraggio. Un po' meno sicuro nelle prese alte, si guadagnò il soprannome di "Kroket" proprio per sottolineare il modo in cui si faceva sfuggire il pallone, quasi fosse una crocchetta bollente... “Spagna? No, grazie. La mia Nazionale è solo la Catalogna”. Un caso unico, quello di OLEGUER (Spagna, 1980). I più attenti lo ricorderanno protagonista nel Barcellona di Frank Rijkaard campione d'Europa nella stagione 2005/06. Bravo nel gioco aereo e nella marcatura individuale, abile a destreggiarsi sia come terzino destro che come centrale, non accettò mai di indossare la maglia della Spagna per via delle convinzioni indipendentiste. Laureato in Scienze Economiche, ha spesso giocato al fianco dei più famosi Carles Puyol e Xavi nella selezione catalana, l'unica Patria a cui Oleguer si sente di appartenere. Bobby Robson, c.t. dell'Inghilterra dal 1982 al 1990, lo ripeteva spesso: «Non averlo mai convocato fu il mio errore più grande». Si riferiva a STEVE BRUCE (Inghilterra, 1960). Difensore centrale dall'indole indomabile,

non velocissimo e sgraziato nei movimenti, sapeva però garantire buone medie realizzative grazie alla pericolosità nei colpi di testa e all'abilità nel calciare i rigori. Nel 1993/94, con il Manchester United, divenne il primo capitano inglese a centrare il double Premier League-FA Cup nel XX secolo. Sempre con i Red Devils aveva vinto anche la Coppa delle Coppe nel 1990/91, prima affermazione internazionale per i club inglesi nel dopo-Heysel. Come secondo difensore centrale, ecco HORST BLANKENBURG (Germania, 1947). Biondo, capellone, atleta formidabile, era il libero dell'Ajax che dominava l'Europa all'inizio degli anni '70, con cui vinse da protagonista 3 Coppe dei Campioni e una Coppa Intercontinentale. Tornato in Patria, conquistò anche una Coppa delle Coppe con l'Amburgo. Chiuso dal grande Franz Beckenbauer, non giocò mai nemmeno un minuto con la Nazionale tedesca. Il compagno Johan Cruijff fece di tutto per convincerlo a rappresentare l'Olanda al Mondiale del 1974, ma inutilmente. Blankenburg attese fino all'ulCalcio 2OOO

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SPECIALE / QUELLI SENZA NAZIONALE

SPECIALE / QUELLI SENZA NAZIONALE

ANCHE OLEGUER

Barcellona e Ajax ma niente Furie Rosse

STEVE BRUCE

foto Agenzia Liverani

DELIO ONNIS

JIMMY CASE

timo una chiamata dalla Germania che non sarebbe in realtà mai arrivata. Non era invece un campione, JOOP VAN DAELE (Olanda, 1947), ma segnò il gol più importante nella storia del Feyenoord, quello che diede al club di Rotterdam la Coppa Intercontinentale 1970. Classico giocatore totale, poteva ricoprire sia il ruolo di terzino sinistro che quello di attaccante senza mai sfigurare. Per lui, anche il successo nella Coppa UEFA nel 1974. Nel museo del Feyenoord, accanto a trofei e cimeli, sono conservati anche i leggendari occhiali da vista da cui Van Daele non si separava mai, nemmeno in partita... CAPITAN ROCK A centrocampo, come frangiflutti davanti alla difesa, trova spazio JOHN McGOVERN (Scozia, 1949). Davvero inspiegabile il fatto che non abbia mai giocato con la Nazionale scozzese. Campione d'Inghilterra con il Derby County nel 1971/72, visse però gli anni migliori come capitano del Nottingham Forest, con 38

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cui conquistò il titolo inglese nel 1977/78 oltre a 2 incredibili Coppe dei Campioni. Fan accanito degli AC/DC, regalò al frontman Brian Johnson, di cui era grande amico, la maglia indossata nella vittoriosa finale del 1980. Sul centro-destra, libero di sfogare la sua potenza in memorabili sgroppate palla al piede, ecco JIMMY CASE (Inghilterra, 1954). Un giocatore simbolo del Liverpool, vincitore di una Coppa UEFA nel 1976, con tanto di rete realizzata in finale, e di ben 3 edizioni della Coppa Campioni. Gran tiratore, buon fiuto del gol, corsa e generosità al servizio della squadra. Il suo bilancio parla di una presenza e un gol con l'Under-23 inglese, ma zero "caps" con la Nazionale maggiore. Anche lui, come il già citato McGovern, fu in un certo senso legato alla grande musica britannica, visto che a Liverpool era vicino di casa di un certo Paul McCartney. Sul centro-sinistra, forse il personaggio più vincente nella storia del calcio argentino: CARLOS BILARDO (Argentina, 1938). Laureato in Medicina, fu per anni colonna dell'Estu-

Oleguer Presas

foto Agenzia Liverani

PER LORO NIENTE NAZIONALE: Campioni o allenatori affermati, eppure non hanno mai difeso i colori del proprio Paese...

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SPECIALE / QUELLI SENZA NAZIONALE

foto Agenzia Liverani

SPECIALE / QUELLI SENZA NAZIONALE

IL MITO PAISLEY: Idolo a Liverpool ma mai convocato dall'Inghilterra

diantes La Plata. Buon organizzatore di gioco, scaltro e provocatore, seppe condurre l'orgoglioso club platense a successi impensabili: la Coppa Intercontinentale alzata al cielo dell'Old Trafford ai danni del Manchester United e 3 edizioni consecutive della Coppa Libertadores, in cui non saltò mai una partita. Nessuna presenza con la Nazionale maggiore, ma con l'Olimpica partecipò ai Giochi di Roma '60. Divenuto allenatore, guidò l'Albiceleste al trionfo mondiale in Messico nel 1986. Qualche metro più avanti, in posizione di trequartista, il futebol bailado di DANILO (Brasile, 1979). Secondo un recente sondaggio del portale Globoesporte, è lui il miglior calciatore brasiliano a non aver mai indossato i colori della Seleção. Lento, ma geniale, ha nell'assist la qualità migliore. Mancino di gran classe, vanta nel suo palmarès 2 Coppe Libertadores e 2 Mondiali per Club conquistati con 2 squadre diverse, San Paolo e Corinthians. Proprio nella semifinale della Libertadores 2012 segnò forse il suo gol più importante, in un incandescente derby brasiliano contro il Santos di Neymar. 40

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JOHN McGOVERN

BOB PAISLEY

Joop van Daele

DANILO

ALTRI ILLUSTRI NOMI: La lista di grandi nomi senza Nazionale è piuttosto lunga..

È l'unico della nostra top 11 ancora in attività. UOMINI-RECORD Ed eccoci all'attacco, con due micidiali bomber nelle cui vene scorre sangue italiano. Nato in Ciociaria da genitori sardi, emigrato da bambino in Argentina ed esploso definitivamente nel calcio francese: è questa la parabola da globetrotter del gol di DELIO ONNIS (Italia, 1948). Calzettoni perennemente abbassati, tecnicamente non un fenomeno, dava il meglio negli ultimi 16 metri, in cui riusciva a sfogare il suo infallibile istinto goleador. Pochi i successi a livello di squadra (un campionato e una Coppa nazionale con il Monaco), molti quelli personali. Le 299 reti segnate nella massima divisione francese fanno di lui il miglior realizzatore nella storia del calcio transalpino. Per 5 volte si aggiudicò il titolo di capocannoniere del torneo, mentre per due volte fu secondo nella classifica della Scarpa d'Oro. Il suo stile di gioco sornione, che lo portava a estraniarsi dalla partita per

89 minuti salvo poi sfruttare l'unica palla-gol capitatagli, ricordava un po' quello di Gerd Müller. E allora perché non giocò mai in Nazionale? Bella domanda. L'Italia si dimenticò di lui, mentre la presenza di Mario Kempes e Carlos Bianchi gli chiuse ogni porta nella Selección argentina. A supportare Onnis, forse il più grande tra gli assi presi in esame finora: ARSENIO ERICO (Paraguay, 1915 - Argentina, 1977). Nipote di italiani, rivelò le sue grandi qualità sin da ragazzino. Notato dall'Independiente in una delle tante tournée che lo videro protagonista insieme a una selezione della Croce Rossa, una rappresentativa umanitaria costituita con l'obiettivo di raccogliere fondi in favore dei soldati paraguayani feriti nella Guerra del Chaco, s'impose all'attenzione dei tifosi argentini come attaccante immarcabile, trascinatore di folle e gran cavaliere dentro e fuori dal campo. Talento creativo, fu l'idolo del giovane Alfredo Di Stéfano, che lo definì: “Il più grande di tutti”. Con 295 gol, detiene tuttora il primato di realizzazioni nel massimo campionato argentino.

Impossibilitato a difendere i colori del Paraguay, che chiudeva le porte a coloro che militavano all'estero, declinò tutte le offerte (anche economiche) con cui la Federcalcio di Buenos Aires tentò di convincerlo a giocare con l'Albiceleste: “Io sono e sarò per sempre paraguayano”. E un uomo-record è anche il c.t. della nostra squadra: Sir BOB PAISLEY (Inghilterra, 1919 Inghilterra, 1996). Trascorse tutta la sua vita calcistica con il Liverpool: 17 anni da giocatore, 9 da allenatore, oltre a una lunghissima parentesi quale assistente di un altro mago della panchina come Bill Shankly. Geniale stratega della corazzata che dominò l'Europa a cavallo tra anni '70 e '80, autentico gentleman con il sorriso sempre stampato sulle labbra, Paisley vanta, insieme al nostro Carlo Ancelotti, il record di vittorie in Coppa dei Campioni, 3, a cui si devono aggiungere 6 titoli nazionali e la ciliegina della Coppa UEFA. Un gigante della panchina che non ebbe mai modo di guidare l'Inghilterra. La vera Nazionale, per lui, fu solo il Liverpool. Calcio 2OOO

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SPECIALE

di Fabrizio PONCIROLI

SPECIALE/ I SIGNORI DELLA ROVESCIATA

I SIGNORI DELLA ROVESCIATA

L'ARTE DI VIALLI Gianluca era un esperto della "bicicletta"...

VAI FERNANDEZ, È TUA… Storia e aneddoti sulla rovesciata, il gesto atletico/tecnico per eccellenza… LA GIOIA MASSIMA

I

l calcio è uno sport sublime. Uno splendido miscuglio di sudore e bellezza, un perfetto sport che sa regalare attimi di pura esaltazione. Tutti ne discutono e ne discuteranno ma c’è un gesto atletico/ tecnico che mette ogni persona devota al dio football d’accordo: la rovesciata. Capita di rado, è sbrigativa quanto un battito d’ali ma, se eseguita in maniera impeccabile, diventa il manifesto migliore del gioco del pallone. Non si può restare inermi davanti a cotanta meraviglia. Ricordo ancora la prima volta che vidi al cinema “Fuga per la vittoria”. Ve lo ricordate? Narra, ai tempi della Seconda Guerra della morte, la leggendaria partita tra una fortissima squadra di tedeschi, aguzzini e spietati, e prigionieri vari, tutti innamorati della “pelota”. Il 42

Calcio 2OOO

film è una goduria, il suo apice arriva nell’attimo in cui Luis Fernandez, nella realtà un certo Pelé, inventa il gol del pareggio con una rovesciata biblica, ripresa da più angolazioni, in rallenty, così da donargli ancor più fascino. Un gesto improvviso, unico, speciale… “Vai Fernandez, è tua…”, gridano i compagni di squadra e il capolavoro si materializza. Ancora oggi, se rivedo quel lungometraggio, attendo, come un bimbo, quel momento, il momento della rovesciata di Luis Fernandez… Certo, parliamo di un film ma, caso più unico che raro, la realtà non è tanto dissimile… Proprio perché rara e complicata, la rovesciata, quando si materializza, è incredibilmente memorabile. Pelé, da applausi nel film, era solito regalare questo gioiello di tecnica e atletismo con una certa generosità. In realtà è un altro il brasiliano che va citato per il suo enorme contributo alla causa: Leonidas. Se

foto Agenzia Liverani

Wayne Rooney - italia inghilterra EURO 2012

foto Agenzia Liverani

Non c'è più soddisfazione di una rovesciata perfetta

GIANLUCA VIALLI Calcio 2OOO

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SPECIALE/ I SIGNORI DELLA ROVESCIATA

SPECIALE/ I SIGNORI DELLA ROVESCIATA

“NON È UNA PASSEGGIATA”

UN TRIO D'ASSI

A destra Parola, uno che ha timbrato diverse rovesciate

Di Thomas Saccani Pruzzo, bomber acrobatico, ci spiega il segreto per una rovesciata perfetta…

foto Fornasari

A

ncora oggi, la rovesciata di Pruzzo contro la Juventus, al Comunale di Torino (4 dicembre 1983), è un ricordo indelebile per ogni tifoso giallorosso che si rispetti. Una di quelle biciclette che, di diritto, sono nella ristretta lista dei capolavori contemporanei: “Di tutti i gol che ho segnato con la maglia della Roma, quello segnato alla Juventus in rovesciata è, senza ombra di dubbio, il più importante. Al di là del fatto che segnare in rovesciata non è una passeggiata, c’è da tener conto che la Juventus era il nostro rivale storico, la squadra che più al mondo volevamo battere. Quel gol ci ha permesso di uscire da Torino con un pareggio che per noi valeva come una vittoria”. Queste le parole con cui il bomber ricorda quel gesto… Ne approfittiamo per concentrarsi sul gesto tecnico che sta alla base di quel gol: “La rovesciata è complicata perché puoi fare una figuraccia colossale. Se sbagli il tempo, magari manchi la palla e ti prendi, come è giusto che sia, i tuoi fischi. Poi, se la prendi, magari non hai la fortuna di

ROBERTO PRUZZO

impattare bene e ti resta solo un gran mal di reni. Certo, se tutto va per il verso giusto e sei bello fortunato, è chiaro che ne esce una cosa spettacolare. Io ricordo che, quando mi sono girato e ho visto la palla in fondo alla rete, quasi non ci credevo che ero stato io… Poi, farla contro la Juventus, beh, ha un sapore completamente diverso. Era una partita importante, bello che quel gol sia arrivato proprio in quella partita. Ancora oggi tantissime persone, quando mi vedono, mi ricordano quel gol, segnato in rovesciata contro la Juventus”.

GIAMPIERO BONIPERTI, RENATO CESARINI E CARLO PAROLA Google decide di inserirti nel “dodle” (come accaduto a Leonidas nel 2013) come “uomo della rovesciata”, significa che qualcosa di buono hai fatto… In effetti, il “Diamante Nero”, stella indiscussa del calcio degli ani Trenta, è stato un’artista della rovesciata o bicicletta che dir si voglia. Si narra che, con una palla a mezz’aria, potesse fare di tutto, colpirla nel momento migliore e indirizzarla dove nessun portiere ci sarebbe mai arrivato. Si sa, i racconti a volte sono impreziositi da parole e dettagli superflui o creati dalla fantasia ma Leonidas le rovesciate le sapeva fare per davvero… Lui l’inventore del gesto più glamour del calcio? Difficile dare una risposta. Tante le correnti di pensiero. Ancora oggi due Paesi del Sudamerica (Cile e Perù) duellano per accaparrarsi il titolo di primi scopritori dell’arte della bicicletta. Secondo i cileni, il primo a colpire il pallone con le spalle rivolte verso il terreno è tale Unzaga. Alcune testimonianze fanno risalire la sua prima rovesciata al lontano 2014. Negli anni diventerà la “Chilena”, nomignolo con cui, in Cile, è nota la rovesciata. Storia diversa quella portata avanti dagli storici del calcio peruviani. Si torna fino agli ultimi anni del 1800. Il luogo dove prende vita la poesia del calcio è Callao. Viene denominata “Chalaca”, in onore degli abitanti di Callao, i “Chalacos”. Impossibile individuare la verità, intrigante sapere che esistono più racconti a riguardo… 44

Calcio 2OOO

PAROLA, NON PIOLA Veniamo al Bel Paese. In Italia le bellezze artistiche sono ovunque, inevitabile che la rovesciata diventi parte del nostro credo calcistico. Se si parla con attempati e illustri amanti del pallone, in tanti citano Silvio Piola come il vero grande artefice dell’introduzione della rovesciata nel nostro calcio. La memoria va alla bicicletta che Piola confeziona in un Italia-Inghilterra del lontano 1939. Bella (e viziata da un fallo di mano, come confesserà lo stesso bomber azzurro) ma non con quella forza d’urto necessaria per diventare immortale. Per la rovesciata impeccabile, quella che non ti ricapita più, bisogna attendere altri 11 anni. È il 15 gennaio, ci troviamo a Firenze. La Fiorentina ospita la Juventus. Non è una grande partita, di emozioni se ne contano poche, pochissime. Poi, al minuto 79, accade l’imprevisto. Su un lancio di Pandolfini, giocatore della Viola, Parola, coriaceo bianconero, anticipa tutti. Lo fa con una rovesciata stilisticamente superba. Tra i presenti c’è un tal Corrado Bianchi, di professione fotoreporter. Bianchi ha l’abilità di premere il dito sulla sua Leica nel momento esatto, non un attimo prima e non un attimo dopo: nasce la mitica e ineguagliabile rovesciata di Parola, famosa per essere, da decenni, il simbolo delle figurine Panini!!! Una rovesciata “difensiva” che, di fatto, non ha portato a nessun gol importante eppure divina, irraggiungibile…

Di Fabrizio Ponciroli Marchio di fabbrica di Higuita, è anche un’arma offensiva decisamente efficace… on è una rovesciata vera e propria ma, diciamo così, fa parte del gotha delle acrobazie più sublimi del mondo del calcio. Potremmo definirla come “una rovesciata al rovescio”. È noto con il nomignolo di “Colpo dello Scorpione”. Il motivo? Semplice, perché ricorda il gesto, fulmineo e mortale, dello scorpione. Una giocata spettacolare resa famosa dal grande Higuita. L’ex numero uno della Colombia sapeva eseguirlo come nessun altro. Lo sanno bene quelli che c’erano, quel giorno, a Wembley, quando il colombiano decise di mostrare il “Colpo dello Scorpione” al mondo. Una follia, tanto geniale quanto rischiosa ma, per fortuna, andata a buon fine: “Devo ammettere che mi sono allenato come un matto, di nascosto, per portare lo Scorpione un giorno in campo. L'ho provato, non esagero, per anni per conto mio, dopo uno spot pubblicitario. Finché in Inghilterra si presentò il pallone che stavo aspettando, un pallone che si avvicinava e mi diceva: ‘Dai René, è la palla giusta, fallo adesso, fallo, non pensarci più’. Tutto nella vita ha un significato, tutti facciamo sogni, qualcuno irrealizzabile ma ce ne sono anche di possibili. I sogni vivono nel nostro profondo, ma pretendono di venire fuori, di diventare reali, di far parte della nostra vita. Siamo ciò che desideriamo e io a Wembley non fui un'eccezione. Sognavo di essere il migliore, di essere un portiere, un libero, un goleador, e di essere tutte queste insieme, come davvero fui, ma poi sognavo lo Scorpione, e feci pure quello, un sogno, il mio sogno che diventava realtà”, racconterà, anni più tardi, ad un quotidiano colombiano. Che dire? Uno spettacolo… Ma Higuita è stato il primo di una lunga serie. Tra i pari

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foto Liverani

foto Liverani

POI CI SAREBBE LO SCORPIONE

René Higuita

ruolo, il “Colpo dello Scorpione” è stato poi eseguito da Kato, estremo portiere del Giappone. Portieri ma non solo. Anche chi non usa le mani in campo, si è dato da fare. Ibrahimovic lo usa di frequente (di recente contro il Bastia), Botond e Mchedlidze (con la casacca dell’Empoli) hanno lasciato il segno con un gesto che, grazie ad Higuita, è diventato una dolce rarità… Calcio 2OOO

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SPECIALE/ I SIGNORI DELLA ROVESCIATA

SPECIALE/ I SIGNORI DELLA ROVESCIATA

LA PERLA DI VALTOLINA A volte, per una rovesciata, si diventa immortali

CI PENSA IBRA

foto Agenzia Liverani

Oggi lo svedese è un maestro della rovesciata

Zlatan Ibrahimović

foto Agenzia Liverani

CAPOLAVORI DI CASA NOSTRA Ok, Parola è diventato leggendario grazie alla Panini, ma ci sono stati altri interpreti della rovesciata che hanno conquistato un posto nell’olimpo. Partiamo da chi non t’aspetti. Mauro Bressan. Se anche la Uefa ti rende omaggio (la sua rete è nella Top 10 dei migliori capolavori degli ultimi 60 anni), significa che hai fatto qualcosa di davvero straordinario e non ripetibile. Merito anche del contesto. Con la memoria dobbiamo andare al 2 novembre del 1999. A Firenze, sì ancora lì, terra di artisti, va in scena FiorentinaBarcellona. Come colto da un raptus, Bressan si avventa su un pallone respinto, ben oltre l’aria di rigore, dalla difesa blaugrana. La rovesciata è un inno alla gioia, il gol che ne scaturisce indimenticabile, da cineteca. Dicevamo, il contesto aiuta. Anni Novanta, per la precisione 1 dicembre 1996. Siamo al Garilli dove il malcapitato Piacenza se la vede con il quotatissimo Milan. Il punteggio è sul 2-2 quando, al minuto 71, Luiso decide che è ora di entrare nella storia: rovesciata da brividi, palla all’incrocio e Diavolo al tappeto. Restiamo in provincia, sempre a Piacenza. Due anni più tardi ci si gioca la permanenza in Serie A. L’avversario è la Roma. Il tempo sta per scadere e, dal nulla come una Fenice, ecco sboccia-

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re Valtolina. Bicicletta impressionante, imparabile… vittoria Piacenza e un posticino nella storia per Valtolina, uno che di reti, in biancorosso, in due anni, ne ha fatte solo due ma una di queste da ricordare per sempre. Gli anni Novanta, che spettacolo. Lo sanno bene coloro che c’erano, il 5 gennaio 1997, ad assistere a Inter-Roma. La ribalta se la prende Djorkaeff. Su un pallone maldestro di Petruzzi, il nerazzurro si libra in area, disegnando una rovesciata difficilmente spiegabile anche per un geometra. Palla in rete e apoteosi infinita. Un gol che vale una carriera, diventerà l’effige della tessera d’abbonamento dell’Inter della stagione successiva. Chiudiamo con Vialli, un maestro nell’arte della rovesciata. La Juventus gioca sul campo della Cremonese, stagione 1994/95, siamo ad ottobre. Nessuno la sblocca, finché Vialli non si ricorda di essere un professionista della bicicletta. Turci, numero uno dei biancorossi, nulla può sulla rovesciata di Vialli, a secco di gol da 48 giorni… Un bel modo per tornare protagonista. Per l’esultanza, meritano una citazione due altre opere d’arte. L’una, stagione 1991/92, porta la firma di Schillaci. La Juventus batte il Verona per 2-0. Il gol del raddoppio arriva, grazie ad una rovesciata di rara potenza, dell’allora contestato eroe del Mondiale 1990. La Calcio 2OOO

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SPECIALE/ I SIGNORI DELLA ROVESCIATA

SPECIALE/ I SIGNORI DELLA ROVESCIATA ANCHE TESSERA Una sua rovesciata è diventata una tessera d'abbonamento...

MAESTRO PAROLA

foto Liverani

Un'artista, un mago, un acrobata...

Mauro Bressan 48

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foto Agenzia Liverani

sua esultanza la dice lunga sulla sua voglia di segnare e, ovviamente, sulla bellezza del gesto. Doveroso un cenno anche ai tempi nostri con la rovesciata, in Champions League, di Mexes. Il Milan supera l’Anderlecht, il francese inventa una bicicletta che lascia tutti a bocca aperta e che zittisce chi non credeva molto nel difensore ex Roma… La lista potrebbe continuare all’infinito, a conferma che, le poche volte che una rovesciata si trasforma in un gol, ci si illumina sempre… Non sappiamo chi l’ha inventata ma sappiamo bene perché ci fa impazzire…

LE MIGLIORI DI SEMPRE Vero, siamo patriottici ma anche fuori dai confini nazionali ci sanno fare con le bicycle kick, come sono solerti chiamare la rovesciata in lingua inglese. Qualche tempo fa il Mundo Deportivo ha indetto un sondaggio per decretare la rovesciata del secolo. In corsa tanti capolavori, tra cui alcune biciclette di casa nostra. Bene, alla fine la vittoria è andato a Ronaldinho, seguito da Rooney ed Ibrahimovic. Beh, diciamo che i nomi hanno avuto un certo peso sull’esito della competizione. Partiamo dal gradino più basso del podio con la giocata di Zlatan. Ancora oggi, il video della sua prodezza nella sfida tra Svezia ed Inghilterra è tra i più cliccati. Tanto lontano dalla porta e tanto potente, alla Ibra verrebbe da dire. Passiamo a Rooney. Considerato il gol più bello della Premier League degli ultimi 20 anni, vede Rooney segnare con una rovesciata spettacolare contro i rivali storici del Manchester City. Da urlo. Terminiamo con il dipinto di Ronaldinho. Barcellona-Villarreal, anno 2006. Il brasiliano, stella blaugrana, si inventa una magia per i posteri. Su un cross teso nell’area dei Gialli, controlla di petto e, in un nano secondo, si esibisce in una bicycle kick paradisiaca. Certo, il popolo blaugrana è abituato bene, con Messi e compagnia, ma il gioiello di Ronaldinho resta incastonato nella mente di ogni supporter del Barça, come è giusto che sia…

foto Agenzia Liverani

umberto AGNELLI (sulla sinistra) con CARLO PAROLA (sulla destra)

Youri Djorkaeff Calcio 2OOO

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SERIE B VIRTUS LANCIANO

D'AVERSA IN MISSIONE

Il giovane tecnico ha le idee chiare...

SERIE B/ VIRTUS LANCIANO

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re vite in poco più di un anno. Sono quelle vissute da Roberto D'Aversa: giocatore, dirigente e infine allenatore della Virtus Lanciano nell'arco di dodici mesi. Un tecnico giovane, classe '75, preparato che già dirigeva i compagni dalla cabina di regia quando calcava i campi con gli scarpini ai piedi e ora continua a farlo da bordo campo. Un'ascesa veloce conclusasi con la bella salvezza, in anticipo, conquistata in Serie B nella stagione appena conclusa, che gli è valsa la riconferma per il prossimo anno: “Il bilancio stagionale è positivo perché abbiamo raggiunto l'obiettivo. C'è solo un po' di rammarico per il finale”. Nel giro di un anno è passato dal campo, alla scrivania fino alla panchina. Come è maturata questa decisione? “Nel momento in cui ho smesso ho avuto l'intenzione di diventare allenatore. Però c'erano degli esami da superare e per questo ho iniziato a lavorare come responsabile dell'area tecnica e intanto studiare per avere il patentino. Lo scorso anno c'è stata un'accelerazione dovuta all'addio di Baroni con la

“Nel momento in cui ho smesso di giocare ho capito di voler fare l'allenatore”, parole di D’Aversa... 50

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foto Image Sport

di Tommaso MASCHIO

Aver incominciato da Lanciano dove ha giocato per tre anni è stato un vantaggio? “Iniziare qui è stato un vantaggio perché conoscevo bene l'ambiente e il gruppo essendo stato per tre anni un giocatore del Lanciano e molti dei miei giocatori sono stati miei compagni. Questo mi ha facilitato le cose perché non ho avuto bisogno di farmi conoscere”. Quanto è servita la sua esperienza da “allenatore in campo”? “Non sempre un allenatore in campo poi riesce bene anche in panchina. Negli ultimi anni i miei allenatori mi hanno molto responsabilizzato e io ho cercato, anche per il ruolo che facevo, di guardarmi attorno, osservare e accumulare quell'esperienza in campo che poi mi è servita in panchina”. C'è qualche allenatore a cui si ispira? Qualcuno che nel corso della sua carriera le ha insegnato di più? “Io ho cercato di imparare da tutti quelli che sono stati i miei allenatori e di studiare gli altri tecnici. Mi considero un grande osservatore, però devo dire che non mi ispiro a nessuno in particolare, ma provo a rubare segreti un po' a tutti specialmente ai tecnici più forti come Guardiola, Conte o lo stesso Allegri”. Il suo rapporto con il direttore sportivo della Virtus Lanciano Leone è molto forte. Quanto è importante per lei lavorare con lui? “Luca è un grande dirigente, spesso sottovalutato. Segue i calciatori su tutti i campi, anche quelli meno conosciuti, cercando di scovare i migliori giovani e anticipare la concorrenza. Deve farlo perché qui non ci sono le possibilità economiche che hanno altre società ed è bravo a farlo visto che i risultati finora sono sempre arrivati”.

foto Federico Gaetano

REGISTA, SEMPRE E COMUNQUE

società che mi ha chiesto di prendere il suo posto in panchina. La società aveva bisogno di me ed era quello che volevo così ho iniziato bruciando un po' le tappe”.

Quest'anno ha giocato sempre con il 4-3-3. Lo considera un modulo immutabile? “Non sono un integralista. Penso che non si possa decidere un modulo senza prima conoscere la squadra che si ha a disposizione.

Ovviamente è sempre meglio poterla costruire secondo i propri desideri e le proprie idee tattiche, ma se non ci si riesce bisogna essere capaci ad adattarsi alla realtà in cui ci si trova”. Come valuta la sua prima esperienza da tecnico? “Penso sia positivo perché abbiamo raggiunto l'obiettivo salvezza. C'è solo un po' di rammarico per il finale di stagione dove non siamo riusciti a ottenere gli stessi risultati dell'andata, ma questo è dipeso anche da diversi infortuni e altri episodi. La valutazione globale però è positiva”. In questa stagione al Lanciano sono emersi molti giovani interessanti. Chi pensa sia già pronto per la Serie A? “Credo che Cerri sia assolutamente pronto per recitare un ruolo da protagonista in Serie A e anche Piccolo, anche se non è giovanissimo, meriterebbe una chance nella massima serie per quello che ha fatto da noi negli ultimi anni. Per quanto riguarda Thiam, Gatto o Pinato, che era al primo anno da professionista, penso che abbiano bisogno di maturare ancora un anno. Magari proprio qui alla Virtus dove hanno fatto bene in questa stagione e dove possono crescere ancora”. Nell'ultima stagione molti giovani allenatori si sono messi in luce in Serie B. Pensa che possa essere un trampolino di lancio, come lo è per molti calciatori? “Stellone negli ultimi due anni ha conquistato due promozioni, senza contare il titolo Berretti, e credo che sia il più pronto per la Serie A, che ha per giunta conquistato con la sua squadra. Poi c'è Rastelli che allena da qualche tempo, ma è comunque giovane, ed è molto bravo. In generale penso che come per i calciatori anche per gli allenatori la B possa essere un trampolino per accedere alla massima serie”. Nei suoi sogni c'è un club che le piacerebbe allenare? “Penso soprattutto al presente però è ovvio che c'è anche l'ambizione di arrivare un giorno a grandi livelli. Un sogno sarebbe allenare la Juventus, ma anche il Milan club in cui sono cresciuto e dove ho fatto il settore giovanile e che conosco abbastanza bene”.

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LEGA PRO REGGINA

LEGA PRO/ REGGINA LEGGENDA FOTI

A Reggio Calabria, è lui l'uomo del calcio...

Presidente, quella del San Filippo è stata davvero la sua ultima gara da patron? "Si, è arrivato il momento di lasciare. Mi 'svesto' di questi panni, rimarrò un semplice tifoso della Reggina. L'amore e la passione verso questi colori non mutano, ritengo opportuno però farmi da parte". Avrebbe mai immaginato nel 1986 di arrivare a questa data ancora da proprietario della Reggina? "Assolutamente no, volontà e determinazione sono stati compagni fedeli di questo lungo viaggio. Ricordo perfettamente la forte emozione provata nel 1991, quando diventai presidente".

UN AMORE AI TITOLI DI CODA

Foto Image Sport

Lei, Pozzo e Berlusconi gli unici rimasti in sella in questi tre decenni, il mosaico di tutti gli altri club italiani ha visto mutare la poltrona presidenziale. Bisogna parlare di 'miracolati' del calcio ? "In un percorso a lunga scadenza come il nostro, direi che privilegiati è il termine esatto (sorride, ndr)".

di Pasquale ROMANO

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Ripercorriamo il (quasi) trentennio di Foti alla guida della Reggina

a fine di un'era. C'è molto di più dietro la salvezza ottenuta dalla Reggina nello spareggio con il Messina, in uno scontro da brividi, con lo Stretto a fare da giudice. Dopo 29 anni, la società amaranto si appresta a voltare pagina, Lillo Foti ne cede lo scettro. Ideale la fotografia che conclude il lungo percorso: la formazione calabrese, dopo tante difficoltà, è riuscita ad ottenere la permanenza in Lega Pro contro il nemico prediletto. Obbligatorio, però, riavvolgere il nastro e tornare indietro di quasi trent'anni. Correva l'anno 1986 quando Silvio Berlusconi e Giampaolo Pozzo diventavano rispettivamente i presidenti di Milan e Udinese. Foti Pasquale, detto Lillo, entrava a far parte (assieme ad altri imprenditori) della Reggina. Iniziò cosi un legame intenso e passionale, che ha portato il club amaranto a vivere le maggiori soddisfazioni della propria storia centenaria...

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Il 13 giugno 1999, giorno che vide la Reggina ottenere la prima storica promozione in Serie A, è il momento più caro custodito nei ricordi ? "Probabilmente è stata l'emozione più forte. Ripenso al 'Delle Alpi' e al popolo amaranto che invade di gioia il terreno di gioco come perfetta conclusione di una giornata intensa e appassionante". Da quel primo salto cambia tutto. Non più squadra di seconda o terza serie, la Reggina per dieci anni è nell'èlite del calcio italiano. "L'orgoglio per i risultati ottenuti in quel periodo è notevole. Il palco-

scenico prestigioso ha cambiato la cornice ma non la sostanza della mia passione, l'intensità era intatta anche negli anni vissuti in Serie B e Lega Pro". Il rapporto tra Foti e i tifosi della Reggina, una volta forza ed emblema, negli ultimi anni si è trascinato tra dissapori e freddezza. Solo i risultati negativi ottenuti sul campo i motivi di tale cambiamento ? "Io penso al legame che esiste tra un club e i propri tifosi come ad una specie di 'virus', che può rapidamente contagiare in senso positivo o negativo. Sono l'attaccamento e il senso di appartenenza che una squadra riesce a trasmettere a far pendere l'ago della bilancia. Bisogna considerare in aggiunta le difficoltà sociali ed economiche presenti nel nostro contesto". Quali sono stati i punti di riferimento, i presidenti esemplari, che hanno solcato il suo percorso e indirizzato la filosofia professionale ? "Oreste Granillo, per più di quindici anni presidente della Reggina, e Angelo Gabrielli, a lungo patron del Cittadella e padre dell'attuale massimo dirigente. Si tratta di figure di spicco, dal calibro assoluto, che hanno dato un contributo importante non solo ai propri club ma al calcio italiano". Il centro sportivo S.Agata, costruito nel 1990, è diventato un modello da imitare. L'identità con la maglia che si indossa la base per far crescere e lanciare decine di calciatori. "È un qualcosa che appartiene fortemente a tutte le persone che tengono alla Reggina. L'ideazione e la costruzione sono merito di Mario

Biason e Pino Benedetto, due grandissimi dirigenti di questa società. Si tratta di una struttura che vent'anni fa era all'avanguardia, diventata subito punto di riferimento per gli altri club". Nakamura, Mozart, Barretto Paredes, tanti i giocatori dallo spessore internazionale che hanno vestito la maglia della Reggina. A chi si sente più legato dei calciatori avuti durante la sua presidenza? "Sono grato a tutti quelli che hanno scritto pagine importanti, il mio affetto privilegiato però è nei confronti dei ragazzi cresciuti al S.Agata e poi distintisi altrove. Cozza, Belardi Cirillo, Perrotta, Missiroli, l'elenco è lunghissimo. Loro sono la massima rappresentazione, l'immagine totale, di questo club". Il rimpianto più grande ha il codino e le fattezze di Roberto Baggio, fuoriclasse che avrebbe fatto esplodere la città? "L'arrivo di Baggio alla Reggina è stata un'ipotesi concreta, purtroppo non verificatasi. Il fascino e le possibilità dell'operazione erano notevoli, con le sue immense qualità i tifosi amaranto sarebbero andati in visibilio". Prevedibilmente voluminoso il bagaglio che racchiude il viaggio di Foti con la Reggina. Cosa le rimarrà di questa lunga esperienza ? "Una memoria enciclopedica, fatta di emozioni, gioie e dolori. Non rinnego nulla, né sono geloso di quanto vissuto. Sento mie allo stesso modo le pagine felici e quelle più tristi, posso dirmi fiero per aver condiviso tutto questo con la squadra che amo sin da quando ero bambino".

“Tutto cambiato, dobbiamo rincorrere”

di Pasquale Romano

Foti è convinto che il nostro calcio debba cambiare in fretta…

C’

era una volta il calcio italiano. In prima fila sino a qualche anno fa, la Serie A è costretta a guardare dal basso verso l'alto Premier League, Liga spagnola e Bundesliga: "Le problematiche sono diverse, si lavora troppo poco sulla formazione di giocatori e allenatori. Bisogna crescere a 360 gradi, tutte le componenti in questo momento sono in difficoltà. Non abbiamo pensato a costruire, adesso ci tocca inseguire", afferma Foti, dirigente che ha seguito da vicino l'involuzione del calcio italiano. Tempi moderni. Il calcio degli anni '60 sembra preistoria, adesso la parola d'ordine è 'intrattenimento': "La realtà è cambiata profondamente. Il calcio non ha più attenzioni esclusive, ma deve confrontarsi con tanti altri sport. È necessario diventi sempre più uno spettacolo appetibile e trasversale, basti pensare a come vengono gestiti e organizzati eventi simili negli Stati Uniti". L'invasione straniera (Pallotta, Thohir, Mr. Bee) è da vedere come una risorsa o una minaccia? Foti non ha dubbi: "Gli investitori stranieri sono una possibilità, fonte di crescita per un movimento in crisi come il nostro. Il confronto globale serve per capire alcune dinamiche e favorire la crescita del calcio italiano".

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BAZZANI CI CREDE

Il nuovo Bazza

foto Ufficio Stampa Mezzolara

L'avventura da tecnico lo esalta tantissimo...

“L

a nuova avventura non mi spaventa”, parola di Fabio Bazzani, neo allenatore del Mezzolara. Dopo le tante presenze in Serie A e B, l’ex attaccante ha deciso di abbandonare gli scarpini per dirigere le operazioni dalla panchina e lo ha fatto ripartendo dalla squadra di cui fino a poco tempo fa era capitano. Ma è chiaro, una cosa è giocare, un’altra è allenare: “Si, da calciatore è diverso, fai il tuo allenamento di due ore ed è finita lì, da tecnico devi mettere insieme venti, venticinque teste, il ruolo è totalmente differente e di conseguenza cambiano le responsabilità. Ma questo non mi intimorisce, perché so a cosa vado incontro. Conosco l’ambiente e la passione dei tifosi e penso che iniziare la mia carriera di allenatore da qui, sia una naturale prosecuzione del mio rapporto con il Mezzolara”. Prosecuzione sotto altra veste, che in realtà sarebbe anche potuta iniziare prima, ma poi… “Non me la sono sentita di accettare a gennaio per un semplice motivo, l’amicizia che mi lega a Gianluca Luppi (ex tecnico, ndr). Quando hanno esonerato l’allenatore, poteva esserci l’eventualità di iniziare subito, ma con la società abbiamo deciso che ne avremmo riparlato al termine del campionato, così è stato e tutto è andato a buon fine”. In pratica, si è posticipato ciò che prima o poi sarebbe comunque accaduto: “Diciamo che quando vedi l’avvicinarsi della fine della carriera, cominci a pensare a cosa ti piacerebbe fare all’interno del calcio. L’idea di allenare mi ha sempre stuzzicato e ho visto il ritiro come l’occasione di tentare questa nuova avventura. La società ha creduto nelle mie potenzialità, magari avrei potuto aspet-

SERIE D/ MEZZOLARA tare o fare scelte diverse, ma non potevo certo pretendere di essere chiamato da Real Madrid o Barcellona. È la mia prima esperienza e la D è la quarta serie nazionale, un palcoscenico importante, mi è sembrato il miglior modo per partire mettendo in gioco innanzitutto me stesso. Credo sia questa la cosa più importante, mettersi in gioco lavorando ogni giorno, aldilà che si possa allenare una Primavera o una prima squadra in D o in Eccellenza”. Ma che partire dalla Serie D, sia meglio che farlo dall’Eccellenza, questo è fuor di dubbio. Anzi, di Eccellenza non parliamone proprio, perché ormai il Mezzolara si è abituato bene. “Per noi sarà l’undicesima stagione consecutiva in Serie D e questo è un grandissimo successo. Non dobbiamo mai dimenticare che il Mezzolara non è una nobile decaduta, come si può dire ad esempio del Piacenza o del Rimini, che sono da tempo realtà professionistiche, qui fino a qualche stagione fa si faceva dilettantismo puro, ora ci si è avvicinati al professionismo, grazie a un cambio di strategia che ha dato i suoi frutti. Siamo la seconda squadra del bolognese dopo il Bologna, ma parliamo sempre della realtà di un piccolo paese (Mezzolara è una frazione di Budrio, ndr) che fa salti mortali ogni anno per mantenere la categoria”. Quindi l’obiettivo è uno e uno solo: “La salvezza è ciò che vogliamo. Nella stagione appena conclusa abbiamo sofferto, a maggior ragione potrebbe accadere nel prossimo campionato, perché procederemo ad un ringiovanimento della rosa. Hanno rinnovato Evangelisti e Cicerchia, due giocatori esperti, ora bisognerà trovare i giovani adatti e un centravanti che sostituisca me in campo. In D c’è una certezza, senza vecchi puoi vincere, senza gio-

vani perdi a tavolino, quindi adesso ci sarà del lavoro per il direttore sportivo per accaparrarsi subito gli elementi utili per disputare il campionato. Se riuscissimo a salvarci senza passare dai play out, sarebbe un ottimo risultato”. Quindi l’obiettivo è chiaro, ora toccherà trovare il modo per raggiungerlo. Si può fare attraverso le idee: “Sono alle prime armi e dovrò crescere gradualmente, lavorando con serietà. Per quanto riguarda le mie idee da tecnico, non conterà molto l’aver giocato tanti anni in attacco e dovrò avere una mentalità aperta a 360°. In queste categorie non puoi chiedere questo o quello, devi lavorare con ciò che hai a disposizione. Per questo, teoricamente potrei dire di preferire il 3-5-2 con la difesa a tre o il 4-3-1-2 con la difesa a quattro, poi bisognerà vedere se ci saranno i giocatori adatti per giocare così. Da calciatore ho sempre pensato una cosa, non esiste un modulo capace di farti vincere senza tenere conto delle caratteristiche dei giocatori. Allo stesso modo, non esiste un allenatore capace di vincere senza giocatori. Il mister deve essere bravo a esaltare le qualità degli uomini che ha a disposizione, senza imporre ad ogni costo un assetto tattico”. Magari questo pensiero è frutto dell’esperienza maturata al fianco di ottimi maestri, da cui negli anni si sono carpiti i segreti: “Naturalmente ho cercato di studiare gli allenatori che ho avuto quando giocavo, ho avuto la fortuna di averne di grandissimi. Ma è fondamentale una cosa, ciò che impari lo devi poi reinterpretare, devi essere te stesso, perché i giocatori ti pesano e se tu non ci metti del tuo perdi credibilità di fronte al gruppo. Cercare di diventare il sosia di qualcun altro è l’errore più grande che si possa fare”.

foto Ufficio Stampa Mezzolara-3

SERIE D MEZZOLARA

di Simone TONINATO

Dal campo alla panchina il passo è stato breve: per raccontarlo è bastata una chiacchierata. 54

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I RE DEL MERCATO Giuseppe RISO

I RE DEL MERCATO / GIUSEPPE RISO AMBIZIONE RISO Giovane ma con le idee piuttosto chiare...

LA MEGLIO GIOVENTÙ

Trentadue anni ad inseguire un sogno. Giuseppe Riso racconta la sua (giovane) vita. “E non mi fermo certo qui”

di Marco CONTERIO foto Image Photo Agency 56

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I RE DEL MERCATO / GIUSEPPE RISO

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a storia di Giuseppe Riso parte dalle finestre, arriva alle porte e prosegue con dei portoni. Il primo è uno scorcio sul passato, col sole della sua Calabria che filtra dalle tende mentre fuori sbatte lento, e costante, il mare della sua Reggio. “È quel che mi manca della mia terra”, dice il trentaduenne agente nel suo ufficio milanese. Già. Perché poi le radici si strappano, i panorami cambiano e pure quel che si vede dalla finestra. “Da piccolo mi trasferisco con la famiglia a Milano, e da qui non mi sono più spostato”. Quel che, nel nostro mondo, quello pallonaro, è centro gravitazionale. Nel bene e nel male. È quella che porta con sé gioie e dolori, spiacevoli chiacchiere e pure etichette. Ma Riso sorride, e fa bene ad abbondare, quando c'è chi lo bolla con impudenza e poca signorilità come 'il cameriere'. “Sono orgoglioso del mio percorso e questo mi ha dato la fame in

I RE DEL MERCATO / GIUSEPPE RISO

“” Galliani è un maestro, imparare da lui è come essere all'Università più per arrivare”. Spalanchiamo le finestre sulla sua vita. Che ha una costante, da sempre. Il calcio. “Inizialmente nel cuore, come passione. Sì, giocavo, con il Saronno, con l'Aldini Bariviera. Però non ero un grandissimo giocatore. Non lo sono mai stato, anche se, da attaccante, i miei gol li facevo”. Di passione non si vive. “Ed io ne ho fatti di lavori. In tipografie, alla Western Union, poi il magazziniere. Ho venduto porte e finestre, fatto il postino”.

Eccoci, ancora le finestre. Però poi le si sono aperti dei portoni, nella vita. “Avevo un sogno, quello di coniugare la mia voglia di lavorare nel calcio con i miei studi di economia per fare il manager. Eppure ho avuto anche la proposta per un lavoro a tempo indeterminato alle Poste che a casa mia è visto come un vero traguardo. Un obiettivo. Un punto d'arrivo”.

TALENTI IN RAMPA DI LANCIO

Il saper valorizzare i giovani è un'arte per pochi..

Non per lei. “Questo percorso, la strada, la gavetta, mi hanno insegnato tanto. E questo mi aiuta, anche adesso, mi dà fame, voglia, stimoli, mi carica ed è alla base di tutto”. Passare dal lavoro di ogni giorno ad un mondo platinato non è semplice. Soprattutto riuscire a tenere i piedi per terra. “Mi sono sempre arrangiato, ho passato anche dei momenti duri ed apprezzo ogni giorno di più quel che ho fatto, come ho vissuto e non rimpiango niente.

MASSIMA ATTENZIONE Riso svolge la professione con grande passione

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I RE DEL MERCATO / GIUSEPPE RISO ANCHE CAMERIERE Riso si è impegnato a fondo per diventare agente

I RE DEL MERCATO / GIUSEPPE RISO E questo aiuta, tanto. Chiaro è che non potevo sbagliare, optando per il percorso da agente”. Come inizia? “Ci sono dei passaggi fondamentali. Parto sempre dalla mia strada, dalla mia vita, che mi portò a fare anche il cameriere a San Siro. Durante una partita, il mio amico fraterno Lorenzo Tonetti (proprietario del ristorante Giannino, ndr) mi disse 'non dare da bere a nessuno'. Si presentò la segretaria di Adriano Galliani ma, imperturbabile, dissi di no anche a lei. A 21 anni”. Bel coraggio... “Però venne apprezzato. Da lì, grazie a Lorenzo, iniziai a frequentare cene ed incontri tra i grandi dirigenti del calcio. Immaginate l'emozione...”. Specifichiamo: era già nel mondo del calcio. “Sì, esatto. Seguivo dei ragazzi giovanissimi, come Antonio Caracciolo, difensore del Brescia, o Bryan Cristante, che ora è al Benfica. I ragazzi mi vedevano sui campi, sempre, senza sosta ed io, pur inesperto e nuovo, offrivo loro la mia serietà e professionalità. Così sono nati i rapporti e questo è stato anche apprez-

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Ho fatto ogni lavoro in vita mia, dal magazziniere al postino zato da Galliani”. Che, ma lei non lo nasconde, è stato un vero maestro. “Essere a quegli incontri, a quelle cene, con Marotta, Braida, con tutti i grandi del calcio, era bellissimo. Cercavo di captare e di carpire il meglio da ognuno di loro ed è lì che ho iniziato ad avere credibilità anche nei confronti dei ragazzi. Per me Galliani è un maestro, mi ha visto ragazzino sui campi, a cercar giocatori a poco più di vent'anni, e mi ha insegnato tantissimo. È stato, ed è, come stare all'Università”. Un rapporto però non univoco. “Chiaro: è molto severo, ma di grande umanità. Pretende tanto, e mi ha dato consigli importanti su come affrontare il lavoro”.

Lei è molto giovane: l'aiuta questo nel lavoro? “È un certo vantaggio, senza dubbio. Per i ragazzi sono un fratello più grande; cerco sempre di accontentarli ma chiedo loro professionalità, sempre. Se dimostrano di essere ragazzi seri, ecco che mi trovano notte e giorno”. Lei è stato, ed è tutt'ora, intermediario di trattative di spessore mondiale. “Ho vissuto davvero grandi esperienze e, ripeto, veder lavorare Galliani sul campo mi ha dato ed insegnato tanto. Non ti dà un centimetro, nulla è mai scontato”. Ha vissuto, in prima persona, il sogno Tevez per il Milan. “Una situazione dalla quale ho imparato tanto. Ho cercato di capire la chiave giusta per portare avanti simili trattative, sono esperienze che ti formano. E dire che aveva il volo già fatto, prenotato e fissato...”. Il calcio è uno splendido mestiere. Che porta lontano. “Io, la mia macchina ed il cellulare. Ecco un gran bel viaggio. Durante le mediazioni, da Diego Lopez a De Jong, da Nocerino agli altri, vedi grandi città, alberghi, ristoranti e soprattutto hai una MAESTRO GALLIANI Tanta la stima nei confronti dell'Ad rossonero

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I RE DEL MERCATO / GIUSEPPE RISO componente fondamentale”. Quale? “L'adrenalina. Ti fa amare questo lavoro perché lo cambia e lo muta continuamente. E ti porta sempre avanti anche se io non dimentico e non dimenticherò mai il passato. Lo tengo e lo terrò sempre dentro, anche se guardo al futuro”. Quali sono le differenze tra essere agente ed intermediario? “È cuore contro adrenalina. Il secondo è l'emozione di un attimo, di un giorno, di una settimana. Seguire il ragazzo da quando è giovanissimo sino agli esordi, nella buona e nella cattiva sorte è qualcosa di impagabile. I ragazzi sono i miei campioni, per loro sono disposto a tutto, voglio che siano uomini e per questo voglio crescerli al meglio, insieme a me. A loro chiedo sempre una cosa, prima di tutto: che cerchino di essere migliori, ogni giorno, fuori dal campo”. La lista dei ragazzi che segue è innu-

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“” Fare da intermediario dà adrenalina, ma seguire i ragazzi è un'emozione impareggiabile merevole. E tutti giovani. “Con loro vivi emozioni impagabili. La prima di Baselli in A non la dimenticheremo mai ed è anche il mio primo assistito con una figlia. Segno che il tempo passa...”. Ha portato pure Cristante in Portogallo, al Benfica. “Mio fratello vive con lui, a Lisbona. A diciannove anni ha cambiato tutti, per

questo ci sono anche dei momenti complicati ed è giusto seguire i ragazzi nel bene e nel male”. Non vogliamo dimenticare nessuno. “Ho un ricordo, splendido, per ognuno di loro. La prima di Cristante con gol. L'esordio di Dimarco con l'Inter, la prima di Baselli in A, quella di Sampirisi, Valoti con il Verona ma pure Petagna in Champions, le emozioni vissute e quelle che vivrò con Gollini, Almici, Caracciolo, Capezzi, Gagliardini, Vrsaljko, Pinato, Kinglsey Boatent, Modic... Nelle mediazioni hai rapporti coi grandi club, coi grandi dirigenti, cresci in modo esponenziale. Però i ragazzi, anche se ti assorbono tanto tempo e tante energie, ti ripagano in un modo unico, speciale”.

SEMPRE AL LAVORO Non c'è pausa nel mestiere che ha scelto Riso

Ha un modello? “Cerco, come ho sempre fatto in qualsiasi ambito, di prendere il meglio da ognuno. Da uno la grinta, dall'altro la passione, dall'altro le capacità di relazionarsi. Sta-

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I RE DEL MERCATO / GIUSEPPE RISO

I RE DEL MERCATO / GIUSEPPE RISO

TUTTO PER IL CALCIATORE

SI GUARDA AVANTI

Riso segue i propri assistiti a 360 gradi...

Riso ha ancora tanti sogni da realizzare

re, nei primi anni, al tavolo dei grandi, con la possibilità di osservarli, guardarli, scrutarli, studiarli, mi è servito tantissimo. È stata quella una vera palestra, una vera scuola”. Quello d'oggi, però, non è più il calcio di allora. “Mi sono innamorato di un pallone più genuino, coraggioso, è vero. Fa rabbia vedere che, coi giovani, non c'è continuità di progetto. Perché prenderli e lanciarli in prima squadra è semplice. Il vero coraggio sta nel proteggerli dai loro errori, nel dar loro fiducia nonostante gli sbagli. Ora si deve dare tutto e subito, senza possibilità di seconde possibilità”.

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La GRSports segue il ragazzo a 360 gradi: loro pensino solo a giocare vostri ragazzi. “Non vogliamo essere un riferimento meramente calcistico ma seguire il ragazzo in tutto e per tutto”.

Prima ci raccontava dei viaggi. Il calcio è fatto anche di grandi incontri. “Una persona mi ha impressionato, tra tante. Mijatovic, allora direttore sportivo del Real Madrid, col quale parlammo di Kakà. Un ragazzo di grande spessore umano, di profonda intelligenza”.

Non per altro siete una delle agenzie più moderne d'Italia. “La gestione è a trecento sessanta gradi: dall'immagine, ai social (GRSports è su Twitter, @GRSPortsAgency), dagli sponsor tecnici e non a tutto ciò che non concerne il gioco. Il ragazzo deve pensare solo a scendere in campo”.

La filosofia con cui lei, con la sua GRSports, vuol crescere e seguire i

Non è da solo. “Chiaro: con me c'è tutto lo staff dell'a-

genzia, come Cristiano Pavone e Fulvio Frangiamone, per esempio. Fulvio è stato lo storico agente di Luiso, Di Carlo, Giovanni Lopez, Mirko Conte, Boselli, Bortoluzzi, Sullo, Galeoto, Valoti”. A lei chi sarebbe piaciuto assistere, del passato? “Gattuso, senza dubbio”. Chiudiamo le finestre, Riso? “Solo per adesso. Non mi fermo mai, guardo sempre al futuro”. E suona il telefono. C'è sempre un nuovo orizzonte da scoprire, oltre la tenda.

Intervista di Marco Conterio Calcio 2OOO

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I GIGANTI DEL CALCIO Lilian Thuram

I GIGANTI DEL CALCIO / LILIAN THURAM SIMBOLO

Thuram è emblema del calcio francese ma anche della lotta alla discriminazione

L’uomo

bianco/nero

Intervista a Lilian Thuram, protagonista della Juve di Lippi che oggi ha cambiato vita…

di Sergio STANCO foto Image SPORT

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I GIGANTI DEL CALCIO / LILIAN THURAM

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on andare là, c’è l’uomo nero”. Quante volte abbiamo sentito dire questa frase da mamme esasperate nel tentativo di tenere sotto controllo il bambino discolo? Un retaggio del passato, Lilian Thuram la definirebbe una “questione culturale”, in realtà è l’anticamera del razzismo. Ed è questo che lui, oggi, combatte. Già, perché forse qualcuno se lo ricorda arcigno difensore della Juve, quello che lottava su ogni pallone con potenza sovraumana, ma probabilmente in pochi sanno che, oggi, con la stessa forza, si erge a paladino dell’anti-razzismo. Anzi, dell’anti-discriminazione, come ci tiene a precisare. Thuram ci guida alla riflessione, alla scoperta dei nostri inconsci preconcetti, quelli che ci inducono ancora adesso, nel 2015, a distinguere gli uomini tra bianchi e neri. E nessuno più di lui, che di bianconero ha il cuore, può farlo meglio. L’abbiamo incontrato poco prima del convegno “Dialoghi sull’uomo” organizzato a Pistoia, al quale è stato invitato per la sua opera di educazione che svolge quotidianamente attraverso la sua Fondazione. Dopo anni spesi sul campo di calcio,

I GIGANTI DEL CALCIO / LILIAN THURAM

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Il calcio è lo specchio della società. Se c’è razzismo nella società, ci sarà sempre anche nel calcio Thuram ha deciso di cambiare completamente pagina, perché c’è qualcosa di più importante di cui occuparsi. Cambiare il mondo. Domanda secca: perché nel 2015 siamo qui a parlare ancora di razzismo? “Perché lo viviamo come se fosse una cosa molto lontana, ma in realtà è più vicino di quanto non sembri. Mia nonna ha vissuto il periodo post schiavitù, mia mamma ha vissuto la segregazione e non aveva diritto di voto, nel ’90 c’era ancora l’Apartheid, e io che sono del ’72 me lo ricordo bene quel periodo, i matrimoni gay in molti paesi non sono ancora ammessi. Tutto questo è successo in 100 anni, nulla rispetto alla storia dell’umanità. In realtà, volendo vedere il bicchiere

mezzo pieno, le cose si stanno evolvendo, finalmente. Ma devono evolversi, perché ciò che non cambia è morto. Ci vorrà ancora del tempo, speriamo poco, ma ci stiamo lavorando (ride, ndr)”

BIANCONERO

E’ alla Juve che Thuram ha raggiunto l’apice di successi nel nostro paese

A Pistoia hanno ideato una manifestazione niente male… “Sì, davvero una bella iniziativa e speriamo che ce ne siano molte altre. Bisogna sensibilizzare, parlare di razzismo, omofobia e sessismo, perché non si tratta solo di bianchi e neri, tutta l’ignoranza e la discriminazione è da combattere. Io non faccio mai differenze e ogni volta che si parla di razzismo, aggiungo l’omofobia e il sessismo, perché non ci si dimentichi di nessuno. È importante questo, perché siamo tutti uguali”. Quanto ti ha aiutato il calcio ad essere accettato in ogni ambiente? “È chiaro che se sei calciatore è tutto diverso, tutti ti riconoscono, dunque è più semplice. Ti racconto un aneddoto: una volta tornavo da Parigi in treno e alla stazione ho trovato la polizia che fermava tutti i neri e chiedeva loro i documenti. Mi sono arrabbiato. Ho detto loro: “Ci volete fermare tutti? Solo perché siamo neri?”. Fermavano solo noi. Il poliziotto si è irritato: “Non è vero, non dica queEMILIANO D’ADOZIONE

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foto Agenzia Liverani

foto Agenzia Liverani

Parma è stata la sua prima città italiana e la prima squadra in A

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I GIGANTI DEL CALCIO / LILIAN THURAM GIOVANE LILIAN

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Il mio sogno è che a scuola, ai ragazzi, un giorno s’insegni la storia dei poveri e non quella dei ricchi

E allora come si combatte questa battaglia? “Se guardiamo alla società, si può fare solo nelle scuole, spiegando ai ragazzini che siamo tutti uguali fin da piccoli. Noi non nasciamo razzisti, lo diventiamo perché qualcuno ci condiziona. Ed è questo da evitare, perché i bambini sono puri, sono gli adulti ad essere infetti. Per quanto riguarda il calcio, invece, non vedo altro modo che punire in maniera esemplare, cosicché funzioni da deterrente per gli altri. Se qualcuno va allo stadio per buttare una banana, ormai non è recuperabile, ma bisogna evitare che a qualcun altro, in futuro, passi per la testa di imitarlo”.

ste cose”. E io: “Si guardi intorno, quanti bianchi avete fermato?”. Poi sui documenti ha letto Thuram e si è affrettato a scusarsi e tranquillizzarmi. In molti c’è ancora la convinzione, a volte inconscia, che l’uomo nero sia più pericoloso. Ed è una cosa da combattere, perché questo è il vero razzismo”.

E che ne pensi del fatto che in Inghilterra si discuta dell’assenza di allenatori di colore… “In che senso di colore? Non capisco. Siamo tutti di colore. Intendi di colore nero o colore bianco?”.

Il calcio italiano non si distingue per essere un esempio in questo senso, visti i casi di razzismo sugli spalti… “Ma il calcio è semplicemente lo specchio della società. Se c’è razzismo nella società, ci sarà sempre anche nel calcio. Non si può pensare di combattere ed educare solo i tifosi”.

Touché… “Non ti preoccupare, ma come vedi il preconcetto è duro a morire, è insito in noi. Non te ne faccio una colpa, ma ci dobbiamo impegnare tutti perché venga cancellato. E vedrai che a quel punto anche in Inghilterra ci saranno allenatori di colore nero”.

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Ma a te sembra possibile che nel 2015 ci sia ancora differenza tra uomo e donna? Io lo trovo assurdo E lei ha mai pensato di fare l’allenatore? “No, perché ho sempre pensato di poter fare di più. Quando giocavo al Barcellona un dirigente mi ha chiesto cosa volessi fare da grande. Gli ho risposto “Cambiare il mondo”. E ci sto provando. Credo che nella vita ci siano questioni più importanti da risolvere piuttosto che fare l’allenatore, preferisco dedicare il mio tempo a quelle”. Ci racconti della tua fondazione? “Mah, cosa ti posso dire in pochi minuti, abbiamo quasi 10 anni di attività! Diciamo che per ora ci siamo concentrati a fare interventi nelle scuole, per spie-

foto Image Sport

foto Agenzia Liverani

Un imberbe Thuram con la maglia del Monaco: dal Principato ha spiccato il volo

I GIGANTI DEL CALCIO / LILIAN THURAM

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I GIGANTI DEL CALCIO / LILIAN THURAM

CONVEGNO PROFICUO Di Sergio Stanco

Dialogare con il Mondo, nel segno del campione francese

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o-abitare: contro tutti i razzismi è il titolo dell’incontro con Lilian Thuram che si è svolto il 22 maggio nell’ambito della VI edizione del festival di antropologia di Pistoia - Dialoghi sull’uomo. Così l’organizzazione dell’evento ha spie-

SEMPRE IN PRIMA LINEA Di Sergio Stanco

Thuram è, da sempre, un’icona dell’anti-discriminazione

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on è solo questione di bianchi o neri – ci ha ripetuto quasi ossessivamente Thuram durante l’intervista – ma anche di uomini e donne, omosessuali ed eterosessuali. Io parlo sempre di discriminazione, mai di razzismo. Ogni volta che si combatte questa battaglia, bisogna sempre citare anche il sessismo e l’omofobia. Sempre”. E quelle di Lilian non sono solo chiacchiere: nel 2005 criticò pe-

CALCIATORE E FUORICLASSE Di Sergio Stanco

Una carriera sublime per un giocatore unico…

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huram, tuttavia, è stato anche un grandissimo campione. Potremmo tranquillamente definirlo un fuoriclasse, perché non devi per forza essere un bomber per meritarti il titolo. E tra l’altro, se pensate che – con una doppietta in semifinale contro la Croazia - è stato proprio lui a portare la Francia in finale della Coppa del Mondo (poi vinta), anche quest’etichetta gli starebbe tranquillamente bene appiccicata addosso. È cresciuto nel Monaco, poi è passato nel Parma nel 1996, quando il Parma faceva parte delle cosiddette 7 sorelle (le squadre che ai tempi lottavano per lo scudetto: Juve, Milan, Inter, Fiorentina, Roma, Lazio e Parma, appunto). Con 72

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gato la scelta di invitare l’ex calciatore: “Lilian Thuram, emigrato in Francia dalla Guadalupa all’età di 8 anni vive un’esperienza che lo segnerà nel profondo. Solo lì scopre di essere “nero” e questo lo porta a riflettere sulle diverse forme di razzismo. Diventato campione del mondo con la nazionale francese nel 1998 e campione europeo nel 2000, nel 2008 si ritira dalla vita sportiva e s’impegna con la Fondazione che porta il suo nome, a combattere il razzismo e a educare le nuove generazioni a vivere insieme al di là delle differenze, soprattutto nei contesti abitativi marginali. Co-abitare è importante per imparare a sconfiggere il razzismo e le diseguaglianze”. santemente Sarkozy per gli incidenti scatenati nella banlieu di Parigi; nel 2006, invece, fece parlare di sé per aver invitato all’incontro di calcio tra le nazionali di Francia e Italia 80 immigrati solo qualche giorno prima cacciati con la forza da uno stabile occupato abusivamente dall’allora Ministro degli Interni Sarkozy. Thuram lotta contro pregiudizi che lui stesso ha vissuto, come lui stesso ha raccontato nel suo libro “Per l’uguaglianza”, che è una via di mezzo tra un’autobiografia e un documento programmatico: “È a Parigi che sono diventato nero”, ha detto alla presentazione del suo libro. A noi, invece, ha detto: “Perché non sono rimasto nel mondo del calcio? Semplice, perché ho cose più importanti di cui occuparmi”. Difficile dargli torto… i gialloblù ha vinto una Coppa Uefa, poi dall’Emilia è passato alla Juve di Lippi nel 2001, una squadra fantasmagorica: Buffon, Thuram, Ferrara, Cannavaro, Zambrotta, Camoranesi, Conte, Davids, Nedved, Trezeguet, Del Piero (solo per fare un’ipotetica Top 11 dalla quale resterebbe fuori gente come Montero, Ibrahimovic, Emerson e molti altri). Con quella squadra vince due scudetti (più uno revocato causa Calciopoli) e arriva in finale di Champions. Per molti troppo poco per la qualità della rosa. E’ con la nazionale francese, però, che si toglie le maggiori soddisfazioni: vince il Mondiale nel 1998 e l’Europeo nel 2000 (quello contro l’Italia con golden gol di Trezeguet nei supplementari). Nel 2006 passa al Barcellona fino al 2008. A fine stagione firma per il PSG, ma non ci giocherà mai perché al momento delle visite mediche gli trovano una malformazione congenita al cuore (la stessa che due anni prima era costata la vita al fratello). Dice addio al calcio e inizia la sua “nuova vita”.

FASHION

Sempre preciso e attento anche al look: Thuram è anche un’icona sexy del suo paese…

La Fondazione Thuram Di Sergio Stanco

Niente più calcio ma tanto impegno nel sociale…

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ilian Thuram non è solo un ex calciatore, ma anche un’icona dell’anti-razzismo, come testimonia la fondazione che porta il suo nome, da lui creata, che come oggetto sociale ha l’educazione contro il razzismo. “Noi non nasciamo razzisti, lo diventiamo”, è una frase che Lilian ci ha detto durante l’intervista e che ci è rimata impressa, ma anche una potenziale via d’uscita da questo labirinto in cui la storia dell’umanità ci ha costretto: “Il razzismo è una costruzione intellettuale e soprattutto politica – il pensiero di Ives Coppens, paleoantropologo nonché membro del Comitato scientifico della fondazione – Noi dobbiamo prendere coscienza che la storia ci ha condizionati di generazione in generazione e ci ha indotti a vederci l’un l’altro come neri, bian-

chi, maghrebini, asiatici. È importante comprendere come si sono formati i nostri pregiudizi, solo così li possiamo distruggere”. E Thuram per combatterlo si è contornato di specialisti, professionisti, luminari: nell’associazione, infatti, lavorano antropologi, sociologi, psichiatri dell’infanzia, psicologi e altri esperti. Un fuoriclasse del calcio in una squadra di fuoriclasse dell’anti-razzismo, una partita che si può e si deve vincere. Tra i progetti più riusciti della Fondazione, il libro “Le mie stelle nere – da Lucy a Barak Obama” che è stato insignito del premio Seligmann contro il razzismo nel 2010 (in Italia ADD editore). Ma questo è solo uno dei tanti progetti dell’associazione, che ovviamente ha in Lilian Thuram un ambasciatore DOC: l’ex bianconero non perde occasione per visitare scuole, partecipare a dibattiti e manifestazioni anti-razziste. E non a caso abbiamo avuto l’occasione di intervistarlo proprio alla vigilia del convegno “Dialoghi sull’uomo”, che si è tenuto a Pistoia dal 22 al 24 maggio, in cui Thuram – come spesso gli accade – ha conquistato tutti i presenti. Calcio 2OOO

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Tosto in campo, ma anche fuori: oggi Thuram si schiera in difesa dei più “deboli”

gare ai ragazzini la storia dell’umanità e che non c’è nessuna differenza tra esseri umani. Partecipiamo a convegni ed esposizioni, pubblichiamo libri perché vogliamo abituare la gente a pensare in maniera diversa. Sono contento, perché vedo che il nostro impegno sta dando i suoi frutti”. Hai mai l’impressione che l’uguaglianza sia un obiettivo irraggiungibile? “Ah, no, mai, che sia difficile sì, ma non impossibile, altrimenti starei solo perdendo il mio tempo. Invece io ci credo eccome che un giorno si possa essere considerati tutti uguali, bianchi, neri, uomini, donne, omosessuali e eterosessuali. Ma a te sembra possibile che nel 2015 ci sia ancora differenza tra uomo e donna? Io lo trovo assurdo”. La vittoria del Mondiale del ’98 con una squadra multietnica è stato un orgoglio maggiore per te? “Cosa intendi per multietnica? Cos’è un’etnia se non un modo per catalogare delle persone? E questo non è razzismo? A volte ho la sensazione che si usi l’etnia per nascondere neri, bianchi e così via. Tutte le squadre del mondo e tutte le nazionali sono ormai multietniche, e lo sono sempre state, perché ognuno ha la sua storia e la sua cultura. Quella per noi è stata semplicemente una bellissima avventura e una grandissima gioia, ma ti assicuro che non abbiamo mai pensato di essere diversi l’uno dall’altro, altrimenti non avremmo mai vinto”. Sei uno che non si tira indietro quando c’è da lottare per cause giuste, hai mai avuto la sensazione che il tuo impegno sia sgradito? “So bene che non si può sperare di piacere a tutti, l’unanimità non esiste, ma non sarà certamente questo a fermarmi, perché sono sicuro di essere dalla parte del giusto”.

foto Agenzia Liverani

Il sogno dell’uomo Thuram… “Il mio sogno è che a scuola, ai ragazzi, un giorno s’insegni la storia dei poveri e non quella dei ricchi. Bisogna raccontare la lotta che i nostri avi hanno fatto per affermare un principio, quello dell’uguaglianza, che non dovrebbe aver bisogno di lotte per essere certificato”.

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Ti sei ritirato per un problema fisico. Calcio 2OOO

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Juve? Mi sembra che in Italia è già qualche stagione che domina, significa Che ha qualità Quanto è stato difficile smettere di fare il calciatore? “Per me è stato facilissimo, anzi scoprire la malformazione al cuore mi ha reso tutto più agevole. Credo che sia stata la mia fortuna, forse un segno del destino che il mio tempo era arrivato ed era venuto il momento di dedicarmi ad altro. Se non fosse successo quello che è successo, forse sarei andato avanti a giocare fino alla vecchiaia: sai che tristezza (ride, ndr)?”. Questa è d’obbligo: gli 11 ex compagni che metteresti nella tua formazione ideale. Portiere? Difesa? Centrocampo? Attacco? “Ma stai scherzando? Io ho giocato con i giocatori più forti al Mondo, come faccio a scegliere (ride, ndr)? Probabilmente ne farei 3 o 4 di squadre, tutte quelle in cui ho giocato. Ho iniziato al Monaco, io ero in panchina ma quella squadra è arrivata in finale di Coppa delle Coppe. Poi sono andato al Parma e ho vinto una Coppa Uefa, da lì alla Juve, con la quale ho conquistato tre scudetti e sono arrivato in finale di Champions. E infine ho chiuso nel Barcellona in cui giocavano Ronaldinho, Messi, Xavi ed Eto’o. Nel mentre ho vinto una coppa del Mondo e un europeo. Come faccio a sceglierne 11? È impossibile!”. Torniamo per un attimo al calcio: ti ha sorpreso la Juve quest’anno? “Non sono così aggiornato da poterti dare un commento tecnico, ma mi sembra che in Italia è già qualche stagione che domina, significa che ha qualità. D’altronde in finale di Champions non ci si arriva per caso. Non credo che possa definirsi una sorpresa”.

foto Agenzia Liverani

ROCCIA

I GIGANTI DEL CALCIO / LILIAN THURAM

Molti dicono che la tua Juve era molto più forte di questa, eppure non è che abbia vinto molto, soprattutto in Europa… “Ma stai scherzando vero? Anche noi siamo arrivati in finale di Champions!”. Sì, ma l’avete persa e per di più da favoriti… “In una finale non esistono favoriti, il bello del calcio è proprio che può succedere di tutto. Certo, noi abbiamo perso quella partita, ma fino lì ci siamo arrivati. Ad inizio anno sono centinaia le squadre che sognano di arrivarci”. Buffon recentemente ha detto che la difesa attuale è la più forte con la quale abbia mai giocato, ma BuffonThuram-Ferrara-Cannavaro-Zambrotta che difesa era? “Gigi ha detto questo? E ha fatto bene, perché adesso siamo nel 2015 ed è giusto che dica così, perché quelli ora sono i suoi compagni. E poi per me Gigi è un grande, ha sempre ragione (ride, ndr)”. Se la Juve ti chiedesse di fare il testimonial, magari anti-razzismo? “Ne sarei onorato. Qualora arrivasse la proposta, la valuterei”. Sai che la Juve prima di ogni partita manda in onda uno spot antirazzismo sul tabellone dello Stadium? “No, non lo sapevo, ma questo mi rende ancora più fiero della mia Juve”. E la Juve e i suoi tifosi dovrebbero essere orgogliosi di aver avuto tra i loro idoli un calciatore dalle qualità tecniche eccezionali, ma dalle doti morali ancor più straordinarie… Calcio 2OOO

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SPECIALE STORIA - COPPA DEI CAMPIONI

di Gabriele PORRI

Juventus eliminata dai Rangers in un’edizione che poteva portare grandi frutti ai bianconeri…

foto Agenzia Liverani

Francis, arma Nottingham Stella del Forest, verrà anche in Italia

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uando il Liverpool alza la sua prima Coppa dei Campioni nel 1977 il Forest, squadra di Nottingham, città resa famosa dalle gesta di Robin Hood, riesce a conquistare la promozione in First Division. Sotto la guida tecnica di Brian Clough, ex bomber, poi passato da allenatore dai fasti col Derby County al fallimento di Leeds, i Reds delle East Midlands hanno messo insieme una squadra di tutto rispetto. In porta c’è il nazionale Peter Shilton, arrivato dallo Stoke, poi c’è un misto tra giocatori esperti come Lloyd e Burns, giocatori “di categoria” esplosi come Robertson e Martin O’Neill e giovani emergenti come Garry Birtles e Tony Woodcock, entrambi nativi di Nottingham. Da neopromosso, il Forest stupisce tutti, vincendo la Coppa di Lega e, quel che più conta, il titolo di campione d’Inghilterra con sette punti di vantaggio sui bicampioni d’Europa del Liverpool. L’edizione 1978-79 della massima competizione europea, vede quindi due inglesi al via ai sedicesimi di finale, ma dopo il primo sorteggio è chiaro che una sola delle due andrà agli ottavi, perché Forest e Liverpool si incontreranno il 13 settembre al City Ground e due settimane dopo ad Anfield. Nonostante le vittorie domestiche, il Nottingham rimane sfavorito, per la scarsissima esperienza internazionale. Tuttavia, il giovane Birtles si presenta al confronto con un gol, raccogliendo il passaggio di Woodcock per battere Clemence. Il Liverpool non riesce a invertire l’inerzia e nel finale ancora Birtles approfitta di un errore difensivo, serve Woodcock che fa il secondo assist, stavolta per la volée di Barrett. Il 2-0 è risultato difficile da rimontare, ma Anfield e la sua Kop ci credono. Dall’altra parte, quella che può sembrare poco più che una “provinciale” ha i nervi per resistere, cercare il duello fisico a centrocampo con giocatori più tecnici e riuscire a mantenere la propria rete inviolata, non senza un pizzico di fortuna sotto forma dei legni della porta di Shilton. Il primo turno, preceduto dal preliminare in cui il Monaco elimina la Steaua, è pieno di sorprese, al di là del derby inglese. I finalisti uscenti del Bruges vincono di misura con il Wisla Cracovia, 2-1 in casa, e a dieci minuti dalla fine sono sull’1-1 in Polonia. Le reti nel finale di Lipka e Krupinski danno il passaggio del turno agli outsider dell’est. La Juventus, il cui blocco ha ben figurato al recente mondiale argentino, sconfigge i Rangers Glasgow all’andata, con un gol di Virdis dopo un paio di errori clamorosi di Bettega. In ritardo di condizione, con la Serie A che inizia quando entrambe le sfide con gli scozzesi saranno passate in archivio, Trapattoni commette anche l’errore di lasciare in panchina il combattivo Benetti.

SPECIALE COPPA DEI CAMPIONI/ 1978-1979 A Glasgow si mette in mostra il solo Causio, Tardelli e Cabrini steccano, Zoff non può fare nulla sulle conclusioni – una per tempo – di McDonald e Smith, le uniche degli scozzesi nello specchio della porta. Passa così la squadra nettamente inferiore ed è un vero peccato per la Juventus, viste le altre eliminazioni eccellenti e il lotto di squadre che troveremo ai quarti di finale. Una sola sfida del primo turno, quella tra Dinamo Dresda e Partizan Belgrado, termina ai rigori con la vittoria dei primi. Il Bohemian Dublino passa grazie ai gol in trasferta sull’Omonia Nicosia, mentre il ritorno di una rappresentante albanese, il Vllaznia, è ottimo all’andata con il 2-0 sull’Austria Vienna, che comunque passa il turno grazie al 4-1 del ritorno. Esce il Monaco, che perde in casa 1-0 con il Malmö dopo lo 0-0 in Svezia. Raccolgono caterve di palloni nel sacco i portieri di Niedecorn e Valletta, eliminati rispettivamente da Real Madrid e Grasshopper. Spagnoli e svizzeri si incontrano poi agli ottavi, i Blancos di Madrid sono l’unica squadra rimasta in lizza ad avere vinto la coppa in passato. Qui si consuma un’altra sorpresa: il Real vince l’andata 3-1, ma ad Hardturm splende la stella del ticinese Claudio Sulser, studente di legge con l’hobby del gol (oggi è uno degli avvocati più in vista di Lugano). Il bomber svizzero segna l’1-0 all’inizio e il golqualificazione a tre minuti dal fischio finale. Brandts, Portvliet, i gemelli van de Kerkhof sono vice-campioni del mondo e giocano nel PSV campione d’Olanda. Anche per loro arriva un’eliminazione sorprendente per mano dei Rangers. Eppure, a un quarto d’ora dalla fine gli scozzesi sono fuori, sotto 2-1 dopo lo 0-0 in casa ma Watson e Russell nel finale ribaltano incredibilmente il punteggio. I grandi nomi che lasciano la competizione non sono finiti. La Dinamo Kiev viene eliminata dalla coppia-gol del Malmö CervinKindvall, che porta il 2-0 svedese dopo lo 0-0 iniziale, giocato a Kharkov. Passano ai quarti anche Nottingham Forest - facile sull’AEK Atene - Austria Vienna, Dinamo Dresda, Wisla e una delle nuove favorite: il Colonia di Toni Schumacher, Bernd Schuster e Dieter Müller, che si sbarazza senza problemi della Lokomotiv Sofia. Si arriva così ai seguenti scontri diretti: Colonia-Rangers, WislaMalmö, Austria Vienna-Dresda e Nottingham-Grasshopper. Come spesso accade, gli outsider non si ripetono nel turno successivo, e così gli svizzeri, nonostante il gol iniziale del solito Sulser, al decimo centro nella competizione, subiscono una pesante sconfitta al City Ground. Peggiore anche di quanto meriterebbero, visto che il terzo e il quarto gol inglesi giungono negli ultimi cinque minuti. A Zurigo arriva l’undicesima rete del ticinese, dal dischetto, ma O’Neill pareggia prima dell’intervallo e il risultato non cambia più. Il Colonia approda in semifinale di misura,

con i gol di Dieter Muller, uno in Germania e l’altro a Glasgow. I Rangers devono segnare tre reti per passare, arriva solo il gol di McLean nel finale. Rimonta il Malmö, 4-1 dopo la sconfitta 2-1 in casa del Wisla, non ci riesce invece la Dinamo Dresda, che sconfigge solo 1-0 l’Austria Vienna dopo l’1-3 all’andata. Per il calcio austriaco, con la Nazionale nelle prime otto del mondo in Argentina, è un grande momento. Tuttavia, l’Austria Vienna in semifinale non riesce a segnare nemmeno un gol in 180’ al Malmö e solo una rete di Hansson a inizio ripresa permette agli svedesi di raggiungere una storica finale, festeggiata da tutto il paese nordico. Più drammatica l’altra sfida, con il Nottingham che dopo 20’ è sotto 2-0 in casa, per i gol di van Gool e Muller. Un tiro di Bowyer e due gol di testa di Birtles e Robertson, permettono a Clough di respirare, ma nel finale arriva il 3-3 del panchinaro giapponese Okudera con un tiro dalla distanza. A questo punto i tedeschi sembrano in netto vantaggio, ma una classica partita da trasferta di Clough rende loro le cose difficili. Strette marcature a uomo, specialmente su Muller, bloccano gli attacchi del Colonia, ma lo 0-0 manderebbe comunque in finale i teutonici. Ci pensa ancora Bowyer a segnare il gol decisivo, su azione di corner e così la Coppa dei Campioni 1979 vede una inedita finale tra Nottingham Forest e Malmö, all’Olympiastadion di Monaco. Le due squadre vi arrivano in modo diverso: gli svedesi devono fare a meno dei centrali Bo Larsson e Andersson, infortunati, e perdono anche il capitano Tapper alla vigilia. Gli inglesi invece possono contare sul neoacquisto Trevor Francis, per la cui cessione si è frantumato il muro del milione di sterline. Arriva a gennaio dalla NASL, dai Detroit Express e la FIFA stabilisce che non può giocare per altri tre mesi dopo il suo ingaggio. In pratica, può esordire in finale, dove mancano O’Neill e Archie Gemmill. Nonostante tutto, gli svedesi riescono a imbrigliare il Forest e Clough appare preoccupato a bordo campo. Nel recupero del primo tempo John Robertson, uno che prima dell’arrivo di Clough era un’ala sovrappeso di Second Division, supera due svedesi a sinistra e crossa in mezzo. Möller non esce, sul secondo palo è appostato tutto solo Francis che di testa sigla il gol dell’1-0. Nella ripresa è il Forest a mancare il 2-0 con Birtles e Robertson, il Malmö non si rende pericoloso. I tantissimi inglesi presenti all’Olympia possono così festeggiare una delle più insperate vittorie in Coppa dei Campioni. Tra Liverpool, Real Madrid e Juventus, con il Bruges di Happel vicecampione, ha prevalso una provinciale inglese che in due anni è passata dall’equivalente della Serie B italiana al tetto d’Europa. In Inghilterra, il titolo è andato al Liverpool, con il Nottingham secondo. Come dire, il duello continua. Calcio 2OOO

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SEMIFINALE 1

SEMIFINALE 2

FINALE

AUSTRIA VIENNA-MALMÖ 0-0

NOTTINGHAM FOREST-COLONIA 3-3 (1-2)

NOTTINGHAM FOREST-MALMÖ 1-0 (1-0)

Mercoledì 11 aprile 1979, ore 19:30 VIENNA (Stadio "Prater") Arbitro: Alojzy JARGUZ (POL) Spettatori: 65.000

Mercoledì 11 aprile 1979, ore 19:30 NOTTINGHAM (Stadio "City Ground") Arbitro: Antonio DA SILVA GARRIDO (POR) Spettatori: 40.804

Mercoledì 30 maggio 1979, ore 20:15 MONACO (Stadio "Olympia") Arbitro: Erich LINEMAYR (AUT) Spettatori: 68.000

AUSTRIA VIENNA: Hubert BAUMGARTNER, Robert SARA (cap.), Erich OBERMAYER, Günther POSPISCHIL, Ernst BAUMEISTER, Josef SARA, Thomas PARITS, Herbert PROHASKA, Karl DAXBACHER [61' Franz ZACH], Felix GASSELICH, Walter SCHACHNER Commissario tecnico: Herman STESSL.

NOTTINGHAM FOREST: Peter SHILTON, Colin BARRETT, Ian BOWYER, John MC GOVERN (cap.), Laurence LLOYD, David NEEDHAM, Martin O'NEILL, Archibald GEMMILL [43' Frank CLARK], Garry BIRTLES, Anthony WOODCOCK, John ROBERTSON Commissario tecnico: Brian CLOUGH.

NOTTINGHAM FOREST: Peter SHILTON, Vivian ANDERSON, Frank CLARK, John MC GOVERN (cap.), Laurence LLOYD, Kenneth BURNS, Trevor FRANCIS, Ian BOWYER, Garry BIRTLES, Anthony WOODCOCK, John ROBERTSON Commissario tecnico: Brian CLOUGH.

MALMÖ: Jan MÖLLER, Roland ANDERSSON, Ingemar ERLANDSSON, Roy ANDERSSON, Magnus ANDERSSON, Staffan TAPPER (cap.), Krister KRISTENSSON, Kent JÖNSSON, Tommy HANSSON [73' Thomas ANDERSSON], Tore CERVIN, Jan Olov KINNVALL Commissario tecnico: Robert HOUGHTON.

GARA DI ANDATA

Ammonito: 54' Tommy HANSSON.

Reti: 6' Roger VAN GOOL, 19' Dieter MÜLLER, 27' Garry BIRTLES, 53' Ian BOWYER, 62' John ROBERTSON, 81' Yasuhiko OKUDERA.

MALMÖ: Jan MÖLLER, Roland ANDERSSON, Ingemar ERLANDSSON, Kent JÖNSSON, Magnus ANDERSSON, Staffan TAPPER (cap.) [34' Claes MALMBERG], Anders LJUNGBERG, Robert PRYTZ, Tommy HANSSON [82' Thomas ANDERSSON], Tore CERVIN, Jan Olov KINNVALL Commissario tecnico: Robert HOUGHTON. Rete: 45'+2 Trevor FRANCIS.

COLONIA-NOTTINGHAM FOREST 0-1 (0-0)

MALMÖ-AUSTRIA VIENNA 1-0 (0-0)

Mercoledì 25 aprile 1979, ore 19 MALMÖ (Stadio "Malmö") Arbitro: Robert WURTZ (FRA) Spettatori: 25.239

Mercoledì 25 aprile 1979, ore 20 COLONIA (Stadio "Müngersdorfer") Arbitro: Nicolae RAINEA (ROU) Spettatori: 60.000

MALMÖ: Jan MÖLLER, Roland ANDERSSON, Ingemar ERLANDSSON, Roy ANDERSSON, Magnus ANDERSSON, Staffan TAPPER (cap.), Anders LJUNGBERG, Kent JÖNSSON, Tommy HANSSON, Tore CERVIN [80' Thomas ANDERSSON], Jan Olov KINNVALL Commissario tecnico: Robert HOUGHTON.

COLONIA: Harald SCHUMACHER, Harald KONOPKA, Herbert ZIMMERMANN, Gerhard STRACK, Bernd SCHUSTER, Bernhard CULLMANN (cap.), Roger VAN GOOL, Jürgen GLOWACZ [65' Yasuhiko OKUDERA], Dieter MÜLLER [40' Heinz FLOHE], Herbert NEUMANN, Dieter PRESTIN Commissario tecnico: Hennes WEISWEILER.

AUSTRIA VIENNA: Hubert BAUMGARTNER, Robert SARA (cap.), Erich OBERMAYER, Günther POSPISCHIL, Ernst BAUMEISTER, Josef SARA, Thomas PARITS, Herbert PROHASKA, Karl DAXBACHER [55' Franz ZACH], Felix GASSELICH, Walter SCHACHNER Commissario tecnico: Herman STESSL.

GARA DI RITORNO

GARA DI RITORNO

COLONIA: Harald SCHUMACHER, Harald KONOPKA, Herbert ZIMMERMANN, Bernd SCHUSTER, Roland GERBER, Bernhard CULLMANN (cap.), Roger VAN GOOL, Jürgen GLOWACZ [80' Yasuhiko OKUDERA], Dieter MÜLLER, Herbert NEUMANN, Dieter PRESTIN Commissario tecnico: Hennes WEISWEILER.

NOTTINGHAM FOREST: Peter SHILTON, Vivian ANDERSON, Frank CLARK, John MC GOVERN (cap.), Laurence LLOYD, Kenneth BURNS, Martin O'NEILL, Ian BOWYER, Garry BIRTLES, Anthony WOODCOCK, John ROBERTSON Commissario tecnico: Brian CLOUGH. Rete: 65' Ian BOWYER. Ammoniti: 35' Harald KONOPKA, 78' Martin O'NEILL.

Rete: 47' Tommy HANSSON. Ammonito: 72' Erich OBERMAYER.

foto Agenzia Liverani

GARA DI ANDATA

SPECIALE COPPA DEI CAMPIONI/ 1978-1979

PIETRO PAOLO VIRDIS

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foto Agenzia Liverani

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di Pierfrancesco TROCCHI

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ESTATE ITALIANA

I

n piena estate la frenesia di tutti gli appassionati del pallone viene placata soltanto in parte dai primi confronti amichevoli tra le squadre, solitamente zavorrate da una preparazione fisica ancora acerba. Allora ecco che, ad agosto, scendono come una benedizione le Supercoppe. Sul modello della Community Shield inglese, il più antico appuntamento in questo senso (la prima edizione è datata 1908), la maggior parte delle federazioni calcistiche organizza una sfida tra la vincitrice del campionato e quella della coppa nazionale, spesso come ouverture della stagione ufficiale. L’Italia non si sottrae a questa tradizione dal giugno del 1989, quando, da un’idea del giornalista Enzo D’Orsi, venne concepita e disputata la prima Supercoppa Italiana tra la Sampdoria, vincitrice della Coppa Italia, e il Milan campione d’Italia. Se, almeno inizialmente, la nuova rassegna non raccoglieva grande attenzione, in seguito la Supercoppa divenne un evento di grande interesse, come testimonia l’eterogeneità internazionale delle sue sedi. La prima volta in assoluto all’estero cade nel 1993, con il RFK Stadium di Washington ad ospitare la manifestazione; seguiranno, una volta compresone il potenziale economico, East Rutherford, Tripoli, Doha e Pechino. A proposito di Cina, sarà proprio il paese mandarino ad ospitare la 28ª edizione della Supercoppa nostrana, che vedrà sfidarsi la Juventus di Allegri e la rivelazione Lazio, che si presenterà come finalista perdente della Coppa Italia in una sorta di replay dell’ultimo atto della coppa nazionale. I bianconeri, infatti, hanno conseguito il double – o doblete da quando la recente supremazia iberica nel calcio impone un certo numero di spagnolismi – e mirano ad ottenere una tripletta tutta italica. È già avvenuta una coincidenza simile? Scandagliamo gli archivi.

ANCORA JUVE?

I bianconeri di Allegri puntano anche alla Supercoppa Italiana

Supercoppa Italiana, diversi motivi per non lasciarsela scappare… 80

Calcio 2OOO

foto Image Sport

NON C’È DUE SENZA TRE

VERSO IL NUOVO MILLENNIO Sfogliando gli almanacchi, scopriamo che ad inaugurare questa particolarità fu proprio la Vecchia Signora. Vincitrice di entrambi i tornei federali nel 1995, la Juventus si trova ad affrontare il Parma, medaglia d’argento nella Coppa Italia 1994-95 (chi scrive prova forte dispia-

cere nel notare la forbice che divide l’attuale condizione dei crociati da quella di allora: un grosso “in bocca al lupo” ai parmensi). È lo Stadio delle Alpi ad ospitare la sfida, che non si svolge sotto la canicola agostina cui siamo abituati, ma al gelo insidioso del 17 gennaio 1996. Si spiegano grazie a questo dato, insieme ad un certo disinteresse, i soli 5289 spettatori che assistono alla vittoria dei bianconeri in virtù della rete di Vialli, l’unica della gara: 1 a 0 e la Supercoppa prende casa a Torino. Dalla prima Capitale d’Italia passiamo a quella odierna, Roma, che l’8 settembre 2000 ospita la 13ª edizione di questo trofeo. A contenderselo sono la Lazio di Eriksson, che aveva trasformato le Aquile in veri rapaci in grado di firmare il primo – e, ad ora, l’unico - doblete della storia biancoceleste, e l’Inter della prima era Moratti. Il match richiama il pubblico delle grandi occasioni e si dimostra all’altezza delle aspettative: ben 7 le reti segnate, con la Beneamata che passa immediatamente in vantaggio in virtù della marcatura di Keane, vanificata dalla doppietta del Piojo López e dai goal dei futuri nerazzurri Mihajlović e Stanković. Lo spagnolo Farinós e la meteora Vampeta fisseranno il confronto sul 4 a 3 in favore dei capitolini, un risultato che si riproporrà un paio di anni dopo in uno dei pomeriggi più dolorosi della storia dell’Inter, costretta a rinunciare ad uno Scudetto (quasi) già vinto. I meneghini, però, avranno modo di rifarsi. O MIA BELA MADUNINA È il 2006 e il calcio italiano ha appena subito l’onta del suo scandalo più profondo, quello irreversibile di Calciopoli. La classifica della Serie A soffre di una re-

visione dettata dalle sentenze della giustizia sportiva, che impone, soprattutto, la revoca dello Scudetto alla Juventus di Moggi. Succede così che l’Inter, trionfatrice della Coppa Italia in finale contro la Roma, si ritrovi ad essere anche prima in campionato, avendo concluso la stagione regolare al terzo posto dietro ai bianconeri e al Milan, entrambi penalizzati. Il 26 agosto al Giuseppe Meazza, secondo norma, sono i giallorossi finalisti perdenti a giocarsela con il Biscione. Sembra definirsi tutto nel giro di mezz’ora, perché Mancini e una doppietta di Aquilani portano il risultato sul 3 a 0 per la Magica. L’Inter, però, è pazza, si sa, e recupera con Vieira (due reti) e Crespo. Si va ai supplementari ed è il 94’ quando Figo marca il goal che permette ai nerazzurri di raggiungere il terzo successo iridato nella competizione. È il primo dei numerosi trionfi che negli anni a venire contraddistingueranno l’Inter; l’apice è rappresentato dal 2010, da Mourinho e dal suo triplete, frutto di una stagione da vera schiacciasassi. Il cammino dei milanesi verso la Supercoppa è messo alla prova ancora una volta dalla Roma, seconda classificata nella Coppa Italia 2009/2010. Riise fa e disfa, perché prima segna e in seguito, con un errore grossolano, permette a Pandev di pareggiare. Benitez, nuovo allenatore nerazzurro, incrocia le dita e poi ringrazia Eto’o, autore della doppietta decisiva per portare a casa la coppa. 3 a 1 e il 21 agosto vede l’ultima affermazione dell’Inter in questo contesto. Il dato che accomuna queste partite? Nessuna delle squadre detentrici del double ha perso mai la Supercoppa. Un motivo in più per guardare Juventus-Lazio, non credete?

foto Liverani

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IL NAPOLI ALZA L'ultima SUPERCOPPA ITALIANA Calcio 2OOO

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DOVE SONO FINITI

di Simone TONINATO

DOVE SONO FINITI/ EDY BIVI

EDY BIVI

EDY, CON LA Y…

MANCINO DIVINO Bivi sapeva fare di tutto con il suo vellutato sinistro

SFIORÒ IL MILAN E LA COPPA DEL MONDO, IN PROVINCIA DIVENNE EROE

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i sono tanti modi per definire un attaccante. C’è l’opportunista, c’è quello bravo a giocare di sponda, quello che preferisce partire da lontano e nel calcio di ieri c’erano il nove e l’undici, rispettivamente prima e seconda punta. E poi c’è un’altra differenza, quella che dipende dal grado di “nobiltà” della casacca che si indossa. È questa la caratteristica che consente di distinguere un attaccante, da un attaccante di provincia. Ed Edy Bivi da Lignano Sabbiadoro è l’attaccante di provincia nella miglior accezione del termine.

Palanca, che era andato al Napoli. Fu effettivamente un peso ulteriore da sopportare? “Per rendere l’idea le racconto un episodio che mi è rimasto impresso. Eravamo in ritiro in Friuli, Amato, il massaggiatore che distribuiva le maglie per la partitella da fare contro una squadra del posto, tirò fuori la numero undici che era stata di Palanca e mi disse testualmente: ‘Adesso vedi un po’ cosa vuoi fare’. Non era un peso da poco, ma per fortuna poi andò abbastanza bene”. PRIMI PASSI VIOLA Bivi è cresciuto nelle fila della Fiorentina

foto Agenzia Liverani

Partiamo dal nome: Edy, corto almeno quanto inusuale. Ma poi, si scrive Edy o Edi? Sa che non lo si trova mai due volte scritto nello stesso modo? “(ride, ndr) Mah, in realtà sulla carta d’identità ce l’ho con la y. Ma in fondo cambia poco, dai”.

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Nella stagione 1980/81 “Bivi con la y” gioca nel Mestrina, in serie C2. Poi, senza tappe intermedie, attraversa l’Italia, dal Veneto alla Calabria e direttamente in Serie A, tra le fila del Catanzaro… “Il salto fu enorme. Dalla C2 alla A cambiò tutto, responsabilità comprese, ma rimase identico il mio approccio nei confronti del calcio. È chiaro che per un ragazzo di 20-21 anni, tanti ne avevo all’epoca, il cambiamento era immenso, ma il gioco del calcio è semplice, sia a Mestre che a Catanzaro servono sempre due porte e un campo di gioco. Da quel punto di vista cambiava poco, ma, come dicevo, erano diverse le responsabilità, quelle si”. C’era poi da raccogliere un’eredità importante. Lei arrivava per sostituire Massimo

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Dalla C2 alla A cambiò Tutto, responsabilità comprese, ma rimase identico il mio approccio al calcio

La prima stagione in A inizia alla grande e arriva la convocazione con la Nazionale Under 21, impegnata nell’Europeo di categoria… “Proprio così, nel giro di sei, sette mesi, finii prima in A e poi in Under 21, che salto. Quando vesti la maglia della Nazionale provi una grande soddisfazione, è l’apice della carriera per un giocatore. Tra l’altro l’esordio contro la Scozia si giocò proprio a Catanzaro. In quella nazionale c’erano giocatori come Baresi e Bergomi, era una squadra importante, con giocatori bravi, bravi veramente. E oltre a me c’erano anche Borghi, Mauro e Celestini, eravamo dei ragazzotti mezzi sconosciuti che giocavano nel Catanzaro. In quella stagione ci facemmo conoscere e fu per noi un ottimo trampolino di lancio”. Vi faceste conoscere a suon di prestazioni. Lei segnò al Milan, all’Inter, al Toro, alla Roma, al Napoli e non solo… “La verità è che andò tutto bene, oltre le più rosee aspettative. Una di quelle annate in cui le cose capitano al di là dei giocatori. Nacque un’alchimia perfetta che consentì alla squadra di ottenere il settimo posto, miglior risultato di sempre. Fu un orgoglio per tutti, sia per noi che giocavamo che per la città”. Orgoglio a parte, nella stagione di esordio Calcio 2OOO

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DOVE SONO FINITI/ EDY BIVI

DOVE SONO FINITI/ EDY BIVI

nella massima serie, segna subito dodici gol e arriva secondo nella classifica cannonieri, dietro a Roberto Pruzzo (Roma). D’estate ci sono i Mondiali, ma sia lei che Pruzzo restate a casa. Con un solo gol segnato in stagione parte invece Massaro (Fiorentina). Aveva sperato nella convocazione? Come la prese? “Erano tempi diversi. Si era più conservatori, e lo era anche chi faceva le selezioni. Bearzot è stato un tecnico molto amato dalla gente, tra l’altro era friulano come me, quindi poteva metterci una parolina (ride, ndr). Ma non era facile,

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Nazionale? C’erano i blocchi di Juve, Inter e Milan e il fatto che giocassi nel Catanzaro forse mi ha penalizzato

c’erano i blocchi di Juve, Inter e Milan e il fatto che giocassi nel Catanzaro forse mi ha un po’ penalizzato. Ricordo che poi, anni dopo, quando Sacchi divenne CT, convocò tantissimi calciatori. In una situazione del genere forse avrei avuto qualche possibilità in più, ma ormai è andata così. Ad ogni modo, non ho nulla da rimproverarmi, perché sul campo avevo fatto quello che dovevo fare”. Ma dica la verità, nei suoi incubi c’è Paolo Rossi che alza la Coppa del Mondo al “Ber-

dio in A. Arrivava a Catanzaro dopo un’esperienza al Modena, era una persona tranquilla e capace, che aveva il suo modo di vedere le cose. Si trovò ad allenare una squadra piena di ragazzi giovani, anche se in difesa avevamo gente di esperienza, vedi i vari Santarini, Ranieri o Sabadini che veniva dal Milan. Era un mix e lui fu bravo a metterci del suo per trovare la quadratura del cerchio. Ma dal punto di vista della qualità, dell’intelligenza e del modo di vedere il calcio, credo che Galeone sia stato una spanna sopra tutti. Aveva un modo di interpretare il calcio che

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Il ricordo migliore è l’esordio in campionato al “San Paolo” contro il Napoli nell’81. Davanti a 70.000 persone

era avanti rispetto agli altri. È stato importante nella mia crescita e nella mia carriera. E credo sia stato importante, più in generale, per quello che ha fatto nel calcio italiano, ovunque sia andato ad allenare. Un allenatore che io reputo uno dei migliori in assoluto”. E invece, Bivi nei panni di allenatore… “Quando alleni, cambia tutto. La prima cosa sono le responsabilità, da calciatore sei un singolo, mentre l’allenatore deve essere capace di mettere d’accordo un gruppo, il ruolo è comple-

RIGORISTA IMPECCABILE Dagli 11 metri pochi avevano la freddezza di Bivi...

nabeu”? “Beh, insomma. Io ricordo che al posto mio partì per il Mondiale Franco Selvaggi (8 gol col Cagliari, contro i 12 di Bivi, ndr) e rimase per tutta la competizione in tribuna. Lo avrei fatto volentieri anche io e oggi sarei un Campione del Mondo. È una cosa che ogni tanto nel corso degli anni mi è passata per la testa, però ormai è andata così e non ci posso fare più nulla. Mi consola e mi inorgoglisce il fatto che io sul campo avevo dimostrato di poter meritare quel posto. Ma le scelte le fanno gli altri e non si può interferire”. Dopo la splendida annata, due retrocessioni consecutive e iniziano i trasferimenti. Prima Bari, poi: Triste, Cremona, Monza, ci racconti un po’… “Dopo Catanzaro ho girato e mi sono trovato bene ovunque. Compagni, città, squadre, tutto è sempre andato per il verso giusto. Io non ho mai cambiato il mio approccio al calcio e ho sempre cercato di svolgere al meglio la mia professione. Nessuno mi ha mai regalato nulla e ciò che ho 84

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fatto lo devo alle mie capacità e ai miei avevamo un grande allenatore”. compagni di squadra. Sono contento di ciò Oggi che nessuno deve impedirle di far che ho realizzato nella mia carriera”. gol, può confessarlo, qual era la sua Poi la ingaggia il Pescara, con cui torna specialità? in Serie A, in compagnia di due grandi “Di certo non potevo metterla sul piano fisico, ma ero un giocatore rapido e tecniallenatori di oggi: Dunga e Allegri… “Pescara è stata una tappa importante, ba- co e cercavo di sfruttare al meglio queste sti pensare che sono arrivato qui nel ’90 mie caratteristiche. Potevo esaltarmi in una e ancora non me ne sono andato. Tutt’ora squadra che proponeva un calcio offensivo vivo a Pescara. È una piazza bella per gio- sfruttando agilità e fantasia, se giocavo care a calcio, è una bella cittadina, un posto con una squadra che mirava a difendersi di mare. Calcisticamente c’erano tutti i pre- per ripartire in contropiede, chiaramente le supposti per far bene e infatti l’esperienza mie qualità venivano un po’ meno”. fu ricca di soddisfazioni seppur a stagioni alterne. Diciamo che i primi due anni sono Adesso parliamo di allenatori: Bruno stati molto positivi. E si, negli anni a Pesca- Pace è colui che la lanciò in A, Azeglio ra ho giocato con Dunga e Allegri, ma non Vicini la convocò nella sua Under 21 c’erano solo loro. C’erano anche Righetti, e Giovanni Galeone la fece rinascere. Pagano, Dicara, Siskovic e anche Stefano Che ci dice di questi tre? Borgonovo. Sono passati giocatori impor- “Tre profili completamente diversi. Vicini, tanti e bravi, per me sono dei bei ricor- poi, aveva un compito molto differente di, pieni di entusiasmo. Questa è una città dagli altri due, perché una cosa è allenare che vive tutto con molta passione e credo una squadra di club, tutt’altro discorso è che quella squadra abbia regalato molte allenare una Nazionale. Bruno Pace era un emozioni, giocavamo un bellissimo calcio e tecnico emergente e come me era all’esor-

tamente diverso. E oggi fare l’allenatore non è semplice anche per altri motivi, alle volte i meriti non vengono riconosciuti, contano le conoscenze. C’è gente capace che non riesce ad allenare, perché magari prima delle idee vengono apprezzate doti che con il calcio c’entrano poco e questo mi dispiace molto. Ho fatto qualche esperienza a livello dilettantistico e avrei voluto provare tra i professionisti. Speravo di avere qualche possibilità, ma non è semplice, per tanti motivi”. Senza pensarci, scelga un ricordo e un rimpianto… “Il ricordo migliore è sicuramente l’esordio in campionato al “San Paolo” contro il Napoli nell’81. Dai campi di Mestre o Trento, mi ritrovai davanti a un pubblico di 70.000 persone, sono cose che non si possono dimenticare. E poi quel Napoli in difesa aveva Ruud Krol che era un nazionale olandese, un grande giocatore. Se devo trovare un rimpianto, penso ad un mancato trasferimento. Un anno mi capitò di poter andare al Milan del presidente Farina o

GRANDE CON GALEONE A Pescara ha fatto benissimo grazie al mister...

alla Roma, ma il Catanzaro che deteneva il mio cartellino chiedeva un sacco di soldi, mi sembra di ricordare un qualcosa come quattro miliardi delle vecchie lire, e non se fece niente. All’epoca decideva la società, non c’erano svincoli e parametri zero, in una trattativa odierna forse sarei stato agevolato. Chissà, andando in una grande società magari avrei potuto fare una carriera diversa. Ma, come dicevo prima, sono contento di ciò che ho fatto… Anche se andare alla Roma o al Milan… ma non fa niente, ormai è andata così”. Un’ultima cosa prima di salutarci: chi è Edy Bivi oggi e chi potrebbe essere oggi il nuovo Edy Bivi? “Parto dalla seconda e dico che i paragoni non mi piacciono. Spesso sono inopportuni, perché non c’è mai un giocatore uguale a un altro. Quindi, no comment. Su me oggi: sono un comune mortale con una vita normale e la speranza di allenare. Se non avrò possibilità, continuerò la mia vita con la mia famiglia, i miei amici e i miei cani. Edy Bivi è questo”. Calcio 2OOO

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LIGA SPAGNA

di Paolo BARDELLI

foto Imago/Image Sport

Nonostante la Decima, niente conferma per Carlo

IL CALCIO NON E’ TUTTO

I

l campionato spagnolo è fermo, il verdetto finale sorride al Barça su tutta la linea: Liga, Copa del Rey e Champions League. Ai vinti resta solo l'analisi della sconfitta, abitudine elettorale consolidata dalle nostre parti. Tempo di bilanci dunque, guardiamo allora cosa ci racconta quello del Real Madrid. Bilanci e Real Madrid ci fanno pensare alle enormi somme mosse dal colosso spagnolo e non potrebbe essere altrimenti, visto che il calcio passa spesso e volentieri in secondo piano. Non prendeteci per pazzi, par86

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liamo del club che ha vinto più Coppe Campioni/Champions League, squadra dalla tradizione enorme, un'icona. Ma il calcio sta diventando un aspetto collaterale del carrozzone. Pochi mesi dopo la vittoria della Decima, l'ambiente intorno alla squadra è diventato isterico, come se non fosse accettabile nessun risultato se non il trionfo. Chiamatelo blatterismo, chiamatelo calcio moderno, sta di fatto che tutto viene triturato alla velocità della luce, anche le persone. È successo a Carlo Ancelotti, che in due anni ha messo quattro trofei nella bacheca blanca. A vedere il modo in cui è

CARLO ANCELOTTI

foto Image Sport

Solo un anno fa la Decima, ora è già rifondazione blanca. Al comando c’è Benitez…

stato cacciato dal Santiago Bernabeu verrebbe da pensare a una temporada disastrosa, invece ha chiuso ad appena due punti dal Barcellona campione di tutto, a margine una semifinale di Champions League. Risultato eccellente per qualsiasi club del globo, ma al Real il mondo non basta come testimonia il soprannome (portasfiga) Galacticos di qualche anno fa. Per comprendere cosa sia successo dobbiamo tornare indietro di qualche mese, quando tutto sembrava filare per il verso giusto. A ottobre un Clasico dominato ha fatto ben sperare, dalla vittoria Champions era passato poco tempo e tutto lasciava pensare a un'altra stagione di successi. Il giocattolo di Carletto però si era già rotto, la colpa però non è sua. Il Real Madrid formato 2013/2014 era un capolavoro di verticalità, ben mescolata con il gioco ampio e paziente di marca Ancelotti, lo abbiamo apprezzato al Milan e ora è prodotto doc apprezzato nel mondo.

Morbida e paciosa la gestione del pallone, a immagine e somiglianza dell'uomo scelto per accantonare gli spigoli di Mourinho, mai particolarmente amato in Spagna. L'estate scorsa però il Real Madrid ha pensato a tutto tranne che all'aspetto squisitamente calcistico, non discutiamo il valore di Kroos o James Rodriguez, bensì abbiamo dubbi circa il loro innesto al posto di elementi chiave nello scacchiere. Il mondiale è stato dannoso per gli equilibri della casa blanca, le grandi giocate in Brasile hanno fatto del colombiano l'uomo immagine per ravvivare l'immagine del club, le magliette sono andate a ruba, ma il buon James è giocatore molto diverso da quel Di Maria che consentiva di rovesciare il fronte dell'azione in un attimo. È il paradosso del Real Madrid, spendere fantastiliardi per poi ritrovarsi a giocare una semifinale Champions con l'ottimo difensore Sergio Ramos in mediana per mancanza di alternative a centrocampo. Con il trascorrere dei mesi i problemi si sono fatti evidenti, la squadra però è rimasta in corsa per la vittoria finale fino al termine del campionato. L'ambiente però è andato in mille pezzi. La cacciata di Ancelotti ha aleggiato sul Bernabeu per mesi, la sconfitta nel Clasico di ritorno è stata accompagnata da scene isteriche inspiegabili in termini squisitamente calcistici, i calci all'auto di Bale - colpo multimiliardario dell'anno prima - sono l'istantanea di un corto circuito. La gestione societaria ha contribuito a plasmare un nuovo gruppo di tifosi pronti a comprare la maglia del nuovo campione al day one, ma incapaci di accettare una fisiologica sconfitta. La creatura si ribella al suo padrone come nel Frankenstein di Mary Shelley. Il gigante però non si ferma e cambia per fare nuova incetta di vittorie (?) e milioni. Via Carletto e dentro Benitez. Sorprende la scelta di Rafa, disastroso o quasi in questo anno a Napoli, scelta politica come molti hanno già avuto modo di dire. Prodotto del vivaio blanco, Benitez ha mosso i primi passi da allenatore come mister delle giovanili, vice e tecnico della squadra B. Uno di casa. Forse Rafa, con il suo sorriso bonario, saprà domare la belva ma al momento non ci sono motivi per pensare che possa far meglio di Ancelotti. Il responso ce lo darà il campo.

BENITEZ, IL REAL NEL DNA Celebre la sua passione per il cibo, va pazzo per la cioccolata

foto Image Sport

CIAO CIAO ANCELOTTI

RAFAEL BENITEZ

Rosaurio Maudes, infermiera e tifosa del Real Madrid, ha avuto il suo bel da fare per stare appresso a suo figlio Rafa, nato il 16 aprile del 1960. Una piccola peste, il più scatenato dei tre, papà Francisco decide di incanalare questa vitalità trasmettendogli la passione per lo sport. Non solo calcio, ma anche nuoto e judo, senza dimenticare gli scacchi: una passione che il tecnico si porterà dietro per tutta la vita. Il calcio giocato gli dà soddisfazioni ma la passione per la panchina nasce presto, il padre però lo vuole laureato e Rafa, dopo un anno di medicina, sceglie educazione fisica. Poliglotta, parla correttamente italiano e inglese, la sua lingua però è più tagliente di quanto si possa pensare. Numerosi i litigi in Premier quando allenava il Liverpool. Tensioni continue con Mourinho, da registrare anche screzi con sir Alex Ferguson e Sam Allardyce. Celebre anche la sua passione per la buona cucina, non sa fare a meno della cioccolata. Il Real ora ha fame di trofei, una buona forchetta come Rafa non può digiunare. Speriamo. "Niente di quanto ha vissuto prima è paragonabile a quello che troverà qui", Perez aveva avvertito Carletto con queste parole, che ora suonano quasi profetiche. Il calcio non è tutto al Santiago Bernabeu. Calcio 2OOO

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PREMIER LEAGUE INGHILTERRA

di Luca MANES

foto Imago/Image Sport

Non solo l'Udinese per il patron...

WATFORD MADE IN ITALY

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no squadra mediocre, uno stadio decrepito, solo tre impiegati full time che si dovevano occupare dei compiti più disparati, dall'ufficio stampa alla cura del terreno di gioco, passando per le incombenze amministrative e il calcolo dei salari dei calciatori. Questa era la realtà del Watford a metà degli anni Settanta, quando a tirar fuori gli Hornets dall'aurea mediocritas della Quarta Divisione si presentò mister Reg Dwight. Forse vi sarà 88

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più familiare il suo nome d'arte: Elton John. Il celeberrimo cantante ha rivestito la carica di presidente in due diversi frangenti (1976-1987 e 1997-2002). Soprattutto nel primo è riuscito a portare il Watford su vette mai raggiunte in passato, sfiorando addirittura il trionfo in FA Cup. Adesso la compagine della cittadina al nord di Londra è in mani italiane. Tre anni fa la famiglia Pozzo ha rilevato la proprietà del Watford, che così è andato ad aggiungersi alla “scuderia” di team sparsi per l'Europa (oltre

all'Udinese, c'è anche il Granada). Il sogno, nemmeno troppo nascosto, era riportare le Hornets in Premier, e tutto sommato non c'è voluto nemmeno tanto per realizzarlo. Il Watford, infatti, è stato promosso dopo un campionato tra i più equilibrati e difficili degli ultimi anni, vinto dalla super-sorpresa AFC Bournemouth e con la grande favorita Derby County che ha fatto harakiri scivolando fuori dai play off dopo aver condotto a lungo la classifica. L'equilibrio e il ricambio che manca in Premier, dove alla Champions League si qualificano sempre le stesse 4-5 squadre, ab-

GIAMPAOLO POZZ

foto Image Sport

Dalla mediocrità fino alla “bella vita”, il tutto grazie alla famiglia Pozzo…

La compagine diretta dal serbo Jokanovic ha evidenziato per l'intera campagna una estrema difficoltà a raccogliere punti contro le rivali per il salto di categoria – un campanello d'allarme in vista del test ultra-probante della Premier – però contro le piccole si è dimostrata implacabile. I rinforzi servono in difesa. Troppi i 50 palloni raccolti dentro la rete dal rigenerato portiere brasiliano Heurelho Gomes, ex del Tottenham. Nel reparto arretrato se la sono cavata discretamente Gabriele Angella e Marco Motta, insieme a Gianni Munari e Farnando Forestieri gli esponenti del contingente italiano, mentre Diego Fabbrini è finito in prestito per buona parte della stagione. Il livello tecnico dei centrocampisti è abbastanza elevato, ma il punto di forza della squadra è senza dubbio l'attacco. Troy Deeney è diventato il primo giocatore a segnare più di 20 goal in tre stagioni consecutive, il nigeriano Odion Ighalo dal boxing Day al giorno della promozione ha centrato 17 reti su 18 partite, mentre Matej Vydra (ceco in prestito dall'Udinese) si è assestato sulle 16 marcature. Basteranno contro le super-potenze della Premier? Intanto è già ricambiato l'allenatore, con Sanchez Quique Flores al posto di Jokanovic. A proposito di mercato, conoscendo i Pozzo, non è da escludere un'estate movimentata al Vicarage Road, dove a inizio dell'anno è stata pure inaugurata una nuova tribuna. Come si chiama? Elementare Watson, Sir Elton John Stand!

MIRACOLO TAYLOR Fine anni ’70, il Watford vola, anche grazie alla musica…

foto Image Sport

bonda nella serie cadetta. Il Watford è stato bravo a non perdere il contatto con il gruppo di testa anche quando la squadra non girava alla perfezione. Pronti via ed ecco una pletora di problemi, sotto forma di continui cambi di panchina. Quando l'ex centrocampista di Chelsea e Yugoslavia Slavisa Jokanovic è approdato al Vicarage Road lo scorso 7 ottobre, era già il quarto allenatore della stagione 2014-15. In precedenza non avevano retto Beppe Sannino, che aveva salutato la compagnia già a fine agosto per presunti dissidi con una larga fetta dello spogliatoio; Oscar Garcia, costretto a lasciare per problemi di salute, e Billy McKinlay, sostituito nello spazio di una sola settimana.

NELLE MANI DI POZZO

Elton John

L'ascesa degli Hornets a cavallo tra anni Settanta e Ottanta è dovuta in buona parte al manager dell'epoca, Graham Taylor. Fu lui a dare al team un'impronta molto offensiva e a mietere risultati positivi. Anche grazie ai consistenti assegni staccati da Elton John, arrivò così il doppio salto di categoria nel 1978 nel 1979. Uno splendido bis a cui si aggiunse una semifinale in Coppa di Lega persa contro il Nottingham Forest, poi laureatosi campione d'Europa. Nel 1981-82 si materializzò la prima, storica promozione in First Division, la progenitrice della Premier. A quel punto l'ascesa del club apparve veramente inarrestabile. Nel 1982-83 la matricola terribile si arrese solo al grande Liverpool, classificandosi seconda davanti al Manchester United e al Tottenham. Ma soprattutto fu centrata la prima, fantastica qualificazione alle coppe europee. Ciliegina sulla torta, Luther Blissett capocannoniere con 27 reti. Un risultato che gli fruttò il passaggio al Milan, dove sappiamo tutti come andò a finire (male). Nel 1983-84 le Hornets conquistarono in finale di FA Cup. Dopo una cavalcata trionfale, dovettero ammainare bandiera bianca al cospetto dell'Everton nell'atto conclusivo. Elton John era in tribuna a trepidare per i suoi giocatori e a fine partita pianse lacrime amare, quasi sapesse che la bella favola del Watford era terminata senza il tanto atteso lieto fine. Adesso tocca ai Pozzo rinverdire i fasti del passato. Calcio 2OOO

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BUNDESLIGA GERMANIA

di Flavio SIRNA

foto Imago/Image Sport

La Germania è sempre al passo con i tempi

VOGLIA DI CAMBIARE

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euer; Lahm, Hummels, Boateng, Howedes; Kramer, Schweinsteiger, Kroos; Muller, Klose, Ozil. Era questo l'undici iniziale della Germania che solamente un anno fa al Maracanà, grazie alla rete di Gotze nei tempi supplementari contro l'Argentina, si è laureata campione del Mondo per la quarta volta nella sua storia. Archiviato lo storico successo, il commissario tecnico Low ha deciso che qualcosa doveva cambiare. Ed ecco quindi l'inserimento tra i convocati e sovente anche tra i titolari, di nuove leve, che hanno il 90

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compito di continuare a far crescere il movimento nazionale teutonico. Nell'ultimo match di qualificazione ad Euro 2016 stravinto per 7-1 contro Gibilterra erano solamente quattro, tra i titolari, i superstiti del Maracanà (Gotze, Ozil, Schweinsteiger e Boateng). Questo dato non faccia però allarmare i conservatori: in realtà, nelle sei partite del girone sin qui disputate da Neuer e compagni (match nei quali è stata provata anche una variante tattica al 4-2-3-1, ossia il 3-1-4-2), rispetto ai 23 convocati per il Sudamerica, sono stati solamente cinque i 'nuovi' innesti. Si

Sebastian Rudy

foto Image Sport

La nazionale tedesca, un anno dopo il Maracanà, ha fatto dei cambiamenti importanti…

tratta del centrocampista del Dortmund Gundogan (assente in Brasile per infortunio), dell'attaccante classe 1988 del Wolfsburg (ceduto dal Borussia Monchengladbach prima della fine della stagione regolare) Max Kruse, del difensore classe 1993 dello Stoccarda Antonio Rudiger, del terzino sinistro del Colonia Jonas Hector e del centrocampista classe 1990 dell'Hoffenheim Sebastian Rudy. Mentre i primi due sopra menzionati facevano già parte dello 'zoccolo' duro (lo stesso deve dirsi anche di Marco Reus e Julian Draxler, frenati solamente dagli infortuni), diverso discorso per gli altri tre. Rudiger, possente difensore centrale, ha fatto il suo esordio lo scorso 13 maggio 2014 nell'amichevole contro la Polonia: in prospettiva futura, anche se deve migliorare dal punto di vista prettamente difensivo, può rappresentare una risorsa importante sia come sostituto di Boateng che di Hummels. Meno esperienza e senso della posizione rispetto al di-

fensore del Dortmund, ma sicuramente maggiore velocità di esecuzione (caratteristica che ha portato Low a provarlo anche come terzino destro di una difesa a 4). Il 13 maggio è stato anche il giorno dell'esordio di Rudy: Sebastian è il classico centrocampista tuttofare. Preferisce giocare al centro del campo, ma non disdegna nemmeno altre posizioni (all'occorrenza può fare anche il terzino destro, ruolo occupato nel match contro Gibilterra). Quantità da vendere, deve però migliorare in quanto a qualità se vorrà rappresentare una valida alternativa ai vari Khedira, Kroos o Kramer. A proposito di terzini destri sono da considerare come papabili anche Sebastian Jung del Friburgo (classe 1990) ed il compagno di squadra Oliver Sorg (anch'egli classe 1990, che può spostarsi anche a sinistra). Ha esordito invece il 14 novembre 2014 contro Gilbiterra Jonas Hector: fisico asciutto e slanciato, il 25enne terzino sinistro, non proprio un giovane di primo pelo, ha dato delle risposte importanti, tanto da guadagnarsi la convocazione anche nelle successive occasioni. Un suo concorrente in questo ruolo, restando sempre in tema di outsider, è Christian Gunter del Friburgo (classe 1993). A livello di trequartisti, per essere presi seriamente in considerazione dal commissario tecnico, dovranno necessariamente avere maggiore continuità di prestazione Leon Goretzka dello Schalke 04 e Maximilian Arnold del Wolfsburg (pilastro dell'Under 21). Nomi e moduli a parte, c'è però da segnalare, nonostante la tanta qualità ancora a disposizione di Low, una minore fluidità del gioco ed una minore capacità di dare spettacolo. 'Demerito' sicuramente dell'appagamento post-Mondiale, conseguenza naturale dopo un successo così importante. Per questo motivo nei prossimi mesi sarà suo compito cercare di far recuperare motivazioni ai suoi ‘senatori-titolari’ o, in alternativa, rischiare di puntare sui tanti giovani o 'panchinari di lusso' presenti nella lista di papabili convocati. Un rischio forse impossibile da poter correre vista la grandezza dei nomi che si dovrebbero escludere, ma che potrebbe al contrario, se venisse posta in essere, rappresentare una bella sfida anche per il diretto interessato, al quale è stato assegnato il compito, dopo il prolungamento del proprio contratto

UNDER 21 DI LUSSO I giovani tedeschi sono già da tenere in grande considerazione

foto Imago/Image Sport

BRAVI A RISCHIARE

Marc-André ter Stegen

A proposito di Under 21, sono tanti gli elementi meritevoli di menzione e considerazione e che sicuramente compiranno a breve il grande salto. In porta non hanno bisogno di presentazione Ter Stegen e Bernd Leno, già protagonisti nei loro rispettivi club sia in ambito nazionale che internazionale (il primo si è da poco laureato campione d’Europa con il Barcellona, il secondo è titolare inamovibile nel Leverkusen ed ha suscitato anche le attenzioni del Real Madrid). In difesa hanno capacità e prospettiva soprattutto Robin Knoche del Wolfsburg e Julian Korb del Monchengladbach. A centrocampo spiccano Moritz Leitner dello Stoccarda, il già famoso Emre Can (del Liverpool) e Amin Younes del Kaiserlautern. In avanti, come oramai da copione (negli ultimi anni c’è stato un boom di esterni offensivi) c’è l’imbarazzo della scelta: Kevin Volland dell'Hoffenheim (esterno d'attacco o punta centrale), Max Meyer (già 1 presenza in nazionale A) dello Schalke 04, Philipp Hoffmann (classe 1994, possente punta centrale) del Kaiserlautern, Leonardo Bittencourt dell'Hannover (esterno sinistro) e Felix Klaus del Friburgo (ala destra o sinistra). Un’abbondanza che rappresenta sicuramente una risorsa, ma che potrebbe anche costituire un’arma a doppio taglio, se affidata a chi non ne saprà fare buon uso. Ma con Low la Germania sembra ancora essere in buone mani… sino al 2018, di portare al livello degli attuali campioni del Mondo, coloro che invece campioni del mondo vorranno diventare. Calcio 2OOO

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LIGUE 1 FRANCIA

di Renato MAISANI

foto Agenzia Liverani

In Francia sono già esaltati dal suo talento

FEKIR GIà “GALLETTO”, MA… Da Zidane a Fekir, quando l’Algeria sa rendere grande la Francia…

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el firmamento della Ligue1 tante sono state le stelle capaci di mettersi in luce nel corso dell’ultima stagione. Molti di loro, inevitabilmente, sono diventati uomini-mercato: da Kondogbia ad Imbula, da Abdennour a Lacazette, i protagonisti dell’ultimo campionato francese hanno già infiammato il calciomercato. Tra loro c’è anche Nabil Fekir, imprevedibile ‘trottolino’ del Lione che con le sue 13 reti ha contribuito in maniera determinante al ritorno dell’OL in Champions League. Nato proprio a Lione, nel 1993, Fekir 92

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ha sempre vestito la maglia del club della propria città, eccezion fatta per la stagione vissuta nelle giovanili del Saint-Priest, club che milita in quarta serie francese. “La Nazionale francese ha trovato un nuovo talento offensivo”, verrebbe da dire. Vero sì, ma solo in parte. Il padre di Fekir, infatti, è algerino e spinge affinché il figlio vesta la maglia verde dell’Algeria. E non facciamoci ingannare dalle tre gare ufficiali disputate da Fekir con la Francia: trattandosi di amichevoli, infatti, non sono vincolanti. Insomma, Fekir è ancora libero di scegliere la Nazionale per la quale gioca-

re e per farlo ha tempo fino ai prossimi campionati europei. La Francia, infatti, sarà il Paese ospitante di Euro 2016 e non disputerà quindi gare ufficiali fino, appunto, al debutto agli Europei. Soltanto amichevoli per i transalpini guidati da Didier Deschamps, il quale però ha già voluto far sentire a Fekir l’odore della maglia dei ‘galletti’ convocandolo per alcune gare di preparazione alla rassegna continentale. Fekir ha infatti esordito in occasione della prestigiosa amichevole disputata a Saint-Denis contro il Brasile, entrando in campo a 15 minuti dalla fine. Appena

tre giorni dopo, a Saint Etienne – vicino casa – Fekir è stato mandato in campo a mezzora dal termine della gara vinta contro la Danimarca. Appena 45 minuti in totale, ma utili a farlo abituare all’idea di essere un ‘galletto’. Due mesi dopo, poi, è arrivato anche il primo goal con la maglia dei Bleus, realizzato in occasione del pirotecnico 3-4 subìto dalla Francia, in casa, contro il Belgio. Tre apparizioni che hanno convinto Deschamps, sempre più intenzionato a convocare il calciatore per Euro 2016, papà permettendo. FRANCIA, UNA STORIA DI… ALGERINI Qualora Fekir dovesse scegliere di indossare definitivamente la maglia della Nazionale francese, sarebbe soltanto l’ultimo di una nutrita schiera di algerini che hanno fatto le fortune dei Bleus. L’Algeria, colonia francese per oltre un secolo, conquistò l’indipendenza nel 1962 ma nonostante ciò molti algerini decisero di emigrare in Francia, nella speranza di un futuro migliore. Per que-

MA C’È CHI DICE… ALGERIA Già, il prestigio. Perché con tutto il rispetto per la Nazionale algerina, capace di partecipare e ben figurare alle ultime due occasioni dei Campionati del Mondo, poter indossare la maglia della Francia è – sportivamente parlando – un autentico privilegio. Ma non tutti i calciatori la pensano così. Yacine Brahimi, ad esempio, ha compiuto una scelta insolita: nato e cresciuto a Parigi e protagonista con tutte le selezioni giovanili della Francia (dall’Under 16 all’Under 21), nel 2013 il trequartista all’epoca in forza al Granada prese la decisione di rispondere alla convocazione della Nazionale algerina della quale è adesso la stella più lucente. Simile a quella di Brahimi è stata la scelta di Sofiane Feghouli, nato in Francia e protagonista con la maglia dell’Under 21 francese, prima di dire sì all’Algeria nonostante godesse della totale fiducia di Didier Deschamps, che lo aveva già convocato pur senza mai farlo esordire. Nabil Bentaleb (nato a Lille) e Faouzi Ghoulam sono soltanto altri due dei nomi noti che, pur nati in Francia, hanno scelto di difendere i colori dell’Algeria. E non soltanto, come sostengono alcune ‘malelingue’, perché la Francia non avrebbe mai loro concesso una chance. Brahimi e Feghouli, infatti, rientravano eccome nei piani della Federazione francese, così come Belhanda che, nel momento migliore della propria carriera, decise di scegliere il Marocco, nonostante fosse nato ad Avignone ed avesse sempre giocato con le selezioni giovanili transalpine.

FRANCIA CAMPIONE DEL MONDO I ‘galletti’ non hanno mai avuto problemi ad accogliere giocatori ‘extra francesi’

foto Image Sport

sta ragione, la generazione degli attuali calciatori francesi, proviene da famiglie di origini algerine. Il caso più noto è ovviamente quello di Zinedine Zidane, nato a Marsiglia da genitori algerini e protagonista assoluto del trionfo della Francia ai Mondiali del 1998. ‘Zizou’, figlio di un muratore e di una donna provenienti dalla Cabilia, è l’ultimo di cinque fratelli e probabilmente il meno legato all’Algeria. Facile, da lì, la scelta di indossare la maglia della Francia. Simile a quella di Zidane, la storia di Samir Nasri, anch’egli nato a Marsiglia ma di origini algerine ed anch’egli orientatosi verso la Nazionale francese, sia per rappresentare il Paese che gli ha dato i natali, sia – inevitabilmente – per questione di prestigio.

NUOVO ASSO

Zinédine Zidane

La “multiculturalità” di alcune Nazionali, di calcio e non solo, è sempre più oggetto di dibattito. La Germania ricca di calciatori di origine turca, la Svizzera popolata da giocatori nati e cresciuti nei Paesi della Ex Jugoslavia e, appunto, la Francia ricca di calciatori nordafricani sono soltanto alcuni degli esempi che ci riguardano più da vicino. Per la Francia, tuttavia, non si tratta certo di una novità. I ‘galletti’ che vinsero la Coppa del Mondo nel 1998, l’unica ad oggi conquistata dalla Nazionale francese – e per di più in casa – furono trascinati proprio da molti giocatori ‘adottati’. 10 dei 22 calciatori selezionati dal c.t. Aimé Jacquet avevano infatti origini ‘extra-francesi’: da Lama (Guyana francese) a Vieira (Senegal), da Boghossian e Djorkaeff (Armenia) a Desailly (Ghana), da Diomede, Thuram ed Henry (Guadalupa) a Karembeu (Nuova Caledonia), passando ovviamente per Zidane, di origini algerine. Calcio 2OOO

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PHOTOGALLERY TMW Awards 2015

di Thomas SACCANI - foto Federico De Luca

PHOTOGALLERY / TMW AWARDS 2015

MAGIA A CASTIGLIONCELLO Grande successo per i TMW Awards. Protagonista anche Calcio2000…

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astiglioncello, la cornice ideale per un evento spettacolare come i TMW Awards. Serata magnifica nella splendida località turistica, impreziosita dalla presenza di illustri personaggi del mondo del calcio. Dai migliori procuratori fino ai dirigenti più in vista, passando per giocatori protagonisti di oggi, come Viviano o Pavoletti, e star di un tempo, da Collovati a Flachi. Presente, ovviamente, anche Calcio2000 che ha avuto l’onore di premiare Abodi, presidente della Serie B… Di seguito una carrellata con i migliori scatti della manifestazione…

Il palco dei TMW AWARDS

Premio TMW Awards-Calcio2000 ad Andrea ABODI 94

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Fabrizio PONCIROLI premia Andrea ABODI

Il presidente della LegaserieB, Andrea ABODI

Emiliano VIVIANO

Giulio DONATI

Leonardo PAVOLETTI

Michele CRISCITIELLO premia Cristiano GIUNTOLI

Raffaele BIANCO

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PHOTOGALLERY / TMW AWARDS 2015

PHOTOGALLERY / TMW AWARDS 2015

Cristiano BIRAGHI

Stefano CAPOZUCCA

Enrico CHIESA

Francesco FLACHI

Marco GIANNITTI

Massimo DE SALVO

Fulvio COLLOVATI

Antonio COMI

Giovanni DOLCI

Roberto PRUZZO

Nicola RIZZOLI

Alessandra BORGONOVO

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scovate da CARLETT www.carlettoweb.com

BALE Finita la stagione, già si pensa alla prossima. Nuove divise per il Real Madrid ed ecco i giocatori più importanti in posa per presentarle.

BOMBER Bellissima immagine. Il difensore sampdoriano De Silvestri con il suo presidente Massimo Ferrero, subito dopo l'intervento al ginocchio.

GOETZE Visita in terra americana per i due giocatori del Bayern Monaco: Goetze e Boateng. Sono andati a visitare la sede del loro sponsor tecnico.

NOCERINO Nonostante la sfortunata stagione con il Parma il centrocampista non perde l'occasione per scherzare sui social con questo bell'effetto cartone animato.

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OZIL Calcio tennis per il giocatore dell'Arsenal già pronto per iniziare una nuova stagione.

RIO FERDINAND Che coppia. Il primo ha difeso sui campi da calcio di mezzo mondo. Il secondo, Snoop Dogg, ha attaccato con il microfono rappando in ogni parte del mondo.

SNEJDER Clima più che vacanziero per Snejder alle prese con un Buddha gigantesco sulla spiaggia.

ZAPATA Foto di gruppo nello spogliatoio della Colombia. Molti giocatori si sono fatti scattare la stessa foto da angolazioni differenti, ho scelto quella del difensore del Milan.

Il DJ/Speaker di RTL 102.5 Carlo CARLETTO Nicoletti seguirà i profili Instagram e Twitter dei giocatori più importanti del pianeta Calcio e ci segnalerà le foto e i tweet più divertenti e particolari. Segnalate quelle che magari potrebbero sfuggirgli scrivendogli al suo profilo Instagram e Twitter: @carlettoweb


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