Mensile | SETTEMBRE 2015 | N. 213 | Italia | Euro 3,90
Calcio
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2OOO il mensile diretto da FABRIZIO PONCIROLI
Esclusiva Andrea ABODI “RIPULIREMO IL CALCIO”
FOCUS ON FINANZA NEL CALCIO REPORTAGE SVIZZERA NELLA NUOVA CASA DI ZEMAN
Esclusiva Antonio COMI “GRAZIE CAIRO”
Esclusiva Ottorino PIOTTI “HO FATTO LA PUNTA”
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SPECIALE
Esclusiva Marcello CARLI I SEGRETI DEL GIOVANE EMPOLI
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Andrea PIRLO
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Mensile | SETTEMBRE 2015 | N. 213 | Italia | Euro 3,90
N. 213 - SETTEMBRE 2015
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o avuto l’occasione di intervistare Andrea Pirlo ROAD TO due volte. Una, giovanissimo, nei pochi mesi a UEFA EURO 2016 Brescia… L’altra quando era già un fenomeno, in maglia Milan. Invece l’ho ammirato, in campo, innumerevoli volte. Gli ho visto dominare partite in maniera imbarazzante, comandare i compagni come fossero pedoni di una scacchiera, la sua scacchiera. Ecco perché sono davvero triste al pensiero che, per rivederlo in azione, almeno dal vivo, dovrò volare negli States. Purtroppo il tempo passa per tutti, ancor più velocemente per chi corre dietro ad una palla. Non poteva restare alla Juventus, giusto rimettersi in gioco altrove. Tuttavia, la tristezza è tanta. Perdiamo un genio assoluto, uno che, tra 10 anni, rimpiangeremo ancor di più. Doveroso un omaggio a Pirlo, con curiosità e ricordi che ci aiutano a capire meglio il talento e la persona di Andrea. Ci mancherai… Non ci mancherà Calcio2000 perché, ovviamente, non va in vacanza. Numero intrigante quello che avete tra le mani. Abbiamo cercato di capire, attraverso le parole del presidente Abodi, che ne sarà della Serie B dopo il “caso Catania”. Abodi è un combattente, sono certo che ne uscirà alla grande. Poi spazio ad uno speciale sul binomio finanza-calcio e faremo anche la conoscenza dei giocatori con il tiro piùAttiva potente. I miei ricordi vanno ad le tue card sul sito Eder, il brasiliano che, quando erowww.paniniadrenalyn.com un ragazzino, calciava bordate come pochi altri… Non potevo, inoltre, non andare a trovare Zeman in quel di Lugano. Un reportage sulla prima casalinga UCEdel boemo B-21GR-L5M1 in un calcio, quello svizzero, tutto da assaporare (decisamente più vero rispetto al nostro). Vi consiglio di soffermarvi anche sui Giganti del Calcio. Comi mi ha stupito. Persona squisita, piena di sorprese… Passiamo all’attualità. Allora, direi che il mercato delle italiane è, a dir poco, spumeggiante. La Juve ha cambiato pelle senza quasi se ne accorgesse nessuno. Ha perso fuoriclasse, eppure pare più forte di prima. Contento che le milanesi siano tornate protagoniste del mercato. Tanti bei colpi, la conferma che la piazza milanese, sia rossonera o nerazzurra, ha voglia di tornare al vertice del nostro calcio (e non solo). Romane con punto di domanda, curioso di vedere il nuovo Napoli di Sarri e la Sampdoria dell’amico Zenga. In tanti mi hanno chiesto quale sia stato, ad oggi, il più grande colpo del mercato? Direi Pepito Rossi (bello rivederlo in campo) ma, tra i nuovi, mi gioco Khedira. Se il tedesco ha recuperato completamente dal punto di vista fisico, farà benissimo. Questo è un vincente, uno da Juve… Basta, il caldo è soffocante, vi lascio alla lettura…
ANDREA PIRLO
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L'EDITORIALE di Fabrizio PONCIROLI
“Il genio ha di bello che somiglia a tutto il mondo e che nessuno gli somiglia”.
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sommario n.213
Anno 19 n. 9 SETTEMBRE 2015
issn 1126-1056
8 La bocca del leone
di Fabrizio Ponciroli
Registrazione al Tribunale di Milano n.362 del 21/06/1997 - Iscritto al Registro Operatori di Comunicazione al n. 18246
10 COPERTINA
ANDREA PIRLO di Sergio Stanco
20 SPECIALE
i GRANDI 10 della juve
10
di Pasquale Romano
24 INTERVISTA ESCLUSIVA
Andrea abodi
FINANZA NEL CALCIO di Sergio Stanco
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Marco Conterio, Luca Bargellini, Cristina Guerri, Gaetano Mocciaro, Chiara Biondini, Simone Bernabei, Lorenzo Marucci, Pietro Lazzerini, Tommaso Maschio, Lorenzo Di Benedetto.
di Thomas Saccani
ZDENEK ZEMAN di Fabrizio Ponciroli
50 SERIE B - novara
di Tommaso Maschio
24
52 LEGA PRO - cremonese
di Alessandro Cosattini
54 Serie D - siracusa
di Simone Toninato
56 I Re del Mercato marcello carli
di Marco Conterio
32
66 I Giganti del Calcio antonio comi
Statistiche
Redazione Calcio2000
di Gabriele Porri
44
di Pierfrancesco Trocchi
di Stefano Benetazzo
56
94 LE BELLE DEL CALCIO
di Thomas Saccani
IL PROSSIMO NUMERO sarà in edicola il 15 settembre 2015 6
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CAMPIONATI STRANIERI 86 SPAGNA di Paolo Bardelli 88 INGHILTERRA di Luca Manes 90 GERMANIA di Flavio Sirna 92 FRANCIA di Renato Maisani
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82 DOVE SONO FINITI?
Fotografie
Image Photo Agency, Federico De Luca, Agenzia Aldo Liverani, Agenzia Photoviews. TC&C S.r.l.
League 1979/80
80 ACCADDE A... settembre
Hanno collaborato
Sergio Stanco, Alessandro Cosattini, Tommaso Maschio, Pasquale Romano, Simone Toninato, Gabriele Porri, Pierfrancesco Trocchi, Luca Manes, Paolo Bardelli, Renato Maisani, Flavio Sirna, Thomas Saccani, Stefano Benetazzo, Carletto RTL.
Realizzazione Grafica
di Fabrizio Ponciroli
76 Storia Champions
Diretto da
Fabrizio Ponciroli
Redazione
TIRI POTENTI
44 REPORTAGE
TC&C srl Strada Setteponti Levante 114 52028 Terranuova Bracciolini (AR) Tel +39 055 9172741 Fax +39 055 9170872 Michele Criscitiello
38 SPECIALE
EDITORE
DIRETTORE RESPONSABILE
di Fabrizio Ponciroli
32 SPECIALE
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Calcio2000 è parte del Network
PER SCRIVERCI: media@calcio2000.it
LA BOCCA DEL LEONE di Fabrizio Ponciroli - foto Image Sport RONALDINHO, CHE PENA Direttore, ho appena saputo che Ronaldinho ha trovato una nuova squadra disposta a dargli un contratto e uno stipendio. Ma come è possibile? Io già l’ho odiato al Milan ed ero l’unico a dire che era finito fisicamente. Eppure continuano a parlare di lui, come se fosse ancora un grande giocatore. Tutti questi brasiliani sono così. Fanno due/tre anni alla grande e poi vivono di rendita. Bisognerebbe stare più attenti con gli investimenti. Meno male che non l’ha ripreso nessuno in Italia. Vincenzo, mail firmata Caro Vincenzo, ma da dove arriva quest’antipatia per Ronaldinho? Certo, al Milan non abbiamo visto il Dentuco apprezzato al Barcellona ma, in fin dei conti, qualche colpo di genio l’ha regalato (soprattutto nel suo secondo anno, con 15 gol all’attivo). E poi ti ricordo che Ronaldinho non è che sia poi tanto vecchio. Parliamo di un classe 1980. Ha solo un anno più di Ibrahimovic e uno in meno di Pirlo, per intenderci… Al Flamengo ha fatto benissimo, all’Atletico Mineiro qualche buona prestazione l’ha regalata, così come al Queretaro. Insomma, non mi
Ronaldinho
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pare finito, no? INTER, REGINA DEL MERCATO Egregio Direttore, complimenti per la rivista, anche se vorrei più statistiche. Sono un tifoso interista e, finalmente, sono contento. Dopo anni di magra, siamo tornati a fare sul serio sul mercato. Mancini ha finalmente la squadra che voleva. Perché si parla solo del grande mercato della Juventus? Se non sbaglio, hanno perso Tevez, Pirlo e Vidal. Eppure si parla sempre e solo della Juventus quando, invece, la regina del mercato è l’Inter. Abbiamo preso i più forti in circolazione, anche quelli che voleva la Juventus. Si parla troppo poco dell’Inter Lorenzo, mail firmata Lorenzo, non credo sia come dici tu… Dell’Inter e del suo ottimo mercato ne parlano tutti. Come hai sottolineato, il club nerazzurro ha operato benissimo durante il calciomercato e potrebbe anche stupirci ancora. Ho una gran voglia di vedere all’opera Miranda e Kondogbia, due giocatori per cui stravedo. Ma, nello stesso tempo, è giusto evidenziare anche l’eccellente lavoro del duo Marotta-Paratici. Quando
Geoffrey Kondogbia
perdi gente del calibro di Tevez, Pirlo e Vidal, non è semplice sostituirli in maniera efficace. Bene, la Juventus ci è riuscita… QUANTO VALE ROMAGNOLI? Buongiorno Direttore, Ho letto il suo editoriale su TMW su Romagnoli. Anche io credo che si parli di troppi soldi per uno che ha visto la Serie A da poco più di un anno. Comunque mi pare che sia bravino, no? Ma, onestamente, quando dovrebbe spendere il Milan per averlo? Davvero crede che la Roma non si accontenterà di 25 milioni? Mi faccia sapere e continui così. Io la seguo da sempre, sia su Calcio2000 che su TMW. Marco, mail firmata Bella domanda Marco… Quanto vale Romagnoli? La verità è che non lo so… Credo che, in Italia, i grandi difensori siano una merce rara. Una volta ne producevamo a nastro, ora di difensori forti italiani ce ne sono davvero pochi. Romagnoli (e Rugani) rappresentano l’eccellenza del Made in Italy e, per questo, vengono valutati tantissimi milioni di euro. Su un fatto sono certo: Sabatini non è il tipo che svende i
Alessio Romagnoli
propri giocatori quindi, per chiunque vorrà Romagnoli, sarà dura… TOP 5 ACQUISTI SERIE A Direttore Ponciroli, mi dice la sua Top 5 degli acquisti avvenuti in Italia durante il calciomercato? Useremo le sue risposte per il nostro blog. Grazie e scusi il disturbo Marcello, mail firmata Ecco qua la mia personale Top 5 (anche se manca ancora tantissimo alla fine del mercato e, quindi, è difficile essere esaustivi). Comunque, eccola: 1 Kondogbia (Inter) 2 Khedira (Juventus) 3 Bertolacci (Milan) 4 Allan (Napoli) 5 Miranda (Inter) MOMENTO INDIMENTICABILE Direttore, mi chiamo Luca e sono, come lei, un amante del calcio che fu… Ho grande nostalgia del calcio anni ’80 e di tutti quei personaggi che gravitavano nel calcio di tanti anni fa. Ho letto con piacere il suo libro sui Bidoni del Calcio e le chiedo: mi dice il suo momento topico del calcio anni ’80? Un momento che ancora
Andrea Bertolacci
oggi non ha mai dimenticato. Io non dimenticherò mai il momento in cui Platini, contro l’Argentinos Juniors, si mise a terra per un capolavoro annullato. Il suo? Luca, mail firmata Mamma mia, che ricordi… Quel gol annullato a Platini fu un colpo al cuore… Vuoi il mio momento top? 27 maggio 1987, Vienna. In campo il favoritissimo Bayern Monaco e la sorpresa Porto. I portoghesi, alla fine, portano a casa la Coppa Campioni. Vincono 2-1 e una rete la mette a segno un mio mito assoluto: Madjer!!! Un gol di tacco, il tacco di Allah… Sono trascorsi quasi 30 anni, eppure quel ricordo, quel gol, quel momento è ancora vivissimo nella mia mente… KHEDIRA NON è VIDAL Direttore, mi aiuti a capire lei... Ma come si può prendere uno come Khedira, fermo da tanto tempo, per uno come Vidal che stava andando alla grande? Mi sembra un follia. Sono giocatori troppo diversi, non mi sembra un grande colpo di genio... Stefano, mail firmata Caro Stefano, secondo me la Juventus
Sami Khedira
ha fatto un doppio colpo. Khedira è arrivato a parametro zero, Vidal se ne è andato per circa 40 milioni di euro. Vidal aveva dato tutto, aveva voglia di nuovi stimoli, gli stessi che hanno portato il tedesco a Torino. Sono diversi ma Khedira, se recupera dall'infortunio, è un signor giocatore... Riceviamo & Pubblichiamo Povero Milan Direttore, una riflessione. Tutti a dire che il Milan è tornato grande. Ma come? Ma avete visto la rosa 2015/16? Abbiamo mille attaccanti, tra mezze punte e mezzi giocatori e, in difesa, ripuntiamo su Mexes? C’è qualcosa che mi sfugge… Il Milan, lo scorso anno, i gol li ha anche fatti ma, in difesa, era uno scempio. Noi cosa facciamo in estate? Compriamo tutta gente votata all’attacco e ci lasciamo scappare i migliori difensori in circolazione. Mihajlovic vuole Romagnoli. Bene, giocatore di interessanti prospettive ma dovrebbe essere uno che dà una mano, non il perno attorno al quale costruire la difesa rossonera. Direttore, siamo alle solite: si comprano gli attaccanti per vendere le tessere e poi, a novembre, si è già fuori da tutto. Tommaso, mail firmata
Sinisa Mihajlovic
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COPERTINA / ANDREA PIRLO
COPERTINA ANDREA PIRLO
IL GENIO ITALIANO Pirlo ha deciso di insegnare calcio anche negli States
Grazie Maestro Omaggio ad Andrea Pirlo: chi lo conosce bene ci racconta com’è il fenomeno bresciano lontano dalla luce dei riflettori
di Sergio STANCO foto Image Sport e Agenzia Liverani 10
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COPERTINA / Andrea PIRLO
COPERTINA / ANDREA PIRLO
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driano Cadregari è stato l’allenatore di Pirlo ai tempi della Primavera del Brescia, quello squadrone (c’erano anche Diana, Baronio, Bonazzoli) che vinse il Viareggio nel ’96. Andrea giocava tre anni sotto età, come si dice in gergo. Eppure faceva già vedere lampi della sua classe. S'è accorto subito del campioncino che aveva tra le mani? “Solo un deficiente non se ne sarebbe accorto. Dico davvero, quando sono arrivato ad allenare la Primavera, lui aveva appena terminato i Giovanissimi ed è venuto da noi tre anni sotto età. Parliamo di 3 anni, che a quell'età sono un'enormità. Ma non c'era alcun dubbio che avevamo a che fare con un giocatore unico, ero convinto che sarebbe diventato uno dei più forti, non avevo alcun dubbio”. Allora le rigiro la domanda: si aspettava le difficoltà ad inizio carriera e che ci mettesse tanto poi ad esplodere? “È chiaro che quando passi da una squadra come il Brescia all'Inter, qualcosa puoi concedere ad un giovanissimo come lo era lui. Ma io ne faccio anche una questione tattica: in quegli anni si faceva solo il 4-42, un modulo che ha rischiato di bruciare tanti talenti, tra cui anche Andrea. In quel periodo il ruolo del trequartista stava sparendo e lui, per le caratteristiche che aveva al tempo, faceva grande fatica a collocarsi in campo. Le qualità, però, non si discutevano, non a caso quando andò alla Reggina fece una grandissima stagione...”. Nella sua Primavera che posizione occupava? “Un po' tutte, ma non è neanche importan12
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Sin da giovane, era chiaro a tutti che Pirlo fosse un fenomeno
Adriano Cadregari te, perché era lui che si trovava la migliore posizione in campo per incidere sulla partita. Noi facevamo un 4-3-3 o un 4-4-2 e lui giocava o esterno in entrambi i moduli oppure mezzala nel 4-3-3. E faceva tutto benissimo, già allora metteva una classe di livello superiore e una personalità fuori dall'ordinario. Però, ci tengo a precisare, che sapeva di essere bravo, ma non per questo ci lucrava: era sempre il primo ad arrivare agli allenamenti e l'ultimo ad andarsene, si allenava duro e aveva grande voglia di migliorarsi giorno dopo giorno. Grande personalità, dunque, ma anche grande maturità fin da giovanissimo”. Un episodio particolare che ricorda? “Uno di cui lui è stato protagonista indiretto, ma giusto per far capire quale fosse l'attesa nei suoi confronti. Tutti ricordano
la vittoria di quella fantastica Primavera del Brescia al Viareggio, ma pochi si ricordano che Pirlo non giocò la finale da titolare. Ricordiamoci che lui era tre anni sotto età, avevo una squadra comunque fortissima se pensiamo che c'era gente come Baronio, Diana, Bonazzoli. Beh, alla vigilia non si parlava d'altro che della sua assenza. Già allora faceva discutere (sorride, ndr)”. Qualcuno dice che per le sue qualità avrebbe potuto rendere di più di quello che poi ha effettivamente reso: qual è la sua opinione? “Non lo so, io di mestiere faccio l'allenatore e non il mago. Per me è stato uno dei giocatori più forti negli ultimi vent'anni. E non in Italia, ma al mondo. Se avesse reso di più, cosa sarebbe diventato?”. Calcio 2OOO
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La Rondinella che fece Primavera
TALENTO PRECOCE
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l 6 luglio del 2015 il calcio italiano ha salutato Andrea Pirlo. Fortunatamente, con molta probabilità, si tratterà soltanto di un arrivederci. Almeno così ci auguriamo. Perché il nostro movimento ha bisogno di un giocatore che, forse per la sua estrema timidezza e riservatezza, è stato celebrato meno di quanto avrebbe meritato. Ha vinto tutto Andrea, ma l’ha sempre fatto con classe. Anche nella sconfitta è sempre stato un esempio. Perché non basta avere piedi mielosi per essere un fuoriclasse, Pirlo lo è nella testa e anche nel cuore. Mai una parola fuori posto, mai una polemica, sempre tanta determinazione e convinzione nei propri mezzi. Grandissima personalità dentro e fuori dal campo. “Una volta stavamo facendo una partitella in Germania durante i mondiali del 2006 – il racconto di Ciro Ferrara - ne mancava uno e Lippi mi ha schierato nella squadra di Andrea. Ad un certo punto mi ritrovo la palla tra i piedi e lo vedo che me la chiama con 2-3 avversari addosso, dunque decido di buttarla via. Lui viene da me e mi fa: ‘Quando ti dico dammela, non è un suggerimento’. Questo è Pirlo”. E allora, poiché del calciatore, come lo conosciamo oggi, si sarà detto tutto, noi abbiamo preferito farci raccontare l’Andrea sconosciuto da chi lo conosce benissimo…
COPERTINA / Andrea PIRLO
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Adelio Moro è l’allenatore che si fregia del merito di aver fatto esordire un giovanissimo Pirlo in Serie A. Andrea aveva solo 16 anni, ma il suo allenatore aveva già capito che sarebbe arrivato lontano. Se lo ricorda il giorno dell'esordio di Pirlo? "Certo che me lo ricordo, lo feci esordire io (sorride, ndr). Ero il secondo di Lucescu, ma quando mancavano 7 partite alla fine il tecnico romeno è stato esonerato ed è toccato a me finire la stagione. In quelle gare abbiamo fatto esordire molti giovani, tra cui Andrea che al tempo aveva solo 16 anni ma già godeva di grande considerazione". Lei aveva capito subito di avere tra le mani un gioiello puro? "Sì, non ne avevo il minimo dubbio, dalla prima volta che l'ho visto giocare continuavo a ripetere che sarebbe arrivato lontano. E le dico una cosa: ero molto amico di Facchetti, fui io a consigliare l'Inter di
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ADELIO MORO Calcio 2OOO
seguirlo, perché sapevo che stavamo parlando di quello che oggi viene definito un top player. Ho insistito molto con Giacinto e fortuna mi ha ascoltato". Cos'aveva Andrea più dei suoi coetanei? "Tutto. Aveva qualità, personalità, serietà, professionalità, umiltà, classe. Insomma, si vedeva subito che era di un'altra categoria. Io nella mia lunga carriera di allenatore ed osservatore mi son trovato di fronte solo a due giocatori sui quali avrei scommesso ad occhi chiusi: Pirlo e Morfeo. E non mi sono sbagliato, anche se Domenico forse ha reso meno di quelle che erano le sue potenzialità". In che ruolo lo facevate giocare? "Per noi era un trequartista, ha sempre giocato in quella posizione, ma si vedeva che aveva una visione di gioco eccezionale. A trasformarlo in regista, però, fu Mazzone e non come erroneamente si dice nell'ambiente Ancelotti. Dopo l'Inter Pirlo andò a Reggio Emilia e poi tornò a Brescia, qui Mazzone, che doveva farlo convivere con Baggio, ebbe l'intuizione di provarlo a centrocampo e da allora è iniziata la vera carriera di Pirlo". Cosa ricorda del ragazzino Andrea? "Era riservatissimo, silenzioso, ma già calciatore professionista fin da piccolo. Quando finiva l'allenamento, già allora si fermava a calciare i rigori e le punizioni e sul dischetto e sulla palla andava con una tranquillità da veterano. Io in carriera detengo un record: ho battuto 10 rigori consecutivamente segnandoli tutti, eppure Pirlo già a quei tempi non aveva bisogno di consigli, perché aspettava il movimento del portiere e lo spiazzava sempre. Poi col tempo ha trasformato le punizioni in calci di rigore, nessuno le batte come lui". Torniamo ai giorni nostri: ha fatto bene a lasciare ora la Serie A? "Secondo me avrebbe potuto fare non uno, ma 3-4 anni ancora ad alto livello, perché uno serio come lui può giocare anche da fermo. Però posso capire la scelta di vita: alla sua età, ha voluto provare una nuova avventura, si andrà a divertire e farà fare un'esperienza ai suoi bambini". Lei che lo conosce bene, come se lo immagina da qui a qualche anno: mister? "Potrebbe essere, ma sinceramente non so se caratterialmente sarebbe la scelta migliore per lui o se lui ha voglia di farlo. Per me sarebbe perfetto per insegnare calcio a livello giovanile, sarebbe un ottimo maestro, diciamo un professore universitario".
IL GRANDE TROFEO 2006, Pirlo conquista la Coppa del Mondo
foto Image Sport
Il primo giorno
COPERTINA / Andrea PIRLO
L’uomo della sostituzione
Il giorno dell’esordio di Andrea, 21 maggio del ’95, in qualche modo è entrato nella storia anche Marco Schenardi, che ai tempi di Pirlo era un compagno di squadra. Non un compagno di squadra qualsiasi, ma proprio quello che quel giorno gli lasciò il posto. Le risulta Marco? “Non lo ricordo con precisione, ma penso sia corretto, almeno a giudicare dalla quantità di giornalisti che negli ultimi anni mi hanno chiamato per chiedermelo (ride, ndr). Devo ringraziare Andrea perché questa cosa mi ha reso famoso. Ho fatto un sacco di anni in Serie A eppure la gente mi ricorderà perché sono uscito al posto di
MARCO SCHENARDI
Pirlo al suo esordio (ride, ndr)”. Ma se lo ricorda quel momento? “Non mi ricordo il momento in sé, se ci siamo detti qualcosa, ma ricordo la situazione: era sul finire della stagione e forse io ero anche capitano quel giorno. Una partita senza troppa tensione, per questo non mi sono arrabbiato per il cambio (ride, ndr). A parte gli scherzi, era la gara ideale per far esordire un giovane…”. Non si trattava, però, di un giovane qualsiasi… “Per noi lo era. Mi spiego: nel Brescia c’era molta attesa per lui, Corioni e Lucescu puntavano molto su Andrea. In particolare, Corioni ci credeva tantissimo, continuava a ripetere che sarebbe diventato un fenomeno. E il presidente a quei tempi aveva un fiuto speciale per i ragazzi. Erano i tempi dell’Ospitaletto o del Bologna, il presidente teneva sotto controllo tutto e quando vedeva qualcuno all’altezza, lo portava subito a Brescia. Benché non avessi la qualità di Pirlo, a me è successa la stessa cosa, giocavo ad Ospitaletto, ho fatto 2-3 partite, poi il presidente è venuto da me e mi ha detto: “Tu qui non c’entri nulla, ti porto a Brescia”. E così è stato e anche se la gente non se lo ricorda, anche io ho fatto il mio in Serie A (ride, ndr)”. Dunque, voi non avevate percepito che dietro quel ragazzino si celasse un potenziale campione? “La qualità c’era e si vedeva, ma valutare i giovani è un’arte. È difficilissimo dire se un ragazzo ha le doti per diventare un fuoriclasse, ma in questo devo dire che Corioni era bravissimo. Onore a lui, ma per noi in quel momento c’era solo tanta curiosità per vedere quel talento di cui tanto si parlava”. Cosa ti ha impressionato di lui, se c’è qualcosa, quando lo hai visto le prime volte? “Ovviamente la personalità: aveva 16 anni ma non mostrava alcun timore, né negli allenamenti né in campo. Se sbagliava un passaggio difficile, appena la palla gli tornava tra i piedi ne provava ancora uno più difficile. E non per farsi vedere, ma perché sapeva che era capace di farlo. Credo che a far la differenza nella sua carriera sia stata la testa, perché lui è sempre stato uno razionale, determinato, convinto della sua forza, ma non per questo ha mai abusato della sua classe. Anche il suo essere riservato in questo l’ha aiutato molto e, poi, anche il fatto di incrociare la sua strada con un altro personaggio del nostro
calcio forse non abbastanza celebrato”. Cioè? “Cioè Ancelotti, che io ho avuto a Reggio Emilia e che è un vero signore del calcio, oltre che essere un grandissimo allenatore. Sono convinto essere stato allenato da Ancelotti , ed essere stato spostato davanti alla difesa, lo abbia elevato a livelli che, altrimenti, da trequartista, non avrebbe mai raggiunto. Perché la tecnica non si discute, ma forse non era abbastanza rapido per giocare al limite dell’area avversaria o spalle alla porta. Con tutto il campo davanti, invece, è diventato un fuoriclasse”. C’è chi dice che per la sua qualità non ha avuto la carriera che meritava… “Questo non lo so, non mi sembra che abbia vinto poco (ride, ndr). Se parliamo di Palloni d’Oro, ormai sappiamo quali siano le logiche di attribuzione, sappiamo che saranno sempre favoriti i finalizzatori rispetto a chi le occasioni le crea. Fosse stato per me gli avrei assegnato di default tutti quelli degli ultimi 10 anni. Per me Andrea è il miglior giocatore italiano di calcio dopo Roberto Baggio, che per classe e qualità resta il numero 1 in assoluto. Dietro di lui, però, c’è Andrea”. Qual è secondo te la giocata di Pirlo che lo identifica meglio? “Ce ne sono tante di giocate eccezionali di Andrea, ma credo che il passaggio a Grosso nella semifinale del Mondiale del 2006 è l’immagine perfetta, perché lui ne ha fatti centinaia di no-look nella sua carriera, ma farlo al 120’ di una semifinale del Mondiale è “tanta roba”. In una partita così tirata e così importante non è facile avere la lucidità di fare nulla di simile nemmeno al 1’, al 120’ è roba da fantascienza. Ogni volta che rivedo quel passaggio mi chiedo: “Ma come ha fatto a vederlo?”. E la risposta è che probabilmente non lo ha visto, semplicemente sapeva che era lì”. Da quel lontano 1995 vi siete mai rivisti o risentiti? “Certo che sì. L’ultima volta qualche mese fa ed è stato carinissimo come al solito. Io collaboro con un’associazione che alleva cani per fini educativi, li portiamo nelle scuole, aiutano le persone in difficoltà. Avevamo bisogno di una sua maglietta per una raccolta fondi e lui è stato disponibilissimo, me ne ha mandate tre autografate. Sono piccole cose, ma secondo me sono utili a capire l’uomo, prima che il giocatore. Ed in entrambi i casi parliamo di un grandissimo”. Calcio 2OOO
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COPERTINA / Andrea PIRLO
COPERTINA / Andrea PIRLO
L’omaggio della Uefa
AMICI PER SEMPRE Buffon ha salutato con grande affetto l'amico di tante battaglie...
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Un saluto tra miti
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igi Buffon ha condiviso tante gioie e qualche momento di tristezza con Andrea, tra loro c’è tanta stima, rispetto e anche in sincero rapporto di amicizia. Per questo il portierone bianconero gli ha dedicato una lettera di “arrivederci” sul proprio profilo facebook nel giorno dell’annuncio del suo trasferimento negli USA: “Han16
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no scelto molti sostantivi per salutarti ed augurarti altre grandi vittorie; io vorrei utilizzarne uno che condensi al meglio una vita trascorsa insieme: amico. In bocca al lupo amico mio. In bocca al lupo per il tuo presente e per il tuo futuro. E grazie per il nostro passato. Grazie delle ore spensierate trascorse insieme. Grazie delle lacrime di gioia e di tristezza che abbiamo versato l'uno sulle spalle dell'altro. Grazie per avermi dimostrato che a volte nel calcio qualcuno è in grado di rendere possibile ciò che ai più appare impossibile. Un amico è la cosa più preziosa che chiunque possa avere, e la cosa migliore che chiunque possa essere. Certo della prima affermazione, spero e vivo per la seconda”.
el giorno in cui Andrea ha scelto di trasferirsi a New York, il sito ufficiale dell’Uefa lo ha omaggiato con alcune frasi celebri su di lui di colleghi e allenatori. Alcune sono veramente curiose, tutti descrivono Pirlo come un “extraterrestre”. “Quando vedo giocare Pirlo, quando lo vedo col pallone tra i piedi, mi chiedo se io posso essere considerato davvero un calciatore”. Gennaro Gattuso, suo ex compagno all'AC Milan “Andrea è il giocatore più completo nel nostro ruolo, il suo stile di gioco ha segnato un'intera generazione. È un onore conoscerlo, ha avuto una carriera eccezionale, migliore della mia”. Juninho, al quale Pirlo dice di essersi ispirato per le sue celebri punizioni “Andrea è unico, lo accosterei solo a Xavi”. Cesare Prandelli, suo ex Ct con l'Italia “Lui è fantastico. Ha una visione di gioco superiore, e con un colpo mette la palla dove vuole. Il calcio si gioca con la testa. Se non hai la testa, le gambe da sole non bastano”. Johan Cruijff, tre volte campione d'Europa con l'Ajax “Ogni volta che vedo giocare Pirlo mi entusiasmo. È un campione senza età. Il Milan ha fatto veramente un regalo fantastico alla Juventus”. Fabio Capello, ex allenatore del Milan “Giocare con Pirlo è grandioso, ogni giorno impari qualcosa da lui: lo guardi giocare e ti diverti. È un top player da tanti anni ormai, quando lo guardi vorresti solo essere come lui”. Paul Pogba, suo ex compagno alla Juventus “Per scelta dei tempi, movimenti, creatività e semplicità della giocata Pirlo è quello che si avvicina di più a Platini. Entrambi con gli occhi dietro la schiena, fanno filtrare la palla in spazi strettissimi”. Giovanni Trapattoni, ex Ct dell'Italia “Pirlo è un leader silenzioso: parla coi piedi. Non si discute: è un fuoriclasse
assoluto ed è in grado di adattarsi a qualsiasi situazione tattica. Ha classe, intelligenza e la personalità per dare un’impronta netta a qualsiasi squadra”. Marcello Lippi, ex Ct dell'Italia “Ve lo dico: vederlo in tv è un conto, dal vivo è spaventoso. Lo guardo, cerco di capire e di rubare. Se si ferma a battere le punizioni e io ho finito l'allenamento, mi rimetto le scarpe e rimango con lui”. Álvaro Morata, suo ex compagno alla Juventus “Pirlo è un punto di riferimento mondiale, livello altissimo. Le sue punizioni sono famose, è sempre un onore incrociarlo”. Andres Iniesta, stella del Barcellona “Quando l'ho visto giocare ho pensato: Dio c'è, perché è veramente imbarazzante la sua bravura calcistica”. Gianluigi Buffon, suo ex compagno alla Juventus e nell'Italia “Andrea è immenso e non ci sono altri aggettivi da aggiungere. Di Pirlo si esaltano sempre le qualità tecniche, mentre carattere e personalità vengono sottovalutati. È uno dei pochi che capisce subito quello che gli dici. Anzi, la maggior parte delle volte non c’è bisogno di dirgli nulla”. Carlo Ancelotti, suo ex allenatore al Milan “Durante una partitella mi disse di dargli il pallone anche se si trovava in mezzo a due avversari. Io gli risposi che non volevo metterlo in difficoltà, lui mi disse di preoccuparmi. Giocando mi resi conto che potevo passargli il pallone anche in mezzo a cinque avversari: non l'avrebbe mai perso”. Stephan Lichtsteiner, suo ex compagno alla Juventus “Quando gira lui, gira la squadra. Michel Platini, presidente UEFA “Pirlo mi ha davvero impressionato, è talentuoso ed è un giocatore speciale”. David Beckham, suo ex compagno al Milan “Ho sempre considerato Andrea come il miglior calciatore italiano. Mi si potrebbe obiettare che sono di parte perché abbiamo lo stesso ruolo, ma l’ho incontrato così tante volte, dalle giovanili ai Mondiali, che vi posso assicurare che è un fuoriclasse indiscutibile. Già a 18 anni era la stella della squadra e da sempre è il calciatore fondamentale delle sue squadre. Ora che ha arretrato
LA CARRIERA DI PIRLO Stagione
Squadra
1994-1995
Totale Pres
Reti
Brescia
1
0
1995-1996
Brescia
0
0
1996-1997
Brescia
18
2
1997-1998
Brescia
30
4
1998-1999
Inter
32
0
1999-2000
Reggina
30
6
2000-gen. 2001
Inter
8
0
gen.-giu. 2001
Brescia
10
0
2001-2002
Milan
29
2
2002-2003
Milan
42
9
2003-2004
Milan
44
8
2004-2005
Milan
43
5
2005-2006
Milan
49
5
2006-2007
Milan
52
3
2007-2008
Milan
45
5
2008-2009
Milan
29
2
2009-2010
Milan
43
1
2010-2011
Milan
25
1
2011-2012
Juventus
41
3
2012-2013
Juventus
45
5
2013-2014
Juventus
45
6
2014-2015
Juventus
33
5
SUPER NELLA JUVE
Con i bianconeri ha incantato tutti
il suo raggio d’azione permette ai compagni di avere sempre un punto di riferimento per consentire al gioco di fluire al meglio. Abbiamo fatto la stessa via al contrario: lui è arretrato, io sono avanzato”. Xavi, ex stella del Barcellona Calcio 2OOO
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ROAD TO UEFA EURO 2016
Con Colomba spicca il volo
La svolta della carriera di Andrea è arrivata probabilmente nel 1999, quando accettò di andare in prestito nella Reggina di Colomba, che molto semplicemente, lo lasciò libero di esprimere il suo talento cristallino. Mister, l’ha chiesto lei Pirlo in prestito? “È stato un lavoro di squadra, era uno dei tanti giovani che seguivamo convinti che in quell'ambiente avrebbero potuto esprimersi al meglio. E così è stato, per lui, per Baronio, per Kallon e molti altri”. La prima volta che l’ha allenato, ha capito subito quanto fosse forte? “Era impossibile non capirlo, fin da come toccava il pallone, come “gestiva” la partita. Era già un fenomeno allora, col tempo si è affinato, ha imparato a stare in campo, ma a livello di doti personali era chiaro che fosse fuori concorso”. Ci racconti un qualcosa di Pirlo inedito... “In molti credono che Andrea sia solo un giocatore di classe, ma ha una grandissima resistenza. Lui potrebbe giocare partite da 100 minuti e oltre senza accusare AI TEMPI DI REGGIO Primi numeri in maglia Reggina
la fatica. In assoluto credo che sia stato il giocatore più resistente che io abbia mai allenato”. E sul ragazzo Andrea? “È sempre stato un leader silenzioso, che dava l'esempio con gli atteggiamenti e non a parole. Ricordo ad esempio che arrivò alla Reggina dopo la preparazione e noi eravamo già in ritiro in provincia di Bologna perché da lì a qualche giorno avremmo giocato proprio contro il Bologna. Lui arrivò con la sua Porsche. Lo presi da parte e gli dissi: “Non è proprio il massimo arrivare qui in Porsche, Andrea. Hai vent'anni e i compagni più grandi non la prenderebbero benissimo. Se poi la porti a Reggio verrebbe fuori un pandemonio”. Lui non fece una piega, chiamò un suo amico, gli chiese di venirla a prendere e quella macchina non la vidi mai più. Già allora aveva una testa da Serie A”. Lei crede di aver allenato il giocatore italiano più forte degli ultimi 50 anni, il regista più forte di sempre o un fuoriclasse che resterà nella storia del calcio? “Tutte e tre le cose, non c'è dubbio. Perché Andrea è un centrocampista completo, nessuno come lui abbina la fase offensiva a quella difensiva, la sua visione di gio-
foto Image Sport
COPERTINA / Andrea PIRLO
FRANCO COLOMBA
co e la sua classe. Magari trovi qualcuno più forte di lui nel contenimento, o forse qualcun altro con il cambio di campo più preciso, ma nessuno che unisca tutte le sue qualità”. E forse non è un po' troppo presto per una pensione dorata? “No, secondo me è il momento giusto, perché l'anno prossimo non gliene avrebbero perdonata una, avrebbero cominciato a cercare scuse per metterlo in panchina e lui, giustamente visto che si sente ed è il numero uno, ne avrebbe sofferto. Così, invece, andrà a divertirsi e a insegnare calcio in America. E noi lo rimpiangeremo”. AL MILAN L'HANNO RIMPIANTO
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Tanti successi con la casacca rossonera
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SPECIALE I GRANDI 10 DELLA JUVE
SPECIALE / I GRANDI 10 DELLA JUVE di Pasquale ROMANO
I
POESIA IN BIANCO E NERO TRIS D'ASSI
OMAR SIVORI E GIAMPIERO BONIPERTI
Il talento è di casa quando si parla della Vecchia Signora e della mitica maglia numero 10… 20
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foto Agenzia Liverani
Stelle bianconere, brilla, al centro, il talento di Sivori
l calcio non è solo nei piedi, spesso alberga nella testa. Classe innata e fantasia, lucidità e capacità di 'leggere' la partita come fosse un libro aperto, con il finale da scrivere. Sempre genio, talvolta sregolatezza, necessaria per giungere dove gli altri nemmeno immaginano. Al ruolo di regista e fantasista sono legate infinite storie pallonare, senza dubbio le più sorprendenti. In quasi centoventi anni di storia, la Juventus ha vestito di bianconero diversi giocatori dalle qualità eccelse, miccia che faceva accendere le fantasie dei tifosi, ne cullava i sogni. Di un film lungo più di un secolo cambiano i protagonisti, rimane medesima però la trama. Cucitori del gioco dalle profonde conoscenze tattiche, immersi nel cuore del rettangolo verde, i registi spesso spostano gli equilibri di una gara. Il compito di far 'deragliare' il normale svolgimento di una contesa è tutta del fantasista, un numero (il dieci) che da solo basta per evocare enciclopedie memorabili. LE PRIME LUCI - Inevitabilmente legati al 'Quinquennio d'Oro' i primi ricordi di classe purissima, in bianco e nero. L'argentino Luis Monti sbarca a Torino con un soprannome ('Doble Ancho', armadio a due ante) che ricalca il fisico da gladiatore. Se non sorprendono chiusure difensive e qualità nel gioco aereo, 'l'uomo che cammina' (celeberrima la sua ritrosia nel rincorrere l'avversario) si fa apprezzare anche in cabina di regia. Vittorio Pozzo, che lo allenò nell'Italia, lo definì cosi: "Apprezzo il suo modo di servire le ali, in linea diretta, con traversoni di quaranta o più metri, bassi o a mezza altezza, che facevano aprire tanto gli occhi". Tra i precursori del silenzio stampa (il suo rapporto con i giornalisti era ridotto ai minimi termini) Monti è stato tra gli oriundi che più hanno inciso sulla storia del calcio italiano. Giovanni Ferrari il collezionista di scudetti. Il centrocampista nato ad Alessandria è l'unico giocatore ad aver vinto il campionato nazionale per otto volte, di cui cinque consecutive (1930-35) con la Juventus. Simbolo non solo di quella squadra ma di un'intera generazione, 'Gioanin' era tratteggiato come 'l'uomo che insegna a tutti come si giochi per la squadra e non solo per il proprio tornaconto, come s'inizi un'azione, come ci si comporta negli sviluppi di quest'azione'. Più votato al gioco offensivo prima del trasferimento al club piemontese, Ferrari era dotato di un senso del ritmo definito 'misterioso'. Qualità tecniche ed umane, nel 1931 ricevette un encomio dalla Juventus per non aver reagito allo schiaffo di un giocatore. Più avanti, in linea temporale e all'interno del campo, si muoveva Karl Hansen. Centrocampista completo, polmoni e fosforo, il danese, secondo Boniperti, poteva giocare tre partite in un giorno. Creativo ed altruista, Hansen era uno specialista nel gioco aereo (aiutato dal salto con l'asta, sport praticato da ragazzo) e dei calci piazzati. Gazzella rapace nella propria metà campo e spietata in quella avversaria, come confermato dai 23 gol segnati al primo anno in bianconero. VINCERE È L'UNICA COSA CHE CONTA - Dai campioni alla Leggenda, la storia della Juventus si annoda a doppio filo con quella di Gianpiero Boniperti. Se gli Agnelli sono la famiglia del club bianconero, Boniperti rappresenta il personaggio che più di ogni altro ha saputo fare del bianconero una ragione di vita.
Fuoriclasse immenso da giocatore, nato attaccante con il passare degli anni è arretrato prima sulla trequarti e infine in cabina di regia. Sino all'epoca segnata da Del Piero, la maggior parte dei record storici erano riconducibili a Boniperti. Personalità spiccata e carisma infinito, sono di proprietà dell'ex giocatore e presidente bianconero una serie di citazioni e frasi rimaste impresse nella memoria. All'eleganza estrema del raffinato Boniperti, si può facilmente contrapporre l'anima irriverente di Sivori, sudamericano che si divertiva a schernire l'avversario. 'Sivori è più di un fuoriclasse, per chi ama il calcio è un vizio', sentenziò Gianni Agnelli. Amante dello spettacolo in campo, l'attaccante argentino era la personificazione delle fantasie (quasi malignità) dei tifosi. Capace di saltare un avversario e aspettarlo per beffarlo nuovamente con un tunnel, era istinto e fantasia allo stato puro. Calzettoni abbassati e testa alta, Sivori non aveva alcun timore dei difensori e anzi restituiva in buona parte i calci ricevuti. Assieme a Boniperti e il potente gallese Charles, Sivori ha fatto parte di un trio che ha segnato il decennio bianconero (ricco di successi) a cavallo tra il 1950 e il 60. A dispetto della nazionalità tedesca, Helmut Haller è stato l'erede perfetto di Sivori in maglia bianconera, la continuazione ideale tra bizze, spigoli caratteriali e tunnel ripetuti in quantità industriale. Lanci e assit illuminanti facevano spesso coppia con dribbling e giocate d'alta scuola, l'esatto contrario del tipico giocatore tedesco. Eletto centrocampista del secolo dai giornali tedeschi, Haller nel corso della carriera ha raccolto meno di quanto avrebbe potuto ottenere. Amante della bella vita e degli eccessi, il tedesco metteva al primo posto il divertimento, sia in campo che fuori. Franco Causio non è stato esattamente un 'dieci', ma era ugualmente abile a giocare con profitto sulla trequarti. Tra le migliori ali del calcio italiano, il 'Barone' amava partire dalla fascia per poi accentrarsi. Stile inimitabile e qualità da brasiliano, Causio ha segnato indelebilmente un’epoca, contribuendo in prima persona ai successi dei bianconeri e della Nazionale azzurra. Nella stessa Juventus militava Fabio Capello, centrocampista che faceva della linea mediana il proprio regno. Cucitore di gioco e capace di inserimenti letali, Capello in bianconero ha centrato un tris di scudetti prima di lasciare la 'Vecchia Signora' con una punta di amarezza. PANE... E CAVIALE - I decenni '80 e '90 hanno visto la storia della Juventus legarsi indissolubilmente alla Francia. Torino e le Alpi, distanze ravvicinate grazie alle magie di fuoriclasse che hanno scritto pagine indelebili del club piemontese. 'Abbiamo acquistato Platini per un tozzo di pane, lui ci ha messo sopra il caviale'. L'avvocato Agnelli sintetizza così la storia d'amore tra 'Le Roi' e la Juventus, una fusione di anime più che un percorso comune. Il rapporto tra i due è rimasto unico, tra botta e risposta memorabili: Agnelli aveva riconosciuto in Platini qualità intellettuali sopraffine, che fuoriuscivano dal rettangolo verde. Unico nella storia a vincere tre palloni d'Oro consecutivi, Platini rappresenta il prototipo di giocatore impossibile da classificare. Sempre nel cuore del gioco, il campione francese pur partendo dalla metà campo era un prolifico cannoniere, come testimoniano le tre classifiche marcatori vinte in Italia. Capace di disegnare traiettorie incredibili dai calci da fermo, per qualche stagione Calcio 2OOO
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SPECIALE / I GRANDI 10 DELLA JUVE
SPECIALE / I GRANDI 10 DELLA JUVE
Platini ha duettato a distanza con Maradona, in un dialogo tra sommi poeti che il calcio italiano ha potuto ammirare da vicino. Il testimone transalpino, a distanza di qualche anno, è stato raccolto degnamente da Zidane. Arrivato dal Bordeaux, dopo un inizio difficile ha folgorato i tifosi bianconeri. Di un'eleganza sublime, Zidane sembrava quasi danzare in mezzo agli avversari, talvolta increduli delle sue giocate. L'avvocato Agnelli in pubblico non gli ha riservato lo stesso trattamento rispetto a Platini ('Zidane è più divertente che utile'), ma in realtà era tra i suoi principali estimatori. Dopo diversi trofei e un pallone d'Oro, un'offerta irresistibile del Real Madrid ha accompagnato Zidane verso i galacticos. Tra i due francesi, un 'Divin codino'. È firmato Roberto Baggio l'interregno dei numeri dieci bianconeri, in mezzo a Platini e Zidane. Arrivato tra polemiche feroci dalla Fiorentina (acerrima nemica della Juventus), Baggio personifi22
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MICHEL PLATINI
IL DIVIN CODINO
Made in Italy con talento sublime...
foto Agenzia Liverani
foto Agenzia Liverani
HALLER HELMUT
IL NOSTRo CAUSIO
Dalla Francia, un 10 con i fiocchi
cava la vittoria del talento sulla sfortuna, la classe che supera gli ostacoli. A dispetto di un contributo fondamentale non è mai entrato pienamente nel cuore dei tifosi bianconeri, forse proprio in virtù del 'peccato originale'. Un solo scudetto vinto a Torino, nell'ultima stagione prima di trasferirsi al Milan. IL LUNGO REGNO DI PINTURICCHIO – È una lunga scia, che attraversa. tre decenni, quella che vede Alessandro Del Piero in maglia bianconera. Arriva dal Padova, si 'divincola' subito dal pericoloso dualismo con Baggio, facendo capire di avere la stoffa del fuoriclasse. Un gravissimo infortunio ne ha attutito la portata, al Friuli di Udine è rimasta a terra una porzione del fuoriclasse veneto. Come ogni storia vera che si rispetti, quella di Del Piero in bianconero è piena di onde, pagine felici e momenti bui. Non un vero numero dieci (sul 'nove e mezzo' o 'dieci e mezzo'
FRANCO CAUSIO
Alla Juve, Baggio ha incantato tutti
si è a lungo dibattuto) Del Piero ha superato sterili discussioni incollandoselo sulle spalle. I tifosi hanno saputo aspettare 'Godot', rialzatosi poderosamente dopo un paio di stagioni complicate, successive all'infortunio. Il finale è un'emozione gigantesca: uno scudetto festeggiato allo Stadium è bagnato dalle lacrime, malinconia e ricordi si mischiano. Infinita la standing ovation che fa da passerella alla sua ultima apparizione, sono i numeri da record a consegnarlo alla leggenda della Juventus. UNA NUOVA ERA - Regista e fantasista: ancora loro, sempre loro. Negli ultimi quattro anni la Juventus ha potuto contare sulla bacchetta ravvivata del prestigiatore Pirlo, il 'Maestro'. Arrivato dal Milan con la scomoda etichetta di campione finito, il centrocampista bresciano ha conosciuto una seconda giovinezza, tornando a incantare. Assist impensabili per l'essere comune, calci
foto Agenzia Liverani
NESSUNO COME PLATINI
Genio assoluto, un fenomeno con la palla
foto Agenzia Liverani
LA CLASSE DI HELMUT
ROBERTO BAGGIO
piazzati telecomandati, manovra padroneggiata con disarmante tranquillità. È una regia da premio Oscar quella esibita da Pirlo in bianconero, le lacrime di Berlino sono da dividere per la sconfitta in finale con il Barcellona e un commiato al calcio italiano dopo un lungo viaggio, ricco di trofei. Inizia una nuova era, oltre a Pirlo anche Tevez cede il testimone. Per caratteristiche e modi di fare lontano dalla classica concezione del 'dieci', l'attaccante argentino lo ha portato sulle spalle più che degnamente per due stagioni, raccogliendo una maglia pesantissima, lasciata libera dopo l'epopea Del Piero. La maglia numero dieci si ritrova nuovamente senza padrone, 'dovrà andare a un fuoriclasse' ha assicurato Andrea Agnelli. Solo una breve pausa, poi la magia (in un modo o nell'altro) ripartirà... Calcio 2OOO
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INTERVISTA ANDREA ABODI
INTERVISTA / ANDREA ABODI
UN VERO CONDOTTIERO
Nonostante i problemi, Abodi continua a lottare
NELLE MANI DI
ABODI Per salvare certi valori, serve un uomo di valore‌
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foto Agenzia Liverani
di Fabrizio PONCIROLI
INTERVISTA / ANDREA ABODI
L
o sport, per definizione, dovrebbe essere la patria di valori sani. Il rispetto delle regole è il mantra sul quale si dovrebbe fondare tutto il mondo sportivo. Usiamo il condizionale perché, purtroppo, sempre più spesso, qualcosa o qualcuno prova a sbriciolare le certezze su cui si fonda il concetto stesso di sport. In qualsiasi disciplina sportiva, c’è stato chi, pensando di essere più furbo di tutti, ha provato a “falsare” il responso del campo. Ogni sport ha i suoi demoni da combattere e debellare. Lo sanno i vertici dell’atletica, così come quelli del ciclismo, probabilmente i due “universi sportivi” più minacciati. Purtroppo lo sa bene anche il mondo del calcio che, in maniera quasi continua, deve confrontarsi con situazioni davvero deprecabili. L’ultimo tsunami ha investito la Serie B. Il “caso Catania” di cui tanto si è parlato è stato un durissimo colpo, inatteso per certi versi, che ha quasi mandato k.o. l’intero sistema
INTERVISTA / ANDREA ABODI
“” Questo lavoro condiziona la mia vita e, quindi, anche quella della mia famiglia. È normale che sia così e io lo accetto cadetto. Lo stesso sistema che, con fatica e grande impegno, stava diventando un modello da seguire. Un pugno in pieno volto che non ha, tuttavia, smontato un vero caterpillar come Andrea Abodi, il presidente della tanto vituperata (e sotto la lente di ingrandimento) Serie B. Lo abbiamo incontrato a Castiglioncello, pochi giorni dopo il fattaccio. Una chiacchierata per capire come si convive con un problema tanto enorme e, soprattutto, come si fa
il nostro modo di lavorare. Siamo in contatto continuo con istituzioni, territorio, sappiamo bene cosa va fatto”. Ma come si può eliminare o, almeno, ridurre il rischio di simili tsunami? “Guarda, va selezionato meglio il capitale umano che gravita attorno al mondo del calcio, a qualsiasi livello. Forse è meglio un giocatore che calcia meno bene la palla o un direttore sportivo meno bravo a vendere certi giocatori ma entrambi più fedeli, leali e corretti. Il nostro mondo deve diventare più selettivo e meritocratico. Non possiamo più permettere che qualsiasi persona che abbia voglia, possa entrare nel mondo del calcio”. Problemi a parte, c’è da pensare alla nuova stagione. Tra le partenti un club storico e importante come il Cagliari… “È un’opportunità avere una realtà importante come il Cagliari, con una proprietà trasparente e solida ma, in generale, io ritengo che sia importante avere ogni tipo di realtà.
a ripartire quando la maggior parte della gente pretende chiarezza e trasparenza… Presidente, partiamo dal fattaccio… Come ci si rialza dopo aver incassato un montante simile? “Ci hanno dato una brutta botta, inutile nasconderci… Ma noi non demordiamo e andiamo avanti. Siamo testardi, perseveranti e pazienti. Non ci arrendiamo di certo…”. Inoltre lo tsunami è arrivato proprio quando stavate dimostrando di essere propositivi e lungimiranti, con iniziative che stavano risollevando la cadetteria… “Mi fa piacere che sottolinei questo… Sai, quando cadi da cavallo, non devi pensare troppo a quello che è accaduto e a come potevi evitare di cadere. Devi rimontare in sella subito ed è quello che abbiamo già fatto. Quando pensavamo di essere fuori dalla zona di pericolo, ci siamo ritrovati a fronteggiare una situazione incredibile, inattesa (“caso Catania”, ndr). Ma non cambia nulla per quanto riguarda
PREMIATO A CASTIGLIONCELLO
“” Secondo me va selezionato meglio il capitale umano che gravita attorno al mondo del calcio, a qualsiasi livello Ciò che fa la differenza non è la dimensione della città coinvolta, ma la passione e il valore di ogni singola società. In passato abbiamo avuto realtà decisamente più piccole ma che ci hanno portato, in termini di passione e coinvolgimento, davvero tantissimo”. Questione pubblico… Stadi meno fatiscenti potrebbero aiutare, non crede? “Gli stadi sono un ingrediente decisivo. Il calcio non migliora per
un singolo elemento. Al miglioramento del fenomeno devono concorrere più situazioni. Quando un tifoso vede che l’infrastruttura è buona, allora cambia il proprio atteggiamento. Noi, da questo punto di vista, con il progetto B Futura, stiamo lavorando proprio in questo senso. L’obiettivo non è solo quello di proporre plastici ma quello di creare l’accoglienza giusta per far sentire il tifoso coccolato, quasi a casa propria”. Soffermiamoci proprio su B Futura… “Abbiamo cinque progetti, e altri ne stanno arrivando, attivati con B Futura e sono convinto che almeno tre andranno a buon fine. In un Paese in cui tutti ti spiegano perché certe cose non si possono fare, siamo stati fortunati a trovare delle amministrazioni comunali che hanno capito l’importanza di avere degli stadi di un certo livello. Stadi che, oltre a garantire economia nel territorio, aiuterebbero certe città ad avere più spazio e rilevanza a livello mediatico”. SEMPRE IN PRIMA LINEA
Mai pause per il numero uno dei cadetti
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foto Agenzia Liverani
foto Federico De Luca
Il premio Calcio2000 va al presidente Abodi
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INTERVISTA / ANDREA ABODI
Abodi ha un sogno: ripulire il mondo del calcio
IL PROGETTO B FUTURA Di Fabrizio Ponciroli
Un nuovo “sistema” per stadi all’avanguardia…
Q
uotidianamente sentiamo parlare (e discutere) di nuovi stadi. Il ritornello è sempre lo stesso: “I nostri stadi sono fatiscenti, servono nuovo impianti bla bla bla…”. In tanti ci provano, impegnandosi a sottoporre ad amministrazioni comunali o provinciali, progetti straordinari che, tuttavia, la burocrazia rende, a lungo andare, poco luccicanti e tanto ammuffiti. B Futura è un nuovo modo per creare impianti calcistici “accoglienti”. Ma di cosa si tratta? Sul sito ufficiale dedicato al progetto si legge “…B FUTURA è il progetto attraverso il quale la Lega Nazionale Professionisti Serie B intende fornire alle 22 Società che partecipano al campionato di Serie B gli strumenti necessari per la realizzazione e l'ammodernamento di stadi e impianti sportivi. Il progetto si avvia con la convinzione che, nonostante l’attuale assetto legislativo non sia di particolare sostegno alle procedure di realizzazione di un impianto sportivo, l'utilizzo di un diverso approccio, che potremmo definire di “sistema”, sarà in grado di innescare l'impulso necessario ad avviare quel processo di sviluppo indispensabile per colmare il gap di competitività nazionale e internazionale del movimento
calcistico”. Un progetto diverso per provare a snellire i tempi (biblici) di realizzazione di un impianto o di ristrutturazione di quelli esistenti, con la Serie B in veste di “centro di servizi”, oltre che di garante del progetto stesso. Un modo per combattere la disaffezione del tifoso verso gli stadi attualmente impiegati. Alcuni dati per capire la triste situazione in cui versano i nostri stadi. Per quanto riguarda la Serie B, gli stadi hanno un’età media di 57 anni e un’utilizzazione pari al 33,3%, ossia un terzo dello spazio a disposizione. In Germania, tanto per fare un paragone, l’età media di uno stadio è di soli sette anni. E stiamo parlando di dati del 2012… Insomma, B Futura potrebbe essere la risposta. Già diverse società hanno dato il loro benestare. Tra le tante, anche il Cagliari. Il patron Giulini, al momento della firma dell’accordo con B Futura, ha dichiarato: "Sono orgoglioso di dare avvio a questo progetto: è solo il primo passo verso il nostro grande obiettivo di costruire un nuovo stadio per tutti i tifosi del Cagliari. Continuiamo a lavorare con serietà e senza proclami, con la fiducia che l'attività di B Futura porti ai risultati che ci attendiamo". Risultati, quelli che servono a tutti per tornare a correre…
IL PUBBLICO DELLA B Di Thomas Saccani
Presenze in crescita e si può ancora migliorare…
foto Image Sport
L
a Serie B 2014/15, malefatte a parte, è stata un buon successo di pubblico. I dati parlano chiaro. Non si registrava un’affluenza agli stadi tanto importante dalla stagione 2006/07, quella famosa per la presenza in cadetteria di Juventus, Napoli e Genoa. Chi ha fatto registrare un’affluenza importante sono state realtà consolidate come Bari, Bologna e Catania (tutte oltre ai 13.000 spettatori di media). Complimenti al Perugia, capace di mantenere una media spettatori oltre le 10.000 presenze. Bari-Bologna è stata la sfida più seguita di tutto il torneo con i suoi 38.436 spettatori in una giornata, la 37a, che ha fatto registrare il secondo miglior risultato degli ultimi cinque campionati: 112.703 spettatori complessivi, ossia un dato inferiore solo all'ultima giornata della scorsa stagione quando allo stadio si registrarono oltre 118.000 presenze. Insomma, nonostante i tanti problemi che hanno caratterizzato la cadetteria, il pubblico ha risposto in maniera importante e l’impressione è che si possa fare anche meglio… 28
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LA SERIE B IN CIFRE Squadra
Totale
Matches
Media
Rank
Max
Bari
404.708
21
19.272
1
38.436
Bologna
318.709
21
15.177
2
21.436
Catania
282.989
21
13.476
3
17.271
Perugia
227.568
21
10.837
4
16.124
Vicenza
165.232
21
7.868
5
10.859
Avellino
150.500
21
7.167
6
9.000
Pescara
147.116
21
7.006
7
10.689
Livorno
133.031
21
6.335
8
8.940
Spezia
132.274
21
6.299
9
7.855
Brescia
124.865
21
5.946
10
8.712
Modena
118.309
21
5.634
11
11.699
Frosinone
110.171
21
5.246
12
8.422
Trapani
105.788
21
5.038
13
7.056
Ternana
103.376
21
4.923
14
11.840
Crotone
95.060
21
4.527
15
8.500
Latina
80.000
21
3.810
16
5.434
Lanciano
63.507
21
3.024
17
4.502
Carpi
63.416
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3.020
18
4.144
Pro Vercelli
62.753
21
2.988
19
3.657
Varese
62.516
21
2.977
20
4.162
Cittadella
55.513
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2.643
21
5.716
Entella
45.700
21
2.176
22
3.300
MEDIA
3.053.101
462
6.608
38.436
Calcio 2OOO
* Dati LEGASERIEB
GRANDE PASSIONE
INTERVISTA / ANDREA ABODI
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INTERVISTA / ANDREA ABODI
TANTI PROGETTI
foto Agenzia Liverani
Abodi vuole creare infrastrutture all'avanguardia
Abodi, dopo tanti anni, è ancora convinto di poter cambiare il calcio? “Non ho la presunzione di cambiare il mondo del calcio ma la Serie B sicuramente. È una mia responsabilità, è quello che mi impone il mio ruolo e devo fare di tutto per arrivare al traguardo che mi sono prefissato come presidente della Serie B. Certo, la botta che abbiamo dovuto incassare ci ha rallentati ma non ci ha fermato. Ricordo a tutti che, solo due/tre giorni dopo il ‘caso Catania’, avremmo ufficializzato sponsor e nome della nuova cadetteria. Siamo stati costretti a ricominciare da zero ma abbiamo talmente tanta passione che ci siamo subito rimboccati le maniche…”.
Intervista di Fabrizio Ponciroli 30
Calcio 2OOO
“” Non ho la presunzione di cambiare il mondo del calcio ma la Serie B Sicuramente. È una mia responsabilità A livello personale, cosa le ha dato più fastidio del “caso Catania”? “Il tradimento… Nei confronti dei tifosi, della Lega e anche nei miei confronti. Io sono stato sempre presente, anche per il Catania. Mesi prima del fattaccio, mi ero anche schierato dalla parte di Pulvirenti, per tutelarlo su certi attacchi da parte del web. Dire che mi sono sentito preso in giro è riduttivo…”. Qual è l’aspetto più complicato del suo ruolo? “Non c’è un singolo aspetto, è la complessità della responsabilità che hai che ti mette sempre sotto pressione. Non esagero, per me questa
è una missione. Normale che anche la tua vita privata venga coinvolta in prima persona. Questo lavoro condiziona la mia vita e, quindi, anche quella della mia famiglia. È normale che sia così e io lo accetto. Nessuno mi ha obbligato a scegliere questa vita, se l’ho fatto è perché voglio farlo”. Ma ci sarà qualcosa che la rilassa, no? “Beh, mi piacerebbe leggere ma leggo solo e solamente articoli che riguardano il mio mondo… Quando posso gioco a calcetto con gli amici. Abituato sempre a pensare, a calcetto ho la possibilità di non pensare e gustarmi solo il momento. È già tantissimo”. La chiacchierata termina qui… Abodi, l’uomo che ha l’arduo compito di far ripartire la Serie B, ha le carte in regola per poter uscire vincitore. L’impresa è titanica. Tante, troppe le variabili da tenere in considerazione ma la persona scelta per armarsi di spada e provare a farsi strada tra illegalità e irregolarità è quella giusta. Lo sport dovrebbe essere la patria dei valori. Per fortuna, a capo della cadetteria, c’è una persona che quei valori li mostra quotidianamente…
SPECIALE FINANZA NEL CALCIO
di Sergio STANCO
SPECIALE / FINANZA NEL CALCIO
Un calcio alla crisi
INTER D'ORO: Kondogbia, uno dei costosi acquisti nerazzurri
“2
0 milioni per Bertolacci! Ma come si fa a spendere così tanto per uno così?”. Bastava essere a Milano (e non solo) e scendere al bar per avere tutti i dettagli dell’operazione più dibattuta del momento. “Kondogbia a 40 milioni no e 20 per Bertolacci sì? Mah”. Le opinioni, però, divergono: “Neanche Kondogbia vale 40 milioni, qua sono tutti impazziti”. Ora facciamo un salto indietro, pensate a quando Maradona sbarcò a Napoli: secondo voi qualcuno si preoccupò di quanto fosse costato Diego? O quando il Milan acquistava Gullit, Van Basten, ma anche Savicevic o ancora Boban? E l’Inter Milito, Snejider e chi per loro? E non parliamo di una vita fa. Il calcio è cambiato, ma lo sono anche i tifosi, che ormai padroneggiano plusvalenze e ammortamenti con una competenza quasi disarmante. E che qualcosa sia cambiato lo testimonia anche il successo di “Goal Economy”, il libro edito da Baldini&Castoldi scritto da Marco Bellinazzo, di professione giornalista del Sole 32
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foto Image Sport
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La Serie A cerca di recuperare terreno rispetto a Premier, Liga e Bundesliga: ecco la ricetta per riuscirci.
IL MILAN NON MOLLA: Bertolacci, l'italiano pagato a prezzo elevato dal Diavolo
24 ore, ma anche grande appassionato di calcio. Una passione che lo ha portato a conciliare hobby e lavoro e che lo ha fatto diventare la firma più autorevole nel campo della finanza applicata al calcio. Ed è con lui che affrontiamo il tema, sfruttando l’onda del boom della sua ultima “fatica”, che in pochi mesi è arrivata alla seconda edizione. Ulteriore testimonianza di come i tifosi siano sempre più attenti alle tematiche economiche: “È stata una sorpresa anche per me – ci dice Marco – Perché il mio scopo era quello di informare i lettori, divulgare un po’ di nozioni che spesso circolano in questo mondo, ma che a volte i tifosi non capiscono, ma non mi aspettavo di trovare così tanti “fans” del genere (ride, ndr). Sinceramente non pensavo che tanta gente potesse essere interessata ad un saggio su calcio e finanza, ma evidentemente i tifosi vogliono sapere ed essere sempre più partecipi delle operazioni del proprio club. E questo ovviamente è molto positivo, perché come ho scritto sul mio libro, ci si può anche accanire su arbitri e guardalinee
per rigori e fuorigioco inesistenti, ma non sono certo loro i padroni del vapore. Appena uscito il tuo libro è scoppiato il finimondo: la quota di minoranza del Milan è stato ceduta a Mister Bee, l’FBI ha fatto una retata in Svizzera arrestando i vertici FIFA, l’Inter ha speso 40 milioni per Kondogbia, la Corte di Bruxelles ha dato una spallata al Fair Play Finanziario di Platini. Era più l’orgoglio di aver anticipato quello che sarebbe potuto succedere o il dispiacere di non aver potuto completare la tua “opera”? “Non ti nascondo che, all’inizio, ero decisamente arrabbiato. Ora siamo abituati all’era di internet, io con il mio blog do aggiornamenti in tempo reale e il fatto di non poter modificare quello che avevo scritto, mi dava la sensazione di incompletezza. Sei mesi di lavoro e, poi, proprio quando è pronto per uscire il libro, succede di tutto. D’altro canto, però, c’era l’editore che era entusiasta e forse aveva ragione lui: lo scopo del libro non era quello di fare cronaca, ma piuttosto di dare ai
lettori gli strumenti per capire cosa stesse accadendo. Il fatto che tutti i giornali parlassero dei temi del libro era una grande soddisfazione per me, ma soprattutto per la casa editrice (ride, ndr). E infatti le vendite sono andate oltre le più rosee aspettative, il che ci ha consentito di andare subito in “ristampa” e io ho potuto aggiornare in base a quanto stava succedendo”. Tutto ciò che è accaduto, era praticamente già annunciato nel tuo libro… “Giuro che non sono un mago (ride, ndr), ma sarebbe bastato guardare in maniera meno superficiale le carte per prevedere tutto quanto poi è effettivamente successo. Certo, non potevo prevedere che entrasse in scena l’FBI, né sono così potente da avere fonti nell’intelligence americana, ma che qualcosa non quadrasse nell’assegnazione degli ultimi mondiali era abbastanza evidente. Così come ormai era scontata ed inevitabile l’apertura dei nostri club ai capitali stranieri e, purtroppo, il fallimento del Parma”. Nel tuo libro fai sostanzialmente cronaca, ma ti Calcio 2OOO
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SPECIALE / FINANZA NEL CALCIO
SPECIALE / FINANZA NEL CALCIO
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Quando il Goal costa una cifra Cosa si cela dietro le contestate assegnazioni dei Mondiali alla Russia e al Qatar? È solo una coincidenza che appena sei mesi dopo il Paris Saint-Germain sia passato al fondo sovrano qatariota, diventando la squadra più ricca di Francia? E perché Stati Uniti, Cina e India investono sempre più spesso in club stranieri? Siamo passati dal futebol alla Goal Economy e in questo saggio (Goal Economy, appunto, edito da Baldini&Castoldi), Marco Bellinazzo spiega chi tiene le redini del calcio mondiale. Per la prima volta su scala globale questo libro analizza tutte le cifre e le strategie finanziarie dei principali team e Leghe di ogni continente. Per mostrarci come gli intrecci di interessi di corporation, broadcaster, fondi d’investimento e Joseph Blatter
astieni dai giudizi. Allora ti faccio la domanda diretta: favorevole o contrario all’ingresso di capitali stranieri nel calcio italiano? “La risposta è semplice: dipende (ride, ndr). Il progetto di Mister Bee mi incuriosisce, perché l’obiettivo è chiaro, ma per realizzarlo si devono concatenare una serie di situazioni particolari: innanzitutto il Milan deve tornare subito in Champions League, riguadagnare a livello sportivo la fama che il brand comunque è riuscito a mantenere, dopodiché la volontà è quella di quotare la società alla borsa asiatica. Un progetto ambizioso, ma alle spalle del broker thailandese c’è uno dei principali colossi bancari cinesi, a sua volta sostenuto dal governo cinese, quindi mi sembra un piano che poggia su basi solide. Diverso è il giudizio sull’Inter: sinceramente non mi aspettavo che Thohir chiedesse un finanziamento a Goldman Sachs, mi aspettavo qualcosa di diverso, l’immissione di risorse fresche ad esempio. L’operazione Kondogbia stride con quella situazione debitoria e anche se è facile capirne la logica – dare a Mancini una squadra in grado di arrivare in Champions e poi utilizzare i proventi dell’Uefa per sanare il pregresso – È una strategia quanto 34
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meno rischiosa. Senza voler arrivare a paragonarla alla situazione della Grecia come ha fatto Paolillo (ex Direttore Generale Inter, ndr) alla presentazione del mio libro, fossi un tifoso interista non sarei così sereno. Se, invece, guardiamo in casa Roma, la volontà di creare uno stadio di proprietà è sicuramente una notizia positiva, ma le difficoltà che la dirigenza sta già incontrando pone qualche interrogativo. E, poi, chi sarà il proprietario dello stadio? Non è un dettaglio di poco conto, perché anche qualora anche si riuscisse a fare l’impianto, a quanto pare non sarebbe di proprietà dell’AS Roma, ma di una società creata ad hoc dai suoi amministratori. Che senso ha fare lo stadio se poi i proventi derivanti non vanno al club?”. Ha sorpreso che una Serie A moribonda in questo inizio di mercato sia stata la più spendacciona: tu come leggi questo dato? “Ha una sola lettura: ormai arrivare in Champions è determinante per le casse societarie e tutte le squadre devono essere allestite per raggiungere quell’obiettivo, altrimenti rischiano il crack. Basta vedere quello che è successo al Milan che in un anno fuori dalle coppe è arrivato in un attimo a 100 milioni di perdite, oppure al Napoli che si è bru-
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COME STA IL CALCIO?: L'Italia e il pallone, un binomio indissolubile...
governi, stanno cambiando la geografia economica dello sport più ricco del pianeta. Che legame c’è fra lo shopping di squadre degli emiri e il sorpasso delle compagnie aeree mediorientali come sponsor rispetto alle big dell’auto? In Cina l’obiettivo di ospitare una Coppa del mondo è diventato un affare di Stato, che investe miliardi per valorizzare il campionato nazionale acquistando grandi campioni e creando partnership con storici club europei. Intanto le grandi imprese statali sponsorizzano e possiedono club in tutto il mondo. E le Leghe d’Europa? La Germania si difende fra autarchia e conti a posto. L’Inghilterra vanta il campionato più ricco al mondo, aperto a magnati e sponsor internazionali. La Serie A italiana ha perso il fascino di un tempo, travolta da fallimenti e scandali. La Francia è a un bivio e nella Spagna egemonizzata da Real e Barcellona è scoppiata la guerra per i diritti tv. E se nel Nordamerica, la MLS vive la sua epoca d’oro, con fatturati, pubblico e squadre in crescita, nelle regine sudamericane Brasile e Argentina si fanno i conti con debiti e condoni statali, esportazione di calciatori e manovre di fondi di investimento. Descrivere il calcio e i suoi meccanismi finanziari ci dà l’immagine più vivida della “globalizzazione”, di come stanno mutando i mercati emergenti, degli scontri fra titani della telefonia, tv, e dei colossi energetici. In poche parole, come vi abbiamo raccontato nell'intervista, di dove sta andando il calcio e con esso la parte più importante dell’economia mondiale. Calcio 2OOO
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THOHIR CI CREDE: Il patron dell'Inter vuole tornare ai vertici del calcio...
ciato tutto il tesoretto per non essere riuscito a qualificarsi per due anni consecutivi. I conti dei nostri club dipendono sostanzialmente da due generi di introiti: i proventi TV e la Champions League. Solo che ormai un posto in Champions lo abbiamo perso a favore della Germania e un altro negli ultimi anni se l’è sempre accaparrato la Juventus. Dunque ne restano due, troppo pochi per garantire la sopravvivenza del sistema. Investire i pochi soldi che restano nel rafforzamento della squadre nella speranza di arrivare in Champions è evidentemente una logica di breve periodo, ma è anche molto rischiosa, perché se il campo non ti dà ragione, i conti non tornano più”. E qual è il consiglio dell’esperto? “In Italia i club spendono più di quanto guadagnano e credo che sia chiaro anche ad un non esperto che così il sistema è destinato a implodere. Non ci sono ricette magiche, non c’è da inventarsi nulla, basta seguire gli esempi positivi di altre nazioni. Fino al 2000, dunque parliamo di 15 anni fa, il nostro calcio era al livello di quello dei concorrenti e l’Inter fatturava come il Barcellona: oggi, invece, il Barça fattura 500 milioni e l’Inter 200. È evidente che da noi si è perso tempo, siamo stati incapaci di dare un indirizzo al sistema, ci siamo persi in inutili lotte intestine che hanno frenato la crescita del nostro calcio. Faccio un esempio: quando il Barcellona era in 36
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SPECIALE / FINANZA NEL CALCIO
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SPECIALE / FINANZA NEL CALCIO
LA JUVE FUNZIONA: Strategia vincente e risultati concreti, il piano bianconero...
crisi e aveva assolutamente necessità di tornare a fare risultati per rilanciare il brand, ha sì comprato Ronaldinho ma ha anche fatto un accordo con i tour operator per organizzare delle visite di turisti al Camp Nou. Ora il museo del club è il più visitato della città, più di quello di Dalì. Quando l’Inter vinse il Triplete, anziché sfruttare l’occasione per valorizzare e monetizzare quell’impresa, ha preferito omaggiare i suoi campioni con ingaggi faraonici, appesantendo ulteriormente il bilancio. All’estero ci sono esempi da seguire, basta guardare al sistema tedesco o alla Premier, ma per far crescere il movimento bisogna lavorare in tre direzioni: un management che sia predisposto al cambiamento, una governance che consenta, appunto, di governare e di non restare impagliati in vecchie logiche di provincia e una mentalità moderna”. Senza andare troppo lontano, la Juve sembra essere sulla strada giusta? “La Juve è la società che prima di ogni altra ha capito l’importanza di gestire il club come un’azienda. Lo stadio è stata un’ottima intuizione, ma in Inghilterra tutti i club hanno lo stadio di proprietà ed è una delle principali fonti di guadagno. Dunque, non era difficile capirlo, no? Ammodernare gli impianti, renderli più comodi e fruibili sarebbe già un bel passo nella direzione giusta e sono contento che qualcosa in questo senso si stia muovendo. Non
basta, ovviamente, perché oltre allo stadio si deve fare di più per rendere più appetibile un calcio che oggi appeal non ne ha. Basta guardare a quanti siano i partner di caratura internazionale che sponsorizzano le nostre squadre: se si esclude la Juve con Jeep, che essendo Chrysler è comunque un marchio di “famiglia”, c’è Emirates al Milan e poco altro. Se pensi che la Juve non è ancora riuscita a vendere i naming rights dello Stadium, e che in Bundesliga quasi tutti sono assegnati inclusi quelle delle “piccole”, ti rendi conto del baratro che divide noi dagli altri. Anche in questo senso, però, i bianconeri sono precursori: dopo la finale di Champions di Berlino, gli Agnelli hanno concluso una ricca sponsorizzazione con la Tecate, una delle birre leader di mercato in Messico, un paese con bacino d'utenza importanti e tanti potenziali tifosi. Questo è quello che intendevo quando parlavo di sfruttare i successi sportivi anche a fini economici. E questo è quello che l’Inter non è riuscita a fare dopo la vittoria del Triplete”. A sensazione non mi sembra che sprizzi di ottimismo per il nostro movimento, sbaglio? “Non molto, perché se qualcosa comincia a muoversi dal punto di vista del business, poco si sta facendo per quanto riguarda il management del sistema e della governance. Mi sembra che si fatichi ancora troppo
ad affrancarsi da una logica di interessi personali e da una mentalità provinciale che tiene in ostaggio tutto il sistema. Bisognerebbe dare una svolta, magari anche prendendo decisioni drastiche, ma io non la vedo tutta questa voglia di cambiamento. E questo è un problema: non solo perché la distanza con gli altri campionati più virtuosi è destinata ad aumentare, ma anche perché il rischio è quello di essere superati da tornei emergenti che dispongono di ingenti risorse economiche e stanno lavorando in maniera eccellente per crescere. Non è un mistero che la MLS punti ad essere una delle leghe più importanti al Mondo in pochi anni e se prima riusciva ad attirare solo vecchie glorie al tramonto, adesso convince uno come Giovinco a trasferirsi in Canada. La Cina vede nel calcio un perfetto strumento promozionale e ci sono grandi aziende pronte a sostenere il progetto: il Guangzhou Evergrande, che non è neanche tra i club più ricchi, si è appena aggiudicato Paulinho, un giocatore a lungo e inutilmente inseguito dall’Inter l’estate scorsa. Lo Shenhua ha da poco acquistato Demba Ba. Pirlo ha raggiunto David Villa e Lampard a New York. Australia e India sono paesi con un bacino d’utenza interessantissimo e realtà in forte espansione. Insomma, per usare un paragone calcistico, se non ci diamo una svegliata rischiamo di finire in Serie B…”. Calcio 2OOO
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SPECIALE
di Thomas SACCANI
SPECIALE/ TIRI POTENTI
TIRI POTENTI
ADRIANO, IL RE DEL TUONO
L'Imperatore sapeva come calciare con potenza
TI SPARO UN SILURO
C’è chi accarezza la palla e chi invece punta a sfondare la rete… LA BOMBA DI RAMBO
C
hi l’ha detto che, davanti alla porta, bisogna preferire un tocco di classe al classico siluro terra/aria? La potenza nel calciare il pallone è una qualità che torna sempre utile, a qualsiasi livello. La storia del calcio ci racconta di “cannonate” che sono entrate, di diritto, nel grande libro del pallone. Il quesito sorge spontaneo: ma chi ha messo a segno la rete più potente di sempre? Incredibile ma vero, in effetti non esiste una vera e propria classifica All Time dedicata ai “tiri bomba”. Chiaramente, nelle epoche in bianco e nero, tale “misurazione” era di fatto impossibile per limiti tecnologici evidenti. Quindi, ahi noi, dobbiamo soffermarci esclusivamente sugli ultimi decenni, quelli del pallone tecnologico. E qui nasce la prima diatriba. Mancando una strumentazione efficace e unica per conteggiare i km/h di “sparo del silu38
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ro”, realtà e finzione si mischiano, regalandoci due possibili vincitori. Recentemente l’autorevole The Guardian ha deciso di pubblicare una personalissima classifica All Time delle 10 cannonate di sempre. Al primo posto è stato posizionato una vecchia conoscenza del nostro calcio (purtroppo amari ricordi), ossia Ronald Koeman. Torniamo con la memoria alla finale di Coppa Campioni 1991/92. Si gioca a Wembley. In campo il Barcellona di Cruijff e la Sampdoria di Boskov. La partita è complicata. Nessuno riesce ad avere la meglio sull’avversario. Inevitabili i supplementari. L’equilibrio viene interrotto, al minuto 112, da un missile, su punizione, di Koeman (tra l’altro, soprannominato “Rambo” proprio in virtù del suo tiro al fulmicotone). L’asso del Barcellona fredda Pagliuca con una “bordata” assurda. Si parla di un siluro all’incredibile velocità di 188 km/h ma, secondo gli esperti, la velocità, con i palloni apparsi nell’ultimo decennio, sarebbe
foto Agenzia Liverani
RONALD KOEMAN
foto Agenzia Liverani
Koeman, il suo gol alla Samp è stato micidiale
ADRIANO Calcio 2OOO
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SPECIALE/ TIRI POTENTI
SPECIALE/ TIRI POTENTI
fotogramma della punizione, stabilendo che il brasiliano fa percorrere al pallone 16,5 metri ogni 0,28 secondi. Verità o finzione? Più potente Koeman o Ronny? Impossibile dare una risposta certa. Quel che è sicuro è che, il siluro, è un gesto tecnico capace di esaltare le folle. In quei pochi istanti, accade di tutto. Il calciatore prepara il calcio, inquadra la porta e lo spazio dove far passare il pallone. Trasferisce tutta la sua potenza nel piede e via, il siluro parte per spegnersi dove tutti i tifosi si augurano: in fondo alla rete…
IL SINISTRO DI DIO Eder, il suo mancino è diventato leggendario
EDER
Vierchowod ricorda ancora la bordata di Koeman che gli è costata la Coppa del Campioni
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EPPURE C’ERA EDER… Come accennato, nelle epoche del calcio nostalgia, era arduo farsi un’idea della potenza con cui gli artisti del siluro calciavano il pallone. Mancanza di tecnologia e, soprattutto, palloni che, rispetto a quelli attuali (più leggeri e aerodinamici), erano delle pietre… Eppure c’è un nome che, da sempre, è considerato, almeno in Brasile, il vero uomo cannone del calcio: Éder Aleixo de Assis, detto semplicemente Éder. La vita dell’uomo dal sinistro divino è degna di una telenovela. Amante delle sigarette, frequentatore, assiduo, di belle donne, capace di mettersi nei guai ovunque (gli spararono, ferendolo ad un braccio), Eder, tuttavia, è stato amato, alla follia, principalmente per la sua pazzesca dote nel calciare di potenza, rigorosamente di sinistro, il pallone. Non a caso, nei primi anni Ottanta, era noto ai più con il soprannome di O Canhão, traducibile in “Il Cannone”… Le sue punizioni, calciate, in maniera indifferente, sia di interno che di esterno, sono ricordate come perle di rara bellezza da tutti coloro che hanno avuto la fortuna di assistere, dal vivo, ad una sua
stata ben superiore (oltre i 200 km/h). Una velocità supersonica che lo rende, a tutti gli effetti, il gol più potente di sempre. Tutti d’accordo? No. In Portogallo, durante la stagione 2005/06, tale Ronny (non ha niente a che fare con Ronaldo o Ronaldinho o CR7), durante una gara di campionato portoghese tra lo Sporting Lisbona, la sua squadra, e il Naval, decide di sparare, sempre su punizione, un missile che sfida le leggi della fisica. Un gol strepitoso. Il video del gol fa il giro della rete. C’è chi decide di ricorrere alla scienza per fare chiarezza sull’accaduto. Il responso è strabiliante: 221 km/h… Considerate che, nel tennis, l’ace più veloce di sempre, piazzato dall’australiano Groth, nel 2012, viaggiava a 263 km/h e parliamo di una pallina da tennis… Il buon Ronny Heberson Furtado de Araújo, noto come Ronny, diventa, di colpo, una star del web. Anche Wikipedia si inchina alla sua potenza. Gli viene conferito il titolo di “uomo con il tiro più potente”. C’è anche chi analizza fotogramma per
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RICORDO AMARO
4 PIETRO VIERCHOWOD
Di Fabrizio Ponciroli foto Liverani
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IL RICORDO DI PIETRO
La classifica dei 10 gol più potenti di sempre Di Fabrizio Ponciroli Ovviamente non è una graduatoria ufficiale ma fa comunque impressione notare la velocità di calcio di certi personaggi… 1. Ronny Heberson (BRA) - 221 km/h - Sporting Lisbona-Naval, Liga portoghese 2005/2006 2. Arjen Robben (OLA) - 190 km/h - amichevole Borussia-Real Madrid, agosto 2009 3. Ronald Koeman (OLA) - 188 km/h - Barcellona-Sampdoria, Coppa dei Campioni 1991/1992 4. David Hirst (ING) - 183 km/h - Arsenal-Sheffield, Premier League 1996/1997 5. Carlitos Tevez (ARG) - 163 km/h - Juventus-Genoa, Serie A 2014/2015 6. David Beckham (ING) - 157 km/h - Chelsea-Manchester United, 1997/1998 FA Cup 7. David Trezeguet (FRA) - 154,5 km/h -Manchester United-Monaco, Champions League 1997/1998 8. Zlatan Ibrahimovic (SVE) - 149,7 km/h - Anderlecht-Paris Saint Germain, Champions League 2013/2014 9. Adriano (BRA) - 140 km/h - Inter-Palermo, Serie A 2004/2005 10. Roberto Carlos (BRA) - 137 km/h - Brasile-Francia, Confederations Cup 1997 40
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C’era anche Vierchowod nella sera in cui “Rambo” fece partire il missile…
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rano 70.287 gli spettatori sulle tribune che hanno assistito a quel gol. La bomba scaricata da Koeman al 112’ del supplementare della finale di Coppa Campioni 1991/92, tra Barcellona e Sampdoria, è nella leggenda del calcio. Tra coloro che hanno visto dal vivo quella prodezza c’era, suo malgrado, anche Vierchowod. Lo Zar era uno dei quattro di difesa di Boskov, insieme a Mannini, Katanec e Lanna: “Guarda, quella partita me la sono rivista più volte – ci confida in esclusiva – e confermo che, a mio giudizio, noi eravamo più forti di loro. Quel Barcellona era battibile, non aveva grandissimi campioni. Infatti, nei 90’ e anche dopo, fummo noi ad avere le occasioni migliori, almeno fino al gol di Koeman…”. Vierchowod ricorda perfettamente quel gol: “Per prima cosa va detto che non era fallo da punizione. Mi ricordo che Koeman fece partire una bomba. Onestamente qualche colpa la devo dare anche al mio amico Pagliuca che fece un mezzo passettino in avanti che poi fu determinante ma, in verità,
dovevamo chiudere prima la partita. Sapevamo che Koeman era un maestro nel calciare il pallone e faceva della potenza il suo punto di forza. Infatti non tirava mai a superare la barriera ma cercava sempre la potenza e lo fece anche in quell’occasione e gli andò bene. Purtroppo ci fece gol e quel gol è rimasto nella storia. Davvero un peccato, per fortuna poi la Champions League sono riuscita comunque a vincerla ma sarebbe stato fantastico vincerla con la Sampdoria che, lo ricordo, era all’esordio in Coppa Campioni. La sua prima volta poteva essere quella buona, purtroppo si è messo di mezzo Koeman con il suo tiro micidiale…”. Lo Zar ha un ricordo di un altro giocatore dal tiro potente: “Guarda, Mihajlovic era impressionante. Più la palla era lontana dalla porta – continua l’ex difensore, tra le altre, anche di Milan e Juventus – e più ti faceva male. Ad esempio ricordo che ci segnò, con la Stella Rossa, proprio in quell’edizione della Coppa Campioni. Io l’ho avuto come compagno di squadra e faceva paura la sua potenza. A volte arrivava a spostare indietro la palla anche di due/tre metri per avere ancora più forza nel suo tiro. Un vero bombardiere, davvero spettacolare. Un altro che aveva un tiro fortissimo, almeno ai miei tempi, era Di Bartolomei. Calciava delle sassate, dovevi stare attento a non prenderle in faccia…. Sai, tirare forte lo possono fare tutti ma tirare forte e centrare la porta non è poi così semplice”. Calcio 2OOO
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SPECIALE/ TIRI POTENTI
LE PUNIZIONI DI MIHAJLOVIC TOTTI, GOL CAPOLAVORO
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FRANCESCO TOTTI
magia. Circola, ancora oggi, una sua maestosa rete segnata ad un certo Dasaev, simbolo dell’Urss anni Ottanta. Un gol strepitoso che, di fatto, trascina Eder al Mundial 1982. Doveva essere quello il torneo della consacrazione, quello in cui mostrare al mondo la sua potenza (parliamo, ovviamente senza misurazioni ufficiali, di missili da 170 km/h). Niente da fare, non va (colpa dell’Italia). Ci potrebbe riprovare quattro anni più tardi ma, qualche mese prima del Mondiale in Messico, stende un avversario con un pugno in pieno viso… Il finale di carriera è triste, eppure, in Brasile, Eder è ancora un mito, lui era, è e sarà sempre O Canhão, “Il Cannone”…
foto Agenzia Liverani
I NOSTRI RECORD Per fortuna, anche nel nostro amato campionato non mancano i fuoriclasse della potenza. Nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito a tanti siluri. Ne abbiamo scelti tre, griffati da tre personaggi non indifferenti. Partiamo da un “quasi gol”. Stagione 2004/05, alla seconda giornata del massimo campionato italiano, va in scena Inter-Palermo. In attacco, tra le fila nerazzurre, c’è un certo Adriano. Sul punteggio di 1-1, l’Imperatore fa partire una “sassata” che, a Guardalben battuto (estremo difensore rosanero), si schianta sulla traversa, tornando quasi a metà campo. Un missile da 140 km/h… 42
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TEVEZ, RETE DA URLO
Anche Francesco ha dimostrato di saper far viaggiare la palla
Genoa freddato da una bordata dell'Apache
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Abilissimo sui calci piazzati, una forza inaudita
CARLOS TEVEZ
Passiamo ad un’altra stella, ancora ben visibile sui campi da gioco, ossia Totti. Stadio Olimpico, in campo Roma e l’odiata (dal popolo giallorosso) Juventus. Stagione 2012/13. La Maggica vuole portarsi a casa il successo e ci riesce grazie ad una bordata di Totti. Siamo al 58’, il match è inchiodato sullo 0-0. Su una punizione di Pjanic, la difesa bianconera allontana come può. Sul pallone vacante si avventa il Capitano che, di prima intenzione, lascia partire un bolide che Buffon manco riesce a vedere. Un calcio pulito e forte, a circa 113 km/h. Una bellezza assoluta. Dulcis in fundo raccontiamo del capolavoro, recente, di Tevez. Sfida tra Juventus-Genoa, tra le mura amiche bianconere. A decidere il match è una bomba dell’Apache. Dopo aver seminato il delirio in aria rossoblù, l’argentino spara un siluro sul quale Perin nulla può. I conteggi dicono che la palla calciata da Tevez raggiunge la ragguardevole velocità dei 163 km/h. Di fatto il tiro più potente mai visto su un campo di calcio della Serie A… Tre “cannonate” che hanno esaltato chi le se le è godute dal vivo e chi ne ha apprezzato la celestialità attraverso mille replay. Certo, vedere Messi che salta mille uomini e appoggia dolcemente in gol è sublime ma, signori, volete mettere la soddisfazione di sparare un missile che finisce all’incrocio in pochi secondi, con una linea perfetta che lo rende quasi una cometa? Calcio 2OOO
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REPORTAGE Zdeněk Zeman
REPORTAGE / ZDENěK ZEMAN
ZEMANLANDIA A LUGANO Zdeněk ha portato il suo calcio in Svizzera
NEL CANTON TICINO… Racconto di Un’avventura nella nuova terra di Mister Zeman
di Fabrizio PONCIROLI foto Claudia CampanA Si ringrazia l'ufficio stampa dell'FC Lugano per la collaborazione
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REPORTAGE / ZDENěK ZEMAN
REPORTAGE / ZDENěK ZEMAN
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omenica, 26 luglio. Mattina presto. Il giorno è giunto. Oggi vado ad assistere al match di Super League tra Lugano e Thun. Il motivo? Uno e uno soltanto: Mister Zeman. Dopo aver deliziato e ammattito tante piazze italiane, il boemo ha deciso di misurarsi con il calcio svizzero. Si è accordato con, in dialetto ticinese, Lugan, squadra neopromossa nel massimo torneo elvetico. Oggi ci sarà il suo esordio casalingo. La prima uscita ufficiale, a San Gallo, non è andata benissimo (0-2), ma Zeman non è tipo da preoccuparsi per una sconfitta… Il tragitto Milano-Centrale-Lugano va via in un amen. Poco più di un’ora ed eccoci alla stazione del comune svizzero. C’è da aspettare un bus che porta direttamente allo Stadio Cornaredo. Una prima piacevole curiosità: tifosi del Thun (l’avversaria di giornata) si mischiano con quelli del Lugano, incrociando bottiglie di birra, il sancta sanctorum da queste parti. Sul bus, un tifoso del Lugano fa notare ad un supporter della squadra avversaria, che il giornale locale ha dimenticato di inserire il Thun nella classifica generale del campionato, quasi a
fargli pesare la superiorità mediatica del Lugano. In 10’ sono davanti al caratteristico Stadio Cornaredo. In bella vista gigantografie che ripercorrono la storia del club bianconero. Ritirato l’accredito, rimango sbigottito nel notare come, a pochi metri dall’ingresso alle varie tribune, ci siano una sorta di osterie per i tifosi. In tanti si gustano panini di ogni tipo, ovviamente con l’immancabile birra. I tifosi più sfegatati del Lugano intonano un “Zeman portaci in Champions League” che mi fa sorridere… Tra i presenti vedo un volto a me noto: Petkovic. L’ex tecnico della Lazio, ora Ct della Svizzera, è presente. Lo avvicino: “Qui per seguire Zeman?”, chiedo… “No, qui perché sono il Ct della nazionale e devo guardare le partite di calcio della svizzera”. Insisto: “Beh, avrà voglia di vedere anche come gioca il Lugano di Zeman?”. Non si scompone: “La stessa che ho di vedere come gioca il Thun di Sforza”. Meraviglioso. Il caldo è opprimente. Non invidio i giocatori, pronti a scendere in campo per il fischio d’inizio che, come tradizione svizzera impone, non si discosta dalle 13.45 puntuali. Mi concentro su Zeman. Si alza, fa due passi, guarda i suoi e poi si risiede. Lo fa in loop… Nessuna
reazione al vantaggio, su rigore, del suo Lugano (Bottani). Infastidito, invece, dalla rete del pareggio del Thun. Indica il guardalinee, colpevole (e ha ragione) di non aver visto un evidente fuorigioco sull’azione del pari. All’intervallo mi mischio tra i tifosi. Ne sento di tutti i colori. “Zeman? Per noi è uno di casa. È un vecchietto a cui piace far correre i ragazzi, per questo mi piace”, mi spiega Ralph. C’è chi s’inerpica su argomentazione tattica: “Lui è il maestro dei triangoli e sta insegnando a tutti a come si tira in porta, con il corpo rivolto verso il basso”. C’è anche chi la mette sul patriottismo: “È venuto qui perché in Svizzera può fare il calcio che vuole, senza che nessuno gli dica niente”. Altra curiosità: tifosi mischiati ad abbeverarsi, come avrete già capito non di acqua… Ripresa, il Lugano, leggero fisicamente, va sotto di brutto. Altri due gol del Thun, guidato da un indemoniato Sforza. L’ex nerazzurro, decisamente appesantito dal passare degli anni, ci tiene a superare il Maestro, colui che gli ha “fregato” la panchina del Lugan… Sotto 1-3, mi guardo attorno. Nessuno inveisce contro i giocatori del Lugano (nonostante due erroracci difensivi da Prima categoria). Anzi, sono solo
TUTTI CON ZEMAN Di Fabrizio Ponciroli
Giocatori esaltati all’idea di poter lavorare con il maestro…
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a rosa del Lugano è un mix di tanti giovani ruspanti e qualche giocatore noto al grande pubblico (penso a Padalino, ex Samp e Catania). Nel post match parlo con qualcuno di loro per cercare di capire cosa significa per questi ragazzi (e non solo) avere il boemo come allenatore. Parto proprio con Padalino, nativo di Lugano e, probabilmente, il calciatore dell’intero roster bianconero con più pedigree (ex nazionale svizzero): “Zeman ci ha detto che siamo un grande gruppo e che raramente ha visto un gruppo che lavora con questa dedizione e da qui dobbiamo partire. È normale che ci vorrà del tempo per fare al meglio quello che ci chiede. Lo scorso anno si giocava con un modulo diverso, quindi bisogna avere pazienza. Comunque, nelle ultime settimane, siamo migliorati molto e questo è un fatto molto positivo”. Colgo l’occasione per chiedergli dei famosi carichi di lavoro, durissimi, ai quali il boemo sottopone
sempre le sue squadre: “Sicuramente abbiamo fatto una preparazione importante che, ne sono sicuri, darà i suoi frutti”. Poco importa che, ad oggi, Padalino sia stato impiegato poco: “Non ci sono problemi. Ci mancherebbe. Normale che spero di giocare da titolare ma accetto ogni cosa da mister Zeman. È lui che decide”. Fermo anche Rey, biondino decisamente interessante che ha corso come un forsennato per tutti i 90 minuti e recupero compreso: “Cosa vuole Zeman da noi? Direi che qualcosa lo abbiamo già capito. Oggi, ad esempio, si è visto lo spirito di squadra giusto, anche se, alla fine, abbiamo perso. Siamo stati offensivi, proprio come vuole il mister. Comunque, quando si cambia allenatore, non si può pensare di assorbire il suo modo di giocare in sole due gare di campionato. Già rispetto alla sfida con il San Gallo (persa ndr) abbiamo fatto meglio ma bisognerà lavorare tanto per capire meglio cosa vuole da noi Zeman”.
SI FESTEGGIA COMUNQUE All'interno dello Stadio Cornaredo, i tifosi si godono birra e panini...
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grandi applausi per il Lugano. Tutti apprezzano l’impegno profuso in campo. Il gol, a tempo scaduto (ancora su rigore, questa volta a firma di Rossini), del definitivo 2-3 (quindi inutile ai fini del risultato) viene festeggiato dai presenti con un entusiasmo contagioso. Il Lugano ha perso la seconda gara di fila ma, allo Stadio Cornaredo, nessuno pare triste. In tempo zero, mi ritrovo la maggior parte della gente all’osteria (mi viene comodo chiamarla così) interna allo stadio. Boccali di birra e panini con wurstel si snocciolano in un via vai senza fine. Bellissimo. Mi chiedo: “Chissà che faranno quando arriverà una vittoria…”. SI GIOCA ALLE 13.45 Caldo afoso ma tanta voglia di vedere Zeman dal vivo...
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IL POST PARTITA Io, da buon giornalista, mi getto, insieme ai colleghi, a caccia dei protagonisti, sperando che, soprattutto lato Lugano, ci sia qualcuno che abbia voglia di parlare. Altra piacevole sorpresa. Alle interviste, a bordo campo, partecipano tutti, vinti e vincenti. Ognuno si mette a disposizione della stampa, senza problemi. Direi non proprio quello che accade dalle nostre parti. Poi, d’improvviso, appare il boemo. Prima la TV che detiene i diritti della Super League, poi eccolo tra noi. Sorriso beffardo e via… “Preoccupato? Siete voi che continuate a dire che sono preoccupato ma io non lo sono affatto, anzi sono soddisfatto di come
LA GARA CON IL THUN Un'istantanea della sfida con la squadra dell'ex nerazzurro Sforza...
si è comportata la mia squadra…”, attacca Zdeněk. Gli chiedo dei due rigori a favore, fatto mai accaduto in Italia dove, diamoci così, gli arbitri non sembravano molto inclini a concedergli penalty: “Li ha fischiati perché c’erano ma avrei preferito che vedesse anche il fuorigioco sul gol del loro pareggio”. Geniale. Resta a parlottare con gli “operatori della stampa” per circa 10’, tranquillo e posato, proprio come è sempre stato. Il finale è in perfetto stile Zeman: “Buongiorno a tutti, so che ci rivedremo…”. Viene interrotto da un tifoso che gli chiede di fare un selfie. Zdeněk resta immobile, il tifoso sorride e si fa il selfie con il boemo che non accenna neppure a modificare la propria espressione facciale. Torno nei pressi dell’osteria. La gente, nonostante la partita sia terminata da oltre un’ora, non se ne va, anzi pare aumentare. Si parla poco di quello che è accaduto in campo, più del caldo asfissiante e dei problemi quotidiani. Altra chicca. Noto che Rey (calciatore del Lugano che assomiglia a Iachini da giovane) e Lombardi escono, in ciabatte e con maglietta bianca, direttamente dall’uscita dedicata ai tifosi. Qualcuno gli urla un “…andrà bene la prossima volta”. Nessuno quasi
ci fa caso, tanto che passano tranquilli e sereni. La mia mente vola a San Siro a quando, dopo un match, tantissime persone restano incollate a freddi cancelli nella speranza di intravedere uno dei propri beniamini. Vero, è un altro calcio ma così dovrebbe essere, almeno io la penso così. Nell’attesa rubo anche due parole a Sforza, tecnico del Thun: “Le squadre di Zeman corrono? Abbiamo corso anche noi, anche se venivamo dalla partite di Europa League del giovedì…”. Una frecciata al boemo… Ah, allora qualcuno che il
dente avvelenato ce l’ha esiste anche in Svizzera… Quasi rincuorato di non essere sbarcato su un mondo parallelo, calcisticamente parlando, in cui il “vogliamose bene” la fa da padrone, torno verso la stazione di Lugano, pronto a rientrare a Milano e ai suoi ritmi indiavolati. Mi resteranno l’immagine di un tifo spontaneo e divertente che sfrutta la partita per stare bene insieme, a prescindere dalla propria fede calcistica… Ecco, se poi Zeman li porta in Champions League, allora altro che brindisi…
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IN RAMPA DI LANCIO Corazza punta a fare l'ultimo salto di qualità
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primi passi al Portogruaro, le esperienze formative a Venezia e Valenzana prima di tornare alla casa base. Poi la Sampdoria, dove non ha mai esordito, e infine il Novara dove si è consacrato eroe segnando il gol della promozione in Serie B e dove è tornato, questa a volta a titolo definitivo, per disputare il suo primo campionato cadetto. Questo in breve è Simone Corazza, attaccante classe '91 con un solido curriculum alle spalle e tanti gol segnati in Lega Pro. Un giocatore in rampa di lancio che vuole conquistare definitivamente il cuore dei tifosi novaresi e affermarsi in un campionato duro come quello di B senza porsi traguardi: “Per scaramanzia non dico nulla e non mi pongo obiettivi, quello che verrà sarà ben accetto”.
Novara, la vera Corazza di Tommaso MASCHIO
“Il gol promozione? È stata un'emozione forte, irripetibile. Qualcosa che ricorderò per sempre” 50
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finora in carriera”.
usciti vincitori”.
Al SudTirol una grande stagione – a livello personale e di squadra – che l'ha consacrata in Lega Pro. “Si è stato un campionato difficile e combattuto che ci ha visti arrivare a un passo dalla promozione, venendo sconfitti in finale. Anche se andai in doppia cifra come gol segnati era rimasta un po' di amarezza per non essere riusciti a coronare il sogno promozione”.
Da poco è tornato a Novara, questa volta a titolo definitivo. Una scelta fatta senza esitare? “Assolutamente. Sono stato bene nell'ultima stagione a Novara e quando mi è stato proposto di tornare a vestire questa maglia non ci ho pensato due volte. Novara era la mia prima e sono molto felice di essere nuovamente in questa squadra dove ho tanti amici”.
Promozione arrivata col Novara nell'ultima stagione. Ricordi? Emozioni? “Mi sono rifatto subito vincendo il campionato qui a Novara in effetti. Fra mille difficoltà, non ultima la penalizzazione, siamo riusciti a conquistare l'obiettivo e sono felice di aver contribuito coi miei gol a questo traguardo. Il gol promozione? È stata un'emozione forte, irripetibile. Qualcosa che ricorderò per sempre”.
Che rapporto ha con la piazza? “Un ottimo rapporto creatosi nella passata stagione. Mi sono trovato molto bene sia con la società e i compagni che fuori. Posso dire di sentirmi a casa a Novara”.
Da fuori si è visto un gruppo compatto, specialmente dopo la penalizzazione. “Dopo quanto accaduto poteva esserci un po' di scoramento, invece siamo stati bravi a reagire tutti insieme compattando il gruppo ancora di più come si è visto nel finale quando abbiamo impresso un'accelerazione decisiva e siamo
Per lei sarà la prima esperienza in Serie B. Che obiettivi si pone? “Per scaramanzia non dico nulla e non mi pongo obiettivi, quello che verrà sarà ben accetto. Cercherò di dare il meglio in ogni occasione e vedremo a fine anno di fare un bilancio. Come squadra sappiamo invece che ci aspetta un campionato difficile, ma vogliamo dimostrare di esserne all'altezza e ce la giocheremo contro tutti a viso aperto”. C'è un allenatore con cui ha maggiormente legato o a cui deve di più? “Ho avuto ottimi rapporti con tutti i mister con cui sono stato, tutti sono stati importanti per la mia crescita professionale e non ho mai avuto problemi con nessuno di loro”. Il sogno nel cassetto di Simone Corazza? “Ovviamente riuscire a giocare in Serie A, quello è l'obiettivo dal primo momento in cui ho iniziato a giocare e spero un giorno di realizzarlo. Ora però mi devo confrontare con una nuova realtà come la Serie B e dimostrare di essere all'altezza confermando quanto di buono ho fatto in Lega Pro in questi anni”.
foto Agenzia Liverani
Nonostante lei sia ancora giovane ha già accumulato molta esperienza. Che ricordi ha dei suoi primi passi nel calcio professionista? “Ho ricordi molto positivi delle mie esperienze con Portogruaro, Venezia e Valenzana. Sono cresciuto molto in quegli anni, ho conosciuto diverse realtà e tante persone importanti per la mia vita di calciatore. Ho accumulato un bagaglio d'esperienza che mi è servito molto
SERIE B/ NOVARA
foto Agenzia Liverani
SERIE B NOVARA
C'è un modello di riferimento fra gli attaccanti del presente o del passato? “Mi piace il bel calcio e i giocatori che ne sono espressione. Adesso ammiro molto Cristiano Ronaldo, mentre fra quelli del passato mi è sempre piaciuto moltissimo Filippo Inzaghi”.
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LEGA PRO CREMONESE
ESPERIENZA DA VENDERE Simoni ha un progetto ben chiaro in mente
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opo aver concluso la scorsa annata con un ottavo posto, l’obiettivo dichiarato della Cremonese è soltanto uno: lottare per la promozione. A dichiararlo è il presidente del club che sorge in via Persico 19 a Cremona, Luigi Simoni. L’ex Genoa, Brescia, Juventus, Torino, Mantova e Napoli ha preso in mano le redini della società lo scorso 17 giugno, e il suo mandato avrà validità fino al termine della prossima stagione. Il patron dei grigiorossi, ex allenatore, tra le varie squadre, dell’Inter di Ronaldo, proprio da Cremona si era imposto poi nelle grandi squadre: il passaggio al Napoli e l’anno seguente ai nerazzurri (1997) con i quali ha vinto una Coppa Uefa e perso il famoso scudetto "del rigore di Iuliano su Ronaldo" contro la Juventus. Simoni è entrato a far parte della Cremonese nel gennaio 2013, quando gli è stata affidato l’incarico di direttore tecnico.
LARGO AI GIOVANI
foto Agenzia Liverani
Intervistato in esclusiva da Calcio2000, Luigi Simoni ha analizzato la prima stagione della Cremonese sotto la sua presidenza. “Sono soddisfatto per come si è conclusa la scorsa annata, abbiamo raggiunto gli obiettivi che ci siamo preposti. Avendo rispettato il programma, la società ci ha confermato la possibilità di guidare il club per un’altra stagione: infatti il nostro incarico era sulla base di due anni”. Dopo essere stato calciatore, allenatore e direttore tecnico, la carica di presidente: “È un’esperienza nuova, nella mia vita ho sempre
di Alessandro COSATTINI
Simoni, presidente in carica della Cremonese, crede molto nella gioventù… 52
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LEGA PRO/ CREMONESE provato a fare tutto e anche questa volta ho colto la palla al balzo. Sono contento di aver intrapreso questo percorso, anche se adesso verrà il difficile: portare a termine ciò che abbiamo promesso a tifosi e giocatori, ossia lavorare tutti insieme per la promozione. Speriamo vivamente di farcela”. Eppure la passata stagione non era iniziata nel migliore dei modi: l’esonero di Mario Montorfano il 17 novembre e la scelta di affidare la panchina a Marco Giampaolo. Il tecnico, nativo di Bellinzona, fino a quel momento aveva allenato squadre che militavano in Serie A o in serie cadetta, tra cui Cagliari, Siena, Catania, Cesena e Brescia. “Quando abbiamo proposto a Giampaolo la panchina della Cremonese, sapevamo di affrontare un discorso complicato: portare un allenatore di questo calibro in Lega Pro non sarebbe stato semplice. Abbiamo puntato molto sul fatto che avesse bisogno di lavorare per dimostrare di essere sempre in gamba. In fin dei conti lui è riuscito a concludere al meglio il campionato, con il raggiungimento dell’ottavo posto e lasciando i giocatori entusiasti per il lavoro svolto”. Giampaolo adesso è in ritiro con l’Empoli, ha infatti preso il posto di Sarri alla guida dei toscani: “Siamo molto contenti che abbia realizzato questo passaggio dalla Lega Pro alla Serie A, sicuramente, oltre che per le sue indiscusse capacità, è stato anche merito nostro. Aveva ancora un anno di contratto con noi, ma non abbiamo fatti obiezioni: l’abbiamo liberato ed è andato ad Empoli. Gli auguriamo il meglio per
questa nuova avventura”. Con la nuova stagione alle porte, ecco l’avvento del tecnico Fulvio Pea, che guiderà la squadra alla conquista della Serie B. “Lo conosco bene, ha lavorato con me per cinque anni e ha fatto molto bene nell’ultimo campionato. Nonostante la disavventura di allenare una squadra come il Monza, che ha avuto numerosi problemi fuori dal campo, è riuscito ad ottenere la salvezza. Credo che non potesse fare di più l’anno scorso”. Il nuovo tecnico, amante del 3-5-2, darà sicuramente il proprio input alla squadra: “L’ideale è fare un gioco che produce punti. La bellezza e la qualità vengono in secondo piano, per la categoria contano esclusivamente le vittorie. Stiamo cercando di fare una squadra che potenzialmente possa finire il campionato tra le prime. Se non ci riusciremo vorrà dire che il nostro progetto è stato un fallimento”. La filosofia societaria della Cremonese è di dare grande fiducia ai giovani: “Stiamo guardando con interesse ai giocatori che vanno dai 18 ai 22 anni. Il nostro settore giovanile negli ultimi anni ha prodotto ragazzi molto interessanti, come Manaj e Ciccone, entrambi arruolati in prima squadra nel corso della passata stagione. Manaj poi in estate è finito all’Inter nella trattativa che ha portato in prestito a Cremona Forte ed Eguelfi. Questo vuol dire che abbiamo fatto un ottimo lavoro, producendo giocatori per la Serie A. Non possiamo che essere soddisfatti di questo fatto. Non dimentichiamo che con il classe 1997 Manaj abbiamo ancora dei legami: se andrà bene la sua esperienza all’Inter avremo anche noi qualche privilegio”. Il mercato estivo è sempre ricco di colpi di scena, e Simoni lo sa bene: “Le trattative le facciamo io, Pea e il ds Giammarioli. Abbiamo ancora qualche obiettivo da raggiungere, ma siamo contenti di quanto fatto finora. Oltre ai due giocatori provenienti dall’Inter, abbiamo tesserato un giocatore che ci darà qualità ed esperienza: Nicolò Bianchi. È un ragazzo che l’anno scorso ha totalizzato 29 presenze con il Novara, sono convinto che ci aiuterà molto”. Non resta che vedere la Cremonese all’opera nel prossimo campionato di Lega Pro.
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GRANDE COMPETENZA A Siracusa c'è voglia di fare davvero bene
Si ringrazia la società Siracusa per la gentile concessione delle immagini
SERIE D SIRACUSA
DONNA AL VOLANTE… PERICOLO COSTANTE... di Simone TONINATO
IL DG MARLETTA SVELA I PROGRAMMI AZZURRI. GUAI A SBILANCIARSI, PERÒ… 54
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i dice che le donne siano incapaci di comprendere il fuorigioco (e forse un po’ è vero), eppure nel calcio, che un tempo era proprietà esclusiva dei “mister”, sempre più spesso trovano spazio le “miss”. Così è avvenuto a Siracusa, dove la poltrona da DG si è tinta di rosa “da cinque settimane” - puntualizza Simona Marletta, neo direttore generale dei siciliani, che poi prosegue: “all’inizio ero esaltata da questo incarico, adesso sono serena e contenta, ho trovato la mia dimensione, l’accoglienza è stata straordinaria e Siracusa è una città bellissima. Poi so bene che nel calcio sono i risultati a contare, ma al momento posso solo dire di essere determinata nel portare a termine il lavoro che ho appena cominciato”. Per prima cosa parliamo dello stadio, è un cantiere aperto. Che progetti avete? “Il ‘De Simone’ è in ristrutturazione, lo era già prima del mio arrivo, l’amministrazione comunale sta comprendendo le nostre necessità. Per noi, che rappresentiamo calcisticamente Siracusa, avere a disposizione delle strutture adeguate è un punto fondamentale”.
SERIE D/ SIRACUSA sarà l’obiettivo stagionale? “Fare innamorare nuovamente la città del calcio. Sono convinta che qualcuno abbia dimenticato cosa significhi avere una squadra per la quale tifare la domenica. E poi, nei giorni successivi alla partita, sarà bello per i tifosi chiacchierare al bar. Mi piacerebbe vedere i ragazzi e i bambini indossare la maglia del Siracusa pensando che si può tifare anche per la squadra della propria città. Questo è ciò che ci prefissiamo, poi se dobbiamo parlare di calcio giocato, stiamo immaginando, ragionando e lavorando da società professionistica, perché pensiamo di averne le capacità”. Proprio perché il pensare “pro” è una vostra prerogativa, pensate che un salto (promozione, ndr) immediato sia possibile? “È un argomento di cui si discute, ovviamente, non posso dire di no. Ma diciamo che al momento preferiamo non sbilanciarci. Una cosa è certa, abbiamo le idee piuttosto chiare”.
Sempre sul tema della costruzione. Che squadra sarà quella della prossima stagione? “Avremo un certo numero di giovani su cui puntare e su cui fondare questa ricostruzione, ma con la presenza fondamentale di giocatori esperti, capaci di gestire la squadra e dare serenità ai giovani. I calciatori chioccia dovranno dare delle garanzie fondamentali per ciò che abbiamo in mente. Si tratta di un progetto importante”.
Si può dire che il Siracusa si è rifatto il trucco, ma non ha cambiato Mascara. Per un certo periodo si era parlato addirittura di affidargli la panchina, poi invece non se n’è fatto nulla. Ci parli un po’ della vicenda… “Tutto è avvenuto con totale serenità, come è giusto che sia. Peppe è un elemento fondamentale del progetto, una delle persone con cui ci si confronta anche per ciò che riguarda l’impostazione della squadra. Lui è il nostro punto di forza e lo diciamo con orgoglio. Il fatto che non sia l’allenatore in questa stagione non cambia assolutamente la sua importanza all’interno di questa società”.
E una volta allestita la rosa, quale
E quindi Mascara rimane in campo,
con gli scarpini allacciati. In panchina avete scelto Alacqua… “Io non conoscevo Lorenzo Alacqua, abbiamo scelto lui per la precisa volontà del nostro patron. Io ho conosciuto il tecnico il giorno della sua nomina e sono molto contenta di averlo al mio fianco, perché c’è una straordinaria condivisione di intenti. Quando si vogliono realizzare progetti importanti, è fondamentale avere idee comuni”. Lei arriva dalla vicina Catania, cosa porta con sè dall’esperienza accumulata? “A Catania ho imparato tutto, ho avuto il privilegio di poter lavorare per uomini di calcio veramente grandi. Poi ho delle mie convinzioni, mi piace vedere la vita come un salvadanaio nel quale ogni cosa che si fa, anche quella apparentemente più banale, prima o poi può tornare utile. Quindi ritengo importanti tutte le esperienze che si fanno nel corso della vita. Tutto ciò che ho vissuto sarà fondamentale per il futuro e lo saranno anche le esperienze che sto maturando in questi giorni”. Porta con sè anche qualche idea per il settore giovanile? Magari immaginando per il futuro la costruzione di un centro sportivo in grado di rendere la società del tutto indipendente? “Ciò che è stato fatto a Catania parte da un grandissimo investimento imprenditoriale, unico in Italia. Un discorso del genere credo sia prematuro. Per quanto riguarda il settore giovanile, non c’era e lo stiamo creando. Abbiamo a disposizione una struttura che ci consente di far allenare tutte le squadre giovanili nello stesso luogo. Ritengo che questa sia una cosa molto importante”. Al momento il calcio italiano a tutti i livelli sta attraversando una fase di caos e in molti si sono indignati per l’ennesimo scandalo scommesse. Da dirigente, le va di dirci come e da cosa si deve ripartire? Crede che situazioni del genere possano nascere anche nel dilettantismo? “Si deve ripartire dalla consapevolezza che si può fare sport in maniera pulita, con rispetto e disciplina. Non si tratta di frasi fatte. In contesti dilettantistici può accadere la stessa cosa, ma essendoci meno interessi in gioco, si tratta di un fenomeno più facile da combatter e arginare”.
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I RE DEL MERCATO / MARCELLO CARLI UNA VITA DA MEDIANO
Carli è stato centrocampista di fatica e sudore
TOSCANO NEL SANGUE Calciatore, dirigente (e allenatore) ma sempre nella sua Toscana. Benvenuti nel mondo di Marcello Carli
di Marco CONTERIO foto Federico DE LUCA 56
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urlo di Marco Tardelli. La storia di Marcello Carli da Colle di Val d’Elsa, direttore sportivo dell’Empoli ed una vita, intera, spesa nella sua toscana, è racchiusa in un grido. Perché è l’emblema di come pensa, di come lavora, di come approccia vita e mestiere. E quando dice “non fatemi passare per retorico”, alza i decibel perché è lì che non vuol far trasformare in una favola la sua storia. “Ho i miei vizi, i miei mille difetti, le mie debolezze”. Però, in questa chiacchierata, scopriamo una persona vera e genuina. Un abitudinario che ha nel suo paese, poco più di ventimila anime tra Siena e Firenze, la sua casa. Che poi è anche il suo rifugio, quello degli amici di sempre, della famiglia. Di Marcello, quello del bar, non del direttore Carli, quello del sudore nelle mediane di mezza Toscana da calciatore e quello cresciuto all’ombra di una scrivania, coi giovani prima
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“” Quando ero in SERIE C a Empoli c’era un giovane fenomeno: Vincenzo Montella e coi grandi poi, ad Empoli. Una foto, un’immagine, riassume spesso tutto ciò che pensa un uomo. “La mia è l’urlo di Tardelli, al Mondiale del 1982. Da calciatore lo amavo, lo ammiravo. Abbinava tecnica a qualità, era universale. Sono di una vecchia generazione, quella cresciuta calcisticamente con la gioia spagnola. E poi quel grido, di gioia, racchiude in sé in una parola: emozione. E se non ti emozioni, niente sarà mai bello, speciale. Nella vita come nel calcio che non riuscirò mai a vivere come un’industria perché anche in questo
mestiere di questo devi vivere. Emozioni”. L’ha fatto sin da giovane, quando ha iniziato a calcare le mediane di mezza Toscana. “E da qui, dalla mia regione, non mi sono più spostato. Gracciano, Colligiana, Cerretese, Massese, Empoli, Livorno. Prima dei ventotto mi sarei anche spostato ma poi ho deciso di rimanere vicino a casa”. Sognando Tardelli, ha finito però la carriera giovanissimo. “A trentadue anni, dopo essermi rotto il crociato. Ero un mediano di fatica, però mi sono anche tolto qualche soddisfazione con un campionato a Livorno, le belle vittorie con l’Empoli dove giocava anche Montella. Era un ragazzino ma si intravedevano da subito le sue doti”. Pensava già da talent scout? “No, inizialmente volevo fare l’allenatore. Ero innamorato del calcio, però, ma ‘odiavo’ le partite. Le ho sempre vissute con troppa passione. Nello spogliatoio però sono sempre stato un punto di riferimento e quello, una volta iniziata la carriera dirigenziale, mi è mancato. Ho
TOSCANO DOC
Vive a Colle di Val d’Elsa, il suo paese natale
ESPERIENZA CHE CONTA
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Per dieci anni, Carli è stato responsabile del settore giovanile dell’Empoli
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I RE DEL MERCATO / MARCELLO CARLI fatto il secondo a Del Neri, ma ho iniziato col settore giovanile”. Ad Empoli. “Non smetterò mai di ringraziare il presidente Corsi per aver creduto in me, da sempre. Mi piaceva gestire il gruppo nel giornaliero, così iniziai coi Giovanissimi nati nel 1985. Arrivai al campo e vidi dei ragazzetti di quattordici anni. Per fortuna Niccolini, l’allora responsabile del settore giovanile, seppe darmi consigli importanti. Ero troppo leggero, morbido, combinai dei ‘casini’ per questo, ma mi aiutò a rendermi conto che non erano più bambini ma ragazzi con mente libera, pronti ad ascoltarti, ad assimilare, ad apprendere, pure ad ascoltare i rimproveri”. Poi passò dall’altra parte della barricata, da tecnico a dirigente. “Mancava un responsabile del settore giovanile, il direttore sportivo Pino Vitale mi propose la carica. Mi buttai a capo fitto su questa avventura, lunga poi ben dieci anni”. Una gavetta importante. “Fondamentale, basilare. Impari a gestire i giovani e non è una frase fatta ma la pura verità. Anzi: metterei, per i nuovi e futuri dirigenti, 2-3 anni obbligatori di lavoro almeno al settore giovanile. Gestisci quattordicenni, diciottenni, c’è una crescita in ogni senso. Chiaro, ti prende e ti assorbe tantissimo, visto che tra gare,
ABITUDINARIO
Da vent’anni allo stesso bagno al mare, con gli stessi amici
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Sarei folle se in questo mondo in crisi avessi rimpianti o se mi lamentassi allenamenti, gestione e provini ho sempre fatto poche ferie ma è stata una palestra straordinaria”. Rapportarsi coi ragazzi e non solo. Ci sono anche i genitori, nel settore giovanile... “Ho sempre seguito una strada: non parlare coi genitori. Ho sempre voluto evitare fraintendimenti, tenendo il rapporto diretto col ragazzo e comunicando con padri e madri solo per problemi o decisioni da prendere”. E coi ragazzi? “Con loro sì. La figura di Andrea Innocenti è stata importante per la gestione dei più giovani, per il resto è un rapporto diretto, sì di strategia ma soprattutto di cuore, di emozioni”. Empoli è sinonimo di settore giovanile vincente. “Una società straordinaria con, ahimè, pure un record mica tanto piacevole... Abbiamo fatto circa 15 finali, compresi 3 Viareggio, perdendole tutte. Però non
la vedo come una sconfitta, anzi. Siamo stati in finale in tutte le categorie, abbiamo tirato fuori giovani incredibili e di successo. Per farlo serve una mentalità, un modello, una filosofia”. Quando nasce il ‘modello Empoli’? “Dai tempi di Silvano Bini. Perché i modelli non si copiano, non s’inventano, ma si creano con gli anni. Quando ero calciatore ad Empoli, con la squadra in C, in Primavera c’erano anche Montella, Birindelli, Melis. E’ una cultura e questo è stato pure implementato e portato a livelli alti grazie al presidente Corsi, che vive Empoli e l’Empoli”. Ha dei rimpianti, da giocatore? “No. E non lo dico per supponenza o altro, ma a trent’anni il bicchiere lo vedevo già pieno, ora ben più che mezzo. Con Pietro Accardi, nostro team manager, a volte scherziamo: tre anni e mezzo fa, con un po’ di lucidità, non avrei mai accettato l’incarico di direttore sportivo ma non rimpiango niente. Perché è con un po’ di sana incoscienza che arrivi a non avere rimpianti. Ora, piuttosto, inizio ad avere paura”. Perché? “Perché senti di iniziare ad invecchiare quando ti arrabbi, quando senti che a volte ti manca la birra dentro. Per questo mi guardo allo specchio per cercare di tornare a sognare subito. E poi, altro che rimpianti. Anzi. Sono fortunato, faccio un MODELLO EMPOLI
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Il settore giovanile, tradizione che arriva dai tempi di Bini
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Con Sarri siamo molto simili. E quante sigarette, il giorno della firma...
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amici di sempre, stare al bar. Lo stacco serve, ti fa essere anche più lucido sul lavoro. E poi ti fai influenzare dai pettegolezzi se vivi ‘uscio e bottega’, come si dice dalle nostre parti. Empoli, però, l’ho vissuta, anche da giocatore, e praticamente la vivo dalla mattina alla sera”. E com’è? “Una città piacevole, in tutti i sensi. L’empolese, e lo dico col sorriso, è ‘pettegolo’, ma c’è grande civiltà, c’è forte cultura. E’ facile lavorare, con questa serenità. E’ una cittadina dove ti sembra non ci sia
niente ed invece c’è tutto”. Da sedentario la domanda ‘ama viaggiare’ è quasi superflua. “Sono un sedentario e questo è pure un rammarico. Vado sempre allo stesso bagno al mare, nello stesso posto, da vent’anni, con gli stessi amici”. Ed è molto legato alla famiglia. “Ne parlo poco perché dev’essere fuori da questo mondo, ma è al primo posto. Sempre. A volte, purtroppo, mi rendo conto di saperne di più dei problemi di Saponara o di Tonelli o di Laurini che di
UN NUOVO INIZIO Carli-Sarri: la magia iniziò contro il Lanciano
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lavoro bello, che mi piace ed in un mondo così, difficile, di crisi, di miseria, se ne avessi sarei uno stupido”. Lei vive molto il mondo al di fuori del calcio, oltretutto. “Perché mi piace e perché sono così. Nella mia Colle di Val d’Elsa, sto con gli amici di sempre, e sento i problemi di tutti, sento quel che c’è nel mondo. Lo respiro, e mi sento fortunato. Come potrei, io, parlare di rimpianti e lamentarmi?” Questo le fa onore. “No, alt. Non mi fate passare per retorico. Non voglio passare per quello bravo, per quello con l’aureola. Ho i miei vizi e le mie debolezze: fumo, mangio, sto con gli amici al bar. Però cerco la felicità delle piccole cose anche se non sono un ipocrita. I soldi sono importanti e non ci sputo certo sopra, ma non sono la mia priorità. Però non sono importanti quando ce li hai, senza purtroppo si sentono troppe storie, tristi, amare, di gente che perde la dignità sull’altare del denaro”. E’ un dirigente d’altri tempi. “Sono semplicemente uno che ama le sue radici e la sua terra, che vuole rendersi pure conto di quel che c’è fuori dal calcio. Il mondo non è quello delle serate milanesi, dei grandi ristoranti e dei locali. E poi, a cinquant’anni, rischi di dare il peggio di te, è un’età ‘pericolosa’ ed allora sei fregato”. Prima parlavamo della Toscana. Perché non l’ha mai lasciata? “Se vai via, vai via. E’ una questione di scelte e non torno indietro. Non vivo neanche ad Empoli ma nella mia Colle, con la mia famiglia. E’ una realtà che, per fortuna, me lo consente anche se adesso fare il pendolare inizia a pesarmi. Però con questo lavoro sono riuscito a dare una stabilità economica anche ai miei figli ed è una grande gratificazione”. E’ ben più che attaccato alle sue radici. “A casa, a Colle, mi piace frequentare gli
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I RE DEL MERCATO / MARCELLO CARLI
I RE DEL MERCATO / MARCELLO CARLI uno dei miei tre figli. Per questo li ringrazio, per supportarmi e per sopportarmi. E’ molto più quello che danno a loro che viceversa perché dovrei riuscire a staccare più spesso da questo lavoro ma non riesco”. Lavoro da una parte, casa dall’altra. “Esatto. Sono sposato da lungo tempo ma voglio ‘proteggere’ la mia famiglia, tenerla lontana dal calcio. E’ un altro mondo, più bello e sereno. A volte eccedo pure nel tenerlo lontano: a mio figlio non ho mai portato una maglia di un giocatore -sorride-, ma vorrei che crescessero guadagnandosi tutto da soli. E per fortuna hanno seguito altre strade piuttosto che questa”. Da calciatore, si è ritagliato spazio anche per un Marcello Carli extrapallone? “Sono sempre stato allergico ai libri, ho sempre avuto questo grande, immenso difetto. Infatti sogno sempre di imparare le lingue, di farmi una cultura più ampia, ma non riesco a concentrarmi. Mio babbo ci teneva molto ma purtroppo non siamo perfetti. Ed ho un grande rimpianto, questo sì. Se n’è andato troppo presto, non ha vissuto queste mie grandi soddisfazioni, nella famiglia, nella vita e nel lavoro. Non vorrei avere nulla di più di questo”. Parrà stucchevole, ma sembra giusto ribadire che sembra una figura sin troppo genuina per questo calcio. Che pallone vede, Carli? “Un’Italia dove ci sono Serie A, Serie B e poi una Lega Pro dove ci sono grandi, grandissime difficoltà. Un’Italia dove se non sei nella massima serie, fatichi ad andare avanti. Io, tra qualche anno, a volte scherzo con dei colleghi dirigenti, vorrei andare a fare l’osservatore”. Arlecchino si confessò burlando, si suol dire. “Diciamo che vivo tutto emotivamente, lo stress nel fare il direttore sportivo ti ‘mangia’. Però farlo ad Empoli è un piacere e, soprattutto, è un ruolo che funziona. Perché c’è fiducia, c’è autonomia, c’è la possibilità di farlo serenamente”. Non si vedrebbe altrove? “Credo che farei fatica. E per questo, lo dico anche se parrà assurdo, sono contento che non ci siano state possibilità e chiamate. Questo perché ho la percezione che rischierei un fallimento non tanto tecnico ma personale e sarebbe
VIA AL DOPO SARRI
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Giampaolo una scelta di testa e cuore
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Senza questo modus operandi, l’Empoli scomparirebbe dal calcio che conta brutto, per come sono fatto”. Spesso si dice che siano quelli diversi a prendersi. Con Sarri sembra l’eccezione a confermare la regola. “Se non siamo uguali, probabilmente simili. Abbiamo avuto splendide emozioni e con lui è stata un’alchimia non studiata ma genuina, vera. Alla base c’è stata la serietà della società nel prendere e nel difendere una scelta. E tutto il resto è venuto da solo. Nelle scelte, in tutte le scelte, ho ed abbiamo sempre messo davanti il cuore. Il resto nasce di conseguenza”. Ed a voi è successo in un giorno col Lanciano. “Eravamo a tre punti alla nona giornata, dopo il 3-0 con l’Ascoli. Cercavamo di tener su il mister e l’ambiente, ma non fu certo semplice. Fu la gara dell’esordio di Hysaj, di Valdifiori regista, dell’intuizione Saponara, di Regini al centro. Vincemmo 3-0, e fu un successo doppio perché riuscimmo a difendere un’idea che portò anche dei risultati, senza buttare il tecnico in mare come in tanti fanno”. Vi sentite spesso? “Poco, pochissimo. Però c’è stima, reciproca, un rapporto di amicizia. E’ come con quell’amico che non senti e vedi mai, ma che se incontri per una cena o per un caffè, ti sembra d’averlo visto il giorno prima. Con Maurizio è così. E poi ne abbiamo vissute tante, una storia bella, però tutte nel lavoro”. Che è una cosa, mentre la vita un’altra. “Quella al di fuori, soprattutto. Quello del ds è un lavoro che, anche se il tecnico è potenzialmente il tuo migliore amico, difficilmente potrà esserlo. Perché arriva, magari, un giorno in cui devi comunicargli scelte poco piacevoli e per questo è sempre giusto che ci siano dei ruoli ben definiti”. Chi fuma di più?
“Maurizio, senza dubbio. Il giorno del primo contratto, fumò dieci sigarette in dieci minuti e gli disse ‘sì, ma io non vorrei che tu morissi tra due mesi, vorrei stare insieme più a lungo’... Però è fatto così”. Ora Giampaolo. “E’ una scelta non solo di cuore ma anche di testa. Però mi sta regalando emozioni anche lui, dal primo giorno, ha lati belli del carattere. Era ed è la miglior scelta possibile, ed al di là di quella scorza da introverso c’è una persona che si sta sciogliendo ed ambientando, giorno dopo giorno”. E lei continuerà a metterci la faccia, come sempre. “Arriveranno anche momenti difficili, ma ci metto la faccia, sì, sempre. Continuo e continuerò a difendere le mie idee che non arrivano certo dal cielo ma sono frutto di un’organizzazione che ad Empoli è possibile. Siamo nelle migliori condizioni per lavorare, anche se il progetto di cedere talenti e valorizzarne di nuovi può essere rischioso è l’unica strada. E poi abbiamo ridato fiducia ad una società, ad una città. Sono certo che senza questo modo di lavorare, l’Empoli scomparirebbe dal calcio che conta in pochi anni”.
Intervista di Marco Conterio Calcio 2OOO
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I GIGANTI DEL CALCIO / ANTONIO COMI DIRIGENTE VERO Comi ha davvero a cuore il suo amato Torino...
IL CALCIATORE DELLE CARTOLINE
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I racconti di Comi, direttore generale del Torino con una passione extra calcio decisamente insolita…
di Fabrizio PONCIROLI
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i incontriamo al Caffè Ginori, nella magica atmosfera di Castiglioncello. Basta un’occhiata per comprendere come Antonio Comi non sia il classico ex giocatore che vive di ricordi. Non a caso è il direttore generale del Torino. Il “distacco” iniziale è un biglietto da visita elegante. In parole povere, te la devi conquistare la sua attenzione, come è giusto che sia quando hai di fronte Antonio Comi… Allora, cominciamo dalla prima pagina del libro… Il tuo impatto con il Torino… “Torniamo indietro di tantissimi anni. La prima volta che sono andato a Torino è accaduto grazie al Cusano Milanino. Avevo 10 anni e ricordo perfettamente il mio ingresso al Filadelfia. Un luogo magico che trasudava emozioni e tradizione. Fu un impatto pazzesco, ti dava un grande senso di responsabilità”. La prima di tante volte, considerato che il tuo nome è legato al Toro… “Vero, il provino andò bene e, a 11 anni, fui tesserato dal Torino. I primi due anni li feci da pendolare, ossia andavo a Torino
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Beh, se a 13 anni te ne vai da casa, significa che ci credi per davvero di poter diventare un calciatore professionista a giocare il sabato poi, a 13 anni, decisi di andare via da casa e giocarmi le mie carte al Torino”. Una scelta non facile… “Guarda, ho avuto una grande madre. Lasciare andare via da casa il proprio figlio a 13 anni è dura per qualunque madre. Ricordo alcune sue parole magiche: ‘Non potrei mai portare via un sogno ad uno dei miei figli…’ E così mi fece andare. Io non ho mai conosciuto mio padre che è morto quando ero piccolissimo, quindi devo ringraziare mia madre che
ha cresciuto i suoi quattro figli maschi con grande forza e insegnandoci valori veri. Devo dire grazie a lei per tutto”.
SEMPRE SUL PEZZO
Esperienza e caparbietà, Comi è un dirigente all'avanguardia
In tanti ti ricordano come difensore, ma tu hai sperimentato tanti altri ruoli, vero? “Sono nato attaccante poi, a differenza di tanti altri che fanno il percorso inverso, sono passato a centrocampo e, successivamente, in difesa. Devo ammettere che questi cambi di ruolo mi hanno aiutato moltissimo, mi hanno fatto crescere come giocatore”. Quando hai capito che il calcio poteva diventare la tua vera professione? “Beh, se a 13 anni te ne vai da casa, significa che ci credi per davvero. Volevo dimostrare agli altri e, in primis, a me stesso che potevo farcela. Sapevo, avendo l’esempio di mia madre, che sarebbero serviti tanti sacrifici per farcela ma volevo provarci e così ho fatto. Per arrivare a certi livelli devi avere un grande spirito, non ci arrivi per caso”. Al Torino ci sei rimasto per sette stagioni poi, però, hai dovuto salutare i granata. Immagino lo strazio… UN GRANDE PRESIDENTE
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Tanta la stima nei confronti del patron Cairo
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I GIGANTI DEL CALCIO / ANTONIO COMI UNA VITA IN GRANATA Da calciatore, 149 presenze, con 14 gol, con la casacca del Torino...
I GIGANTI DEL CALCIO / ANTONIO COMI “Ho vissuto un periodo incredibile al Torino. Sono arrivato giovanissimo, mi sono goduto le vittorie di grandissimi campioni, il titolo di Campione d’Italia del 1975/76, con fuoriclasse come Pulici, Graziani e Zaccarelli. Vederlo cadere è stata durissima ma devo dire che alla Roma (il club che lo preleva dal Toro nel 1989 ndr) ho trovato delle affinità con il Torino. Grande tradizione, pubblico simile. Diciamo che tutte queste similitudini mi hanno alleviato il dolore del distacco dai colori granata. Sai allora non era così usuale per un giocatore cambiare tante squadre nella propria carriera, non è come adesso”. Mi dici tre giocatori che, per qualità calcistiche e umano, ti sono rimasti nel cuore? “Direi Zaccarelli, Cravero, con cui sono cresciuto, e Bruno Conti, fantastico a Roma. A livello di straniero, non posso che dire Junior. Un grande campione, una grande persona, è stato davvero un piacere giocare al suo fianco”. A sorpresa, a 31 anni, hai detto basta
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Il miglior straniero con cui ho giocato? Non posso che dire Junior. Un grande campione, una grande persona… con il calcio giocato… “Nella mia vita ho sempre fatto scelte di cuore e di testa. A 31 anni e mezzo mi sono trovato ad un bivio. Potevo continuare, andando a giocare lontano da casa, magari a 300/400 km dalla mia famiglia. Con due figli piccoli, ho preferito scegliere la mia famiglia e quindi ho deciso di ritirarmi e trovare qualcosa più vicino a casa mia. Così è nata l’avventura al Chieri, insieme a Benedetti. Mi sono detto: ‘Antonio, per imparare a fare
qualcosa di diverso nel mondo del calcio, devi fare esperienza…’ e così ho fatto. Dopo qualche anno, Zaccarelli ha chiamato me e Benedetti per il settore giovanile del Torino ed è cominciata una nuova avventura”. Un’avventura che ti ha portato fino al ruolo di direttore generale del Torino… Pregi e difetti di questo ruolo? “Il mondo del calcio, negli ultimi anni, si è evoluto. Ora le figure dei dirigenti sono importanti soprattutto come consiglieri del presidente. Devi essere bravo a portare equilibrio tra le varie parti, devi trovare le giuste alchimie”. Il lavoro paga, visti i risultati che ha raggiunto il Torino ultimamente… “Credo che il merito vada al presidente Cairo. È lui la mente, poi veniamo tutti noi ma tutto parte da lui. Il prossimo 2 settembre, il presidente festeggerà i 10 anni a capo del Torino. Un risultato pazzesco e credo che abbia qualcun altro di importante nel mirino… Credo che abbia dimostrato di saperci fare. Ora va tutto bene, quindi è facile fargli i complimenti A CASTIGLIONCELLO
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Comi controlla le referenze di Calcio2000...
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TANTE PASSIONI Non solo il calcio nei pensieri del dirigente granata
Di Fabrizio Ponciroli
Da attaccante a difensore, eppur sempre decisivo in campo…
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elle giovanili del Torino ho segnato montagne di gol, poi sono finito a fermare gli altri attaccanti…”… Ci scherza su Comi ma è la pura verità. Agli inizi della carriera, è noto per essere un attaccante e anche di quelli che sanno segnare. Poi, con il passare del tempo, si trasforma in centrocampista. Il primo a credere che potesse essere un regista è stato Radice. Siamo nel 1987, Comi fatica a trovare la via del gol con continuità e l’allora tecnico dei granata, visto l’arrivo a Torino di Gritti e Polster, decide di reinventarlo suggeritore dietro alle punte. Gli assist si sprecano. Ruolo per sempre? Assolutamente no. Con il suo passaggio alla Roma, nel 1989, il suo raggio d’azione cambia nuovamente. Si cimenta nel ruolo di difensore: “Alla Roma, di fatto, ho giocato sempre come difensore. Giocavo al fianco di Aldair…”, ci racconta. Strana la vita… Cresciuto nel vivaio granata, esordisce con il Torino nel marzo del 1983, in un Torino-Fiorentina. La sua prima rete arri72
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Il Toro è una grande realtà, Comi ne è uno degli artefici
va, in Coppa Italia, contro il Napoli… Nel 1989, complice la retrocessione del Toro in cadetteria, fa, a malincuore, le valigie (149 presenze e 14 gol in granata). Finisce alla Roma dove resta fino al 1994 (96 presenze totali, con quattro reti all’attivo). Con la casacca giallorossa forma, come accennato, una coppia affidabile insieme ad Aldair. Durante la sua avventura nella capitale ci scappa anche il primo e unico trofeo della sua carriera, ovvero la Coppa Italia vinta nel 1990/91 (ai danni della Sampdoria). Nell’estate del 1994 decide di accettare l’offerta del Como in Serie B, ci resta una sola stagione per poi prendere la decisione più delicata della sua carriera: ritirarsi a soli 31 anni. Sembra una follia ed, invece, impara, in fretta e bene, l’arte del dirigente. In pochi anni ritorna al Torino. Prima si occupa delle giovanili poi viene scelto come direttore generale dal patron Cairo, ruolo che svolge tutt’ora. Poi, come detto, c’è tutto il resto: “Ho sempre avuto una passione per l’arte. Quadri, affreschi e ora le cartoline d’epoca. Pensare che sono state realizzate 80/100 anni fa mi trasmette un senso di piacere immenso. Mi ritrovo con altri collezionisti che hanno la mia stessa passione. Ne ho da tutto il mondo e quasi nessuna ha a che vedere con il calcio. Perché? Penso al calcio tutto il giorno, questa passione alternativa mi permette di ritrovare il mio equilibrio. E poi devo anche dire che è un hobby in forte crescita, quindi c’è sempre più gente con cui condividere questa passione”. Nulla da aggiungere, una mente pensante…
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COMI, L’ECLETTICO
UN PREMIO IMPORTANTE
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L'IMPORTANZA DELLA FAMIGLIA
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Comi sa quanto conta avere delle persone vere al fianco...
ma, anche quando non tutto girava per il meglio, ha sempre dato il massimo per il bene del Torino. Ha dimostrato caparbietà, grandi capacità, genialità e notevole intuito. Ripeto, il merito di tutto va a lui”. Direttore generale del Torino ma anche padre di Gianluca Comi, bomber di grandi qualità… Che consigli gli stai dando? “Se gli elargisco dei consigli, è solo perché me li chiede. Qualche volta vado a vederlo ma credo che lui debba fare la sua strada, come è giusto che sia. So solamente che, quando era piccolo, era in mano, nel settore giovanile del Torino, a persona validissime e questo è ciò che conta maggiormente per poi far bene nel proprio futuro da calciatore”. Vero ma ti farà comunque un certo effetto avere un figlio calciatore… “Sicuramente, è una grande emozione ma io sono orgoglioso della persona, prima che del fatto che sia calciatore”.
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Come si migliora questo Torino? “Beh, intanto devo dire che la continuità in seno alla società è un valore aggiunto importante. Continuare a lavorare con le stesse persone è un vantaggio. Poi, ogni anno, ci sono degli inserimenti mirati. Penso a Bava, arrivato per rinverdire il settore giovanile e scelto insieme al presidente. Anche in prima squadra, c’è un gruppo di lavoro notevole che compren-
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Mio figlio? Qualche volta vado a vederlo ma credo che lui debba fare la sua strada, come è giusto che sia de tutti quanti. Come si può migliorare? Direi che la nostra crescita è costante. Il Toro ha fatto i passi giusti nei momenti giusti. Direi che il presidente, da questo punto di vista, è un maestro…”.
ti direbbe che ne ho tantissime… Ultimamente mi sono appassionato alle cartoline d’epoca degli anni Venti. Delle vere e proprie opere d’arte. Mi piace talmente tanto che uscirà un mio libro con le mie cartoline d’epoca…”. Ve lo avevamo anticipato, Antonio Comi non è il classico ex calciatore… La passione per le cartoline d’epoca la dice lunga sulla sua persona. La classica mosca bianca. Un vero piacere l’averlo conosciuto e intervistato. Il “distacco” iniziale è svanito… Sempre al Caffè Ginori, a tarda serata, va in scena una bella riunione di amici. Sono al tavolo con Comi, Collovati e Pruzzo. Si parla, tanto, di calcio ma non solo… Si respira un’atmosfera goliardica e non solo per la sublime location… Ne è valsa la pena.
Voi state bene, eppure il calcio italiano, vedi Parma e Catania, non se la passa benissimo… “Credo che queste situazioni abbiano aperto gli occhi a tanti. Ci sarà una maggior prevenzione, non ho dubbi. Io batto sempre sul tasto stadi che potrebbe davvero fare la differenza per il nostro calcio”. Solo calcio o ci sono anche altre passioni? “Se la domanda la girassi a mia moglie,
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SPECIALE STORIA - COPPA DEI CAMPIONI
di Gabriele PORRI
Incredibile ma vero, il Nottingham si conferma sul tetto d’Europa…
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ANCORA INGHILTERRA Gli inglesi continuano a dominare in Coppa Campioni
Peter Shilton
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a vittoria del Nottingham Forest è stata forse la più grande sorpresa dalla creazione della Coppa dei Campioni, nel frattempo giunta alla sua 25ª edizione. I campioni in carica sono tra i favoriti, ma sono inferiori al Liverpool, tornato a vincere il campionato, al Milan della stella, all’Amburgo di Keegan e Hrubesch. Soprattutto, gli addetti ai lavori vedono con favore il Real Madrid di Vujadin Boskov, anche perché la finale sarà giocata al Bernabeu. Il torneo prevede la disputa di una partita preliminare, che mette di fronte irlandesi del nord e quelli repubblicani, nel momento in cui i rapporti tra Ulster ed Eire sono al minimo storico. L’andata nella Repubblica d’Irlanda vede, come prevedibile, incidenti tra le tifoserie e la polizia, Dundalk-Linfield termina 1-1 e l’UEFA è costretta a far giocare il ritorno in Olanda, ad Haarlem. Lì il Dundalk trova la vittoria per 2-0 con doppietta di Muckian, in mezzo Feeney sbaglia il rigore del possibile 1-1. L’avventura del Dundalk prosegue poi grazie a un sorteggio fortunato che lo oppone ai maltesi dell’Hibernians, sconfitti 3-0 nel computo totale, per terminare agli ottavi contro il Celtic. Nel primo turno non mancano le sorprese, con l’uscita prematura di Liverpool e Milan. I Reds, sorteggiati con i forti campioni sovietici della Dinamo Tbilisi, sono battuti 2-1 ad Anfield. In Georgia gli inglesi sono disturbati fino alle quattro del mattino da una manifestazione studentesca vicino all’albergo e la Dinamo ha vita facile con il gol di Gutsev, il tap-in di Shengelia dopo una lunga sgroppata di Chileya e il 3-0 con Chivadze su rigore. I rossoneri hanno visto partire il mister Nils Liedholm dopo lo scudetto, al suo posto è arrivato Massimo Giacomini, artefice della doppia promozione dell’Udinese dalla C alla A. L’andata col Porto, in trasferta, termina con un promettente 0-0, grazie alla grande prova di Albertosi e dei giovani centrali Collovati e Baresi. Il risultato fa dire ai commentatori nostrani che i rossoneri sono ormai qualificati, ma costoro non hanno fatto i conti con il brasiliano Duda, che dopo un’ora di gioco batte una punizione dal limite che Albertosi non trattiene, sbattendogli sul petto, sul palo e infine in rete. Il Milan dovrebbe fare due gol, ma i fischiatissimi Chiodi e Antonelli non cavano un ragno dal buco, termina 1-0 per i lusitani, che proseguono così il proprio cammino mentre i rossoneri concluderanno una stagione disastrosa con la retrocessione per il calcioscommesse. I campioni del Forest ricominciano da dove avevano finito, contro una squadra svedese, stavolta l’Östers Vaxjö. Gli scandinavi si difendono bene per un’ora al City Ground, prima di subire la doppietta di Ian Bowyer.
SPECIALE COPPA DEI CAMPIONI/ 1979-1980 Quindici giorni dopo, un errore di Anderson dà il via libera a Nordgren, che spaventa gli inglesi, ma Tony Woodcock nel finale trova il gol che chiude il discorso. Il Real rifila tre reti ai bulgari del Levski, passa l’Amburgo sul Valur e poi tutte le altre favorite. L’Ajax ne fa 16 in 180’ all’HJK Helsinki, Soren Lerby grazie anche al 10-0 sull’Omonia agli ottavi vincerà la classifica marcatori con 10 reti. Senza altre sorprese, si passa agli ottavi dove, come spesso accade, gli outsider non riescono a confermarsi. La Dinamo Tbilisi viene sconfitta dall’Amburgo sia all’andata che al ritorno, nonostante l’illusorio vantaggio iniziale in entrambe le partite. Più equilibrato l’altro big-match, tra Porto e Real Madrid, capitanato dall’unico superstite della coppa del 1966, Pirri. Per gli spagnoli le cose si mettono male quando il Porto è avanti 2-0 al Das Antas, con doppietta di Fernando Gomes. Nella ripresa, l’arbitro concede una punizione a due in area al Real, per la perdita di tempo del portiere lusitano, che Laurie Cunningham trasforma. Nonostante ciò, al Bernabeu il Real raggiunge il gol della qualificazione solo al 74’, con Benito di testa su cross di Cunningham. Passa il Forest, che batte i rumeni dell’Arges Pitesti, ai quarti arriva anche lo Strasburgo che supera il Dukla Praga ai supplementari, con un gol dello svizzero Decastel. A proposito di elvetici, il Servette esce per mano della Dinamo Berlino, famigerata squadra della Stasi, i servizi segreti della Germania Est, che ha preso il dominio domestico dopo anni di vittorie della Dinamo Dresda. Detto di Ajax e Celtic, completa il quadro delle qualificate ai quarti l’Hajduk Spalato, vincitore dei danesi del Vejle. Visti i superstiti, sembra che il discorso vittoria sia a tre: i detentori allenati di Clough, l’Amburgo e il Real, con l’Ajax possibile quarto incomodo. L’urna dell’UEFA è benevola, perché non mette nessuna di queste squadre contro. Al Real Madrid tocca il Celtic, e anche in questo caso va sotto di due gol dopo avere dominato fino allo 0-0: a differenza di Porto, il risultato resiste al fischio finale dell’italiano Lattanzi. Boskov è fortunato a non incassare il terzo al Bernabeu (traversa di McCluskey) e Cunningham in gran forma fa due assist, prima per Santillana, poi per Stielike. Nel finale, Juanito di testa batte Latchford e il Bernabeu esplode di esultanza. Se la vede malissimo il Forest, che incappa nell’ottima difesa della Dinamo Berlino e perde al City Ground con gol di Riediger in contropiede. Squalificato in difesa Kenny Burns, persa la finale di Coppa di Lega prima del ritorno, le quotazioni del Forest sono in discesa, ma emerge il talento di Trevor Francis, che sigla una doppietta. I rigori di Robertson e Terletzki non cambiano nulla, nei 180’ prevalgono di misura gli inglesi. L’Amburgo deve vedersela con l’Hajduk,
sconfitto all’andata con un gol contestato di Reimann. Sembra facile in Jugoslavia per i tedeschi, avanti 2-1 al 24’, ma l’Hajduk ribalta il punteggio ed esce di scena soltanto per i gol in trasferta. L’ultimo spot per le semifinali è appannaggio dell’Ajax, che con lo Strasburgo esce indenne dalla Meinau e rifila un sonoro 4-0 ai francesi tra le mura amiche, coi soliti Arnesen e Lerby sugli scudi. Sono proprio gli olandesi a contendere la finale al Forest, che si porta in vantaggio poco dopo la mezzora con Francis, su corner di Robertson. È lo scozzese, “l’ala con la pancia”, fumatore incallito, a realizzare il 2-0 su rigore, che basta alla squadra delle East Midlands per raggiungere la seconda finale di fila, poiché ad Amsterdam, dopo parecchi salvataggi di Shilton, Lerby segna un solo gol che toglie al Forest l’imbattibilità esterna, ma non la finale. Dall’altra parte, il Real Madrid affronta l’Amburgo col piglio di chi vuole giocare la finale sul proprio campo. Alla corrida del Bernabeu i tedeschi fanno la parte del toro, ma per loro fortuna due gol madridisti nei primi sette minuti sono annullati. Le reti arrivano soltanto nella ripresa, entrambe con Santillana che approfitta dei cali di tensione nella difesa tedesca. Con la finale in tasca, le Merengues arrivano al Volksparkstadion, ma chi di rimonta ferisce, di rimonta perisce. Al 17’, i tedeschi hanno già pareggiato i conti con Kaltz e Hrubesch, alla mezzora Cunningham beffa con un pallonetto Kargus, fuori dai pali, ma prima del riposo ancora Kaltz su rigore e Hrubesch portano avanti l’HSV anche nel computo totale. Gli attacchi degli spagnoli nella ripresa sono sterili e il 5-1 di Caspar Memering nel finale è la ciliegina sulla torta. Il Bernabeu è quindi mezzo vuoto per la finale, senza i padroni di casa e con due squadre di medio cabotaggio. Non esce una bella partita, ma comunque finisca è l’epilogo di una bella favola. Clough deve fare a meno di Francis che si è rotto il tendine di Achille, dall’altra parte Zebec deve lasciare l’acciaccato Hrubesch in panchina e commette l’errore di inserire King Kevin al centro dell’attacco, dove viene neutralizzato dagli avversari. Al 20’ Robertson entra in area e batte Kargus con un destro in diagonale che colpisce il palo interno prima di entrare. Reimann trasforma in gol una ribattuta di Shilton su tiro di Magath, ma si gira e vede il guardalinee con la bandierina alzata. È il pericolo più grosso corso dagli inglesi, nemmeno l’ingresso nella ripresa di Hrubesch a mezzo servizio cambia il corso degli eventi. Clough festeggia il secondo titolo di fila per il Forest, quarto per gli inglesi, ma è il canto del cigno per una piccola stella che ha brillato per troppo poco tempo, portando a casa il massimo risultato: due Coppe dei Campioni con un solo campionato vinto. Calcio 2OOO
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SEMIFINALE 1
SEMIFINALE 2
FINALE
NOTTINGHAM FOREST-AJAX 2-0 (1-0)
REAL MADRID-AMBURGO 2-0 (0-0)
NOTTINGHAM FOREST-AMBURGO 1-0 (1-0)
Mercoledì 9 aprile 1980, ore 19:30 NOTTINGHAM (Stadio "City Ground") Arbitro: André DAINA (SUI) Spettatori: 31.244
Mercoledì 9 aprile 1980, ore 20:45 MADRID (Stadio "Santiago Bernabeu") Arbitro: Vojtech CHRISTOV (TCH) Spettatori: 95.000
Mercoledì 28 maggio 1980, ore 20:30 MADRID (Stadio "Santiago Bernabeu") Arbitro: Antonio DA SILVA GARRIDO (POR) Spettatori: 51.000
NOTTINGHAM FOREST: Peter SHILTON, Vivian ANDERSON, Frank GRAY, John MC GOVERN (cap.), Laurence LLOYD, Kenneth BURNS, Martin O'NEILL, Stanley BOWLES, Garry BIRTLES, Trevor FRANCIS, John ROBERTSON Commissario tecnico: Brian CLOUGH.
REAL MADRID: Mariano GARCIA REMON, Angel PEREZ GARCIA, José Antonio CAMACHO, PIRRI, Andres SABIDO, Vicente DEL BOSQUE, JUANITO [87' Roberto MARTINEZ], ANGEL, SANTILLANA, Ullrich STIELIKE, Lawrence CUNNINGHAM Commissario tecnico: Vujadin BOSKOV.
NOTTINGHAM FOREST: Peter SHILTON, Vivian ANDERSON, Frank GRAY [78' Brynley GUNN], John MC GOVERN (cap.), Laurence LLOYD, Kenneth BURNS, Martin O'NEILL, Ian BOWYER, Garry BIRTLES, Gary MILLS [67' John O'HARE], John ROBERTSON Commissario tecnico: Brian CLOUGH.
AJAX: Pieter SCHRIJVERS, Peter BOEVE, Piet WIJNBERG, Kees ZWAMBORN, Rudolf KROL (cap.), Søren LERBY, Henning JENSEN, Frank ARNESEN, Tseu LA LING [51' Karel BONSINK], Simon TAHAMATA, Dick SCHOENAKER Commissario tecnico: Leo BEENHAKKER.
GARA DI ANDATA
Reti: 33' Trevor FRANCIS, 60' rigore John ROBERTSON.
Reti: 67' e 78' SANTILLANA.
AMBURGO: Rudolf KARGUS, Manfred KALTZ, Peter NOGLY, Dietmar JAKOBS, Ivan BULJAN, Holger HIERONYMUS [46' Horst HRUBESCH], Kevin KEEGAN, Caspar MEMERING, Jürgen MILEWSKI, Felix MAGATH (cap.), Willi REIMANN Commissario tecnico: Branislav ZEBEC. Rete: 20' John ROBERTSON.
Ammonito: 35' Felix MAGATH.
Ammonito: 75' Søren LERBY.
Ammoniti: 21' Kenneth BURNS, 72' Peter NOGLY.
AMBURGO-REAL MADRID 5-1 (4-1)
AJAX-NOTTINGHAM FOREST 1-0 (0-0)
Mercoledì 23 aprile 1980, ore 20:15 AMSTERDAM (Stadio "Olympisch") Arbitro: Nicolae RAINEA (ROU) Spettatori: 54.955
Mercoledì 23 aprile 1980, ore 20:15 AMBURGO (Stadio "Volkspark") Arbitro: Alberto MICHELOTTI (ITA) Spettatori: 61.000
AJAX: Pieter SCHRIJVERS, Peter BOEVE, Willem MEUTSTEGE, Piet WIJNBERG, Rudolf KROL (cap.), Søren LERBY, Henning JENSEN, Frank ARNESEN, Tseu LA LING, Karel BONSINK [46' Kees ZWAMBORN], Dick SCHOENAKER Commissario tecnico: Leo BEENHAKKER.
AMBURGO: Rudolf KARGUS, Manfred KALTZ, Peter HIDIEN, Peter NOGLY, Ivan BULJAN, Dietmar JAKOBS, Kevin KEEGAN, Caspar MEMERING, Horst HRUBESCH, Felix MAGATH (cap.), Willi REIMANN Commissario tecnico: Branislav ZEBEC.
NOTTINGHAM FOREST: Peter SHILTON, Vivian ANDERSON, Frank GRAY, John MC GOVERN (cap.), Laurence LLOYD, Kenneth BURNS, Martin O'NEILL, Ian BOWYER, Garry BIRTLES, Trevor FRANCIS, John ROBERTSON Commissario tecnico: Brian CLOUGH. Rete: 65' Søren LERBY. Ammoniti: 19' Peter BOEVE, 39' Willem MEUTSTEGE.
GARA DI RITORNO
GARA DI RITORNO
AMBURGO: Rudolf KARGUS, Manfred KALTZ, Peter HIDIEN, Dietmar JAKOBS, Peter NOGLY, William HARTWIG, Kevin KEEGAN, Jürgen MILEWSKI, Horst HRUBESCH, Felix MAGATH (cap.), Willi REIMANN Commissario tecnico: Branislav ZEBEC.
REAL MADRID: Mariano GARCIA REMON [32' MIGUEL ANGEL], Angel PEREZ GARCIA, José Antonio CAMACHO, PIRRI (cap.), Gregorio BENITO, Vicente DEL BOSQUE, JUANITO [88' Roberto MARTINEZ], ANGEL, SANTILLANA, Ullrich STIELIKE, Lawrence CUNNINGHAM Commissario tecnico: Vujadin BOSKOV. Reti: 10' Manfred KALTZ, 17' Horst HRUBESCH, 31' Lawrence CUNNINGHAM, 40' rigore Manfred KALTZ, 45' Horst HRUBESCH, 90' Caspar MEMERING. Ammoniti: 30' Mariano GARCIA REMON, 35' Kevin KEEGAN, 42' Vicente DEL BOSQUE, 75' Manfred KALTZ. Espulso: 84' Vicente DEL BOSQUE.
foto Agenzia Liverani
GARA DI ANDATA
SPECIALE COPPA DEI CAMPIONI/ 1979-1980
FULVIO COLLOVATI
Franco baresi
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Calcio 2OOO
foto Agenzia Liverani
di Pierfrancesco TROCCHI
ACCADDE A.../SETTEMBRE
SETTEMBRE
S
ettembre non sancisce soltanto il passaggio dall’estate alle stagioni più fredde e non è semplicemente, per noi appassionati, il momento in cui i campionati iniziano ad entrare nel vivo. Settembre è mese di purificazione, di rinascita, dove il sole si trova nel segno della Vergine e le viti, metafora della crescita paziente e proficua, offrono i propri frutti. Non è casuale che un contesto così rigoglioso, tornando al mondo del pallone, abbia ospitato la fondazione della prima società calcistica italiana. Era il 7 settembre 1893 e a Genova nasceva il Genoa CFC.
IL GIORNO DEL GENOA Data storica per il popolo rossoblù
7 SETTEMBRE 1893, il giorno in cui prendeva vita il Genoa C.F.C. 80
Calcio 2OOO
foto Image Sport
IL GRIFONE METTE LE ALI
QUATTRO AMICI AL BAR Prendiamo dal titolo di una delle più note canzoni del genovese Gino Paoli l’ispirazione per iniziare a dipingere gli albori del club rossoblu. Se vogliamo essere precisi, gli amici non erano esattamente quattro, bensì dieci, e il “bar” era la sede del consolato britannico del capoluogo ligure. Perché l’incontro si tenne proprio nell’ambasciata inglese? La risposta viene da lontano e non è legata a mere questione sportive. Genova è da sempre città di mare, quasi necessariamente, come se l’Appennino alle sue spalle la spingesse con forza verso il Tirreno. Passata l’epoca delle Repubbliche Marinare, La Superba non perse la sua vocazione di snodo commerciale per le navi che solcavano il Mediterraneo. In particolare, la nuova fioritura ebbe luogo dopo il 1869, quando venne terminata la costruzione del Canale di Suez, in grado di collegare il mare nostrum degli antichi romani all’Oceano Indiano, con conseguente aumento del traffico mercantile tra Europa, Africa e Asia. Già, ma gli inglesi che c’entrano? Protagonisti dell’epoca coloniale, gli anglosassoni si sono sempre dimostrati lupi di mare, con i porti di ogni parte del mondo pronti ad ospitarli. Genova non faceva eccezione e la sua comunità britannica s’ingrossava di anno in anno. I commercianti provenienti dal Regno Unito, benché lontani dalla propria patria, cominciarono così ad introdurre nel Bel Paese anche le proprie abitudini sportive, che prevedevano, oltre al cricket e alla pallanuoto, il football. Gli italiani, che inizialmente rimasero straniti da questi sport di
squadra a loro inusuali, passo a passo si appassionarono e presero a praticare in particolar modo il calcio. Così, i nostri “amici” compresero che questo gioco avrebbe potuto ottenere anche in Italia la stessa diffusione di cui già godeva in Inghilterra e quel 7 settembre si riunirono al civico 10 di via Palestro per ratificare la creazione di una società cui potesse fare riferimento chiunque volesse cimentarvisi. I fondatori di quello che in origine si chiamava Genoa Cricket and Athletic Club erano gentlemen di nobile estrazione sociale, i cui nomi riteniamo meritevoli di menzione: S. Green, George Dormer Fawcus, E. De Thierry, George Blake, H.M. Sandys, W. Rilley, Johnathan Summerhill Sr. e Jr., Charles De Grave Selles e Charles Alfred Payton. Furono soprattutto gli ultimi due, rispettivamente presidente e patron del neonato club, a farsi promotori di quest’iniziativa, con il console Payton, nonché baronetto dell’Impero Britannico, a giocare un ruolo principale nell’ufficializzazione del circolo. HELLO, I’M MR. WOLF Originariamente, la sezione football del Genoa ricopriva un’importanza secondaria, in quanto il gioco del pallone veniva considerato in terra d’Albione adeguato soltanto alle classi sociali meno agiate. Il Grifone, che in prima battuta vestiva di bianco, iniziò a disputare le proprie partite nel contesto della Piazza D’Armi del Campasso, spazio messo a disposizione da due industriali scozzesi. I match non proponevano un livello qualitativo elevato, in quanto si svolgevano tra i soci stessi o contro improvvisate compagini di ginnasti e marinai inglesi. La situazione cambiò radicalmente nel 1896 per mano di un insospettabile signore, attraversato da una grande passione per il pugilato e, soprattutto, per il calcio. Sbarcato in città come medico di bordo, Sir James Richardson Spensley riusciva ad essere, grazie alla sua straordinaria intelligenza, anche corrispondente per il Daily Mail, generoso filantropo e abilissimo organizzatore. Le sue capacità di gestione lo fecero diventare, prendendo spunto dalla figura dell’infallibile risolutore di problemi del tarantiniano Pulp Fiction, una sorta di Mr. Wolf ante litteram , perché è grazie a lui che il football all’ombra della Lanterna – e non solo – divenne molto più di un passatempo. Inseritosi nel quadro dirigente del Genoa, nel 1897
Spensley riuscì a far accettare la mozione per l’ingresso nel club di soci italiani e, poco dopo, ottenne per la squadra un nuovo campo da gioco, situato a Ponte Carrega e più adeguato alle necessità di uno sport che radunava sempre maggior interesse. Mancava solo un passo, ossia trovare avversari all’altezza. CHI BEN COMINCIA… Detto, fatto, perché l’ingegnoso britannico ebbe un’idea così lungimirante da gettare le basi per l’intero movimento calcistico italiano. Il 6 gennaio 1898 il medico mise in scena il suo capolavoro quando a Ponte Carrega si giocò la prima sfida di football tra società rappresentanti di diverse città italiane. Davanti a 208 spettatori, i genoani disputarono un match contro una selezione di giocatori dell’International e del Football Club, compagini di Torino. Poco importa se il Grifone perse per 1 a 0, perché da qui nacque l’idea di dar vita al primo campionato italiano di calcio e all’organismo che ne regolasse le modalità (la FIF, Federazione Italiana Football). Non servì molto tempo: quattro mesi più tardi, l’8 maggio, a Torino si contesero il trofeo nazionale quattro squadre, tra cui l’unica a non provenire dal capoluogo piemontese era il Genoa, che si aggiudicò il titolo. E Spensley? Nel doppio ruolo di difensore e portiere fu protagonista del trionfo, un successo che permise allo stesso Sir di cambiare la denominazione della società in Genoa Cricket and Football Club, eliminando il generico ‘Athletic’. Questo è soltanto l’esordio di due colori, il rosso e il blu, diventati negli anni un’orgogliosa identità. foto Liverani
ACCADDE A...
Targa Nella casa di James Spensley Calcio 2OOO
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di Stefano BENETAZZO
DOVE SONO FINITI/ OTTORINO PIOTTI
OTTORINO PIOTTI
L’EROE DI LISBONA
SEMPRE PROTAGONISTA Quasi 20 anni di carriera, giocati da vero numero 1
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Due chiacchiere con Piotti, portiere che nessuno ha dimenticato…
foto Agenzia Liverani
tifosi dell’Atalanta lo ricordano ancora oggi come “l’eroe di Lisbona”, gli anni stupendi ad Avellino diedero il via alla sua carriera, il buon legame con il Milan nonostante quattro anni non semplici, l’attuale occupazione, tanti vivi ricordi e dei ringraziamenti speciali. Tutto questo e molto altro è Ottorino Piotti, ex portiere tra le altre di Avellino, Milan e Atalanta che si è confidato in esclusiva con Calcio2000 in una piacevolissima e sincera chiacchierata.
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Calcio 2OOO
Ha iniziato la carriera nella Gallaratese, squadra della città natale, dove ha fatto tutta la trafila nel settore giovanile. Che tempi erano quelli? “Iniziai due anni prima in una squadra di seconda categoria a Cardano al Campo (provincia di Varese, a due passi da Gallarate, ndr.) per poi passare alla Gallaratese che militava in Promozione. All’epoca il settore giovanile equivaleva ai nostri attuali campionati juniores. A quei tempi si giocava per divertimento, senza nessun tipo di rimborsi spese, si giocava per passione”. Come mai la scelta di fare il portiere? Cosa le piaceva del ruolo? “Giocavo attaccante ma all’oratorio si ruotavano molto i ruoli, ed era anche un bene perché si imparava a fare tutto, e iniziai cosi la mia carriera. Mi piaceva esprimermi in maniera spettacolare, sfruttando le mie doti”. Quali erano i suoi punti di forza? E quelli di debolezza? “Avevo tanta esplosività e reattività, facendo poi salto in alto il ruolo mi permetteva di esaltare queste doti, ad Avellino ero risultato nei test del salto uno dei migliori in Italia. Di contro mi mancava il tuffo sulla sinistra ma non esistendo i preparatori
foto Agenzia Liverani
DOVE SONO FINITI
SEI ANNI ALL'ATALANTA
Piotti ha indossato la casacca nerazzurra dal 1984 al 1990
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Giocavo attaccante ma all’oratorio si ruotavano molto i ruoli, ed era anche un bene perché si imparava a fare tutto
le migliorie si apportavano in maniera autonoma. Il primo preparatore l’ho avuto a 30 anni all’Atalanta. Con le doti che avevo e con le preparazioni di oggi, forse avrei potuto esaltare ancor di più le mie caratteristiche”. Un anno a Gallarate con la prima squadra e poi il trasferimento al Como per la stagione ’74-’75. Cosa ricorda dei suoi inizi? “Il salto è stato importante, a Gallarate oltre a giocare lavoravo in banca e la scelta di lasciare una certezza per una strada a rischio era difficile e complicata. A Como l’impatto è stato duro, gli allenamenti e i carichi di lavoro erano pesanti ma sono sempre stato tenace e non mollando mai mi sono adeguato e tutto è andato per il meglio”. L’anno dopo è a Bolzano dove gioca quasi tutte le partite prima del ritorno al Como nel ’76-’77. “Bolzano è coinciso con la leva militare e non è stata una passeggiata, tra l’altro ero in una caserma dove non avevo i permessi; iniziai come secondo portiere e dopo poche partite l’allenatore mi diede fiducia e mi sono guadagnato il posto da titolare”. Estate 1977: il passaggio all’Avellino, dove rimane tre anni, è decisivo per la sua carriera? “Si, anche ad Avellino si è ripetuta la storia di Bolzano, quasi non mi facevano entrare in sede non sapendo chi fossi e sostenendo che il portiere lo avevano già (ride, ndr.). Sono andato sapendo di avere zero possibilità di giocare e poi sia con un po’ di fortuna che con la mia tenacia ho guadagnato il posto e ho quasi sempre giocato”. Gli irpini ottengono la prima storica promozione in Serie A, lei debutta nel massimo campionato a 24 anni, in tre anni non salta nemmeno una partita e in più battete una corazzata come il Milan: quante soddisfazioni si è tolto in quel periodo? “Sì, è stata una cavalcata incredibile, ad AvelliCalcio 2OOO
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DOVE SONO FINITI/ OTTORINO PIOTTI
POTEVA ANDARE AL MONDIALE Bearzot lo chiamò per portarlo in Messico...
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Sono legato al Milan, per gli anni passati in Serie B; una volta il giocatore non sapeva niente, era di totale proprietà della società
LA SUA CARRIERA
“L’Atalanta è stata una grandissima soddisfazione, soprattutto quando siamo stati l’unica squadra in stagione a giocare in Europa, arrivando in semifinale di Coppa delle Coppe. Forse portavo fortuna: ho giocato 5 volte in Serie B e ho ottenuto 5 promozioni, l’Avellino ha ottenuto la prima promozione in Serie A, l’Atalanta per la prima volta giocò le coppe, con il Genoa anche. Probabilmente ero un portafortuna (ride, ndr.)” Ancora oggi è ricordato come “l’eroe di Lisbona” assieme a Cantarutti: ci spiega il motivo? “A Lisbona andammo decimati, dopo la vittoria per 2-0 dell’andata, giocavamo in un ambiente infuocato e per di più ero capitano; c’era un tifo infernale, abbiamo giocato quasi sempre in trincea schiacciandoci nella nostra area. Penso di aver fatto una buona partita assumendomi più responsabilità tentando anche uscite azzardate per aiutare i compagni”. Era anche stato soprannominato “il John Travolta della domenica pomeriggio”, come mai? “Era nato ad Avellino per una vaga somiglianza con John Travolta e poi perché in quel periodo ero nel “mirino” del pubblico femminile, nonostante fossi già sposato (ride, ndr), ma è stata una cosa che finì subito”. Capitolo Nazionale: solo due gettoni con la formazione olimpica. Non pensava di meritare di più? “Avevo davanti un’icona come Zoff, oltre ad Albertosi e Bordon, i tre migliori portieri della storia. All’Atalanta mi chiamò Bearzot mettendomi in
Di Stefano Benetazzo
Ripercorriamo i momenti più salienti vissuti da Piotti…
O
ttorino Piotti nasce a Gallarate, in provincia di Varese, il 31 luglio del 1954 (1.82 per 76 Kg). Dopo gli inizi nella squadra di Cardano al Campo (Varese) e nella Gallaratese, si trasferisce al Como in Serie B nel 1974-’75; l’anno dopo è a Bolzano, militante nell’allora Serie C, dove si conquista il posto da titolare per poi fare ritorno a Como, ancora nel campionato cadetto. Nel 1977 passa all’Avellino, dove rimane tre stagioni senza saltare nemmeno una partita e ottenendo una storica promozione in Serie A al primo anno. Gioca nel massimo campionato nei due anni successivi sempre con gli irpini. Passa al Milan nel 1980, rimanendovi quattro anni suddivisi tra Serie B e Serie A prima del passaggio all’Atalanta (dall’ottobre del 1984 al 1990): tre stagioni in Serie A, una tra i cadetti e altre due ancora in A. Chiude la carriera al Genoa NEL 1991 sempre nel massimo campionato italiano. Nel suo palmares vanta due vittorie del campionato di Serie B con il Milan (1980-’81 e 1982-’83), 1 Mitropa Cup sempre con i rossoneri nel 1982 oltre alla storica prima promozione con l’Avellino e alla prima volta dell’Atalanta in Europa, in Coppa delle Coppe, dove raggiunge la semifinale di Coppa delle Coppe. Appesi scarpe e guantoni al chiodo, intraprende la
LA FORZA DELLA TENACIA
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Piotti non si è mai arreso, incredibile la sua determinazione
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Calcio 2OOO
carriera prima di procuratore, dopodiché di direttore sportivo sia della Solbiatese che del Voghera per poi ritornare a svolgere il ruolo di procuratore. In totale ha collezionato 369 presenze subendo 340 reti, senza essere mai ammonito e subendo solamente due espulsioni (dati Lega Serie A, ndr.).
preallarme per i mondiali in Messico ma poi preferirono portare Zenga, allora giovane emergente. Ma non ho nessun rimpianto”. Come tutti anche Lei si sarà ispirato a qualcuno; chi era il suo idolo e il suo modello? “Da ragazzo mi piaceva molto e cercavo di imitare Lido Vieri (ex portiere tra le altre di Torino e Inter, ndr.), in seguito mi è piaciuto tanto Luciano Castellini (ex numero uno di Monza, Torino e Napoli, ndr.), che incontrai da avversario. Erano portieri spettacolari che concedevano parate plastiche alla platea”. Cosa fa, oggi, Ottorino Piotti? Di cosa si occupa? “Ho fatto il direttore sportivo in squadre di Serie C per un periodo prima di defilarmi un pochino dal mondo del calcio. Sono ritornato successivamente collaborando con una società di procuratori di Milano. Dopodiché sono stato un anno e mezzo nel settore giovanile dell’Atalanta come capo scout affiancando Mino Favini per poi tornare a fare il procuratore, con l’intento di trovare giovani a cui poter dare una possibilità”. Tre aggettivi per descrivere Ottorino Piotti sia
foto Agenzia Liverani
foto Agenzia Liverani
no c’era tantissimo entusiasmo, sono stati tre anni ricchi di soddisfazione. È stata un’esperienza che, personalmente, mi ha consacrato nel calcio”. Il Milan era nel suo destino: il debutto contro i rossoneri (battuto solo a 12 minuti dalla fine da Buriani, ndr), una storica vittoria e le ottime parate la portano proprio a Milano. Emozioni o rimpianti? “Sono legato al Milan, soprattutto dopo gli anni passati in Serie B; una volta il giocatore non sapeva niente, era di totale proprietà della società. Quando smisi, a 15-20 anni di distanza, venni a sapere che in quel periodo avevo 5-6 richieste da squadre importanti come Napoli e Lazio e avrei potuto sfruttare meglio la situazione, anche se la Serie B non se la immaginava nessuno. È stata comunque una grande gioia”. Quattro anni con il Milan, due in Serie A e due in B e il dualismo con Giulio Nuciari: cosa hanno rappresentato quei quattro anni? “Anni di sofferenza e di gioia, era difficile giocare in Serie B e dover vincere tutte le domeniche; non era il Milan di adesso, ci furono tante vicissitudini non solo societarie ma prendo sempre il lato positivo delle cose. Avrei potuto tener duro fino all’avvento di Berlusconi, ma la voglia di giocare era tanta e, nonostante le parole di incoraggiamento di Mister Liedholm, decisi di accettare l’offerta dell’Atalanta”. Chiusa l’esperienza col Milan, ha trascorso sei anni all’Atalanta, prima della chiusura al Genoa. Come giudica la sua carriera?
DOVE SONO FINITI/ OTTORINO PIOTTI
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Il John Travolta della domenica pomeriggio? Soprannome nato ad Avellino per una vaga somiglianza con il noto attore
come portiere che come uomo. “Sicuramente la tenacia. Sono sempre stato poi una persona perbene e in questo mondo non è mai facile, modesto, trattando sempre tutti allo stesso modo senza distinzioni e umile, forse fin troppo. Non ho mai voluto partecipare a trasmissioni esaltando così la mia carriera; per di più anche quando andavo in giro mi nascondevo per non farmi riconoscere. Per me era tutto normale. Però non ho rimpianti di nessun genere”. C’è qualcuno in particolare a cui deve dire grazie? “Sicuramente a mio padre che nel momento di scegliere tra l’impiego in banca e la carriera da calciatore mi ha spronato a tentare con il calcio e poi Villiam Vecchi (fino a poche settimane or sono nello staff di Carlo Ancelotti al Real Madrid, ndr.) dal quale, nel secondo anno a Como, seppur giocavo molto poco, standogli dietro mi ha aiutato molto e mi ha fatto fare il salto di qualità”. Ultima domanda: i tre attuali migliori portieri in circolazione, sia italiani che mondiali? “Faccio una classifica generale, dicendo Manuel Neuer, Gianluigi Buffon e Thibaut Courtois”. Calcio 2OOO
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LIGA SPAGNA
di Paolo BARDELLI
foto Liverani
Il biancoverde è finalmente tornato di moda...
BENTORNATO BETIS Dieci anni fa il trionfo, oggi la rinascita
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uante cose cambiano in dieci anni, dal 2005 al 2015 è passato ben più di un decennio. In mezzo c'è un'era calcistica. Di certo è cambiato il modo di intendere il brand legato allo sport, la diffusione di internet ha giocato un ruolo fondamentale e non vogliamo annoiarvi con discorsi nostalgici. Ci basterà però farvi un nome e anche il più duro avrà un sussulto: Denílson. Giocatore da spot, a lui vivere nell'epoca di youtube avrebbe fatto davvero comodo. Un marchio celebre, più per il gusto barocco della giocata che per il 86
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palmares, comunque più che valido. I suoi numeri con la maglia della Seleçao sono rimasti in mente a molti, ma quella verdeoro non è l'unica maglia alla quale il destino del fantasista si è legato. C'è quella del San Paolo, certo, ma in Europa ci ricordiamo di lui per le gesta con la maglia del Betis Siviglia. Proprio con Los Verdiblancos Denílson ha vinto l'ultimo titolo della propria carriera, la Copa del Rey 2005. Ultimo alloro anche per il club andaluso, che da quel momento ha vissuto tempi difficili. Torniamo al successo di Coppa, il gol di Ricardo Oliveira, il pareggio dell'Osasuna con John Aloi-
Rubén Castro
si. Curioso notare come entrambi siano passati dalle nostre parti, il brasiliano fece cilecca al Milan, mentre l'australiano realizzò un curioso record con la maglia della Cremonese: il gol più veloce in Serie A per un calciatore straniero. Uno a uno al termine dei regolamentarsi, al minuto 114 Daniel Martín fa la storia con una botta in diagonale. È trionfo Betis, Coppa del Re al cielo e quarto posto in campionato che vale l'accesso alla Champions League. Mai una squadra andalusa nel torneo più importante prima di allora. L'esperienza tra i grandi dura poco, seguente la "retrocessione" in Europa League con l'eliminazione per mano della Steaua Bucarest. È una squadra forte quella di Lorenzo Serra Ferrer, è la squadra di Joaquín e di Marcos Assunção, fascia di capitano sul braccio di Juanito, difensore d'acciaio. Nel 2007 le celebrazioni per il centenario, festeggiato con un'amichevole contro il Milan, nel frattempo però il gruppo dei recenti successi saluta. Ben 14 le partenze, quattro
allenatori nel giro di due anni, le cose vanno male e la stagione 2008/2009 termina con la retrocessione. Proteste feroci da parte del popolo biancoverde, sul piede di guerra anche una bandiera del passato come Gordillo, nel mirino c'è la scarsa programmazione del presidente Manuel Ruiz de Lopera. Il 7 luglio 2010 l'imprenditore lascia il trono, a margine di una situazione già complicata arrivano condanne e indagini a carico di Lopera. Il resto è storia recente, Pepe Mel riporta il Betis dove deve stare e Rubén Castro che a suon di gol riesce pure a salvare i suoi nelle due stagioni seguenti. Amara la temporada 2013/2014, una di quelle che sembrano stregate. La squadra non è male e compie pure un bel percorso in Europa League, dalla quale viene eliminato per mano dei cugini del Siviglia. Un dramma vero e proprio. Tragedia a tinte ancora più fosche considerato che i biancorossi continuano ad alzare trofei e il povero Betis si ritrova nuovamente in cadetteria. Niente paura, c'è il solito Rubén Castro - capocannoniere del torneo - la risalita è immediata. Il Betis si ripresenta nella massima categoria partendo dalle proprie certezze. Abbiamo detto di Castro, ma non dimentichiamoci Pepe Mel, che dopo un'esperienza poco esaltante al West Bromwich Albion, ha ripreso il timone biancoverde l'anno scorso. La società si sta muovendo bene sul mercato, ma come dimostra la sollevazione di piazza nei confronti di Lopera (si parla di un suo ritorno, la tifoseria è pronta a fargli cambiare idea...). È arrivato Pezzella dal River Plate, Didier Digard è un buon puntello per la mediana. Il francese ha esperienza internazionale e potrà farsi valere anche in Spagna dopo le belle cose fatte a Nizza. Attenzione al brasiliano Petros, che con la maglia del Corinthians lo scorso anno ha dimostrato buone doti in cabina di regia. Poi c'è Rafael van der Vaart, che torna in Spagna dopo l'esperienza al Real Madrid. Una scommessa di Eduardo Macía, direttore tecnico del club biancoverde dallo scorso aprile. Giunto a Firenze quattro anni fa al seguito di Corvino, lo spagnolo è riuscito a ritagliarsi uno spazio sempre più importante. Il Betis gli chiede anni sereni dopo stagioni tribolate. Non solo Italia nel suo curriculum, le esperienze a Valencia e Liverpool portano i contatti giusti in dote alla causa betica.
VDV, IL RITORNO IL GITANO TORNA A CASA DI MAMMA, FINALMENTE
foto Liverani
VOGLIA DI RISCATTO
Rafael van der Vaart
Per chi è cresciuto in un caravan park, vivere viaggiando è più che normale. E ne ha fatta di strada quel ragazzo nato nel nord dell'Olanda. Parliamo di Rafael Ferdinand van der Vaart, un vero gitano del pallone. Padre di etnia Jenisch, la terza popolazione nomade per numero dopo i più noti Rom e Sinti, e madre andalusa. Il destino lo ha riportato nella terra materna, ma casa sua è il mondo intero e Rafael delle proprie origini non fa mistero. "Forse non è uno stile di vita normale, ma mi è sempre piaciuto. Giocavo sempre a calcio per strada, poi a dieci anni sono andato all'Ajax e ci sono rimasto 12 anni". Facile, no? Caratterino mica da ridere, restano nella storia i suoi scontri con l'amico/ nemico Zlatan Ibrahimovic. Dopo uno scontro di gioco, Van der Vaart accusò Ibra di essere entrato intenzionalmente sulla sua caviglia, lo svedese chiuse la questione con un "Se mi accusi ancora, ti spezzo tutte e due le gambe. Stavolta, di proposito". Pochi sono in grado di affrontare Zlatan, ma a Rafael non manca il carattere. Parliamo del più giovane capitano nella storia dell'Ajax. Ottiene la fascia pure all'Amburgo, problemi fisici lo limitano ma la classe è cristallina. Poi il Real, così così, Tottenham, di nuovo Amburgo e adesso il Betis. 32 candeline spente a febbraio, il fuoco dentro però non è sopito. Sentimenti burrascosi, il suo matrimonio terminato dopo l'accusa di abusi sulla bella Sylvie Meis ha scatenato il polverone. Chiedetegli gol, chiedetegli assist, ma non chiedetegli di cambiare. Il ragazzo cresciuto nel caravan si piace così. Calcio 2OOO
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PREMIER LEAGUE INGHILTERRA
di Luca MANES
IL CASO BOURNEMOUTH
IL DOMINIO DELLE BIG
In Inghilterra è difficile sorprendere i grandi club...
Cesc Fàbregas
foto Imago/Image Sport
In Championship le sorprese sono ancora possibili…
foto Imago/Image Sport
carsi sulle vette più alte della Premier, dovendo però accontentarsi – si fa per dire – di un “semplice” settimo posto. Se però le grandi si aggiudicano le coppe nazionali, come accaduto quest'anno, proprio il settimo posto diventa utile per la qualificazione in Europa League. Meglio che niente!
MENO SORPRESE Nelle ultime 20 stagioni, sono 13 i club hanno alzato almeno un trofeo in terra inglese...
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Calcio 2OOO
come sanno bene in Francia da quando il PSG è diventato un costoso giocattolo in mano al Qatar, oppure nelle altre principali leghe europee, con i vari Barcellona/Real Madrid, Bayern Monaco e Juventus a fare incetta di titoli. In Inghilterra qualche brivido lo regala soprattutto il torneo più antico del mondo, la FA Cup, che quest'anno ci ha fatto vivere la bella favola del Bradford City, compagine di terza serie capace di violare in rimonta lo Stamford Bridge, e del Middlesbrough corsaro all'Etihad Stadium del Man-
José Mourinho
foto Imago/Image Sport
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e statistiche parlano chiaro: nelle ultime 20 stagioni i principali 60 trofei messi in palio dal calcio inglese – Premier League, Coppa d'Inghilterra e Coppa di Lega – sono stati vinti solo da 13 squadre. Nel ventennio precedente il totale era di 22, mentre dal 1954 al 1975 se ne contavano 24, sebbene la League Cup si sia iniziata a giocare solo nel 1960. Insomma, nel calcio inglese l'equilibrio e le sorprese si stanno riducendo sempre di più. Non che questa polarizzazione sia un'esclusiva del Beautiful Game,
chester City. Però poi la coppa l'hanno sollevata quelli dell'Arsenal in una delle finali meno combattute di sempre, contro l'Aston Villa. Sempre nella storica manifestazione negli ultimi tempi come unico atto conclusivo tra due outsider si ricorda il match del 2008 tra Portsmouth e Cardiff City, deciso da un goal dell'ex interista Nwankwo Kanu. Ma se almeno nelle coppe qualche piacevole eccezione tra i vincitori ogni tanto spunta – vedi il Wigan in FA Cup nel 2013 o lo Swansea City in League Cup lo stesso anno – è il campionato la cartina di tornasole di quanto sia sparita l'alternanza ai vertici. Il gap tra le prime sei del 2014-15 (Chelsea, Manchester City, Arsenal, Manchester United, Tottenham e Liverpool) e la altre appare molto difficile da colmare, basta vedere come in passato siano stati rarissimi gli inserimenti nell'élite di altre squadre (Everton, Newcastle, Leeds e Blackburn, ma non in tempi recentissimi). Il Southampton ha provato ad arrampi-
Intendiamoci, come abbiamo già raccontato anche da queste colonne, nel secolo scorso non sono mancati i top team che hanno fatto man bassa di trofei. Pensiamo al Manchester United nell'era di Matt Busby o il Liverpool dominante degli anni Settanta e Ottanta. Però capitava che una piccola come il QPR potesse arrivare secondo (1976), che il Derby County o addirittura la neo-promossa Nottingham Forest riuscissero addirittura a salire sul trono di campione d'Inghilterra (rispettivamente nel 1972 e nel 1978), o che ancora una matricola come il Watford, alla sua primissima esperienza nell'allora First Division (1982-83), si lasciasse alle spalle squadroni come Manchester United e Arsenal per poi arrendersi solo al Liverpool di Dalglish e Rush. E pensare che la Premier è la lega con una delle più eque divisioni dei diritti televisivi. Però per quel che riguarda gli altri introiti una certa sperequazione rimane. Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, ci si può consolare con la lotta per non retrocedere. Un campionato nel campionato che coinvolge sempre 8-9 compagini e le sorprese – vedi il “miracolo” del Leicester City qualche mese fa – non mancano.
Se al vertice della Premier l'equilibrio e le sorprese latitano, in Championship la musica è ben altra. L'esito della scorsa stagione è un'ulteriore riprova. A vincere il campionato, ma soprattutto a salire nella massima divisione per la prima volta nella sua storia, è stato il piccolo AFC Bournemouth. Squadra della costa meridionale dell'Inghilterra che non più tardi di sette anni fa militava in League Two, ovvero nella quarta serie del football d'oltre Manica. Come se non bastasse, se la passava anche maluccio dal punto di vista finanziario. Proprio nel campionato 2008-09 fu costretto a partire con una penalizzazione di 17 punti a causa dei conti non in regola, evitando la retrocessione in Conference per un soffio. Poi la rinascita, “aiutata” dai denari di Maxim Vadim, un imprenditore russo con interessi nel settore petrolifero. Non proprio uno a livello di Roman Abramovich, ma che ha investito parecchio nel Bournemouth, puntando forte su Eddie Howe, giovane allenatore dal gioco molto offensivo e a tratti spettacolare. A parte la non fortunatissima esperienza al Burnley, Howe ha sempre allenato le Cherries, per cui ha anche giocato, fino al prematuro ritiro a causa di un grave infortunio. Ora lo aspetta il compito più difficile, salvare il club del Dean Court dall'immediato ritorno in Championship. Secondo gli analisti della società di consulenza Deloitte se la promozione può valere intorno ai 130 milioni di sterline, la permanenza in Premier un altro centinaio di milioni. Tanta roba... Calcio 2OOO
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BUNDESLIGA GERMANIA
di Flavio SIRNA
foto Liverani
Immobile lascia la Bundes, senza aver incantato
IN FUGA DALLA BUNDES Il Made in Italy in Germania non ha lasciato il Segno come ci si attendeva…
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a stagione del calcio tedesco edizione 2014-2015 ha visto trionfare il Bayern Monaco di Guardiola in Bundesliga ed il Wolfsburg di Perisic ed Hecking in Coppa di Germania. È stata invece tutt'altro che trionfale l'annata per i rappresentanti italiani (in campo o in panchina) che hanno calcato i campi teutonici: parliamo in particolar modo di Ciro Immobile, Roberto Di Matteo, Luca Caldirola e Giulio Donati. Partiamo dal Ciro 'nazionale': arrivato in pompa magna al Dortmund per sostituire Le90
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wandowski, l'ex Torino ha inizialmente illuso tutti gli addetti ai lavori per poi scomparire lentamente. Colpa di un ambientamento mai avvenuto in toto ed anche (non ce ne voglia il ragazzo) delle sue qualità, non adatte ad una squadra come quella di Klopp: per i gialloneri ci sarebbe voluto un giocatore maggiormente capace di partecipare alla manovra (sia con movimenti che con assist per i compagni), non un semplice finalizzatore. Adesso Ciro cercherà riscatto nella Liga, con la maglia del Siviglia. La sua esperienza tedesca si è chiusa con 34 presenze
totali e 10 goal (3 in Bundesliga, 4 in Champions League e 3 in Coppa di Germania). E' durata ancora meno (7 mesi) l'esperienza di Di Matteo sulla panchina dello Schalke 04: chiamato a sostituire Keller, l'obiettivo, neanche troppo eccessivo e tutt'altro che irrealizzabile, del club della Veltins Arena, era quello della qualificazione ai preliminari di Champions League (quarto posto). L'eccessiva altalena delle prestazioni dei suoi ragazzi e l'incapacità dell'italo-svizzero di dare alla squadra una identità di gioco ben precisa, hanno portato un misero se-
sto posto. Di Matteo, nell'occhio del ciclone, nonostante un contratto sino al giugno del 2017, è stato “obbligato” alle dimissioni. Un triste epilogo per colui che in Germania, precisamente all'Allianz Arena, ha colto il successo più importante della sua carriera da manager (la Champions League con il Chelsea). È stata sulla 'difensiva' anche la stagione di Caldirola al Werder Brema e di Donati al Bayer Leverkusen. Il duttile 24enne, dopo una prima positiva stagione con la maglia biancoverde degli anseatici (33 presenze), è stato invece totalmente accantonato nel 2014-2015, collezionando solamente 7 presenze in Bundesliga e 1 in Coppa di Germania. Nè Dutt prima né l'ucraino Skripnik successivamente gli hanno voluto dare fiducia. Motivo per il quale, nonostante un contratto sino al giugno del 2017, il ragazzo sta adesso cercando una nuova sistemazione. Capitolo Donati: come il connazionale Caldirola l'anno dell'ex Inter è stato
fortemente negativo. La fascia destra lo ha visto protagonista solamente in 16 occasioni (8 presenze in Bundesliga e 5 in Champions League), Schmidt ad un certo punto, senza mezzi termini, lo ha praticamente fatto fuori complice anche l’infortunio che lo ha tenuto fuori quasi due mesi). La grossa delusione per quanto accaduto, siamo sicuri, non sarà stata lenita nemmeno dal goal messo a segno in ambito europeo contro lo Zenit San Pietroburgo. Anche per lui, nel tentativo di rilanciare la sua carriera, si è parlato di un ritorno in Serie A: gli iniziali approcci di Inter e Napoli non sono però successivamente proseguiti. Ragione per la quale, Giulio è destinato a restare tra le fila delle Aspirine, con le quali ha un contratto sino al giugno del 2017. Quanto descritto cozza clamorosamente con il passato dei nostri tricolori in Bundesliga: in termini temporali l'ultimo successo è quello firmato da Andrea Barzagli, protagonista nel Meisterchale vinto dal Wolfsburg nella stagione 2008-2009 (vincitore ma con poche presenze anche l'ex Parma Zaccardo). Ottime anche le prime due stagioni di Molinaro con la maglia dello Stoccarda (non è andata bene coi biancorossi a Camoranesi). Più datati invece i festeggiamenti posti in essere da Luca Toni (89 presenze e 58 goal, 1 Bundesliga, 1 Coppa di Germania ed una Coppa di Lega tedesca) e Ruggiero Rizzitelli (57 presenze e 12 goal) con la maglia del Bayern Monaco, e da Nevio Scala sulla panchina del Borussia Dortmund (una sola stagione sufficiente per trionfare in Coppa Intercontinentale). Bisogna risalire alla stagione 1997-1998 per vedere trionfare Giovanni Trapattoni sulla panchina del Bayern (sulla quale si è seduto in due occasioni, 19941995 e 1996-1998): 1 Bundesliga, 1 Coppa di Germania ed 1 Coppa di Lega tedesca. All'Allianz Arena è stato solo di passaggio (prestato sei mesi dal Milan) del terzino Massimo Oddo (27 presenze totali). Nove anni dopo la conquista da parte dell'Italia di Lippi del Mondiale tedesco, di tricolore quindi in Germania ne è rimasto veramente poco. La speranza è che in futuro la nostra bandiera possa nuovamente sventolare in maniera fiera in Baviera e dintorni.
PIÙ PARTENZE CHE ARRIVI
Nonostante le casse gonfie, la Bundes perde troppi pezzi pregiati
foto Image Sport
ADDIO CIRO
DOUGLAS COSTA
Il calciomercato della Bundesliga non decolla. Attivo il Bayern con Douglas Costa (30 milioni) e il bianconero Vidal (circa 40). Di contro i bavaresi hanno salutato Schweinsteiger, passato al Manchester United, e al secondo di Neuer, Pepe Reina, tornato al Napoli (al suo posto è arrivato Ulreich dallo Stoccarda; dai biancorossi è stato anche prelevato per 8,5 milioni di euro il 20enne centrocampista Kimmich). In uscita sono invece da segnalare il passaggio di Immobile dal Dortmund al Siviglia ed i 40 milioni pagati dal Liverpool per strappare Firmino all'Hoffenheim. In entrata è meno recente il passaggio di Kruse dal Monchengladbach al Wolfsburg per 12 milioni e gli 11 che il Dortmund ha versato nelle casse del Leverkusen per l'esterno 28 enne di doppia nazionalità (tedesca e spagnola) Gonzalo Castro. Dopo l’ottima stagione in Bundesliga si è mosso con anticipo il Borussia Monchengladbach: la squadra di Favre ha riscattato Thorgan Hazard dal Chelsea (8,5 milioni) e strappato alle Aspirine per 10 milioni l’attaccante svizzero Drmic. Per ovviare a quest’ultima partenza Schmidt avrà a disposizione Mehmedi, pagato al Friburgo 8 milioni. Due milioni in meno invece sono stati necessari per riscattare dallo Schalke 04 il difensore greco classe 1992 Papadopoulos. La squadra della Veltins Area, con Di Matteo dimissionario, ha invece già speso un totale di 28 milioni per il trio formato dall’ex- Mainz Geis, dal serbo Nastasic (riscattato dal City) e dal terzino destro brasiliano ex Ludogorets Junior Caicara. Calcio 2OOO
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LIGUE 1 FRANCIA
di Renato MAISANI
foto Imago/Image Sport
Troppi campioncini lasciano la Ligue 1 in giovane età
FRANCIA PIù POVERA?
biare aria. E anche questa sessione di mercato ha confermato tale trend.
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ome ogni estate, gli appassionati della Ligue 1 si domandano a che punto si trovi il loro campionato nella graduatoria virtuale dei campionati più prestigiosi d’Europa. E in questo caso nessun ranking e nessun calcolo aritmetico riuscirebbe mai a dar loro una risposta soddisfacente. Il livello di una lega, infatti, non può essere meglio definito che dall’analisi delle squadre e dei calciatori che ne fanno parte. E la Ligue 1, ultimamente, sta allestendo compagini e formando talenti che poco hanno da invidiare a quelli che calcano i campi di 92
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Liga, Premier, Bundesliga e Serie A. L’appeal della Ligue 1, però, specialmente agli occhi dei calciatori stessi, sembra faticare a decollare. Un segnale abbastanza chiaro di ciò, è dato dall’esodo al quale, anno dopo anno, hanno assistito e continuano ad assistere i tifosi francesi, costretti a vedere alcuni dei calciatori più talentuosi abbandonare il campionato transalpino per trasferirsi altrove. Spesso attratti dai milioni ma, ancor più spesso, dalla possibilità di misurarsi con avversari e campionati più competitivi, i talenti più puri della Ligue 1, colgono al balzo l’occasione di cam-
Ferreira Carrasco
foto Image Sport
Partenze eccellenti, la Ligue 1 deve ricominciare da zero, o quasi…
KONDOGBIA, IMBULA & CO. Nel momento in cui scriviamo non è ancora noto il futuro di Top Player del calibro di Ibrahimovic, Thiago Silva, Cavani e Lacazette, ma sono già tanti i calciatori che hanno detto addio (o forse arrivederci) alla Ligue 1, cedendo alle lusinghe dei club stranieri. Il trasferimento che ha certamente fatto più rumore è stato quello di Geoffrey Kondogbia, che ha deciso di lasciare il Monaco per trasferirsi all’Inter. Già, non alla Juventus o alla Roma che gli avrebbero offerto la possibilità di disputare la Champions League, ma al club nerazzurro che non disputerà nemmeno la prossima Europa League. Una scelta, dunque, dettata in principal modo dalla volontà – nemmeno tanto mascherata dallo stesso Kondogbia – di prendere parte ad un campionato storicamente prestigioso come la Serie A e di indossare una maglia storica-
mente importante come quella dell’Inter. Secondo questa logica, però, risulta più difficile comprendere la scelta di Giannelli Imbula, centrocampista del Marsiglia a lungo accostato proprio all’Inter ma che, sul più bello, ha scelto il Porto. Non è stata certo la competitività della Primeira Liga portoghese ad attrarre il ragazzo nato nelle Fiandre, piuttosto – forse – la possibilità di prendere parte alla Champions League o, più probabilmente, un ricco contratto. Ferreira Carrasco ha invece ceduto alle lusinghe dell’Atletico Madrid di Simeone e, in questo caso, la scelta risulta quanto meno comprensibile. Decisamente più curiose sono invece le scelte operate da Dimitri Payet e, soprattutto, Yohan Cabaye. Il primo, ha deciso di lasciare il Marsiglia per trasferirsi al West Ham, non certo un club di vertice in Premier League. Cabaye, addirittura, ha lasciato il PSG per accettare la proposta del ‘modesto’ Crystal Palace, così come Tabanou che vestirà la maglia dello Swansea dopo aver resistito per anni alle lusinghe dei top club europei che hanno provato a strapparlo prima al Tolosa e poi al Saint Etienne. Insomma, per un motivo o per un altro, molti dei giocatori più validi della Ligue 1 al termine della stagione dicono addio al campionato francese. Chi per soldi, chi per vestire maglie di club più blasonati, chi semplicemente per misurarsi con un campionato più competitivo, ma la sostanza non cambia: anno dopo anno la ‘fuga dei campioni’ si ripete e costringe i club francesi a puntare su nuovi giovani, provenienti da campionati nazionali di rango inferiore, per rilanciare le proprie ambizioni. E così, dal Portogallo, dal Belgio o addirittura dalla Ligue 2 vengono pescati nuovi talenti, pronti a mettersi in mostra nella massima serie francese e a rilanciare le ambizioni dei club bravi a scovarli per rimpiazzare nel migliore dei modi i partenti. E così, anno dopo anno, il ciclo si ripete. La Ligue 1 “pesca”, forma e vende. Senza mai riuscire a consolidare la propria posizione di ‘top league’ europea. E l’effetto domino, inevitabilmente, non si placa: più talenti lasciano la Ligue 1, meno sono indotti a restarvi, meno campioni militano nel campionato francese e meno appetibile risulterà il campionato agli occhi dei calciatori che militano in Liga o Serie A, per esempio. Il classico gatto che si morde la coda e
FRANCIA CAMPIONE DEL MONDO in Ligue 1 è approdato qualche elemento interessante, come ElSha foto Image Sport
TALENTI IN USCITA
Stephan El Shaarawy
Fortunatamente, però, la Ligue 1 non fa registrare soltanto partenze eccellenti. Il fascino e la visibilità del campionato transalpino e la disponibilità economica non certo indifferente di alcuni club francesi, continua ad attirare ottimi calciatori. E così, Kevin Trapp, promettente portiere tedesco in forza all’Eintracht Francoforte, ha detto addio alla Bundesliga per difendere i pali del PSG, mentre il difensore tunisino Karim Rekik ha lasciato il Manchester City per giocarsi le sue chances al Marsiglia. Il Monaco, come sempre tra i club più attivi sul mercato, ha ottenuto dal Milan Stephan El Shaarawy, una delle potenziali stelle del calcio italiano, ma è stato capace anche di strappare Guido Carrillo all’Independiente (e alla folta concorrenza) e Ivan Cavaleiro, ala destra di sicuro valore, al Benfica. In Ligue 1 sono approdati anche Kevin TheophileCatherine (al Saint Etienne dal Cardiff), Yacouba Silla (al Rennes dall’Aston Villa) e Kolbeinn Sightorsson (al Nantes dall’Ajax), oltre a Mauro Goicoechea, portiere non molto rimpianto dai tifosi della Roma, che ha accettato la proposta del Tolosa. E di carne al fuoco, ancora, ce n’è molta. Il “ricambio”, dunque, non manca. Ma quali livelli potrebbe raggiungere la Ligue 1 se riuscisse anche a trattenere i suoi talenti migliori? che costringe la Ligue 1 a galleggiare nel limbo tra i campionati più prestigiosi d’Europa e “gli altri”. Un posizionamento che sta sicuramente stretto ad una Federazione che ha dimostrato a più riprese di poter ambire a qualcosa di più. Calcio 2OOO
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PHOTOGALLERY L'ALTRO VOLTO DEL CALCIO
di Thomas SACCANI - foto Image Sport
PHOTOGALLERY /L'ALTRO VOLTO DEL CALCIO
LE BELLE DEL CALCIO I
Dietro ad un grande calciatore, c'è (quasi) sempre una grande donna...
l mondo del pallone è meraviglioso. Ci sono le squadre, i campioni ma anche le wags, ovvero le compagne dei protagonisti in campo, quelle che rendono il tutto ancor più affascinante. Non ci fossero, bisognerebbe inventarle... Qualcuna ama le luci della ribalta, altre preferiscono il dietro le quinte ma, ognuna a modo proprio, sono delle star...
Sara Carbonero, compagna di Iker Casillas
Ilaria D'Amico, compagna di Gianluigi Buffon 94
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Roberta Sinopoli, moglie di Claudio Marchisio
Melissa Satta, compagna di Kevin-Prince Boateng Calcio 2OOO
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PHOTOGALLERY / L'ALTRO VOLTO DEL CALCIO
Ilary Blasi, moglie di Francesco Totti
Wanda Nara, moglie di Mauro Icardi 96
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PHOTOGALLERY / L'ALTRO VOLTO DEL CALCIO
Michela Quattrociocche, moglie di Alberto Aquilani
Martina Maccari, moglie di Leonardo Bonucci
Sarah Felberbaum, compagna di Daniele De Rossi
Shakira Mebarak, compagna di Gerard PiquĂŠ
Valentina Baldini, compagna di Andrea Pirlo
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scovate da CARLETT www.carlettoweb.com
BENZEMA Sempre attivo sui Social, qui ostenta un fisico già in formissima per cominciare l'ennesima stagione con il Real Madrid.
Grande amante del golf, il campione inglese del Manchester United ne approfitta per giocarci in occasione dello stop estivo del campionato.
DE GEA
SCHELOTTO
Giocatori in vacanza e in giro per il mondo come De Gea che è andato a godersi Wimbledon fotografandosi con il finalista sconfitto Federer.
GUARIN Dal dover lasciare l'Inter al diventarne un leader, eccolo con Nagatomo e Icardi la sera del raduno.
INIESTA C'è chi ne approfitta per fare il giro del mondo e chi per sposarsi, è il caso del pluricampione del Barcellona Andreas Iniesta.
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ROONEY
Gita a Lourdes con la compagna per il campione italo-argentino Schelotto.
STROOTMAN Sfortunatissimo il centrocampista olandese. Augurandogli un rilancio immediato eccolo in un simpatico selfie sul pulmino romanista con Florenzi, Totti e Gervinho.
VERRATTI Campione in Francia con il PSG, titolare in Nazionale, non ha mai giocato in serie A. Pronto per ripartire il talentino italiano Verratti.
Il DJ/Speaker di RTL 102.5 Carlo CARLETTO Nicoletti seguirà i profili Instagram e Twitter dei giocatori più importanti del pianeta Calcio e ci segnalerà le foto e i tweet più divertenti e particolari. Segnalate quelle che magari potrebbero sfuggirgli scrivendogli al suo profilo Instagram e Twitter: @carlettoweb
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