Calcio 2000 n.223

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Calcio

BE €8,00 | F €11,50 | PTE CONT €7,50 | E €7,50 | CHCT chf 8,50

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CALCIO2000 È TUTTO NUOVO SCOPRILO!!! foto Agenzia Liverani

Bimestrale | AGOSTO-SETTEMBRE 2016 | N. 223 | Italia | Euro 3,90

La rivista diretta da FABRIZIO PONCIROLI

Esclusiva Gabriele ORIALI “INTER? ECCO LA VERITÀ”

Speciale Marcelo BIELSA I SEGRETI DE EL LOCO

Esclusiva Carlo TAVECCHIO “HO UN GRANDE SOGNO”

Speciale DI NATALE STORY OMAGGIO AD UN FUORICLASSE

SPECIALE

MANO DE DIOS 30 anni fa MARADONA ingannava il mondo

ESCLUSIVA MATTEO DARMIAN

“L’OLD TRAFFORD È MAGICO”


sommario n.223 4

Anno 19 n. 7 agosto-settembre 2016

issn 1126-1056

LA BOCCA DEL LEONE di Fabrizio Ponciroli

Registrazione al Tribunale di Milano n.362 del 21/06/1997 - Iscritto al Registro Operatori di Comunicazione al n. 18246

6 matteo darmian INTERVISTA ESCLUSIVA di Francesca Ceciarini 16 carlo tavecchio INTERVISTA ESCLUSIVA di Francesco Fontana

EDITORE

6 24 antonio di natale storie di calcio di Antonello Schiavello 32 speciale MANO DE DIOS PARTITE PER SEMPRE di Fabrizio Ponciroli 38 speciale MAGLIA INTER LE MAGLIE RACCONTANO di Francesco Ippolito

32 44 Stephan Lichtsteiner intervista esclusiva di Sergio Stanco 48 gianluca pagliuca intervista esclusiva di Pierfrancesco Trocchi 56 LEGA PRO - TRASTEVERE

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60 GABRIELE ORIALI I GIGANTI DEL CALCIO di Francesco Fontana 70 CHAMPIONS LEAGUE ’90/’91

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Speciale sTORIA di Gabriele Porri

IL PROSSIMO NUMERO sarà in edicola il 10 settembre 2016

TC&C S.r.l.

Statistiche

Distribuzione

Mepe S.p.A. Via Ettore Bugatti, 15 20142 Milano Tel +39 0289592.1 Fax +39 0289500688

I NUMERI DELLA SERIE A

NUMERO CHIUSO IL 30 Giugno 2016

Realizzazione Grafica

Stampa

di Stefano Borgi

98 SCOVATE da CARLETTO RTL

Fotografie

Image Photo Agency (imagephotoagency.it), Agenzia Aldo Liverani, Federico De Luca.

Tiber S.p.A. Via della Volta, 179 25124 Brescia Tel. +39 0303543439 Fax. +39 030349805

DOVE SONO FINITI?

Calcio 2OOO

Redazione

Marco Conterio, Luca Bargellini, Gaetano Mocciaro, Chiara Biondini, Simone Bernabei, Lorenzo Marucci, Pietro Lazzerini, Tommaso Maschio, Lorenzo Di Benedetto.

e-mail: media@calcio2000.it

86 Carsten Jancker L’ALFABETO DEI BIDONI di Fabrizio Ponciroli 92 statistiche

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Diretto da

Fabrizio Ponciroli

Contatti per la pubblicità:

74 MARCELO BIELSA IL PERSONAGGIO di Fabrizio Ponciroli

Michele Criscitiello

Redazione Calcio2000

82 Alessandro RENICA

DIRETTORE RESPONSABILE

Sergio Stanco, Francesca Ceciarini, Francesco Fontana, Gabriele Porri, Antonello Schiavello, Stefano Borgi Francesco Ippolito, Simone Toninato, Pierfrancesco Trocchi, Tania Esposito, Carletto RTL.

di Simone Toninato

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TC&C srl Strada Setteponti Levante 114 52028 Terranuova Bracciolini (AR) Tel +39 055 9172741 Fax +39 055 9170872

Hanno collaborato

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www.calcio2000.it Calcio2000 è parte del Network


L'EDITORIALE di Fabrizio PONCIROLI

direttore@calcio2000.it

Bimestrale | AGOSTO-SETTEMBRE 2016 | N. 223 | Italia | Euro 3,90

Calcio

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CALCIO2000 È TUTTO NUOVO SCOPRILO!!! foto Agenzia Liverani

2OOO La rivista diretta da FABRIZIO PONCIROLI

Esclusiva Gabriele ORIALI “INTER? ECCO LA VERITÀ”

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SPECIALE MANO DE DIOS

Speciale Marcelo BIELSA I SEGRETI DE EL LOCO

Calcio

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d eccoci qui, ancora una volta… Che estate ragazzi… Sportivamente parlando non possiamo lamentarci: Europei, Copa America e Olimpiadi!!! Che tris d’assi… E, attenzione, dietro l’angolo c’è l’inizio della nuova stagione, con mille spunti e tante novità. Una grossa novità è anche il passaggio, di Calcio2000, a bimestrale. In tanti mi avete chiesto il perché di questa decisione. Due motivi (e sapete che sono sempre sincero). Prima motivazione: in mente ho sempre avuto una rivista, la nostra/vostra rivista per l’esattezza, con più storie e meno attualità. Il passato mi stimola tantissimo, per il presente ci sono altri mezzi di comunicazione per viverlo intensamente. E, quindi, spazio ad un Calcio2000 con più racconti, con un occhio nostalgico, ma affascinato ai tempi che furono… Con un bimestrale, la storia diventa primaria. Lo avrete già capito, visto la cover dedicata alla Mano de Dios… Seconda motivazione: in Italia (e non solo) il cartaceo fatica e, con un bimestrale ci sono meno spese e più tempo in edicola. Capite da soli che è un doppio vantaggio da non sperperare… Ma state sereni, nessun ridimensionamento, anzi il contrario… Ora c’è spazio per divertirsi per davvero e narrare di campioni e momenti che hanno fatto del calcio il gioco più bello al mondo… In questo numero abbiamo iniziato a divertirci… Dal miracolo di Maradona al meraviglioso El Loco Bielsa, passando per un doveroso omaggio a Pagliuca e Di Natale, oltre alla gloriosa storia delle maglie dell’Inter. Senza dimenticare i personaggi di oggi. Tavecchio e Darmian meritano la vostra attenzione… Insomma, Calcio2000 è entrato in una nuova dimensione, un cambio di pelle voluto e necessario, nella speranza che sia di assoluto gradimento anche per voi, cari amici… Se vi conosco un po’ (credo proprio di sì) sono convinto che, nel giro di qualche numero, apprezzerete lo sforzo… E, ricordatevi, sto lavorando anche per le statistiche… Un’altra battaglia che voglio vincere!!! Buona lettura e grazie del supporto…

N. 223 - AGOSTO-SETTEMBRE 2016

SI CAMBIA PELLE…

Esclusiva Carlo TAVECCHIO “HO UN GRANDE SOGNO”

Speciale DI NATALE STORY OMAGGIO AD UN FUORICLASSE

SPECIALE

MANO DE DIOS

ESCLUSIVA MATTEO DARMIAN

“L’OLD TRAFFORD È MAGICO”

30 anni fa MARADONA ingannava il mondo

“Le abitudini sono come una fune. Ne intrecciamo un trefolo ogni giorno e ben presto non riusciamo più a spezzarla”

www.calcio2000.it Calcio 2OOO

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LA BOCCA DEL LEONE di Fabrizio Ponciroli - foto Image Sport UN PO’ DI DOMANDE Gent.mo direttore Fabrizio Ponciroli, da collega volevo porle una domanda ben precisa: non pensa che, anche solo rispetto a vent’anni fa, mediamente parlando, il tasso tecnico dei calciatori sia diminuito drasticamente nel nostro campionato? Non mi fraintenda, ci sono fior fiori di campioni, ma la mia sensazione è che progressivamente ci sia stato un peggioramento in questi ultimi lustri. Se ripenso alle squadre del campionato 1997-1998 (giusto per fare un esempio), convengo che forse, anche solo quel Parma che si classificò sesto, al giorno d’oggi avrebbe fatto faville (Juventus a parte che resta una corazzata). Idem dicasi per le Nazionali, ho come il sospetto che l’Olanda dei Mondiali del ‘98 o degli europei del 2000 al giorno d’oggi avrebbe potuto ottenere ancora di più. Solo rileggere la formazione di Francia ‘98 mi vengono i brividi...certo i paragoni lasciano il tempo che trovano, ma penso di aver reso l’idea. Con la speranza di risentirla, porgo cordiali saluti ed auguri di buon lavoro. La ringrazio per l’attenzione. Alessandro, mail firmata

PERCHÉ BIMESTRALE? Direttore, lei è sempre chiaro e quindi voglio chiarezza: perché bimestrale Calcio2000? Me lo spieghi sono curioso. Che cosa cambierà? Ci dobbiamo aspettare qualche novità? Non è che costerà di più ora, se no me la prendo con lei. Spero mi risponderà sul giornale Paolo, mail firmata Caro Paolo, rispondo a te, così faccio contenti (o scontenti) tutti quelli che mi

Conte è uno dei migliori allenatori al mondo, non ci sono dubbi. Io sono molto

Bimestrale | GIUGNO-LUGLIO 2016 | N. 222 | Italia | Euro 3,90

TM

hanno chiesto informazioni su questo cambio di rotta. La verità: facendo di Calcio2000 un bimestrale si resta in edicola più tempo e quindi hai maggiore visibilità. Inoltre, con un bimestrale, posso cominciare a “virare” verso il Calcio2000 a taglio storico che ho sempre voluto (la cover di questo numero è indicativa, vero?). Ora sì che potete mandarmi vostre richieste. Prezzo? No, resta tutto uguale. Magari aumenteremo le pagine, quello sì. Vedremo… CONTE È IL NUOVO MOURINHO Egregio Direttore, la seguo con interesse ovunque, sia su TV che sul web ma le scrivo qui. Sono un tifoso bianconero e le dico che Conte, al Chelsea, farà benissimo. Lui è uno che non ha paura di niente, che sa farsi voler bene dai propri giocatori. Lo so che è esagerato ma secondo me è il nuovo Mourinho, non crede? Credo che sia un vero peccato che non sia più in Italia. Pensa che lo rivedremo da noi o come Ancelotti l’abbiamo perso per sempre? Complimenti Saverio, mail firmata

N. 222 - GIUGNO-LUGLIO 2016

BUFFON TI ASPETTA CON LA COLLEZIONE UFFICIALE DI FIGURINE UEFA EURO 2016

Caro Alessandro, il passato ha sempre un grande fascino, soprattutto quando si torna indietro di tanti lustri… Comunque, un fondo di verità, nella tua disamina, c’è, in particolare se pensiamo al nostro campionato. Allora avevamo i migliori giocatori al mondo, i Top Player volevano solo la Serie A. Oggi non è così, i grandi giocatori vanno altrove e questo, per forza di cose, ha impoverito il nostro pallone, almeno dal punto di vista tecnico. Pensa che io, ultra quarantenne, mi esalto ancor di più a pensare alle squadre anni ’80. Il Brasile 1982, ad esempio, mi fa impressione. Sulla carta, la squadra più forte di tutti i tempi. Sarà la nostalgia del passato…

Calcio 2OOO il mensile diretto da FABRIZIO PONCIROLI

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L’ALFABETO DEI BIDONI

VRATISLAV GREŠKO

INCUBO 5 MAGGIO…

EDIZIONE SPECIALE CON L’ALBUM UEFA EURO 2016

Speciale Copa AMERICA MESSI CONTRO TUTTI

LA COLLEZIONE UFFICIALE DI FIGURINE

ZInedine Zidane IN TUTTE LE EDICOLE

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Speciale Coppa Campioni 1989/90 L’IMPRESA DEL MILAN

Esclusiva I RE DEL MERCATO BONATO, LO SCOPRITORE DI TALENTI

SPECIALE

UEFA EURO 2016

LE STELLE IN CAMPO!!!

ESCLUSIVA LUCAS CASTRO

“CALCIATORE E MUSICISTA”

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are protected by trademarks and/or copyright of UEFA. All rights reserved.

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The UEFA and EURO 2016 words, the UEFA EURO 2016 Logo and Mascot and the UEFA EURO Trophy

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UEFA EURO 2016

Esclusiva GIGANTI DEL CALCIO MAGRIN, L’EREDE DI PLATINI

ANTONIO CONTE


PER SCRIVERCI: media@calcio2000.it

curioso di vederlo all’opera in Premier League. È abituato a comunicare tanto con i suoi giocatori, sarà costretto a farlo in lingua inglese. Certo è che, se dovesse fare bene al Chelsea, allora sì che il paragone con Mourinho avrebbe cittadinanza. Ritengo che tu abbia ragione: Conte non tornerà in Italia. Ormai ha uno status internazionale, penso che allenerà lontano dai confini nazionali a lungo… PEPITO ROSSI È FINITO? Direttore Ponciroli, sono preoccupato per Pepito Rossi che sembra ormai perso come giocatore. Ha avuto tanti infortuni, ho paura che il suo periodo di grande campione non tornerà più. Lo vedo in difficoltà, come se non avesse più la forza di fare quello che faceva prima in campo. Lei che ne pensa? È destinato a non tornare più quello di un tempo? Grazie per la risposta e complimenti per il giornale Luca, mail firmata Purtroppo non è facile parlare di Giuseppe Rossi. Quando ti capitano così tanti infortuni, non è facile rimettersi in piedi, figurarsi tornare quello di un tempo. Comunque io ho ancora fiducia

GIUSEPPE ROSSI

in Pepito. Parliamo comunque di un classe 1987, quindi con ancora diversi anni da calciatore davanti a sé. Credo che possa ritagliarsi ancora uno spazio importante ma, onestamente, ho dei dubbi sul fatto che possa tornare ad essere quello di un tempo. PRONOSTICI STAGIONE 2016/17 Buongiorno Ponciroli, come ogni anno, eccomi con i pronostici per la prossima stagione. Allora le chiedo: chi vincerà lo Scudetto? Chi andrà in Champions e quali saranno le retrocesse? Chi vincerà il titolo di capocannoniere? Spero mi risponda Fabio, mail firmata Un po’ presto… Ma ci provo… Scudetto alla Juventus, in Champions Inter e Roma. Icardi sarà il capocannoniere. Retrocesse? Davvero difficile, dico Pescara, Crotone ed Empoli ma è tanto per dire ovviamente… RICEVIAMO & PUBBLICHIAMO LA MACCHIA Lo so, non bisognerebbe sfruttare i propri asset per sponsorizzare un proprio prodotto ma, in questo caso, farò un’eccezione. Mi sono cimentato

MASSIMILIANO ALLEGRI

nella stesura di un racconto che nulla a che fare con il mondo sportivo. La Macchia (questo il titolo) è un fanta/ thriller… Si racconta di Tom, adolescente dalla fantasia galoppante. La sua vita quotidiana, tuttavia, è un susseguirsi di sogni destinati a non realizzarsi mai. Il suo sincero e libero amore per Ilenia è fonte di pesanti delusioni. Un giorno accade qualcosa… Mentre sta pescando, rischia di annegare in un luogo chiamato la macchia. Qualcosa cambia radicalmente in Tom. Il suo cammino è segnato in maniera indelebile. Il suo carattere docile si volatilizza, i valori svaniscono. La morte diventa una compagna di viaggio con cui è obbligato a relazionarci e dalla quale non può più fuggire. Chiunque ama, alla fine gli scivola dalle mani. Perché? Può avere ogni cosa, può controllare qualunque persona ma, in fondo al cuore, desidera solo sapere cosa sia realmente accaduto, quel giorno, alla Macchia... Il destino lo riporterà dove tutto ha avuto inizio… Quale è il posto di Tom nel mondo? Cosa è accaduto alla macchia? Qualcuno lo sta osservando? Edito da A.Car Edizioni (http://www.edizioniacar.com/). Disponibile su Amazon, IBS e nelle migliori librerie.

LA MACCHIA

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INTERVISTA MATTEO DARMIAN

L’ITALIANO DI MANCHESTER Nella tana dell’Old Trafford per sapere, dal nostro Darmian, cosa significa essere un Red Devils…

di Francesca Ceciarini foto Francesca Ceciarini

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UN RAGAZZO D'ORO

foto Francesca Ceciarini

Darmian, con la sua umiltĂ , ha conquistato anche Manchester

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INTERVISTA / matteo dArmian

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a mattina che mi dirigo a Carrington, dove si trova il bellissimo centro sportivo del Manchester United, è primavera inoltrata, fine della stagione calcistica: di solito in quel periodo siamo abituati ad andare in giro già a maniche corte, o al massimo con una felpa, specie in Italia. Invece a Manchester no: a Manchester nevica! L’ AON Training Complex, poi, è in mezzo al nulla: il paesaggio ricorda più una tundra russa che le bellissime campagne inglesi che circondano la città, quindi ogni folata di vento diventa una bufera. Un posto così sperduto che perfino il tassista si perde, ma chi ormai saprà il percorso a memoria è Matteo Darmian, terzino dello United e della nazionale italiana. Penso anche che Matteo si sia abituato a questo clima, ma probabilmente non è proprio così: nel momento in cui facciamo qualche foto davanti all’entrata del comTALENTO AZZURRO

foto Image Sport

Nessun aiuto, si è fatto da solo, sempre e comunque

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plesso sportivo lui deve togliersi il piumino e rimane in maniche corte in mezzo a folate di vento che ricordano la bora triestina. “Non sono tante foto, vero?” - mi dice - “No, tranquillo, non ti faccio ibernare”, “Questo tempo è pazzo. Hai visto che poco fa grandinava? Ora sta uscendo il sole…”, “Sì, ma sono tre anni che ormai vivo a Londra, quindi...”, “Ah vivi a Londra? Mi hanno detto che li è un po’ meglio”. “Sì, il clima è un po’ meglio, cambia velocemente ma vediamo spesso anche il sole”, “Allora sei fortunata, qua non si vede quasi mai!”, “Credo di essere stata doppiamente fortunata perché quando sono venuta qui una settimana a marzo, per seguire Champions ed Europa League, ho trovato sei giorni di sole pieno”, “Allora dovresti venire più spesso! Anche se stavolta non è andata così bene...” Comincia così, con uno scambio di opinioni sul rigido e uggioso clima locale fra due ragazzi italiani emigrati in Inghilterra, la mia intervista con il terzino della nazionale, che da un anno è approdato al Man-

chester United, uno dei club più importanti al mondo. Non sembra però di parlare con un giocatore di una squadra così blasonata, l’impressione è più quella di scambiare due battute col ragazzo della porta accanto. Fra qualche giorno ad accoglierlo di fronte alla stessa porta, dove stavamo tremando dal freddo, non ci sarà una semplice giornalista sua connazionale ma José Mourinho, e certo non dobbiamo fare presentazioni per lo Special One. Si spera anche che, essendo luglio, il clima sia anche un po’ più clemente, in modo da lasciargli preparare al meglio una stagione che per i Red Devils, Mou ma anche Darmian si preannuncia importantissima. Proseguiamo il discorso su clima e ambientamento quando ci sediamo per iniziare l’intervista. Chiedo subito a Matteo se ha saputo adattarsi all’ostica Inghilterra, dove non si trovano analogie con il nostro paese non solo nel clima ma anche nel cibo, nella mentalità e molto altro... “Sicuramente ci sono molte differenze rispetto all’Italia, però qua


INTERVISTA / matteo dArmian

Che tipo di vita fate qui a Manchester? Uscite la sera? Con quali compagni hai legato di più e ti ritrovi più spesso? “Sinceramente facciamo una vita normalissima, ci piace passare del tempo insieme, ritagliarci dei momenti per noi, ma qualche volta usciamo a cena con compagni e amici: soprattutto coi ragazzi con cui ho legato di più, che sono Scheinederlin, Blind e i giocatori spagnoli. È stato più facile legare con loro fin dall’inizio: sono più simili a noi, come cultura ma anche come lingua, quindi ci capiamo meglio. Ormai a forza di sentirlo sto imparando un po’ anche lo spagnolo. Ci piace passare del tempo insieme a loro o coi nostri amici che ci vengono a trovare. Frequen-

“” Old Trafford speciale… Sei spronato a dare il massimo, è un’emozione e una gioia infinita giocare davanti a questi tifosi tiamo ristoranti italiani, ma ci piace provare un po’ di tutto. Manchester non è Londra ma è una città che ha diverse cose da offrire, non è così brutta come dicono”. Anche il suo ambientamento nel club non è stato così difficoltoso, visto che appena arrivato Darmian ha avuto subito la fiducia di Van Gaal, non proprio l’ultimo arrivato fra allenatori: grande esordio nella Premier, impressionando nelle prime partite, e subito il premio dei tifosi come giocatore del mese; grande accoglienza anche da parte dei suoi compagni, cosa che probabilmente ha contato molto in un salto così importante per la sua carriera: “Sì, assolutamente. Penso che non sia mai facile cambiare paese, campionato, cultura calcistica e

non. Devo essere sincerò, però, dal primo giorno sia lo staff che i compagni mi hanno fatto sentire parte del gruppo ed è stato molto importante per me perché mi ha aiutato ad essere più tranquillo e a calarmi fin da subito in questa realtà nuova”. E a proposito di staff tecnico gli chiedo quanto lo abbiano aiutato Van Gaal, ma anche e sopratutto Ryan Giggs, leggenda del Manchester United che all’olandese faceva da secondo. Una figura pesante nello spogliatoio, anche dopo aver smesso i panni del giocatore: “Entrambi mi hanno aiutato moltissimo in questa esperienza. Ryan qua è una leggenda, per tutto quello che ha dato a questa maglia, a questo club, ed è tutt’ora visto come tale. È vero che lo vedo ogni giorno in CONTE LO ADORA

Una certezza anche con la casacca della Nazionale...

foto Image Sport

con me c’è la mia fidanzata. Ormai è il quinto anno che conviviamo, anche nei momenti un po’ negativi ci sosteniamo a vicenda: mi è stata sempre vicina, fin dall’inizio, mi ha sempre aiutato, come la mia famiglia, che anche se non è qua con me fisicamente mi sostiene sempre e quando può viene a trovarmi”.

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INTERVISTA / matteo dArmian

SUBITO PROTAGONISTA

foto Imago/Image Sport

Alla sua prima stagione allo United, 39 presenze e un gol

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INTERVISTA / matteo dArmian

Matteo lo sa bene che non è facile arrivare al Manchester United, lui che prima di esplodere - come tanti giovani - ha dovuto fare un piccolo giro di Italia: il Milan, squadra dove è cresciuto, lo ha fatto esordire nell’ormai lontano 2007 ma poi non gli ha dato molta fiducia, e quindi il terzino azzurro si è dovuto prima

“” Manchester non è Londra ma è una città che ha diverse cose da offrire, non è così brutta come dicono spostare a Padova, poi a Palermo, infine a Torino per poter trovare spazio ed esprimere tutto il suo talento. Gli chiedo quindi cosa ha provato quando nell’estate del 2012 i Rossoneri hanno risolto la comproprietà cedendolo definitivamente al Palermo, se per lui fosse più grande la delusione per non aver avuto la fiducia della società dove era cresciuto o la voglia di riscatto. “Devo essere sincero, tutte le scelte che ho preso durante la mia breve carriera sono state ponderate, non rinnego assolutamente nulla, già negli anni prima ero andato in prestito prima al Padova e poi al Palermo, perché con la società avevamo deciso che avevo bisogno di giocare. Il primo anno a Palermo mi sono trovato molto bene, il secondo c’era da decidere la comproprietà. Non

ero deluso anche perché sapevo che comunque avendo l’opportunità di giocare avrei potuto mettere in mostra le mie qualità. Poi è arrivata la proposta del Torino ed è iniziata una bellissima avventura che è durata quattro anni, che sono stati molto intensi e belli. Probabilmente quella è stata la svolta della mia carriera perché fin dal primo giorno ho sentito la fiducia di tutti, e quando dico tutti intendo tutti, dal presidente, al mister, al direttore sportivo ma non solo, mi riferisco anche alla piazza, ai tifosi ma soprattutto ai miei compagni. Questo ha fatto sì che potessi giocare con più continuità e abbiamo ottenuto poi grandi risultati. Il primo anno siamo stati promossi in Serie A, ed era l’obiettivo minimo per il Toro perché arrivava da alcuni anni non bellissimi, e siamo riusciti a centrarlo. Il primo anno in A siamo IN RETE COL CRYSTAL PALACE

La sua prima rete con i Red Devils è già arrivata...

foto Francesca Ceciarini

allenamento, ma fa sempre un certo effetto perché è stato un gran giocatore ed è anche una grande persona. Non mi ha dato nessun consiglio in particolare, ma magari quando c’è bisogno ti aiuta sempre, anche con una parola o una pacca sulla spalla, che fa sempre piacere”. Ho qui una frase proprio di Giggs che dice: “Non è facile arrivare al Manchester United come giocatore, ma la cosa più difficile è rimanerci”… “Ha perfettamente ragione, sicuramente quando indossi questa maglia hai una grande pressione addosso e tutti si aspettano di vincere sempre, e non è facile. Anche quando vinci o fai una buona stagione la cosa più difficile è confermarsi e concordo pienamente con lui”.

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INTERVISTA / matteo dArmian

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Ryan Giggs qua è una leggenda, per tutto quello che ha dato a questa maglia, a questo club, ed è tutt’ora visto come tale

Nella grande serata di San Mamés tu hai fatto il gol decisivo: sicuramente un’emozione indescrivibile, anche perché i tifosi poi vi hanno accolto come degli eroi...cosa hai provato in quel momento? “Penso che sia stato un momento indimenticabile per tutti, sia per noi che per i tifosi granata che tornavano dopo tanti anni ad assaporare un palcoscenico internazionale. È stata una serata come ho già detto indimenticabile perché nessuno si aspettava che potessimo arrivare fino a lì, solo noi ci credevamo, abbiamo lavorato tanto e quello è stato il culmine di tanto lavoro e sacrifici fatti negli anni precedenti. Il fatto di aver segnato il gol decisivo per il passaggio del turno è stata una soddisfazione doppia ed ha reso quella serata ancora più indimenticabile, poi purtroppo nel turno successivo con lo Zenit le cose non sono andate bene e siamo stati un po’ sfortunati, ma comunque è stata un’avventura europea molto bella e affascinante”. Pensi che sia lì che il Manchester United abbia messo gli occhi su di te? Com’è andata la trattativa, è stata improvvisa o ti avevano già contattato da tempo? “Devo essere sincero: è stata una trattativa abbastanza veloce e si è conclusa rapidamente, quando c’è l’interesse di un club così prestigioso i dubbi sono pressoché inesistenti”. È vero che quando hai esordito col il Milan eri un ragazzino e ora 12

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sei un giocatore con più esperienza, anche internazionale, ma fa più paura entrare a San Siro o all’Old Trafford? “Sono due fra i più grandi stadi al mondo, è sempre un’emozione scendere in campo sia a San Siro che all’Old Trafford. Qua hai grande pressione, perché il club chiede sempre la vittoria e ovviamente senti il peso di questa maglia, però quando entri dentro lo stadio e vedi 76.000 persone che sono pronte a

foto Imago/Image Sport

riusciti a salvarci e dopo è stato un crescendo, culminato con l’esperienza in Europa League”.

incitarti cerchi di dimenticare tutto e di goderti il momento, sei spronato a dare il massimo, è un’emozione e una gioia infinita giocare davanti a questi tifosi”. Sai che il Milan quest’anno ha adibito una persona, Tassotti, a seguire i giovani che sono ancora in qualche modo legati alla società, come lo eri tu, affinché non si verifichino più casi come il tuo o quello di Aubameyang, visto che probabilmente entrambi non siete stati monitorati accuratamente quando eravate in prestito, e alla fine siete esplosi altrove, provocando grande rammarico. Secondo te perché i talenti in Italia faticano ad esplodere: pensi che sia una mancanza di fiducia da parte delle società, o di fon-


INTERVISTA / matteo dArmian

COMPORTAMENTO ESEMPLARE

foto Francesca Ceciarini

Dentro e fuori dal campo, Darmian è un esempio per tutti

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INTERVISTA / matteo dArmian

PUò ANCORA MIGLIORARE

foto Imago/Image Sport

Classe 1989, ha ancora ampi margini di miglioramento...

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INTERVISTA / matteo dArmian

di da investire sulle giovanili, o che proprio ci sia un altro tipo di mentalità? “Diciamo che questi tre aspetti coesistono, di solito in Italia si tende a far giocare il calciatore un po’ più esperto o magari tante volte un giovane che ha appena esordito, viene massacrato alla prima cosa negativa che fa o, al contrario, fa una partita eccezionale e lo si esalta troppo, rischiando anche di “bruciarlo”: bisogna avere un equilibrio in tutto ciò. Penso che quando un giocatore ha delle qualità prima o poi viene fuori, ci sono ragazzi che esplodono prima di altri, altri che esplodono dopo, ma prima o poi chi ha talento arriva al livello che gli spetta”. Sicuramente, ma sai meglio di me che non servono solo le qualità tecniche, serve anche la testa. Balotelli a 18 anni sembrava dovesse spaccare il mondo e che potesse vincere il Pallone d’Oro nel giro di 4-5 anni, poi si è un po’ perso. Tu che lo conosci, avendo giocato con lui in nazionale, cosa pensi che possa averlo frenato? “Non lo so, penso che ovviamente la parte mentale abbia una grande influenza sull’andamento della carriera di un giocatore, per arrivare a certi livelli si devono fare grandi sacrifici, a volte dobbiamo fare delle grandi rinunce. Tutto passa anche dal lavoro sul campo e dall’impegno che uno ci mette anche in allenamento, giorno dopo giorno, per migliorarsi. Mario è stato anche un po’ sfortunato ma credo che abbia tutte le qualità per riscattarsi, starà a lui dimostrare che è cambiato e che adesso ha la giusta mentalità e il giusto atteggiamento”.

“” Il fatto di aver segnato il gol decisivo al San Mamés per il passaggio del turno è stata una soddisfazione doppia, serata indimenticabile e indubbiamente è un giocatore molto valido. Già all’epoca faceva intravedere certe qualità e magari è esploso un po’ tardi perché, come successo per me, conta tanto anche la fiducia e l’ambiente in cui uno è. E ovviamente sì, è uno che prenderei subito qua allo United, perché ha le qualità per fare bene in un club del genere”. Gli mostro il match-program di Manchester United vs Crystal Palace, partita dove lui è stato protagonista con il cross che ha propiziato il vantaggio dei Red Devils, su autogol, e poi segnando il gol che ha chiuso il match. “Cosa ti viene in mente, Matteo?”, subito un sorriso illumina il suo viso ed esclama: “Il mio primo gol col Manchester e in Premier League! - poi prosegue - è stata una bella serata, perché era una partita sicuramente non facile, nessuna partita è scontata: mancavano poche partite alla fine e stavamo ancora lottando per raggiungere il quarto posto, che per lo United è l’obiettivo minimo. È stata una serata magica, anche perché non sono uno che fa tanti gol, ma è stato una rete importante perché prima di tutto ha aiutato la squadra a vincere, poi all’Old Trafford di fronte a tutti quei

tifosi... per me è stato doppiamente speciale perché io e la mia fidanzata il 20 aprile festeggiamo il nostro anniversario, quindi in quell’occasione abbiamo festeggiato alla grande”. Anche da queste ultime parole si nota tutta la semplicità e l’umiltà di Matteo Darmian, sicuramente un calciatore insolito nel calcio moderno, fatto di giocatori che si sentono e si atteggiano a divi, anche quando magari indossano maglie meno pesanti e prestigiose di quella del Manchester United. Nell’Italia che di talenti ultimamente non ne sforna più come prima, la sua storia dovrebbe essere raccontata in ogni scuola calcio, perché non è un caso che questo semplice ragazzo italiano dell’hinterland milanese sia arrivato a giocare titolare all’Old Trafford, lo stesso stadio che ha osannato le imprese di leggende del football come Bobby Charlton, George Best, Eric Cantona e Cristiano Ronaldo. Non serve nessuna formula magica o particolare segreto per arrivare fino a lì: semplicemente, quando hai un dono fra i piedi, devi saperci abbinare tanta umiltà e tanti sacrifici, altrimenti l’Old Trafford ma anche il Barbera, ti accontenti di vederli solo da fuori, o al massimo dagli spalti.

foto Francesca Ceciarini

Conosci bene anche Aubameyang, visto che avete giocato insieme nella primavera del Milan, lo prenderesti qui allo United? Può essere un giocatore adatto a questa squadra? “Ha fatto sicuramente una grandissima stagione, ma non solo quest’anno, ha fatto bene pure lo scorso anno e al St. Etienne, Calcio 2OOO

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GRANDE RESPONSABILITà

foto Image Sport

Tavecchio è il condottiero del nostro calcio

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INTERVISTA carlo tAvecchio

Il CONDOTTIERO

AZZURRO Faccia a faccia con Carlo Tavecchio, l’uomo che gestisce il calcio italiano…

di Francesco FONTANA foto Archivio TMW

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INTERVISTA / CARLO TAVECCHIO

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ensieri, parole, idee e obiettivi di un uomo criticato dai più, ma lungimirante per tanti motivi: Calcio2000 di giugno ha l'onore e il piacere di 'presentare' Carlo Tavecchio, l'uomo che dall'11 agosto 2014 è a capo del calcio italiano. Presidente della Federazione Italiana Gioco Calcio dopo aver battuto lo sfidante Demetrio Albertini con il 63,3% di voti a favore, l'ex dirigente bancario ripercorre in questo 'viaggio a ritroso nel tempo' le tappe più significative del proprio percorso da uomo politico e, soprattutto, calcistico. Una figura che nel recente passato è stata nel mirino di un'Italia che ora lo vede ricoprire il ruolo più ambito. L'ultimo step di una lunga strada che il classe '43 comasco ha intrapreso partendo da lontano, con la fondazione della Pontelambre nel 1974, passando per i capitoli con Lega Nazionale Dilettanti e UEFA, fino ad arrivare alla stretta attualità in un momento particolare per il calcio del Bel Paese. I campionati esteri che 'viaggiano a mille', la scelta VOGLIA DI VINCERE

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Gavetta infinita, ora ha l'occasione di cambiare l'Italia

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iniziale (la migliore possibile in quel frangente) di affidare la panchina della Nazionale all'ormai ex commissario tecnico Antonio Conte, il momento in cui ha provato a convincerlo a proseguire la propria avventura in azzurro, l'apertura di Inter e Milan ai gruppi stranieri milionari e un sogno nel cassetto. Un desiderio forse scontato e difficile da raggiungere, ma al contempo tanto affascinante. Questo e molto altro nella chiacchierata con il numero uno del calcio italiano che parte, come ogni storia che si rispetti, dall'inizio. LO SPUNTO – Nel corso dell'intervista ampio spazio viene ovviamente dedicato a Conte e alle dinamiche che hanno portato Tavecchio a sceglierlo per il post-Prandelli. Il presidente FIGC spiega chiaramente di aver approfittato dei problemi interni che nell'estate 2014 hanno incrinato definitivamente il rapporto tra il tecnico di Lecce e la Juventus, cogliendo quindi la palla al balzo e optando per una grande scelta. Contratto dalla durata biennale, la Puma ricopre un ruolo determinante a livello economico per potergli

garantire un ingaggio da top coach, anche se resta il rammarico per non aver proseguito l'avventura azzurra anche dopo il termine dell'Europeo in Francia. Gli accordi, chiaramente non stipulati nell'accordo iniziale, erano limitati ai soli 24 mesi postBrasile, per chiara volontà dell'allenatore. Solo in un momento Tavecchio ha cercato di cambiare un epilogo già scritto, proprio quando l'ex bianconero stava valutando le varie offerte giunte dai campionati esteri: Premier League (Chelsea, evidentemente), Ligue 1 (Paris Saint-Germain) e Bundesliga. Nulla da fare, però. Nessun Mondiale in Russia e strade divise dopo l'Europeo, per un motivo in particolare, forse più evidente rispetto alla voglia di Conte di tornare al lavoro quotidiano: come ammette lo stesso Presidente, l'impossibilità da parte della Federazione di pareggiare, economicamente parlando, le proposte dei club esteri. Addio Conte, anche se a Tavecchio, nonostante le tante critiche extra-campo, va riconosciuto il merito di aver affidato la panchina azzurra a un grande allenatore, che ora potrà misurarsi


INTERVISTA / carlo TAVECCHIO

Lei è tra i fondatori della Polisportiva di Ponte Lambro, prima di diventare Presidente dell'ASD Pontelambrese. Questo periodo possiamo riassumerlo come il primo passo della sua carriera? "Sì, assolutamente. La Pontelambrese nasce nel 1974 con un obiettivo ben preciso, ovvero quello di dare la possibilità a tutti i bambini di giocare e divertirsi attraverso uno sport meraviglioso, soprattutto a coloro i quali non avevano modo di farlo al di fuori delle nostre strutture. Individuammo un vecchio campo che utilizzò anche la Nazionale italiana del 1934 per prepararsi al Mondiale. Con tanto lavoro fu sistemato a nuovo attraverso spese importanti, ma il nostro obiettivo era quello di regalare un nuovo strumento di gioco e divertimento ai cittadini, soprattutto a tutti i bimbi. Ecco quindi che venne fondata la Pontelambrese, la squadra del mio paese. Si partì dalla terza categoria e con qualche squadra nel settore giovanile. Con il passare degli anni siamo poi cresciuti molto,

“” Il calcio è un gioco, è essenzialmente un meraviglioso gioco. Spesso ci dimentichiamo di questo Fondamentale aspetto, forse distratti da altri interessi anche grazie all'aiuto del Comune che ci ha sempre sostenuto quando si trattava di lanciare, costruire e migliorare nel tempo dei nuovi progetti. Nel frattempo io diventai sindaco di Ponte Lambro crescendo di pari passo con la mia società. Oggi siamo una realtà che vanta 42 anni di onorata professione". Dal 1987 al 1996 è Consigliere del Comitato Regionale Lombardia

della Lega Nazionale Dilettanti, carica precedente a quella di vice-Presidente che ricopre in un secondo momento. In seguito alle dimissioni del suo predecessore Elio Giulivi ecco poi un altro passo, quello di Presidente. "Esattamente. Io ricoprivo il ruolo di Consigliere, ma a Roma ci furono dei problemi significativi sia dal punto di vista amministrativo che gestionale. Fu in quel momento che Luciano Nizzola (ex presidente della Lega Nazionale Professionisti, ndr) mi contattò per avere il mio contributo per risolvere quella situazione. Da lì è poi iniziato il mio percorso in questa nuova realtà, dove sono rimasto per 16 anni". Nel maggio 2007 un'ulteriore crescita: diventa vice-Presidente della FIGC. "Mi scelse la componente di allora, ma il mio non era un ruolo operativo. Non incisi in alcun modo nelle scelte federali, non era quella la volontà e non volevo avere un ruolo primario nella vita operativa della Federazione. Il mio rispetto verso l'allora presidente Abete e la sua geIDEE IMPORTANTI

Conte è stata solo una delle scelte fortunate di Tavecchio

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nel campionato più bello del mondo in una società di primo livello.

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INTERVISTA / carlo tAvecchio

SEMPRE IN PRIMA FILA

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Tavecchio non si è mai nascosto, ci mette la faccia sempre

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INTERVISTA / carlo TAVECCHIO

Scrive anche un libro per spiegare il calcio ai più piccoli, dedicandolo a sua nipote Giorgia, dal titolo 'Ti racconto... il calcio'. Quale messaggio ha voluto mandare attraverso questa pubblicazione? "Il calcio è un gioco, è essenzialmente un meraviglioso gioco. Spesso ci dimentichiamo di questo fondamentale aspetto, forse distratti dagli interessi di vario tipo e dal business che ormai è diventato. Con la pubblicazione di questo libro ho voluto semplicemente spiega-

stato chiaro dicendo che, al termine degli Europei, avrebbe lasciato l'incarico. E noi siamo stati a conoscenza di questa sua volontà fin dall'inizio re questo concetto attraverso una fiaba, perché alla fine di ciò si tratta. Senza superbia, ma con estrema sincerità, ho cercato di far capire ai giovani che il calcio, come detto, rappresenta uno sport bellissimo che non deve essere rovinato e danneggiato in alcun modo. Parliamo di una realtà che bisogna assolutamente rispettare. E ovviamente tutto parte dai più piccoli, che rappresentano il futuro del nostro Paese". Dopo le dimissioni di Giancarlo Abete nell'estate del 2014 il grande passo verso la Presidenza

Il suo avversario in tempo di elezioni è stato Demetrio Albertini: il vostro duello può essere considerato come un confronto tra due scuole di pensiero differenti? "Io ho sempre agito, lavorato e pensato in maniera razionale, in un mondo dove c'è sempre stata

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Nello stesso anno arriva anche la nomina da parte dell'UEFA come membro effettivo della Commissione per il calcio dilettantistico e giovanile. "Abbiamo fatto tante riforme a livello internazionale, rivolte a tutelare e difendere il movimento calcistico giovanile. Purtroppo le stesse non hanno trovato una specificità nel loro mantenimento, come la regola che avrebbe previsto almeno 5 calciatori europei obbligatori nelle squadre di club. Questo non fu accettato a Nizza e in Portogallo. Fu un dispiacere per me".

“” Conte è sempre

della FIGC. Chi ha voluto più di tutti questa sua nomina? "Nasce da una dimissione di Abete nell'immediato post-match di ItaliaUruguay. Mi hanno richiesto in modo insistente, per recuperare quel prestigio federale che ultimamente era diminuito. Ho quindi accettato, con l'obiettivo di dare nuovamente credibilità al movimento calcistico italiano, mettendo a disposizione tutto quello avevo imparato e acquisito durante la mia carriera dirigenziale. Naturalmente il compito era ed è nettamente più arduo rispetto a quelli precedenti, ma questo è particolarmente motivante per me. A livello mediatico si è sempre sotto la lente di ingrandimento, il calcio vissuto da questo ruolo è tutta un'altra cosa e i comportamenti delle persone sono differenti, ma ciò non è in alcun modo un problema per me. Fa parte del gioco. Uno dei nostri obiettivi principali è quello di mantenere alto il livello tecnico delle varie selezioni, non facendo mancare nulla a livello manageriale".

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stione era massimale. Rispettavo le loro iniziative, poi arrivarono le sue dimissioni che aprirono un nuovo capitolo, quello della Presidenza federale".

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INTERVISTA / CARLO TAVECCHIO

chiarezza suoi ruoli in cui si sa chi è il Presidente, il vice-Presidente, il commissario tecnico, i collaboratori e i calciatori. Tutte queste componenti fanno parte del mio modo di lavorare, della mia forma mentis. A livello tecnico non ho mai avuto alcun tipo di problema e non ho mai voluto interagire in proposito. Abbiamo avuto la possibilità di prendere Conte, uno dei migliori in circolazione, che sicuramente è stato molto importante. Per quanto riguarda Albertini, ognuno è libero di pensarla come meglio crede. Non ho mai voluto giudicarlo, anzi, lo reputo una persona perbene, molto seria e che ha dei propri ideali. Senza dimenticare che parliamo di un vero campione come calciatore". Nonostante qualche critica per alcune sue dichiarazioni, a livello tecnico si è presentato all'Italia del calcio con la migliore scelta tecnica possibile, quella di affidare ad Antonio Conte la panchina della Nazionale: come si è sviluppata quella trattativa? "Il mister era in conflitto con la Juventus. Non conosco i motivi della RAPPORTI CON I CLUB

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Tavecchio è per il dialogo con i club italiani, per discutere insieme

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“” Fino a quando ci saranno dei gruppi con tanta disponibilità economica, che definirei devastante, sarà dura per l'Italia stare al passo loro rottura e non mi interessano, ma sicuramente è stato per noi un 'assist' per poi proporgli la panchina azzurra. C'era la concorrenza di alcuni club, ma grazie alla Puma siamo stati agevolati dal punto di vista economico. L'entrata del nostro sponsor è stata sicuramente una grande fortuna, per questo abbiamo trovato una soluzione intelligente: quattro anni di contratto con la Puma, un biennale con il mister, ma senza l'obiettivo di continuare

insieme. Gli accordi erano chiari fin dall'inizio, sono polemiche inutili quelle venute fuori nei mesi successivi. Conte è sempre stato chiaro dicendo che, al termine degli Europei, avrebbe lasciato l'incarico. E noi siamo stati a conoscenza di questa sua volontà fin dall'inizio". Avere il mister nel biennio che ha portato all'Europeo e non al Mondiale in Russia rappresenta un rammarico per lei? "Sicuramente la nostra volontà era di averlo per quattro anni, per arrivare appunto al Mondiale in Russia. Nel calcio però esistono i club con grandissime disponibilità economiche e le offerte che sono arrivate al ct erano impossibili da pareggiare per noi. In questo senso la parte economica è stata devastante per la Nazionale, non si potevano pareggiare le proposte delle società inglesi, francesi e tedesche". C'è stato un momento in cui ha provato a convincere Conte per farlo rimanere altri due anni? "Come ho già detto, la sua intenzione è sempre stata chiara fin dal


INTERVISTA / carlo TAVECCHIO

Cosa manca al calcio italiano per tornare ai livelli di un tempo e per raggiungere, chissà, Premier League, Liga e Bundesliga? "Lo specchio federale è lo specchio della Nazione. Noi abbiamo un milione e mezzo di tesserati, tra allenatori, dirigenti, calciatori e qualsivoglia altra figura. Una minima parte della popolazione totale in Italia. Per cambiare in meglio sarebbe necessario modificare tante cose, tanti aspetti, ma non solo nel calcio.

“” Quale è il

a livello intellettivo, per poi riversare tutto sul campo. Questo è il nostro fine, che non nascondo essere di non poco conto. Uno dei mezzi per poterci riuscire è rappresentato dal centro di formazione federale, con cui bisogna costruire prima di tutto l'utenza, per poi applicare i nostri principi-base. Ritengo assolutamente impensabile far lavorare soggetti che allenano e fanno calcio senza la legittimazione federale. Attraverso questo riusciremo ad arrivare a un livello di professionalità buono, anche nell'ambito dilettantistico".

mio sogno da Presidente della FIGC? Vedere l'Italia del calcio tornare ai fasti di un tempo Si dovrebbe partire dalla vita di tutti i giorni, perché il calcio, e lo sport in generale, fanno ovviamente parte della nostra società. Serve sacrificio, volontà e fame di raggiungere livelli importanti, con una mentalità rivolta al sudore, al senso del dovere e alla competenza, ma soprattutto dobbiamo cercare di impostare delle basi che sottolineino la nostra differenza

Inter e Milan hanno aperto al mercato asiatico: pensa possa essere una soluzione per tornare ad alti livelli? "I gruppi stranieri che hanno intenzione di intervenire nel nostro calcio possono disporre di capitali importanti, avendo come finalità quella lucrativa. Non investono tanto per il gusto di farlo, anteponendo la pubblicità e l'attività prettamente ludica. Assolutamente no. Quella attuale è la civiltà dei consumi che vede l'Inghilterra primeggiare, e fino a quando ci saranno dei gruppi con tale disponibilità, che definirei devastante, sarà dura per l'Italia stare al passo. Noi dobbiamo fare di necessità virtù cercando di migliorare il nostro calcio attraverso il lavoro, ottimizzando il capitale umano che abbiamo a disposizione". Qual è il suo sogno da Presidente della FIGC? “Vedere l'Italia del calcio tornare ai fasti di un tempo".

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primo momento. Per rispondere alla sua domanda, direi di no. A parte forse solo in una circostanza, quando arrivarono proposte dalla Ligue 1 e dalla Premier League. Lui stava riflettendo su quale proposta accettare, e solo in quel momento ho provato a valutare la situazione, ma non è cambiato nulla. Davanti a situazioni, economicamente parlando, di quel tipo non si può fare nulla".

Intervista di Francesco Fontana Calcio 2OOO

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IL RE DI UDINE

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Totò ha fatto la storia del club friulano

Esistono due soli modi per interpretare la storia. Scriverla o leggerla di Antonello Schiavello foto Image Sport Calcio 2OOO

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el calcio nel corso del tempo, ci sono stati tantissimi campioni, ma anche umili gregari, quelli che fanno il lavoro cosidetto “sporco”, che hanno scritto pagine ricche di gol, emozioni, giocate, parate che, anche se non sono riportate su un libro, rappresentano per noi, appassionati lettori, la vera storia del calcio, quella che non si dimentica ma si arricchisce ogni volta che la raccontiamo, di particolari sfuggiti ad una prima memoria. Per scriverla, talvolta basta un gol importante come può essere una finale di coppa. O anche semplicemente rimanendo quella bandiera che garrisce fedelmente ad unici colori respingendo il vento e le attrazioni di nuovi vittoriosi MOMENTI DI GLORIA Ha scelto di diventare grande a Udine, ci è riuscito

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orizzonti colorati. L’Italia, Paese abbracciato da mari che si confondono con il cielo, ha usufruito della corrente del vento per far oscillare numerose bandiere… Riva, Rivera, Mazzola, Antognoni, Franco Baresi, Paolo Maldini, Totti, Del Piero eccetera, relegandole e regalandole eternamente un posto d’onore nel grande libro della storia del calcio. Pagine importante di quel libro, le ha da poco finite di scrivere Antonio Di Natale, meglio conosciuto come Totò. Bandiera, bomber, recordman, nonché artefice di un rifiuto che fece scalpore quando il 25 agosto del 2010 disse no alla Juventus… preferendogli il bianconero della sua Udinese. Una scelta d’amore per ricambiare l’affetto del popolo friulano, mai mancato nei suoi confronti. Era dai tempi del grande Zico che Udine

non impazziva per un altro numero 10. Analogie, confronti e paragoni si sono consumati trovando molte similitudini fra i due campioni. Il Galinho aveva aperto lo spettacolo, ora Totò ha deciso di chiuderlo… Nato a Napoli il 13 ottobre 1977, come tutti gli scugnizzi di quel periodo cresce a pane e Maradona cercando di emularlo nelle giocate negli stretti vicoli del quartiere 219 di Pomigliano d’Arco. Ben presto affina una già squisita capacità di palleggio nella scuola calcio “San Nicola” a Castello di Cisterna, società sportiva affiliata all’Empoli Calcio. A 13 anni entra a far parte del settore giovanile toscano. Fisico minuto, come il suo idolo di infanzia Diego, Totò sprigiona piccole fantasie e giocate, strappa applausi che non passano

inosservate ai più. Trasferitosi ad Empoli diciannovenne, conoscerà Ilenia Betti, la donna che condurrà all’altare nel 2002 e che gli darà due figli Filippo e Diletta. Nel biennio 1994-96, Antonio scala vertiginosamente le pareti delle giovanili della società toscana fino a giungere in prima squadra, dove esordirà tra i professionisti il 26 gennaio 1997, subentrando al 90° al posto di Carmine Esposito, nell’incontro giocato al Castellani tra l’Empoli e la Cremonese valevole per la 19esima giornata di campionato di Serie B. In quella squadra allenata da Luciano Spalletti, che conquisterà la promozione in Serie A, giocavano anche Luca Toni e Alessandro Birindelli, altri nomi entrati nella storia del calcio italiano. Il solo Birindelli saggerà il soave sapore della massi-


STORIE DI CALCIO / DI NATALE STORY

ma serie l’anno successivo e con un maglia addosso di tutto rispetto (la Juventus), mentre per Luca e Totò, ritenuti ancora acerbi per palcoscenici d’élite, si apriranno porte di minor prestigio ma utili a formare caratteri e personalità indispensabili per la crescita futura. Così come Toni, anche Di Natale, non rientra nei piani immediati della società fresca di promozione e viene girato in prestito all’Iperzola in serie C2 (33 presenze e 6 reti) e poi al Varese in C1 (4 presenze e 0 reti in 3 mesi) prima di concludere la stagione '98-99 nel Viareggio in C2, dove collezionerà 25 presenze segnando 12 reti. Il ritorno alla casa madre avviene nel 1999 e ci rimarrà fino al 2004 contribuendo (da protagonista) alla promozione in Serie A nel 2001-2002. Dell’acerbo colore degli anni passati

non v’è più traccia. Ora Di Natale è pronto ad esordire in quella categoria che non lascerà più. È il 14 settembre 2002, l’Empoli di scena sul lago di Como sconfigge 2-0 i padroni di casa. Totò firma un primo gol, annullato per fuorigioco. Ma dopo due minuti rigonfia la rete e questa volta è storia da archiviare. Due mesi dopo (20 novembre) arriva la prima chiamata in azzurro nazionale. Trapattoni lo convoca per l’amichevole Italia-Turchia e lo tiene in campo 84 minuti. E nel 2004, alla quarta presenza con la maglia dell’Italia, segna il primo gol in azzurro nell’amichevole pareggiata 2-2 contro la Repubblica Ceca. In 5 anni, con la maglia del Club toscano collezionerà 159 presenze coronate da 49 reti. Il suo nome ormai è in cima alla lista nei taccuini di molti addetti ai

lavori. Spalletti, ora protagonista sulla panchina dei bianconeri friulani e memore dei trascorsi insieme ad Empoli, suggerisce caldamente al presidente Pozzo l’acquisto del talentuoso Totò. L’Udinese era alla ricerca di un degno sostituto del danese Jorgensen, trottolino biondo con l’insolita passione di... guidare i pullman, ma soprattutto abile nel saltare in dribbling gli avversari e scodellare palloni invitanti per il “pennellone” Iaquinta. E questo Di Natale che ad Empoli furettava sulle fasce regalando i primi veri gioiellini di un calcio sontuoso era proprio quello che ci voleva. Nell’estate 2004 Antonio Di Natale saluta la mai dimenticata Empoli e sbarca in Friuli autografando quel contratto che lo legherà a vita all’Udinese

diventando, col tempo e nel tempo, l’indiscussa bandiera, icona ed immagine in Italia, in Europa e nel mondo. Forse nemmeno il Paron Pozzo, si sarebbe immaginato quello che Di Natale avrebbe saputo scrivere in 12 anni di permanenza con la maglia bianconera numero 10 (che fu di un altro immenso campione, Zico) addosso. Magie, gol a grappoli, record e rifiuti illustri. Ceduto Jorgensen alla Fiorentina, la maglia numero 10 non esitò a scivolare (per restare) sulle spalle del nuovo arrivato. La prima stagione in bianconero di Di Natale coincide con un’altra prima volta. Grazie al quarto posto conquistato alla fine del campionato 2004-2005, l’Udinese verrà ammessa ai preliminari di Champions League. Un traguardo prestigioso per la piazza bianconera ANCHE L'AZZURRO A modo suo, si è distinto anche con la Nazionale

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centrato anche grazie alle magie del suo nuovo numero 10. Saranno 33 le presenze, 7 le reti e moltissimi gli assist per i compagni di reparto Iaquinta e Di Michele. E primo assaggio d’Europa con 2 presenze in Coppa Uefa. L’anno dopo Totò stabilisce il primo dei tanti record conseguiti. Segnando in tutte e 4 le competizioni a cui è impegnata l’Udinese (campionato/8 reti, Coppa Italia/3 reti, Champions League/3 reti e Coppa Uefa/1 rete), Di Natale sarà l’unico giocatore italiano a raggiungere questo obiettivo. Sulla panchina bianconera non c’è più Spalletti, ma siede il sanguigno Serse Cosmi che apporterà alcune modifiche all’assetto tattico. A Di Natale lascerà libertà di azione schierandolo inizialmente sulla fascia sinistra per poi confluire verso il centro e concludere a modo suo con traiettorie “delpierane”. L’inesperienza della squadra e il caso Iaquinta (estromesso dalla rosa per diversi incontri) fecero sì

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che il grande sogno europeo si interrompesse a pochi minuti dalla storia. Lo strascico inevitabilmente l’Udinese se lo portò dietro per gran parte del campionato e nella successiva Coppa Uefa, dove fu eliminata agli ottavi. Il nuovo cambio sulla panchina (Dominissini-Galeone) generò una salvezza mai messa in discussione ma raggiunta con qualche difficoltà. Nel 2006-2007 Totò va in doppia cifra in campionato. 11 reti a fronte delle 31 volte che è sceso in campo. Il 2007-2008 rappresenta la svolta nella carriera di Antonio. In estate arriva a Udine Pasquale Marino. A lui si deve la geniale intuizione del Di Natale punta centrale. 17 gol (un invito a rivedervi la doppietta contro la Reggina il 22 settembre 2007 è d’obbligo!) il primo anno e convocazione per gli Europei con la nazionale. 12 reti il secondo anno e il botto nel 2009-2010 con 29 gol che gli valgono il titolo di capocannoniere e un posto già assegnato

nell’aereo in volo verso il Sudafrica, sede dei mondiali. Totò è all’apice della forma, gioca tutte e tre le gare del girone segnando una rete contro la Slovacchia prima di riprendere anzitempo l’aereo con tutta la squadra per ritornare in Italia. A placare la sua delusione ci penserà Francesco Guidolin, ennesima figura tecnica paterna tutto tuta e schiettezza. La squadra che Totò ritrova in ritiro è senza dubbio una delle più forti in cui abbia mai giocato. Handanovic, Benatia, Domizzi, Inler, Isla, Asamoah, Basta, Sanchez solo per citare qualche nome. Ma i nomi potevano anche essere quelli di Buffon, Del Piero, Grosso, Trezeguet, Marchisio o gli ex compagni Toni, Iaquinta, Pepe, Quagliarella… se non avesse rifiutato il trasferimento alla corte di Madama. “Grazie ma resto qui!”, quattro parole destinate ad entrare nella storia e nel cuore di ogni tifoso dell’Udinese. Per il piccolo Friuli quelle quattro parole valevano più di 100

scudetti vinti. Dopo una partenza disastrosa, 1 punto in 5 partite, la squadra friulana trascinata dai 28 gol del suo capitano, comincerà un’incredibile scalata che la porterà a fine campionato al quarto posto in classifica. Per il secondo anno consecutivo Di Natale si aggiudica la palma di capocannoniere. Nel 2011-12 e 2012-13 curiosamente Totò mette a segno lo stesso numero di gol (23), per poi ridurli drasticamente negli ultimi 3 anni di carriera. 17 al termine del campionato 20132014, poi nel 2014-2015 ne metterà 14 alle spalle dei portieri avversari ed infine nell’ultimo campionato, quello che vede calare il sipario sulla sua strepitosa carriera, solamente 2. L’ultimo in assoluto lo segnerà su rigore contro il Carpi il 15 maggio scorso davanti al suo pubblico. Quel pubblico che non ha mai smesso di amarlo e che si aspetta di vederlo nei panni di dirigente, per scrivere altre pagine di storia firmate Antonio Di Natale.


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Totò in pillole Di Antonello Schiavello

Ci sono numeri che portano alla leggenda…

445 209 42 1° 1° 1°

presenze in Serie A (60 con la maglia dell’Empoli, 385 con quella dell’Udinese) reti in Serie A (18 con l’Empoli, 191 con la maglia dell’Udinese), 5° posto nella classifica all time italiana presenze e 11 reti con la maglia della Nazionale ha partecipato ad un Mondiale (2010) e a due Europei (2008 e 2012) Miglior realizzatore con la maglia dell’Udinese

Giocatore con più presenze in Serie A con la maglia dell’Udinese

Giocatore con più presenze in nazionale con la maglia dell’Udinese

E se questa non è storia… Calcio 2OOO

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CHE MOSTRA… Di Antonello Schiavello

Un super evento per celebrare i 120 anni dell’Udinese Calcio

C’

erano più di 300 maglie rigorosamente indossate dai campioni di oggi e di ieri. C’erano migliaia di fotografie in bianco e nero e a colori, centinaia di distintivi, figurine, statue, palloni e tantissimo altro ancora. C’era uno spazio dedicato a due miti a confronto Zico e Di Natale dove poter ammirare moltissimi oggetti appartenuti ai due fuoriclasse dell’Udinese. Tantissime maglie autografate, cimeli, foto, oggetti particolari mentre sul grande schermo scorrevano immagini di gol epocali realizzati dai due grandi numeri 10. C’erano gli anni che non tornano più, quelli più lontani dalle nostre memorie. Erano gli anni della dolcevita romana arrivata in lambretta sino al nordico Friuli. All’interno di spaziose vetrine, riviste dell’epoca e foto ingiallite raccontavano di quando l’Udinese sfidò il Milan dei Liedholm, Nordhal e Schiaffino in quel pomeriggio del 1955 battendolo e sognando un tricolore che non arriverà mai… Tutto questo e tanto altro ancora è stato visto da numerosissime persone intervenute alla mostra Udinese Centoventi tenutasi nei giorni 27/28/29 maggio scorso a Montevarchi (AR). La singolare iniziativa voluta dal sottoscritto, collezionista ed appassionato della squadra bianconera (un friulano residente in Toscana) per festeggiare e raccontare i 120 anni dell’Udinese Calcio, ha registrato un interesse ed un’affluenza di pubblico al di sopra di ogni aspettativa. Patrocinata dai Comuni di Montevarchi e Udine, la mostra è stata tenuta a battesimo dall’indimenticato campione del mondo con l’Italia del 1982, nonché ex calciatore dell’Udinese nei primi anni dell’era Pozzo, Ciccio Graziani. Un altro momento di grande partecipazione di pubblico si è avuto domenica 29 maggio, quando l’amico Alessandro Calori, capitano della prima Udinese targata Europa, ha intrattenuto i piccoli amici delle scuole calcio del territorio valdarnese e non solo, raccontando la sua storia legata ai colori bianconeri. Calori tra l’altro è stato anche un giocatore del Montevarchi calcio e l’occasione è stata propizia per rivedere e riabbracciare tanti ex compagni di squadra come il vecchio capitano Vinicio Brilli. Insomma, una mostra per l’Udinese da chi l’Udinese lo ama da sempre… 30

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UN GIUSTO TRIBUTO La storia dell'Udinese e dei suoi campioni in una super mostra


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SPECIALE partite per sempre

IL DOPPIO CAPOLAVORO Di DIEGO 30 anni fa, allo stadio Azteca, la partita che ha reso Maradona una leggenda…

foto Agenzia Liverani

di Fabrizio PONCIROLI

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SPECIALE / PARTITE PER SEMPRE

l’ha commentato live, il tocco di mano l’aveva notato, tanto da ammetterlo in diretta: “Il tocco di mano l’ho visto e ne ho avuto la certezza dal modo in cui poi Maradona guardava l’arbitro, per capire se sarebbe o meno stato annullato”, ha rivelato in una recente intervista con Federico Buffa. Un tocco di mano per cui, oggi giorno, nessun argentino si sente in colpa. Ma il 10 dell’Argentina non può accettare di vincere una partita tanto importante, sia a livello sportivo che socio/ politica (1982, guerra delle Falkland, conflitto militare con implicate Argentina e Regno Unito), con un gol di mano. Trascorrono 4 minuti e Diego decide che è venuto il momento di fare il marziano. Impiega circa 14 secondi per prendersi la palla nella propria metà campo, saltare come fossero birilli tutti gli avversari inglesi che provano a fermarlo e, superando anche Shilton, mettere la palla in fondo alla rete. Il gol del siglo, la rete che tratteggia il talento pure e unico di Maradona. Due gol agli antidoti eppure perfettamente in sintonia con l’anima di Maradona. Nel gol di mano c’è tutta l’astuzia di un uomo che si è fatto da solo, lottando sempre contro il sistema e, qualche volta, riuscendo anche a “fregarlo”. Nel secondo c’è, invece, il sublime talento di un uomo che, con il sinistro (usa solo quello nella cavalcata verso la porta inglese), poteva fare ciò che voleva, anche superare un’intera squadra avversaria in dribbling. Quella vittoria (2-1 il finale) darà all’Argentina ancor più consapevolezza di essere baciata dal destino. Uscendo dal campo, Maradona aveva già la certezza di poter arrivare fino in fondo. Dopo due diamanti simili, non poteva fermarsi e, infatti, non si fermò… UN TOCCO BEFFARDO

Eccolo il momento leggendario, quello della mano de Dios...

foto Agenzia Liverani

C’

è una data che qualsiasi argentino amante del calcio ricorda sempre con estremo piacere. La data in questione? 22 giugno 1986, ossia il giorno in cui Maradona decide di trasformarsi in leggenda. Allo stadio Azteca, meraviglioso ed evocativo impianto di Città del Messico, davanti a 114.580 spettatori (e al mondo intero collegato mediaticamente), va in scena Argentina-Inghilterra. In palio un posto nelle semifinali dei Mondiali del 1986. In poco più di 90’ di gioco, Maradona regalerà ai posteri due gioielli trascendentali: la mano de Dios e il gol del siglo… Al 51’ si consuma il primo miracolo. Su un pallone a campanile, frutto di un intervento scomposto di Hodge, Maradona riesce, usando il pugno sinistro, ad anticipare l’esperto portiere inglese Shilton. La palla finisce in rete. L’arbitro, il tunisino Ali Bennaceur, rivolge lo sguardo al suo assistente che non proferisce sillaba. Maradona, guascone e certo di averla fatta grossa, guarda, a sua volte l’arbitro. Il gol, nonostante le vibranti proteste degli inglesi, viene convalidato. Nel post match, Diego la risolve da fuoriclasse: “È stata la mano di Dio”. Nasce così il mito della mano de Dios. A distanza di 30 anni, lo stesso Diego è tornato a parlare, in una sua autobiografia, di quel gol: “Di quel gol di mano, in tutta franchezza, non mi dispiace”. Aggiungendo come “…non avete idea del numero di gol che segnato di mano. E quel giorno, l’ho fatto davanti a più di 100.000 spettatori e nessuno l’ha visto”. Vero, in parte… Victor Hugo Morales, radiocronista che, all’Atzeca, quel gol

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SPECIALE / PARTITE PER SEMPRE

ALI BENNACEUR Di Fabrizio Ponciroli

In terra inglese è noto come “infamous ref”, per Diego è “eterno amico”

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Di Fabrizio Ponciroli

Entrato al posto di Burruchaga, ha anche colpito un palo, su palla di Diego…

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arlos Daniel Tapia è stato un buon giocatore. In carriera ha militato sia nel River che nel Boca Juniors, a conferma delle sue doti calcistiche decisamente interessanti. Ha vinto due titoli argentini (uno con il River e l’altro con il Boca) ma il suo apice l’ha raggiunto conquistando, insieme all’Argentina di Maradona, il Mondiale 1986. Tapia, nella storica gara con l’Inghilterra, c’era. Al 75’, il tecnico Bilardo gli ha intimato di entrare e dare una mano alla squadra: “Ho avuto la possibilità di giocare qualche minuto di quella partita. Sono entrato al posto di Burruchaga e ho avuto, scambiando la palla con Diego, anche l’occasione di segnare ma la palla è finita sul palo”. El Chino (questo il suo soprannome) ha tanti ricordi della spedizione in Messico: “La svolta è arrivata con l’Italia che era la squadra campione in carica. Pareggiammo 1-1 ma con la sensazione di meritare la vittoria. Con il Belgio la gara perfetta, con l’Inghilterra una grandissima soddisfazione, sia a livello calcistico che ambientale (riferimento alle note questioni socio/politiche). Con la Germania è stata dura, importantissimo il gol di Burruchaga. Ci tengo a notare che sono stato uno dei primi a sollevare la Coppa del Mondo…”. Curioso il retroscena circa la sua convocazione: “Non avevo giocato le gare di qualificazione ma Carlos (Bilardo, ndr) decise di convocarmi comunque, insieme ad altri che non avevano partecipato alle partite di qualificazione, come Cuciuffo, Olarticoechea, Batista ed Enrique. C’è stata incertezza sulla mia presenza al Mondiale per lungo tempo, soprattutto quando la Federazione sembrava intenzionata a sostituire Bilardo con Menotti”. Per sua fortuna (e dell’Argentina) la storia si è evoluta in maniera diversa, permettendo a Carlos Daniel Tapia di esserci in quella gara con l’Inghilterra diventata una favola, a lieto fine, da raccontare alle nuove generazioni di argentini…

foto Agenzia Liverani

foto Agenzia Liverani

a sua carriera è stata segnata, nel bene e nel male, da quella decisione. Ali Bin Nasser, meglio noto come il nome di Ali Bennaceur è l’arbitro che non ha visto la mano de Dios. In terra inglese, da quel nefasto giorno, l’arbitro tunisino è soprannominato “infamous ref”, a conferma del disprezzo nei suoi confronti. Tutt’altro giudizio da parte degli argentini. Recentemente, in un viaggio in Tunisia, Diego Maradona l’ha incontrato, omaggiandolo di una maglia della nazionale argentina con la seguente dedica: “Per Ali, mio eterno amico”. In realtà il buon Ali Bennaucer non doveva neanche arbitrare quella partita. L’uomo designato a dirigere l’incontro, secondo i piani originali, sarebbe dovuto essere Romualdo Arppi Filho, uno dei migliori arbitri del periodo. Piccolo problema: Filho è brasiliano. La Federazione inglese non è per nulla contenta di avere un sudamericano a decidere le sorti di un match in cui è presente una nazionale sudamerica (l’Argentina appunto). D’altro canto, l’Albiceleste non vuole un arbitro europeo. Ecco che, alla fine, si decide per una terza via, ossia un direttore di gara non sudamericano e non europeo. Ci sarebbe il siriano Jamal Al Sharif ma ha già diretto l’Inghilterra nella gara valevole per gli ottavi di finale contro il Paraguay. Si arriva così alla decisione di affidarsi a Ali Bennaceur. E qui c’è un’altra storia che riguarda, da vicino, l’arbitro tunisino. Si racconta che, prima del match, Ali Bennaceur abbia parlato a lungo con i suoi due assistenti, ossia il bulgaro Dotchev e il collega del Costa Rica Ulloa Morera, raccomandandosi di prestare la massima attenzione, vista l’importanza del match e aprendosi ad una collaborazione totale. Parole non al vento visto che, in occasione del gol di mano di Maradona, lo stesso Ali Bennaceur si rivolge, con aria interrogativa, verso l’assistente bulgaro, di fatto chiedendogli se il gol fosse regolare o meno. Il bulgaro non dirà nulla, Ali non annullerà la rete, la mano de Dios diventerà realtà.

CARLOS DANIEL TAPIA – IO C’ERO

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ENZO Bearzot con Carlos Bilardo


SPECIALE / PARTITE PER SEMPRE

Tapia partecipò al Mondiale grazie alle sue prestazioni con il Boca . Foto Cover El Grafico

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SPECIALE / PARTITE PER SEMPRE

LA CAMISETA AZUL Di Fabrizio Ponciroli

L’incredibile storia della maglia indossata dall’Argentina contro l’Inghilterra

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fogliando le foto e gustandosi le immagini della partita Argentina-Inghilterra, salta subito all’occhio la maglia da gioco dell’Albiceleste. La camiseta azul, marca Coq Sportif, indossata dagli argentini è molto raffazzonata, si vede che è “stata realizzata di fretta e con poca cura”. La genesi di questa maglia è incredibile. Che ci sia qualcosa di strano lo si capisce nel momento in cui Burruchaga, una delle star della squadra, a 24 ore dal fischio d’inizio, dichiara: “È incredibile. Manca un giorno alla sfida con l’Inghilterra e le donne non hanno ancora cucito la maglietta”. In realtà c’è dell’altro. Carlos Bilardo, tecnico decisamente attento ai dettagli, ha voluto, per la spedizione in Messico, delle maglie da gioco particolari, ossia trapuntate, così da far respirare il corpo al meglio (si gioca ad altitudini importanti, si

suda moltissimo). Di magliette trapuntate bianche e azzurre ce ne sono un’infinità, peccato che, contro l’Inghilterra, non si possa giocare con la tradizionale maglia da gioco argentina (gli inglesi giocano in bianco). Dramma. La seconda maglia non ha le stesse caratteristiche tecniche della prima maglia (l’allora rivoluzionaria tecnica Air-Tech), pesa di più e non convince per niente il CT. Moschella, uomo fidato di Bilardo, viene mandato per le vie di Città del Messico per comprare delle magliette “particolari” che vadano bene al CT. Gira diversi punti vendita prima di trovare delle magliette blu. Bilardo, tastandole, non è convinto, per fortuna Maradona è di parere diverso e dà il suo benestare. Moschella, avuto l’ok, recupera 38 magliette (due per ognuno dei 19 giocatori argentini). Vengono completate a mano, con tanto di cuciture da parte delle donne, pare, dell’albergo. I numeri usati per personalizzarle sono una rarità nella rarità: sono numeri da football americano “prestati” al calcio. Quelle maglie realizzate all’ultimo secondo sono diventate talmente pregiate da diventare pezzi da collezione dal valore immenso. Hodge, rivale di Maradona in quella partita, aveva una delle due maglie blu numero 10 (l’altra pare sia ancora nelle mani dello stesso Diego). Si racconta che, pur di non farsela scippare da qualche compagno più quotato, la nascose nel proprio borsone… UNA SUPER ARGENTINA

foto Agenzia Liverani

Guidata dal migliore al mondo, Maradona...

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SPECIALE / PARTITE PER SEMPRE

FIERO DI ESSERE ARGENTINO

foto Agenzia Liverani

Maradona con la casacca dell'Albiceleste, il suo amato Paese

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SPECIALE MAGLIA INTER

di Francesco IPPOLITO foto Agenzia Liverani

foto Agenzia Liverani

COLORI LEGGENDARI Nero e azzurro, i colori di un club unico

Storia di una casacca gloriosa, il simbolo della fede nerazzurra…

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INTER, CHE MAGLIA Calcio 2OOO


SPECIALE / MAGLIA INTER

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a storia nerazzurra cominciò il 9 marzo 1908 al ristorante “L’Orologio” di Milano: un gruppo di soci dissidenti del Milan decise di fondare un nuovo club e di chiamarlo “Internazionale Football Club”. Uno dei fondatori, il pittore futurista Giorgio Muggiani, disegnò lo stemma interista: è lo stesso che noi tutti conosciamo, seppure questo nel tempo abbia subito lievi modifiche. Muggiani scelse come colori sociali il nero e l’azzurro per contrapporsi alle tinte rossonere del Milan, difatti a quei tempi per disegnare si usavano le matite bicolori, rosse da un lato e blu dall’altro. Agli albori la società non forniva ai calciatori le divise da gioco, così questi erano costretti a comprarsele di tasca propria nelle varie sartorie milanesi. In tal modo questi pionieri del football italiano si presentavano alle partite di campionato con maglie tutte diverse tra loro: c’era chi vestiva tinte spente e chi tinte più accese, chi aveva cinque strisce e chi ne aveva dodici, e così via. E infine c’era la divisa del portiere, che fino agli anni settanta ha avuto colori anonimi come il bianco, il grigio o il nero, seppur con sporadici richiami sul blu. Queste maglie erano totalmente differenti da quelle che vengono utilizzate oggi: erano vere e proprie camice di lana, senza loghi né scritte. L’unica eccezione era rappresentata dallo stemma di Milano, che veniva cucito solamente sulla maglia del capitano, ovvero Virgilio Fossati. Negli anni dieci venne introdotta, per esigenze fotografiche, una seconda divisa. Questa veniva utilizzata “per cortesia” nei match casalinghi, qualora i colori degli avversari fossero troppo simili e dunque non distinguibili nelle fotografie dell’epoca (tuttavia da circa quarant’anni accade il contrario, ovvero la squadra che gioca in trasferta è costretta a cambiare la propria divisa, se molto simile a quella degli avversari). Sin dall’inizio l’Inter ha generalmente optato per seconde maglie bianche con inserti nerazzurri: la più celebre, riproposta dalla società in decine e decine di stagioni diverse, è quella bianca con fascia orizzontale nerazzurra, utilizzata per la prima volta nella stagione 1913-1914. Successivamente scoppiò la prima guerra mondiale, che non risparmiò calciatori, squadre e strutture da gioco. L’Italia intera ripartì dal fascismo, che nel 1928 dettò ai nerazzurri di fondersi con l’Unione Sportiva Milanese nell’Ambrosiana. Oltre alla denominazione, cambiarono anche le divise, che divennero bianche rosso-crociate, ricordando lo stemma milanese. Lo sconvolgimento non piacque ai dirigenti interisti, che già l’anno successivo fecero riutilizzare le tradizionali divise nerazzurre, con l’aggiunta dello stemma bianconero dell’U. S. Milanese: tale ritorno alle origini si dimostrò fortunato, infatti i nerazzurri vinsero il loro secondo campionato. La stagione seguente venne introdotto così, per la prima volta, il tricolore (accompagnato da un fascio littorio) che sostituì lo stemma dell’U. S. Milanese. In compenso i colori di quest’ultima vennero spostati sul colletto, che divenne bianconero a scacchi. Gli anni successivi vennero caratterizzati da pochi cambiamenti, come gli sporadici inserimenti dei tricolori fascisti e degli stemmi sabaudi, oppure l’uso di seconde e terze divise di colore nero in onore del fascismo. Nel secondo dopoguerra cominciarono a fiorire le prime novità: sulle casacche tradizionali il vivace azzurro dei primi anni quaranta lasciò il posto ad un blu spento, inoltre furono introdotte delle insolite terze divise arancioni e granata ed addirittura incominciarono ad essere utilizzate maglie appositamente per le amichevoli, nere con fascia orizzontale blu. Nella stagione 1955-1956 comparve

1909-1910: è la maglia del primo scudetto, con lo stemma di Milano cucito solamente sul petto del capitano, Virgilio Fossati

1964-1965: è la maglia con cui la Grande Inter di Herrera vinse la sua seconda Coppa dei Campioni, contro il Benfica

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SPECIALE / MAGLIA INTER

un’altra storica divisa “di scorta” della squadra, ovvero quella bianca con fascia diagonale nerazzurra, presentata negli anni a venire in maniera molto frequente dalla società. Un’ulteriore cambiamento arrivò nel 1958, quando fu cucito per la prima volta sulle casacche nerazzurre il logo societario: questo tuttavia rimase sulle maglie per soli due anni. Gli anni successivi furono molto importanti per la storia nerazzurra: cominciò il mito della Grande Inter euromondiale di Helenio Herrera. Le divise cominciarono ad uniformarsi, venendo prodotte dai grandi maglifici come Vittore Gianni o Atala Sport, inoltre iniziarono ad essere omogenee per ogni stagione, cambiando impostazione solamente nella pausa estiva. La squadra macinò una serie di successi in ambito nazionale ed internazionale, e nel 1966 venne introdotta sulle maglie nerazzurre la stella d’oro, per celebrare il decimo scudetto interista. Il calcio cominciò a diventare un business e le aziende divennero parte integrante di questo sport: già molti calciatori, tra i quali Mazzola e Facchetti, iniziarono a prestare il loro nome agli sponsor. Tuttavia la FIGC ebbe per anni un atteggiamento ostico nei confronti delle sponsorizzazioni, impedendo più volte di "imbrattare" le uniformi da gioco con i loghi delle aziende. Tuttavia, a causa della forte richiesta economica, il patto fu inevitabile: così la Puma, nel 1976, divenne il primo fornitore tecnico dell'Inter, mentre nel 1981 il marchio Inno-Hit firmò la maglia nerazzurra, diventando il primo sponsor della storia interista. Nei primi anni ottanta non vi furono modifiche sostanziali, se non per il restyling del logo interista, che divenne un biscione nerazzurro. Quest'ultimo venne posto in un primo momento sulle maniche, per poi passare sul petto nella stagione 1986-1987, in occasione del debutto dello sponsor tecnico francese Le Coq Sportif. Intanto i portieri cominciarono a cambiare pelle: gli anni ottanta segnarono l'esordio delle uniformi colorate per gli estremi difensori, che passarono dalla storica e tradizionale divisa nera con colletto blu a casacche più varie dalle tinte verdi, gialle o grigie, fino ad arrivare (specialmente con Walter Zenga) a bizzarre maglie viola, rosse, celesti, variopinte, sfumate, a strisce, dallo stile esotico o con motivi e stili molto eterogenei. Dopo aver conquistato lo scudetto dei record con Trapattoni, l'Inter cambiò nuovamente il proprio logo societario, tornando ad utilizzare quello storico, seppur con leggeri cambiamenti. Nel 1991 i britannici della Umbro divennero i fornitori ufficiali della maglia nerazzurra, schiarendo notevolmente le tinte blu della prima divisa fino a tramutarle in un vero e proprio azzurro. Nel 1995, in occasione del debutto sulle maglie dello storico sponsor Pirelli (tuttora presente sulle maglie interiste), si tornò ai classici colori neri e blu. Nel frattempo, con l'arrivo degli anni novanta, prese pianta stabile (per ovvi motivi di marketing) l'inserimento di una terza divisa: nel corso delle stagioni successive l'Inter ha quasi sempre utilizzato terze maglie gialle con richiami al nerazzurro, se non per poche eccezioni come ad esempio nel biennio 2000-2002 (a tinte arancioni) oppure nel caso della storica divisa a strisce blu e grigie orizzontali, utilizzata nella stagione 1997-1998 in occasione della Coppa UEFA (poi vinta) ed in seguito nostalgicamente riproposta nel biennio 2004-2006. Nel 1998 iniziò il sodalizio nerazzurro con il colosso Nike, che cominciò a fare della maglia da gioco un business: i tifosi cominciarono a diventare collezionisti, comprando ogni anno le maglie nerazzurre e personalizzandole in base al proprio calciatore preferito. 40

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1988-1989: è la maglia dell'Inter dei record di Trapattoni che vinse il tredicesimo scudetto

2009-2010: è la maglia dell'Inter del triplete di Mourinho, con cui vinse tutto in Italia ed in Europa


SPECIALE / MAGLIA INTER

foto Image Sport

SEMPRE BELLISSIMA Gli anni passano ma la maglia nerazzurra è sempre uno spettacolo

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SPECIALE / MAGLIA INTER

Dal 2005 l'Inter cominciò a dominare in Italia, collezionando trofei su trofei. Nella stagione 2007-2008, in occasione del centenario della società, la seconda divisa interista divenne rossocrociata per richiamare lo stemma milanese, ricordando così la maglia utilizzata nella stagione 1928-1929. L’annata 2009-2010 fu sicuramente quella più memorabile per i nerazzurri: la squadra conquistò il cosiddetto triplete vincendo Coppa Italia, campionato e Champions League. In tale stagione lo stemma societario venne circondato dai colori della bandiera italiana per ricordare il centenario del primo scudetto. Per il campionato successivo vennero profanate le classiche strisce verticali nerazzurre, che divennero a zig-zag, mentre la seconda divisa, bianca, riportò come motivo principale un biscione nerazzurro sul lato sinistro. Un altro sconvolgimento accadde nella stagione 2012-2013: la seconda divisa venne interamente colorata di rosso, con dei leggeri richiami nerazzurri sulle maniche. Nell’annata seguente venne cambiata la tonalità dei colori sulla prima maglia: l’azzurro divenne molto scuro, tanto che la maglia, col sudore dei calciatori, appariva tutta nera. Tale novità piacque agli stilisti e l’anno successivo la casacca da gioco ebbe lo stesso stile di un gessato: tutta nera con sottilissime strisce azzurre. L’attuale divisa, quella della stagione 2015-2016, con le classiche strisce nere e azzurre, si ispira a quella del 1991, e va a celebrare i 25 anni della prima Coppa UEFA. 2015-2016: è la maglia utilizzata quest'anno dall'Inter di Mancini. Si ispira a quella della prima Coppa UEFA della stagione 1990-1991

ORGOGLIO NERAZZURRO Il volume Orgoglio nerazzurro, edito da Geo Edizioni, è un almanacco illustrato che riassume l’ultracentenaria storia interista attraverso migliaia di divise: prime, seconde e terze maglie, senza dimenticare le casacche dei portieri o addirittura quelle indossate in amichevoli o in occasioni celebrative. L’autore del libro è il ventunenne foggiano Francesco Ippolito, studente di ingegneria civile presso il Politecnico di Bari, tifoso interista e redattore sportivo. Nelle pagine introduttive dell’opera viene sintetizzata, attraverso un’esaustiva descrizione, la storia societaria in tutte le sue più ampie sfaccettature, evidenziando in modo particolare la storia delle divise da gioco e la loro evoluzione col passare degli anni. Il volume si presenta come un’opera unica per la notevole mole di dati e disegni, frutto di un lavoro durato circa sei anni. In appendice è presente anche un curioso capitolo sulla squadra mista Inter/Milan, che ha raccolto per decenni undici calciatori uniti dallo stesso vessillo, quello milanese.

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foto Agenzia Liverani

Una raccolta per scoprire tutti i segreti della maglia nerazzurra

Mandorlini con la casacca dell'Inter, stagione 1986-87



INTERVISTA Stephan Lichtsteiner IL FENOMENO DELLA FASCIA In pochi interpretano il ruolo di esterno come lo svizzero

È tempo di Champions foto Image Sport

Incontriamo Stephan Lichtsteiner qualche giorno dopo aver festeggiato il 5° scudetto di fila, ma il “cannibale svizzero” è già pronto per la prossima stagione.

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di Sergio STANCO foto Archivio TC&C


foto Meschina

INTERVISTA / Stephan Lichtsteiner

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he cos'è per voi il tempo? Ve lo siete mai chiesti? E allora prendetevi cinque minuti - appunto - e fermatevi per fare questa riflessione. Una riflessione che, al di là di quanto possa sembrare, è tutt'altro che banale. Anche perché, viaggiando costantemente ai ritmi frenetici che la vita moderna ci impone, spesso ci si dimentica di quali siano le cose realmente importanti, quelle alle quali vale davvero la pena dedicare attenzione. E non è un caso che questa riflessione sia venuta in mente a Stephan Lichtsteiner, uno al quale - un giorno - un signore sconosciuto in camice bianco ha detto: "Mi dispiace signore, ma lei ha un problema al cuore. Potrebbe dover lasciare il suo lavoro". E si dà il caso che il lavoro a cui alludeva quel glaciale dottore era anche il sogno di un bambino, che è cresciuto con il pallone tra i piedi inventandosi i boati del pubblico. Per Stephan il concetto di tempo si è concentrato tutto in quell'attimo, ma subito dopo ha incrociato lo sguardo della sua splendida moglie e dei suoi amati bambini e

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Arrivare in finale e poi perderla fa male. Anche se ti trovi di fronte una grandissima squadra come il Barcellona allora tutto si è diluito, lo sconforto si è trasformato in reazione, la giornata è stata scandita dalla riabilitazione, perché l'obiettivo è diventato soltanto uno: rientrare in campo per sentirlo di nuovo - dal vivo - quel boato che da ragazzino gli risuonava nella testa ad ogni giocata vincente contro l'avversario immaginario. E Stephan quel boato l'ha risentito eccome e poiché non è mai stato uno banale, lo ha addirittura causato, togliendosi una delle soddisfazioni più importanti della sua carriera. Moenchengladbach, 3 novembre 2015, la Juve va a giocarsi la qualificazione

Champions nel catino del Borussia Park. Lì se ne sentono boati, eccome se se ne sentono, ma solo quando il Borussia attacca. A meno che Lichsteiner, appena rientrato dopo l'operazione al cuore e immediatamente buttato nella mischia da un fiducioso Allegri (a testimonianza della stima e dell'importanza, ma anche dell’irrinunciabile personalità del giocatore), si diverte a spegnere i sogni dei tifosi biancoverdi, pareggiando il vantaggio avversario e – di fatto – regalando la qualificazione alla Juve. Dopo, però, è arrivata la beffa di Monaco, che fa il paio con la dolorosa sconfitta di Berlino dell’anno prima: "Quello è il nostro più grande rimpianto - ci confida Stephan - perché arrivare in finale e poi perderla fa male. Anche se ti trovi di fronte una grandissima squadra come il Barcellona. Ci è mancata anche un po' di fortuna, ma il calcio è così, la differenza, soprattutto in Champions, la fanno i particolari. Come si è visto anche quest'anno a Monaco di Baviera, eravamo praticamente qualificati, poi una distrazione e... Sto ancora a rosicà (proprio così, alla romana ndr) per quella partita, ma da quella gara dobbiamo ricominciare, perché ci ha dato grande Calcio 2OOO

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INTERVISTA / Stephan Lichtsteiner

Un Pendolino dolce Di Sergio Stanco

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he cos'è per voi il tempo? Questo è esattamente il "contest" lanciato da Stephan Lichtsteiner sui suoi canali social. Un'idea che probabilmente gli è venuta in quel periodo in cui lo svizzero è dovuto rimanere fermo ai box e ha temuto di non poter più tornare in campo. Per uno svizzero, il cui soprannome professionale per altro è "Pendolino", il tempo è tutto, perché devi essere sempre puntuale, sia quando c'è da partire per beffare la linea e andare a far male al portiere avversario, sia quando c'è da chiudere la diagonale difensiva. Solo che nella vita le prospettive cambiano in fretta: "Quello che mi è successo - ci ha raccontato - ha cambiato il mio approccio, mi ha insegnato che bisogna godersi ogni attimo della vita perché le cose possono cambiare da un momento all'altro. Sono un uomo felice, realizzato, ho una splendida famiglia e ora quello che mi auguro è solo la salute per me e per loro. Non posso chiedere di più, perché mi sento già fortunato". Per la cronaca incontriamo Stephan in occasione di un evento nel quale, con il suo sponsor personale Carl F. Bucherer, azienda svizzera che produce orologi ("segnatempo" come ancora li chiamano i più nostalgici), organizzato per premiare Claudio e Alexandra, una coppia italo-svizzera (per altro tifosi della Juve) che, con la sua risposta, ha emozionato Stephan e ha vinto il contest, guadagnandosi un pranzo con il loro beniamino nella splendida corni-

foto Meschina

Per i vincitori, una giornata in compagnia del campione svizzero

ce della nuova Orologeria Pisa, una delle boutique più belle e rinomate a due passi da via Montenapoleone a Milano. La loro risposta al quesito? "A volte vedi i tuoi figli crescere e pensi che lo facciano troppo in fretta. Ma, poi, alla fine ti rendi conto che è giusto così, è giusto che il tempo passi e ci riempia di momenti felici da portare nel cuore". A proposito di cose importanti della vita...

Social... il giusto Di Sergio Stanco

Lichtsteiner conosce l'importanza di avere un contatto con i propri fan

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tephan è un ragazzo molto riservato e molto diverso da quello che vedete in campo. All'evento si presenta con look da intellettuale e una timidezza che, vedendo quell'ossesso che in pantaloncini rincorre anche i fili d'erba e sbraita contro tutti, era difficile da immaginare. Una compostezza e una riservatezza che il giocatore della Juve testimonia anche quando parla dei suoi rapporti con i social network. Stephan, ovviamente, si è dotato di tutti gli strumenti necessari ad un calciatore moderno per promuovere la propria immagine, ma cerca di utilizzarli al meglio: "Il mio rapporto con i Social Media è ambiguo. Non sono un grande fan dei social media a livello personale, anche perchè preferisco il contatto diretto con i miei amici e famigliari al posto dei social. Inoltre l’aumento di spam, di persone che si nascondo dietro dei falsi profili o che addirittura si comprano i ‘like’, mi infastidisce. Allo stesso tempo, però, grazie ai Social Media ho l’opportunità di rimanere in contatto con i miei tifosi in modo diretto, rapido e da qualunque parte del mondo e di poterli ringraziare con delle piccole sorprese". Come è accaduto a Carlo e Alexandra, i due tifosi della Juve che si sono ritrovati a pranzo con Stephan. Ma non è tutto, perché i social possono anche avere un risvolto veramente sociale: "Grazie a loro ho anche l’opportunità di mettere in evidenza i miei progetti personali a

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livello di ambasciatore della Fondazione Svizzera di Cardiologia". E nessuno, più di Stephan, sa quanto sia importante sostenere questi progetti. Per i tifosi che vogliono seguire Stephan Lichtsteiner sui Social Network ecco i suoi canali ufficiali:

Facebook: facebook.com/LichtsteinerOfficial Twitter: twitter.com/lichtsteinerSte Instagram: instagram.com/stephanlichtsteiner


INTERVISTA / Stephan Lichtsteiner

VOGLIA DI CHAMPIONS

foto Federico De Luca

Lichtsteiner punta a conquistare la coppa dalle grandi orecchie

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Da calciatore mi sento realizzato, anche se vincere la Champions… Ora non è un sogno è un obiettivo…

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consapevolezza". Già, perché l'introduzione di questa intervista che Stephan ci ha rilasciato, dovrebbe avervi insegnato qualcosa sulla "testardaggine" dello svizzero no? "Secondo me proprio Monaco ci ha fatto capire che siamo cresciuti, che ormai siamo al livello delle altri rivali d'Europa e che possiamo giocarcela contro chiunque. Nella gara di andata contro il Bayern siamo stati un po' troppo timidi nel primo tempo, ma nel secondo abbiamo reagito con forza e poi, là, abbiamo affrontato i tedeschi a viso aperto, senza paura. Purtroppo non è andata come speravamo, ma l'errore sta a monte, quando a Siviglia abbiamo perso e quella sconfitta ci è costata un sorteggio poco favorevole. Tuttavia, nella doppia sfida contro il Bayern che tutti davano come largamente favorito per la vittoria finale, non abbiamo demeritato. Anzi. Ora la Champions non è più solo un sogno ma un obiettivo". Con un Pjanic e un Dani Alves nel motore, poi, lo è ancor di più, ci verrebbe da dire. Ai tempi del nostro amabile colloquio, però, il bosniaco e il brasiliano non erano nemmeno entrati nelle cronache del calciomercato: "Aumentare la qualità di questa Juve non è facile - ci aveva

confidato lo svizzero - Perché è già un gruppo fortissimo, che ha dimostrato di avere grandi qualità tecniche, morali e caratteriali". In questo senso, poi, Lichtsteiner è un esempio dentro e fuori dal campo: "Io come il mio connazionale Federer? Mi piacerebbe, ma lui ha vinto 7 Wimbledon, io voglio vincere più di 7 scudetti con la Juve". Magari con Allegri al comando, un tecnico con il quale si è creato un rapporto speciale: "È un tecnico bravissimo, intelligente e molto umano". Uno con il quale i sogni possono diventare finalmente realtà: "Da calciatore mi sento realizzato, anche se vincere la Champions...".

Intervista di Sergio Stanco Calcio 2OOO

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INTERVISTA

CUORE ROSSOBLUCERCHIATO Pagliuca, un numero uno che ha fatto la storia del calcio… di Pierfrancesco TROCCHI

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rimasto lo stesso. Fisico ancora quadrato ed impostato, come fosse pronto a tornare in campo da un momento all’altro; l’umiltà di uno spirito forte, che emana la sicurezza di chi ha retto sulle spalle, larghe e robuste, le responsabilità del calcio ai suoi livelli più alti; lo sguardo leale, capace di dimostrarsi vero in ogni circostanza, al di là di ogni ipocrisia del pallone. Nel 1993, dopo un incidente automobilistico quasi fatale, Paolo Mantovani, storico presidente doriano, disse di lui: “Lo abbiamo comprato gratis dal cielo”. Sì, perché quella volta fece la sua parata più importante Gianluca Pagliuca, oro di Bologna e di Genova: quella parata che gli permise, nel tempo, di diventare uno

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dei giocatori più iconici e amati dagli italiani. Partiamo dalle origini. La scelta del ruolo è stata casuale o voluta? “Entrambe. Quando incominciai a giocare da ragazzo, mi piaceva molto fare gol. Facevo la mezzala, l’ala o il numero 10, però, quando c’erano partite contro squadre forti, mi mettevano in porta. Diciamo che ero il jolly della squadra. Poi, a 1314 anni, ho incominciato a restare sempre tra i pali”. Nel 1982 ti nota Pietro Battara ed entri nelle giovanili del Bologna. “Feci un primo provino l’anno precedente, ma non mi presero perché avevano già stabilito tutti i quadri. Così, giocai un anno a Casteldebole: fu

la mia fortuna, perché feci un campionato strepitoso e l’anno dopo firmai con i rossoblu”. Passi 4 anni a farti le ossa in Emilia, poi la svolta con la Sampdoria. “Era il gennaio del 1986 e la Sampdoria mi chiese in prestito per il torneo di Viareggio. Facemmo un buon torneo, tanto che arrivammo in finale ed io venni eletto come miglior portiere della competizione, parando due rigori al Milan in semifinale”. Convinci la dirigenza e arrivi in blucerchiato per 250 milioni di lire. In tre anni, due Coppa Italia e una Coppa delle Coppe, ma l’apice è lo Scudetto del 1991. “Fu qualcosa di clamoroso, appassionante, bellissimo.

Proprio quest’anno abbiamo festeggiato i 25 anni della vittoria al Marassi: c’era la curva stipata, una festa meravigliosa. Quando vado a Genova, quasi mi stendono il tappeto rosso. Ogni volta, ci rendiamo conto di avere fatto qualcosa di storico”. C’è stato un momento in cui avete preso consapevolezza di poter vincere? “Quell’anno facemmo un campionato molto continuo, nonostante le corazzate avversarie. C’era l’Inter dei tedeschi, il Napoli di Maradona, il Milan degli olandesi, la Roma di Voeller e la Juventus di Baggio e Schillaci. Noi eravamo gli outsider, nessuno ci dava per favoriti. Fuori casa perdemmo soltanto una partita, con 8 goal subiti in 17 match, e gli


intervista / gianluca PAGLIUCA

foto Agenzia Liverani

UNA VERA SARACINESCA Ovunque è stato, ha sempre fatto la differenza

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foto Agenzia Liverani

intervista / gianluca PAGLIUCA

AI TEMPI DELLA SAMP Con Vierchowod e Vialli, amici blucerchiati

scontri diretti furono tutti nostri. E poi, davanti avevamo Vialli e Mancini che i goal li facevano, ecco…” Di quella Samp, quasi tutti ora siedono in panchina. Merito di Boskov? “Boskov gestiva molto bene lo spogliatoio, non voleva rompiscatole e sapeva tenerci uniti, ma il merito va dato soprattutto alla personalità dei miei compagni”. Hai un aneddoto sullo storico allenatore serbo? “Quando facevamo le riunioni di squadra, ogni tanto diceva delle cavolate tali da farmi nascondere dietro all’accappatoio dalle risate. Era un uomo molto intelligente e lo faceva per sciogliere la tensione. Il suo motto era difendere i vecchi e attaccare i giovani, in qualsiasi caso (ride, ndr)”.

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E su Mancini? “Mancio aveva una grande personalità. Voleva sempre giocare, con certe litigate con Boskov… Gli ordinava la sostituzione, ma Roberto rispondeva: “No, io non esco”. A quel punto, Boskov faceva finta di niente e cambiava un altro, perché, se si fosse messo a fare la guerra con Roberto, pupillo del presidente Mantovani, ci avrebbe soltanto rimesso”. Proseguiamo la storia. Nel 1992 sfiorasti la vittoria della Champions in finale contro il Barcellona. Troppo forti i blaugrana? “No, eravamo forti anche noi, entrambe le squadre ebbero più occasioni. Diciamo che ci sono quelle squadre che, per destino, rimangono con l’amaro in bocca, com’è successo a

noi. Penso alla differenza tra l’Atletico Madrid, che ha perso due finali in due anni, o tra Juve, che ne ha vinte due su nove, e squadre come l’Aston Villa, l’Amburgo, il Nottingham Forest, che hanno vinto la Champions al primo tentativo”. A proposito di coppe perdute, ahimè, salta alla mente il Mondiale 1994. “Fu un’esperienza bellissima comunque, ma vincere la Coppa e arrivare secondi è come, rispettivamente, andare al mare o andare in piscina”. Tra l’altro, per te fu un Mondiale un po’ turbolento. “Sì, feci un errore alla prima partita e nella seconda fui espulso. Sacchi, però, poi mi diede comunque fiducia e feci bene, al netto

del palo che mi salvò dalla figuraccia in finale contro il Brasile”. Brasile fatale ai rigori, la tua specialità. “Ne parai uno, ma non servì. Pensa che Buffon ha vinto un Mondiale ai rigori senza nemmeno bloccarne uno, io invece l’ho perso. Purtroppo, è la legge del calcio”. Dal 1995, però, non vieni convocato. “Dopo il Mondiale, Sacchi tagliò giocatori come Baggio, Signori e me. Disse che preferiva convocare Peruzzi perché era abituato a giocare a zona: insomma, una gran cavolata. Evidentemente, riteneva più forte lui. Così, non mi chiamò più”. Si dice che nel 1996 non ti inserì nei convocati per


foto Agenzia Liverani

intervista / gianluca PAGLIUCA

AMORE PER BOLOGNA In rossoblù tanti momenti da ricordare

quell’intervista in cui dicesti che avevi avuto circa un centinaio di donne. “No, Sacchi aveva già deciso. Quell’intervista fu fatta in tono scherzoso, dissi un numero tanto per dire. Quell’anno, nonostante tutto, Cesare Maldini mi convocò per la Nazionale olimpica ad Atlanta. Dopo le Olimpiadi, Maldini passò alla Nazionale maggiore e continuò a prendermi in considerazione”. Facciamo un passo indietro: nel 1994 ti trasferisci all’Inter. “Subito non volevo andare. Avevo appena vinto la Coppa Italia con la Samp, era arrivato Gullit e potevamo vincere lo Scudetto. Io speravo di rimanere, ma, dopo la morte di Mantovani, dovettero sacrificare me, il giocatore con più

mercato, tanto che l’Inter pagò 10 miliardi più i cartellini di Zenga e Ferri”. Milano, dove rimani per 5 anni. Di quel periodo, fulcro è la stagione 1997/98, nel bene e nel male. Partiamo dal male: Juventus-Inter, decisiva per lo Scudetto. “Furto con scasso. Ci rubarono la partita, ma le avvisaglie c’erano già state una settimana prima, quando, nella sfida contro la Juve, all’Empoli annullarono un gol regolare, con la palla dentro di mezzo metro, e pure un mese prima, in una situazione simile contro l’Udinese”. Secondo te c’era un disegno? Una Calciopoli ante litteram? “Guarda, mi fa specie che abbiano privato la Juventus

degli Scudetti del 2004/05 e 2005/06, quando non ci furono episodi così clamorosi, e le abbiano lasciato quello del 1997/98”. Ora parliamo del bene di quella annata: Coppa Uefa, 3 a 0 contro la Lazio in finale e il trofeo è vostro. “La Lazio aveva vinto la Coppa Italia la settimana prima, ma noi eravamo davvero arrabbiati e vincemmo a mani basse. Il nostro sogno era fare la doppietta, ma non c’è stato nulla da fare”. Alla fine della stagione, comunque, la maledetta partita contro la Juve portò strascichi importanti. “Sia chiaro, con i giocatori bianconeri non ho mai avuto problemi, un rapporto splendido. Dopo la gara ebbi, però, uno screzio con

Lippi, allenatore di quella Juve e che nell’annata successiva passò all’Inter. Chiese subito la testa di Simeone, Bergomi e la mia: sperai invano di trovare un chiarimento dopo il litigio, ma non fu possibile”. Non c’è un bel rapporto tra te e Lippi, immagino. “C’è sempre stata un po’ di acredine. Mi mandò via per acquistare Peruzzi a più di 20 miliardi, anche se io ed Angelo eravamo allo stesso livello. Fu una scelta scellerata di mercato, perché mi regalarono il cartellino, io andai a Bologna e l’Inter continuò a pagarmi metà dell’ingaggio”. Moratti se n’è pentito? “Mi ha sempre detto che vendere me e Simeone è stato lo sbaglio più grande della sua carriera da

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intervista / gianluca PAGLIUCA

foto Agenzia Liverani

I SUCCESSI IN COPPA ITALIA Pagliuca ha vinto la competizione tre volte, sempre in maglia Samp

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intervista / gianluca PAGLIUCA

Il presidente nerazzurro quell’anno poteva coccolarsi forse il migliore Ronaldo. È il più forte con cui tu abbia giocato? “Sì, senza dubbio. Ti risolveva la partita da solo. Ho giocato con tanti campioni, come Baggio, Vialli, Mancini, Signori, Pirlo… Ronaldo, però, era un’altra cosa”. Com’era lui? “Un bambinone, sempre scherzoso, non si applicava molto in allenamento. I campioni come lui, al giorno d’oggi, si impegnano molto di più e tengono un atteggiamento professionale”. Parlando sempre di compagni, per un anno hai condiviso la stanza con Taribo West. È davvero matto come dicono? “Un pazzo scatenato. Non mi faceva dormire, alle 3 di notte lo chiamavano al telefono gli amici o la moglie, andava in bagno mentre dormivo, facendo tantissimo rumore. Urlava nel cuore della notte, scartava panini e li mangiava, accendeva la televisione. Non lo faceva a posta, ma fu praticamente un incubo”. Torniamo alla storia della tua carriera. Nel 1998 torni a Bologna dopo 11 anni, questa volta in prima squadra. Lo volesti fortemente tu? “Sì. Avevo tante richieste, anche da squadre della Premier League, come l’Aston Villa, di cui sono tifoso, e dalla Spagna. Mi dispiacque parecchio lasciare un ambiente come l’Inter, dove stavo molto

bene e che, per bacino d’utenza ed ambizioni, è molto diverso da quello rossoblu”. 1998 è anche l’anno dei Mondiali di Francia, dove giochi titolare. “Il titolare sarebbe dovuto essere Peruzzi, ma si infortunò una settimana prima dell’esordio. Giocai molto bene e fui giudicato uno dei migliori portieri del Mondiale, forse perché avevo meno pressioni rispetto al 1994”. Italia ancora eliminata ai rigori, questa volta ai quarti contro la Francia. Ti sei sentito sfortunato? “No, diciamo che sono state soltanto concatenazioni di coincidenze poco favorevoli, perché sbagliarono Albertini e Di Biagio mentre io parai un rigore. Il calcio è questo”. Torniamo al Bologna. Com’è sentirsi il principe a casa propria? “È bello, ma tutti ti aspettano sempre al varco. Mi sono tolto, però, tante soddisfazioni, come diventare il portiere con più presenze in rossoblu (206, ndr)”. Sette anni nel capoluogo emiliano, poi, nel 2006, vai ad Ascoli, dove, ad un certo punto, finisci in panchina. Cosa successe? “Giocai nel girone d’andata con allenatore Tesser, con cui mi trovai magnificamente. Poi, arrivò in panchina Sonetti e mi disse che voleva che fossi decisivo, sempre. Insomma, mi mise pressioni che a 40 anni non volevo sopportare. Avemmo una discussione e gli spiegai che non

foto Agenzia Liverani

presidente”.

GRUPPO VINCENTE A Genova tanti campioni e tante vittorie

avrei più giocato, perché non ero più il portiere che lui voleva che fossi. Così, scelse come titolare Eleftheropoulos, che poi commise qualche errore, tanto che Sonetti mi chiese di tornare tra i pali: rifiutai”. Te ne sei pentito? “Sì, perché, giocando le ultime partite, avrei raggiunto le 600 presenze in Serie A. La storia con Sonetti, però, non finì lì”. Ossia? “L’anno successivo andò ad allenare il Cagliari, ma, a metà campionato, fu esonerato e arrivò Ballardini, che conoscevo da tempo e che mi voleva a Cagliari. Non se ne fece nulla, perché venni a sapere che Sonetti aveva parlato in maniera pessima di me con Cellino. Così, decisi di smettere

di giocare, anche perché non ricevetti altre proposte dalla Serie A, ma soltanto dalla B, dalla Romania e dal Brasile”. Chiudi la carriera nel 2007 con 24 rigori parati su 83: nessuno come te. Avevi una tecnica particolare? “No. Di tanti sapevo come l’avrebbero tirato, altri ad intuito. Li ho sempre parati, fin da piccolo speravo di sentirne fischiato uno contro per potere vivere il duello”. Una volta ritirato, il tuo percorso non è stato scontato. “Decisi di provare come opinionista, per poi passare ad allenare, nel 2014/15, i Giovanissimi del Bologna. Un’esperienza bellissima, ma non so se la rifarei, perché

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intervista / gianluca PAGLIUCA

foto Agenzia Liverani

“Un presidente carismatico, che ha grandi ambizioni, dà una carica in più a tutti. A Paolo Mantovani sono rimasto molto affezionato, perché è stato il primo a credere in me, dandomi sempre supporto. Se fosse rimasto presidente della Samp, credo sarei rimasto a vita a Genova”.

IL PASSAGGIO ALL'INTER Nel 1994, Pagliuca se ne va a Milano, sponda nerazzurra

non avevo collaboratori e dovevo gestire una trentina di ragazzi. Il ruolo dell’allenatore è ora molto più complesso e “maniacale” rispetto ad un tempo”. Un ruolo nel calcio ora? Se ti chiamasse “Er Viperetta” alla Samp? “Ora sono responsabile di tutti i portieri del settore giovanile del Bologna, dove sono contentissimo di stare. Ho anche la mia Virtus qui”. Hai una passione per il basket e per le “V nere”? “Per il basket, per il tennis… insomma, per lo sport in generale. Per dirti: quando ancora giocavo, il giovedì c’era la Virtus in Eurolega e partivo da Milano per andare a Bologna e tornare in giornata. Una pazzia! (mostra il tatuag-

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gio con lo stemma della Virtus, ndr)”. Un’altra tua grande passione, come accennato prima, è quella per l’Aston Villa. Inusuale per un italiano! “Negli anni ’80 trasmettevano il campionato inglese su Italia 1 e io mi ero innamorato di questa maglia claret and blue. Quell’anno, i Villans vinsero il campionato e la stagione successiva la Coppa dei Campioni con una squadra davvero forte, i cui membri ho conosciuto un paio d’anni fa su invito ufficiale della società: una grande emozione”. A proposito di società, hai lavorato con grandi presidenti, come Mantovani, Moratti e Gazzoni. Significa tanto avere un buon patron?

Saresti diventato una bandiera blucerchiata, bandiere spesso abbandonate al proprio destino. Come mai non ricevono l’attenzione che meriterebbero? “Quando giochi, ti adorano tutti; quando smetti, è raro che ti tengano in considerazione. È davvero triste vedere Maldini, dopo tutto quello che ha dato al Milan, essere fischiato dalla Curva ed essere poi messo alla porta”. Arrivano le domande secche. Gli allenatori che ti hanno dato di più? Quelli che non vorresti più rivedere? “Sicuramente, Boskov, ma debbo tanto anche a Simoni e Mazzone. Nella seconda categoria metto di certo Ottavio Bianchi e Nedo Sonetti”. La tua parata più bella? “Io ho il film della parata sul rigore di Matthäus nella sfida-Scudetto contro l’Inter nel 1991. Fu fondamentale, perché ci diede il ‘la’ verso la vittoria del campionato”. Classe e talento, ma eri famoso anche per le tue ‘sclerate’, come le chiami tu. La volta in cui ti sei arrabbiato di più? “I miei compagni sapevano che ero molto permaloso ed evitavano di farmi inner-

vosire. Però, una volta presi per il collo Vierchowod, litigai con Mancini e con altri, ma non ho mai portato rancore, perché miravo al chiarimento”. L’Italia continua a produrre ottimi portieri. Chi preferisci tra i giovani? “Il ruolo è un po’ cambiato, il portiere deve essere bravo anche coi piedi. Mi piace molto Sportiello come pure Perin. Donnarumma sembra davvero forte, ma voglio vedere se riuscirà a confermarsi nella prossima stagione”. Chiudiamo parlando sempre di futuro: come immagini il tuo? “Mi piacerebbe, come ora, avere impegni con i giovani, ma niente che possa limitare le mie libertà. In questo momento sto bene così, anche se non si sa mai. Ho fatto vent’anni in tensione e non so se riuscirei a rivivere quelle pressioni in maniera così intensa”. Vent’anni in cui, con la forza della semplicità di un talento genuino e un animo onesto, ha regalato sogni e si è imposto come protagonista dell’era più splendente del calcio italiano; la speranza di tutti noi è che Gianluca possa scriverne ancora qualche pagina.

Intervista Pierfrancesco TROCCHI


intervista / gianluca PAGLIUCA

foto Agenzia Liverani

UNA COPPA UEFA A MILANO Un successo internazionale con l'Inter nel 1997/98

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LEGA PRO TRASTEVERE

Betturri, Pirozzi e D'Alessio

foto per gentile concessione UFFICIO STAMPA ASD TRASTEVERE CALCIO

GRUPPO VINCENTE Per arrivare in alto, servono competenza e passione...

SEMO ROMANI E ‘N PIÙ TRASTEVERINI di Simone TONINATO

LA REALTÀ AMARANTO È IL FRUTTO DI SOGNI E AMBIZIONI DEL TECNICO PIROZZI E DEL PRESIDENTE BETTURRI 56

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rastevere: un rione (che conta, però, più di 20.000 abitanti), un sindaco allenatore e un’idea di romantica romanità che tanto ha fatto parlare nei mesi scorsi. Ricordate quando tra Francesco Totti e la Roma sembrava esserci una distanza oceanica? Ecco, in quel momento da Trastevere era partito un messaggio indirizzato al capitano romanista – che peraltro sulla riva ovest del Tevere ha mosso i primi passi nella categoria Esordienti – con l’intento di coinvolgerlo in un progetto grondante di ambizioni. Probabilmente non sapremo mai se Totti ci abbia effettivamente pensato su, anche perché dopo la tempesta è tornato il sereno e con lui i gol e il feeling con Spalletti. Gli amaranto, dal canto loro, hanno mantenuto la categoria (era l’obiettivo stagionale) e sono alle prese con la programmazione del prossimo campionato, guardando con un occhio al passato: l’apparizione in Serie B nel lontano 46/47 e con l’altro al futuro. Partiamo da Sergio Pirozzi e dal suo doppio ruolo. Più sindaco o più allenatore? “Più allenatore, è questo il mio lavoro. Fare il sindaco lo ritengo un atto d’amore nei confronti di Amatrice, il “mio” comune, piccolo ma importante”. Vita in panchina, allora. Che ne dice di ripercorrere un po’ la sua carriera? “Porto nel cuore l’esperienza di Ascoli. Lì allenai la Primavera, con cui arrivammo ai quarti di finale del “Viareggio” e in seguito feci il secondo della prima squadra. Per la verità rischiai anche di essere promosso ad allenatore vero e proprio: l’Ascoli perse a Frosinone e il presidente mi chiamò per darmi l’incarico, ma alla fine non se ne fece niente. Poi tanto altro: Viterbese e Rieti nei professionisti, tre vittorie in Eccellenza e la soddisfazione di aver portato l’Amatrice dalla Seconda Categoria alla Promozione. Ma anche delle belle esperienze a Civitavecchia e, in passato, nel calcio giovanile”. Adesso è alla guida di una vettura dalla carrozzeria amaranto. Ci descriva un po’ la realtà trasteverina. “Una società (e una squadra, ndr)

LEGA PRO / TRASTEVERE che soltanto pochi anni fa era in terza categoria e ha risalito la china fino a centrare la promozione in D nella stagione 2014/15. È stato un bruciare le tappe, perché non era ciò che ci eravamo prefissati. Dopo aver fatto il salto siamo riusciti a centrare una salvezza tranquilla e ci stiamo concentrando nuovamente sul progetto, serissimo, che abbiamo alle spalle. C’è in programma di migliorare il nostro impianto: una bomboniera nel centro di Roma, a pochi passi da Villa Doria Pamphilj”. Freniamo, del Vittorio Bachelet ne parliamo più tardi col presidente. Intanto si può già svelare un obiettivo per il prossimo campionato? “Accennavo al fatto che la società si sta impegnando molto sullo stadio, per esempio sul rifacimento del terreno di gioco. Per quanto riguarda la stagione, puntiamo nuovamente alla salvezza. Il nostro impegno è quello di mantenere la categoria e in questo senso il direttore sta lavorando sul mercato per puntellare la rosa che avremo a disposizione. La priorità è rappresentata dal rafforzare il reparto avanzato”. A proposito di attaccanti, affrontiamo l’idea Totti. Non era partita da lei, ma come avrebbe preso l’arrivo di un personaggio di così grande spessore all’interno del “piccolo” Trastevere? “Beh, ormai Totti ha rinnovato con la Roma, quindi… Sarebbe stato un grandissimo valore aggiunto specie dal punto di vista dell’esperienza (nessuno ha mai parlato di Totti nelle vesti di calciatore, ma solo in quelle da dirigente, ndr). Adesso che con la Roma si è risolto tutto, penso che sia finita come era giusto che finisse. Il suo percorso doveva continuare con la Roma e sono contento che rimanga ancora un anno come calciatore e lo sarò anche quando passerà dal campo a un ruolo da dirigente. Ha una grande conoscenza sia del calcio che della piazza romana, quindi penso che il suo futuro sarà ancora lì, una volta appesi gli scarpini al chiodo”. Visto che l’ha nominata lei, sfrutto l’assist per chiederle un’opinione sulla piazza romana. Ma rimaniamo concentrati sul contento trasteverino… “I tifosi si sono avvicinati e continuano ad avvicinarsi pian piano. È un

po’ un premio per il nostro lavoro appassionato. Grazie all’impegno ci stiamo consolidando nel palcoscenico calcistico romano, anche attraverso i confronti con formazioni che rappresentano capoluoghi di provincia che hanno dietro grosse storie calcistiche. Penso al Grosseto e alla Torres per esempio”. Andiamo avanti. Al di là del campionato che disputerete, se la sente di svelare l’obiettivo che si è prefissato lei? “Continuare a fare questo lavoro con la voglia, la passione e l’entusiasmo che avevo quando ho iniziato: allenamenti alle sei spalando la neve per avere a disposizione il campo. Quello spirito per me rappresenta l’essenza del calcio. Spesso passa di moda nelle categorie superiori ma io sono per un calcio d’appartenenza, per romantici”. Non si illuda, non abbiamo ancora finito. Di solito chiedo un ritratto personale, ma stavolta devo chiedergliene due: il suo e quello del presidente Betturri. Può scegliere lei da quale incominciare… “Parto dal presidente: un uomo d’altri tempi, nel senso migliore del termine. Una persona seria, per cui vale ancora la stretta di mano, roba difficile da trovare ai nostri giorni, lo definirei quasi una mosca bianca. Poi devo rispondere su di me? So n’capoccione (sorride, ndr) che si ispira a una frase di Nelson Mandela: “un vincitore è un sognatore che non si è arreso”. Quindi sono un testardo che crede nei sogni, ma sono anche un uomo di montagna e, in quanto tale, sono abituato a combattere”. Presidente Betturri, ha sentito? Il suo mister la definisce un uomo d’altri tempi. Lui fa il sindaco, lei a parte il Trastevere che fa nella vita? “Mi occupo di cultura, sono direttore del museo di Arti e Tradizioni popolari di Configno, una zona di Amatrice”. Lei è a capo di questo progetto. Pirozzi ne ha parlato un po’, che ne dice di approfondire? “Parto dal 1909? (sorride, ndr). Diciamo che tra alti e bassi il Trastevere è arrivato fino al 2002, poi per una decina d’anni non ha più fatto alcuna attività sportiva e lì siamo arrivati noi. Ripartendo dal livello più

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LEGA PRO / TRASTEVERE basso, siamo andati su un passo alla volta, con capacità e un pizzico di fortuna. Ci siamo guadagnati la nostra D e al primo anno siamo riusciti a conservarla”. Ma…? Non sembra del tutto soddisfatto, vada avanti… “Ma a Roma non si può fare calcio oltre questa serie, perché mancano gli impianti dove giocare. È rimasto l’Olimpico e poi ci siamo noi (ci sarebbe anche il Flaminio, ma quello è un capitolo a parte e non è questa la sede per approfondire sulle condizioni in cui versa, ndr). Le due squadre che nella scorsa stagione militavano in Lega Pro giocavano fuori: la Lupa Roma ad Aprilia (Latina, ndr) e la Lupa Castelli Romani a Rieti, le altre formazioni romane o giocano a

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triste vederlo girare per il mondo, in America o in Cina, come hanno scelto di fare altri suoi colleghi. Al contrario, mi sarebbe piaciuto se si fosse potuto unire a noi per poi magari rientrare alla Roma come dirigente, una volta che i tempi fossero stati maturi”.

porte chiuse o si spostano”. Cambiamo argomento: pazza idea, lo diceva Patty Pravo, si ricorda? Ci dica tutto su Totti e il Trastevere… “Gli abbiamo fatto una proposta, in quanto simbolo di Roma, che qui ha già giocato (allora si chiamava Smit Trastevere, ndr). La città gli vuole bene perché è un personaggio della Capitale e dato che alla Roma sembrava che non lo volessero più gli abbiamo scritto una lettera per convincerlo a sposare il nostro progetto, ma non come calciatore eh. Non sarebbe stato onorevole per lui, dato ciò che ha fatto nella sua carriera. A noi sarebbe piaciuto averlo qui per rendere definitivamente il Trastevere la terza squadra della città. Sarebbe stato

Ma lei ha mai creduto realmente alla possibilità di convincerlo? “Io ho proposto un’idea, ma è chiaro che sarebbe stata soltanto una soluzione secondaria. Trastevere poteva essere un’ipotesi solo alternativa dal momento che sembrava che ci fossero problemi tra lui e Pallotta. Non avendo più spazio nella Roma, noi ci eravamo proposti, soprattutto per non dilapidare un patrimonio che è della Capitale. Ma come di-


LEGA PRO / TRASTEVERE cevo, non mi sarei mai sognato di chiedergli di giocare per noi”.

l’unica novità…”. Che altro c’è? “Abbiamo inaugurato il nostro store, un negozio bellissimo proprio nel cuore di Trastevere. Non possono più vantarlo solo Roma e Lazio, adesso ne abbiamo uno anche noi”.

Adesso che ha rinnovato, è più felice del fatto che sia rimasto a Roma o più triste perché anche la più piccola delle speranze è svanita? “Pensavo e penso che quella del rinnovo fosse la strada più naturale e più giusta, sono felice che prosegua un altro anno come calciatore. Poi magari diventerà dirigente, quello sarebbe il quadro perfetto e penso che alla fine andrà in questo modo”. E se in futuro non ci dovesse essere più spazio per Totti alla Roma, lei sarebbe disposto a provarci di nuovo? “Certo che sì, ma sarebbe nuovamente un consiglio e glielo darei

nello stesso modo. Per me l’importante è che Totti rimanga a Roma, quindi, dato che alla Lazio non potrebbe andare, avrebbe soltanto un’altra soluzione e quella saremmo noi”.

Chiudiamo con la stagione agonistica che andrete ad affrontare. Non le dico cosa ha detto il suo allenatore, vediamo se lei conferma. Ma se c’è da sbilanciarsi, lo faccia… “Penso che faremo un buon campionato, stiamo programmando tutto per raggiungere una posizione di centro classifica. Insomma, lavoriamo per una salvezza tranquilla, come quella conquistata nella passata stagione”.

Aspettiamo che il tempo faccia il suo corso ed eventualmente ci risentiamo l’anno prossimo, intanto torniamo con i piedi per terra. Il primo passo in vista del 2016/17 è lo stadio, sappiamo del nuovo manto erboso… “Che sarà di ultima generazione. I lavori per adeguare l’impianto sono ben avviati e si chiamerà Trastevere Stadium (per ora la denominazione è ancora Vittorio Bachelet, ndr), è di nostra proprietà e ha una capienza di circa 700 posti. E non è

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UN UOMO VERO

foto Agenzia Liverani

Oriali in divisa 'Nazionale'

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I GIGANTI DEL CALCIO gabriele oriali

NON SOLO MEDIANO Lunga intervista con Gabriele Oriali, uno che, di calcio, ne ha sempre capito tanto…

di Francesco FONTANA foto Agenzia Liverani

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I GIGANTI DEL CALCIO / GABRIELE ORIALI

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ppare quasi inutile rubare del tempo alla lettura per presentarlo, perché qualsivoglia parola sarebbe superflua. Il suo nome è più che sufficiente per far rivivere al popolo interista e azzurro le tante gioie che ha regalato in campo, indossando la casacca, quella del Biscione, diventata nel tempo una seconda pelle, oltre quella della Nazionale, con quella notte di mezza estate che ha scritto la storia del calcio italiano che sembra ancora tanto presente, così attuale nella mente degli italiani. Una storia, la sua, durata 21 anni. Da quando iniziò il percorso nel settore giovanile dell'Inter nel lontano 1966 fino ad arrivare all'ultima corsa con il viola della Fiorentina, sua seconda e ultima squadra di club. Gabriele Oriali si racconta in questa lunga e 'storica' intervista esclusiva con Calcio2000, toccando tutte le tappe che hanno contraddistinto la sua grande carriera, caratterizzata da tanti chilometri percorsi in campo e altrettante intuizioni da uomo-mercato dopo aver 'appeso le scarpette al chiodo', tra Solbiatese, Bologna, Parma e Inter. IL CALCIO NEL SANGUE

foto Image Sport

Oriali ha esperienza da vendere nel mondo del pallone

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I gol a cui sono più legato? Quelli contro il Milan, senza dubbio. I derby erano e resteranno per sempre i derby Il passato poi torna presente, con l'attualità che è ancora azzurra. E lo sarà almeno fino al prossimo Mondiale del 2018 in Russia, questa l'intenzione del Lele nazionale. Tutto parte da un paese di 18.000 abitanti. “Esattamente, a Cusano Milanino. Ricordo con piacere quel periodo, e lo dico con molto orgoglio. Tanti calciatori hanno mosso i primi passi nella società di questo paese, e penso a Trapattoni e Maldera. Quest'ultimo il mio primo, vero amico nel mondo del calcio. Inoltre andammo via nello stesso anno per appro-

dare rispettivamente all'Inter e al Milan, intraprendendo in pratica una carriera parallela, anche nella Nazionale italiana”. È vero che da giovanissimo era juventino? “Sì, confermo. Per via di mio padre che era tifoso della Juventus. Ricordo anche che mi portò a vedere una sfida in casa del Varese, ma con l'arrivo in nerazzurro inevitabile poi diventare interista”. A chi il merito di averla scoperta? “A Cusano c'erano i fratelli Crippa che erano molto bravi nell'individuare le giovani promesse. Giocai un'amichevole contro l'Inter, ricordo che avevo 13 anni e mezzo, e in quella circostanza fui notato. Ci fu quindi il provino del caso che fortunatamente passai. Da quel momento iniziò il mio percorso nel settore giovanile, durato circa quattro stagioni. Diciamo che ho bruciato le tappe, perché arrivò presto il momento della Prima Squadra”. Con l'esordio nella trasferta di Roma in quel 7 febbraio 1971. “Capitarono vari infortuni, e anche questo portò Invernizzi a farmi esordire. In quella squadra c'erano tantissimi cam-


I GIGANTI DEL CALCIO / gabriele Oriali AI TEMPI DELL’INTER

foto Agenzia Liverani

Lele in azione con il compagno e amico Beccalossi…

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I GIGANTI DEL CALCIO / GABRIELE ORIALI pioni, ma probabilmente stava vivendo la fase calante dopo aver scritto la storia negli anni '60. Personalmente mi trovavo benissimo con i miei compagni e per fortuna ero ben voluto da tutti: Facchetti, Burgnich, Mazzola, Bedin, Corso, Jair... calciatori fortissimi che hanno scritto la storia dell'Inter”. La sua è stata una 'vita da mediano', ma forse - tatticamente parlando - è riduttivo riassumerla in questo modo. “Ero un giocatore molto duttile, in grado di ricoprire più ruoli. Ciò rappresentava sicuramente un vantaggio, ma a volte anche uno svantaggio, perché gli allenatori incaricavano me quando si trattava di marcare gli avversari più forti. Penso a Maradona, Zico, Cruijff, Rivera e Platini, anche se non dimentico Johnstone, ala del Celtic Glasgow negli anni '70 che era impressionante, veramente imprendibile. Era motivante marcare i migliori, mi piacevano le responsabilità, ma non nascondo che anche le incursioni erano belle. Insomma, anche io a volte volevo segnare (ride, ndr)”. A proposito di gol, quali sono quelli a cui è maggiormente affezionato? “Quelli contro il Milan, senza dubbio. I derby erano e resteranno per sempre i TANTI COLPI DI MERCATO

foto Agenzia Liverani

In posa con Ibrahimovic e Branca nel giorno della presentazione dello svedese

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Mou riesce a ottenere il massimo dai propri giocatori ed è bravissimo nella gestione dello spogliatoio. Un allenatore molto diretto che dice in Faccia ciò che pensa derby. Anche se oggi sono forse meno sentiti di un tempo”. C'è invece un allenatore al quale è particolarmente legato? “Credo sia naturale avere un bellissimo ricordo di Invernizzi, il tecnico che mi fece esordire. Ma non posso dimenticare anche Bersellini, ne parlo con tanto piacere. Con lui mi sono completato sia come calciatore che come uomo, mi ha

aiutato ad arrivare a certi livelli e a sapermi gestire per restarci”. Con l'Inter ha vinto due Scudetti e due Coppe Italia: c'è però il rammarico per non aver centrato un grande risultato anche in Europa? “No, assolutamente. Il nostro era un gruppo molto forte, ma in Europa c'erano squadre superiori. Lo dico con tutta onestà. Ricordo l'Ajax che incontrammo in finale di Coppa dei Campioni: ecco, noi facemmo il massimo, ma non ci fu storia, con Cruijff che segnò due gol che tutti ricordano. Probabilmente eravamo pronti per vincere in Italia, ma in Europa ci mancava ancora qualcosa. Nella nostra rosa c'erano tantissimi giovani, la maggior parte proveniente dal settore giovanile. Quindi nessun rammarico, anche se forse avremmo potuto vincere qualche campionato in più. Questo sì”. Capitolo avversari: le squadre più forti e i migliori giocatori italiani e stranieri affrontati. “Per quanto riguarda le squadre, sicuramente Juventus e Milan, le rivali di sempre che sono rimaste tali nel tempo. Certo, a volte c'erano le sorprese come Verona, Napoli o Roma, ma Juventus e Milan sono sempre state le più forti. Non


I GIGANTI DEL CALCIO / GABRIELE ORIALI

Avversari in campo, ottimo rapporto fuori. “Lo ricordo con tantissimo piacere e la sua perdita mi ha colpito particolarmente. Ci sentivamo spesso, anche dopo aver concluso la nostra carriera. In passato dichiarò che io fui uno degli avversari più forti mai incontrati, e questa sua frase mi riempì d'orgoglio. Conservo con gioia la sua maglia numero 14, una particolarità per il nostro calcio dato che i numeri dei titolari andavano dall'1 all'11”. Dava l'anima in campo, e le sue prestazioni non passarono inosservate per un certo Luciano Ligabue. “Lui è sempre stato un grande interista ed è venuto tantissime volte allo stadio. Ricordo che mi contattò per chiedermi il permesso di inserire il mio nome nella sua canzone 'Una vita da mediano', come metafora della vita. Andammo insieme a 'Quelli che il calcio' dove lui cantò questo pezzo, ma declinai l'invito del duetto, sarebbe stato troppo! (Ride, ndr). La

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La vittoria del Mondiale rappresentò l'apice della mia carriera. All'inizio non ero titolare, poi entrai e non uscii più dalla formazione-tipo canzone è bellissima, anche oggi tutta la conoscono a memoria. Poi insieme alla vittoria in Spagna nel Mondiale dell'82 ha aumentato la mia popolarità”. Prima di parlare dell'impresa contro la Germania nella finale del 'Bernabeu', vorrei chiederle i motivi che l'hanno portata a dire addio all'Inter per sposare il progetto della Fiorentina, sua seconda e ultima squadra di club. “A un certo punto capii che non c'era più posto per me. Ero in scadenza di con-

tratto e non arrivarono segnali da parte della società rivolti al rinnovo e alla volontà di continuare insieme. Nessuno mi chiese di prolungare. Arrivò la proposta della Fiorentina, al pari di quelle di altre squadre, ma scelsi Firenze anche perché c'era Antognoni, un mio grande amico. In viola passai quattro anni bellissimi, in un ottimo club vivendo in una città meravigliosa”. Perché la decisione di 'appendere le scarpe al chiodo' nel 1987? “Avrei potuto scegliere di continuare ma preferii privilegiare la mia famiglia. Nei miei anni si usava molto il ritiro e durante la mia carriera non ho passato tantissimo tempo con i miei cari. Questo mi spinse a declinare e a pensare al mio futuro da dirigente”. Cosa ha rappresentato per lei la Nazionale italiana? “Un sogno, semplicemente. Entrai la prima volta a Coverciano nel lontano '67, quindi è da quasi 50 anni che sono nell'ambito della Nazionale. L'Italia è la mia terza casa, dopo la famiglia e l'Inter”. Spazio ora ai ricordi spagnoli. “La vittoria del Mondiale rappresentò l'apice della mia carriera. La fortuna QUANTE BELLE SCELTE

Ad Appiano Gentile con Thiago Motta, Mourinho e Milito

foto Image Sport

posso non citare, invece, Rivera, Causio, Sala, Graziani, Tardelli e Anastasi. Parliamo di giocatori di altissimo livello. Passando invece agli stranieri, ribadisco i giocatori citati in apertura, anche se a parer mio Cruijff era superiore a tutti”.

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I GIGANTI DEL CALCIO / GABRIELE ORIALI di essere convocato rappresentava per me una grandissima fortuna, ma con il passare dei giorni la voglia di giocare ovviamente cresceva. All'inizio non ero titolare, poi entrai e non uscii più dalla formazione-tipo. La gioia per la vittoria in finale è indescrivibile. Dopo la partita tornammo in hotel e alcuni decisero di uscire con famiglia, mogli, figli e fidanzate. Io invece rimasi in camera con Zoff e il grande Scirea, non propriamente persone amanti delle parole. Ci guardavamo increduli, non riuscivamo a capire la grandezza di quella impresa”. Che allenatore era Bearzot? “Una sicurezza. Ci difendeva sempre e comunque, contro tutti. Per noi era un grandissimo alleato”. Dopo la carriera da calciatore parte l'avventura da dirigente: per lei la famosa 'gavetta' non è certamente mancata. “Sì, ma quella di partire dal basso fu una mia scelta. Non volevo fare l'allenatore, nonostante avessi preso il patentino a Coverciano insieme a Ranieri, lo ricordo molto bene. Non ero così innamorato delle scelte di campo, come la formazione. Preferivo lavorare in società, nonostante le decisioni dolorose non mancassero anche in quei ruoli. Iniziai con la Solbiatese nei dilettanti, poi arrivò la chiamata del presidente Gazzoni, una persona eccezionale, che spinse per avermi al Bologna. Dal fallimento riuscimmo a costruire un grande progetto, scoprendo ottimi giocatori fino ad allora sconosciuti, anche grazie a Ulivieri, allenatore di quella squadra. In tre anni conquistammo una doppia promozione, passando dalla Serie C alla Serie A. Poi ecco il Parma, decisi di sposare il progetto dell'allora presidente Tanzi”. Quel Parma era veramente molto forte. “Passarono dei giocatori incredibili, parliamo della squadra più forte nella storia di questa società: Buffon, Cannavaro, Thuram, Fiore, Dino Baggio, Stanic, Balbo, Chiesa, Veron, Asprilla, con Malesani allenatore, che svolse un ottimo lavoro. Vincemmo la Coppa Italia e la Coppa UEFA nella finale di Mosca contro l'Olympique Marsiglia. Un periodo bellissimo, tanto a livello professionale quanto umano”. 66

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Poi ecco una chiamata particolare, impossibile da rifiutare. “Lasciai Parma con dispiacere, il club puntava molto su di me. Parlai con il presidente per comunicargli che avevo sul tavolo l'offerta dell'Inter, ma decisi di lasciare a lui la scelta finale. Comprese perfettamente ciò che mi aspettava, per me l'Inter era l'Inter”. A Milano ritrova Mazzola: erano vere le voci che descrivevano il vostro rapporto conflittuale? “A volte c'erano delle visioni differenti, ma ci conoscevamo da tantissimi anni. Il rispetto da ambo le parti era massimale, e aggiungo che io stesso, arrivando all'Inter, ne chiesi la presenza. Ritenevo la sua esperienza molto importante, ma la sua uscita fu una scelta solo ed esclusivamente della società”. Nel '99 la situazione tecnica non era delle migliori: qual era l'obiettivo principale? “C'era molto da ricostruire, altrimenti il presidente non avrebbe scelto di cambiare. Io arrivai all'Inter dopo la finale di Coppa UEFA con il Parma, quindi qualche giocatore era già stato acquistato. Ero estremamente motivato per ciò che mi aspettava”. Perché la decisione di cedere Simeone alla Lazio? “Diego venne inserito nella trattativa per Vieri. Noi volevamo a tutti i costi Bobo, ma i biancocelesti chiesero tanto e l'unico modo per concludere l'operazione era sacrificare il Cholo, seppur a malincuore”. Cosa non funzionò nell'annata con Lippi? “Sicuramente gli infortuni furono decisivi per noi. Quando si perde, oltre Vieri, anche l'attaccante più forte del mondo (Ronaldo, ndr) tutto diventa più difficile e gli obiettivi cambiano. Quando si dice che Lippi era troppo juventino mi viene da ridere, tutte cavolate. Ci ha messo l'anima”. Quali sono i colpi di mercato che considera i più difficili? “Mi viene in mente la trattativa per Crespo, quando lo acquistammo dalla Lazio dopo la cessione di Ronaldo al Real Madrid, soprattutto per le tempistiche dato

che era l'ultimo giorno di mercato. Ancor di più fu il suo ritorno dopo la stagione con il Chelsea: venne venduto per una certa cifra, e fu complicato riportarlo a Milano in prestito gratuito. In ogni caso nell'arco della mia esperienza all'Inter siamo riusciti a vincere tutto, per fortuna”. Maicon, Julio Cesar e Cambiasso: tre colpi eccezionali. “Per Esteban non mancarono le critiche rivolte a me e Branca. Trattammo direttamente a Madrid nell'abitazione del compianto Bronzetti, e nonostante i dubbi che un po' tutti nutrivano verso il Cuchu per il fatto che era una riserva del Real, lo scegliemmo ugualmente. E diciamo che non andò poi così tanto male... Julio Cesar fu invece un'intuizione di Mancini, che grazie a un proprio collaboratore fu bravissimo a scovarlo. Per quanto riguarda Maicon, ricordo che con Roberto andammo a vederlo a Montecarlo in due occasioni quando giocava nel Monaco. Al mister piacevano anche Yaya Touré e Adebayor, ma in quel momento potevamo acquistare un solo giocatore di questi tre. A malincuore rinunciammo a Yaya, ma riuscimmo comunque a portare a Milano uno dei terzini più forti in assoluto del recente passato. Una vera e propria forza della natura”. Qual era il rapporto tra lei e Branca? “Il nostro rapporto è sempre stato buono, tranne forse l'ultimo periodo in cui non mancò qualche problema”. Rispetto a Mancini e Mourinho, dei quali parleremo tra poco, il suo ruolo con Cuper e Zaccheroni era differente per via della sua distanza dal campo. “Sì, la mia presenza ad Appiano Gentile non era costante, lavoravo maggiormente in sede. Non c'era assoluto bisogno della mia presenza alla 'Pinetina'”. Con Mancini e Mourinho, invece, il feeling è immediato. “Rispetto al passato ero quotidianamente ad Appiano, di conseguenza ero sempre al loro fianco. Ero un punto di riferimento per la squadra in veste di dirigente dell'area tecnica. Ci siamo conosciuti e abbiamo instaurato un rapporto molto bello, che è andato oltre il solo ambito lavorativo. Siamo diventati molto amici”.


I GIGANTI DEL CALCIO / gabriele Oriali GIOCATORE VERO

foto Agenzia Liverani

Oriali, con casacca Inter, nella stagione 1971-1972

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I GIGANTI DEL CALCIO / gabriele Oriali UNA GRANDE GIOIA

foto Image Sport

Nel giorno del Triplete, esultando con il Principe

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I GIGANTI DEL CALCIO / GABRIELE ORIALI

Per quanto riguarda il mercato, impossibile non chiederle un commento sulle due trattative riguardanti Ibrahimovic: il passaggio dalla Juventus all'Inter prima e la cessione al Barcellona poi. “La cessione al Barça fu un grande colpo di Moratti, fu lui a condurre quell'operazione in prima persona. La plusvalenza fu pesante, il presidente condusse al meglio quella trattativa. Qualche anno dopo riuscimmo a venderlo a peso d'oro, garantendoci Eto'o come contropartita. Non male, direi. Quando arrivò da Torino, beh... non fu per nulla semplice, ma riuscimmo a superare la concorrenza del

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Allenatore? No. Preferivo lavorare in società, nonostante le decisioni dolorose non mancassero anche in Quel ruolo Milan. Io e Branca andammo a trattare nella sede bianconera con Blanc e Cobolli Gigli, per poi parlare direttamente con Ibra nella sua abitazione. Non avremmo mai lasciato Torino senza il giocatore, avevamo paura potesse firmare con altre squadre nei giorni seguenti, dato che lo volevano tantissimi club”. Vittorie memorabili, grandi acquisti,

qualche delusione e poi l'addio: cosa accade nell'estate 2010? “Sono stato io ad andare via, mi hanno messo nelle condizioni di farlo. Ci sono rimasto male perché non ero stato informato direttamente dei cambiamenti che si stavano concretizzando, bensì da terze persone. Quando Moratti ha fatto di tutto per trattenermi, cercando di farmi cambiare idea, ormai avevo preso la mia decisione. Non era più come prima. Non ero stato trattato bene, l’addio a quel punto era inevitabile”. Ora è ovviamente concentrato sul suo incarico con la Nazionale italiana, ma nel suo futuro si immagina ancora al lavoro per la 'sua' Inter? “In questo momento penso solo a far bene con la Nazionale e spero di proseguire la mia esperienza in Azzurro fino al Mondiale in Russia nel 2018. Sono felice e soddisfatto di questo incarico e non finirò mai di ringraziare il Presidente Tavecchio che mi ha dato questa opportunità. Gli sarò per sempre riconoscente, perché mancava nella mia carriera un ruolo come questo. Con la Nazionale mi sento completato.”

foto Agenzia Liverani

Perché il portoghese è così speciale? “Riesce a ottenere il massimo dai propri giocatori ed è bravissimo nella gestione dello spogliatoio. Un allenatore molto diretto che dice in faccia ciò che pensa. Tratta tutti allo stesso modo, dal campione fino al più giovane. Questa era ed è la sua grande forza. Ogni elemento era parte integrante della squadra, senza dimenticare l'aspetto motivazionale, che con lui era sempre massimale”.

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SPECIALE STORIA

Finale inedita e colpo della Stella Rossa nell’anno senza squadre inglesi ed albanesi…

Miodrag Belodedici

LA STELLA CHE NON T’ASPETTI 70

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foto Agenzia Liverani

COLPO STELLA ROSSA Finale a sorpresa con risultato sorprendente...


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COPPA DEI CAMPIONI / 1990-1991

di Gabriele PORRI

on due italiane, Milan e Napoli, senza inglesi e albanesi, la Coppa dei Campioni 1990-91 prende il via con 31 squadre, dando così la possibilità ai rossoneri, detentori di accedere direttamente agli ottavi. Il primo turno è una formalità per tutte le grandi, coi 10 gol che il Real Madrid rifila all’Odense, i 13 del Porto al Portadown, i 7 del Bayern ai ciprioti dell’Apoel. Anche il Napoli ha un ottimo avvio, con il 3-0 sull’Ujpest al San Paolo (doppietta di Maradona, che in quell’occasione supera Sallustro tra i marcatori in azzurro) e il 2-0 in Ungheria. Nessuno scontro è deciso dai gol in trasferta, tanto meno ai supplementari o ai rigori. Solo in un caso la vittoria avviene con un solo gol di scarto, del Malmö sul Besiktas. Unica sorpresa è la vittoria 1-0 degli islandesi dell’Akureyri sul CSKA, che però i bulgari ribaltano a Sofia. Agli ottavi arriva l’ambizioso Rangers, di Graeme Souness, dominatore in patria. Il turno per gli scozzesi sembra alla portata, anche se la Stella Rossa di Belgrado ha dato nelle precedenti edizioni filo da torcere, a squadroni come Real e Milan. Gli slavi hanno una squadra talentuosa, con Savicevic, Jugovic, Mihajlovic, Pancev e Prosinecki. Quest’ultimo, nato in Germania da padre croato e madre serba, è tornato in patria a 10 anni, a Zagabria. Ostracizzato da Blazevic alla Dinamo, trova nella Stella Rossa la squadra adatta per riemergere. Insieme all’autogol di Brown, sono proprio Prosinecki e Pancev a dare il 3-0 dell’andata, con la qualificazione suggellata ancora da Pancev a Ibrox e il gol di McCoist che serve solo per le statistiche. Non ci sono buone notizie per le italiane. Il Napoli è accoppiato con lo Spartak Mosca, avversario rognoso. Al San Paolo finisce 0-0 e prima del ritorno scoppia il caso-Maradona, con il Pibe che afferma di non voler andare a Mosca. Ci andrà con un volo privato, presentandosi all’ultimo e chiedendo di giocare, ma a quel punto mister Bigon lo lascia in panchina, per inserirlo a mezzora dalla fine al posto di Zola. Non ci sono gol nei 120’ e si va ai rigori, dove è decisivo l’errore di Baroni, mentre i russi non sbagliano un colpo. Va meglio al Milan, che comunque non incanta. Dopo il pareggio a reti bianche di San Siro col Bruges, il gol di Angelo Carbone permette il passaggio ai quarti, dove non ci sarà van Basten, espulso nel finale per una reazione. La rincorsa alla terza coppa consecutiva, come Real, Ajax e Bayern, comunque, non è ancora conclusa. Il muro di Berlino è crollato, ma un anno dopo la DFV, Federazione della Germania Est, è ancora attiva. Caduto il regime, la Dinamo Berlino squadra della famigerata STASI, ha lasciato lo scettro alla Dinamo Dresda che, dopo un passaggio facile contro l’Union

Lussemburgo, riesce ad avere la meglio sul Malmö, ai rigori. Per il resto, anche gli ottavi regalano sfide che definire poco equilibrate è un eufemismo. Il Real vince 9-1 al Bernabeu col Tirol Innsbruck, il Bayern ne rifila 7 complessivi al CSKA Sofia, il Porto vince 4-0 sulla Dinamo Bucarest e il Marsiglia batte 6-1 il Lech Poznan al ritorno, dopo la sconfitta di misura in Polonia. Si arriva così ai quarti di finale, con un programma interessante, a cominciare dalla rivincita della finale del 1987, vinta a sorpresa dal Porto sul Bayern. All’Olympiastadion, Augenthaler si fa cacciare dopo un quarto d’ora, i bavaresi passano comunque con Bender, in inferiorità numerica, e prendono il pareggio da Domingos. Gli uomini di Artur Jorge sono favoriti su quelli di Jupp Heynckes, ma al Das Antas il giovane Ziege porta avanti i suoi a inizio partita, il Porto cerca almeno di raggiungere i supplementari ma la rete ancora di Manfred Bender porta i campioni tedeschi in semifinale. La più grossa sorpresa del torneo arriva dallo Spartak. I giustizieri del Napoli incontrano la squadra che nella partecipazione precedente aveva eliminato Maradona e compagni, il Real. A Mosca termina 0-0, e quando Butragueño piazza il gol dell’1-0 al Bernabeu, sembrano non esserci dubbi su chi possa giungere in semifinale. A quel punto, però, i russi tirano fuori la prestazione della vita, pareggiano con Radchenko e già così sarebbero qualificati. Lo stesso Radchenko raddoppia prima dell’intervallo, poi Schmarov fa 3-1 e la squadra di Romantsev sbaglia altri tre gol. Prima semifinale europea, storica, per lo Spartak, nonché prima squadra a vincere al Bernabeu con due gol di scarto, dallo 0-2 con cui l’Inter di Herrera batté le Merengues, 24 anni prima. Gli altri due quarti hanno una particolarità in comune, non certo edificante: entrambi vengono sospesi nel finale della gara di ritorno, sebbene per motivi diversi. La Stella Rossa riesce a superare la Dinamo Dresda senza problemi, con un secco 3-0 firmato Prosinecki, Binic e Savicevic. A Dresda i tedeschi si illudono con il vantaggio immediato di Gütschow, ma nella ripresa di nuovo Savicevic e Pancev chiudono i conti. Il pubblico va in escandescenze e al 78’, mentre sta per battere un corner, Prosinecki è bersaglio di un lancio di oggetti, deve allontanarsi e l’arbitro, lo spagnolo Soriano Aladren, sospende il match, che verrà assegnato a tavolino 3-0 per gli ospiti. Senza l’infortunato Baresi e lo squalificato van Basten, il Milan fatica in casa col Marsiglia, trova il gol con Gullit, ma prima della mezzora arriva il pareggio definitivo di Papin. Al ritorno c’è capitan Baresi, il Milan deve assolutamente segnare per andare in semifinale, ma un tiro al volo di Waddle al 72’ porta avanti l’OM. I tifosi sono in fermento, interpretano un fischio dell’arbitro per quello finale e invadono il campo. Quando il terreno

di gioco viene liberato, un riflettore si spegne e la partita non può ricominciare. Pian piano, il riflettore inizia a riaccendersi, anche se non completamente. Il Milan, chiede la sospensione della partita per avere il 3-0 a tavolino, invece l’arbitro Karlsson pensa che ci siano le condizioni per riprendere il gioco e a questo punto il dirigente rossonero Galliani ritira la squadra. Viene così dato il 3-0 a tavolino ai francesi e il Milan sarà escluso per un anno dalle coppe. L’Olympique passa in semifinale, per affrontare lo Spartak. Come spesso accade in competizioni a eliminazione diretta, la squadra protagonista in precedenza di una grande sorpresa non riesce a ripetersi. I moscoviti all’andata sono già sotto 2-0 al 31’, con le reti di Abedi Ayew, il ghanese che tutti chiamano Abedi Pelé, e di Papin. Shalimov accorcia, ma il 3-1 definitivo arriva nel finale con Vercruysse. Pelé e il centrale di difesa Basile Boli rimpinguano il bottino al Velodrome, a poco serve il rigore di Mostovoy. La Stella Rossa invece riesce a espugnare l’Olympiastadion di Monaco, ribaltando il vantaggio di Wohlfart con i soliti Pancev e Savicevic. Il Bayern però ha mille risorse e al Marakana sta vincendo con lo stesso punteggio. Mentre i supplementari sono alle porte, il Bayern colpisce un palo, sul ribaltamento Mihajlovic butta un pallone in mezzo da sinistra, interviene Augenthaler che insacca malauguratamente nella propria porta. Dunque, la finale è OM-Stella Rossa e un nuovo Paese sta per iscrivere il proprio nome nell’albo d’oro, con una squadra diversa da quelle che avevano portato in precedenza Francia e Jugoslavia in finale, Stade Reims e Saint-Étienne da una parte, Partizan dall’altra. Teatro della finale è il San Nicola di Bari, costruito per Italia 90 e italiano è anche l’arbitro, il messinese Tullio Lanese. Nonostante le tante stelle in campo, la partita è bloccata, poche azioni degne di nota, tranne una punizione di Prosinecki e un colpo di testa di Waddle. Si va ai supplementari e poi ai rigori, c’è il solo errore di Amoros, i belgradesi vanno tutti a segno e il portiere Stojanovic alza così la coppa per la Stella Rossa, seconda squadra dell’est a bloccare una ricca corazzata, dopo la Steaua col Barcellona. Altro elemento comune la presenza di Miodrag Belodedici, rumeno di etnia serba uscito dal Paese dopo la caduta di Ceausescu con annesso cambio nome, Belodedic. Lo stopper è il primo giocatore a vincere la coppa con due squadre diverse, stavolta con una compagine multietnica in contrasto con il crescente odio tra i vari gruppi jugoslavi, che porterà a una sanguinosa guerra civile e alla diaspora dei migliori giocatori nelle grandi d’Europa. Tra questi spicca l’astro di Robert Prosinecki, migliore nella stagione, ma che, per una serie di infortuni non si confermerà altrove, nonostante vestirà le mitiche maglie di Real Madrid e Barcellona. Calcio 2OOO

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SEMIFINALE 1

SEMIFINALE 2

FINALE

SPARTAK MOSCA-OL. MARSIGLIA 1-3 (0-2)

BAYERN MONACO-STELLA ROSSA 1-2 (1-1)

STELLA ROSSA-OL. MARSIGLIA 0-0 d.t.s., poi 5-3 ai rigori

Mercoledì 10 aprile 1991, ore 19 MOSCA (Stadio "Luzhniki") Arbitro: Peter MIKKELSEN (DEN) Spettatori: 65.000

Mercoledì 10 aprile 1991, ore 20:15 MONACO (Stadio "Olympia") Arbitro: Hubert FÖRSTINGER (AUT) Spettatori: 63.700

Mercoledì 29 maggio 1991, ore 20:15 BARI (Stadio "San Nicola") Arbitro: Tullio LANESE (ITA) Spettatori: 51.587

SPARTAK MOSCA: Stanislav CHERCHESOV, Sergei BAZULEV, Vasily KULKOV (cap.), Dmitry POPOV, Boris POZDNIAKOV, Valery KARPIN, Oleg IVANOV [53' Gennady PEREPADENKO], Igor SHALIMOV, Valeri SCHMAROV, Aleksandr MOSTOVOY, Dmitri RADCHENKO Commissario tecnico: Oleg ROMANTSEV.

BAYERN MONACO: Raimond AUMANN, Stefan REUTER, Hans PFLÜGLER, Jürgen KOHLER, Klaus AUGENTHALER (cap.), Stefan EFFENBERG, Manfred BENDER [76' Christian ZIEGE], Manfred SCHWABL, Roland WOHLFARTH, Olaf THON [76' Thomas STRUNZ], Brian LAUDRUP Commissario tecnico: Josef HEYNCKES.

STELLA ROSSA: Stevan STOJANOVIC (cap.), Vladimir JUGOVIC, Slobodan MAROVIC, Refik SABANADZOVIC, Miodrag BELODEDICI, Ilija NAJDOSKI, Robert PROSINECKI, Sinisa MIHAJLOVIC, Darko PANCEV, Dejan SAVICEVIC [84' Vlada STOSIC], Dragisa BINIC Commissario tecnico: Ljubomir PETROVIC.

STELLA ROSSA: Stevan STOJANOVIC (cap.), Dusko RADINOVIC, Slobodan MAROVIC, Vladimir JUGOVIC, Miodrag BELODEDICI, Ilija NAJDOSKI, Robert PROSINECKI, Sinisa MIHAJLOVIC [87' Vlada STOSIC], Darko PANCEV, Dejan SAVICEVIC, Dragisa BINIC [88' Rade TOSIC] Commissario tecnico: Ljubomir PETROVIC.

OL. MARSIGLIA: Pascal OLMETA, Manuel AMOROS, Eric DI MECO [111' Dragan STOJKOVIC], Basile BOLI, MOZER, Bruno GERMAIN, Bernard CASONI, Christopher WADDLE, Jean-Pierre PAPIN (cap.), Abedi PELÉ, Laurent FOURNIER [72' Philippe VERCRUYSSE] Commissario tecnico: Raymond GOETHALS.

OL. MARSIGLIA: Pascal OLMETA, Manuel AMOROS, Eric DI MECO, Basile BOLI, Laurent FOURNIER, Bruno GERMAIN, Bernard CASONI, Christopher WADDLE, Jean-Pierre PAPIN (cap.), Abedi PELÉ, Jean TIGANA [75' Philippe VERCRUYSSE] Commissario tecnico: Raymond GOETHALS.

GARA DI ANDATA

GARA DI ANDATA

COPPA DEI CAMPIONI / 1990-1991

Reti: 27' Abedi PELÉ, 31' Jean-Pierre PAPIN, 58' Igor SHALIMOV, 88' Philippe VERCRUYSSE.

Reti: 23' Roland WOHLFARTH, 45' Darko PANCEV, 70' Dejan SAVICEVIC. Ammoniti: 14' Slobodan MAROVIC, 37' Ilija NAJDOSKI.

Sequenza dei rigori: Robert PROSINECKI (realizzato), Manuel AMOROS (parato), Dragisa BINIC (realizzato), Bernard CASONI (realizzato), Miodrag BELODEDICI (realizzato), Jean-Pierre PAPIN (realizzato), Sinisa MIHAJLOVIC (realizzato), MOZER (realizzato), Darko PANCEV (realizzato). Ammoniti: 21' Dragisa BINIC, 27' Basile BOLI, 42' Sinisa MIHAJLOVIC, 61' Slobodan MAROVIC.

OL. MARSIGLIA-SPARTAK MOSCA 2-1 (1-0)

Mercoledì 24 aprile 1991, ore 20:15 BELGRADO (Stadio "Crvena Zvezda") Arbitro: Bruno GALLER (SUI) Spettatori: 79.684

Mercoledì 24 aprile 1991, ore 20:30 MARSIGLIA (Stadio "Vélodrome") Arbitro: Keith Stuart HACKETT (ENG) Spettatori: 37.466

STELLA ROSSA: Stevan STOJANOVIC (cap.), Dusko RADINOVIC, Slobodan MAROVIC, Refik SABANADZOVIC, Miodrag BELODEDICI, Vladimir JUGOVIC, Robert PROSINECKI, Sinisa MIHAJLOVIC, Darko PANCEV [90+1' Vlada STOSIC], Dejan SAVICEVIC, Dragisa BINIC Commissario tecnico: Ljubomir PETROVIC.

OL. MARSIGLIA: Pascal OLMETA, Manuel AMOROS, Eric DI MECO [80' Laurent FOURNIER], Basile BOLI, MOZER, Bruno GERMAIN, Bernard CASONI, Christopher WADDLE [82' Philippe VERCRUYSSE], Jean-Pierre PAPIN (cap.), Abedi PELÉ, Jean TIGANA Commissario tecnico: Raymond GOETHALS.

Reti: 27' Sinisa MIHAJLOVIC, 61' Klaus AUGENTHALER, 66' Olaf THON, 90' autorete Klaus AUGENTHALER. Ammonito: 23' Thomas STRUNZ.

SPARTAK MOSCA: Stanislav CHERCHESOV, Sergei BAZULEV, Vasily KULKOV (cap.), Dmitry POPOV, Boris POZDNIAKOV, Oleg IVANOV [51' Valery KARPIN], Gennady PEREPADENKO, Igor SHALIMOV [83' Evgeny BUSHMANOV], Valeri SCHMAROV, Aleksandr MOSTOVOY, Dmitri RADCHENKO Commissario tecnico: Oleg ROMANTSEV. Reti: 39' Abedi PELÉ, 47' Basile BOLI, 56' rigore Aleksandr MOSTOVOY. Ammonito: 18' Oleg IVANOV.

foto Agenzia Liverani

BAYERN MONACO: Raimond AUMANN, Manfred SCHWABL, Manfred BENDER, Roland GRAHAMMER, Klaus AUGENTHALER (cap.), Stefan EFFENBERG, Thomas STRUNZ, Stefan REUTER, Roland WOHLFARTH, Olaf THON, Brian LAUDRUP Commissario tecnico: Josef HEYNCKES.

GARA DI RITORNO

GARA DI RITORNO

STELLA ROSSA-BAYERN MONACO 2-2 (1-0)

Chris Waddle

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Robert Prosinečki

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MAESTRO DI CALCIO

foto Agenzia Liverani

La sua vita è a forma di pallone...

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Marcelo Bielsa

TUTTI PAZZI PER EL LOCO

IL PERSONAGGIO

Il mondo del pallone si divide in due: chi ama Bielsa e chi lo odia di Fabrizio PONCIROLI foto Archivio TMW

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IL PERSONAGGIO / Marcelo Bielsa

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accontare chi rappresenta Marcelo Bielsa è complicato quanto provare a spiegare un’opera d’arte a firma Vincent van Gogh. Le parole sarebbero superflue, inutili, forse persino fuori luogo. Bielsa, detto El Loco, è la classica imperfezione all’interno di un universo, quello pallonaro, che vive di regole e certezze. Bielsa, nel calcio di oggi, non dovrebbe neppure esistere. Fossimo in Matrix, sarebbe paragonabile a Neo che, ostinatamente, si rifiuta di accettare il sistema e lotta, solo contro tutti, per infettarlo. Se uno come Guardiola, allenatore capace di dar vita ad un movimento calcistico (il “guardiolismo”) l’ha definito “il miglior allenatore al mondo”, se il prestigioso e titolato club argentino del Newell’s Old Boys, gli ha intitolato il proprio impianto di gioco (Estadio Marcelo Bielsa), se non concede interviste vis-à-vis a nessuno ma, in conferenza stampa, tratta l’inviato del media più importante allo stesso livello ALLENATORE SUPER OFFENSIVO

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La ricetta è semplice: tutto in movimento e tutti all'attacco

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“” Bielsa è stato un discreto difensore centrale, prima di diventare un allenatore di fama mondiale dell’ultimo arrivato del giornale locale, allora qualcosa di unico in questo ex modesto difensore argentino ci deve pur essere… Unico anche nel suo modo di vivere, quotidianamente, il calcio. Definito una sorta di biblioteca vivente, ha un’ossessione per i dettagli mostruosa. Si dice che trascorra ogni singolo momento libero a visionare filmati, così da acquisire sempre più informazioni circa i propri giocatori e sulle squadre avversarie. Una sorta di “computer vivente” con una sua personale visione del calcio, unica appunto: “Cerco sempre di spiegare ai ragazzi che il calcio per noi è essenzialmente movimento, spostamento continuo. Bisogna sempre correre. Ogni giocatore, in ogni situazione di gioco, ha sempre una buona ragione per correre e

non ha ragioni per restare fermo. Nel calcio non esiste una sola situazione di gioco in cui un giocatore possa permettersi di stare fermo in campo”, questo il mantra del nativo di Rosario. Movimento continuo, il tutto perfettamente oliato in un modulo pensato per offendere, sempre e comunque…

IL MODULO DI BIELSA

In una convention, anno di grazia 2015, a Coverciano (presente anche Conte), Bielsa ha fatto sapere al mondo intero come, a suo avviso, esistano 28 moduli per “attaccare le difese avversarie, soprattutto quelle ben chiuse”. Si parte dal 4-3-3, il suo modulo preferito, per “trasformarsi” in relazione al momento. Si può puntare sul 3-3-3-1 o sul 3-31-3 o, perché no, su altre soluzioni


Il PERSONAGGIO / Marcelo Bielsa

“” Tante le storie legate a El Loco, anche che abbia maneggiato una granata per intimidire dei fan esagitati rica. In particolare è interessante la parentesi Atlas. Mai avrebbe voluto accettare ma il club messicano gli garantisce tutto ciò che chiede, compreso il totale controllo della società (a livello sportivo). In quel periodo, cambia, di molto, le sue abitudini. Vive in un’abitazione di lusso (contro il suo pensiero di austerità) e si diletta pure con il golf (lui che vive solo e solamente di calcio). Purtroppo, in campo, non andrà tutto come previsto. Ricardo Renteria, uno dei membri dello staff dell’Atlas, ha raccontato quanto segue: “Le sedute di allenamento erano terribili. Martin Ubaldi - visto anche con la casacca dell’Independiente, ndr - mi si avvicinò un giorno dicendomi che quegli allenamenti lo stavano uccidendo”. L’avventura con l’Atlas non è mai decollata con

tanto di causa giudiziaria finale (per 600.000 dollari, vinta dallo stesso Bielsa). Ricercatore della perfezione autentica, ha ribadito, più volte, come “…esiste la sconfitta che serve e la vittoria che non serve a nulla”. La sconfitta utile gli è stata consegnata, dal destino, tra le mani nel 2002. Da quattro anni alla guida della nazionale argentina, si presenta al Mondiale come favorito per il successo finale. Ha in rosa giocatori del calibro di Samuel, Simeone, Veron, Zanetti, Crespo e Batistuta. Sembra tutto scritto per una trionfale cavalcata ed, invece, l’Argentina, tra la sorpresa di tutti, esce al primo turno. In patria molti vogliono la sua testa, i giocatori si ribellano, la federazione argentina, nella persona di Julio Grondona, decide di riconfermare El Loco sulla panchina. Due PERSONAGGIO ATIPICO

Amato da ogni giocatore, meno dalla stampa

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ma sempre tenendo presente due concetti base: ognuno deve sempre essere in movimento e, l’obiettivo, resta sempre lo stesso: attaccare, attaccare e ancora attaccare. Il suo modo di “vedere” il calcio è il frutto di migliaia di ore di studio. Si racconta che, agli inizi della sua carriera da allenatore (dal 1980 al 1990 è stato vice, osservatore e allenatore delle giovanili per il Newell’s Old Boys), impiegava ogni singola risorsa del suo tempo per arrivare a capire il modo migliore per far rendere i propri giocatori, osservandoli da ogni posizione, anche accovacciato su un albero se necessario. Una volta diventato il tecnico del Newell’s Old Boys, quindi con la possibilità di scegliere in prima persona come far giocare la propria squadra, tutti a bocca aperta: due campionati argentini vinti (in tre stagioni) con momenti di paradisiaco calcio, frutto di un sistema rivoluzionario. Dal 1992 al 1996, nonostante, all’inizio, fosse riluttante all’idea, decide di mettersi in gioco in Messico. Allena, dal 1992 al 1994 l’Atlas e, successivamente, l’Ame-

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IL PERSONAGGIO / Marcelo Bielsa

TANTI SEGUACI Di Fabrizio Ponciroli

In molti lo adorano, qualcuno ha provato a seguirlo…

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on fatevi ingannare, di Marcelo Bielsa ne esiste soltanto uno… Chi lo paragona ad altri tecnici sbaglia. Zeman, ad esempio, è uno che, come El Loco, predilige l’attacco ma, ad oggi, Zemanlandia diverte, Bielsa sa anche vincere… Stesso discorso per Crujiff, altrettanto geniale come CT ma lontano dall’esasperante follia collettiva de El Loco. Chi ha avuto Bielsa come allenatore, non l’ha dimenticato: “È stata l’arma in più dell’Argentina, siamo stati fortunati ad averlo come allenatore”, le parole di Veron. “Bielsa sa tutto di tutto”, il commento di Batistuta che, nella sua autobiografia, l’ha definito il miglior tecnico che abbia mai avuto. Interessante il commento di Simeone: “Non è mai stato amico dei giocatori, ma ha così tanta personalità e sa come trasmetterla alla squadra. Il migliore, uno che, durante ogni allenamento, cerca qualcosa per migliorare la squadra in vista della partita”. “In me ho cose che devo a lui. Lui è un uomo di calcio e il calcio ha bisogno di uno come lui”, le parole di Ayala, altro suo ex fido scudiero. Llorente (ha avuto Bielsa all’Athletic Bilbao) l’ha sempre stimato: “Un grande tecnico, capace di preparare i dettagli al meglio”. Osorio, Ct del Messico: “Il migliore o nella lista dei migliori al mondo. È sempre stato un esempio per tutti”. Pure Balbo, che lo ha avuto quando militava nelle giovanili del Newell’s, lo esalta: “Bielsa è straordinario: grande uomo e tecnico superlativo, con un'intelligenza sopra la media”. Zanetti, che ha perso una Copa America ai rigori con Bielsa in panchina, lo vede così: “Ha dato tanto al calcio argentino ma, purtroppo, noi ci ricordiamo solo dei successi. Ognuno ha ammesso che, con il suo arrivo, il Cile è cresciuto molto. La grande abilità di Bielsa è quella di saper ottenere il 100% dai propri giocatori, un’abilità che non tutti i tecnici hanno. È impossibile non essere innamorati di Bielsa. È trasparente, competente, vive per il calcio ed è rispettoso nei confronti di tutti”. Testimonianze importanti, la conferma di quanto Bielsa abbia lasciato in seno ai propri giocatori (e non solo). In giro per il mondo, sono in tanti ad aver preso qualcosa dal suo ineguagliabile bagaglio tecnico. Pochettino, Almeyda, Gallardo, Sampaoli, lo stesso Guardiola, tutti allenatori influenzati, in maniera evidente, da El Loco Bielsa… Ma c’è un tecnico che piace a Bielsa? Sì, la risposta è Van Gaal…

UN GRANDE OSSERVATORE Di Fabrizio Ponciroli

L’amico Altieri lo ricorda negli anni ’80 quando scovava talenti…

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due campionati argentini vinti alla guida del Newell’s Old Boys, la squadra del suo cuore, sono stati il frutto di un lavoro lunghissimo, cominciato negli anni ’80. Bielsa è diventato allenatore dei “leprosos” (i lebbrosi, soprannome dei fan del Newell’s) nel 1990, dopo 10 anni di lavoro all’interno del club come vice prima e osservatore dopo (si è occupato anche delle giovanili). Carlos Altieri, amico e ex compagno di viaggio di Bielsa ai tempi dell’avventura al Newell’s, è stato colui che, tra i primi, ha dato fiducia a El Loco: “All’inizio gli diedero un impegno da osservatore e reclutatore. Per un anno andò a scovare giovani giocatori che, successivamente, si sarebbero rivelati fondamentali per i successi del club. Circolava con una Renault 6. Sono stato al suo fianco in tanti viaggi. Mi ricordo che siamo andati a Bahia Blanca per cercare Quito Paz, che era lì, e Black (Marcelo) Escudero a Punta Alta. Ricordo che viaggiammo per 12 ore filate per essere a Bahia Blanca e questo la dice lunga sulla dedizione al lavoro di Bielsa”. Altieri non si ferma qui: “Quando diventò allenatore del club nel 1990, la squadra era abituata a girare il Paese in hotel da cinque stelle. La sua prima richiesta fu più austerità, con alberghi da due stelle per le trasferte della squadra”.

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VISTO ANCHE ALL'OM in Francia momenti di puro spettacolo e qualche problema...

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Con l'Argentina l'uscita al primo turno del Mondiale 2002 ma anche un clamoroso oro alle Olimpiadi... anni più tardi, con una rosa completamente diversa (Tevez uomo immagine con otto reti nel torneo) e forse più disponibile al sacrificio, Bielsa porta la sua Argentina a conquistare la medaglia d’oro ad Atene. In patria tornano ad osannarlo ma El Loco, l’indomani del successo, fa sapere a tutti che il suo lavoro sulla panchina della nazionale è giunto al termine, lasciando tutti decisamente basiti. Per tre anni non lo si vede sui campi verdi poi, d’improvviso, eccolo alla guida del Cile. Prende in dote una Rojas alla frutta, incapace di mettere in bella mostra tutto il suo talento. El Loco ci lavora con passione. Nel 2010 il Cile va ai Mondiali e, vincendo contro l’Honduras, torna a conquistare una vittoria in una fase finale di un Mondiale a 48 anni dall’ultima impresa. La GRINTA DA VENDERE

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El Loco pretende il massimo da ogni suo giocatore, anzi di più

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cavalcata del suo Cile si ferma agli ottavi, ma in Cile è ormai un profeta. Niente da fare, nel 2011 cambia ancora. C’è la Liga ad attenderlo (c’era già stato, per pochi mesi, nel 1998, all’Espanyol). Lo spettacolo ha inizio. Il suo Athletic Bilbao è uno spasso. Conquista finale di Copa del Rey e finale di Europa League ma il capolavoro resta incompiuto: non vince nessuna delle due finali. Spiega che è meglio essere rispettati dai fan, che vincere dei titoli ma non basta per convincere l’Athletic Bilbao a riconfermarlo. E siamo al passaggio all’OM. Il 27 maggio 2014, El Loco viene ufficializzato come neo allenatore dell’Olympique Marsiglia. Il club francese è reduce da un poco onorevole sesto posto, El Loco, alla sua prima stagione in terra francese, esalta il Velodrome.

Il suo OM è a lungo capolista del campionato. Con quattro sconfitte consecutive, tra la 31esima e la 34esima giornata, resta fuori dalla Champions League, chiudendo comunque al quarto posto. Tutti si aspettano tanto dalla stagione seguente ed, invece, Bielsa, al termine della prima giornata di campionato (sconfitta con il Caen), in conferenza stampa, tra lo stupore dei presenti, dichiara: “Il mio lavoro qui è finito”. Il tutto in perfetto stile Bielsa…

EL LOCO, PERCHE?

“Non lasciate che il fallimento rovini la propria autostima”. Un dogma di Bielsa che è venuto buono in diverse occasioni della sua lunga carriera. Da anni circola un aneddoto piuttosto curioso, “pazzo” per così dire. Con la memoria bisogna tornare ai tempi in cui allenava i lebbrosi. Anno 1991. In un caldissimo match contro i rivali del San Lorenzo, il Newell’s di Bielsa viene pugnalato a morte. La sfida finisce con un imbarazzante 0-6 a favore degli avversari. Marcelo è frastor-


IL PERSONAGGIO/ Marcelo Bielsa

DELUSIONE ALBICELESTE

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Nel 2002 l'uscita, al primo turno, ai Mondiali con l'Argentina

nato, distrutto. A fine match scompare, tornandosene a casa, pronto a riflettere su cosa sia accaduto in campo. La delusione di una parte della tifoseria si trasforma in rabbia. Alcuni di loro, teppisti più che altro, decide di prendersela con il tecnico, nonostante sia, per la maggior parte del popolo dei lebbrosi, una sorta di divinità. I tifosi infuriati si presentano a casa di Bielsa e

cominciano a gridare ed insultare. I più scalmanati decidono di avvicinarsi ulteriormente all’abitazione e cominciano a battere, con i pugni, sulla porta d’entrata della casa di quello che, da lì a poco, sarebbe diventato El Loco. Dopo diversi minuti di silenzio, la porta si apre ed ecco Bielsa con una granata tra le mani: “Se non ve ne andate, tolgo la sicura e ve la lancio contro”, le

parole, piuttosto inquietanti, che avrebbe proferito lo stesso Bielsa. Una scena dantesca, forse frutto della fantasia (Bielsa non ha mai smentito né confermato l’accaduto, anche per la sua regola di non rilasciare interviste viso a viso e, soprattutto, di non parlare mai di questioni extra calcio) ma che la dice lunga su cosa rappresenti uno come Marcelo Bielsa. Calcio 2OOO

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DOVE SONO FINITI DUE SCUDETTI IN AZZURRO

foto Agenzia Liverani

Difensore affidabile, protagonista nel Napoli di Maradona

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Alessandro RENICA

IL FENICOTTERO DI ANNEVILLE Elegante, longilineo, tiro potente e lancio lungo: tutto col mancino. Renica però ha due rimpianti: la Nazionale ed una chiamata del Napoli... che non arriva

C’ di Stefano BORGI

era una volta il “Cigno di Utrecht”, al secolo Marco van Basten. Forse il più grande centravanti dell'era moderna. C'era una volta (anzi, c'è ancora) il “Fenicottero di Anneville”, al secolo Alessandro Renica. Libero del Napoli scudettato, soprannominato il fenicottero per una qual certa eleganza, unita ad un fisico longilineo e filiforme. “In generale i soprannomi non mi piacciono – precisa Alessandro - però quello in effetti ci poteva stare. Anche se la mancanza di un fisico potente mi ha limitato, soprattutto in nazionale”. Anneville-sur-Mer, paese natale di Renica, dista da Utrecht circa 600 km. Con van Basten, invece, ci sono stati incontri ravvicinati... e che incontri. “L'olandese – aggiunge è stato senza dubbio il miglior attaccante che abbia affrontato. Ricordo ancora la rimonta che fece col Milan: noi crollammo fisicamente e mentalmente, ma loro fecero un finale impressionante. Fino allo scontro diretto (1° maggio 1988, ndr.) dove perdemmo tutto... partita e scudetto”. Torniamo alle origini. Alessandro Renica nasce in Francia, poi le giovanili a Vicenza... “Anneville è un paesino di 240 anime nella bassa Normandia. Mi sono sempre ripromesso di tornarci, prima o poi lo farò. Mio padre, originario di Verona, era in Francia per lavoro... faceva l'imbianchino. Mia madre, invece, era abruzzese. All'età di due anni tornammo in Italia, e da lì sviluppai la mia passione: il calcio”. Qualcuno a cui dire grazie? “Scelgo Foscarini, un allenatore che ho avuto a Vicenza. Una persona per bene,

appassionata, Foscarini stava anche un'ora dopo l'allenamento a farmi fare gli esercizi. Per migliorare tecnicamente, quello che dovrebbero fare tutti gli allenatori”. Poi è arrivata la Sampdoria... “Non c'era solo la Samp, c'era anche il Torino che mi cercava. Solo che Mantovani si mostrò quello più determinato”. Il suo rapporto con gli allenatori “Io ho sempre avuto un principio: il rispetto dei ruoli. Trovavo disgustoso che i calciatori volessero dire la loro su tutto. Tra allenatore e giocatore non è obbligatorio andare d'accordo, importante è il rispetto. Bianchi, ad esempio: è l'allenatore col quale mi sono trovato meglio, perché ti diceva le cose in faccia. Anche se rifiutava ogni tipo di rapporto umano...” Prego? “Scusi, ma uno che durante l'allenamento ti da sempre del 'lei'... come lo giudica?” Ottavio Bianchi ed il Napoli, assist perfetto... “Quando alla Sampdoria arrivò Bersellini cominciarono i problemi. Lui mi vedeva terzino sinistro, io volevo giocare libero... fu il pretesto per andarmene. Mi fece un favore perché Allodi mi portò al Napoli, e lì fu la svolta della mia carriera. Il secondo anno vincemmo lo scudetto... felicità allo stato puro”. Racconti, racconti pure... “Vincere uno scudetto a Napoli non è normale: è il raggiungimento di un sogno, gliel'ho detto... è felicità in tutti i sensi. Anche perché non hai vinto solo per te stesso, hai vinto per un popolo. La gente

Ottavio Bianchi è l'allenatore col quale mi sono trovato meglio. Diceva le cose in faccia, anche se in allenamento ti dava del 'lei'... di Napoli 'vive' per la squadra di calcio, piange e gioisce per la squadra di calcio, se non lo provi in prima persona non lo puoi immaginare. Io ho ancora tanti amici a Napoli, ci torno sempre volentieri, la gente di Napoli è fantastica”. Amici... come Maradona? “Diego l'ho sentito sette mesi fa, appena possiamo ci sentiamo. Purtroppo, per lui non è facile tornare in Italia, però di Maradona posso dire solo bene. Una persona di un'umiltà e di un'onestà che poche volte ho riscontrato. Con un animo buono, generoso, forse anche troppo. Oltre ad essere un immenso fuoriclasse”. 15 marzo 1989, quarti di Coppa Uefa, gol alla Juve... Il punto più alto della sua carriera? “Guardi, per fortuna nella mia carriera ho vinto parecchio: due scudetti, una coppa Uefa, una supercoppa italiana, due coppe Italia. Certo a livello personale, quel gol alla Juventus segnato al 119' di un quarto di finale di coppa, non si può dimenticare...” Calcio 2OOO

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DOVE SONO FINITI Lei però ci deve dire: cosa ci faceva un libero in area di rigore avversaria, ad un minuto dai calci di rigore-... “La 'colpa' (sorride ndr.) è di Antonio Careca. Stavo rientrando in difesa, quando vedo Antonio recuperare palla e tentare l'azione personale sulla fascia. Allora ho pensato: e se la mette nel mezzo? Fosse stato un altro chissà, ma con Careca tutto era possibile. E allora sono rimasto in area, in attesa di un cross... che arriva puntuale. Ed io, dall'alto del mio metro e 82, colpisco la palla di testa e vado in Paradiso”. Il secondo scudetto, invece, lo sente meno suo... “Sopratutto giocai poco. Mi feci male contro la Fiorentina, ma era nato tutto da una scarpa sbagliata in allenamento che mi aveva procurato una tendinite. Io volli gio-

care lo stesso, poi un dottore che non era all'altezza fece il resto...” Capitolo nazionale: tre convocazioni, zero minuti giocati. Rimpianti? “Beh, è ovvio. Al tempo c'era un titolare sicuro, Franco Baresi. Come riserva ce la giocavamo io e Tricella, però ripeto... ho pagato la mancanza di un fisico più strutturato. Tecnicamente ero un buon giocatore, tiro da fuori, lancio lungo, fisicamente però mancava qualcosa”. Parentesi sul ruolo: Bersellini la voleva terzino, Bianchi la faceva giocare libero... ma anche terzino. Dove sta la verità? “Chiariamo: il mio ruolo era il libero. Certo, avevo una buona gamba che in allungo diceva la sua. Ed anche un buon piede per crossare. Diciamo che interpretavo il

ruolo in maniera moderna, cioè non rimanevo statico dietro a difendere, ma mi spingevo anche in avanti. Io ho avuto sempre due modelli: Scirea, uno dei primi liberi a partecipare al gioco di squadra, e Giorgio Carrera del Vicenza. Carrera, se non si fosse infortunato, avrebbe fatto una grandissima carriera. Giocava con Paolo Rossi, Cerilli, Faloppa...” Renica allenatore? “Sarebbe quello che voglio fare, ma non è facile. Se da calciatore ho sempre creduto alla meritocrazia, da allenatore molto meno. Vede, io ho il patentino di prima categoria, negli ultimi tre anni ho vinto due campionati (in Serie D, col Trissino, ndr.) e di norma uno così viene chiamato. E invece io sono a spasso...” Difesa a tre oppure a quattro?

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foto Agenzia Liverani

Maradona? Ci sentiamo ogni tanto. Ottima persona, umile ed onesta. Forse anche troppo generosa...


Alessandro RENICA

UN FIDO SCUDIERO

NIENTE NAZIONALE Un rammarico? Non aver giocato mai con l'Italia

Ho grandi ricordi anche della Sampdoria, ma vincere uno scudetto a Napoli... è felicità allo stato puro

foto Agenzia Liverani

foto Agenzia Liverani

Renica è sempre stato apprezzato per la sua grande volontà

“Mi piacciono tutti i moduli, bisogna vedere che giocatori hai. Importanti sono i tempi di gioco, e poi la passione, la professionalità. Dove giocherebbe oggi Renica? In una difesa a tre, credo... Che può essere un 3-5-2, o trasformarsi in un 5-32 in fase difensiva”. Bilancio finale: Renica ha più dato o ricevuto dal mondo del calcio? “Non lo so. Rimpianti non ne ho, nella mia carriera ho vinto tantissimo. Però mi lasci dire una cosa...”

foto Agenzia Liverani

Quello che vuole... “Mi spiace che nel Napoli non ci sia riconoscenza. È incredibile che non ci sia posto per gli ex che tanto hanno dato a questa società. Guardi Bruscolotti: 17 anni nel Napoli, un’istituzione, eppure non c'è mai stato posto per lui. Il Milan, l'Inter, la Juve, si comportano diversamente. Io voglio bene al Napoli, tifo Napoli, avrei le carte in regola per avere un ruolo nella società Napoli. Ed invece...” Si è dato un perché? “Perché comanda chi ha i soldi. E poi è un problema di carattere. Quando smetti di giocare e si spengono le luci, spesso non sai che fare. Io sono appassionato di calcio e vorrei rimanere nel calcio. Forse dovrei propormi, raccomandarmi a qualcuno, ma non è nel mio stile. Vediamo...” Calcio 2OOO

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L’ALFABETO DEI BIDONI Carsten Jancker

di Fabrizio PONCIROLI

Si ringrazia Panini per la gentile concessione delle immagini

IL PILONE TEDESCO

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Jancker, il bomber teutonico che fece rimpiangere il buon Bierhoff…

2 gol in tre anni, dei quali ben 57 in campionato. Un bomber meraviglioso, abilissimo nel gioco aereo. Una vera fortuna per l’Udinese che, grazie a lui, si è divertita e ci ha pure guadagnato diversi miliardi di vecchie lire. Di chi stiamo parlando? Di Oliver Bierhoff… E perché ne stiamo parlando visto che, la meteora del mese risponde al nome di Carsten Jancker? Semplice, perché senza l’approdo di Bierhoff ad Udine, non ci sarebbe stato Jancker in maglia friulana. Torniamo, con la mente, all’estate del 2002. L’Udinese è a caccia di un bomber di razza, di quelli che, in area di rigore, si fanno sentire. Tra i papabili c’è anche un pilone tedesco che ricorda moltissimo, per caratteristiche fisiche (e pure tecniche, almeno sulla carta), il buon Bierhoff. È piazzato (194 cm distribuiti su 94 kg di peso), pare sia un 86

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demonio con la caveza e abbia voglia di dimostrare al suo club (il Bayern Monaco) che non farlo giocare titolare è un abominio verso il mondo pallonaro. Con i bavaresi ha vinto tutto, compresa una Champions League ma, numeri alla mano, il campo non l’ha visto moltissimo (144 presenze, con 48 gol, in sei lunghe stagioni). Approda così all’Udinese, desideroso di ripercorrere le orme del suo predecessore, sempre il nostro amico Bierhoff. Durante la presentazione alla stampa, dimostra subito di avere le idee chiare: “Sono venuto a Udine per togliermi delle belle soddisfazioni”. Nessun timore riguardo all’inevitabile paragone con Bierhoff: “Non ho paura del suo fantasma, credo di poter fare bene anche io”. Con la faccia da duro che si ritrova, perfetto per un lungometraggio sulla Seconda Guerra Mondiale, il buon Jancker si sente pronto per estasiare anche i palati più fine. Si sbilancia anche l’allora dg bianconero Marino: “Pensiamo di aver fatto un grandissimo


L’ALFABETO DEI BIDONI / Carsten Jancker

PANZER SFORTUNATO

foto Agenzia Liverani

In Italia Jancker non ha lasciato nessun segno...

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L’ALFABETO DEI BIDONI / Carsten Jancker

“ERA UN ARMADIO” Di Fabrizio Ponciroli

Rossitto, compagno di squadra di Jancker all’Udinese, lo difende: “Non si è ambientato”

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foto Agenzia Liverani

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002. Nell’estate in cui Schumacher, vincendo il GP di Francia, conquista il suo quinto titolo mondiale di F1 e viene permesso il rientro in Italia dei Savoia, l’Udinese mette sotto contratto Jancker. Grande sforzo economico dei Pozzo, convinti che il tedesco possa diventare la stella della squadra. Nella stessa estate, torna a Udine, Rossitto, reduce da tre stagioni in maglia viola. L’ex centrocampista ricorda perfettamente il compagno proveniente dal Bayern Monaco: “Era un armadio, incredibilmente possente. Aveva un fisico statuario, quando te lo trovavi di fronte, faceva una certa impressione”. Gran fisico ma, in due anni, poche luci e tante ombre: “Ricordo che si è fatto un gran parlare di lui a Udine. C’era tanta attesa nei suoi confronti. Tutti sapevano che arrivava dal Bayern Monaco, una delle migliori squadre in circolazione. C’erano altissime aspettative che, purtroppo, sono state disattese”. Rossitto non condanna il panzer: “Guarda, a mio avviso proprio non si è integrato con il nostro modo di fare calcio. Lui era abituato ad un calcio diverso, molto fisico. Al Bayern lanciavano la palla lunga e lui, con il suo fisico, sapeva difendere al meglio la palla e proporsi come uomo sponda. Non era un attaccante da tanti gol, lavorava per aiutare gli inserimenti dei compagni. Da noi non è riuscito a farsi valere, anche complice qualche infortunio di troppo. Ci ha provato, sin dal primo allenamento. Si impegnava molto, anche in allenamento ma, in partita, faticava”. Rossitto racconta di uno Jancker completamente differente dall’idea che tutti si sono fatti di lui: “Aveva un viso che intimoriva ma aveva un cuore buono. Non l’ho frequentato tantissimo ma si vedeva che era un tipo tranquillo e molto riservato. Finiti gli allenamenti, tornava sempre a casa, difficilmente faceva qualcosa fuori dal campo. Era un tipo molto tranquillo, assolutamente mai avuto un problema con lui. Diciamo che il viso da duro nascondeva un ragazzo d’oro. Peccato non sia riuscito a far bene in campo…”.


L’ALFABETO DEI BIDONI / Carsten Jancker

IL GUIZZO AI MONDIALI Di Fabrizio Ponciroli

Ben 10 gol con la nazionale tedesca, ad uno è decisamente legato…

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Si ringrazia Panini per la gentile concessione delle immagini

orse potevo segnare più gol in nazionale, ma posso sempre dire di aver firmato una rete ai Mondiali”… Parole e musica di Carsten Jancker. In effetti, nel suo curriculum vitae, è presente un gol messo a segno in una fase finale di un Mondiale. Dobbiamo tornare, con la mente, alla Coppa del Mondo 2002. Tra i cinque attaccanti selezionati dall’allora CT Voeller, c’è anche il buon Jancker. 27enne, bomber del Bayern Monaco, viene chiamato insieme a Klose, Asamoah, Neuville e l’ex Udinese Bierhoff. Una scelta, quella del selezionatore tedesco ex Roma che non convince pienamente l’opinione pubblica. Nella gara d’esordio contro la non irresistibile Arabia Saudita, il buon Jancker, parte titolare, al fianco di Klose. La formazione

teutonica domina e, al 45’, il pilone tedesco, su una palla leggermente spizzicata da Frings, non può esimersi, a circa tre metri dalla porta, di infilare il povero Al-Daeyea. Per la cronaca, quella sfida terminerà 8-0 ai favori dei tedeschi ma, dati alla mano, Jancker il suo gol “mondiale” l’ha confezionato. Nelle 33 presenze con la casacca teutonica, segnerà, compreso il guizzo con l’Arabia Saudita, 10 reti, compreso un gol all’Inghilterra (nella rovinosa sfida, dell’1 settembre 2001, vinta dagli inglesi per 5-1), eppure, per Jancker, quel non complicatissimo, per usare un eufemismo, gol contro gli arabi resta il suo “capolavoro” in Nazionale. Una curiosità. In quel memorabile 8-0 all’Arabia Saudita, nel tabellino dei marcatori, ci finirà anche Bierhoff (34enne, all’ultimo grande torneo internazionale della sua lunga militanza sui campi da gioco). Ecco, a differenza di Jancker, per l’ex Milan e Udinese Bierhoff quel gol alla rovinosa formazione araba non sarà il momento più elevato della sua carriera in nazionale ma uno dei tanti… Corsi e ricorsi storici, a volte beffardi…

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L’ALFABETO DEI BIDONI / Carsten Jancker

NO BIERHOFF, NO PARTY

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Jancker non è riuscito a far bene, in Friuli, come Oliver...

acquisto”. Si fa aiutare da Giuseppe Gemiti, ex Eintracht, per imparare, il prima possibile, la lingua italiana. I buoni propositi svaniscono nel giro di pochi mesi. Spalletti, allenatore rampante che già sa riconoscere i cavalli di razza da quelli da bestiame, capisce in fretta che, nel caso di Jancker, siamo nei range di quei giocatori che tanto si impegnano ma poco raccolgono. Inizialmente si pensa che il ragazzo sia anche stanco, causa partecipazione (piuttosto inattesa) ai Mondiali del 2002 dove, tra l’altro, segna anche una rete (contro l’Arabia, 8-0 il finale di quella partita). Nelle prime 11 apparizioni con la casacca dell’Udinese, non vede mai la porta. Sbaglia anche facili conclusioni e, soprattutto, dialoga poco e male con i compagni di reparto. Spalletti, tanto per capirci, lo sostituisce in nove occasioni… Ma il 17 novembre, decima giornata, al Friuli, accade qualcosa degno di nota: Spalletti ridà fiducia al panzer tedesco che, al 27’ del primo tempo, su imbeccata di Muzzi, va finalmente in rete, portando i friulani sul momentaneo 2-0 (ironia della sorte, il definitivo 2-1 vedrà andare in gol, tra i gialloblù, l’ex Bierhoff). Sembra l’inizio di una nuova vita, calcisticamente parlando, per l’ex bomber bavarese. Si lascia anche andare, sfogandosi con diversi media tedeschi (dopo l’amichevole con la Bosnia): “In Italia, a differenza della Germania, si gioca molto sulla difensiva e, quindi, gli attaccanti vengono giudicati molto dai gol che fanno e io, sul fronte gol, ho dei problemi”. E il problema resta. Complice anche un infortunio che lo terrà out per circa due mesi, Jancker scompare dai radar e, a fine stagione, chiude con 20 presenze (spesso sostituito) e un solo gol, appunto quello siglato al Chievo. A fine stagione, sembra certo l’addio ma, a sorpresa, Jancker viene riconfermato, questa volta con la “certezza” del ruolo di riserva. Come l’anno precedente, si 90

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danna l’anima quando viene chiamato in causa ma i risultati sono scarni. C’è un lampo, 7 dicembre 2003: bordata da fuori area del tedescone (subentrato nella ripresa) e gol vittoria, sempre al Friuli, contro la Reggina. Trascorrono 11 giorni e, in Coppa Italia, Jancker segna ancora (contro il Bologna, ritorno ottavi di finale). Ci siamo? Sta per esplodere? No, affatto… Come l’anno precedente, non accade più nulla e il pilone teutonico si arresta, si blocca, scompare. A fine annata, in maniera naturale, l’avventura tra Jancker e Udine si conclude. Nessuno lo rimpiange, lui rescinde e se ne ritorna in Bundes, al Kaiserslautern. Se la prende con Spalletti, reo di non averlo capito. È certo di rinascere in Germania. Discreto il primo anno (quattro reti totali in 25 gare), da brividi il secondo, con solo cinque presenze in campionato e nessuna marcatura. Non si sente capito e apprezzato, decide di volare in Cina, in Super League. Va al Shanghai Shenhua. Ci resterà pochissimo, senza mai un lampo (zero gol in sette, misere, presenze). Si ricicla in Austria, al Mattersburg dove, al termine della stagione 2008/09, a 35 anni, decide che è giunto il momento di fare altro. Siete curiosi di sapere cosa fa ora? Lavora ancora nel mondo del calcio, è nello staff tecnico del Rapid Vienna… Recentemente, attraverso le colonne di 11freude.de, il buon Jancker è tornato sul suo periodo a Udine: “Dopo il 2002 ho perso la Nazionale perché sono andato all’Udinese dove non è andato nulla per il verso giusto. Perché? Ho giocato titolare le prime partite ma non è andata come speravo. Quando ho cominciato a capire il calcio italiano, mi sono fatto male e non sono mai più tornato ai miei livelli a livello fisico e, di conseguenza, non sono più riuscito a fare quello che volevo”. Ecco, ora abbiamo capito il perché di tre gol in due anni…


L’ALFABETO DEI BIDONI / Carsten Jancker

HA SEGNATO IN UN MONDIALE

foto Agenzia Liverani

Suo uno dei gol, nel 2002, ai danni dell'Arabia Saudita

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i NUMERI Della

36a GIORNATA

Chievo-Fiorentina 0-0 (0-0)

Empoli-Bologna 0-0 (0-0)

Genoa-Roma 2-3 (1-1)

Juventus-Carpi 2-0 (1-0)

Lazio-Inter 2-0 (1-0)

Milan-Frosinone 3-3 (0-2)

Napoli-Atalanta 2-1 (1-0)

Palermo-Sampdoria 2-0 (1-0)

Sassuolo-Verona 1-0 (0-0)

Udinese-Torino 1-5 (0-2)

CLASSIFICA

MARCATORI

Data: 30-04-2016 – Ore: 20:45 CHIEVO 4-3-1-2: Bizzarri 6; Cacciatore 5,5, Gamberini 6, Cesar 6, Gobbi 7; Rigoni 6 (34’ st Castro ng), Radovanovic 6, Hetemaj 7; Pepe 6 (20’ st Birsa 6,5); Inglese 5,5 (24’ st Floro Flores 6,5), Pellissier 6. Allenatore: Maran 6,5. FIORENTINA 3-5-2: Tatarusanu 6; Tomovic 5,5, Rodríguez 5, Astori 6; Tello 5 (14’ st Bernardeschi 6), Fernández 6 (34’ st Ilicic ng), Badelj 6, Borja Valero 6, Alonso 5,5; Zárate 6, Kalinic 6. Allenatore: Paulo Sousa 5,5. Arbitro: Guida di Torre Annunziata 6. Recupero: 3 minuti (0’ pt + 3’ st). Ammoniti: Cacciatore, Cesar, Gobbi, Pellissier (C); Tomovic, Fernández, Badelj, Zárate (F). Espulsi: nessuno. Spettatori: 10.000 circa.

Data: 1-05-2016 – Ore: 12:30 JUVENTUS 3-5-2: Buffon 7; Rugani 6,5, Bonucci 6, Evrà 6,5; Cuadrado 6 (29’ st Lichtsteiner 6), Pogba 7, Hernanes 6, Asamoah 6 (40’ st Sturaro ng), Alex Sandro 6,5; Mandzukic 6, Morata 6 (1’ st Zaza 6,5). Allenatore: Allegri 7. CARPI 5-3-1-1: Belec 6; Sabelli 5, Zaccardo 6, Romagnoli 5,5, Suagher 5,5, Gagliolo 5; Crimi 5 (29’ st Porcari 6), Cofie 6, Martinho 5 (20’ st Lasagna 5); Verdi 6,5 (39’ st De Guzman ng); Mbakogu 5,5. Allenatore: Castori 5,5. Arbitro: Irrati di Pistoia 6. Reti: 42’ pt Hernanes; 35’ st Zaza. Recupero: 6 minuti (3’ pt + 3’ st). Ammoniti: Rugani, Bonucci, Lichtsteiner, Pogba, Hernanes, Mandzukic (J); Crimi, Martinho (C). Espulsi: nessuno. Spettatori: 40.316.

Data: 2-05-2016 – Ore: 21:00 NAPOLI 4-3-3: Reina 6; Hysaj 6, Albiol 6, Koulibaly 6,5, Ghoulam 6; Allan 7, Jorginho 6,5, Hamsik 7; Callejón 6 (34’ st El Kaddouri ng), Higuaín 7 (39’ st Gabbiadini ng), Insigne 6 (19’ st Mertens 5,5). Allenatore: Sarri 6,5. ATALANTA 4-4-1-1: Sportiello 7; Masiello 5,5, Tolói 5,5, Djimsiti 5, Dramè 5,5; D’Alessandro 5,5 (26’ st Monachello 6), De Roon 6 (39’ st Conti ng), Cigarini 6, Kurtic 5,5; Diamanti 5 (1’ st Freuler 6); Borriello 5,5. Allenatore: Reja 6. Arbitro: Giacomelli di Trieste 6. Reti: 10’ pt Higuaín (N); 32’ st Higuaín (N), 40’ Albiol (N) aut. Recupero: 3 minuti (0’ pt + 3’ st). Ammoniti: Masiello, Djimsiti (A). Espulsi: nessuno. Spettatori: 24.514 paganti (abbonati non comunicati).

Data: 30-04-2016 – Ore: 18:00 UDINESE 3-5-2: Karnezis 5,5; Heurtaux 4,5, Danilo 4,5, Felipe 5; Edenilson 5 (17’ st Perica 6), Badu 5, Kuzmanovic 5, Bruno Fernandes 5 (30’ st Piris 5,5), Adnan 5; Matos 4 (17’ st Hallfredsson 5,5), Théréau 4,5. Allenatore: De Canio 4,5. TORINO 3-5-2: Padelli 6; Bovo 7, Jansson 7, Gastón Silva 7; Zappacosta 6,5 (30’ st Molinaro ng), Acquah 7, Vives 7, Benassi 6 (26’ st Baselli 6), Bruno Peres 6,5; Belotti 7,5, Martínez 7,5 (40’ st Edera ng). Allenatore: Ventura 7,5. Arbitro: Mariani di Aprilia 6. Reti: 12’ pt Jansson (T), 45’ Acquah (T); 2’ st Felipe (U), 5’ Martínez (T), 11’ Belotti (T), 38’ Martínez (T). Recupero: 2 minuti (2’ pt + 0’ st). Ammoniti: Heurtaux, Felipe (U); Bovo, Gastón Silva (T). Espulsi: nessuno. Spettatori: 16.699.

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Calcio 2OOO

Data: 1-05-2016 – Ore: 15:00 EMPOLI 4-3-1-2: Pelagotti 6; Bittante 6 (33’ st Zambelli 6), Cosic 6, Costa 6,5, Mario Rui 6; Zielinski 6, Dioussè 6 (19’ st Maiello 6), Croce 7 (40’ st Büchel ng); Saponara 6; Pucciarelli 6,5, Maccarone 6. Allenatore: Giampaolo 6. BOLOGNA 4-2-3-1: Mirante 6,5; Ferrari 5 (23’ st Zuñiga 6), Maietta 6 (8’ st Oikonomou 6), Gastaldello 6, Masina 6; Diawara 6, Brighi 6; Mounier 6 (39’ st Krafth ng), Brienza 6, Giaccherini 6,5; Floccari 6. Allenatore: Donadoni 6. Arbitro: Chiffi di Padova 5. Recupero: 4 minuti (0’ pt + 4’ st). Ammoniti: Oikonomou, Masina (B). Espulsi: nessuno. Spettatori: 9.727.

Data: 1-05-2016 – Ore: 20:45 LAZIO 4-3-3: Marchetti 6,5; Basta 6, Bisevac 6,5, Gentiletti 6,5, Konko 6; Onazi 6,5, Biglia 7 (47’ st Cataldi ng), Lulic 7; Candreva 7 (44’ st Milinkovic-Savic ng), Klose 7,5 (27’ st Mauri 6), Keita 7. Allenatore: Inzaghi 7. INTER 4-2-3-1: Handanovic 6,5; D’Ambrosio 5, Miranda 5, Murillo 4, Nagatomo 5 (34’ st Palacio 5,5); Medel 5,5 (11’ st Biabiany 5,5), Kondogbia 6; Brozovic 5, Jovetic 6 (27’ st Eder 5), Perisic 5,5; Icardi 5. Allenatore: Mancini 5. Arbitro: Banti di Livorno 5,5. Reti: 8’ pt Klose; 39’ st Candreva rig. Recupero: 5 minuti (1’ pt + 4’ st). Ammoniti: Gentiletti, Lulic, Candreva, Klose, Keita (L); Murillo (I). Espulsi: 38’ st Murillo (I) per doppia ammonizione. Spettatori: 20.000 circa.

Data: 1-05-2016 – Ore: 15:00 PALERMO 3-4-1-2: Sorrentino 6,5; Cionek 7, Vitiello 6,5, Andelkovic 6,5; Rispoli 7, Hiljemark 6, Maresca 6,5, Morganella 6; Vazquez 7,5 (43’ st Jajalo ng); Gilardino 7, Trajkovski 5 (24’ st Quaison 6). Allenatore: Ballardini 6,5. SAMPDORIA 3-4-2-1: Viviano 6; Cassani 6, Ranocchia 4,5, Skriniar 6; De Silvestri 6, Fernando 6 (1’ st Muriel 5), Krsticic 5, Dodô 5 (26’ st Cassano 5); Álvarez 5,5 (36’ st Sala ng), Soriano 6; Quagliarella 6. Allenatore: Montella 5,5. Arbitro: Mazzoleni di Bergamo 6. Reti: 19’ pt Vazquez; 40’ st Krsticic (S) aut. Recupero: 6 minuti (2’ pt + 4’ st). Ammoniti: Maresca (P); Viviano, Cassani, Muriel, Krsticic, Dodô (S). Espulsi: nessuno. Spettatori: non comunicati.

Juventus Napoli Roma Inter Fiorentina Sassuolo Milan Lazio Chievo Torino Genoa Empoli Atalanta Bologna Sampdoria Udinese Carpi Palermo Frosinone Verona

88 36 28 4 4 69 18 76 36 23 7 6 74 31 74 36 21 11 4 77 40 64 36 19 7 10 47 34 60 36 17 9 10 56 40 55 36 14 13 9 45 39 54 36 14 12 10 47 40 51 36 14 9 13 47 47 49 36 13 10 13 43 42 45 36 12 9 15 50 51 43 36 12 7 17 41 46 43 36 11 10 15 37 46 41 36 10 11 15 38 45 41 36 11 8 17 33 44 40 36 10 10 16 48 53 38 36 10 8 18 33 57 35 36 8 11 17 34 53 35 36 9 8 19 35 63 31 36 8 7 21 35 71 25 36 4 13 19 30 59

Data: 2-05-2016 – Ore: 19:00 GENOA 3-5-2: Lamanna 6; Muñoz 6, Burdisso 5,5, Izzo 5; Fiamozzi 6 (25’ st Capel 5), Dzemaili 6,5, Rincón 7, Tachtsidis 6,5 (16’ st Marchese 6), Laxalt 6,5; Pavoletti 6,5, Suso 6,5 (37’ st Pandev ng). Allenatore: Gasperini 6,5. ROMA 4-2-4: Szczesny 7; Maicon 5 (21’ st Dzeko 7), Manolas 6, Rüdiger 5, Digne 6; De Rossi 6, Strootman 6; Salah 6,5 (43’ st Zukanovic ng), Nainggolan 6,5, Perotti 6 (15’ st Totti 8), El Shaarawy 7. Allenatore: Spalletti 7. Arbitro: Gervasoni di Mantova 5. Reti: 6’ pt Salah (R), 13’ Tachtsidis (G); 20’ st Pavoletti (G), 32’ Totti (R), 42’ El Shaarawy (R). Recupero: 4 minuti (0’ pt + 4’ st). Ammoniti: Rincón, Marchese, Laxalt (G); De Rossi, Strootman, Totti (R). Espulsi: nessuno. Spettatori: 21.355.

Data: 1-05-2016 – Ore: 15:00 MILAN 4-3-1-2: Donnarumma 5; Abate 5,5 (28’ st Antonelli 6,5), Alex 4,5, Romagnoli 5, De Sciglio 6; Kucka 5, Montolivo 5, Mauri 6 (33’ st Menez 6); Honda 5 (19’ st Luiz Adriano 5); Bacca 5, Balotelli 6. Allenatore: Brocchi 6. FROSINONE 4-4-2: Bardi 7,5; Ciofani M. 5, Russo 5, Ajeti 6, Crivello 5,5 (22’ st Pryima 5); Paganini 7, Gori 6, Sammarco 6, Kragl 6,5 (35’ st Rosi ng); Ciofani D. 6, Dionisi 7 (28’ st Gucher 5,5). Allenatore: Stellone 7. Arbitro: Massa di Imperia 5,5. Reti: 2’ pt Paganini (F), 44’ Kragl (F); 5’ st Bacca (M), 9’ Dionisi (F), 29’ Antonelli (M), 47’ Menez (M) rig. Recupero: 7 minuti (2’ pt + 5’ st). Ammoniti: Kucka, Balotelli (M); Bardi, Russo, Pryima, Gori, Sammarco, Kragl, Dionisi (F). Espulsi: nessuno. Spettatori: 35.936. Note: Al 3’ st Balotelli (M) si è fatto parare un rigore.

Data: 1-05-2016 – Ore: 15:00 SASSUOLO 4-3-3: Consigli 6,5; Vrsaljko 6, Cannavaro 6, Acerbi 7, Longhi 5,5 (24’ st Gazzola 6); Pellegrini 7, Magnanelli 6, Duncan 6,5; Berardi 6 (28’ st Politano 6), Falcinelli 5 (39’ st Missiroli ng), Sansone 5,5. Allenatore: Di Francesco 6,5. VERONA 4-2-3-1: Gollini 6; Pisano 6, Moras 6, Bianchetti 5,5, Albertazzi 6 (32’ st Romulo 6); Viviani 6, Greco 6 (21’ st Rebic 6); Wszolek 6, Ionita 6,5, Siligardi 6; Gomez 5 (16’ st Toni 5,5). Allenatore: Del Neri 6. Arbitro: Gavillucci di Latina 6. RetE: 13’ st Pellegrini. Recupero: 5 minuti (1’ pt + 4’ st). Ammoniti: Albertazzi (V). Espulsi: nessuno. Spettatori: 10.389.

32 reti: Higuaín (Napoli, 3 rig.) 16 reti: Dybala (Juventus, 4 rig.); Bacca (Milan, 1 rig.) 15 reti: Icardi (Inter, 1 rig.) 13 reti: Ilicic (Fiorentina, 7 rig.); Salah (Roma); Eder (12 Sampdoria, 3 rig./1 Inter) 12 reti: Maccarone (Empoli, 1 rig.); Kalinic (Fiorentina); Pavoletti (Genoa); Insigne (Napoli, 2 rig.); Belotti (Torino, 4 rig.) 11 reti: Théréau (Udinese) 10 reti: Mandzukic (Juventus)


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I NUMERI Della

37a GIORNATA

Atalanta-Udinese 1-1 (1-1)

Bologna-Milan 0-1 (0-1)

Carpi-Lazio 1-3 (0-2)

Fiorentina-Palermo 0-0 (0-0)

Frosinone-Sassuolo 0-1 (0-0)

Inter-Empoli 2-1 (2-1)

Roma-Chievo 3-0 (2-0)

Sampdoria-Genoa 0-3 (0-2)

Torino-Napoli 1-2 (0-2)

Verona-Juventus 2-1 (1-0)

CLASSIFICA

MARCATORI

Data: 8-05-2016 – Ore: 15:00 ATALANTA 4-2-3-1: Sportiello 6; Bellini 7 (5’ st Tolói 6), Masiello 6, Djimsiti 6, Brivio 6; Cigarini 6,5, De Roon 6 (40’ st Migliaccio ng); D’Alessandro 6 (30’ st Raimondi ng), Diamanti 6, Kurtic 6; Borriello 6. Allenatore: Reja 6. UDINESE 3-5-2: Karnezis 6; Wagué ng (19’ pt Heurtaux 6), Danilo 6, Domizzi 6; Widmer 6, Badu 6, Kuzmanovic 6 (42’ pt Lodi 6), Hallfredsson 6, Adnan 6; Théréau 6, Zapata 6,5. Allenatore: De Canio 6. Arbitro: Rizzoli di Bologna 6. Reti: 10’ pt Zapata (U), 19’ Bellini (A) rig. Recupero: 5 minuti (4’ pt + 1’ st). Ammoniti: Brivio (A); Kuzmanovic, Adnan (U). Espulsi: nessuno. Spettatori: 19.380.

Data: 8-05-2016 – Ore: 15:00 FIORENTINA 3-4-2-1: Tatarusanu 6; Roncaglia 6, Rodríguez 6, Astori 6; Bernardeschi 6, Badelj 5,5 (42’ st Vecino ng), Borja Valero 6, Pasqual 6 (16’ st Alonso 6); Ilicic 5,5 (11’ st Fernández 6), Zárate 6; Kalinic 6. Allenatore: Paulo Sousa 6. PALERMO 3-4-3: Sorrentino 6; Cionek 6, González 5, Andelkovic 6; Rispoli 5, Hiljemark 6 (29’ st Jajalo 6), Maresca 6, Morganella 6; Vazquez 6 (44’ st Chochev ng), Gilardino 6, Trajkovski 5,5 (17’ st Quaison 6). Allenatore: Ballardini 6. Arbitro: Orsato di Schio 6. Recupero: 4 minuti (1’ pt + 3’ st). Ammoniti: Borja Valero, Pasqual, Zárate (F); Cionek, González, Trajkovski (P). Espulsi: nessuno. Spettatori: 28.096.

Data: 8-05-2016 – Ore: 12:30 ROMA 4-3-3: Szczesny 6,5; Florenzi 6, Manolas 6, Rüdiger 7, Digne 6; Pjanic 7, De Rossi 6 (22’ st Strootman 6), Nainggolan 7,5; Salah 5,5 (14’ st Totti 6,5), Perotti 7, El Shaarawy 6 (34’ st Emerson ng). Allenatore: Spalletti 7. CHIEVO 4-3-1-2: Bizzarri 6; Cacciatore 6, Gamberini 5,5, Cesar 5, Gobbi 6 (27’ pt Mpoku 6,5); Rigoni 5,5, Radovanovic 6 (32’ pt Pinzi 6), Hetemaj 6; Castro 5,5 (1’ st Sardo 5,5); Pellissier 6, Floro Flores 6,5. Allenatore: Maran 5,5. Arbitro: Celi di Bari 5,5. Reti: 18’ pt Nainggolan, 39’ Rüdiger; 40’ st Pjanic. Recupero: 5 minuti (2’ pt + 3’ st). Ammoniti: Perotti (R); Mpoku, Radovanovic, Hetemaj (C). Espulsi: nessuno. Spettatori: 55.508.

Data: 8-05-2016 – Ore: 20:45 VERONA 4-4-1-1: Gollini 7; Pisano 6, Bianchetti 6, Helander 6, Emanuelson 6,5; Wszolek 6,5, Marrone 6 (35’ st Greco ng), Viviani 7, Siligardi 6,5 (20’ st Romulo 6); Ionita 6,5; Toni 7,5 (40’ st Gomez ng). Allenatore: Del Neri 6,5. JUVENTUS 3-5-2: Neto 6; Barzagli 5,5 (27’ st Chiellini 6), Bonucci 5,5, Rugani 6; Cuadrado 6, Sturaro 5 (17’ st Pereyra 5,5), Lemina 5,5, Asamoah 5,5 (26’ st Padoin 5,5), Alex Sandro 5; Zaza 6, Dybala 6. Allenatore: Allegri 5,5. Arbitro: Maresca di Napoli 6. Reti: 43’ pt Toni (V) rig.; 10’ st Viviani (V), 49’ Dybala (J) rig. Recupero: 4 minuti (0’ pt + 4’ st). Ammoniti: Helander, Marrone, Siligardi (V); Lemina, Alex Sandro, Zaza (J). Espulsi: 47’ st Alex Sandro (J) per doppia ammonizione. Spettatori: 23.423.

Data: 7-05-2016 – Ore: 20:45 BOLOGNA 4-2-3-1: Da Costa 5,5; Rossettini 6 (45’ st Ferrari ng), Oikonomou 6, Gastaldello 5 (27’ st Taider 6), Masina 6; Diawara 4, Brighi 6,5; Zuñiga 5 (35’ st Mounier ng), Brienza 6, Giaccherini 6,5; Floccari 6. Allenatore: Donadoni 6. MILAN 4-3-1-2: Donnarumma 6; Calabria 6, Mexès 6, Romagnoli 5,5, De Sciglio 6; Kucka 5 (25’ st Poli 6), Montolivo 5,5, Mauri 6 (12’ st Bertolacci 5,5); Honda 5 (39’ st Boateng ng); Bacca 6, Luiz Adriano 6,5. Allenatore: Brocchi 6. Arbitro: Doveri di Roma 5. Reti: 40’ pt Bacca rig. Recupero: 5 minuti (1’ pt + 4’ st). Ammoniti: Da Costa, Oikonomou, Diawara, Giaccherini (B); Calabria, Mexès, Romagnoli, Mauri, Bertolacci (M). Espulsi: 12’ pt Diawara (B) per doppia ammonizione. Spettatori: 22.544.

Data: 8-05-2016 – Ore: 15:00 FROSINONE 4-4-2: Bardi 6 (29’ pt Zappino 6); Ciofani M. 6, Ajeti 6, Pryima 6, Crivello 5; Carlini 6 (34’ st Longo 5,5), Gucher 6 (25’ st Frara 6), Sammarco 6, Kragl 7; Ciofani D. 6, Dionisi 6,5. Allenatore: Stellone 6. SASSUOLO 4-3-3: Consigli 7; Vrsaljko 6, Cannavaro 6, Acerbi 6, Peluso 6; Pellegrini 6,5, Magnanelli 6, Duncan 6,5; Berardi 6 (43’ st Gazzola ng), Defrel 6 (25’ st Falcinelli 6), Sansone 5 (16’ st Politano 7). Allenatore: Di Francesco 6,5. Arbitro: Cervellera di Taranto 6. RetE: 40’ st Politano. Recupero: 6 minuti (2’ pt + 4’ st). Ammoniti: Crivello, Gucher, Kragl, Dionisi (F); Cannavaro, Peluso, Berardi, Politano (S). Espulsi: nessuno. Spettatori: 6.014.

Data: 8-05-2016 – Ore: 15:00 SAMPDORIA 3-5-2: Viviano 5,5; Diakité 5,5, Silvestre 5, Cassani 4; De Silvestri 5 (13’ st Correa 5), Soriano 5, Palombo 4,5 (28’ st Sala 5), Fernando 5,5, Dodô 4; Quagliarella 5 (40’ st Muriel ng), Cassano 5,5. Allenatore: Montella 4. GENOA 3-5-2: Lamanna 7; Izzo 7, Burdisso 6,5, De Maio 7; Ansaldi 8, Rincón 7, Rigoni 7 (9’ st Tachtsidis 6,5), Dzemaili 6,5 (21’ st Gabriel Silva 6), Laxalt 7; Pavoletti 7,5, Suso 8 (42’ st Muñoz ng). Allenatore: Gasperini 7,5. Arbitro: Banti di Livorno 6. Reti: 3’ pt Pavoletti, 26’ Suso; 29’ st Suso. Recupero: 3 minuti (0’ pt + 3’ st). Ammoniti: Viviano, Diakité, Soriano, Sala, Fernando (S); Burdisso, De Maio, Rincón, Suso (G). Espulsi: nessuno. Spettatori: 35.517.

Juventus Napoli Roma Inter Fiorentina Sassuolo Milan Lazio Chievo Genoa Torino Empoli Atalanta Bologna Sampdoria Udinese Palermo Carpi Frosinone Verona

88 37 28 4 5 70 20 79 37 24 7 6 76 32 77 37 22 11 4 80 40 67 37 20 7 10 49 35 61 37 17 10 10 56 40 58 37 15 13 9 46 39 57 37 15 12 10 48 40 54 37 15 9 13 50 48 49 37 13 10 14 43 45 46 37 13 7 17 44 46 45 37 12 9 16 51 53 43 37 11 10 16 38 48 42 37 10 12 15 39 46 41 37 11 8 18 33 45 40 37 10 10 17 48 56 39 37 10 9 18 34 58 36 37 9 9 19 35 63 35 37 8 11 18 35 56 31 37 8 7 22 35 72 28 37 5 13 19 32 60

Data: 8-05-2016 – Ore: 15:00 CARPI 4-4-1-1: Belec 6; Letizia 5,5, Romagnoli 5, Poli 5, Gagliolo 5; Pasciuti 5,5 (31’ st Verdi 6), Cofie 5 (1’ st Lasagna 5), Bianco 5,5 (21’ st Crimi 6), Di Gaudio 5; Lollo 5; Mbakogu 4. Allenatore: Castori 6. LAZIO 4-3-3: Marchetti 8; Basta 6,5, Bisevac 6, Hoedt 5 (16’ pt Mauricio 6), Konko 6; Parolo 6,5, Biglia 6, Lulic 7; Candreva 6,5 (23’ st Djordjevic 4,5), Klose 7, Felipe Anderson 6 (5’ st Onazi 6). Allenatore: Inzaghi 7. Arbitro: Rocchi di Firenze 6,5. Reti: 23’ pt Bisevac (L), 32’ Candreva (L); 28’ st Klose (L), 39’ Mbakogu (C). Recupero: 5 minuti (1’ pt + 4’ st). Ammoniti: Letizia, Romagnoli, Poli, Pasciuti, Lollo (C); Mauricio, Parolo, Biglia (L). Espulsi: 38’ st Biglia (L), 45’ Djordjevic (L). Spettatori: 9.881 Note: Al 12’ e al 41’ pt Mbakogu (C) si è fatto parare due rigori.

Data: 7-05-2016 – Ore: 18:00 INTER 4-2-3-1: Handanovic 6; D’Ambrosio 6, Miranda 6, Juan Jesus 5, Nagatomo 6; Felipe Melo 6, Kondogbia 7; Brozovic 5,5, Jovetic 5 (19’ st Eder 5,5), Perisic 7 (48’ st Medel ng); Icardi 6,5 (21’ st Biabiany 5,5). Allenatore: Mancini 6. EMPOLI 4-3-1-2: Pelagotti 5,5; Zambelli 5 (37’ st Bittante ng), Tonelli 6, Costa 6, Mario Rui 6; Zielinski 6 (37’ st Maiello ng), Paredes 7, Büchel 6 (24’ st Croce 6); Saponara 6; Pucciarelli 6, Maccarone 6. Allenatore: Giampaolo 6. Arbitro: Di Bello di Brindisi 6. Reti: 12’ pt Icardi (I), 37’ Pucciarelli (E), 40’ Perisic (I). Recupero: 4 minuti (0’ pt + 4’ st). Ammoniti: Handanovic, Nagatomo, Perisic (I); Büchel (E). Espulsi: nessuno. Spettatori: 44.348.

Data: 8-05-2016 – Ore: 20:45 TORINO 3-5-2: Padelli 5,5; Bovo 5, Jansson 5, Gastón Silva 5; Zappacosta 5 (28’ st Molinaro 5,5), Acquah 5 (7’ st Baselli 6), Vives 5, Benassi 5, Bruno Peres 6,5; Belotti 5,5, Martínez 5 (33’ st Immobile ng). Allenatore: Ventura 5,5. NAPOLI 4-3-3: Reina 6; Hysaj 5,5, Albiol 6, Koulibaly 6,5, Ghoulam 6; Allan 6,5, Jorginho 6, Hamsik 7 (36’ st David López ng); Callejón 7 (38’ st El Kaddouri ng), Higuaín 8, Insigne 6 (28’ st Mertens 6). Allenatore: Sarri 7. Arbitro: Damato di Barletta 6. Reti: 12’ pt Higuaín (N), 20’ Callejón (N); 21’ st Bruno Peres (T). Recupero: 5 minuti (0’ pt + 5’ st). Ammoniti: Bovo, Jansson, Vives, Benassi (T); Albiol (N). Espulsi: 48’ st Vives (T) per doppia ammonizione. Spettatori: 23.095.

33 reti: Higuaín (Napoli, 3 rig.) 17 reti: Dybala (Juventus, 5 rig.); Bacca (Milan, 2 rig.) 16 reti: Icardi (Inter, 1 rig.) 13 reti: Ilicic (Fiorentina, 7 rig.); Pavoletti (Genoa); Salah (Roma); Eder (12 Sampdoria, 3 rig./1 Inter) 12 reti: Maccarone (Empoli, 1 rig.); Kalinic (Fiorentina); Insigne (Napoli, 2 rig.); Belotti (Torino, 4 rig.) 11 reti: Théréau (Udinese) 10 reti: Mandzukic (Juventus); Candreva (Lazio, 6 rig.); Pjanic (Roma, 1 rig.)

Calcio 2OOO

93


1X2

i NUMERI Della

38a GIORNATA

Chievo-Bologna 0-0 (0-0)

Empoli-Torino 2-1 (1-0)

Genoa-Atalanta 1-2 (0-0)

Juventus-Sampdoria 5-0 (3-0)

Lazio-Fiorentina 2-4 (1-3)

Milan-Roma 1-3 (0-1)

Napoli-Frosinone 4-0 (1-0)

Palermo-Verona 3-2 (1-0)

Sassuolo-Inter 3-1 (3-1)

Udinese-Carpi 1-2 (0-2)

CLASSIFICA

MARCATORI

Data: 15-05-2016 – Ore: 18:00 CHIEVO 4-3-1-2: Seculin 6; Sardo 5,5 (38’ pt Costa 6), Gamberini 6, Spolli 6, Cacciatore 6; Rigoni 6, Pinzi 6, Hetemaj 6; Mpoku 6; Floro Flores 6 (20’ st Inglese 6), Pellissier 6 (16’ st Meggiorini 6). Allenatore: Maran 6. BOLOGNA 4-2-3-1: Mirante 6; Krafth 6, Rossettini 6, Ferrari 6, Masina 6 (4’ st Zuñiga 6); Crisetig 6, Brighi 6; Mounier 6 (26’ st Pulgar 6), Brienza 6, Giaccherini 6 (38’ st Tabacchi ng); Floccari 6. Allenatore: Donadoni 6. Arbitro: Ros di Pordenone 6. Recupero: 4 minuti (1’ pt + 3’ st). Ammoniti: Sardo, Mpoku (C); Giaccherini (B). Espulsi: nessuno. Spettatori: non comunicati.

Data: 14-05-2016 – Ore: 17:00 JUVENTUS 3-5-2: Neto 6,5; Bonucci 7, Barzagli 6,5, Chiellini 7; Lichtsteiner 6,5, Pereyra 6 (20’ st Sturaro 6), Hernanes 6,5, Pogba 7, Evrà 7; Mandzukic 7 (30’ st Zaza 6), Dybala 8 (22’ st Morata 6). Allenatore: Allegri 7. SAMPDORIA 3-4-2-1: Brignoli 6; Diakité 5, Silvestre 5, Skriniar 4,5; Sala 5 (10’ st Ranocchia 5,5), Krsticic 5, Barreto 5, Dodô 5; Álvarez 5,5, Correa 5 (30’ st Soriano 5,5); Quagliarella 5 (41’ st Ponce ng). Allenatore: Montella 4,5. Arbitro: Gavillucci di Latina 6,5. Reti: 6’ pt Evrà, 15’ rig. e 37’ Dybala; 32’ st Chiellini, 40’ Bonucci. Recupero: 0 minuti (0’ pt + 0’ st). Ammoniti: Chiellini, Sturaro, Hernanes (J); Sala (S). Espulsi: 14’ pt Skriniar (S) per gioco scorretto. Spettatori: 64.929.

Data: 14-05-2016 – Ore: 20:45 NAPOLI 4-3-3: Reina 6; Hysaj 7, Chiriches 7, Koulibaly 7 (30’ st Regini 6), Ghoulam 7; Allan 7, Jorginho 7, Hamsik 7 (37’ st David López ng); Callejón 6 (19’ st Mertens 6), Higuaín 9, Insigne 6,5. Allenatore: Sarri 8. FROSINONE 4-3-1-2: Zappino 6; Ciofani M. 5,5, Russo 5, Blanchard 5, Crivello 5; Frara 5 (31’ st Soddimo ng), Gori 4, Kragl 6 (23’ st Carlini 5,5); Sammarco 5; Ciofani D. 5,5, Dionisi 5 (23’ st Gucher ng). Allenatore: Stellone 5,5. Arbitro: Celi di Bari 6. Reti: 44’ pt Hamsik; 7’, 17’ e 26’ st Higuaín. Recupero: 2 minuti (2’ pt + 0’ st). Ammoniti: Jorginho (N); Crivello (F). Espulsi: 13’ pt Gori (F) per comportamento non regolamentare. Spettatori: 56.452.

Data: 15-05-2016 – Ore: 20:45 UDINESE 3-5-2: Karnezis 6; Piris 6, Danilo 5,5, Felipe 5,5; Widmer 6 (46’ st Domizzi ng), Badu 5,5, Lodi 6, Bruno Fernandes 6 (33’ st Di Natale 7), Adnan 5,5 (1’ st Pasquale 6); Zapata 5, Théréau 5. Allenatore: De Canio 6. CARPI 3-5-1-1: Colombi 6; Zaccardo 6, Suagher 6, Gagliolo 6; Sabelli 6, Crimi 6 (14’ st Porcari 5,5), Bianco 6,5, Martinho 6 (41’ st Cofie ng), Pasciuti 7; Verdi 8 (37’ st Di Gaudio ng); Lasagna 6. Allenatore: Castori 6,5. Arbitro: Mazzoleni di Bergamo 5,5. Reti: 36’ rig. e 38’ pt Verdi (C); 34’ st Di Natale (U) rig. Recupero: 3 minuti (0’ pt + 3’ st). Ammoniti: Felipe, Badu, Pasquale (U); Suagher, Gagliolo, Crimi (C). Espulsi: 37’ pt Théréau (U) per comportamento non regolamentare. Spettatori: 20.456.

94

Calcio 2OOO

Data: 15-05-2016 – Ore: 18:00 EMPOLI 4-3-1-2: Pugliesi 6,5; Zambelli 5, Cosic 6, Costa 6, Mario Rui 6; Zielinski 7, Paredes 6 (18’ st Maiello 6), Croce 6; Saponara 6,5 (27’ st Krunic 6); Maccarone 7 (31’ st Piu ng), Pucciarelli 6. Allenatore: Giampaolo 7. TORINO 3-5-2: Padelli 5,5; Glik 5,5, Jansson 6, Moretti 6; Zappacosta 6,5, Baselli 6 (39’ pt Benassi 5,5), Gazzi 5, Obi 6 (26’ st Farnerud 6), Bruno Peres 6; Belotti 5,5, Martínez 6 (15’ st Immobile 5,5). Allenatore: Ventura 5,5. Arbitro: Saia di Palermo 5,5. Reti: 13’ pt Maccarone (E); 9’ st Zielinski (E), 11’ Obi (T). Recupero: 7 minuti (2’ pt + 5’ st). Ammoniti: Zambelli, Paredes (E); Obi (T). Espulsi: nessuno. Spettatori: 8.791.

Data: 15-05-2016 – Ore: 20:45 LAZIO 4-3-3: Marchetti 5,5; Konko 5, Bisevac 5, Gentiletti 5, Lulic 6; Onazi 5 (39’ st Mauri ng), Cataldi 5 (14’ st Milinkovic-Savic 6), Parolo 5; Candreva 5,5 (23’ st Felipe Anderson 6), Klose 6,5, Keita 6. Allenatore: Inzaghi 5,5. FIORENTINA 3-4-2-1: Lezzerini 6; Tomovic 6, Rodríguez 6, Astori 6; Vecino 7,5 (35’ st Tino Costa ng), Badelj 6,5, Fernández 6, Alonso 6 (29’ pt Roncaglia 6); Tello 7,5 (39’ st Kalinic ng), Bernardeschi 7; Zárate 6. Allenatore: Paulo Sousa 7. Arbitro: Manganiello di Pinerolo 6. Reti: 2’ pt Lulic (L), 31’ Vecino (F), 40’ Bernardeschi (F), 45’ Tello (F); 25’ st Vecino (F), 29’ Klose (L) rig. Recupero: 5 minuti (2’ pt + 3’ st). Ammoniti: Tino Costa (F). Espulsi: nessuno. Spettatori: 31.108.

Data: 15-05-2016 – Ore: 20:45 PALERMO 3-4-1-2: Sorrentino 7; Cionek 7, González 6,5, Andelkovic 6,5; Rispoli 7 (38’ st Vitiello ng), Hiljemark 6, Maresca 7, Morganella 4,5; Vazquez 7 (49’ st Jajalo ng); Gilardino 7, Trajkovski 5,5 (11’ st Lazaar 6). Allenatore: Ballardini 7. VERONA 4-4-2: Gollini 5,5; Pisano 6, Bianchetti 6, Helander 5,5, Emanuelson 5,5; Wszolek 4,5, Viviani 6,5, Marrone 6 (26’ st Furman 6), Ionita 6 (1’ st Romulo 6); Pazzini 6,5, Siligardi 6 (35’ st Checchin ng). Allenatore: Del Neri 6,5. Arbitro: Irrati di Pistoia 6. Reti: 28’ pt Vazquez (P); 4’ st Viviani (V), 6’ Maresca (P), 19’ Gilardino (P), 39’ Pisano (V). Recupero: 5 minuti (2’ pt + 3’ st). Ammoniti: Vazquez, Gilardino (P); Viviani, Checchin (V). Espulsi: 35’ pt Wszolek (V) e Morganella (P) per reciproche scorrettezze. Spettatori: 33.445.

Juventus Napoli Roma Inter Fiorentina Sassuolo Milan Lazio Chievo Empoli Genoa Torino Atalanta Bologna Sampdoria Palermo Udinese Carpi Frosinone Verona

91 38 29 4 5 75 20 82 38 25 7 6 80 32 80 38 23 11 4 83 41 67 38 20 7 11 50 38 64 38 18 10 10 60 42 61 38 16 13 9 49 40 57 38 15 12 11 49 43 54 38 15 9 14 52 52 50 38 13 11 14 43 45 46 38 12 10 16 40 49 46 38 13 7 18 45 48 45 38 12 9 17 52 55 45 38 11 12 15 41 47 42 38 11 9 18 33 45 40 38 10 10 18 48 61 39 38 10 9 19 38 65 39 38 10 9 19 35 60 38 38 9 11 18 37 57 31 38 8 7 23 35 76 28 38 5 13 20 34 63

Data: 15-05-2016 – Ore: 18:00 GENOA 3-5-2: Lamanna 6; Muñoz 5, Burdisso 6, Izzo 6; Ansaldi 5,5, Rigoni 6 (9’ st Pandev 5), Rincón 6,5, Dzemaili 5,5 (7’ st Tachtsidis 5), Laxalt 6; Suso 6 (30’ st Gabriel Silva 6), Pavoletti 6,5. Allenatore: Gasperini 6. ATALANTA 4-3-3: Radunovic 6,5; Conti 6, Masiello 6, Djimsiti 5,5, Brivio 6; Gagliardini 6,5 (37’ st Cigarini ng), De Roon 6,5, Freuler 6 (33’ st Monachello 6); D’Alessandro 7 (29’ st Kurtic 6,5), Borriello 6, Gomez 7. Allenatore: Reja 6,5. Arbitro: Aureliano di Bologna 6. Reti: 7’ st D’Alessandro (A), 13’ Pavoletti (G), 37’ Kurtic (A). Recupero: 4 minuti (0’ pt + 4’ st). Ammoniti: Izzo, Rincón, Laxalt (G); Masiello, Brivio, D’Alessandro (A). Espulsi: nessuno. Spettatori: 21.621.

Data: 14-05-2016 – Ore: 20:45 MILAN 4-3-1-2: Donnarumma 6; De Sciglio 5, Alex 4 (21’ st Calabria 5,5), Mexès 4,5, Romagnoli 5; Kucka 5,5, Locatelli 5, Bertolacci 4 (12’ st Bonaventura 6); Honda 5; Balotelli 4,5 (1’ st Luiz Adriano 5), Bacca 4,5. Allenatore: Brocchi 5. ROMA 4-3-1-2: Szczesny 6; Florenzi 7, Manolas 7, Rüdiger 7, Digne 7; Pjanic 7, De Rossi 7, Strootman 6,5 (18’ st Totti 6); Nainggolan 6,5; Salah 7,5 (40’ st Dzeko ng), El Shaarawy 7 (33’ st Emerson 6,5). Allenatore: Spalletti 7. Arbitro: Rizzoli di Bologna 6,5. Reti: 19’ pt Salah (R); 14’ st El Shaarawy (R), 37’ Emerson (R), 41’ Bacca (M). Recupero: 3 minuti (0’ pt + 3’ st). Ammoniti: Donnarumma, Mexès, Locatelli, Luiz Adriano (M). Espulsi: nessuno. Spettatori: 41.571.

Data: 14-05-2016 – Ore: 20:45 SASSUOLO 4-3-3: Consigli 7; Gazzola 6,5, Cannavaro 6, Acerbi 6, Peluso 6; Pellegrini 7 (29’ st Missiroli 6), Magnanelli 6, Duncan 7; Politano 7,5 (35’ st Biondini ng), Defrel 6 (6’ st Falcinelli 6), Sansone 6. Allenatore: Di Francesco 7. INTER 4-3-3: Carrizo 5 (27’ st Radu 6); D’Ambrosio 6, Murillo 4, Juan Jesus 5, Telles 4,5; Brozovic 5,5, Felipe Melo 6, Kondogbia 5,5 (25’ st Nagatomo 5,5); Palacio 6 (36’ st Della Giovanna ng), Jovetic 5,5, Eder 6. Allenatore: Mancini 5. Arbitro: Gervasoni di Mantova 5,5. Reti: 6’ pt Politano (S), 26’ Pellegrini (S), 31’ Palacio (I), 39’ Politano (S). Recupero: 3 minuti (1’ pt + 2’ st). Ammoniti: Cannavaro, Magnanelli, Duncan (S); Murillo, Juan Jesus, Telles, Brozovic (I). Espulsi: 15’ st Murillo (I) per doppia ammonizione. Spettatori: 14.213.

36 reti: Higuaín (Napoli, 3 rig.) 19 reti: Dybala (Juventus, 6 rig.) 18 reti: Bacca (Milan, 2 rig.) 16 reti: Icardi (Inter, 1 rig.) 14 reti: Pavoletti (Genoa); Salah (Roma) 13 reti: Maccarone (Empoli, 1 rig.); Ilicic (Fiorentina, 7 rig.); Eder (12 Sampdoria, 3 rig./1 Inter) 12 reti: Kalinic (Fiorentina); Insigne (Napoli, 2 rig.); Belotti (Torino, 4 rig.) 11 reti: Théréau (Udinese)


serie a 2015-16 / i CALCIATORI SCESI IN CAMPO Atalanta Bassi Bellini Borriello Brivio Carmona Cherubin Cigarini Conti D’Alessandro De Roon Denis* Diamanti Djimsiti Dramè Estigarribia Freuler Gagliardini Gakpé Giorgi* Gomez Grassi* Kurtic Masiello Migliaccio Monachello Moralez* Paletta Pinilla Radunovic Raimondi Sportiello Stendardo* Tolói BOLOGNA Acquafresca Brienza Brighi Constant Crimi* Crisetig Da Costa Destro Diawara Donsah Falco* Ferrari Floccari Gastaldello Giaccherini Krafth Maietta Mancosu* Masina Mbaye Mirante Morleo Mounier Oikonomou Pulgar Rizzo Rossettini Tabacchi Taider Zuculini Zuñiga CARPI Belec Benussi* Bianco Borriello* Brkic Bubnjic* Cofie Colombi Crimi

pr. gol media 1 -3 6 15 1 5,83 15 4 5,96 14 – 5,77 8 – 5,67 14 1 5,83 25 2 6,17 14 2 5,82 23 3 6,03 36 1 6,13 15 4 5,75 16 1 5,93 3 – 5,5 25 – 5,82 4 – – 6 – 6 1 – 6,5 5 – 5,75 1 – – 34 7 6,38 13 – 5,96 32 2 5,81 29 – 5,88 18 – 5,94 10 – 5,67 17 1 6,24 24 1 5,96 20 5 5,84 1 -1 6,5 18 – 5,91 36 -43 6,24 15 1 5,92 24 1 5,74 pr. gol media 6 – 5 29 3 6,04 23 – 5,88 7 – 5,67 1 – 5 5 – 5,3 5 -4 6 27 8 5,81 34 – 5,98 20 2 6,13 9 – 5,63 21 – 5,58 18 2 5,74 26 1 6,13 28 7 6,27 4 – 5,5 19 – 6,11 9 1 5,29 33 2 5,83 15 – 5,57 33 -41 6,24 5 – 6 30 4 5,86 20 – 5,85 13 – 5,77 23 – 5,8 29 3 5,66 1 – – 29 – 5,79 1 – 6 9 – 5,61 pr. gol media 30 -41 6,17 4 -3 5,88 26 1 6,04 12 4 6,42 4 -12 4,88 9 – 5,5 29 – 5,8 1 -1 6 19 – 6,08

Daprelà De Guzman Di Gaudio Fedele Gabriel Silva* Gagliolo Lasagna Lazzari* Letizia Lollo Mancosu Marrone* Martinho Matos* Mbakogu Pasciuti Poli Porcari* Romagnoli Sabelli Spolli* Suagher Verdi Wallace* Wilczek* Zaccardo CHIEVO Birsa Bizzarri Cacciatore Castro Cesar Costa Dainelli Floro Flores Frey Gamberini Gobbi Hetemaj Inglese Mattiello Meggiorini Mpoku Ninkovic Paloschi* Pellissier Pepe Pinzi Radovanovic Rigoni Sardo Seculin Spolli EMPOLI Ariaudo Barba* Bittante Büchel Camporese Cosic Costa Croce Dioussè Krunic Laurini Livaja Maccarone Maiello Mario Rui Martinelli* Mchedlidze Paredes Pelagotti Piu Pucciarelli Pugliesi

2 – 5,5 5 1 6 29 3 6,09 8 – 5,81 16 – 5,83 31 1 5,71 36 5 5,9 8 1 6 35 1 5,95 27 3 5,81 12 1 5,6 9 1 5,83 11 – 5,86 15 2 5,97 24 2 5,92 21 2 6 10 – 5,8 4 – 5,38 30 – 5,88 7 1 6 4 – 5,5 9 – 5,94 8 3 6,42 6 – 5,8 3 – 5,5 27 1 6,11 pr. gol media 35 6 6,03 35 -43 6,27 29 1 5,86 34 3 6,11 31 1 5,92 6 – 6 18 1 5,86 14 1 5,89 19 – 5,64 22 – 5,95 34 – 5,9 28 1 6,04 26 3 5,98 1 – 5 26 5 6,26 20 – 5,69 1 – – 21 8 6,1 19 5 5,86 22 3 6,03 18 – 5,78 26 – 5,88 28 3 5,96 6 1 5,5 3 -2 6,67 10 – 6,15 pr. gol media 5 – 5,8 10 – 5,55 16 – 5,92 28 2 6,04 2 – 4,75 9 – 5,78 24 1 6,07 28 – 6,22 15 – 5,93 15 1 5,89 25 1 5,9 18 1 5,71 37 13 6,19 12 – 5,91 36 – 5,93 1 – 5 13 – 5,56 33 2 6,19 6 -5 6,5 10 – 5,7 38 6 5,99 1 -1 6,5

Ronaldo* Saponara Signorelli* Skorupski Tonelli Zambelli Zielinski FIORENTINA Alonso Astori Babacar Badelj Bernardeschi Blaszczykowski Borja Valero Fernández Gilberto* Ilicic Kalinic Kone Lezzerini Pasqual Rebic* Rodríguez Roncaglia Rossi* Suárez* Tatarusanu Tello Tino Costa Tomovic Vecino Verdù* Zárate FROSINONE Ajeti Bardi Bertoncini* Blanchard Carlini Castillo* Chibsah Ciofani D. Ciofani M. Crivello Diakité* Dionisi Frara Gori Gucher Kragl Leali Longo Paganini Pavlovic Pryima Rosi Russo Sammarco Soddimo Tonev Verde* Zappino GENOA Ansaldi Burdisso Capel Cerci Cissokho* De Maio Dzemaili Fiamozzi Figueiras* Gabriel Silva Gakpé* Izzo

3 – 5,5 33 5 6,23 1 – 5 31 -43 6,13 26 2 6,13 19 – 5,79 35 5 6,17 pr. gol media 31 3 5,98 33 – 5,89 18 5 5,79 27 1 6,06 33 2 6,11 15 2 5,82 37 4 6,42 22 1 5,84 5 – 5,63 30 13 6,37 36 12 6,16 1 – – 2 -3 6 17 – 5,93 4 1 6 35 4 6,1 29 1 5,67 11 – 5,78 9 1 5,94 37 -39 6,05 15 2 6,1 7 – 5,4 24 – 5,75 30 2 6,03 5 1 6 15 3 5,96 pr. gol media 16 1 5,8 2 -3 6,75 5 – 5,5 28 3 5,71 14 – 5,82 6 – 5,7 22 – 5,87 37 9 5,94 18 – 5,66 17 – 5,32 18 1 5,67 32 9 6,16 20 2 5,97 28 – 5,91 24 – 5,61 15 1 5,88 33 -59 6,12 18 – 5,43 27 2 5,94 22 – 5,68 5 – 5,75 27 – 5,74 10 1 5,8 28 4 6,04 28 1 5,82 22 – 5,69 6 – 6,17 4 -14 5,63 pr. gol media 24 – 6,23 28 – 5,94 21 – 5,64 11 4 5,95 13 – 5,91 28 1 5,78 27 3 5,92 8 – 5,93 9 1 5,78 11 – 5,75 13 3 6,05 33 – 5,92

Kucka* Lamanna Laxalt Lazovic Marchese Matavz Muñoz Ntcham Pandev Panico Pavoletti Perin Perotti* Rigoni Rincón Suso Tachtsidis Tino Costa* INTER Biabiany Brozovic Carrizo D’Ambrosio Della Giovanna Eder Felipe Melo Gnoukouri Guarín* Handanovic Hernanes* Icardi Jovetic Juan Jesus Kondogbia Ljajic Manaj Medel Miranda Montoya* Murillo Nagatomo Palacio Perisic Radu Ranocchia* Santon Telles JUVENTUS Alex Sandro Asamoah Barzagli Bonucci Buffon Cáceres Chiellini Coman* Cuadrado Dybala Evrà Favilli Hernanes Isla* Khedira Lemina Lichtsteiner Llorente* Mandzukic Marchisio Morata Neto Padoin Pereyra Pogba Rugani Sturaro Zaza

1 – 6 13 -18 6,23 35 3 6,1 15 – 5,62 11 – 5,73 7 – 5,5 18 – 5,79 17 – 5,88 15 – 5,54 1 – – 25 12 6,18 25 -30 6,24 16 2 6,03 18 3 6,03 33 4 6,29 19 6 5,95 24 2 5,9 12 – 6,04 pr. gol media 20 1 6 32 4 5,93 2 -4 5,75 20 2 5,83 1 – – 14 1 5,5 26 1 5,86 2 – 5 16 1 5,58 36 -34 6,43 2 – 6 33 16 6,06 26 6 6 19 – 5,59 26 1 5,82 25 3 6,05 4 – 6 30 1 6,02 32 1 6,08 3 – 5,33 34 2 5,79 22 – 5,57 27 2 6,05 34 7 5,98 1 - 6 10 – 5,9 12 – 5,75 21 – 5,78 pr. gol media 22 2 6,38 11 – 6,14 31 1 6,4 36 3 6,14 35 -17 6,39 6 – 5,83 24 1 6,17 1 – 5,5 28 4 6,38 34 19 6,74 26 2 6,04 1 – – 14 1 5,68 1 – 5 20 5 6,37 10 2 6,1 26 – 6,04 1 – – 27 10 6,37 23 – 6,23 34 7 6,05 3 -3 5,83 12 1 5,69 13 – 5,73 35 8 6,4 17 – 6,19 19 1 5,74 19 5 5,97

Calcio 2OOO

95


serie a 2015-16 / i CALCIATORI SCESI IN CAMPO LAZIO Basta Berisha Biglia Bisevac Braafheid Candreva Cataldi De Vrij Djordjevic Felipe Anderson Gentiletti Hoedt Keita Kishna Klose Konko Lulic Marchetti Matri Mauri Mauricio Milinkovic-Savic Morrison Onazi Parolo Patric Radu MILAN Abate Abbiati Alex Antonelli Bacca Balotelli Bertolacci Boateng Bonaventura Calabria Cerci* De Jong* De Sciglio Diego López Donnarumma Ely Honda Kucka Locatelli Luiz Adriano Mauri Menez Mexès Montolivo Niang Nocerino* Poli Romagnoli Suso* Zapata NAPOLI Albiol Allan Callejón Chalobah Chiriches David López El Kaddouri Gabbiadini Gabriel Ghoulam Hamsik Higuaín Hysaj Insigne Jorginho Koulibaly

96

Calcio 2OOO

pr. gol media 23 – 5,66 11 -13 5,95 27 4 6,07 11 1 5,55 5 – 5,4 30 10 5,95 20 1 5,58 2 – 5,25 27 3 5,4 35 7 5,63 19 – 5,53 25 – 5,52 31 4 6,31 11 2 5,72 24 7 6,02 18 – 6 30 3 5,68 29 -39 6,07 19 4 5,62 12 1 5,75 24 – 5,54 25 1 5,93 4 – 5 15 1 5,73 31 3 5,73 9 – 5,5 13 – 5,65 pr. gol media 27 1 5,94 1 - 7 25 3 5,88 28 3 5,89 38 18 5,74 20 1 5,7 27 1 5,56 11 1 5,7 33 6 6,26 6 – 6 13 – 5,65 5 – 5,1 22 – 5,45 8 -14 5,81 30 -29 6,2 3 – 4,67 30 1 5,69 29 1 5,93 2 – 5 26 4 5,52 5 – 6 10 2 5,38 5 1 5,7 31 – 5,77 16 5 6,03 2 – 5 18 – 5,68 34 – 5,75 1 – 4,5 16 1 5,63 pr. gol media 36 1 6,07 35 3 6,3 38 6 6,15 5 – – 8 1 6 25 1 6 20 2 5,88 23 5 5,96 1 -3 5 34 – 6 38 6 6,33 35 36 6,86 37 – 5,95 37 12 6,29 35 – 6,2 33 – 6,2

Maggio Mertens Regini Reina Strinic Valdifiori PALERMO Alastra Andelkovic Balogh Bentivegna Brugman Chochev Cionek Colombi* Cristante Daprelà* Djurdjevic El Kaoutari* Gilardino Goldaniga González Hiljemark Jajalo La Gumina Lazaar Maresca Morganella Pezzella Posavec Quaison Rigoni* Rispoli Sorrentino Struna Trajkovski Vazquez Vitiello ROMA Castan De Rossi De Sanctis Di Livio Digne Dzeko El Shaarawy Emerson Florenzi Gervinho* Gyömber Iago Falqué Ibarbo* Iturbe* Keita Ljajic* Maicon Manolas Nainggolan Perotti Pjanic Rüdiger Sadiq Salah Strootman Szczesny Torosidis Totti Tumminello Uçan Vainqueur Zukanovic SAMPDORIA Álvarez Barreto Bonazzoli* Brignoli

8 – 5,5 33 5 6,15 1 – 6 37 -29 6,12 5 – 5,88 6 – 5,33 pr. gol media 2 -6 6 23 – 5,57 4 – 5 1 – – 14 – 5,58 27 – 5,43 5 – 6,3 1 -1 6 4 – 5,75 5 – 6 14 2 5,58 7 1 5,79 33 10 5,91 17 2 5,57 35 2 5,69 38 4 5,74 28 – 5,56 3 – 5,75 30 1 5,52 15 1 5,92 14 – 5,57 9 – 5,63 1 - 7 30 1 5,76 10 1 5,83 22 – 5,89 35 -58 6,39 22 1 5,34 32 3 5,68 36 8 6,06 10 – 5,44 pr. gol media 5 – 5,1 24 1 5,93 4 -7 6,13 1 – 6 33 3 6,06 31 8 5,8 16 8 6,38 8 1 5,88 33 7 6,05 14 6 6,29 6 – 6 22 2 5,67 2 – – 12 1 5,33 20 1 5,95 1 – – 15 1 5,87 37 2 6,14 35 6 6,27 15 3 6,47 33 10 6,36 30 2 5,87 6 2 6 34 14 6,12 5 – 6,13 34 -34 6,24 11 – 5,5 13 5 6,42 1 – – 3 – 6 16 – 6,04 9 – 5,93 pr. gol media 13 1 5,62 30 – 5,77 4 – 6 1 -5 6

Carbonero 14 – 6,04 Cassani 25 – 5,69 Cassano 24 2 6,02 Christodoulopoulos 10 1 5,69 Coda* 4 – 5,75 Correa 25 3 5,64 De Silvestri 17 – 5,91 Diakité 8 1 5,81 Dodô 17 – 5,62 Eder* 19 12 6,32 Fernando 35 4 6 Ivan 21 1 5,94 Krsticic 10 – 5,31 Mesbah 7 – 5,57 Moisander 22 – 5,53 Muriel 32 6 5,91 Palombo 7 – 5,71 Pedro Pereira 9 – 5,67 Ponce 1 – – Quagliarella 16 3 6,17 Ranocchia 14 – 5,65 Regini* 14 – 5,39 Rocca* 1 – 6 Rodriguez 6 – – Sala 5 – 5,38 Silvestre 25 – 5,62 Skriniar 3 – 5,25 Soriano 37 8 6,01 Viviano 37 -56 6,2 Wszolek* 2 – – Zukanovic* 16 3 5,69 SASSUOLO pr. gol media Acerbi 36 4 6,22 Adjapong 2 – 6 Antei 5 – 5,7 Ariaudo* 4 – 5,83 Berardi 29 7 6,07 Biondini 22 – 6,03 Cannavaro 31 – 5,95 Consigli 37 -38 6,16 Defrel 33 7 5,9 Duncan 33 1 6,23 Falcinelli 26 2 5,77 Floccari* 7 4 6,43 Floro Flores* 14 3 6,29 Gazzola 9 – 6 Laribi 11 – 5,94 Longhi 6 – 5,92 Magnanelli 34 1 6,22 Missiroli 24 2 6,36 Pegolo 2 -2 6,25 Pellegrini 19 3 6,09 Peluso 34 1 5,79 Politano 28 5 6,11 Sansone 37 7 6,18 Terranova 6 – 6 Trotta 8 1 5,6 Vrsaljko 35 – 6 TORINO pr. gol media Acquah 29 2 5,91 Amauri 1 – – Avelar 6 – 6,1 Baselli 35 4 5,92 Belotti 35 12 6,03 Benassi 32 3 6,02 Bovo 21 2 5,93 Bruno Peres 31 3 6,11 Edera 2 – – Farnerud 5 – 5,5 Gastón Silva 12 – 5,79 Gazzi 15 – 5,69 Glik 33 – 5,85 Ichazo 3 -5 5,67 Immobile 14 5 6,19 Jansson 7 1 5,93 Maksimovic 16 – 5,75

Martínez Maxi López Molinaro Moretti Obi Padelli Prcic* Quagliarella* Vives Zappacosta UDINESE Adnan Aguirre* Armero Badu Bruno Fernandes Danilo Di Natale Domizzi Edenilson Felipe Guilherme Hallfredsson Heurtaux Iturra* Karnezis Kone* Kuzmanovic Lodi Marquinho* Matos Merkel Pasquale Perica Piris Théréau Wagué Widmer Zapata VERONA Albertazzi Bianchetti Checchin Coppola Emanuelson Fares Furman Gilberto Gollini Gomez Greco Hallfredsson* Helander Ionita Jankovic Marquez* Marrone Matuzalem* Moras Pazzini Pisano Rafael* Rebic Romulo Sala* Samir Siligardi Souprayen Toni Viviani Wszolek Zaccagni*

21 3 5,47 26 4 5,9 27 1 5,85 35 1 5,91 10 1 5,63 35 -50 5,95 2 – – 16 5 5,94 33 1 5,9 25 1 5,91 pr. gol media 28 1 5,67 10 – 5,63 5 1 6 33 4 5,98 31 3 5,9 34 – 5,81 23 2 5,93 5 – 5 29 – 5,57 26 1 5,94 5 – 5,6 11 – 5,78 15 – 5,71 17 – 5,6 38 -60 6,12 5 – 5,63 16 – 6 24 1 5,98 11 – 5,64 11 – 5,65 1 – 5 6 – 6 11 2 5,65 27 – 5,68 36 11 5,99 21 – 5,68 27 – 6,1 25 8 5,85 pr. gol media 10 – 5,7 23 1 5,62 4 – 6 1 -1 6 11 – 5,77 11 – 5,63 1 – 6 5 – 6,1 26 -44 6,21 33 1 5,73 26 1 5,84 16 – 5,94 24 2 5,75 31 4 5,95 15 1 5,5 9 – 5,5 12 – 5,92 7 – 5,5 31 1 5,9 30 6 5,93 34 5 5,78 12 -18 5,83 10 – 5,5 9 – 5,86 18 – 5,67 3 1 5,83 28 2 5,88 20 – 5,65 23 6 5,91 19 3 6,05 26 – 5,76 3 – 6

* = calciatore trasferito a stagione in corso



scovate da

CARLETT

LAVEZZI Un vero backstage. Al termine del match, l'ex campione di Napoli e PSG fotografa i compagni di squadra già alle prese con messaggi e social network.

PINILLA Grande Coppa America per il Cile, qui nello spogliatoio dopo l'ennesima vittoria della squadra.

BONUCCI La sua felicità, sia per l'ottimo europeo, che per il lancio millimetrico per il goal di Giaccherini contro il Belgio, e anche soprattutto per la sorpresa in ritiro della moglie Martina.

BALE Si riprende dalle fatiche post partita con il Galles agli Europei di Francia il campione del Real Madrid, Mister 100 Milioni di euro Gareth Bale.

COLOMBIA

PELLÉ

Non bene invece la Coppa America per la Colombia, qui selfie con tra gli altri, Cuadrado, James Rodriguez, Zapata e Bacca.

Libera uscita dopo le prima due partite dell'europeo per gli attaccanti El Shaarawy e Pellé.

SERGIO RAMOS

NAZIONALE

Foto di famiglia nel ritiro della nazionale per il campione spagnolo e del Real Madrid Sergio Ramos.

98

www.carlettoweb.com

Calcio 2OOO

Bellissima foto della nostra Nazionale in pullman dopo la vittoria contro la Svezia di Ibrahimovic.

Il DJ/Speaker di RTL 102.5 Carlo CARLETTO Nicoletti seguirà i profili Instagram e Twitter dei giocatori più importanti del pianeta Calcio e ci segnalerà le foto e i tweet più divertenti e particolari. Segnalate quelle che magari potrebbero sfuggirgli scrivendogli al suo profilo Instagram e Twitter: @carlettoweb


schiacciatore

1

YTSEV ) N ZA IVA-198 8 Spoleto (PG

202

100

trampolino 3m, Trampolino 3m sincro

2-10

GNOT A CA TANI985 Bolzano

TO

160

54

15-5-1

Ciclismo su Pista

Giochi della XXXI Olimpiad e

www.panini.it



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