Calcio
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L’ALFABETO DEI BIDONI
RENATO PORTALUPPI
“RE DI ROMA... BY NIGHT”
2OOO La rivista diretta da FABRIZIO PONCIROLI
Speciale TALENTO & ALCOL 9 CAMPIONI PERSI NEL BERE
EDIZIONE SPECIALE CON LE FIGURINE FIFA 365
Giganti del Calcio ALDO SERENA L’UOMO DEI DERBY
Speciale IL GRANDE MILAN L’EPOPEA DEGLI IMBATTIBILI
Storie incredibili L’IMPRESA DI TITTYSHEV IL TIFOSO IN CAMPO…
REPORTAGE REAL MADRID
A CASA DEI BLANCOS
ESCLUSIVE CALABRIA - CAPRARI IL NUOVO CHE AVANZA
foto Imago/Image Sport
N. 225 - DICEMBRE 2016 - GENNAIO 2017
SPECIALE REAL MADRID
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Calcio
Bimestrale | DICEMBRE 2016-GENNAIO 2017 | N. 225 | Italia | Euro 3,90
sommario n.225
Anno 19 n. 9 DICEMBRE 2016-GENNAIO 2017 issn 1126-1056
4 LA BOCCA DEL LEONE
di Fabrizio Ponciroli
6 GIANLUCA CaPRARI INTERVISTA ESCLUSIVA di Thomas Saccani 14 GIOVANI ALL’ESTERO SPECIALE di Sergio Stanco 20 DAVIDE CaLABRIA INTERVISTA ESCLUSIVA di Fabrizio Ponciroli 26 IL MILAN DEI GIOVANI SPECIALE di Sergio Stanco 30 DEVASTATI DALL’ALCOL STORIE DI CALCIO di Fabrizio Ponciroli 36 CALCIOMERCATO 2.0 SPECIALE di Sergio Stanco 44 UNA PARTITA A MADRID REPORTAGE di Fabrizio Ponciroli 50 MAGLIE REAL MADRID SPECIALE di Gianfranco Giordano 58 ALDO SERENA I GIGANTI DEL CALCIO di Francesca Fontana 68 DERBY DELLA MOLE SPECIALE di Luca Gandini 76 IL MILAN dei record RECORD INVINCIBILI di Thomas Saccani 80 IL BULGARO STORIE INCREDIBILI di Tommaso De Paoli 84 SANDRO TOVALIERI
Registrazione al Tribunale di Milano n.362 del 21/06/1997 - Iscritto al Registro Operatori di Comunicazione al n. 18246
DOVE SONO FINITI?
EDITORE
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TC&C srl Strada Setteponti Levante 114 52028 Terranuova Bracciolini (AR) Tel +39 055 9172741 Fax +39 055 9170872
DIRETTORE RESPONSABILE Michele Criscitiello
Diretto da
Fabrizio Ponciroli
Redazione
44
50
Marco Conterio, Luca Bargellini, Gaetano Mocciaro, Chiara Biondini, Simone Bernabei, Lorenzo Marucci, Pietro Lazzerini, Tommaso Maschio, Lorenzo Di Benedetto.
Hanno collaborato
Thomas Saccani, Sergio Stanco, Francesco Fontana, Luca Gandini, Tommaso De Paoli, Tania Esposito, Pierfrancesco Trocchi, Gianfranco Giordano, Carletto RTL.
Fotografie
20
Image Photo Agency (imagephotoagency.it), Agenzia Aldo Liverani, Federico De Luca.
Realizzazione Grafica TC&C S.r.l.
Statistiche
Redazione Calcio2000
Contatti per la pubblicità: e-mail: media@calcio2000.it
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di Pierfrancesco Trocchi
88 ReNATO PORTALUPPI L’ALFABETO DEI BIDONI di Fabrizio Ponciroli 92 JUVENTUS-NAPOLI 86/87
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PARTITE DA RICORDARE di Luca Gandini
98 SCOVATE da CARLETTO RTL
14 NUMERO CHIUSO IL 31 OTTOBRE 2016
IL PROSSIMO NUMERO sarà in edicola il 10 FEBBRAIO 2017
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L'EDITORIALE di Fabrizio PONCIROLI
direttore@calcio2000.it
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rmai siamo abituati ad una copertura televisiva totale. in ogni suo frame. Siamo abituati al calcio “virtuale”, quello che si segue seduti, comodamente, in poltrona. Eppure, il fascino del “live” è unico. Numero particolare quello che abbiamo deciso di offrirvi. Si è deciso di “viaggiare” per raccontare cosa significa “vivere di calcio”. Si è scelto Madrid e, di conseguenza, il Bernabeu… Un luogo magico, unico, da provare in prima persona. Il Real Madrid, appunto, con la sua storia e la grande passione che contraddistingue il popolo blanco. Il messaggio è il seguente: non demonizziamo lo stadio, non pensiamo che sia “obsoleto e fuori moda”. Chiaro, le spese da sostenere per una partita “live” sono decisamente più elevate rispetto ai costi televisivi ma, una volta all’anno, l’idea di seguire un match dal vivo può essere stuzzicante, ancor di più se si decide di uscire dai confini nazionali. A chi, invece, continua a frequentare lo stadio, vanno i nostri complimenti per la resistenza e l’invito a proseguire… Ma non ci siamo fermati qui. La nostra Serie A, dopo anni di pura esterofilia, sembra, forse a causa della crisi economica che si sta abbattendo sul calcio di casa nostra, aver riscoperto il potere del Made in Italy. Sono sempre di più i giovani di casa nostra che, con notevole determinazione, stanno trovando spazio nel massimo campionato italiano e non per forza in squadra di seconda fascia. Abbiamo incontrato Calabria, scoprendo un ragazzo con IN tantaTUTTE umiltà e voglia fare. Siamo anche certi LEdiEDICOLE! che, se gli verrà data l’occasione giusta, Caprari saprà, anche a Milano, sponda Inter, dimostrare il suo valore. Insomma, qualcosa si sta muovendo, finalmente ci viene da aggiungere… Non ce ne voglia nessuno, ma leggere sempre più nomi italiani nelle distinte pre match ci fa gonfiare il petto. L’impressione è che tanti dirigenti sportivi abbiano capito, sulla propria pelle, che “costruirsi” un campioncino in casa è sì più difficile (rispetto a comprare uno straniero potenzialmente già pronto) ma, alla lunga, porta vantaggi enormi. Il Milan di Montella ne è la conferma assoluta ma potremmo citare anche il Sassuolo o il Pescara… Grazie ai giovani provenienti dal proprio vivaio, per restare sul Diavolo, sta rinascendo uno zoccolo duro italiano che fa ben sperare per il futuro… Insomma, la fiducia cresce e, di conseguenza, anche le possibilità di vedere una Nazionale sempre più qualitativa. I Mondiali sono dietro l’angolo, non illudiamoci di avere tanto tempo. Chiudo con un pensiero personale: grazie a tutti voi che continuate a seguirci. Noto che la nuova impostazione piace… faremo ancora meglio, ve lo garantisco. È arrivata la nuova collezione PANINI Ogni azione di calcioSticker viene Collection vivisezionata FIFA 365 2017 Official
FC Bay ern Mün chen
1988
N. 225 - DICEMBRE 2016 - GENNAIO 2017
LA MAGIA DELLO STADIO
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2014 Rober t LE WAND OWSK I
Bimestrale | DICEMBRE 2016-GENNAIO 2017 | N. 225 | Italia | Euro 3,90
2008
EDIZIONE SPECIALE CON LE FIGURINE FIFA 365
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Gareth BALE
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REPORTAGE REAL MADRID
A CASA DEI BLANCOS
LA G SE 2016
ESCLUSIVE CALABRIA - CAPRARI IL NUOVO CHE AVANZA
“CON LE 2 AGGIOR
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2003
1984
SPECIALE REAL MADRID
nal co Nacio Atléti
23/09/16 11:10
“Non dirmi quanti anni hai, o quanto sei educato e colto, dimmi dove hai viaggiato e che cosa sai.”
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LA BOCCA DEL LEONE di Fabrizio Ponciroli - foto Image Sport INTER E LA QUESTIONE DIFESA Buongiorno, la difesa? Con questi interpreti? Tolto Miranda ed Handa, lasciamo perdere. Do una possibilità ad Ansaldi, ma certo che provenendo dal Genoa e non che so dal Real per stare in tema del suo editoriale, qualche dubbio me lo lascia pure lui. Come sempre nel calcio la base sono la qualità degli interpreti, italiani o stranieri che siano, che devono essere pronti, soprattutto quando si parla di Juve, Milan ed Inter, perché queste devono giocare per vincere, le chiocce lasciamole fare a squadre di seconda fascia. Il Milan di cui lei parla, se avesse ancora la situazione di certi periodi vincenti della sua storia, avrebbe in campo grandi giocatori, di qualsiasi nazionalità potesse servire. La mania di dire italiani, mi consenta senza offesa alcuna, mi sembra un parlare del tempo che è stato, il mondo ormai è globale, anzi sa, a parità di capacità pedatoria, preferisco avere uno che mi fa fare merchandising nel mondo, che un italiano che non mi fa vendere nulla od al massimo qualche maglietta taroccata a Napoli. Il suo collega di Tuttojuve, Massimo Pavan, ha dichiarato che il 90% del merchandising venduto in Italia è falso…
Andrea, mail firmata Ciao Andrea, come promesso ti rispondo via Calcio2000… Concordo su “qualità difesa Inter”. Tolto Miranda e il povero Handanovic, non c’è nessuno all’altezza. Ansaldi può diventare un elemento prezioso ma va educato. Sul Made in Italy la vediamo in maniera diversa. Credo che, se avessero la possibilità di giocare, tanti italiani meriterebbero di certo di stare in una squadra nata per vincere. Pensi a Romagnoli. All’Inter al posto di Murillo o Ranocchia come lo vedrebbe? Secondo me alla grande, no? Questione merchandising. Credo che sia sempre una questione di prospettive. Totti è italiano, eppure la sua maglia la si vende anche in Cina… Certo, prima bisogna diventare come Totti… A presto. BELL’ARTICOLO Direttore, finalmente mi ha stupito. Ho letto il suo articolo sul calcio cinese e mi è piaciuto molto. Questo è il genere di articoli che deve fare sempre. Del giocatore che dice sempre le stesse banalità non interessa a nessuno. Invece quando c’è da scoprire qualcosa di nuovo, ecco che allora Calcio2000 torna interessante.
Mi auguro di vedere altri articoli come quello sulla Cina. Complimenti Mauro, mail firmata Bene, ne sono felice… Spero che su questo numero troverà altro di suo gradimento, magari il reportage del mio viaggio a Madrid… Diciamo che stiamo cercando di offrire qualcosa di diverso, unico, difficilmente “recuperabile” sulla rete… SI SBAGLIA SU BALOTELLI Egregio Ponciroli, la seguo con interesse sia in radio che su TMW. Si sbaglia di grosso su Balotelli. Se è nell’ambiente giusto è ancora un grandissimo giocatore. Si ricordi che ha solo 26 anni e che ha ancora almeno 6/8 anni da giocarsi. E poi non tutti maturano in fretta, c’è chi ci mette più tempo, come sta accadendo a Balotelli. Siete voi giornalisti che, spesso, gli impedite di crescere, criticandolo alla prima partita sbagliata e dandogli del fallito. Germano, mail firmata Caro Germano, il calcio è bello perché permette ad ognuno di avere la propria, personale, opinione. Io resto convinto che Balotelli non sia un fuoriclasse e non lo sarà mai. Non credo
SPECIALE CALCIO CINA
SPECIALE / CALCIO CINA
IL POTERE CINESE
Il calcio ha sempre più gli occhi a mandorla
Samir Handanovic
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La CINA nel PALLONE
Milioni di euro poMpati nell’industria calcio. Follia collettiva o lungiMirante strategia? di Fabrizio PONCIROLI foto Agenzia Liverani
MARIO BALOTELLI Calcio 2OOO
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PER SCRIVERCI: media@calcio2000.it
sia una questione di maturità ma di fisico e mentalità. Si è irrobustito molto, ha perso lo scatto dei bei tempi. Può fare la differenza ma in campionati non top, come quello francese appunto. I media sono croce e delizia di ogni sportivo. Un giorno sei il migliore, l’altro il più scarso. Vale anche con Balotelli, è sempre stato così e sarà sempre così. SE LO RICORDA TRIFUNOVIC? Direttore, lo confesso, compro il suo giornale solo per le storie sui bidoni del calcio. Mi fanno gioire e mi riempiono il cuore di nostalgia. Quegli anni ’80 erano uno spasso, almeno per me che ho 44 anni e li ho vissuti in prima persona. Spero che mi regalerà anche qualche chicca su Trifunovic,, se lo ricorda? Ecco, quando ero giovane, per me lui era un idolo assoluto, anche se spesso lo criticavano pesantemente. Spero farà giustizia Direttore Sandro, mail firmata Come posso non ricordarmi di Aleksandar Trifunovic? Ex Partizan, all’Ascoli dal 1983 al 1987… Guarda, in particolare ricordo alla perfezione la sua caricatura sull’album Panini 1983/84
(uno dei più belli della storia). Era ritratto mentre realizzava una splendida rovesciata… Ricordo che il suo compagno era Juary (due stranieri per squadra, che ricordi…). Comunque non ci sono dubbi, parlerò anche di Trifunovic… STORIA CHAMPIONS Salve, ho notato con dispiacere che nell'ultimo numero di calcio2000 non avete pubblicato la rubrica 'Storia della Champions League' come ogni mese. Era interessante... Vincenzo, mail firmata Ciao Vincenzo, tranquillo… Tornerà, sai che non amo lasciare le cose a metà. Solo questione di priorità… CHE BELL’INIZIATIVA… Torna il Cappello del Tifoso, ancor più accattivante e "sportivo"... Gustati la tua squadra del cuore con la qualità Icam... Juventus, Milan, Inter, Lazio, Roma, Fiorentina, Torino, Sampdoria e Genoa (le genovesi sono due novità assolute) per un prodotto da vero tifoso... Il tutto con un nuovo super concorso "Selfie e Vinci", con premi davvero super... Non dimenticarti anche delle Calze del Tifoso,
sempre nel segno di Icam... LO SPETTACOLO DI FIFA 365!!! Il top del calcio mondiale in 672 figurine: dal Barcellona al Peñarol, passando per Inter, Juve, Roma e Milan Impossibile non averla e, soprattutto completarla… Fifa 365, la collezione di figurine per i veri appassionati di calcio!!! Ben 672 figurine per avere tra le mani il meglio del calcio mondiale… Una raccolta, in perfetto stile Panini, pensata per coloro che non possono stare lontano dal pallone… Tutti i top team planetari in un’unica, imperdibile raccolta. Dal Real Madrid al Colo Colo, passando per le italiane Juventus, Inter, Milan e Roma. Ben 40 squadre, tutte trattate allo stesso modo, da top team appunto… Dalle leggendarie squadre del Flamengo e del Boca Juniors alle curiose rappresentative dell’Al Ahly e del Melbourne. Insomma, il calcio più bello del mondo in formato figurina!!! Tante le sezioni speciali, alcune decisamente intriganti come la doppia pagina dedicata ai Goal Machines o quella dei Golden Winners. Un super formato per un super album… Da non perdere!!!
Gonzalo Higuaín
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INTERVISTA GIANLUCA CAPRARI
A PROPOSITO DI
GIANLUCA
Caprari è diventato grande a Pescara… Ha ancora tanto da fare in Abruzzo, prima di trasferirsi a Milano
di Thomas SACCANI foto Archivio TC&C
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TALENTO SUPERBO
foto Agenzia Liverani
A Pescara è diventato un grandissimo giocatore
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INTERVISTA / gianluca CAPRARI
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l nome di Gianluca Caprari gira, nell’elite del mondo calcio, da anni. Un bel vanto se consideriamo che parliamo di un classe 1993. A poco più di 23 anni, Caprari è già un “veterano” del nostro calcio. Merito, soprattutto, del Pescara, la società che gli ha permesso di consacrarsi in Serie A, aprendogli le porte dell’Inter… Lo abbiamo incontrato, per saperne di più di questo ragazzo che, da sempre, vive di calcio… Gianluca, apriamo il libro dei ricordi… Primi calci al pallone con tuo padre a farti da allenatore… “Sì, ho cominciato a giocare a calcio da bambino. Frequentavo l’Oratorio Del Borgo Don Bosco, lì ho dato i primi calci ad un pallone. Poi ho avuto mio padre, per qualche anno, come allenatore”.
foto Image Sport
Immagino che ti avrà seguito in
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maniera particolare… “(Ride, ndr) No, no, tutt’altro… Con me, proprio perché ero suo figlio, era molto più severo rispetto agli altri compagni di squadra. Non mi coccolava per nulla, anzi…”.
Andavo al campo prima di tutti gli altri e ci restavo molto di più rispetto ai miei compagni. Nei giorni liberi, giocavo sempre a calcio. Ho sempre saputo che sarebbe stata la mia vita, me lo sentivo”.
Hai sempre giocato nel ruolo di attaccante? “Guarda, a dire il vero ho provato anche a fare il centrocampista centrale ma, in realtà, ho sempre fatto l’attaccante. È sempre stato il mio ruolo, quello che avevo in testa”.
Non ancora 18enne, ecco il debutto, con la Roma, in Champions League, contro lo Shakhtar Donetsk. “Esordire in Champions League è qualcosa di incredibile. Sentire quella musichetta, giocare all’Olimpico. Peccato solo che quella partita non andò bene per la Roma (0-3 il finale, ndr) ma per me è stato un momento indimenticabile. È successo tutto in fretta, non sapevo che avrei giocato. Erano mesi che mi allenavo poi Montella mi ha buttato dentro…”.
Chi erano i tuoi idoli da piccolo? Sempre voluto fare l’attaccante? “Ho sempre guardato, con ammirazione, ai vari Del Piero, Totti e Zidane, tutta gente abile con il pallone”. Quando hai capito che avevi i numeri per diventare un giocatore professionista? “Io ho sempre vissuto di calcio.
Che mi dici di Montella, ora avversario sulla panchina del
INTERVISTA / gianluca CAPRARI
Soprattutto nei giovani italiani, fatto insolito in Italia dove gli stranieri vanno per la maggiore… “Credo che bisognerebbe dare più fiducia ai giovani italiani. Ce ne sono tanti di forti, lo dimostrano quelli che giocano al Milan o al Sassuolo e qui al Pescara. Spesso si ha paura di bruciare i giovani italiani ma basta dargli la giusta fiducia per farli rendere al meglio. Non ho nulla contro gli stranieri ma sarebbe bello che sempre più giovani italiani avessero spazio in campo”. Parliamo del Pescara… Nel gen-
“” Ho sempre guardato, con ammirazione, ai vari Del Piero, Totti e Zidane, tutta gente abile con il pallone naio del 2012, lasci Roma e vai da Zeman… “Non è stata una decisione facile. A Roma c’era Luis Enrique che non voleva lasciarmi andare. Mi continuava a ripetere che avrei avuto il mio spazio ma, a 18 anni, io avevo voglia di essere protagonista e, poi, c’era un grande come Zeman che mi voleva a tutti i costi. Così, insieme al mio procuratore, alla fine ho accettato”. Insomma, sei andato a Pescara per Zeman, corretto? “Ha inciso moltissimo sulla mia
decisione. Mi ha voluto fortemente e, per me, è importante sentire la fiducia del mister”. Mi dici le prime parole che ti ha detto quando sei arrivato a Pescara? “Guarda, al mio primo giorno al Pescara avevo 40 di febbre… Mi ha visto negli spogliatoio messo male e mi ha detto: ‘Vai a casa’… Queste sono state le sue prime parole”. Che tipo era il boemo con voi ragazzi terribili del Pescara? “Esternamente poteva sembrare un tipo duro o chiuso ma, con noi,
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Milan? “Grande mister, mi ha aiutato tanto. Con lui mi sono sempre trovato benissimo, è uno che ti dice le cose che pensa, in faccia. E poi, come sta dimostrando al Milan, è uno che crede nei giovani”.
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UN GRAZIE AD ODDO
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Caprari deve molto al tecnico dei biancazzurri
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INTERVISTA / gianluca CAPRARI
rideva e scherzava. Faceva delle smorfie pazzesche, un grande personaggio e, ovviamente, un grande allenatore”. Bene con il Pescara, ma poi ritorni ancora alla Roma…. “Non è stata una decisione felice. Pensavo di essere pronto, che fosse arrivato il mio tempo ma trovare spazio a Roma è difficile…”. Per fortuna, dopo soli sei mesi, sei nuovamente a Pescara… “Ci ho messo un po’ ad affermarmi. Ci sono stati dei fischi anche per me ma poi, con il passare del tempo, sono cresciuto e le cose sono andate sempre meglio”. Merito anche di Oddo? “Senza dubbio. Lui mi ha dato subito tanta fiducia, mi ha fatto giocare con continuità, mi ha fatto
“” Oddo mi ha dato subito tanta fiducia, mi ha fatto giocare con continuità, mi ha fatto sentire importante sentire importante e sono riuscito a ripagarlo nel migliore dei modi. Era il minimo che potessi fare…”. Grazie al Pescara, lo scorso luglio, hai firmato con l’Inter. Ci racconti come è andata? Si dice che ci fossero altre squadre… “È vero, Juve e Napoli mi hanno seguito. Con la Juve sembrava tutto fatto ma poi è saltato l’accordo. L’Inter mi ha voluto fortemente e, quando ho saputo della possibilità di andare a giocare in un club come quello nerazzurro, non ci ho
pensato due volte”. Il prossimo anno non sarà semplice… “Mi sono sempre piaciute le grandi sfide. Anche con il Pescara è stata dura. All’inizio c’erano fischi per me, ora è diverso, quindi ben venga la nuova sfida con l’Inter anche se adesso voglio far bene con la squadra che mi ha fatto crescere, ossia il Pescara”. Tanta gente, grazie al Pescara, è approdata in grandi club. Pen-
LE SCARPE DI GIANLUCA
Per un grande giocatore, è essenziale avere delle super scarpe
Caprari
sa accarezzare la palla come pochi altri… Il merito va, oltre che alle sue dote calcistiche innate, alle scarpe che porta ai piedi, il “mezzo” con cui riesce a fare la differenza sul terreno di gioco. L’asso del Pescara, per rendere al meglio in campo, si affida alle X16+ PURECHAOS, ovviamente griffate adidas. Le X16+ PURECHAOS sono state disegnate per i giocatori che fanno della rapidità il proprio marchio di fabbrica e per coloro che sanno creare il caos in aria avversari, come il biancazzurro Caprari. Le X16+ PURECHAOS sono dotate del PURECUT SOCK SYSTEM che copre i lacci per dare ai calciatori un fit perfetto. La finitura in bianco del NON STOP GRIP (NSG) presenta un design a stella aggiornato, mentre la suola dorata SPRINTFRAME offre stabilità durante i movimenti eseguiti ad alta velocità. Le X16+ PURECHAOS, tanto per fare qualche esempio importante, sono indossate da fuoriclasse assoluti come Gareth Bale del Real Madrid e Luis Suarez, bomber in forza al Barcellona.
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INTERVISTA / Gianluca CAPRARI
L’EPISODIO CON MANCINI Di Thomas Saccani
Caprari faceva la differenza anche da raccattapalle…
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C’
è un divertente racconto che riguarda Gianluca Caprari ma che non ha a che vedere con le sue giocate in campo. Con la maglia della Roma, purtroppo, non è mai riuscito a mostrare il suo talento, eppure c’è una gara in cui è stato decisivo a favore dei giallorossi. Gennaio, stagione 2007/08. La Roma, in casa, sta faticando enormemente ad abbattere il fortino del Palermo. Il punteggio di 0-0 si sblocca al 14’ della ripresa grazie ad una furbata di un raccattapalle che, in fretta e furia, posiziona la palla sul calcio d’angolo, permettendo a Taddei di battere in anticipo e a Mancini di insaccare la palla alle spalle di Fontana. Quel lesto raccattapalle è un ragazzino di 14 anni di nome Gianluca Caprari. A distanza di anni, il ricordo è ancora forte: “Io non ho fatto nulla di speciale, ho solo messo la palla sul calcio d’angolo. È stato bravo Taddei a calciarla bene e Mancini a prenderla di testa, tutti lì. Ricordo che si è sollevato un gran polverone sulla questione ma a me non interessava, non avevo fatto nulla di speciale”. In effetti, il polverone ci fu con il patron del club siciliano Zamparini che arrivò anche a far reclamo per il “contributo” del raccattapalle Caprari, chiedendo pure lo 0-3 a tavolino. Ovviamente non cambiò nulla e la vittoria restò alla Roma, grazie anche al lesto Caprari.
siamo a Verratti, con il quale hai anche giocato… “Sin dai primi allenamenti che abbiamo fatto insieme, ho visto subito che era di un’altra categoria. Tecnicamente era impressionante. Non pensavo arrivasse al top così in fretta, è stato bravissimo”. Fai finta di essere un presidente molto danaroso, tre giocatori che prenderesti nella tua squadra? “È facile. Prenderei Messi, Cristiano Ronaldo e Ibrahimovic”. Torniamo a te. Obiettivo per quest’anno a livello personale e di squadra? “A livello personale punto alla doppia cifra di gol. Invece, come squadra, vogliamo la salvezza, a tutti i costi. Questa città, questi tifosi e la società, tutti se la meritano”. Invece, per lo Scudetto, è già della Juventus? “Mi sembra davvero troppo forte per pensare che qualcuno riesca a metterla in difficoltà. Ha giocatori davvero di qualità superiore, mi sembra impossibile che possa non vincere”. E in Champions?
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INTERVISTA / gianluca CAPRARI
“” A livello personale punto alla doppia cifra di gol. Invece, come squadra, vogliamo la salvezza, a tutti i costi “Per uno come me, che ama il bel gioco, direi Barcellona ma vedo molto bene il Bayern Monaco di Ancelotti”. Ci pensi mai alla Nazionale? “Certo che ci penso, è un mio obiettivo. So che sarà durissima perché ci sono tantissimi grandi giocatori ma io ci proverò giorno dopo giorno a conquistarla”. Parliamo un po’ di te… Oltre al calcio, che sport segui? “Nessuno, io vivo di calcio 24 ore su 24, non penso ad altro”. Quindi ti segui anche le varie trasmissioni televisive e leggi tutti i giornali? “(Ride, ndr) No, no, solo calcio giocato. Guardo un sacco di partite”. Campionato europeo preferito? “La Liga, per il mio modo di gioca-
re, è il torneo che mi affascina di più”. Cinema, come andiamo a film? “Non li guardo, zero direi”. Meglio con i videogame? “Certo, ma di calcio… Gioco a Fifa”. L’hanno prossimo sarai nel gioco con la maglia nerazzurra dell’Inter… “Ci penserò il prossimo anno, ora ho solo il Pescara in mente”. Insomma, come il migliore degli 007, Caprari, prima di pensare alla prossima missione (conquistare il pubblico di San Siro, sponda nerazzurra), vuole concludere la sua avventura in maglia biancazzurra al meglio. C’è una salvezza da conquistare, a suon di gol. Caprari è in missione, lasciatelo lavorare…
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osseti è una punta di talento, cresciuto nel settore giovanile del Siena dove si è messo in luce al punto da attirare l'attenzione della Juve, che lo ha blindato e lo sta facendo crescere sotto la sua ala. Un prestito all'Atalanta con poche, pochissime possibilità di mettersi in mostra, poi una buona stagione in B a Cesena, prima dell'esperienza svizzera. Già, perché Lorenzo è uno dei nostri tanti giovani "obbligati" a cercare fortuna all'estero, perché da noi si spendono tante parole, ma quando il pallone scotta, si punta sull'esperienza. "Kondogbia non è giovane - ha detto di recente De Boer dopo aver sostituito il francese nel primo tempo di Inter-Bologna - a 18 anni sei giovane, non a 23". Questa, forse, è la mentalità che ci manca per fare un passo avanti. All'estero i giovani li lanciano, li sostengono e li difendono. Per questo a 23 anni sono già "adulti". "Perché il Lugano? Perché avevo bisogno di testarmi ad alti livelli e di farlo con continuità". Nella sua genuina innocenza Lorenzo Rosseti spiega così il motivo per il quale è stato "costretto" a emigrare pur di trovare spazio, nonostante sia uno dei migliori prospetti del nostro calcio, nonché un nazionale Under 21. In Italia per lui, però, non c'era spazio. O almeno, forse sì, ma sarebbe dovuto partire ancora dal basso e probabilmente
SPECIALE
GIOVANI ALL'ESTERO
SPECIALE / GIOVANI ALL'ESTERO
di Sergio STANCO foto Agenzia Liverani e @fdlcom
accontentarsi di essere la quarta o quinta scelta. In Svizzera non è così: "Qui puntano sui giovani, l'età media di tutte le squadre è molto più bassa rispetto all'Italia e il livello del campionato è più alto di quanto non si creda. Ci sono tanti ottimi giocatori, non a caso durante le partite le tribune sono piene di osservatori, in particolare la Super League è molto seguita dagli addetti ai lavori della Germania. Anche questo mi ha convinto. All'inizio ero titubante, devo ammetterlo, ma solo perché anche io non conoscevo molto il campionato, poi invece ho parlato con la Juve (proprietaria del suo cartellino, ndr) e con il mio procuratore e ho realizzato che era un'opportunità importante". Il pensiero di restare alla Juve da quinta punta non gli è passato nemmeno dall'anticamera del cervello: "Allenarsi con quei campioni sarebbe stato molto bello, ma il campo l'avrei visto poco e io credo che uno della mia età debba soprattutto giocare. Solo così puoi crescere. Higuain è uno dei miei attaccanti preferiti, e vedere Dybala da vicino è impressionante, poter strappare qualche segreto sarebbe stato un sogno, ma l'esperienza non te la fai negli allenamenti". E, così, il ragazzo che a Siena è cresciuto nel mito di Beckham – “Lo so, non c’entro nulla con lui, ma mi piaceva, che ci posso fare (ride, ndr)?” - ha deciso di varcare il confine. E l'inizio di
Anche i giovani calciatori italiani sono “costretti” ad emigrare in cerca di successo. Tra questi, Lorenzo Rosseti, bomber classe ’94 di proprietà della Juve, questa stagione in prestito al Lugano stagione conferma che la strada intrapresa è quella giusta: "Sì dai, anche se l'avventura è cominciata da poco, devo dire che sono molto soddisfatto di come stiano andando le cose: io sono arrivato un po' dopo, quando il campionato era già cominciato perché ero in tournée con la Juve, ma fin da subito è stato facile ambientarmi e le cose si sono messe bene immediatamente. Ho giocato e segnato con regolarità e la squadra ha iniziato alla grande, andando oltre le più rosee aspettative. Ad essere sinceri, sono stato agevolato dal fatto che qui siamo all'estero per modo di dire, si parla italiano, lo staff è italiano (l'allenatore è Manzo ex centrocampista del Milan degli Anni '80, ndr) e quindi capirsi non è stato difficile. C’è voluta solo un po' di pazienza, perché comunque quando arrivi in un posto nuovo ti devi sempre abituare all'ambiente e ai compagni, ma poi tutto è filato liscio. Probabilmente avessi scelto un altro campionato straniero non sarebbe stata la stessa cosa. In ogni caso, la mia intenzione era quella di fare un'esperienza all'estero, perché ero convinto che a questo punto della mia carriera fosse la scelta giusta, per crescere come giocatore, ma anche come uomo". Talmente convinto al punto da rifiutare offerte importanti: "Sì, ne avevo anche in Italia, alcune anche interessanti, in particolare segue a pag. 19
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foto @FDLCOM
LORENZO IL MAGNIFICO Rosseti è uno degli attaccanti più interessanti in prospettiva e la Juve lo sa benissimo...
LORENZO ROSSETI
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SPECIALE / GIOVANI ALL'ESTERO
Svizzera CHE PASSIONE
SALTO TRIPLO Margiotta l'anno scorso giocava in Lega Pro, oggi è protagonista della Serie A elvetica
La Super League sembra essere l’Eldorado per i giovani talenti, soprattutto quelli sottovalutati dall’Italia. L’esempio più evidente, ancor più eclatante di Rosseti se possibile, è quello di Francesco Margiotta, anche lui attaccante e di proprietà della Juventus. Il classe 1993 da quest’anno è il centravanti del Losanna, club neo promosso in Serie A svizzera che ha deciso di puntare su di lui. E Francesco ha ripagato alla grande, visto che il Losanna è volato in vetta alla classifica (dietro ai marziani del Basilea) anche grazie ai suoi goal. Bene, se chiedete agli addetti ai lavori chi sia Margiotta, forse vi risponderanno “Margiotta chi?”. Normale, visto che la punta piemontese (è nato a Torino e cresciuto nel settore giovanile della Juve che negli anni ne ha sempre mantenuto il controllo) l’anno scorso giocava nel Santarcangelo in Lega Pro. Una stagione discreta, condita da 31 presenze e 9 gol, che non è passata inosservata… in Svizzera, però. Chiaro che la Juve, con Higuain, Dybala, Mandzukic e Pjaca, cercasse una squadra per fargli fare esperienza, è solo strano che – come per Rosseti – questa squadra non l’abbia trovata in Italia…
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foto Marcello Casarotti/TuttoLegaPro.com
Tante opportunità a due passi dal Bel Paese
SPECIALE / GIOVANI ALL'ESTERO
Stranieri che Passione
MALEDETTA ESTEROFILIA Ormai si fa calciomercato anche nei settori giovanili, così i giovani italiani sono costretti ad emigrare
Ci sono storie che meritano di essere raccontate…
"Non vedo che senso abbia giocare nella Lazio Primavera ed essere circondato da stranieri, e non solo, essere trattato pure come una m...., dopo tutti i sacrifici che ho fatto. Finché si tratta di rinunciare agli studi, agli amici, alle ragazze, è tutto accettabile perché ho un sogno, e il mio sogno viene prima di tutto. Ma quando ti senti dire che dopo un crociato rotto non sei sicuro di avere le cure della società perché non hai il contratto, quando non puoi mangiare a Formello nei giorni di doppia seduta perché non hai il contratto, quando non puoi andare in palestra a migliorarti perché non hai il contratto, quando non ti pagano la visita medicoagonistica perché non hai il contratto, ti cascano le p.... e rimangono per terra. E ovviamente gli stranieri hanno il contratto e guadagnano anche tanto...". Questo è lo sfogo pubblicato da Filippo Cardelli, (a questo punto ex) giocatore della Lazio Primavera su Facebook. Uno dei tanti nostri ragazzi che rincorreva un sogno e che ha smesso di farlo. Almeno in Italia: “Non ho mai giocato a calcio per i soldi ma solo per la felicità di far parte di un gruppo di amici che lottano per un obiettivo comune, ho giocato a calcio per il desiderio di poter dire 'ce l'ho fatta, sono arrivato'. La Serie A è piena di stranieri, il calcio degli italiani è morto, e sinceramente se devo essere trattato come uno straniero in patria preferisco andarmene”. Filippo andrà in
America a studiare l’inglese e cercare fortuna: “È vero, negli USA il calcio è anni luce indietro, ma almeno ha un briciolo di dignità, quella che noi abbiamo perso. Il mio discorso non è contro gli stranieri a prescindere, il
problema è che prendono giocatori normali, non fenomeni alla Keita. Se un ragazzo è bravo e viene da fuori son contento, mi aiuta a vincere. Fa la differenza. Ma ora sono troppi, davvero. Non c'è affiatamento". Ai posteri l’ardua sentenza…
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ASPETTANDO LA JUVE Rosseti fa l'apprendista nel Lugano e in Under 21, in attesa che i bianconeri decidano il suo futuro
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SPECIALE / GIOVANI ALL'ESTERO
LORENZO ROSSETI
dalla Serie B, ma visto come erano andate le ultime stagioni, ho preferito venire a Lugano. In Italia si ha poca fiducia nei giovani, la tensione è sempre altissima e non ci è concesso sbagliare. Un allenatore magari punta su di te all'inizio, poi le cose cominciano a mettersi male e finisce per puntare su giocatori più esperti. Qui in Svizzera è molto diverso, lanciare i giovani è il loro pane e quindi è normale trovare maggiore spazio". Che all'estero siano più aperti nei confronti dei ragazzi è un refrain che abbiamo sentito spesso, ma probabilmente qualcosa sta cambiando anche da noi: "Ho visto il Milan che sta dando fiducia a tanti giovani e si sta “italianizzando”, sono contento, così come apprezzo la politica del Sassuolo, che con tanti italiani sta facendo bene anche in Europa. Mi auguro che siano d'esempio, perché credo che il nostro movimento
non abbia nulla da invidiare a quello di altre nazioni. Non a caso, la nostra Under 21 si è qualificata alla grande per l'Europeo di categoria, cosa che non sempre le è riuscita in passato. Quindi significa che c'è qualità". Sono tanti, infatti, i giovani del gruppo di Di Biagio che si stanno mettendo in mostra, a partire da Rosseti, che però è talmente timido da non autocelebrarsi: "Viene facile citare uno come Donnarumma perché sta facendo cose davvero eccezionali, ma sono tanti i giocatori che ho conosciuto nell'Under 18 e che ora stanno facendo bene in A: penso ad esempio a Benassi (Torino, ndr), Bernardeschi (Fiorentina, ndr), Conti (Atalanta, ndr), Cataldi (Lazio, ndr). Ecco, magari Garritano è uno che non è ancora riuscito a rendere per le sue eccezionali qualità, ma comunque sta giocando in un club come il Cesena, che -
anche se in B - è una grande società, con l'ambiente ideale per un giovane". Non esiste una ricetta perché i Rosseti, i Garritano e i Calabria, possano essere sempre di più a calcare i campi della Serie A, e certo non possono essere i diretti interessati a trovare la soluzione, ma Lorenzo lancia una sorta d'appello: "Da una parte magari ci vorrebbe più coraggio da parte degli allenatori, dall'altro chi di dovere dovrebbe studiare un modo per preservare i ragazzi italiani almeno nei settori giovanili. A volte vedo che si comincia a fare calciomercato fin da piccoli e sempre più spesso i vivai sono infarciti di stranieri fatti arrivare dal loro paese giovanissimi". E alla fine, se su un giovane straniero investi, è naturale che abbia una corsia preferenziale rispetto ad un potenziale talento italiano. Ma questo lo aggiungiamo noi...
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INTERVISTA DAVIDE CALABRIA
IL VOLTO NUOVO DEL MILAN Dalle giovanili alla Prima squadra, il sogno di Davide Calabria è appena agli inizi…
di Fabrizio PONCIROLI foto Archivio TC&C
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NUOVA LINFA ROSSONERA
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Calabria è nato e diventato grande nel suo amato Milan
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INTERVISTA / DAVIDe CALABRIA
Allora Davide, raccontami da dove nasce la tua passione per il calcio… “Diciamo che in famiglia si è sempre respirato calcio ma credo sia nato tutto da me, ce l’avevo dentro questa passione. Ho iniziato a giocare con i miei amici da piccolo e non ho più smesso”.
Sempre giocato da esterno di difesa o hai sperimentato altro? “In realtà ho iniziato come mediano davanti alla difesa. Poi sono stato impiegato da mezzala, anche in Primavera, prima di fare l’esterno di difesa”.
A 10 anni, il grande salto, con l’approdo alle giovanili del Milan…
Quando ti sei reso conto delle tue potenzialità? “Ho sempre creduto nelle mie
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Ricordi chi è stato a spostarti da mezzala a terzino? “Il primo a farmi fare, qualche volta, quel ruolo, è stato Lorenzini poi, con Inzaghi, è diventata una soluzione stabile e continuativa”.
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Famiglia di milanisti o di altre fedi calcistiche? “No, quasi tutti milanisti. Mio padre è milanista, mia mamma, di fatto, lo è diventata. Diciamo che c’è qualche juventino ma pochi…”.
“All’inizio è stata dura. Ricordo che uscivo prima da scuola per fare gli allenamenti al Vismara. Erano ben tre allenamenti alla settimana, quindi ero sempre fuori casa, fino alle 8 di sera. All’inizio, con il Milan, ci eravamo accordati per fare un allenamento nella mia vecchia società ma, dopo la prima settimana, mi sono subito accorto che il livello era completamente diverso e quindi mi sono allenato solo e soltanto con il Milan”.
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qualità, anche quando non giocavo. Diciamo che, in Primavera, ho iniziato a crederci di più. Ero anche uno dei leader dello spogliatoio e, quando mi allenavo con la Prima squadra, notavo che riuscivo a fare abbastanza bene. Quindi sapevo che potevo farcela”. Credo che tu abbia un bel ricordo di Inzaghi, visto che ti ha fatto esordire (30 maggio 2015, Atalanta-Milan, ndr)… “Onestamente pensavo di non giocare quella partita. Ero reduce da un infortunio, credevo di non avere nessuna possibilità di scendere in campo. Poi, a pochi minuti dalla fine, De Sciglio aveva dei crampi ed è toccato a me. È stata un’emozione bellissima, anche perché c’era anche mia mamma a vedermi”. E l’impatto con San Siro? “C’è sicuramente tanta magia in quello stadio. Quando entri, non è facile. Il pubblico del Milan è abituato bene ma, a me, la pressione piace, quindi vivo il tutto serenamente”. Parliamo del Milan di Montella. Tanti italiani, tra cui te, Locatelli e
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entre lo aspetto, rifletto sulla sua età: 6 dicembre 1996, di fatto non ha ancora 20 anni. Bello sapere che, al Milan, sempre più ragazzi, provenienti dalle giovanili, riescono ad approdare in Prima squadra, a giocare con i grandi. Appena entra nella stanza, mi accorgo che è davvero giovane ma incredibilmente educato… Buon segno.
INTERVISTA / DAVIDe CALABRIA
“ORA PENSO ALL’UNDER” Di Fabrizio Ponciroli
C’è chi lo vedrebbe bene in Nazionale maggiore, Calabria pensa agli Europei di categoria…
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n poco tempo, il nome di Calabria è salito alla ribalta. Si dice che Montella straveda per lui, a tal punto da considerarlo una delle sue prime scelte per il ruolo di esterno di difesa. Lui, classe 1996, si sta godendo il momento. Presenza dopo presenza, continua a migliorare. Il Milan, con lui, sa di aver trovato un giocatore utile e di qualità. Qualcuno lo vede già pronto per la Nazionale di Ventura? “Mi pare prematuro parlare di Nazionale maggiore - ci spiega - Ho appena cominciato a far parte del giro dell’Under 21. Questo è il biennio dei nati nel 1994 e 1995, quindi, essendo un classe 1996, sono in anticipo di un anno e questo mi permetterà di vivere al meglio questa avventura”. Under 21 che, dopo aver strappato il pass per i prossimi Europei di categoria in Polonia, punta a far più che bene: “È una squadra molto forte, con diversi elementi che, di fatto, sono già nel giro della Nazionale maggiore. Sicuramente andiamo agli Europei per vincerli, credo ci siano tutte le condizioni per farcela. Se ci saremo tutti e saremo in buone condizioni, credo che sia un Under 21 davvero di primissimo livello”.
Davide Calabria con la maglia della primavera del Milan nella finale del Torneo di Vireggio nel 2014 contro l'Anderlecht Donnarumma. “C’è un bel progetto sugli italiani e sui giovani provenienti dal vivaio. Anche nei periodi d’oro del Milan, c’è sempre stato uno zoccolo duro di italiani. Di Donnarumma è stato già detto tanto, tantissimo. È un grande. Locatelli lo conosco da tanti anni, ha grandissime doti. Gioca a testa alta e sa verticalizzare. Deve migliorare su certi aspetti del gioco, come tutti noi giovani del resto”. Poi c’è Montella. Cosa è cambiato con il suo arrivo? “Ha portato freschezza, non ci sono dubbi. Non era facile dare fiducia a tanti giovani, come il sottoscritto. Pur essendo un attaccante, mi piace perché sa adattarsi a diverse situazioni di gioco. Stiamo cercando di capire sempre meglio il suo modo di pensare calcio”. Ormai ti stai confermando a certi livelli, come fai a reggere tutta la pressione che c’è su di te? “Guarda, io sono un tipo che vive serenamente e so che bastano 2/3 gare giocate male per cadere rovinosamente, quindi penso a fare
“” In realtà ho iniziato come mediano davanti alla difesa. Poi sono stato impiegato da mezzala, infine terzino bene e basta”. Anche il Milan sta facendo bene in un campionato già della Juve? “Dire che il campionato è già chiuso non mi va di dirlo. Certamente c’è un grande distacco tra la Juventus e le altre squadre. ma nel calcio non si sa mai”. Calcio a parte, che altre passioni coltivi? Musica, videogames… “Guarda, a dire il vero non ho mai giocato ai videogames, forse perché sono scarso e mi innervosisco facilmente. Mi piace molto il basket NBA. Per spettacolo e qualità di gioco, penso sia il campionato di sport professionistico migliore al mondo”. Cleveland o Golden State? Quest’anno sembra affar loro il
titolo NBA… “Golden State tutta la vita. Come il Barcellona, hanno rivoluzionato il gioco della pallacanestro. Sono uno spettacolo vederli in azione, quindi credo che torneranno a vincere, anche perché hanno una super squadra. Vediamo con Durant se faranno ancora meglio rispetto al recente passato”. Hai citato il Barcellona, nessuno come Messi al mondo? “Il migliore in assoluto, nulla da aggiungere”. Quindi primo viaggio in America a vedere l’NBA, giusto? “Il problema è che, quando gioca l’NBA, giochiamo anche noi, quindi non sono ancora riuscito a vedere una partita live. Comunque, prima o
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GRANDE UMILTÃ
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Mai un gesto fuori posto, sempre pronto a sacrificarsi per tutti
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poi, ci riuscirò”. Magari, un giorno, ti trasferirai in MLS come altri giocatori italiani, così potrai vedere l’NBA ogni giorno… “Adesso penso solo alla prossima partita con il Milan, mi pare già tantissimo (ride, ndr)”. Si parla tanto di Dybala come uno destinato a diventare un fenomeno… C’è anche chi lo paragona proprio a Messi… “Mi piacciono tantissimo i giocatori che non danno punti di riferimento come Dybala. Ha potenzialità incredibili e mi auguro che faccia sempre meglio perché, anche se non lo conosco, mi pare un ragazzo con la testa sulle spalle”. Uno di quegli avversari duri da affrontare… “Personalmente posso dire che è difficile affrontare quei giocatori piccoli, ma che hanno anche grande imprevedibilità e forza nelle gambe, come il Papu Gomez o Perotti. Si muovono sempre ed è una faticaccia seguirli. Rischi di diventare matto con giocatori simili (ride, ndr)”. Parliamo un po’ di cinema… Un film che ti è piaciuto particolarmente? “Guardo pochi film e, onestamente, fatico a ricordarmi i titoli. Mi piacciono i film d’azione. Magari uno in cui ha recitato The Rock… Ho visto Alla ricerca di Dory, ma non è il mio genere, quindi sicuramente un film d’azione”.
“” Il nuovo Milan? C’è un bel progetto sugli italiani e sui giovani provenienti dal vivaio. Montella ha portato freschezza “Certamente, il sogno, per prima cosa, è confermare quel poco di buono che sono riuscito a fare fino ad ora poi, ovviamente, mi piacerebbe affermarmi, in maniera stabile, in questo club e riuscire a vincere qualcosa con il Milan”. Terminata l’intervista, ci firma una maglia del Milan, sempre con educazione e rispetto dei ruoli. Impressionante l’umiltà di un ragazzo
che, a differenza di tanti altri della sua età, continua a comportarsi come se nulla fosse, nonostante, da qualche tempo a questa parte, sia diventato un giocatore vero del Milan. La forza dei vari Calabria, Donnarumma e Locatelli sta proprio in questo: nell’essere riusciti a mantenere la testa sulle spalle anche quando il sogno è diventato realtà. E, per tutti loro, siamo solo all’inizio…
Torniamo al Milan… Hai la sensazione che, prima o poi, questa società tornerà grande? “Non ho dubbi.Una società così leggendaria non può restare lontano dal vertice troppo a lungo. La storia parla per questi colori, è fuori di dubbio che, prima o poi, il Milan tornerà a primeggiare. Ripeto, lo dice la storia del club”. Quindi, il sogno, è vincere, prima o poi, qualcosa con il Milan?
Intervista di Fabrizio Ponciroli
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Il “nuovo” Milan
SUPERGIGIO Donnarumma è l'emblema del nuovo corso Milan
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SPECIALE GIOVANI MILAN
di Sergio STANCO
Qualcosa sta cambiando: tanti ragazzi italiani in rosa e la squadra di Montella è la più giovane della Serie A. Una rivoluzione verde che può far felice anche le nazionali 26
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SPECIALE GIOVANI / MILAN
Un Milan tricolore
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con loro Abate, pur sempre un prodotto del settore giovanile, anche se di qualche anno fa. Poi ci sono anche Capitan Montolivo, Bonaventura, Poli, Antonelli, Bertolacci, Lapadula e, volendo, pure l'oriundo Paletta. Non bastassero, contro il Sassuolo è nata la stella di Locatelli, autore di un gol da urlo, condito dal-
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ogno un Milan giovane e italiano. Una volta i giocatori del Milan erano l'anima della nazionale, mi piacerebbe, un giorno, tornare ad essere tra i principali “fornitori” dell'Italia”, questo era stato il discorso programmatico di Silvio Berlusconi poco prima della cessione del club alla nuova proprietà cinese. Ironia della sorte, il sogno del Cavaliere si sta concretizzando proprio oggi che, dopo più di 30 anni di grandissimi successi (molti dei quali ottenuti grazie anche a grandi campioni stranieri, anche se con uno zoccolo duro fortemente italiano), non sarà più il “suo” Milan. Donnarumma, Calabria, De Sciglio sono i tre fiori all'occhiello del vivaio che, dopo tanti anni, praticamente dai tempi dei Baresi, Maldini e Costacurta, arrivano finalmente in prima squadra. Ma non da comparse, bensì da protagonisti.
Davide Calabria
le lacrime di un giovane che, lui sì, stava veramente coronando un sogno. Volendo giocare con le figurine e i moduli tattici, Montella potrebbe addirittura schierare un undici titolare interamente autoctono. Pensiamo ad un 4-2-3-1 con Donnarumma (classe '99) in porta, Calabria ('96) a destra, De Sciglio ('92) a sinistra, Romagnoli ('95) e Paletta ('86) centrali. Questo per quanto riguarda il pacchetto arretrato. A centrocampo, con Montolivo ai box, diamo spazio al giovane Locatelli ('98) con Poli ('89) a fare da recuperapalloni e filtro in mezzo. Sulle fasce schieriamo Abate ('86) e Antonelli ('87) in posizione leggermente avanzata rispetto al solito, ma in un ruolo che entrambi hanno già occupato in passato (anzi, Abate nasce laterale alto e nel Genoa di Gasperini Antonelli ha fatto in diverse occasioni addirittura l'attaccante esterno). Dietro Lapadula ('90) centravanti classico, piazziamo Bertolacci ('91), forse la posizione a lui più consona e che risolverebbe definitivamente l'equivoco tattico che lo vede suo malgrado protagonista. Ed ecco che, d'incanto, si realizza il sogno del Cavaliere...
cato una nuova strada, puntando sui suoi ragazzi. La linea verde si esalta nella figura di Alessandro Plizzari, che è aggregato in prima squadra, si siede regolarmente in panchina nelle gare di campionato ed è di fatto il secondo di Donnarumma, ma è solo classe 2000! Al momento della seconda sosta delle nazionali, a ottobre, il Milan poteva vantarsi di aver schierato la squadra più giovane della Serie A: l'età media dei rossoneri dopo 6 giornate era scesa a poco più di 25 anni. Insomma, una rivoluzione che non può che far felici i tifosi, che per i giovani hanno più pazienza di quanto non ne abbiano i loro allenatori. Un orgoglio per loro, ma anche per tutto il calcio italiano e soprattutto una strategia che non può che giovare alle nostre nazionali. Perché un conto è giocare con i ragazzi di pari età, un altro è farlo con “professionisti”. “L'esperienza possiamo farcela solo giocando con continuità e ad alti livelli – ci raccontava nell'intervista che ci ha rilasciato Rosseti su questo numero – Altrimenti è difficile crescere e migliorare”. Maledetta Primavera
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e sa qualcosa la nostra Under 19, che l'estate scorsa è andata vicina ad un successo storico nell'Europeo, battuta solo da una Francia decisamente più
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nsieme a Donnarrumma e Calabria, Locatelli rappresenta la faccia imberbe ma anche il futuro di questo nuovo Milan che, ce lo auguriamo, ha finalmente imboc-
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ALESSIO ROMAGNOLI
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Un Milan giovanissimo
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SPECIALE GIOVANI / MILAN
AnchE iL vivaio è italiano Filippo Galli e la sua strategia Made in Italy…
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me non piace guardare a quello che fanno gli altri – ci racconta Filippo Galli, ex difensore del mitico Milan di Sacchi e Capello e oggi responsabile del settore giovanile – ma noi abbiamo deciso di intraprendere una strada ben precisa: puntiamo su ragazzi italiani, o comunque non facciamo scouting all'estero; e una volta che abbiamo composto la rosa dell'Under 15, da lì in avanti non inseriamo altri ragazzi. Cerchiamo di lavorare sui giocatori che abbiamo scelto e ci dedichiamo alla loro crescita, cercando di trasmettere le nostre idee, che sono quelle di un calcio propositivo e organizzato, e di prepararli per giocare in prima squadra. Perché il nostro unico obiettivo è quello. E al di là che questa prima squadra sia il Milan o meno, se arrivano a diventare professionisti, per noi sarà comunque un successo”. Intravedere le qualità del potenziale campione è una delle cose più difficili e anche quando ci sono, non è detto che queste lo portino alla consacrazione definitiva: “Io dico sempre che un ragazzo di prospettiva è quello che dimostra di “conoscere il gioco, uno che ha coraggio, che sa rischiare, che si prende le responsabilità”. Uno alla Donnarumma, per esempio: “Fare il suo nome è facile, ma è un caso davvero eccezionale. Gigi ha sempre dato la sensazione di essere più maturo della sua età e non a caso ha giocato sempre con quelli più grandi di lui. La sua maggiore dote è quella di superare gli errori e ripartire come se non fosse successo nulla. Psicologicamente è fortissimo. Sono però orgoglioso anche di Calabria, perché interpreta il ruolo di terzino esattamente come cerchiamo di insegnarlo nel settore giovanile: coperto in fase difensiva, ma anche propositivo in fase offensiva.
A volte anche troppo, ogni tanto è talmente alto che è in linea con le punte (sorride, ndr)”. E poi c'è Locatelli... “La sua esplosione non mi ha sorpreso, perché si vedeva che era un ragazzo con la testa sulle spalle. La nostra forza è frutto anche delle famiglie dei nostri giocatori: i genitori dei nostri giovani sono presenti ma non invadenti, sono nostri alleati. Il club non può e non vuole sostituirsi alla famiglia, ma vuole lavorare insieme su due binari paralleli di percorsi educativi”. Per qualcuno che ce la fa, tuttavia, ce ne sono altri che o esplodono altrove, oppure non riescono ad emergere: “Ognuno ha il suo percorso di crescita: purtroppo una volta che sono diventati “grandi”, non c'è posto per tutti in prima squadra e qualcuno deve
andare altrove. Penso a Darmian, Petagna, Verdi, Cristante: c'è chi ha bisogno di tempo, chi di qualche passaggio a vuoto per poi ripartire. In ogni caso, li seguiamo sempre con affetto e speriamo che possano trovare la loro strada definitiva fino ad arrivare a giocare ad altissimi livelli. Ma noi abbiamo una responsabilità verso questi giovani anche quando, dopo la Primavera, non riescono a trovare squadra. Questa è una delle cose che più mi rende orgoglioso della nostra filosofia: noi cerchiamo di prepararli al grande calcio, ma li aiutiamo anche se per qualsiasi ragione questo non dovesse accadere. Perché magari è proprio quello il momento in cui hanno più bisogno di noi e per noi è bello poterci occupare di loro”.
stessa corposa presenza di giocatori arrivati da un’annata nella Ligue 2”. Una nuova Era
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i quella squadra Locatelli era il faro del centrocampo e oggi potrebbe diventarlo di quello del Milan. Era solo pochi mesi fa, ma sembra passata un'eternità. Nella rosa di quella Under 19 c'era anche Patrick Cutrone (classe '98), un altro predestinato che, per ora, nonostante le avances di parecchie società di B che avrebbero voluto già lanciarlo nel grande calcio, si sta facendo le ossa in Primavera. Tra i gioielli (o ex gioielli) del settore giovanile rossonero, si sta mettendo in mostra anche Petagna nell'Atalanta
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Patrick Cutrone
e nell'Under 21, conquistata proprio grazie all'ottimo inizio di stagione tra le fila dei bergamaschi. E nei settori giovanili si sta facendo largo una nuova generazioni di giovani promesse che fa guardare al futuro con estrema serenità i dirigenti rossoneri. Per le amichevoli di ottobre dell'Under 16, mister Zoratto ha chiamato tre milanisti: si tratta dei difensori Alberto Barazzetta e Gabriele Basani e del centrocampista Riccardo Tonin. E se l'Italia fino all'anno scorso era il fanalino di coda in Europa per quanto riguarda i giocatori formati nel vivaio che arrivano a giocare in Serie A (anche in squadre diverse da quelle in cui si sono formati), forse qualcosa oggi sta cambiando. E in questo, il Milan, sta facendo da apripista.
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Manuel Locatelli
PAOLO VANOLI
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avanti in quanto a maturità e consapevolezza: “Tra i nostri avversari – ha detto mister Vanoli dopo la partita – ci sono ragazzi che giocano regolarmente in Champions League. Tra i nostri non c'è nessuno che giochi in Serie A. Il gap di esperienza è abissale. Sapevamo che la differenza tra noi e la Francia era marcata. A dirlo sono i numeri. I giocatori francesi vantano 195 presenze tra prima e seconda serie, è questa la vera differenza tra noi e loro. I nostri giocatori non hanno tutta questa esperienza e questo conta moltissimo”. I numeri li ha fotografati bene un articolo di “Calcio e Finanza” che, dopo la sconfitta della nostra U19, ma messo a nudo il problema del calcio italiano: “Tra i 18 convocati delle rispettive squadre, l’Italia ne aveva solo 5 con presenze nella massima serie nell’ultima stagione, per un totale di 698′ disputati in Serie A nel 2016/17. La maggior parte dei giocatori chiamati dal ct Vanoli arrivava infatti dalla Primavera, con ben 10 giocatori su 18 che hanno disputato nell’ultimo anno solo gare con il livello più alto del settore giovanile. La parte di esperienza più corposa resta la Serie B, con 3 giocatori e 3651′ complessivi. Esattamente all’opposto la situazione per la squadra francese: 11 calciatori transalpini hanno avuto presenze l’ultimo anno in Ligue 1, con un totale di quasi 6000′ disputati. Solo due, invece, i giocatori che provenivano dalle squadre B, con la
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SPECIALE GIOVANI / MILAN
GIANLUCA LAPADULA
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STORIE DI CALCIO DEVASTATI DALL'ALCOL
PAUL GASCOIGNE
storie di calciatori che si sono persi nella spirale del bere…
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GAZZA TROPPO VIVACE L'ex nazionale inglese si è perso nel tunnel dell'alcol
di Fabrizio PONCIROLI foto Agenzia Liverani
HO UN PROBLEMA CON
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STORIE DI CALCIO / DEVASTATI DALL'ALCOL
alcolismo è una grave piaga sociale. Milioni di persone ne soffrono. Spesso, grazie all’alcol, la vita sembra meno complicata, più “leggera”. Alzare il gomito è una necessità per tutte quelle persone che faticano ad affrontare il vivere quotidiano. Un problema che è comune anche nel mondo del calcio. La storia ci racconta di tanti casi di giocatori che, sia quando scendevano in campo o appena smesso di giocare, si sono persi nella spirale del bere… Abbiamo voluto raccontare nove “casi” di stelle che non hanno resistito al richiamo dell’alcol… Qualcuno ne è uscito, altri ci stanno provando ma c’è anche chi si è arreso…
GEORGE BEST Uno dei migliori giocatori che il pianeta abbia mai ospitato. Morto a soli 59 anni, nel 2005, con un fegato devastato. La storia del bel George è il perfetto ritratto di un uomo che non è riuscito a gestire la tanta, troppa popolarità che il calcio gli ha regalato. Osannato dalle folle, innamorato delle donne e incapace di dire di no alla vita mondana, preferibilmente con un drink in mano. Best
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PAUL GASCOIGNE In campo, Gazza era favoloso. Difficile non restare inebriati dal suo talento. La sua capacità di eccitare la folla era contagiosa. Una dinamo sempre accesa che, anche fuori dal campo, aveva bisogno di continua benzina per “bruciare alla massima potenza”. La benzina di Gazza è, da oltre 20 anni, l’alcol. Nonostante i tanti, buoni propositi: “Non finirò mai come Best”, l’ex nazionale inglese continua a ricadere nei suoi terribili errori, tanto da finire, spesso, sulle prime pagine dei media inglesi, sempre ubriaco e completamente avulso dalla realtà. Il gin è diventato l’amico fedele di Gascoigne. I suoi fan continuano a sospingerlo, sperando che riesca a vincere la sua lunga battaglia con l’alcol. Capace di bere cinque pinte di birre e vestirsi da Babbo Natale o arrivare a non riuscire ad alzarsi dal letto per due giorni perché sbronzo perso sono solo alcuni degli episodi che l’hanno visto, suo malgrado, protagonista, sempre con l’alcol padrone del suo corpo e della sua mente.
BEST, VITA ESAGERATA Fuoriclasse assoluto, non si è risparmiato mai fuori dal campo
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non ha mai saputo fermarsi, il bere l’ha accompagnato da sempre, perché gli piaceva e perché lo aiutava a non pensare a tutto quanto gli accadeva attorno. La sua dipendenza dalla “bella vita” era insita nel suo modo di essere. Bastano alcune sue citazioni per comprendere come amava vivere George Best: “Ho smesso di bere, ma solo quando dormo” oppure “Ho speso molti soldi per alcool, ragazze e macchine veloci. Il resto l’ho sperperato” o, ancora, “Nel 1969 ho dato un taglio a donne e alcool. Sono stati i 20 minuti peggiori della mia vita”. Tanti suoi fan lo hanno amato anche per questi suoi eccessi, purtroppo fatali.
ARIEL ORTEGA In Italia non abbiamo un gran ricordo di lui. Sia con la Sampdoria che con il Parma non ha incantato ma Ortega, il Burrito, in Argentina è sempre stato venerato. Complice un talento smisurato che, per un certo periodo, hanno fatto di lui la nuova promessa argentina, il possibile erede di Maradona. Il problema di Ortega è che, per tutta la sua
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WALTER CASAGRANDE La storia personale di Casagrande, bomber brasiliano visto anche in Italia con le casacche di Ascoli e Torino è un monito per chi vuole provare ad uscire dalla spirale del bere. Nella sua autobiografia “Casagrande e i suoi demoni”, l’ex stella del calcio brasiliano ha svelato la sua dipendenza dall’alcol (e dalle droghe), spiegando la sua caduta agli inferi sia accaduto appena dismessi i panni del calciatore. Fuori “dal giro che conta”, Casagrande si è rifugiato nel bere e nell’assunzione, massiccia, di droghe: “Provavo un’incredibile sensazione di vuoto, mi mancava l'adrenalina delle partite e degli allenamenti e questo mi ha spinto all'uso compulsivo di droghe e alcol. Imitavo i comportamenti autodistruttivi dei miei miti del rock, come Janis Joplin e Jimi Hendrix. In una sera ero capace di prendere insieme cocaina ed eroina e scolarmi una bottiglia di tequila. Per 20 anni ho giocato alla roulette russa”, le parole dell’ex nazionale verdeoro. Tuttavia, con grande impegno, Casagrande è rinato, sconfiggendo i tanti demoni che, per anni, hanno rischiato di strapparlo alla vita.
IL DRAMMA DI WALTER Anche Casagrande, ex Ascoli e Torino, ha passato momenti difficili
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lunga carriera, ha dovuto convivere con il problema dell’alcol. Un problema che, con il passare degli anni, diventa sempre più reale. Pure un osso duro come Simeone, attuale allenatore dell’Atletico Madrid, è costretto ad alzare bandiera bianca. Ai tempi in cui allenava il River Plate, la squadra del cuore del Burrito, El Cholo fa di tutto per “recuperarlo”, ma Ortega vive con la bottiglia in mano. Salta sempre più allenamenti, non sta in piedi. La tifoseria continua a stare dalla parte del Diez, non El Cholo che lo manda in Segunda Division. In un’intervista al Clarin, il Burrito ha spiegato quando fanno capolino i suoi demoni: “Quando sono in campo a giocare a calcio, io sono felice. Quando sono da solo, piango sempre e tutto cambia”.
PAUL MERSON Inglese, amatissimo dai tifosi dell’Arsenal e con un genio sbarazzino, dentro e fuori dal campo. Allegro e sempre ben disposto verso i media, a metà anni ’90 precipita in un vortice di alcol, droghe e forte dipendenza dal gioco d’azzardo. È lui stesso
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MATIAS ALMEYDA Argentino come Ortega, anche Almeyda ha vissuto una lunga parentesi legata al mondo dell’alcol. Nella sua autobiografia “Alma y vida”, l’ex, tra le altre, di Lazio e Inter, ha svelato dei retroscena oscuri della sua vita da calciatore: “Per tutta la carriera ho fumato dieci sigarette al giorno. Anche l’alcol è stato un problema. Bruciavo tutto negli allenamenti, ma vivevo al limite. Una volta ad Azul, il mio paese, ho bevuto cinque litri di vino, come fosse Coca Cola, e sono finito in una specie di coma etilico. Per smaltire, ho corso per cinque chilometri, finché ho visto il sole che girava. Un dottore mi ha fatto 5 ore di flebo. Sarebbe stato uno scandalo, all’epoca giocavo nell’Inter. Quando mi sono svegliato e ho visto tutta la mia famiglia intorno al letto, ho pensato che fosse il mio funerale”, alcuni passaggi del suo libro. Per fortuna, Almeyda si è scosso, anche grazie all’aiuto della figlia: “Ho capito che dovevo fare qualcosa quando mia figlia mi ha disegnato come un leone triste e stanco. Da allora tutti i giorni prendo antidepressivi e ansiolitici. Le chiamo le pillole della bontà, mi fanno essere più buono”.
ORTEGA E IL SUO VIZIO Poteva dare molto di più, l'alcol lo ha limitato enormemente
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GARRINCHA Per tanti brasiliani, Garrincha è stato il più grande di tutti, anche di Pelè. Stella indiscussa del Brasile Campione del Mondo nel 1958 e nel 1962, Manoel Francisco dos Santos non ha goduto dei tanti privilegi che porta con sé l’essere una star mondiale. Garrincha è morto, in povertà, a soli 49 anni (cirrosi epatica). Dotato di una classe fuori dal comune, figlio di un padre alcolizzato, Garrincha, purtroppo, non è mai riuscito a vivere senza l’amica bottiglia al fianco. Pazzo per il gentil sesso (si racconta che ha avuto 14 figli da relazioni illegittime, oltre a quelli avuti con la sua sposa d’infanzia), ha anche tentato, più volte, il suicidio, prima di arrendersi al suo vizio preferito: l’alcol. Diverse le storie che lo riguardano. Si dice che fosse in grado, prima anche di una partita, di scolarsi una bottiglia di rum nazionale. Il tutto “per scaldarsi” a dovere. Pelè ha detto, più volte, come “Garrincha faceva delle cose con la palla che nessun altro avrebbe mai potuto fare”. Non fosse stato per il vizio del bere, probabilmente avrebbe anche fatto di più…
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a raccontare di quando, ubriaco perso, durante i Mondiali del 1994, finisce in un quartiere malfamato di Los Angeles, con tanto di scazzottata (salvato dalla polizia). Ma il peggio deve ancora arrivare. Il suo mix di droghe, alcol e gioco d’azzardo gli fanno perdere, come confida nel suo libro “Come non essere un calciatore professionista”, circa sette milioni di sterline. Alcuni passaggi sono sintomatici dei problemi di Merson: “Ad un certo punto ero così preso dalle scommesse sportive che ho detto a mia moglie incinta di guidare lei fino all’ospedale perché stavo seguendo delle partite live di football americano”. Diventato noto al pubblico per aver, in occasione di una sua rete, festeggiato mimando il gesto di bersi una birra, Merson ha “condiviso” il suo problema con l’ormai ex moglie Lorraine che, in un’intervista al Sunday Mirror, ha dichiarato: “Non ho visto quello che accadeva sotto i miei occhi. Ero accecata dal mio amore per Paul. Non volevo rovinare la famiglia”. Purtroppo alla fine tutto è diventato chiaro…
IL RACCONTO DI ALMEYDA L'argentino ha avuto la forza di raccontare tutto quanto
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ADRIANO L’Imperatore che ha perso la via per colpa dell’alcol. Adriano è un altro esempio di come, spesso, non sia facile gestire la fama e i soldi, soprattutto se provieni da quartieri malfamati. Adriano, in un’intervista al Corriere della Sera del 2007, ha anche spiegato i motivi che l’hanno portato a trovare conforto nell’alcol: “Dopo la morte di mio padre e la rottura con Daniela mi sentivo solo e mi sono rifugiato nell'alcol”. Problemi che hanno dato il via ad una caduta senza possibilità di risalita. Da lì in poi, l’Imperatore è stato protagonista di centinaia di festini con fiumi d’alcol. Valdiram, ex compagno di Romario, è conscio di come finirà Adriano: “Soffre per un vuoto incolmabile, che nel suo caso è causato dalla scomparsa del padre, e per questo tende all’autodistruzione. Come me un tempo, è schiavo dell’alcol e non si fermerà fino a quando raggiungerà il limite. E non manca molto”. Un altro fuoriclasse che non ha saputo dire di no al richiamo della bottiglia…
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HUGO “EL CHOLO” SOTIL Se negli anni ’70 riesci a convincere il Barcellona a prenderti, significa che hai qualcosa di speciale. Hugo Sotil, detto El Cholo, ha indossato la casacca blaugrana per quattro stagioni, dal 1973 al 1977. Nessuno dribblava come questo peruviano con la passione viscerale per la vita. Eh sì, Hugo Sotil considerava il calcio solo un mezzo per potersi divertirsi. “L’importante è essere vivi ed essere una brava persona. Non mi sono mai curato dei soldi, che differenza fa, quando sei morto, farsi seppellire in una lapide d’oro o in un fosso?”, le sue parole in un’intervista, surreale (El Cholo era ubriaco come spiega il giornalista), al El Heraldo. Protagonista anche di una pellicola (“Per fortuna non l’ho mai vista”), El Cholo ha sempre preso la vita di petto, concedendosi tutti i possibili vizi. Eppure, secondo il diretto interessato, a Barcellona è stato tradito: “Dicevano che uscivo tutte le sere ma non era vero. Avevo una Ferrari gialla, la stessa di un mio fan che frequentava pub alla sera e che amava divertirsi e bere. Dicevano che ero io ma non era vero, sarebbe bastato guardare la targa”, ha spiegato lo stesso Hugo Sotil qualche tempo fa a El Comercio. Verità o frutto dell’alcol?
L'IMPERATORE SI è PERSO Festini e tanto alcol nella carriera di Adriano
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SPECIALE IL NUOVO CALCIOMERCATO
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MERCATO MODERNO
Ormai la "rete" è elemento fondamentale anche per fare campagna acquisti
Una panoramica sui nuovi metodi e le moderne piattaforme usate nelle trattative di mercato di Sergio STANCO foto Image Sport Calcio 2OOO
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om’è cambiato il calciomercato all’epoca dei social network, delle app e del networking? Sono finiti i tempi delle “mesate” buttati sulle poltrone degli hotel di lusso, dove una trattativa poteva nascere anche tra uno spritz e un martini bianco? Non del tutto, ma di certo queste scene sono destinate a vedersi molto più raramente, perché sempre più spesso le trattative sono abbozzate (e spesso concluse) lontano dai luoghi deputati e spesso non è neanche necessario incontrarsi per i dettagli. Come? Proviamo a raccontarvelo con qualche esempio… Il portale dei professionisti Come detto, una volta le squadre, gli agenti e i giocatori, si ritrovavano MERCATO ON LINE Fieldoo permette ai professionisti del settore di incontrarsi su un mercato virtuale
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nello stesso luogo e questo era l’unico modo per iniziare trattative. Oggi, con tutte le tecnologie esistenti, sembra quasi anacronistico questo approccio. Ma, si sa, le abitudini sono dure a morire. Per quelli più tecnologici, però, c’è sempre Fieldoo, quello che si autodefinisce il portale dei professionisti del calcio. Come funziona? Ce lo spiega Klemen Hosta, co-ideatore del progetto e oggi CEO della società che ha sede in Slovenia: “La nostra missione è quella di creare un luogo virtuale in cui club, agenti e giocatori possano abbattere le barriere logistiche e “incontrarsi”. E, ovviamente, l’obiettivo è quello di concludere affari che, altrimenti, non sarebbe possibile concretizzare per tante ragioni. Pensate ad esempio alle distanze, ma anche solo al fatto che è impossibile conoscere
tutti i giocatori, sapere il loro status o quant’altro. Con Fieldoo tutto questo è possibile”. In sostanza la piattaforma consente ai giocatori di registrarsi, pubblicare i loro dati, il curriculum e il loro status, alle società di effettuare in un clic, una ricerca particolareggiata sul giocatore di cui necessitano e agli agenti di proporre i propri assistiti. Il tutto con la supervisione dei gestori del portale, che si assicurano che tutti i soggetti siano effettivamente professionisti del settore: “Abbiamo 250mila iscritti – continua – dai più giovani ai più esperti in cerca di nuove esperienze, migliaia di scouts, agenti e club usano Fieldoo per ottimizzare il loro portafoglio giocatori. La nostra piattaforma consente un mercato più trasparente ed evita tutta una serie di passaggi intermedi: il contatto tra
club, agenti e giocatori è diretto, tutto quello di cui necessitano (statistiche, informazioni, video) lo trovano sul nostro portale. Siamo particolarmente fieri di quello che abbiamo fatto, perché funziona, aiuta i professionisti, semplifica il processo”. E la dimostrazione è quanto accaduto a due calciatori sconosciuti, che da un momento all’altro si sono trovati catapultati nel professionismo: “Abbiamo portato avanti un progetto con Josep Maria Minguella, l’agente che portò Messi al Barcellona e grazie a questa iniziativa l’argentino Jordi Pascual e lo sloveno Denis Kramar hanno avuto la possibilità di firmare per club professionistici in Spagna (rispettivamente Girona e Getafe, ndr). Siamo riusciti a coronare il loro sogno e oggi entrambi sono veri professionisti”. Il prossimo passo sarà “in-
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vadere” il mercato italiano: “Sbarcheremo sul mercato italiano nei prossimi mesi e uno dei nostri obiettivi per il 2017 è di diventare una realtà anche nel vostro paese. Vogliamo attirare partner e offrire soluzioni ai club, dalla Serie A alla Serie D, ma soprattutto convincere i giocatori italiani che iscriversi a Fieldoo è utile. I calciatori italiani sono molto apprezzati nel Mondo e non tutti trovano spazio nei vostri club. Con Fieldoo potrebbero aprirsi nuovi orizzonti e concretizzarsi nuove opportunità”. Non solo amatori Più o meno la stessa idea l’ha avuta l’italianissimo Paulo Vullo, fondatore di Tiro Libre, una piattaforma che è nata soprattutto per far incontrare domanda e offerta di giocatori e club amatoriali o semi professionistici, dai settori giovanili
alla Primavera, passando per Serie D e arrivando magari fino alla Lega Pro: “Sono sempre stato appassionato di calcio e l’ho praticato per diversi anni – ci racconta Vullo - Quando ho cominciato l’Università, mi sono trasferito a Palermo e ho avuto difficoltà a trovare una squadra dove allenarmi, perché non conoscevo il territorio. Quando mi sono spostato a Bologna per proseguire gli studi e poi a Roma per lavorare, il problema si è ripresentato: in una città che non conosci, non sai a chi rivolgerti, soprattutto se vuoi fare carriera tanto a livello amatoriale quanto a livello dilettantistico e/o professionale. Intanto conoscevo persone che affrontavano i miei stessi problemi: compagni di corso, calciatori dilettanti in procinto di cambiare città, preoccupati di come riuscire a trovare una nuova
‘sistemazione calcistica’; ma anche aspiranti professionisti, che si lamentavano perché “se non paghi un procuratore” o “se non sei raccomandato” nessuna squadra ti considera. Poi, mi sono reso conto che esisteva anche il problema inverso. Vale a dire, non solo ci sono tanti giocatori in attesa di uno stage o di un provino, ma anche tante squadre che hanno bisogno di giovani talenti: club di diverse categorie che investono denaro, spesso pagando osservatori e procuratori, per trovare i calciatori migliori sul mercato e migliorare la propria rosa. Ecco allora, l’intuizione: mettere insieme domanda e offerta, sviluppare una piattaforma in grado di facilitare l’incontro tra calciatori e squadre. Un po’ come Linkedin, ma focalizzato sullo sport. Nessuna commissione,
nessuna tassa, tutto gratis ed estremamente intuitivo”. Un paradiso per gli “addetti ai lavori” e infatti il progetto è decollato subito: “Siamo partiti a maggio con una struttura web semplicissima, che ci permettesse di presentarci agli utenti e pubblicare le prime schede e annunci manualmente. Col passare del tempo, il nostro team si è ampliato: oggi conta 6 persone specializzate in ambito tecnico, grafico, comunicativo e operativo: Questo ci ha permesso di velocizzare alcuni rilasci, come la creazione automatica della scheda utente. Registriamo una crescita stabile di nuovi utenti e annunci in ogni categoria (amatori, dilettanti e pro). Abbiamo seguito e supportato da vicino alcune “trattative”, professionali, dilettantistiche e amatoriali. Definisco Tirolibre un “cantiere in fer-
NON SOLO PROF
Il concetto dell'italianissimo Tirolibre è sempre quello di far incontrare domanda e offerta, ma anche nei dilettanti.
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CHIAMATELO MONTODIGA
RICCARDO MONTOLIVO
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L'analisi dei dati è ormai findamentale nel calcio: e Montolivo ne sa qualcosa...
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con più orgoglio, c’è Lucas German Surber, un ambizioso difensore argentino che due giorni dopo aver creato il suo profilo su TiroLibre ha ricevuto due offerte: in 4 giorni è volato a Roma per un provino con la Vigor Acquapendente, che alla fine lo ha ingaggiato. Questo rappresenta per noi il caso ideale che ci auguriamo di poter replicare sull’intera community di Tirolibre e continuare così la nostra crescita”. A volte basta un clic e il sogno diventa realtà… Linkedin, quello vero Poi ci sono i Social Network veri, come Linkedin, conosciuto per essere quello dei professionisti, quello in cui i manager (e non solo) si mettono in vetrina, si scambiano informazioni, si creano un network utile per gli sviluppi per la loro
carriera. E allora poteva mancare una “sezione calcio” su una piattaforma del genere? No e infatti sono molti gli addetti ai lavori ad aver creato un profilo e a cercare di fare affari in rete. Gli agenti su tutti, che cercano o promuovono assistiti, club che usano lo strumento per comunicare, ma ad esempio anche per fare ricerca e selezione di personale (la Juventus ad esempio pubblica le offerte di lavoro sul proprio profilo), scout che condividono le proprie analisi e finanche allenatori e giocatori che si offrono. “L’ultima frontiera del calciomercato: trovare squadra su Linkedin”, questo il titolo di un articolo di Eurosport che citava il caso di Nathan Tyson, attaccante inglese 34enne che sul suo profilo aveva pubblicato il seguente annuncio: “Qualcuno conosce una squadra che ha bisogno
di un bomber svincolato?”. I dirigenti del Kilmarnock, Serie A scozzese, leggono l’appello e l’ex Nottingham Forrest trova impiego. Non è però tutto oro quello che luccica. Sono molti infatti gli agenti che offrono e chiedono giocatori, ma quello che manca è una supervisione. Chiunque, ad esempio, potrebbe spacciarsi per essere un procuratore e cercare di approfittarne. A volte capita anche di leggere annunci del tipo: “Cercasi attaccante, massimo 24enne per Serie B rumena. Si offre vitto e alloggio”. Non stiamo scherzando, li abbiamo visti con i nostri occhi. Per questo ci sono professionisti veri che a volte sono costretti a fare un ripasso di deontologia professionale: “Per favore, non proponetemi giocatori o allenatori – ha scritto di recente sul suo profilo Hector Mendez,
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mento”. Siamo presenti sui principali social, curiamo il rapporto con i nostri utenti in maniera diretta attraverso Facebook, Linkedin e a breve Twitter. www.tirolibre. it è la piattaforma web dove gli utenti possono registrarsi e creare il loro profilo in maniera autonoma e abbiamo anche un contatto mail (team@tirolibre.it) attraverso cui gli utenti ci inviano le loro richieste e i loro CV. Lavoriamo affinché la diffusione di TiroLibre sia capillare in Italia quanto prima, ma l’interazione dei nostri utenti sulla rete rende la nostra piattaforma conosciuta anche all’estero; oggi, un 20% degli utenti registrati sono stranieri - tanti sono sudamericani - e il tasso di successo è molto alto. Ogni ‘affare’ concluso ci rende felici, e dedichiamo lo stesso impegno al professionista quanto all’amatore. Tra quelli che ricordo
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agente nonché CEO dell’HM Footbal Agency – Fare gli agenti in questo modo è troppo facile. La nostra professione è soprattutto relazione, contatti con i club, fiducia che ti guadagni con gli anni, andando a bussare a tutte le porte. Non sono disponibile a fare partnership o a lavorare con colleghi che si limitano a mandare profili di giocatori e aspettano che io glieli piazzi”. Una presa di posizione chiara, netta, che però non ha certo fatto diminuire il flusso di “trattative” virtuali che quotidianamente si fanno su Linkedin, come il caso di Nathan Tyson insegna. Il calcio non è matematica. Forse… “Il calcio non è una scienza esatta”: quante volte abbiamo sentito ripetere questa frase? Il calcio ha sempre qualcosa di diver-
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so, di particolare, per cui è difficile innovare. O forse si tratta semplicemente di una grandissima forma di resistenza al cambiamento da parte dei “quartieri alti”. Pensate ad esempio alla moviola in campo: tutti gli sport si erano affidati alla tecnologia da tempo, tranne il calcio. Ora anche in quel settore forse qualcosa si sta muovendo. Così come nel settore delle statistiche, delle analisi applicate ai calciatori, dei dati e degli algoritmi. Arabo per i professionisti del settore fino a qualche tempo fa ma che oggi stanno sempre più prendendo piede anche tra i più tradizionalisti. Le partite, le prestazioni, i giocatori, vengono “denudati” grazie ai numeri. Ci sono società specializzate ormai nel fornire esclusivamente i dati di calciatori (pensate a Wyscout, Opta e chi più ne ha più ne metta). E questi
dati potrebbero riscrivere la storia di un giocatore, ma anche di una trattativa di calciomercato. Chi l’avrebbe mai detto, ad esempio, che il miglior recuperatore di palloni della Serie A dello scorso anno fosse stato Montolivo? Si chiamava lavoro sporco, qualche tempo fa, ma è anche una caratteristica e un merito che nessuno avrebbe riconosciuto al capitano del Milan se non ci fosse stata una raccolta minuziosa dei dati che lo confermasse. E sono sempre di più gli allenatori che si affidano a queste statistiche per scegliere formazioni e, più in generale, giocatori. Allo stesso modo, anche i direttori sportivi hanno ormai a disposizione una banca dati infinita per incrociare le loro esigenze con le performance effettive dei profili dei calciatori sul mercato. E non è raro che
proprio questa analisi delle statistiche abbia fatto cambiare opinione a qualcuno o abbia convinto qualcun altro a cambiare obiettivo. E attenzione, non stiamo parlando di numerologia o superstizioni varie, che sono un’altra cosa. Negli sport americani, ad esempio, i numeri sono “Vangelo”, ma si è sempre detto che il calcio si prestasse poco a questo tipo di analisi. Pur senza arrivare agli estremi del baseball, dove tutto è tradotto in numeri, ora anche nel calcio qualcosa sta cambiando. Nascono e proliferano professioni come quella del “Match Analyst” che rendiconta tutto ciò che accade durante una partita, ma pure nel corso degli allenamenti ormai. Questi dati, però, sono utilissimi anche in fase preventiva, cioè per stabilire se un giocatore ha esattamente gli “skills”
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che una squadra cerca. Per questo sono così preziosi e per questo ci sono ormai colossi che fanno della raccolta e della cessione di questi dati un business. Inevitabile, visto che ormai chiamarlo “gioco” sembra un po’ anacronistico… Lo scienziato del calcio In quanto a numeri applicati al pallone, Adriano Bacconi può essere considerato un pioniere. Non a caso è stato il precursore della “Match Analysis” ed è stato chiamato per lavorare con grandi tecnici (Lippi, ad esempio, durante il Mondiale del 2006) e grandi società (è stato collaboratore tecnico dell’Inter per un anno e mezzo circa recentemente). Già vent’anni fa ci lavorava su, anche se da allora la situazione si è evoluta molto in quanto ad analisi
della partita, ma meno per quanto riguarda la statistica applicata al mercato. Anche se ultimamente qualcosa si sta muovendo: “È assolutamente vero che il calcio è uno Sport meno oggettivabile rispetto agli altri – ci racconta il football data scientist, questo il job title corretto – Perché l’esito è meno legato ad una serie di attività ripetitive, ma è anche vero che i dati possono definire un profilo. Per cui se mi dai le caratteristiche del giocatore che stai cercando, io posso trovare quello che più si adatta alle tue esigenze. Facevamo questo tipo di lavoro già 20 anni fa, le società ci segnalavano il giocatore e noi riuscivamo a dire se effettivamente – per caratteristiche, ovviamente – era idoneo o no. Pensa che qualche anno fa abbiamo sviluppato un algoritmo con una società coreana che
era in grado di determinare un ranking di giocatori sulla base di un numero praticamente infinito di variabili: la società cerca un giocatore giovane, svincolato, che sia forte di testa, con un ruolo definito, adatto ad uno specifico modulo tattico, con un determinato ingaggio etc etc? Il sistema era in grado di preselezionarti una serie di candidati. Il punto è che tutto questo toglie potere ad alcune figure del calcio che vivono e prosperano secondo logiche decisamente meno obiettive. Ci si fida ancora dell’istinto che, per carità, è necessario, ma le due cose non sono incompatibili. Il rischio è che dietro l’alibi dell’istinto si nasconda altro. Non a caso, questo tipo di approccio più oggettivo, più numerico, sta prendendo sempre più piede da noi da quando sono arrivate le proprietà straniere: da
una parte perché hanno una mentalità più basata sugli sport americani, in cui le statistiche sono tutto, dall’altro perché non si fidano e vogliono verificare che quanto i loro collaboratori dicono sia confermato anche dai dati. Questa mentalità sta cambiando anche il nostro modo di lavorare, non a caso quando ero all’Inter Ausilio mi chiedeva continuamente report di questo tipo. E non è raro che dopo un’analisi attenta delle statistiche la decisione cambi. In sostanza, un report non può dirti se il giocatore è buono o no, ma può dirti se è quello che – in base alle sue caratteristiche e alle esigenze di squadra – è proprio quello giusto per te”. Un campo molto affascinante, che probabilmente riprenderemo in futuro perché merita un approfondimento a parte…
ADRIANO BACCONI
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foto Fabrizio Ponciroli
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A SEGUIRE IL REAL… Racconto di un viaggio con un solo scopo: seguire il Real Madrid al Bernabeu… di Fabrizio PONCIROLI
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er chi ama il calcio, ci sono luoghi con una mistica speciale, dal profumo incredibilmente afrodisiaco. Se, di professione, sei un giornalista sportivo, non puoi esimerti dal seguire, almeno una volta in carriera, il Real Madrid live, direttamente dal Bernabeu, probabilmente lo stadio più evocativo dell’universo calcio… Ho ritenuto interessante accompagnarvi nel resoconto della mia “missione sportiva madridista”, tra aneddoti, curiosità e tanta pelota… Il fulcro è
Real Madrid-Eibar, match valido per la 7.a giornata della Liga, in programma nell’immenso e leggendario Santiago Bernabeu. Il primo passo è la richiesta dell’accredito stampa. L’ufficio stampa del Real Madrid, prima di concedere un accredito (in media, per ogni partita, arrivano un centinaio di richieste), pretende garanzie: chi sei, per chi lavori, cosa vieni a fare qui… Domande lecite, risposte convincenti. L’accredito è confermato (solo due giorni prima della partita, addio tariffe aeree convenienti).
REPORTAGE / UNA PARTITA A MADRID
UN LUOGO MAGICO La casa del Real Madrid, stadio che trasuda grande emozioni
Prenotato l’aereo, eccomi a Madrid. È la vigilia della partita. Fondamentale capire l’aria che si respira attorno al Real. Marca, il più blanco dei quotidiani di Madrid, chiama la squadra di Zidane alla riscossa (è reduce da tre pareggi consecutivi): “Prueba de lìder”, titola, con Bale in bella mostra. Si parla tanto anche di Isco che sarà, finalmente, titolare: “Bola para Isco”… Insomma, a Madrid c’è voglia di tornare a vincere, possibilmente chiudendo la pratica in tempi brevi e divertirsi con una goleada.
Juan, del ristorante Gerardo (consiglio il polipo alla brace con maionese all’aglio), in via Don Roman de la Cruz, non ha dubbi: “Il Real si mangerà l’Eibar. Hanno voglia di vincere e segnare una valanga di gol”. C’è fiducia, mi dico… Trascorsa la mattinata al mercato El Rastro (un mercatino delle pulci grande come cittadina intera), dove investo, felice, diversi euro su un album di figurine della Liga 1988/89, con Hugo Sanchez in cover (che sia di buon auspicio?), mi avvio verso il teatro dei
sogni madridisti. Ci arrivo, comodamente, con la metropolitana. Impossibile sbagliarsi: fermata Bernabeu. Il calcio d’inizio è fissato per le 16.15, ho tutto il tempo per vivermi il pre gara, visto che sono scoccate, da poco, le 14. La Tienda del Real Madrid mi chiama. Un inno alla capacità, unica, di fare marketing del club con 11 Champions League in bacheca. C’è di tutto, anche più di quello che potreste immaginare. Oltre alle divise di tutti i giocatori (ma proprio tutti, panchinari compresi), spazio a og-
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foto Fabrizio Ponciroli
REPORTAGE / UNA PARTITA A MADRID
CALCIO2000 AL BERNABEU Confermato l'accredito per Real Madrid-Eibar
getti curiosi come il puzzle del Bernabeu, repliche di palloni del Real Madrid pre Seconda Guerra Mondiale, cancelleria di ogni tipi, magneti, bubble head, trenini con il marchio Real Madrid… c’è pure un bigliardino in miniatura a firma blanca. Insomma, impossibile non spendere… Uscito, con fatica, dalla Tienda, mi ritrovo circondato da tanti tifosi del Real Madrid. Sono tutti in attesa dell’arrivo del bus della squadra. Noto anche qualche supporter del piccolo Eibar. Mi colpisce una famiglia, con due figlioletti al seguito: “Siamo emozionati, è la prima volta qui a Madrid. Speriamo che il nostro Eibar faccia una bella figura. Nostro idolo? Dani Garcia, il nostro capitano…”. Mentre discorriamo della partita, veniamo interrotti dalla polizia. Agenti a cavallo ci 46
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invitano a spostarci. Bisogna lasciare l’intera strada libera (larghezza della via in questione, per intenderci, tipo A4 Milano-Torino). Nessuno obietta, anche perché gli agenti, a cavallo, fanno una certa impressione… I campioni arrivano, gli applausi si sprecano (per quelli del Real, ovviamente) ed è ora di entrare nel cuore del Bernabeu. Ritirato l’accredito, prima di salire, con tanto di ascensore dedicato, alla tribuna stampa, furtivamente mi infilo nella sala stampa. Sembra un cinema anni ’80 ma quanto fascino… I seggiolini ricordano quelli di un cinematografo retrò. Niente a confronto dell’emozione nel ritrovarti il maestoso Bernabeu davanti agli occhi. L’avrò visto centinaia di volte in TV, bene, dal vivo è una faccenda completamente differente. Dire che è
suggestivo è molto limitante… È ancora semivuoto ma incute rispetto e timore. Preso posto al Sector 7, Fila 1, Posto 2, mi guardo attorno. Noto tante TV collegate, con ospiti di lusso. Riconosco Roberto Carlos e avvisto anche Jorge Valdano. Gli parlerò, è stato un mio idolo… Il tempo scorre veloce. C’è un sole accecante, caldissimo ma la magia non svanisce. A poco a poco, il Santiago si riempie (saranno oltre 70.000 alla fine a seguire l’incontro). Entrano le squadre per il riscaldamento. Noto che James, dato in formazione, non c’è. Al suo posto Kovacic (il colombiano, scopro, non sta bene). Morata parte dalla panchina. Alle note di Hala Madrid, l’inno dei blancos, capisco che il Bernabeu è l’essenza del calcio. Fossi un giocatore
dell’Eibar, avrei paura solo a scendere sul terreno di gioco. Si parte e, sorpresa delle sorprese, l’Eibar va in vantaggio (Fran Rico su dormita della difesa madridista). Non c’è da preoccuparsi, il Real Madrid reagisce con rabbia. Bale, su ottimo cross di CR7, trova il pari e abbiamo, di poco, superato il quarto d’ora di partita. L’inizio della disfatta dell’Eibar? Macché, la squadra di Mendilibar tiene il campo a testa alta, costringendo i padroni di casa a tanti, troppi errori. All’intervallo è parità con sonori fischi dalle tribune. Roberto Carlos, scuote la testa e mi spiega: “Giocano troppe partite, non hanno intensità oggi”. Vero, verissimo. Lo capisce anche Zidane che getta nella mischia Morata. Me lo ricordavo molto più forte alla Juventus. Si danna l’anima
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REPORTAGE / UNA PARTITA A MADRID
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CHE IMPONENZA Il Bernabeu fa un grande effetto, anche da fuori
GRANDI TIFOSI CRESCONO Tantissimi i bambini al Bernabeu, tutti super tifosi
ANCHE PER L'EIBAR Non mancano i supporter dei rivali del Real
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REPORTAGE / UNA PARTITA A MADRID
LA MITICA SALA STAMPA - Un luogo sacro, qui gli allenatori spiegano la partita
QUANTE COPPE - Una foto con la Champions non si rifiuta mai
LA GRANDEZZA DI VALDANO
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Per chi ha qualche anno alle spalle, il nome di Jorge Valdano riporta alla mente tanti ricordi. Nell’Argentina di Maradona che vince il Mondiale del 1986, c’era anche lui. Oggi ha 61 anni ed è uno degli opinionisti più ascoltati a Madrid, sponda Real. Normale visto il suo passato, sia come giocatore che come allenatore, al club blanco. Durante una pausa Tv, lo avvicino. Gli racconto chi sono e il motivo per cui mi trovo al Bernabeu: “Ah, bene, e cosa ha fatto la Juventus?”, mi chiede… Gli racconto della bella vittoria sull’Empoli… “Quest’anno la Juventus
ha acquistato una grandissima maturità. Può davvero arrivare fino in fondo in Champions League. Ha un attacco pazzesco, sono pronti, hanno esperienza e tanta voglia di vincere in Europa”. Valdano, di attaccanti, se ne intende, visti i numerosi gol segnati in carriera. Parliamo del suo amato Real Madrid: “È una buona squadra ma non riesce a trovare continuità di risultati e questo è un grosso problema. Comunque c’è ancora tutto il tempo di rimediare”. Con un’entrata senza preavviso lo riporto ai tempi del Mondiale 1986: “Beh, quello è un ricordo che è sempre con me. Ma la vita va avanti…”. Lo richiamano all’ordine, mi saluta calorosamente: “Magari ci si vede per Juventus-Real Madrid in finale…”. Sarebbe bello Valdano…
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Bello quando le leggende si concedono senza fronzoli…
SUPER MARKETING - Al Real sanno sfruttare il proprio brand al massimo
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foto Fabrizio Ponciroli
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REPORTAGE / UNA PARTITA A MADRID
ARRIVA L'EIBAR - Al Bernabeu va in scena Real Madrid-Eibar
TABELLINO PARTITA Real Madrid-Eibar 1-1 (1-1) REAL MADRID (4-3-3): Navas 6; Carvajal 5,5, Pepe 5,5, Varane 5 (1’ st Nacho 5,5), Danilo 5; Isco 4,5 (27’ Asensio 5,5), Kroos 6, Kovacic 6,5; Bale 6,5, Benzema 5 (1’ st Morata 5), Ronaldo 5,5. A disp.: Casilla, James, Lucas, Mariano. All.: Zidane 5 EIBAR (4-1-4-1): Riesgo 6,5; Luna 6, Lejeune 6,5, Dos Santos 6, Capa 7; Dani Garcia 7; Ruben Pena 6,5 (42’ st Bebè s.v.), Fran Rico 7, Escalante 6,5; Pedro Leon 7,5 (47’ st Adrìan s.v.); Sergi Enrich 6,5 (31’ st Kike s.v.). A disp.: All.: Yoel, N.E.Ramis, Inui, Juncà. All. Mendilibar 7 ARBITRO: J.M.Munuera 5 Guardalinee: Sevilla – Noval Font Quarto Uomo: Fernandez Vidal MARCATORI: 6’ pt Fran Rico (E), 17’ pt Bale (R) AMMONITI: 29’ pt Escalante (E), 3’ st Dani Garcia (F), 11’ st Lejeune (E), 26’ st Ruben Pena (E), 39’ st Fran Rico (E), 44’ pt Carvajal (R), 44’ pt Bale (R), 11’ st Morata (R), 28’ st Kroos (R) NOTE: Spettatori: 72.103 – Angoli: 7-5 – Rec.: 0’ pt e 3’ st
per il campo ma commette tante ingenuità (prende un giallo anche per simulazione in area). Il pubblico del Real non è gentile. I fischi arrivano, copiosi, per tutti, Isco in primis. Il Real “empata” ancora… Nuovo pareggio!!! I giocatori dell’Eibar festeggiano come avessero vinto la loro personale Champions League. Il periodista alla mia sinistra è durissimo: “Quest’anno sono fermi al palo. Non c’è gioco, ognuno va per sé. È un miracolo che non abbiamo perso”. E io che
mi lamentavo della poca pazienza dei tifosi italiani… A fine match tutti in sala stampa e in mix zone (luogo in cui si fermano i giocatori, un paio al massimo, a rispondere alle parole dei media). Mendilibar, tecnico dell’Eibar, si gode il momento: “Primo gol e primo punto qui al Bernabeu, non potevamo chiedere di più. Demerito del Real? No, non è così. Hanno avuto le loro occasioni ma noi abbiamo risposto sempre presente”. Vero. Poi mi godo Zidane. È abbastanza tirato in volto,
LA STAMPA SPAGNOLA - Il giorno dopo tante critiche per il Real di Zidane
le quattro gare di fila senza vittoria gli danno fastidio. Lo attaccano, soprattutto sulla mancanza di gioco: “Non è il gioco che ci manca ma l’intensità. Io credo nel lavoro e lavoreremo per trovare la giusta intensità”, si difende. In mix zone, Pepe ribadisce lo stesso concetto del suo mister. Parlo con un paio di colleghi, mi incuriosisce la questione Morata: “È frustrato – mi spiegano- Zidane, se anche non è al meglio, gli preferisce sempre Benzema e questo disturba Morata che quando entra non è tranquillo”. Me lo conferma anche Roberto Carlos: “Alla Juve era più tranquillo e rendeva di più, qui non è la stessa cosa, fatica ad imporsi”. Se lo dice Roberto Carlos… Esco, ancora luccicante di gioia, dal Bernabeu. I venditori ambulanti stanno vendendo le ultime occasioni ai pochi ma orgogliosi tifosi dell’Eibar. Una sciarpa ricordo del match va acquistata… In serata assisto alla debacle anche del Barcellona (sconfitto dal
Celta) e seguo in Tv i caroselli calcistici. Mi sorprendono le critiche a Zidane. Secondo qualcuno, non è lui che decide la formazione. Accuse pesanti. Forse siamo più calmierati noi in Italia… Il giorno dopo mi assicuro le principali testate iberiche. AS ci va giù con la mano pesante: “Un Madrid pésimo…”. Niente alibi anche per Isco: fischiatissimo dal Bernabeu e “bastonato” anche dal quotidiano… Marca punta il dito su Zidane: “Que està pensando Zizou?”, evidenziando come il francese non stia trovando soluzioni alla grave forma di pareggite acuta: “No resuelve el expediente x”. Oltre ai giornali, acquisto anche l’album ufficiale di figurine della Liga griffato Panini. Apro i pacchetti e del Real Madrid trovo proprio lui, Zidane… Ironia della sorte… Il viaggio è terminato, è tempo di rientrare. Un consiglio: il Bernabeu vale un viaggio a Madrid… Ci sono luoghi ricchi di storia e magia, come la casa del Real Madrid…
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SPECIALE / MAGLIe STORIChe REAL MADRID
MAGLIE STORICHE
LA CAMISETA BLANCA Una maglia leggendaria, indossata dai migliori al mondo, con una storia unica… Si va a casa Real Madrid...
di Gianfranco GIORDANO
foto Image Sport
SPECIALE
foto therealmuseum.com/temporada.php foto celticdream.it/index.htm
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Gareth Bale
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SPECIALE / MAGLIe STORIChe REAL MADRID
È
difficile ripercorre gli inizi della storia del calcio a Madrid, i tanti anni passati e la mancanza di documentazione scritta, lasciano le vicissitudini dei primi club avvolte in una spessa coltre di nebbia. Nel 1876 venne fondata la prima società sportiva madrilena, il Cricket y Foot-Ball Club de Madrid. Nel 1898, un gruppo di giovani docenti della Institución Libre de Enseñanza, che erano stati in Inghilterra, dove avevano avuto i primi contatti con il nuovo gioco, fondarono la Sociedad de Foot-Ball; i cui colori erano maglia rossa con pantaloni e calzettoni blu. Non risulta che ci fosse uno stemma sociale. Un anno dopo un gruppo di persone non soddisfatte, perlopiù provenienti dalla Escuela de Ingenieros de Minas e dall’Association Sportive Française, decise di fondare la Nueva Sociedad de Foot-Ball. Quasi tutti provenivano dalla borghesia cittadina, avevano vissuto in Inghilterra ed avevano ammirato le gesta del Corinthian FC, sodalizio londinese i cui giocatori scendevano in campo non per vincere, ma semplicemente per divertirsi e rifiutavano il pur minimo rimborso spese per la loro attività sportiva. I giocatori del Corinthian indossavano una maglia completamente bianca, a rappresentare la purezza dei loro ideali sportivi, forti di questo esempio Palacios ed i suoi amici decisero di indossare una maglia bianca. I rappresentanti delle due squadre si trovarono in una taverna per trovare un accordo e formare un’unica entità calcistica, nel corso della riunione non venne trovato un accordo di conseguenza i fedeli alla vecchia squadra decisero di fondare lo Sky Foot-Ball Club, che mantenne le divise della Sociedad. Nell’ottobre del 1901 lo Sky si avvicina allo scioglimento, Julian Palacio tende una mano ai rivali ed i due club si uniscono dando vita al Madrid Foot-Ball Club. In realtà uno zoccolo duro manterrà in vita lo Sky Foot-Ball Club, cambiando denominazione in New Foot-Ball Club, fino al mese di aprile del 1903. Il 6 marzo 1902 viene ufficialmente fondato il Madrid con la costituzione del primo Consiglio Direttivo, il successivo 22 aprile viene stilato l’atto di costituzione e si riunisce per la prima volta il Consiglio Direttivo. Nel corso della riunione viene formalizzata la divisa dei giocatori che sarà composta da maglia e pantaloni bianchi, cintura con i colori nazionali e calzettoni neri, a completare il tutto, come da moda dell’epoca, un elegante berretto di colore blu mare. Le prime due partite del Madrid si disputarono nel piazzale antistante la Plaza de Toros, tra due squadre formate da membri del club, per distinguersi una squadra indossava una fascia blu di traverso sul petto e l’altra squadra una fascia rossa. L’8 ottobre 1901 vinsero i rossi per 6-0, mentre il 9 marzo 1902 la vittoria andò ai blu che si imposero per 1-0. La prima partita ufficiale per il Madrid si giocò il 13 maggio 1902 alle ore 11.00, teatro dell’evento l’Ippodromo della Castellana, i Blancos vennero sconfitti dal Barcellona con il risultato di 3-1, in rete l’inglese Arthur Johnson, unico straniero nelle fila dei Madrilisti. La partita era valida per il Concurso de Madrid, nasceva quella che sarà una delle grandi rivalità del calcio mondiale. La divisa della fondazione rimase invariata fino alla stagione 1910/11, naturalmente il cappello sparì quasi subito dalla divisa, in queste stagioni vengono indossate camice e maglie di cotone pesante con collo chiuso da laccetti. Dalla stagione 1911/12 i calzettoni diventano blu con bordi bianchi, probabilmente il colore dei calzettoni è un richiamo allo stemma araldico della città di Madrid, a metà della decade le camicie vengono abbandonate e diventano definitive le maglie con il collo chiuse da lacci, molto più comode da indossare durante le partite. Intanto nel gennaio del 1913, esattamente il 25 ed il 26, il
STAGIONE 1902
STAGIONE 1907-08
STAGIONE 1912-13
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SPECIALE / MAGLIe STORIChe REAL MADRID
Madrid esce per la prima volta dai confini nazionali per due partite amichevoli a Lisbona, raccoglie altrettante sconfitte contro Sporting e Benfica. Il 29 giugno del 1920 il re Alfonso XIII concede al club, con un documento pubblico, l’onore di fregiarsi del titolo di Real. Nel corso degli anni molti club hanno avuto l’onore del patrocinio reale, ma in Spagna quando si cita Il Real si sottintende il Real Madrid, nonostante il club madrileno sia stato uno degli ultimi ad ottenere questo titolo. Nel periodo tra dicembre dello stesso anno e gennaio successivo il Madrid, ormai Real, compie la prima trasferta fuori dalla penisola iberica, cinque partite in Italia. I Madrileni vengono sconfitti da Livorno, Bologna, Genoa e da una selezione Torinese mentre vincono contro una rappresentativa dell’Emilia. Nella stagione 1925/26 un cambio di stile nella divisa, si torna alle origini con una divisa che omaggia in toto gli inglesi del Corinthian, maglia bianca con collo a camicia chiuso da bottoni, pantaloni neri e calzettoni neri con risvolto bianco, la divisa è molto elegante, ma purtroppo i risultati ottenuti sono scarsi e la stagione successiva si ritorna alla divisa composta da pantaloni bianchi e calzettoni blu. Negli anni '20 si cominciano ad usare delle divise estive, maglie di tessuto più leggero solitamente con collo a girocollo. Il 14 aprile 1931 il re abdica e la Spagna diventa una repubblica di conseguenza cambia la denominazione, semplicemente Madrid Football Club senza nessun riferimento alla monarchia. Dalla stagione 1931/32 tornano i calzettoni neri con risvolti bianchi, per tutto il decennio non avviene nessun cambio di stile. Nella stazione 1941/42, in seguito alla vittoria di Franco nella guerra civile ed alla spagnolizzazione dei termini stranieri, il club cambia denominazione in Real Madrid Club de Fútbol, questa sarà la denominazione ufficiale del club fino ai giorni nostri. Nel frattempo il Real è stata la prima squadra spagnola ad usare i numeri (in spagnolo dorsales), succede il 23 novembre 1947 in un derby contro l’Atletico. La divisa rimane sempre uguale fino alla stagione 1951/52 quando viene introdotta una maglia di stile più moderno con collo a girocollo nel periodo invernale e collo a V nel periodo estivo, i calzettoni ritornano blu nella stagione 1954/55 e nella stagione successiva diventano bianchi per rendere la divisa della squadra completamente bianca, finalmente le Merengues. Una svolta epocale arriva nel 1980/81, si comincia con la tradizionale divisa immacolata, ma sul finire della stagione compaiono sulle divise i simboli dello sponsor tecnico, la tedesca Adidas, il marchio sul petto e le famose tre strisce, ovviamente di colore morato, sulle maniche e sui pantaloncini, la maglia presenta un colletto a camicia completamente bianco chiuso da un colletto a V. Nel 1982/83 anche il Real si piega alla logica degli sponsor, sul petto dei giocatori madrilisti compare il nome di una fabbrica italiana di elettrodomestici, la Zanussi. Nella stagione 1986/87 cambia lo sponsor tecnico e cambia, lievemente, il disegno della divisa. La maglia presenta sempre un colletto a camicia completamente bianco, ma chiuso da un colletto bianco con una striscia morata, anche i polsi presentano una striscia morata. Nel 1990/91, fornitore sempre la Hummel, il collo è semplicemente a V, sempre con la striscia morata. Due stagioni più tardi la maglia presenta un collo a polo di colore blu scuro, chiuso da bottoni con la parte anteriore ugualmente blu. La stagione seguente il collo è simile a quello dell’anno prima come stile, il colore però è nuovamente morato. Nella stagione 1994/95, e per le due stagioni seguenti, la Kelme propone un colletto a camicia bianco con chiusura anteriore morata con una striscia bianca. Per l’ultima stagione griffata dal mar-
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STAGIONE 1925-26
STAGIONE 1933-34
STAGIONE 1935-36
SPECIALE / MAGLIe STORIChe REAL MADRID
foto Image Sport
EDIZIONE PARTICOLARE AUDI CUP STAGIONE 2015-16 Marcelo Vieira da Silva Júnior
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SPECIALE / MAGLIe STORIChe REAL MADRID
STAGIONE 2011-12 Karim Benzema
foto Image Sport
STAGIONE 1949-50
STAGIONE 1950
I 4 LOGHI: L'evoluzione dei loghi che si sono succeduti nella storia del Real Madrid
STAGIONE 1952-53:maglia portiere
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SPECIALE / MAGLIe STORIChe REAL MADRID
STAGIONE 1956-57
STAGIONE 1965
STAGIONE 1968-69
chio spagnolo, 1997/98, i Madrilisti scendono in campo con un collo a polo morato con la parte anteriore bianca e nessuna striscia sulle maniche. Nel 1998/99 ritorna la Adidas, sponsor tecnico fino ad oggi, che propone un collo a camicia blu scuro con bordini gialli e strisce sulle maniche sempre in colore blu scuro, questa divisa sarà usata per due stagioni. A partire dalla stagione 2000/01, per seguire le leggi del mercato, ci sarà una maglia diversa per ogni stagione. Il Real continua a vestire una casacca completamente bianca, salvo le righe sulle maniche dello sponsor che nel corso degli anni non saranno più morate ma cambieranno colore, il più delle volte nere ma si sono viste strisce di colore blu, argento, oro e grigio. Nella stagione 2001/02 ed in quella successiva, per il centenario del club, il Real in alcune partite ha indossato una particolare divisa completamente bianca, maglia con collo a camicia, senza sponsor e senza le tre strisce del fornitore, per rendere omaggio alla maglia degli esordi. Nei primi anni, quando c’erano problemi di contrasto cromatico con le divise degli avversari, il Real Madrid indossava dei pantaloni neri per differenziarsi dai giocatori rivali. A partire dalla fine degli anni '20 si è resa necessaria una vera divisa alternativa, il Real ha sempre indossato divise completamente blu scuro oppure morato, nei primi anni si sono visti anche pantaloncini neri o bianchi, dalla metà degli anni novanta sono arrivate le famigerate terze divise, potere degli sponsor, solitamente di colore nero. Negli ultimi anni se ne sono viste davvero di tutti i colori, sia come seconde che come terze divise. Prima che arrivassero le terze divise, ci sono state due anomalie cromatiche nella storia del Real Madrid, la divisa rossa e la divisa verde. Il 14 giugno del 1957 il Real gioca la finale del Torneo di Parigi contro i brasiliani del Vasco da Gama che si presentano in campo con maglia bianca attraversata da una fascia nera e pantaloncini bianchi, i Madrilisti scelgono di indossare una maglia rossa, le motivazioni di questa scelta non sono mai state chiarite, pantaloncini blu e calzettoni bianchi. Le immagini dell’epoca sono in bianco e nero e di pessima qualità, quindi non si riesce neanche a capire se sono maglie prestate da qualcuno o se sono originali del Real. Nella primavera del 1971, 10 marzo e 14 aprile, il Real giocò con una divisa completamente rossa contro il Cardiff City e contro il PSV Eindhoven, quarti e semifinale di Coppa delle Coppe. L’ultima esibizione con il completo rosso avvenne il 7 marzo 1973 ad Odessa, avversaria la Dynamo Kiev in Coppa dei Campioni. Il completo rosso venne riproposto nella stagione 2011/12 come seconda divisa. La divisa verde venne utilizzata una sola volta, il 25 agosto 1965, durante una tournèe in Sud America. Il Real doveva giocare contro il River Plate a Buenos Aires e non aveva al seguito altre divise se non quella bianca. Anche gli Argentini avevano una divisa bianca, a quel punto i padroni di casa prestarono agli ospiti un completo verde per poter giocare la partita. La divisa verde venne riproposta, come terza divisa, nella stagione 2012/13. I portieri del Real Madrid, nei primi anni hanno indossato maglie blu o verdi, a partire dagli anni '40 la divisa è diventata completamente nera, dai primi anni '70 sono cominciate ad apparire maglie di altri colori, in particolare il verde e l’azzurro. Le vittorie del Real Madrid hanno trovato ammiratori ovunque, anche a Leeds in Inghilterra. Il Leeds United vestiva una maglia gialloblù, i colori cittadini, ed al termine della stagione 1959/60 era sceso in Division Two. Alla finale di Coppa dei Campioni del 1960 ad Edimburgo era presente Don Revie, giocatore del club inglese che nel marzo dell’anno successivo divenne player-manager. Revie rimase
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SPECIALE / MAGLIe STORIChe REAL MADRID
STAGIONE 2013-14 Cristiano Ronaldo
foto Image Sport
STAGIONE 1972-73
STAGIONE 1976-77
REAL MADRID SUBBUTEO: Nel catalogo HW del Subbuteo il Real Madrid è il numero 21, classica divisa completamente bianca.
STAGIONE 1980-81
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SPECIALE / MAGLIe STORIChe REAL MADRID
STAGIONE 1982-83
STAGIONE 1996-97
STAGIONE 2001-02
affascinato dal gioco delle Merengues e decise di cambiare i colori del suo club da gialloblù a bianco, nella speranza di emulare le gesta del club spagnolo. Il primo aprile 1986 viene fondato in Bolivia il Club Real Potosì i cui fondatori, in onore del club madrilista, ne adottarono non solo i colori (prima divisa del club boliviano completamente viola e divisa alternativa completamente bianca) ma anche il nome. Al momento della fondazione venne creato uno stemma molto semplice di ispirazione britannica, il monogramma MFC di colore blu su fondo bianco, nelle partite ufficiali sulla maglia compariva, secondo le regole dell’epoca, lo stemma della città di Madrid. Nel 1908 venne creato il progenitore dello stemma attuale, si mantengono le tre iniziali, concedendo alla M di Madrid un ruolo più importante, racchiuse in un cerchio, il tutto di colore sempre blu su fondo bianco. Con la concessione del titolo di Real, nel 1920 cambia anche lo stemma, la M diventa più grande e lo stemma venne sormontato dalla corona reale. Nelle partite ufficiali sulla maglia compare sempre lo stemma cittadino, a sua volta sormontato dalla corona. Nel 1931, con la Repubblica, sparisce la corona insieme all’appellativo Real, all’interno dello stemma viene inserita una fascia diagonale morata, in ricordo del popolo della Castiglia che si era sollevato contro l’imperatore Carlo V, la rivolta dei Comuneros del 1521, il colore morato nel frattempo era entrato a far parte anche della bandiera nazionale. Con la fine della Repubblica e l’instaurazione del regime franchista, il club torna a fregiarsi dell’appellativo di Real, la corona torna a sovrastare lo stemma sociale ma rimane la frangia morata. Nel 1997 il presidente Sanz farà cambiare il colore della frangia da morato a blu, senza fornire nessuna spiegazione plausibile. Nel 2001 verranno apportate alcune piccole modifiche allo stemma, la corona e le lettere cambieranno lievemente nello stile. Il cambio del colore della fascia solleverà molte lamentele da parte dei tifosi che, a prescindere dalla valenza storica e politica del colore, ormai si erano affezionati al colore morato che consideravano come uno dei simboli del club. Nella finale di Coppa Intercontinentale del 1960, prima edizione del trofeo, il Real Madrid scenderà in campo con lo stemma della UEFA sul petto, invece del suo logo societario, a sottolineare che giocava in rappresentanza della confederazione europea.
STAGIONE 2004-05
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CANNONIERE VERO
Serena ha sempre avuto un gran fiuto per il gol...
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I GIGANTI DEL CALCIO Aldo SERENA
Serenamente ALDO
foto Agenzia Liverani
Faccia a faccia con un bomber capace di segnare ovunque e sempre gol pesanti…
di Francesco FONTANA foto Agenzia Liverani
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I GIGANTI DEL CALCIO / ALDO SERENA
L
ottatore come pochi, animale d'area di rigore e spirito di sacrificio. Fame di gol, tanti gol. Di destro, sinistro, al volo, di piatto, di collo, di testa soprattutto. Non importa come, l'importante era buttarla dentro. L'avvocato Gianni Angelli lo definì 'bravo dalla cintola in su', ma tale definizione resta forse un po' riduttiva per un attaccante che ha sempre avuto un grandissimo fiuto del gol e che ha lasciato il segno in tante piazze. E che piazze. Aldo Serena si racconta in questa intervista esclusiva con Calcio2000, in cui ripercorre i capitoli della propria carriera. Capitoli talvolta simili, considerando i vari viaggi andata-ritorno da Appiano Gentile, i due a Milanello dove ha assaggiato la Serie B e chiuso la carriera da calciatore nel 1993, oltre il passaggio dal granata al bianconero in quel di Torino: "Impossibile non affezionarsi quando si indossano maglie così importanti, difficile esprimere una
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Alla Juve ho raggiunto una dimensione internazionale. In bianconero ho lasciato una parte di me preferenza". Dribbla così il bomber di Montebelluna una domanda su quale sia, tra le rivali di sempre, la squadra in cui ha lasciato un qualcosa di sé, magari un pezzo di cuore. Un dribbling però non riuscito alla perfezione perché, come scopriremo tra poco, in realtà una preferenza ci sarebbe. "Alla Juve ho raggiunto una dimensione internazionale. In bianconero ho lasciato una parte di me". Ecco, puntuale, l'ammissione. Chissà come la prenderanno
i tifosi dell'Inter, anche se forse il fatto "di esserne un simpatizzante fin da piccolo" riuscirà, magari in parte, a 'salvarlo' da qualche critica di un pubblico che sicuramente lo ha amato (capocannoniere con 22 gol nell'anno tricolore). Il granata del Toro corrisponde invece con uno dei due rimpianti nei suoi 16 anni da professionista: il campionato mancato in favore del Verona e il rammarico per non aver conquistato un clamoroso 'poker' di Scudetti in altrettanti club. Il secondo, beh... tristemente scontato andare con la mente alla notte del 3 luglio 1990, allo stadio 'San Paolo' e a quel rigore maledetto e decisivo parato dall'argentino Goycoechea che impedì alla Nazionale di strappare il pass per la finalissima. Ma c'è tempo per i ricordi amari. La storia di 'Testa d'Oro' è molto lunga e parte da lontano. Esattamente da un paese di circa 31mila abitanti nella provincia di Treviso. Siamo nel 1975. Cresciuto nelle giovanili del Montebelluna, tre anni dopo arriva la grande occasione chiamata Inter.
QUANTI DERBY
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Ha giocato, con tutte le maglie possibili, i derby di Milano e Torino
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ALDO SERENA con FILIPPO GALLI
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I GIGANTI DEL CALCIO / ALDO SERENA
UNO SCUDETTO CON LA JUVE
foto Agenzia Liverani
Quattro volte Campione d'Italia, anche con la Vecchia Signora
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I GIGANTI DEL CALCIO / ALDO SERENA
"Nel Montebelluna iniziai come centrocampista, poi con il tempo avanzai il mio raggio d'azione diventando un attaccante. Rossi, il mio allenatore di allora, nel 1977 era in Prima Squadra e decise di portarmi con sé, dandomi gradualmente sempre più spazio. L'inizio non fu facilissimo, non facevo tanti gol, ma fortunatamente la svolta arrivò in una partita contro il Venezia. Una match da ricordare in cui segnai una doppietta. Da quel momento non cambiai più ruolo e non nascondo che parecchie società iniziarono a seguirmi. Erano tante, soprattutto Varese e Juventus, poi arrivarono Inter e Como che riuscirono ad acquistare in compartecipazione il mio cartellino". Nonostante la giovane età, in Serie B con la maglia azzurra riesce a ritagliarsi un certo spazio. "Sì, ma in generale non ricordo con particolare piacere l'esperienza di Como. Non fu un'avventura interamente gratificante per me. Non giocavo continuità e la mia volontà era quella di essere titolare, o comunque di avere maggiore spazio ed essere importante per la squadra. Purtroppo tutto questo non accadde". TALENTO PRECOCE
foto Agenzia Liverani
Sin da giovane, Serena ha subito dimostrato di avere qualità eccezionali
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Al Torino fu tutto molto bello, diventai l'idolo dei tifosi dopo quel gol segnato al 90' contro la Juventus A Bari, invece, la prima, vera esperienza di livello. Sia a livello di presenze che di reti segnate. "Un campionato sicuramente molto importante, concluso in Serie B all'ottavo posto. Ero titolare, segnai 10 reti ed ero stimato da tutto l'ambiente. Mi trovai veramente bene in quella realtà. E voglio anche svelarle un retroscena". Prego… "In quel preciso momento avrei potuto
abbandonare la carriera da calciatore". Noi, da appassionati di questo sport, aggiungiamo 'per fortuna che ciò non accadde'. "Prima di andare a Bari mi trovai di fronte a un bivio: continuare a credere nel sogno di diventare un calciatore professionista e importante, oppure rivedere il mio futuro, magari proseguendo con gli studi. Con la mia famiglia si decise che, in caso di stagione positiva, avrei proseguito, altrimenti avrei lasciato perdere, magari andando a giocare in categorie inferiori vicino a casa per divertirmi, ma concentrandomi su altro nella mia vita. Ma l'annata andò molto bene, fortunatamente. Per me, che venivo dal nord, fu tutto nuovo e l'esperienza pugliese mi fece maturare, diciamo pure che contribuì a farmi 'svegliare'". Dopo il biancorosso del Bari è ancora tempo di Inter. "Per me non era facile trovare spazio. Bersellini giocava con due mezze punte e solamente un attaccante centrale, che in quel momento era Altobelli. Spillo era nel periodo migliore della propria car-
I GIGANTI DEL CALCIO / ALDO SERENA
riera, tanto che alla fine della stagione vinse in Spagna il Mondiale con la Nazionale. Non ero io la prima scelta, ma avevo solo 21 anni e poteva anche andarmi bene quella situazione. Conservo con piacere il ricordo del gol segnato in finale di Coppa Italia contro il Torino. Un altro trofeo conquistato dopo aver vinto il campionato di Serie B a Como". Dopo l'Inter di nuovo la Serie B, ma questa volta con la maglia del Milan. "Nell'estate del 1982 ero in tournée in Cile con l'Inter. Mi chiamò Mazzola (all'epoca dirigente nerazzurro, ndr) per comunicarmi che io, insieme a Pasinato e Canuti, sarei rientrato in un'operazione con il Milan in cambio del cartellino di Collovati. Non ci furono problemi per me. Il Milan è sempre stato il Milan, un club glorioso anche in un momento difficile come quello della Serie B. Conquistammo il campionato, anche se a livello personale resta il rammarico per i troppi infortuni che hanno caratterizzato le mie stagioni rossonere". Nella stagione '83'-84 c'è ancora l'Inter: la partenza, però, è molto difficile.
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ritrovarci. Io arrivavo delle Olimpiadi di Los Angeles, la competizione più bella a cui abbia mai partecipato in carriera, e l'Inter aveva raggiunto l'accordo con l'Udinese per il mio trasferimento. Io però non volevo, puntai quindi i piedi cercando di convincere Mazzola a lasciarmi andare al Toro. Fu la scelta migliore, senza dubbio. Provo ancora tanto dispiacere per alcune partite sbagliate che ci impedirono di lottare fino in fondo per lo Scudetto, vinto poi dal Verona. Al Torino fu comunque tutto molto bello, diventai l'idolo dei tifosi dopo quel gol segnato al 90' contro la Juventus. Insomma, mi sentivo bene in quella realtà".
"Verissimo, e proprio per questo ci giocammo il campionato. Quella Inter avrebbe potuto tranquillamente lottare con la Juventus. Non eravamo inferiori, ma l'inizio fu troppo brutto e compromise il prosieguo della stagione. A livello personale, invece, costruii un ottimo rapporto con mister Radice".
Lei è stato uno dei pochi calciatori a vestire le maglie delle tre grandi del calcio italiano, alle quali possiamo aggiungere anche il Torino: a quale società si sente maggiormente affezionato? "Quando si indossano maglie di squadre così tanto prestigiose è difficile non affezionarsi. Fin da piccolo sono stato un simpatizzante dell'Inter, ma devo dire che alla Juventus ho lasciato un pezzo del mio cuore. Fu in bianconero che, a livello
Il nuovo Serena? Mandzukic, forse anche Pazzini. Probabilmente io ero più cattivo a livello agonistico
Poi il Torino, proprio con Radice in panchina. "Esattamente, anche se rischiammo di non
ALDO SERENA, GIANCARLO PASINATO, TIZIANO MANFRIN, SERGIO BATTISTINI e FRANCESCO ROMANO
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I GIGANTI DEL CALCIO / ALDO SERENA
L’UOMO DEI DERBY Di Fabrizio Ponciroli
Serena ha giocato le stracittadine di Milano e Torino con tutte e quattro le maglie…
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LA carriera di ALDO SERENA
foto Agenzia Liverani
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a carriera di Serena è stata lunga e decisamente soddisfacente. Spiccano, nel suo palmares, ben quattro Scudetti, due con il Milan (1991/92 e 1992/93), uno in maglia Juventus (1985/86) e uno nell’Inter del Trap (1988/89), da autentico protagonista. Proprio la stagione del tricolore con i nerazzurri è, probabilmente, la sua annata più luccicante. Riesce, infatti, a segnare ben 22 gol in 33 gare di campionato (titolo di capocannoniere della Serie A), suo record personale nella massima serie. Ma Serena ha un altro primato che difficilmente sarà battuto. Ha, infatti, disputato entrambi i derby di Torino e Milano e, fatto da rimarcare, li ha giocati indossando ogni possibile maglia. Tra i tanti giocati, indimenticabile, almeno per i tifosi del Torino, quello datato 18 novembre 1984. Al Comunale va in scena un Derby della Mole molto atteso. La Juventus del Trap punta sul duo PlatiniBoniek, i granata si affidano a Serena e Dossena. Il vantaggio è dei bianconeri, proprio con Platini. Ad inizio ripresa, Francini pareggia i conti. Si va verso il pareggio ma, all’89, su calcio d’angolo battuto da Leo Junior, Serena, con un grande colpo di testa ad anticipare Tacconi, trova la rete che vale il successo nel derby. Un gol segnato proprio davanti alla Maratona, un gol che ogni tifoso granata ricorda con grande gioia, come lo stesso Serena: “Una delle più grandi soddisfazioni delle mia vita, poi arrivata proprio alla fine”, dirà un giovane ed emozionato Serena ai microfoni della Rai nel post partita. Una gran bella soddisfazione per un attaccante che, dati alla mano, ha sempre saputo svolgere il suo ruolo di bomber al meglio. Intenso anche il rapporto con la Nazionale. Convocato per i Mondiali del 1986 (senza mai scendere in campo), è presente nella sfortunata spedizione azzurra che sfiora il grande risultato ai Mondiali del 1990. Segna negli ottavi di finale contro l’Eire e porta in vantaggio l’Italia contro l’Argentina in semifinale. Poi, purtroppo, sbaglia uno dei rigori che condannano la Nazionale all’eliminazione contro l’Albiceleste di Maradona. E’ ricordato per essere stato uno dei migliori attaccanti italiani degli anni ’80: “L’ho sempre stimato e rispettato. Ha sempre avuto un grande feeling con la porta e poi, di testa, era una sentenza”, il commento del pari ruolo Pruzzo.
Stagione
Squadra
SERIE
PRESENZE
RETI
1977-1978
Montebelluna
D
29
9
1978-1979
Inter
A
2
1
1979-1980
Como
B
18
2
1980-1981
Bari
B
35
10
1981-1982
Inter
A
21
2
1982-1983
Milan
B
20
8
1983-1984
Inter
A
28
8
1984-1985
Torino
A
29
9
1985-1986
Juventus
A
24
11
1986-1987
Juventus
A
27
10
1987-1988
Inter
A
29
6
1988-1989
Inter
A
33
22
1989-1990
Inter
A
30
9
1990-1991
Inter
A
20
8
1991-1992
Milan
A
9
0
1992-1993
Milan
A
1
0
I GIGANTI DEL CALCIO / ALDO SERENA
GLI ANNI ROSSONERI
foto Agenzia Liverani
Ha vissuto un'esperienza importante e vincente anche con il Diavolo
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I GIGANTI DEL CALCIO / ALDO SERENA
L'INTER DEI RECORD
foto Agenzia Liverani
22 gol nell'anno della super squadra del Trap...
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I GIGANTI DEL CALCIO / ALDO SERENA
Quali sono i tre giocatori più forti con i quali ha giocato? "Senza dubbio Platini, Van Basten e Matthaus". E il difensore più forte affrontato? "Cito sicuramente Vierchowod, aveva una potenza fisica clamorosa. Poi Maldini, ovviamente". Trapattoni può essere definito il suo 'padre' calcistico? "Sì, direi di sì. Diciamo la mia 'guida' calcistica. Ma posso dire lo stesso di Bersellini e Radice. Quando gli allenatori puntano su di te in vari momenti della carriera di un calciatore, scegliendolo e volendolo in squadre diverse, è sempre un orgoglio e un qualcosa di molto bello, estremamente appagante. Io non ero un attaccante universale, dovevo sfruttare le mie caratteristiche e mettermi a disposizione della squadra. Ero forte di testa e nell'area di rigore, questi allenatori lo capirono". Oggi c'è un giocatore simile a Serena? "Per certi versi Mandzukic, forse anche Pazzini. Probabilmente io ero più cattivo a livello agonistico, ma questi paragoni ci possono stare". Inevitabile
chiederle
un
ricordo
“”
contro l'Argentina? "Quel calcio di rigore resta per me una 'macchia'. Al termine della partita staccai con la testa, non ero pronto e quando il mister mi comunicò che sarei stato uno dei rigoristi, beh... non nascondo che salii un po' di ansia. Non sono stato in grado di mantenere l'equilibrio. Peccato, secondo me eravamo la squadra più forte di quel Mondiale. Quando andavamo all''Olimpico' era uno spettacolo, quello stadio era veramente il dodicesimo uomo. Credo che se avessimo giocato sempre lì saremmo diventati campioni del mondo. Era veramente casa nostra".
dell'Inter '88-'89, quella 'dei record'. "Era una squadra fortissima, con centrocampisti di assoluto livello che segnavano parecchi gol. Superfluo sottolineare la grandezza di quella stagione, non a caso è soprannominata come quella dei 'record'. Per quanto riguarda la mia storia in nerazzurro, ho solo un rammarico: essere stato impiegato come attaccante centrale solamente in una stagione, proprio quella dello Scudetto. Spesso mi adattavo lateralmente, ma non era il mio ruolo. Al Torino e alla Juventus, invece, giocavo nella posizione naturale, così mi sentivo a mio agio".
Rapporto forse un po' particolare, il suo, con la maglia azzurra. "Non ho mai avuto continuità. Tanti spezzoni di gara e le sole 24 presenze lo spiegano. Non mi sono mai sentito un titolare, venivo impiegato quando serviva, solamente in frangenti di gara. Dovevo sempre lottare per una convocazione e per scendere in campo".
Per i tre giocatori più forti con cui ho giocato faccio i nomi di Platini, Van Basten e Matthaus
Capitolo Nazionale: cosa darebbe per poter tirare un'altra volta quel rigore
Nonostante ciò, difficile (quasi impossibile) non essere pienamente soddisfatto di una carriera come la sua. "Assolutamente, anche se un rammarico resta: mi sarebbe piaciuto vincere lo Scudetto con il Torino. Conquistare il tricolore con Inter, Milan, Juventus e Toro sarebbe stato il massimo".
foto Agenzia Liverani
personale, raggiunsi una dimensione internazionale".
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SPECIALE DERBY DELLA MOLE
IL DERBY PIÙ TITOLATO D’ITALIA 68
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SPECIALE / DERBY DELLA MOLE
marco tardelli e paolino pulici
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JUVE VS TORINO Una sfida mai banale, un derby storico, sempre accesso...
Con i 62 trofei nazionali che si porta in dote, il derby della Mole è la stracittadina regina del nostro calcio. Perché quando si affrontano Juventus e Torino non è mai una partita come tutte le altre di Luca GANDINI - foto Agenzia Liverani
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SPECIALE / DERBY DELLA MOLE
Con i 62
trofei nazionali che si porta in dote, il derby della Mole è la stracittadina regina del nostro calcio. Perché quando si affrontano Juventus e Torino non è mai una partita come tutte le altre. Non sarà più capitale d'Italia da 151 anni, ma nel calcio la città di Torino è tuttora la più carica di allori a livello nazionale. Se ai 32 Scudetti, alle 11 edizioni della Coppa Italia e alle 7 della Supercoppa Italiana conquistati dalla Juventus, sommiamo infatti i 7 campionati e le 5 Coppe nazionali esibiti dal Torino, risulta chiaro come l'antica Augusta Taurinorum, con i suoi 62 trofei complessivi, continui a guardare dall'alto tutte le rivali metropolitane. La Milano rossonerazzurra non va oltre i 59 successi, distribuiti tra 36 Scudetti, 12 Coppe Italia e 11 Supercoppe di Lega, mentre staccata anni luce appare Roma, al terzo posto di questa speciale classifica con 5 titoli tricolori, 15 Coppe e 5 Supercoppe, per un totale di 25 affermazioni. Ma Torino rappresenta qualcosa in più, nella nascita e nello sviluppo dell'italico pallone. Fu proprio sulle rive del Po che, il 16 marzo 1898, venne fondata la Federazione Italiana del Football (l'odierna FIGC), e fu il Velodromo Umberto I, nei pressi del rione Crocetta, ad ospitare, l'8 maggio di quell'anno, la prima edizione del campionato italiano di calcio. In realtà, all'epoca, il derby della Mole era molto diverso da come lo conosciamo oggi. Erano infatti i bianconeri dell'Internazionale Torino, i gialloneri del FC Torinese e i rossoblu della Reale Società Ginnastica a rappresentare l'antica capitale e a contendere, sempre senza successo, i primi titoli nazionali all'insuperabile Genoa. Fu la Juventus, società fondata il 1° novembre 1897 da alcuni studenti del liceo classico “Massimo D'Azeglio”, la prima compagine torinese ad iscrivere il proprio nome nell'albo d'oro del campionato nel 1905. Era un periodo cruciale, quello, per il calcio all'ombra della Mole. Il 3 dicembre dell'anno successivo, dalle ceneri dell'antico e gagliardo FC Torinese e in seguito alla fuoriuscita dalla Juventus di un gruppo di dissidenti, tra cui lo stesso presidente (davvero altri tempi...), nasceva il FC Torino, la metà granata del cielo cittadino, pronta a dare vita insieme ai cugini bianconeri a una tra le più accese rivalità sportive del nostro Paese.
ALEKSANDER ZAVAROV e giacomo ferri QUANTE BATTAGLIE: Bianconeri vs granata, una rivalità nata agli albori del calcio italiano
IL DERBY
DELLO SCANDALO Tr a d i z i o n a l m e n t e espressione dell'aristocrazia e dell'alta borghesia cittadina, la Juventus trovò subito nel Torino, la squadra del proletariato, un’indomita avversaria. Se ne accorsero già tra gennaio e febbraio 1907, i bianconeri, quando i granata vinsero i primi due derby estromettendo i concittadini dalla corsa al titolo, poi finito al Milan. Ci fu però una data ancor più importante, scolpita a caratteri cubitali nella storia non solo della Juventus, ma di tutto il calcio italiano. Il 24 luglio 1923 segnò l'avvento alla presidenza del club di Edoardo Agnelli, figlio del senatore Giovanni già fondatore della FIAT. L'inizio di un connubio destinato a durare sino ai giorni nostri, visto quanto forte è tuttora il legame tra il club bianconero e la famiglia di industriali. Ma un derby che si rispetti ha bisogno anche del suo giallo. Il fattaccio più clamoroso nella storia della stracittadina
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Roberto Boninsegna e PAOLINO PULICI SPESSO AI LIMITI DEL REGOLAMENTO: Il Derby della Mole non è mai stato per cuori teneri
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avvenne in occasione dell'incontro del 5 giugno 1927, quando il Toro, superando 2-1 la Juve in un match vietato ai deboli di cuore, si involò verso il suo primo Scudetto. Neanche il tempo di festeggiare che, pochi mesi dopo, venne a galla un tentativo di illecito messo in atto da un dirigente granata nei confronti del terzino juventino Luigi Allemandi. Come siano andate le cose resta tuttora un mistero. Si parlò di 50.000 Lire finite nelle tasche di Allemandi affinché non giocasse la partita della vita, ma sta di fatto che, secondo le cronache, il terzino fu uno dei migliori in campo. Si parlò allora di un altro giocatore juventino “ammorbidito” dietro lauto compenso. Insomma: il primo di un'infinita serie di scandali a cui i calciofili nostrani si sarebbero, volenti o nolenti, dovuti abituare. Come finì? Che la Federazione squalificò a vita Allemandi (puntualmente graziato qualche mese dopo) e privò il Toro del titolo, che rimase pertanto non assegnato. La riscossa granata non si fece attendere e così, la stagione successiva, una strabiliante reazione d'orgoglio dei vari Julio Libonatti, Mario Sperone, Adolfo Baloncieri e Antonio Janni, permise alla squadra di conquistare, con pieno merito e senza ombre, il suo primo, vero Scudetto. Ma il campionato italiano non fu l'unico palcoscenico in cui le duellanti si diedero battaglia per la supremazia. Nel maggio del 1938, per la prima e unica volta, la finale di Coppa Italia vide Torino e Juventus giocarsi l'atto decisivo. La Juve non era già più la corazzata che nella prima metà del decennio si era laureata per 5 volte consecutive campione d'Italia, ma era pur sempre la peggior avversaria che potesse capitare al Toro, che infatti si arrese perdendo 3-1 l'andata e 2-1 il ritorno. A far la parte del leone, il centravanti bianconero Guglielmo Gabetto, colui che, molti anni dopo, avrebbe infiammato i derby della Mole con la maglia granata del Torino. Anzi, del Grande Torino.
SETTE VOLTE GRAZIANI: Ciccio ha sempre avuto un gran feeling con il Derby della Mole
UN DESTINO
CRUDELE In un'Italia che usciva con le ossa rotte dalla guerra, la rivalità tra Fausto Coppi e Gino Bartali nel ciclismo e le imprese dello squadrone granata rappresentarono quel gancio di spensieratezza a cui milioni di nostri connazionali poterono aggrapparsi per dimenticare, o quanto meno accantonare, le tante angosce della vita quotidiana. L'abilità manageriale e la disponibilità economica del presidente Ferruccio Novo avevano portato allo stadio Filadelfia alcuni tra i migliori giocatori del nostro Paese. Dall'irripetibile coppia di mezzali Valentino Mazzola-Ezio Loik al prodotto del vivaio Virgilio Maroso, un terzino grandissimo nonostante l'alta predisposizione agli infortuni. E poi lo strepitoso portiere Valerio Bacigalupo, il jolly d'attacco Franco Ossola, il mediano-goleador Eusebio Castigliano e proprio Guglielmo Gabetto, il terminale offensivo della squadra. Tutti, o quasi, erano nazionali, e per ben 5 volte consecutive si cucirono il Tricolore sul petto. All'epoca, alle avversarie restarono soltanto le briciole, e nemmeno la potente Juventus del giovane Avvocato Gianni Agnelli poté impensierire i dirimpettai granata. Una epopea che non ebbe il lieto fine. Di ritorno da una trasferta a Lisbona, l'aereo che riportava a casa Mazzola e compagni si schiantò sulla basilica di Superga il pomeriggio del 4 maggio 1949. Morirono tutti. Così come era meravigliosamente sbocciato, il Grande Torino, improvvisamente, era volato via. Se
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prima di quel giorno la situazione sotto la Mole era stata di un sostanziale equilibrio, con 7 Scudetti a 6 in favore della Juventus e di 2 Coppe Italia vinte a testa, il dopo-Superga segnò da un lato la progressiva scomparsa del Torino dall'élite pallonara e la contemporanea affermazione della Juve quale Signora indiscussa del nostro calcio. A restituire un po' di gioia ai cuori granata fu, a metà anni '60, l'apparire sulla scena di un giovanotto dal capello lungo e dai calzettoni perennemente abbassati, che dribblava come un brasiliano e che prometteva di riportare la squadra ai fasti di un tempo. Ancora una volta, però, il destino si accanì con ferocia su questa società già duramente colpita a Superga, portandosi via Gigi Meroni in una tragica domenica di ottobre del 1967. La settimana successiva, era in programma il derby. Il Toro lo affrontò con la morte nel cuore, e con tutta la rabbia che aveva in corpo dominò la Juve dal primo all'ultimo minuto. Tre gol furono del franco-argentino Néstor Combin, che di Meroni era stato l'amico più caro, e il quarto portò la firma del giovane Alberto Carelli, che indossava la maglia numero 7 ereditata dallo sfortunato campione. Una giornata triste e memorabile. Il derby della Mole è, a volte, anche questo.
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TORINO IN
TUMULTO Anni '70. In poco tempo, la città di Torino era radicalmente cambiata. Migliaia di immigrati erano approdati dal Sud nella speranza di un futuro migliore che solo la FIAT ed il suo indotto potevano garantire. Ma proprio all'interno delle fabbriche iniziò a diffondersi il germe della contestazione e della rivolta operaia. Non a caso, Torino fu una delle roccheforti storiche delle Brigate Rosse ed epicentro dei cosiddetti “anni di piombo”. Anche il calcio, seppur in maniera meno drammatica, portò in sé i cambiamenti in atto nella società. Se tradizionalmente la Juventus era stata la rappresentante dei ceti benestanti, pian piano diventò la squadra di riferimento della classe operaia, soprattutto di origine meridionale, mentre i granata incarnavano lo spirito della “veja Turin”, cioè di quella parte della città che, in dialetto, tramandava di padre in figlio le glorie di Valentino Mazzola e di un passato ormai lontano. Sarà l'indomabile orgoglio granata, sarà che il derby non è mai una partita come le altre, Madama Juventus faticò e non poco a contenere l'irrefrenabile forza d'urto dei cugini in quel concitato decennio. Dall'8 febbraio 1970 al 21 ottobre 1979 vennero infatti disputate 20 stracittadine, con 5 vittorie juventine, 7 pareggi e 8 successi torinisti. A questa supremazia granata negli scontri diretti fecero però da contraltare i 5 Scudetti a 1 per la Vecchia Signora. Fu perciò una gioia doppia, per i tifosi granata, aver la meglio sugli storici rivali in quell'indimenticabile stagione 1975/76. La Juve vantava tra le sue fila ben 6 tra ex e futuri campioni del mondo: José Altafini, Dino Zoff, Claudio Gentile, Gaetano Scirea, Marco Tardelli e Franco Causio. Il Toro delirava invece ai gol dell'infallibile coppia offensiva Paolino Pulici-Ciccio Graziani. Nel derby di dicembre proprio questi ultimi matarono Madama, lanciandole una sfida che si sarebbe protratta fino in primavera, quando gli uomini di Gigi Radice si aggiudicarono anche il derby di ritorno, involandosi in un trionfale sprint finale che li consacrava campioni d'Italia a 27 anni di distanza da Superga. “Era dal Giorno della
MERONI, IL GRANATA: Doveva andare alla Juventus ma il popolo del Toro si mise di traverso
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CLASSIFICA Cannonieri All Time derby della Mole #
Giocatore
Gol
1
Giampiero Boniperti
14
2
Guglielmo Gabetto
12
3
Paolino Pulici
9
4
Felice Borel
8
5
Francesco Graziani
7
Eugenio Mosso
7
Michel Platini
7
Gianluca Vialli
7
Pietro Anastasi
6
Omar Sivori
6
Julio Libonatti
6
9
Curiosità Tutti i gol segnati nel derby di Torino con la maglia della Juve Segna 7 gol da bianconero, 5 da granata. Decisivo, in trasferta, nel 1947 per il Toro Gioca a Torino dal 1967 al 1982 e punisce la Juve ben 9 volte. L'ultimo gol nel 1977 Proviene dalle giovanili granata ma segna nel derby solo in maglia Juve Per ben 7 volte va in rete contro la Juventus. Indimenticabile la doppietta del 1980 Il Mosso III aveva un conto sempre aperto contro i rivali della Juventus Dal 1982 al 1987 alla Juve, memorabile la doppietta nel derby del 1984 Un altro bianconero che amava particolarmente segnare al Torino Bianconero dal 1968 al 1976, 6 volte fa piangere la difesa granata Dal 1957 al 1965 alla Vecchia Signora con 6 centri rifilati ai granata Dal 1925 al 1934 stella dei granata. Spesso decisivo nel derby di Torino
Liberazione che non vedevo una città così felice!”, esclamò un euforico sindaco (granata) Diego Novelli...
foto fotoAgenzia Agenzia Liverani Liverani
UNA... MOLE
DI EMOZIONI Già la stagione successiva, le due rivali diedero vita a uno tra i duelli più memorabili mai vissuti dal nostro campionato. Alla Juventus era arrivato l'emergente tecnico milanese Giovanni Trapattoni, pronto a sfidare il vecchio amico Radice per la supremazia non solo cittadina, ma nazionale. Come l'anno prima, a dicembre, Graziani e Pulici stesero Zoff e soci e balzarono in testa, ma la Juve rimase lì, a lottare punto a punto con gli avversari. Dopo sorpassi e controsorpassi e l'ininfluente 1-1 nel derby di ritorno, ecco la Juve far valere la sua maggiore abitudine al successo e dare il colpo di reni decisivo, laureandosi campione per un solo, misero punticino. Che annate, quelle, per la città. E che peccato che l'equilibrio sia durato così poco. Negli anni '80 il divario tra le due società si ampliò ulteriormente. La Juventus prese il largo non solo entro i confini nazionali, ma anche in Europa, collezionando tutti i trofei più prestigiosi e i più celebri campioni italiani e stranieri. Il Toro provò a mettere i bastoni tra le ruote ai cugini, ma più di tanto non poté fare. Intendiamoci: i derby erano sempre i derby. Una volta, il 15 marzo 1981, sugli spalti del Comunale, accanto al presidente juventino Giampiero Boniperti sedeva il capo dello Stato Sandro Pertini. Al gol del vantaggio bianconero firmato dall'irlan-
PAOLINO PULICI LA FORZA DEL TORO: Spesso le vittorie granata sono arrivate al termine di epiche partite...
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foto Agenzia Liverani
LA SIGNORA IN BIANCONERO La Juventus ha sempre un occhio particolare per il Derby della Mole
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Gaetano Scirea e Antonello Cuccureddu
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dese Liam Brady, Boniperti, talmente preso dall'entusiasmo, perse il tradizionale aplomb e stampò un bacio sulla guancia di un sorpreso Pertini! Giusto l'anno dopo, altro derby da incorniciare per la Vecchia Signora. Dopo 22 minuti il Torino era avanti di 2 gol, poi si scatenò Tardelli che accorciò le distanze, Scirea trovò un'insolita doppietta e il solito Brady chiuse i conti sul 4-2 bianconero. “Juve ciclone!”, titolò a giusta ragione la Gazzetta dello Sport. Il derby degli anni '80 che i torinisti ricordano invece con più piacere fu quello del 27 marzo 1983. Lì accadde il contrario, nel senso che la Juventus stellare di Michel Platini e Pablito Rossi, dopo 65 minuti, conduceva 2-0. Tra il 70° e il 75°, la furia granata ribaltò la partita, con un 3-2 che fece uscire la Gazzetta con un eloquente: “Juve annientata!”. Dagli altari alla polvere. È questa la dura legge del derby.
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LA LEGGE
ZOFF, QUANTI DERBY: Uno che di stracittadine ne ha vissute un'infinità...
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BIANCONERA Proprio alla fine del decennio, e a 40 anni esatti dalla sciagura di Superga, il Torino precipitava in Serie B. Si sarebbe ripreso subito, grazie alle idee di un ex ragazzo del Filadelfia, mister Emiliano Mondonico, l'ultimo a portare nelle bacheche granata un trofeo di prestigio, la Coppa Italia 1992/93. Ciliegina sulla torta, lo sgambetto ai cugini in semifinale dopo due derby tiratissimi e decisi solo dai gol in trasferta. Anche la Juventus, a cavallo tra anni '80 e '90, visse una fase interlocutoria. Fu solo in seguito a una profonda ristrutturazione societaria che portò in plancia di comando l'amministratore delegato Antonio Giraudo, il re del mercato Luciano Moggi e l'ambizioso tecnico toscano Marcello Lippi, che la squadra bianconera poté ritrovare se stessa e la propria inestinguibile fame di vittorie. E a quel punto, per il Torino, non ci fu più storia. Dalla scorpacciata bianconera del 3 dicembre 1995 (5-0 per Alex Del Piero e compagni) al successo in extremis firmato Arturo Vidal-Andrea Pirlo del 30 novembre 2014: 19 anni e 17 partite in cui la Juve non ha conosciuto sconfitte nello scontro diretto con i cugini, ormai destinati con rammarico ad inchinarsi ai dominatori della città. Con rammarico, sì, ma senza perdere la voglia di lottare. Memorabile, a questo proposito, la doppia sfida della stagione 2001/02. All'andata, una Juve un po' presuntuosa aveva chiuso il primo tempo sul 3-0. Nella ripresa, il Toro ferito reagì incornando la Signora per 3 volte. Quando la partita sembrò chiudersi sul pari, ecco arrivare un calcio di rigore per gli uomini di Lippi. Marcelo Salas si presentò sul dischetto, ma sciupò tutto, per la disperazione della Curva Scirea. Grande spettacolo anche al ritorno. In notturna, la Juventus schiumante di rabbia per il 2-1 avversario si riversò nella metà campo granata alla ricerca del pareggio. Che arrivò, in extremis, grazie ad Enzo Maresca, l'eroe a sorpresa protagonista poi di quella clamorosa esultanza mimando la corsa di un toro scatenato. Da allora, di acqua sotto il Ponte Vittorio Emanuele I ne è passata parecchia. Il Torino sarebbe fallito e poi risorto. La Juventus avrebbe conosciuto l'onta della Serie B e una nuova stagione di grandezza, con un altro Agnelli al timone. Inutile nasconderlo: nel calendario di ogni tifoso che si rispetti, sono già segnate in rosso le date della grande sfida. Guai a parlare di semplice partita: significherebbe non aver capito nulla di quanto il derby della Mole ci ha insegnato in questi 110 lunghissimi anni di vita.
PIRLO, CHE MAGIA: Indimenticabile il gol vittoria dell'ex centrocampista bianconero...
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record invincibili UNA SQUADRA SUPER
foto Agenzia Liverani
Baresi, uno dei leader del Milan degli imbattibili
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MILAN
GLI INVINCIBILI Una squadra stellare, capace di non conoscere l’onta della sconfitta per 58 gare di fila in campionato…
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di Thomas SACCANI
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6 maggio 1991, il Milan di un Sacchi ormai al passo d’addio, a San Siro, non va oltre ad uno scialbo 0-0 con il Parma. Una partita di poca qualità e dalle emozioni ridotte che, tuttavia, entrerà, di fatto, nella storia del calcio italiano. In quella data, infatti, il Diavolo saluta il suo profeta, quel Sacchi capace di portarlo sul tetto del mondo ma non solo. Quella sarà l’incontro che darà il via ad una lunga serie di partite senza sconfitte. Gli Invincibili, così saranno ribattezzati, non verranno superati da nessun avversario, in campionato, per ben 58 gare di fila (39 vittorie, 19 pareggi). A conti fatti, quasi due anni senza uno stop. Bisognerà attendere, in-
fatti, il 21 marzo del 1993 per assistere alla prima debacle di quella meravigliosa squadra, ad opera, ironia della sorte, proprio del Parma… Un primato al quale, in casa Milan, tengono particolarmente. Non a caso, qualche tempo fa, in occasione della sconfitta, dopo 49 gare “positive”, degli odiati rivali bianconeri guidati, allora, da Conte, sul sito ufficiale del club rossonero è stato ricordato il record degli Invincibili. Una striscia partita, al termine della stagione 1990/91, con Sacchi in panchina e conclusa, durante il campionato 1992/93, con Capello alla guida della squadra. Una rosa di fenomeni. Curioso ripercorrere la lista dei giocatori che hanno partecipato, almeno con una presenza, a quell’impresa: Seba Rossi, Tassotti, Maldini, Carbone, Costi, Galli, Costacur-
ta, Stroppa, Rijkaard, Van Basten, Evani, Agostini, Massaro, Albertini, Ancelotti, Antonioli, Cornacchini, Donadoni, Fuser, Gambaro, Gullit, Serena, Simone, Boban, De Napoli, Eranio, Lentini, Nava, Papin e Savicevic. Insomma, non proprio degli sconosciuti… Una cavalcata impressionante, frutto di un carattere di marmo e, ovviamente, di giocatori stellari, capaci di dominare in Italia e nel mondo. Il prodotto Milan al proprio meglio. In mezzo, stagione 1991/92, anche un intero campionato senza la macchia di una sola partita persa, a dimostrazione dell’eccezionalità di quel gruppo. Un’avventura epica, con un finale da sceneggiatura hollywoodiana. E dire che, durante il lungo cammino, il Milan rischia, più volte, di cadere. Il 15 settembre 1991, al Delle Alpi, contro la
Fabio capello e franco baresi
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record invincibili
LA PUNIZIONE DI TINO
IL TABELLINO DELLA GARA
MILAN-PARMA 0-1
“D
i tutte le grandi emozioni che mi ha regalato il calcio, quella che ricordo con più entusiasmo riguarda la stagione 1992/93, quando giocavo con il Parma in Italia. Ricordo il gol che fermò la striscia del Milan a 58 gare”, parole e musica di Tino Asprilla. Il colombiano, amatissimo nel Bel Paese, è, infatti, il giocatore che ha chiuso l’era degli Invincibili. È stato proprio Asprilla, il 21 marzo 1993, a San Siro, a battere la squadra che non perdeva da oltre un anno e mezzo. Una rete arrivata con un perfetto calcio di punizione (58’), non proprio il marchio di fabbrica del puntero dei ducali. Una magia che lascia di sasso Seba Rossi, estremo difensore rossonero, proprio quello che serviva per fermare la corsa degli Invincibili… Lo stesso Seba Rossi, a caldo, dopo il match, si lascia andare ad un commento “velenoso”, riportato dalla Stampa: “Non ho visto partire la palla, così mi sono fatto sorprendere. E se anche mi fossi buttato, non l’avrei presa. Un tiro azzeccato e fortunoso. Asprilla ha pescato il jolly. Neanche il grande Platini sarebbe stato capace di fare meglio”.
Le 58 PARTITE senza sconfitte
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Milano, 21 Marzo 1993, Stadio "San Siro" Spettatori: 75.572 circa, di cui 2.538 paganti Arbitro: Cesari della Sezione di Genova MILAN: S. Rossi, Tassotti (73' Serena), P. Maldini, De Napoli, Costacurta, Baresi II, Evani, Eranio (67'Gambaro), Papin, Savicevic, Massaro. Allenatore: Capello PARMA: Ballotta, Pin (74' Matrecano), Di Chiara, Minotti, Apolloni, Grun, Melli, Zoratto, Osio (89' Pulga), Cuoghi, Asprilla. Allenatore: Scala Reti: 58' Asprilla
tino asprilla
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1991/92 – Milan-Ascoli 4-1
39
1992/93 – Sampdoria-Milan 1-2
20
1991/92 – Cagliari-Milan 1-4
40
1992/93 – Fiorentina-Milan 3-7
#
Stagione
1
1990/91 – Milan-Parma 0-0
21
1991/92 – Milan-Juventus 1-1
41
1992/93 – Milan-Lazio 5-3
2
1991/92 – Ascoli-Milan 0-1
22
1991/92 – Fiorentina-Milan 0-0
42
1992/93 – Parma-Milan 0-2
3
1991/92 – Milan-Cagliari 1-0
23
1991/92 – Genoa-Milan 0-0
43
1992/93 – Milan-Torino 0-0
4
1991/92 – Juventus-Milan 0-0
24
1991/92 – Milan-Atalanta 3-1
44
1992/93 – Napoli-Milan 1-5
5
1991/92 – Milan-Fiorentina 1-1
25
1991/92 – Parma-Milan 1-3
45
1992/93 – Milan-Inter 1-1
6
1991/92 – Milan-Genoa 1-1 (rec.)
26
1991/92 – Milan-Bari 2-0
46
1992/93 – Juventus-Milan 0-1
7
1991/92 – Atalanta-Milan 0-2
27
1991/92 – Roma-Milan 1-1
47
1992/93 – Milan-Udinese 1-1
8
1991/92 – Milan-Parma 2-0
28
1991/92 – Milan-Sampdoria 5-1
48
1992/93 – Milan-Ancona 2-0
9
1991/92 – Bari-Milan 0-1
29
1991/92 – Cremonese-Milan 1-1
49
1992/93 – Roma-Milan 0-1
10
1991/92 – Milan-Roma 4-1
30
1991/92 – Milan-Inter 1-0
50
1992/93 – Milan-Cagliari 1-0
11
1991/92 – Sampdoria-Milan 0-2
31
1991/92 – Torino-Milan 2-2
51
1992/93 – Brescia-Milan 0-1
12
1991/92 – Milan-Cremonese 3-1
32
1991/92 – Milan-Lazio 2-0
52
1992/93 – Milan-Genoa 1-0
13
1991/92 – Inter-Milan 1-1
33
1991/92 – Napoli-Milan 1-1
53
1992/93 – Foggia-Milan 2-2
14
1991/92 – Milan-Torino 2-0
34
1991/92 – Milan-Verona 4-0
54
1992/93 – Milan-Pescara 4-0
15
1991/92 – Lazio-Milan 1-1
35
1991/92 – Foggia-Milan 2-8
55
1992/93 – Atalanta-Milan 1-1
16
1991/92 – Milan-Napoli 5-0
36
1992/93 – Milan-Foggia 1-0
56
1992/93 – Milan-Sampdoria 4-0
17
1991/92 – Verona-Milan 0-1
37
1992/93 – Pescara-Milan 4-5
57
1992/93 – Milan-Fiorentina 2-0
18
1991/92 – Milan-Foggia 3-1
38
1992/93 – Milan-Atalanta 2-0
58
1992/93 – Lazio-Milan 2-2
Calcio 2OOO
PARTITA
foto Agenzia Liverani
Di Thomas Saccani Un gol capolavoro per spezzare il sogno degli Invincibili…
Napoli, alla sua prima da titolare nel Milan. Gli emiliani non sono una corazzata, pensano a difendersi e a ripartire. C’è tanta noia sugli spalti, fino al 58’ quando Asprilla, con un colpo di rara bellezza, sveglia l’intero stadio. Il Parma è in vantaggio. Sospinto dal suo pubblico, il Diavolo prova a ricucire lo strappo ma il risultato non cambia. La striscia si conclude. Tanti gli applausi per il Milan ma giornata da ricordare soprattutto per il Parma. Il tecnico Scala, nel post match della storica partita, spiegava così il motivo del clamoroso successo: “Avevamo parlato, a fine primo tempo, in maniera nervosa. Mi ero arrabbiato molto con i miei
paolo maldini
giocatori. Avevo detto che, se giocavamo come sapevamo, potevamo batterli”. E, in effetti, così accade. Amarezza per la sconfitta ma anche la consapevolezza di essere entrati nella storia. Lo capisce immediatamente l’allora patron del Milan Berlusconi. “Abbiamo stabilito un record che passerà alla storia del calcio italiano e mondiale. Siamo contenti tutti per questo traguardo, l’hanno capito anche i tifosi che, alla fine della partita, hanno applaudito la squadra che avrebbe meritato di fare tre giri di campo”, racconterà nel post gara. Sono passati oltre 20 anni da quell’impresa leggendaria e, ancora oggi, nessuno è riuscito a fare meglio degli Invincibili…
foto Agenzia Liverani
Juventus, il pareggio arriva al 92’ grazie ad un’autorete di Carrera. La settimana seguente, Van Basten agguanta il pari sul campo della Fiorentina all’86’ su rigore. Si rischia grosso anche nella casa casalinga (20 novembre 1991) contro il Genoa (1-1, pari del solito Van Basten, su rigore, all’85’). Tuttavia, il record è resistito comunque, almeno fino al 21 marzo 1993, il giorno in cui i ducali di Scala realizzano l’impresa, scioccando il popolo rossonero. Il Milan, forte di un primo posto in classifica piuttosto saldo e concentrato più sull’allora Coppa Campioni, gioca svagato, con poco brio. In campo ci sono volti poco noti, come De
Fabio capello e silvio berlusconi
foto Agenzia Liverani
foto Agenzia Liverani
MILAN
Calcio 2OOO
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STORIE INCREDIBILI IL BULGARO
di Tommaso DE PAOLI
foto Steve Bacon
Il sogno di TITTYSHEV
STEVE DAVIES e HARRY REDKNAPP
O
Un racconto epico, una storia ormai leggendaria…
ggi Steve Davies è un uomo sulla cinquantina. È il classico tipo inglese da stadio, almeno secondo l’immaginario collettivo: pancetta da birra, occhi furbi e pochi capelli sulla testa. Steve non è di Londra ma tifa West Ham. Come mai? Perché, guardando la finale di Coppa d’Inghilterra del 1975, vide gli Hammers battere il Fulham per 2-0: “Avevo 9 anni, il West Ham vinse la Coppa e pensai che avrebbe vinto per sempre. Oggi so che non sarebbe stato così”, scherza Steve. C’è stato un tempo in cui non aveva la stessa diplomazia, nel valutare la sua squadra. Corre l’anno 1994, gli Hammers
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Calcio 2OOO
sono in Premier League e stanno preparando la stagione sportiva 1994/95. Sono appena terminati i Mondiali negli Stati Uniti e una nazionale ha sorpreso tutti: la Bulgaria di Hristo Stoichkov, eliminata solo in semifinale dalla classe immensa di un giocatore italiano, con il numero 10 e il codino. Steve è un tifoso sfegatato e ogni scusa è buona per andare a vedere i suoi idoli. Amichevoli estive? Partite di campionato? Who cares? L’importante è stare in compagnia degli amici, vedere gli Hammers giocare e bere una birra. Anche più di una, probabilmente. E allora, quando quell’estate del 1994 il West Ham affronta in una sgambata estiva l’Oxford City, squadra della settima categoria inglese, non perde
STORIE INCREDIBILI / IL BULGARO
MOMENTO STORICO
foto Steve Bacon
HARRY REDKNAPP e STEVE DAVIES
foto Steve Bacon
Il "bulgaro" entra in campo e diventa un racconto epico...
STEVE DAVIES
l’occasione e con l’amico storico Chuck, monta in macchina e si dirige verso Oxford. Per i tifosi locali, la partita contro i professionisti, è un grande evento e il Marsh Lane, il piccolo stadio del City, è esaurito in ogni ordine di posto. Tra i duemila spettatori ci sono anche Steve e Chuck. Sono lì, a bordo campo, a pochi metri dalla panchina di Harry Redknapp. Ah già, Harry Redknapp: è lui l’allenatore del West Ham nel 1994 ed è un uomo dotato di un’incredibile ironia. Un esempio? Quando nel 1996 arriverà al West Ham l’avvenente centrocampista portoghese Dani, Redknapp dirà: “Non so se metterlo in campo o scoparmelo”. La partita comincia e il West Ham, come da pronostico, si
porta in vantaggio e gioca bene. Steve però, non è soddisfatto. Ce l’ha con qualcuno in particolare: l’attaccante Lee Chapman, giocatore che non gli è mai piaciuto: “Asino!”, “Muovi il sedere!”, sono gli udibilissimi cori (siamo in un piccolo stadio di provincia…) che Steve dedica al suo “campione preferito”. Steve ce l’ha con Chapman perché è a terra troppo spesso, sovrastato dal suo diretto marcatore, un giocatore molto inferiore, tecnicamente e fisicamente. Gli improperi di Steve vengono uditi anche da Redknapp, ovviamente. A fine primo tempo, gli Hammers sono ancora in vantaggio, ma coach Redknapp deve fare i conti con una serie di infortuni e di affaticamenti che hanno decimato la sua squadra:
Calcio 2OOO
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STORIE INCREDIBILI / IL BULGARO
HARRY REDKNAPP
il secondo tempo lo dovrà giocare con gli uomini contati. Ed è qui che comincia a prendere forma l’incredibile storia di Tittyshev, il bulgaro. Al rientro dagli spogliatoi, infatti, anche il buon Chapman si infortuna, lasciando la squadra in 10. A quel punto Redknapp ha un’intuizione delle sue, si avvicina a Steve e gli chiede se saprebbe fare meglio di Chapman, visto che lo ha insultato per tutto il primo tempo. “Certamente!” risponde Steve, entusiasta e con la birra già in circolo. Allora Redknapp, senza battere ciglio, lo manda negli spogliatoi a cambiarsi e, al minuto 9 del secondo tempo, lo fa entrare sul terreno di gioco con il numero 3. Lo speaker dello stadio, non sapendo chi sia quello sconosciuto, si avvicina a Redknapp e gli chiede delucidazioni. “Ma come? Non hai visto il Mondiale?! È Tittyshev, il bulgaro!”, spiega il coach londinese. Lo speaker completamente spiazzato ribatte sicuro: “Certo! Come no?! Il grande Tittyshev! Fantastico acquisto Coach!”. E annuncia il suo ingresso sul terreno di gioco. Steve si trova così in mezzo al campo, a giocare assieme ai suoi idoli e con indosso la maglia della squadra del cuore. E la cosa più incredibile è che non gioca male, anzi. Corre come un matto alla ricerca del pallone e riesce a dialogare coi compagni con qualche buon tocco. Ma è al minuto 71 che accade l’impensabile: siamo sul 4-0 per gli Hammers e la partita è in
STEVE DAVIES
totale controllo. Steve è al centro dell’area, con due difensori avversari nei paraggi quando all’improvviso un cross dalla sinistra spinge rapido il pallone verso di lui. Steve, di puro istinto, va incontro al pallone e calcia. Calcia forte. La palla si dirige verso la porta, supera il portiere dell’Oxford e si insacca in rete. Steve impazzisce di gioia e così i tifosi presenti allo stadio. 5-0 per il West Ham, marcatore: Tittyshev, il bulgaro. Finita la partita, Steve rientra negli spogliatoi con i suoi compagni di squadra e chiede a Redknapp, tra il serio e il faceto, di metterlo sotto contratto. Non se ne fa niente, anche l’ironia del coach ha un limite. La carriera di Tittyshev inizia e finisce in quel pomeriggio. Il giorno dopo, al pub, Steve racconta la storia ai suoi amici, ma nessuno gli crede, perché i giornali non hanno ancora riportato la notizia. Fino a che il tabloid Sun, qualche giorno più tardi, pubblica un articolo su quell’incredibile storia con in primo piano le uniche tre foto che testimoniano l’accaduto. Steve diventa il re del pub. Ancora oggi, 22 anni dopo, molti tifosi del club londinese ricordano l’impresa di Steve “Tittyshev” Davies. E poco importa se quel gol, segnato da un hooligan sceso in campo per sostituire l’attaccante titolare di un club di Premier League, sia stato annullato per fuorigioco.
HARRY REDKNAPP e STEVE DAVIES
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Calcio 2OOO
DOVE SONO FINITI SECONDA PELLE
foto Agenzia Liverani
Il Cobra è cresciuto nel mito della maglia giallorossa
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Calcio 2OOO
Sandro TOVALIERI
L’INCANTO DEL COBRA
Incontriamo Sandro Tovalieri, storico bomber di Roma e Bari (tra le altre) negli Anni ’80 e ’90
C
di Pierfrancesco TROCCHI hi vince in questo mondo, se non chi non teme di prendere alla baionetta ogni occasione? Senza timore di mettersi in discussione, di scoprire, di amare. Perché Sandro Tovalieri di amore ne sa qualcosa. Ogni tifoso di ognuna delle dodici squadre in cui ha militato lo ha adorato per il suo piglio da bucaniere audace, capace di scaturire un’aura di sincero romanticismo prima e d’inguaribile nostalgia poi, tanto da scriverci una canzone. L’onore di ospitare il “Cobra” ci delizia.
Roma è una città feroce. Come hai fatto ad emergere già da ragazzino? “Avevo il semplice obiettivo di tirare due calci al pallone. Quando fin da piccolo hai la possibilità di approdare in una squadra come la Roma, cerchi di prenderla con la massima serenità, per raggiungere qualcosa di importante. Feci tutte le categorie del settore giovanile, poi a 16 anni ebbi la fortuna di allenarmi per tutta la stagione con la prima squadra con giocatori come Pruzzo, Falcao, Conti. Quando andai in panchina contro il Genoa nell’82/83, provai un’emozione grandissima”. Una passione ardente quella per i giallorossi la tua. “Sono nato con questa maglietta addosso, non posso dimenticarlo mai”. Tra i 18 e i 20 anni sigli 20 goal tra Pescara ed Arezzo. È stato difficile adattarsi alla B? “È il sogno di tutti i ragazzi approdare in una società di Serie B a 17 anni. Andai con grande entusiasmo e, specialmente, in Abruzzo conobbi Tom Rosati, un allenatore che per me fu un secondo padre”.
1985/'86, torni alla Roma. Cosa vuol dire segnare per la propria squadra del cuore? “Fu incredibile. Alla mia tripletta contro l’Ascoli sotto la Curva Sud impazzii di gioia. Poi, contro il Napoli di Maradona, la prima rete in Serie A, difficile da dimenticare”. Fu l’ultima stagione con i capitolini. Come mai non andò? “A 20 anni, tornassi indietro, non sbaglierei ancora. Avevo voglia di giocare, ma davanti avevo giocatori come Pruzzo. Andai via per essere titolare altrove, avrei dovuto avere più pazienza. Però, non rinnego nulla, perché ho giocato con passione ovunque sia andato e i tifosi conservano un ottimo ricordo di me”. Il passo seguente fu l’Avellino. Ti piacciono le piazze calde. “Mi sono sempre piaciute. Ti portano voglia, sacrificio, l’amore della gente. Erano gli anni dell’Avellino con lo stadio pieno, in Serie A. Davvero molto bello”. Poi tocca all'Arezzo, con cui finisci anche in C1. È stato difficile? “Sì, dovetti mostrare il carattere. Dopo un infortunio grave e una retrocessione, sono stato bravo a rimettermi in gioco e a fare un’ottima annata”. Ecco la terza “A”: Ancona. “Due anni splendidi, per la prima volta nella storia salimmo in massima serie. Un anno fantastico, con tante gioie per i tifosi”. 1994/'95, stagione del tuo ritorno in A, col botto. Quel Bari era una famiglia? “Bari fu il fulcro della mia carriera. 40 goal
Passione per la Roma? Sono nato con questa maglietta addosso, non posso dimenticarlo mai in 82 partite, la famiglia Matarrese, il ritorno in A con gli spalti gremiti: bellissimo. La squadra era forte, composta da giovani grintosi con voglia di emergere e da giocatori più esperti come me e Protti. Abbiamo lasciato una traccia importante in quella città”. Con Protti resta indelebile l’esultanza del trenino: chi ebbe l'idea? “La portò Guerrero dalla Colombia, c’è voluto qualche mese per imparare il movimento. Ogni volta che si segnava, anche tutta la curva ci imitava. È stato il via per le esultanze con un po’ di spettacolo, mi ha portato bene, come il mio soprannome”. “Il Cobra”, appunto. Come nacque? “Nasce sempre nei tre anni di Bari. Nello spogliatoio stavamo facendo un gioco in cui ci si davano soprannomi a vicenda. Venne il mio momento e, visto che sono sempre stato un uomo da area di rigore, velenoso sotto porta e pronto a colpire alla prima occasione, spuntò il “Cobra”…”.
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DOVE SONO FINITI BOMBER VERO
Chi dopo di me? Inzaghi ha rispecchiato più degli altri le mie caratteristiche, non perdonando mai in area
Tovalieri è stato uno degli attaccanti più prolifici della sua generazione
Chi è stato il “Cobra” dopo Tovalieri? “Sicuramente, Inzaghi ha rispecchiato più degli altri le mie caratteristiche, non perdonando mai in area”. Dopo Bari, Atalanta e Reggiana e, infine, 5 mesi nel ’97 a Cagliari. “Facemmo bene, perché a dicembre eravamo quasi retrocessi e nel girone di ritorno tenemmo un ritmo da Coppa Uefa. Mi dispiace non avere dato una gioia a quei 30.000 tifosi cagliaritani che ci seguirono nello spareggio. Furono eccezionali quando ci applaudirono, nonostante tutto”. 12 goal non sono pochi in metà annata. “Sì, soprattutto se si pensa che la nostra era una squadra che lottava per non retrocedere e che davanti a me trovavo campioni del calibro di Baresi, Cabrini, Thuram, in anni in cui la Serie A era al vertice del calcio mondiale”. L’ultima conquista sportiva è la promozione con il Perugia, con il goal decisivo su rigore nello spareggio. “Un’emozione particolare, in quanto diversi fattori ci influenzavano: 35 gradi, tensione altissima, una condizione fisica molto più labile rispetto all’inizio del campionato. 120 minuti che puoi terminare da eroe o da sconfitto. Venivo da un brutto infortunio e tirare l’ultimo rigore non fu semplice, lo specchio della porta si fece minuscolo. Per fortuna, potemmo festeggiare”. Perugia collega ad un aneddoto, ossia la sigaretta con Rapajc. “Erano 4 o 5 partite in cui non riuscivamo a fare goal. Monza-Perugia, io e Rapajc ci beviamo un caffè e mancava mezz’ora dal calcio d’inizio. Mi disse di fumarci una sigaretta e gli risposi: “Ma che, sei matto?”. Ci facemmo un paio di tiri ed entrambi ci sbloccammo. Da lì, non abban-
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donammo più questo rito e riuscimmo a salire in Serie A”. Avevi altri riti scaramantici? “Ad esempio, il sabato sera, quando iniziava Studio Sport alla notte, non andavo a letto fino alla fine della trasmissione, che fossero le 23 o le 3 del mattino. Poi mi piaceva farmi portare la colazione in camera, leggere il giornale con calma il giorno della partita. Avevo i miei riti”. Dopo aver appeso gli scarpini, ti sei seduto in panchina. Raccontaci. “Ho seguito per 6 anni il settore giovanile della Roma, allenando ragazzi importanti che ora ho la soddisfazione di vedere in Serie A, uno su tutti Romagnoli. Inizial-
mente, giocava come centrocampista ed io ebbi l’intuizione di metterlo al centro della difesa. Ricordo anche Verde, Mazzitelli, Capradossi, Ricci: tutti giovani che meritano un bel futuro”. Ora il “Cobra” cosa fa? “Sono fermo, sto valutando alcune richieste. Mi farebbe molto piacere avere un incarico al Bari, dove ho vissuto momenti splendidi anche dal punto di vista familiare. Mi hanno anche proposto di fare l’opinionista televisivo, mi prendo un po’ di tempo per pensarci”. Non hai mai nascosto di aver rifiutato un’offerta della Lazio: scelta di cuore? “Non ce l’ho fatta (ride, ndr). Da profes-
Sandro TOVALIERI
BARESE D'ADOZIONE Il Bari è stata l'altra grande "passione" di Tovalieri
Tovalieri, nella magnifica stagione 1994/95, con la casacca del Bari, ha segnato 17 reti in A... giocato? “Ce ne sono diversi. Con Protti ho legato tantissimo, ci integravamo alla grande. Pruzzo mi insegnò tanto, ma non dimentico anche giocatori come Montella e Klinsmann”. L’allenatore cui sei più legato? “Ce ne sono due: Eriksson e Mazzone. Il primo mi ha dato la possibilità di esordire in Serie A, il secondo mi ha fatto vivere un’annata straordinaria a Cagliari”.
sionista, avrei potuto accettare, ma una fede è una fede. È come se Totti decidesse di trasferirsi in biancoceleste. Non ho voluto tradire la mia casacca, con tutto il rispetto della Lazio”.
i vizi, perché ci si nega la possibilità di essere al 100% la domenica e di regalare gioie ai tifosi. Il calcio deve essere un divertimento, ma, una volta arrivati, bisogna essere bravi a mantenersi”.
Hai scritto un libro, dove fai capire di vivere il calcio come una grande storia d’amore. Cos’è cambiato dal pallone romantico dei tuoi tempi? “Ho scritto perché ho voluto raccontarmi a 360°. La vita mi ha dato tante soddisfazioni da calciatore, ma mi ha tolto la mia compagna di vita, quella dei sogni. Persi una moglie giovanissima 9 anni fa e quindi dovetti rimboccarmi le maniche e crescere da solo due figli piccoli. Il calcio di un tempo era diverso, senza dubbio. I giocatori erano più attaccati alla maglia, avevano più rispetto per i tifosi, più entusiasmo. Gli ultimi a sposare davvero una causa sono stati Totti, Del Piero e Maldini, mentre gli altri lo fanno solo per proprio interesse”.
Sai che esiste una canzone, del rapper Ghemon, che porta il tuo nome? Cito: “Posso svelarti gli ingredienti, ma risolvi poco, la differenza sul piatto la fa il cuoco”. Cosa deve fare un calciatore per fare la differenza? “Deve avere innanzitutto la testa, essere serio e concentrato per tutta la settimana, dagli allenamenti alla partita domenicale. A 20 anni, se sei un calciatore, ti vogliono tutti, ti corrono dietro le donne, sgarri come è giusto che sia. È meglio evitare
Botta e risposta. La maggiore delusione sportiva? “Lo Scudetto perso con la Roma nell’85/'86, senza dubbio, in casa contro il Lecce retrocesso. Avremmo meritato la vittoria”.
Apriamo il cassetto. Il sogno del Cobra? “Amerei avere un ruolo importante nella società del Bari, magari come responsabile del settore giovanile o dei rapporti con la tifoseria”.
La gioia più grande? “Il goal contro il Napoli di Maradona. Indescrivibile”.
Con gli occhi forti, gonfi di goal, chilometri e vita, il “Cobra” ha ancora la grinta esperta di chi sa dove vuole mordere: tutti noi speriamo di riassaporare presto il suo veleno.
Il miglior giocatore con cui tu abbia
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L’ALFABETO DEI BIDONI Renato Portaluppi
di Fabrizio PONCIROLI
Si ringrazia Panini per la gentile concessione delle immagini
IL FUTEBOL BAILADO DI RENATO
Stella in Brasile, il Bel René, a Roma, si distinse per le sue conquiste extra campo…
L’
anno 1988 è da oscar per l’Italia. L’ultimo Imperatore, pellicola cinematografica griffata Bernardo Bertolucci, si aggiudica ben nove statuette nella notte degli Oscar. A Roma, sponda giallorossa, c’è una gran voglia di primeggiare nel massimo campionato italiano… In estate, il presidente Viola decide di pescare in Brasile per rafforzare la sua amata Roma. Insieme ad Andrade, sbarca nella capitale Renato Gaucho, meglio noto come Renato Portaluppi. Già piuttosto famoso in terra brasiliana, grazie ai suoi successi con il Gremio (compresa una Coppa Intercontinentale vinta con una sua doppietta), viene acquistato dal club giallorosso per la non misera cifra di quasi tre miliardi di lire, beffando la concorrenza del River Plate!!! Il maestro Liedholm, allenatore della Roma stagione 1988/89, si sbilancia: “È il Gullit bianco”, a confermare quanto fiducia avesse in questo prospetto 88
Calcio 2OOO
brasiliano. Anche il patron Viola, l’uomo che, più di tutti, l’ha voluto alla Roma, stravede per lui: “Si tratta di un atleta eccezionale”, spiega alla Gazzetta dello Sport. Il buon Renato ha i numeri per sfondare. Dotato di un gran fisico (185 cm per circa 80 kg di peso), ha notevole mezzi tecnici. Solitamente si diletta a giocare nel ruolo di ala, a caccia di dribbling e assist per i compagni, ma ha un gran feeling anche con la rete. Il suo arrivo è da superstar. Giunge a Trigoria in elicottero, a giustificare la grande magia che si è creata attorno al suo nome. A Roma sono tutti pazzi per questo ragazzone dal sorriso contagioso. In un amen diventa l’erede designato di Falcao, il nuovo eroe che riporterà la Roma sul tetto d’Italia. I primi allenamenti, tutto sommato, sono anche promettenti. Si fa notare per qualche buona giocata ma c’è dell’altro. Fuori dai cancelli di Trigoria, la fila di fan sfegatate e innamorate del bel Renato si fa, ogni giorno, più lunga. La Dolce Vita romana intriga parecchio il giallorosso che, nel giro di
L’ALFABETO DEI BIDONI / Renato Portaluppi
L'UOMO BY NIGHT
foto Agenzia Liverani
Nessun gol in campo con la Roma ma, di notte, un vero asso...
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L’ALFABETO DEI BIDONI / Renato Portaluppi
“ARRIVÒ IN ELICOTTERO”
I CLUB DI RENATO
Di Fabrizio Ponciroli
C
ollovati, Campione del Mondo 1982, nell’estate 1988 era tra coloro che hanno assistito all’atterraggio di Renato Portaluppi alla Roma: “Ricordo che c’erano tantissime persone, circa 2000 tifosi, tutti per lui. È arrivato in elicottero. È sceso e subito ci siamo sorpresi. Aveva un gran fisico e si vedeva che era a suo agio, nonostante le tante persone”, ricorda Collovati, allora difensore in forza alla società giallorossa. “Onestamente, nelle prime uscite, ha fatto anche bene. Non era affatto un giocatore malvagio. Aveva delle buonissime qualità. Grazie al suo fisico, era uno che si sentiva in area di rigore. Lo avevano tratteggiato come un’ala ma, per come si muoveva, poteva giocare anche più vicino alla porta”. Collovati ha un eccellente ricordo della persona: “Come la maggior parte dei brasiliani, era sempre vivace. Ascoltava sempre la musica, non si tirava mai indietro negli allenamenti. Insomma era uno di compagnia”. Evidente il motivo per cui non ha sfondato: “Probabilmente non ha resistito alle tentazioni della vita romana. Era un capellone, con un bel fisico, normale che piacesse a tante ragazze. Si è fatto prendere un po’ la mano e, alla fine, in campo ha cominciato a non fare le cose giuste. Comunque, lo ripeto, non era affatto scarso. Ricordo, ad esempio, una gara di Coppa Uefa con il Norimberga. Bene, quella partita l’ha vinta lui, segnando pure. In quella partita si è visto il potenziale che aveva. Purtroppo solo in quel match… Ricordo uno striscione dei tifosi della Roma quando le cose sono cominciate ad andare male per lui… ‘A Cochi, ripijate Renato’… Diciamo che, tra i tifosi della Roma, l’amore per Renato è finito abbastanza in fretta”.
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Calcio 2OOO
Nazione
Stagione
Grêmio Flamengo Roma Flamengo Botafogo Grêmio Cruzeiro Flamengo Atlético Mineiro Fluminense Flamengo Bangu
Brasile Brasile Italia Brasile Brasile Brasile Brasile Brasile Brasile Brasile Brasile Brasile
1982 − 1986 1987 − 1988 1988 − 1989 1989 − 1990 1991 - 1992 1991 1992 1993 1994 1995 − 1997 1997 - 1998 1999
foto Agenzia Liverani
Fulvio Collovati
Club
foto @FDLCOM
Collovati, compagno di squadra di Renato, lo ricorda come un ragazzo “vivace”…
foto Agenzia Liverani
L’ALFABETO DEI BIDONI / Renato Portaluppi
qualche mese, sale alle cronache come playboy di valore assoluto. Inizia a frequentare, in maniera assidua, disco pub e night club. Lo si trova ovunque e sempre accompagnato da dolci fanciulle. È il re di Roma ma della Roma by night. La “bella vita” lo distoglie dal calcio giocato. Poco alla volta, in campo, si spegne. Le prestazioni sono spesso deludenti. A parte una meravigliosa prova, in Coppa Uefa, contro il Norimberga (gol e successiva espulsione), non lascia traccia. Fa più notizia per le sue conquiste femminile per i gol messi a segno. In effetti, di gol, almeno in campionato, non ne realizza neppure uno (in 23 gettoni totali, ne segna però tre in cinque gare di Coppa Italia). Ma, a livello di conquiste femminile, va alla grande, tanto da essere un idolo del gentil sesso: “Ho avuto centinaia di ragazze. Ho fatto l’amore al Maracanà e nella toilette dell’aereo che mi portava a Roma”, racconterà a Playboy appena terminata la carriera. Come se non bastasse, ha problemi con qualche giocatore nello spogliatoio, in particolare con il Principe Giannini (almeno così racconterà, in un’intervista post avventura italiana lo stesso brasiliano). Dopo un solo anno nel Bel Paese, con centinaia di flirt in cascina, il buon Renato fa ritorno in Brasile. Fa in tempo a vincere nuovamente con il Flamengo e, a fine carriera, si regala anche un Campionato Carioca con la casacca della Fluminense, segnando un leggendario gol di pancia/basso ventre che vale il successo proprio contro il suo amato Flamengo… Un gol, siglato nella finale del Campionato carioca del 1995, che è diventato leggendario. Nel 2015, a 20 anni da quella rete, a OGlobo, Renato è tornato su quell’episodio che, ancora oggi, è argomento di discussione in Brasile: “Da un lato ci sono i tifosi della Fluminense che continuano a lodare
la mia pancia. Dall’altro ci sono i tifosi del Flamengo che la odiano per avergli fatto perdere il titolo nell’anno del Centenario. È accaduto, quel gol fa parte della storia. Ogni volta che si parla di una sfida Fla-Flu, fanno vedere quel gol. Se ho toccato la palla con il braccio? No, non assolutamente e mi dà fastidio chi dice che c’è stato un tocco di braccio”. Nel 1999, a 37 anni suonati, decide di smettere di fare il calciatore. Si dedica, da subito, alla carriera da allenatore con risultati discreti. Si siede su panchine prestigiose, come quelle del Vasco da Gama, Fluminense (con cui alza al cielo una Coppa del Brasile nel 2007) e Gremio. Ovviamente si sente un fuoriclasse: “Sono una persona normale che ha sempre dato tutto in campo come calciatore e ora lo faccio anche da allenatore. Il mio biglietto da visita sono i titoli che ho vinto: 16 in 19 anni di carriera. Credo sia un dato eccezionale”, dichiara a OGlobo. Peccato che, alla Roma, non abbia vinto nulla. Non porta più i capelli lunghi ma, almeno per chi l’ha visto in Italia, resterà sempre il ragazzone che faceva impazzire le femmine romane… A dire il vero c’è ancora un membro della famiglia Portaluppi che fa girare la testa, questa volta agli uomini. Si tratta della figlia Carolina, spesso immortalata, in foto piuttosto “accaldate”, su diverse riviste brasiliane: “Carol sta studiando giornalismo. Abbiamo fatto anche uno spot insieme”, confida, a NetFlu, il buon Renato quasi a voler allontanare l’idea che Carolina possa essere distratta da altri argomenti… Di “fenomeno della notte” c’è stato solo Renato, su questo ci sono pochi dubbi. Ora sarà pure diventato disciplinato e ligio al dovere ma, ai tempi della Roma by night, nessuno sapeva scatenarsi come il capellone arrivato in elicottero…
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STORIA PARTITE DA RICORDARE
di Luca GANDINI
Paolo rossi e giuseppe BRUSCOLOTTI
foto Agenzia Liverani
E all’improvviso sbocciò IL NAPOLI
SCESE IN CAMPO LA STORIA, QUEL 9 NOVEMBRE 1986, AL COMUNALE DI TORINO. UN’EPOCA DEL NOSTRO CALCIO ANDAVA IN ARCHIVIO E UN’ALTRA BUSSAVA PREPOTENTEMENTE ALLE PORTE DEL FUTURO
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he quel campionato 1986/87 stesse per segnare uno spartiacque importante nei destini del nostro calcio, lo si intuì già alla vigilia. La Juventus, che nei 10 anni precedenti si era confermata potenza egemone, avendo vinto qualcosa come 6 Scudetti, 2 Coppe Italia, una Coppa Intercontinentale, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Europea e una Coppa UEFA, più la maledetta Coppa dei Campioni dell'Heysel, era una squadra ormai avanti con l'età, certamente appagata dai tanti successi e per giunta orfana del proprio condottiero, quel Giovanni Trapattoni
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passato in estate alla guida dell'Inter. Nuove realtà si stavano affacciando alla ribalta, pronte ad approfittare di un prevedibile passo falso della Vecchia Signora. Innanzitutto la stessa Inter, forte di 4 campioni del mondo (il libero argentino Daniel Passarella e i nostri Spillo Altobelli, Beppe Bergomi e Marco Tardelli), di un ex Pallone d'Oro (il bomber tedesco Karl-Heinz Rummenigge) e di un paio di giovani in rampa di lancio come il portiere Walter Zenga e lo stopper Riccardo Ferri. C'era poi l'ambizioso Milan di Silvio Berlusconi, ancora senza il celebre trio olandese, ma già con l'ossatura della compagine che di lì a poco avrebbe dominato l'Europa, con i vari Giovanni Galli, Mauro Tassotti, Paolo Maldini, Franco
STORIA / PARTITE DA RICORDARE
MARADONA DA URLO
foto Agenzia Liverani
Il Napoli sbanca la casa della Juve, ci pensa Diego...
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STORIA / PARTITE DA RICORDARE
Baresi, Roberto Donadoni, Daniele Massaro, Pietro Paolo Virdis e Chicco Evani. E come dimenticare la Sampdoria, altra splendida protagonista degli anni a venire, che oltre ai "Gemelli del Gol" Gianluca Vialli e Roberto Mancini poteva contare su altri validi scudieri quali Toninho Cerezo, HansPeter Briegel, Pietro Vierchowod e Moreno Mannini. Poi c'era il Napoli, forse la vera mina vagante del torneo. La sua stella era naturalmente Diego Armando Maradona, fresco di titolo mondiale con l'Argentina e più che mai deciso a regalare il primo Scudetto alla città di San Gennaro. LA RESA DEI CONTI L'inizio di stagione degli azzurri fu in verità piuttosto balbettante, con l'eliminazione al primo turno in Coppa UEFA per mano del Tolosa e con un paio di deludenti pareggi interni con le future retrocesse Udinese e Atalanta. Era partita meglio la Juventus del nuovo allenatore Rino Marchesi, un milanese di buon senso legato a doppio filo alla concezione trapattoniana e italianista secondo cui giocare bene e dare spettacolo è importante, ma vincere molto di più. Il campo non aveva tradito. Dopo 8 giornate, la Juve era in testa a pari punti con un Napoli in ripresa, e così lo scontro al vertice in programma al Comunale di Torino il 9 novembre 1986 fu giustamente visto come snodo cruciale per i destini del campionato. La Juventus ci arrivava dopo la beffarda eliminazione ai rigori in Coppa dei Campioni patita contro il Real Madrid il mercoledì precedente, quindi sì con il dente avvelenato, ma anche col timore che il suo grande ciclo stesse per avviarsi alla fine. Già, perché oltre ai primi segnali di logoramento del proprio uomo più rappresentativo, "Le Roi" Michel Platini, si era aggiunta la preoccupazione per l'immobilismo sul mercato della società, che non aveva provveduto a rinforzare una rosa già di altissimo livello, ma con qualche acciacco di troppo e a rischio appagamento. Per la supersfida contro il Napoli, i bianconeri schieravano in partenza i 10/11 della squadra che, meno di un anno prima, a Tokyo, aveva conquistato la Coppa Intercontinentale contro l'Argentinos Juniors. Davanti al portiere Stefano Tacconi, la sicurezza dei terzini Luciano Favero e Antonio Cabrini, con lo stopper Sergio Brio e il libero Nicola Caricola in sostituzione dell'infortunato Gaetano Scirea. A centrocampo, due incontristi dalla grande generosità come Lionello Manfredonia e Massimo Bonini a supportare gli estri sempre più intermittenti di Platini. In attacco, ai lati dell'ariete Aldo Serena, la tecnica e l'imprevedibilità delle ali Massimo Mauro e Michael Laudrup. Il Napoli si presentò a Torino consapevole della propria forza. I miliardi investiti dal presidente Corrado Ferlaino e l'abilità dei manager Italo Allodi e Pierpaolo Marino avevano consegnato all'allenatore bresciano Ottavio Bianchi una squadra completa in ogni reparto. Maradona era ovviamente il fiore all'occhiello, ma se i partenopei erano al comando della classifica, il merito era anche delle parate di Claudio Garella e dell'affidabilità di una difesa formata dai terzini Beppe Bruscolotti e Ciro Ferrara, dallo stopper Moreno Ferrario e dal libero Alessandro Renica. Ottimo anche il centrocampo, con Nando De Napoli e Salvatore Bagni dighe insuperabili, il regista Francesco Romano a dettare i tempi
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“IL NOSTRO SEGRETO? UN LIMONE” Di Luca Gandini Ci sono modi e modi per entrare nella storia…
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na zebra trafitta da tre frecce che porge la corona sulla testa riccioluta di re Diego. Fu con questa azzeccatissima vignetta che "Stampa Sera" del 10 novembre 1986 celebrò il grande successo napoletano sul campo della Juventus. Toni addirittura epici furono usati dal "Corriere della Sera", con quel titolo “Il crollo dell'impero bianconero” che mise ancora di più in luce l'importanza dell'evento e l'impresa degli azzurri. Non poté mancare la gioia del quotidiano partenopeo "Il Mattino": “Da tutt'Italia grazie, Napoli!”, inneggiando a un'Italia “liberata” dal dominio bianconero. Eloquente pure "La Gazzetta dello Sport": “È Napolissimo!”, “Juve/ Storia di un k.o. tremendo” e “Laudrup suona la sveglia ma è il Napoli ad alzarsi”. Che quella partita stesse segnando un'epoca, lo capì anche l'Avvocato Gianni Agnelli, che dalle tribune del Comunale si lasciò andare a uno sportivo: “Se proprio dobbiamo abdicare, non mi dispiace cedere il trono a una grande squadra come il Napoli”. Più polemico Stefano Tacconi: “Due loro gol erano in fuorigioco: qualche arbitro ha bisogno degli occhiali”. Per Maradona, il merito fu tutto di un... limone: “Nell'intervallo vidi che la squadra era troppo tesa – raccontò anni dopo a "Sfide" – E io dovevo fare qualcosa. Così mi feci dare un limone dal mio amico massaggiatore Salvatore Carmando e iniziai a palleggiare: tac-tac-tac. I ragazzi accompagnarono ogni mio palleggio con un applauso. Capii che avevamo rotto il ghiaccio”. IL TABELLINO DELLA GARA
JUVENTUS–NAPOLI 1–3 Torino, 9 Novembre 1986, ore 14:30 - "Stadio Comunale" Spettatori: 55.000 circa, di cui 37.433 paganti Arbitro: Agnolin (Bassano del Grappa) Juventus: Tacconi, Favero, Cabrini, Bonini (78° Bonetti), Brio, Caricola, Mauro (56° Pioli), Manfredonia, Serena, Platini, Laudrup. Allenatore: Marchesi Napoli: Garella, Bruscolotti, Ferrara, Bagni, Ferrario, Renica, Sola (53° Carnevale), De Napoli, Giordano, Maradona, Romano (78° Volpecina). Allenatore: Bianchi Reti: 50° Laudrup (J); 73° Ferrario (N), 74° Giordano (N), 90° Volpecina (N)
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ALESSANDRO RENICA
e Maradona uomo-ovunque in appoggio alla punta Bruno Giordano. Completava lo schieramento il numero 7 Luciano Sola, un onesto gregario chiamato ad arginare le discese di Cabrini. DELIRIO AZZURRO Capitanate da Cabrini e Maradona, le duellanti diedero vita a un primo tempo per nulla memorabile, con il palo colpito dallo juventino Manfredonia come unico sussulto per i 55mila del Comunale. Fu la ripresa a rimanere scolpita nella storia di quel campionato e non solo. Già al 50° i padroni di casa passavano in vantaggio con Laudrup, bravo a ribattere in rete una corta respinta di Garella su cross di Cabrini. Per nulla intimorito, Bianchi sostituì il centrocampista Sola con l'attaccante Andrea Carnevale, proprio mentre il più prudente Marchesi rimpiazzava l'ottimo Mauro con il difensore Stefano Pioli. Il Comunale non gradì la mossa del tecnico bianconero, e il Napoli prese coraggio, iniziando a impegnare Tacconi con pericolose puntate offensive. Prima Renica, poi Maradona, quindi Giordano: le scorie della sfida di Coppa cominciavano a farsi sentire nelle gambe e nei pensieri di una Juve in evidente affanno. Al 73°, ecco la svolta, quando lo stopper partenopeo Ferrario era il più lesto di tutti a battere Tacconi con un preciso tocco di sinistro. La Juve protestò per un presunto fuorigioco di Maradona, ma l'arbitro Luigi Agnolin fu inflessibile e convalidò la rete. Passò solo un minuto e il Napoli, clamorosamente, raddoppiò. Corner dalla destra di Maradona, spizzata di testa di Renica, palla a Giordano sul
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GIUSEPPE VOLPECINA
foto Agenzia Liverani
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secondo palo, destro a colpo sicuro e risultato ribaltato! La Juve, ormai alle corde, provò ad aggrapparsi alle invenzioni di Platini, ma il francese non poté nulla contro l'asfissiante marcatura del veterano Bruscolotti. Al 78°, altro episodiochiave. Mentre Marchesi rimpiazzava l'esausto Bonini con l'evanescente Ivano Bonetti, Bianchi indovinava il secondo capolavoro, inserendo il terzino Beppe Volpecina per Romano. Il terzo gol, quello che sigillò il trionfo, fu proprio confezionato dai neo-entrati azzurri. Servizio di Carnevale per Volpecina (in fuorigioco...), sinistro a girare di quest'ultimo e Tacconi ancora battuto. “Successe una cosa incredibile: perdevamo 1 a 0, pareggiammo e lo stadio esplose, tutti festeggiavano... Noi non capivamo. Quando avevano segnato loro, avevano detto "gol" e basta. Segniamo il secondo e di nuovo tutti a festeggiare. Segniamo il terzo, e ancora di più. Claro, lo stadio era pieno di lavoratori, tutti del Sud! Terminarono gridando "Na-po-li! Na-po-li!", una cosa impressionante”. Toccò a Maradona, nella sua autobiografia "Io Sono El Diego", rivivere i brividi di quella che per i napoletani fu più di una semplice vittoria. Si trattava infatti di un vero e proprio passaggio di consegne, con la Juventus che abdicava consegnando di fatto lo Scudetto a Diego e compagni, formidabili nel conservare il primato fino a fine campionato. Sulle imprese della grande Juventus di Platini calava così il sipario, mentre se ne spalancava un altro sulle gesta degli eroi venuti dal Sud, in quel colossal che era la Serie A di quegli anni. Un colossal che visse l'ennesimo, indimenticabile capitolo in quella grigia domenica d'autunno di 30 anni fa, al Comunale di Torino.
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