Calcio 2000 n.227

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Calcio

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L’ALFABETO DEI BIDONI

VAMPETA

L’AMICO DI RONALDO

2OOO La rivista diretta da FABRIZIO PONCIROLI Prima immissione: 12/01/2017

Uomini da Record CONCETTO LO BELLO IL PRIMO GRANDE ARBITRO

GARE DA NON DIMENTICARE ATALANTA MALINES IMPRESA SFIORATA

Reportage TORINO JUVENTUS UNA PARTITA MAI BANALE

Passione Inglese NON LEAGUE INGLESE UN VIAGGIO NEL CALCIO VERO

Giganti del Calcio GIGI SIMONI QUELLA VOLTA CON LA JUVE...

ESCLUSIVA

Daniele RUGANI

PRESENTE & FUTURO BIANCONERO

ESCLUSIVA STEFANO SENSI ”SOGNO CHAMPIONS E MONDIALE”

foto Imago/Image Sport

DANIELE RUGANI

Bimestrale | APRILE - MAGGIO 2017 | N. 227 | Italia | Euro 3,90


Registrazione al Tribunale di Milano n.362 del 21/06/1997 Prima immissione: Marzo 2017 Iscritto al Registro Operatori di Comunicazione al n. 18246

6 DANIELE RUGANI

INTERVISTA ESCLUSIVA di Fabrizio Ponciroli

16 TECNICI TOSCANI

6

SPECIALE

di Sergio Stanco

22 LEONARDO SEMPLICI

INTERVISTA ESCLUSIVA

Michele Criscitiello

Diretto da

Fabrizio Ponciroli

INTERVISTA ESCLUSIVA

Redazione

di Fabrizio Ponciroli

38 TORINO-JUVENTUS

REPORTAGE

di Fabrizio Ponciroli

16

22

44 Ebbsfleet U.F.C.

PASSIONE ALL’INGLESE di Gianfranco Giordano

Fotografie

MAGLIE STORICHE

di Gianfranco Giordano

Realizzazione Grafica

I GIGANTI DEL CALCIO

30

di Sergio Stanco

68 IL DERBY DI VERONA

SPECIALE DERBY

e-mail: media@calcio2000.it

Stampa

RECORD INVINCIBILI di Thomas Saccani

DOVE SONO FINITI?

di Sergio Stanco

68

58

L’ALFABETO DEI BIDONI di Fabrizio Ponciroli

SO.DI.P. spa, via Bettola 18 20092 Cinisello Balsamo (MI) Tel +39 02/66030400 Fax +39 02/66030269

PARTITE DA RICORDARE di Thomas Saccani

98 SCOVATE da CARLETTO RTL

Distribuzione

Distribuzione ESTERO

92 ATALANTA-MALINES

Tiber S.p.A. Via della Volta, 179 25124 Brescia Tel. +39 0303543439 Fax. +39 030349805 Mepe S.p.A. Via Ettore Bugatti, 15 20142 Milano Tel +39 0289592.1 Fax +39 0289500688

88 VAMPETA

Statistiche

Contatti per la pubblicità:

di Luca Gandini

84 DAVIDE FAVARO

TC&C S.r.l.

Redazione Calcio2000

76 CONCETTO LO BELLO

Hanno collaborato

Image Photo Agency Daniele Mascolo/Photoview Agenzia Aldo Liverani, Federico De Luca.

58 GIGI SIMONI

Gaetano Mocciaro, Chiara Biondini, Marco Conterio, Lorenzo Di Benedetto, Simone Bernabei, Lorenzo Marucci, Pietro Lazzerini, Tommaso Maschio, Francesco Fontana, Luca Bargellini. Sergio Stanco, Gianfranco Giordano, Tania Esposito, Luca Gandini, Thomas Saccani, Carletto RTL.

50 ASTON VILLA

TC&C srl Strada Setteponti Levante 114 52028 Terranuova Bracciolini (AR) Tel +39 055 9172741 Fax +39 055 9170872

DIRETTORE RESPONSABILE

di Loenzo Marucci

30 STEFANO SENSI

EDITORE

50

NUMERO CHIUSO IL 28 febbraio 2016

IL PROSSIMO NUMERO sarà in edicola il 10 MAggio 2017

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www.calcio2000.it

Calcio2000 è parte del Network

L'EDITORIALE di Fabrizio PONCIROLI

direttore@calcio2000.it

ALZIAMO LA CRESTA

L’

Italia del pallone è ad un bivio… Due possibili strade. Una porta alla mediocrità, l’altra dritta alla modernità. Non è più tempo di alibi e parole al vento, è l’ora dell’azione. Possiamo tornare a farci sentire nell’Europa che conta, possiamo alzare la cresta e ricordare a tutti che, un paio di decenni fa, eravamo noi il centro del mondo. In Italia stanno crescendo giovani di primissimo livello (ci sono sempre stati, ora però li facciamo giocare), gli allenatori, di casa nostra, hanno una marcia in più e, soprattutto, siamo tornati a credere in noi stessi. Prendiamo l’uomo copertina di questa uscita. Di giovani campioni del valore di Rugani, in giro per il mondo, non ne vedo molti… E ne abbiamo tanti altri. Insomma, ci siamo rimessi in moto, eppure c’è qualcosa che ancora non ci permette di decollare. Una sorta di zavorra che blocca il nostro desiderio, palpabile, di spiccare il volo. Di cosa si tratta? Essenzialmente abbiamo paura di accettare che il calcio, da semplice gioco quale era, oggi è la risorsa socio/economica più importante del Paese. Il calcio è un’azienda e va trattata come tale. Un’azienda qualsiaScopri comedivincere si, seppur imbevuta tanto talento, non può andare tanto lontano fantastici premi* su # per mostrare e coltivare se non hawww.calcioregali2017.it le infrastrutture necessarie quel talento diffuso di cui è padrona. Stadi, stadi e ancora stadi… I privati vogliono impianti nuovi, diamo ai privati (quelli che se lo possono permettere) di crearli questi stadi, non ostacoliamo. Se continueremo a frenare l’ambizione, in tanti ci lasceranno e torneremo a giocare solo nel nostro, affollato, orticello. È arrivato il momento di agire, di creare, di innovarsi, di aprirsi al nuovo modo di pensare e fare calcio. Grazie anche a Calcio2000, sto “visitando” gli stadi più intriganti d’Europa e sono sempre più convinto che, se ci adegueremo, a livello di impianti, al resto d’Europa, nessuno ci potrà più fermare. Certo, servono sacrifici per dar vita a nuove opere così imponenti ma, alla fine, i vantaggi saranno superiori e non solo per chi ama il calcio… Apriamo gli occhi, il calcio non è più solo un gioco divertente! Sfogo a parte, grazie per il vostro continuo supporto. Vedo che state apprezzando il “taglio storico” della vostra/nostra rivista. Molto bene. In questa nuova edizione tanta carne al fuoco, dal grande arbitro Concetto Lo Bello, il primo “eroe” in nero, al ricordo di Atalanta-Malines (raccontata attraverso le parole di chi era in campo in quella pazzesca partita), non tralasciando approfondimenti, curiosità e quei viaggi all’estero che tanto vi divertono (date un’occhiata al reportage sull’incontro di Non League inglese)… Numero ricco, vi lascio alla lettura.

celocelomanca

Bimestrale | APRILE - MAGGIO 2017 | N. 227 | Italia | Euro 3,90

Senza titolo-1 1

L’ALFABETO DEI BIDONI

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Giganti del Calcio GIGI SIMONI QUELLA VOLTA CON LA JUVE...

LA G SE 2016

ESCLUSIVA

“CON LE 2 AGGIOR

Daniele RUGANI

PRESENTE & FUTURO BIANCONERO

ESCLUSIVA STEFANO SENSI ”SOGNO CHAMPIONS E MONDIALE”

foto Imago/Image Sport

di Fabrizio Ponciroli

N. 227 - APRILE - MAGGIO 2017

Calcio2OOO

Operazione a premi valida dal 16.12.2016 al 30.06.2017. Regolamento completo su www.calcioregali2017.it

4 LA BOCCA DEL LEONE

DANIELE RUGANI

issn 1126-1056

2OOO

Anno 20 n. 2 APRILE - MAGGIO 2017

Calcio

sommario n.227

27/12/2016 19:04:36

“Se non ti arrampichi, non puoi cadere. Ma vivere tutta la vita sul terreno non ti darà gioia”

www.calcio2000.it

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PER SCRIVERCI: media@calcio2000.it

LA BOCCA DEL LEONE di Fabrizio Ponciroli - foto Image Sport MA I TABELLINI? Buongiorno, sono un lettore di Calcio2000 dai tempi di Narino Bartoletti. Una rivista diversa con una vocazione anche internazionale, tabellini e risultati, speciali sui campionati esteri e rose complete. Si sono avvicendati direttori, il prodotto è notevolmente cambiato...spariti tabellini e la parte di calcio internazionale, poche pagine e il passaggio da mensile a bimestrale. Come lettore mi aspetto un miglioramento, complimentandomi per lo sforzo in un momento dove i competitor come il Guerin Sportivo sono passati da settimanali a mensili o altre testate hanno chiuso. Manca un punto di riferimento per il calcio internazionale come per me lo era fino ad oggi. mi auguro tante novità... Michele, mail firmata Buongiorno Michele, come vede le ho risposto direttamente via Bocca del Leone… Sarò sincero, se lo merita per la sua dedizione al prodotto Calcio2000: i tabellini, che io amo alla follia, non hanno più senso. In rete si trova tutto e in tempi rapidissimi, sarebbe complicato inserirli nel nuovo Calcio2000. Credo che sia più opportuno puntare su argomenti che internet non “segue”.

Come avrà notato, stiamo puntando su racconti che poco hanno a che vedere con la quotidianità. Curiosità, aneddoti, speciali, insomma qualcosa di diverso… Storie internazionali ce ne saranno sempre di più, tabellini non credo… JUVENTUS, MI PREOCCUPI Direttore, la seguo sempre su TMW e TuttoJuve. Oggi ho acquistato Calcio2000 e l’ho trovato interessante. Non me l’aspettavo, pensavo fossero pezzi riciclati da TMW ma non è così. Sono preoccupato. Ha visto il mercato della Juventus? Nessuno di buono. Rincon l’hanno fatto passare come fosse un fenomeno ma non è Pogba. E poi Orsolini? Mi sa che abbiamo fatto come Lapadula, abbiamo preso uno che ha fatto qualcosa in B ma in A è un’altra cosa. La Juventus non sta spendendo bene, sta pensando troppo ai giovani e non a sostituire i campioni che sono andati via. Saluti Andrea, mail firmata Caro Andrea, per prima cosa sono felicissimo che hai acquistato Calcio2000. Chissà, magari diventerai un lettore costante… E se hai consigli, ben vengano! Passiamo alla Juventus. Onestamente non sono preoccupato, anzi… Rincon

tomas rincon

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è il giocatore che serviva a questa Juventus, uno di grande energia, uno che non si ferma mai. Orsolini? Fidati, è un potenziale crack. Lapadula è un 1990, Orsolini un 1997, c’è una bella differenza. Ha tutto il tempo per diventare un grande giocatore. Riparliamone tra qualche anno. FIORENTINA, SOUSA NON VA BENE Gentilissimo Direttore, torno a scriverle dopo diverso tempo. Come sempre la devo rimproverare sul fatto che non dà mai spazio alla mia Fiorentina ma la capisco. C’è poco da dire sulla Fiorentina. Non capisco ancora come si faccia a dire che Paulo Sousa è un grande allenatore. A me non sembra che sia questo mago della panchina. Cosa ha fatto a Firenze? Parla, parla e parla ancora… Ci vogliono i fatti e, di quelli, se ne sono visti pochi. La dirigenza non sa che direzione prendere, è evidente. Corvino sarà stato bravo in passato ma non mi sembra più l’uomo giusto per far decollare la Fiorentina. Spero mi risponda. Filippo, mail firmata Caro Filippo, la omaggio con uno schizzo di Cesare Righi che le farà piacere… Non condiviso il suo scettici-

smo sulla Fiorentina e, in particolare, su Paulo Sousa. Con la rosa a disposizione, credo che abbia fatto quello che poteva. Su un fatto sono sicuro: penso che, a fine stagione, Paulo Sousa lascerà Firenze. Qualcosa non ha funzionato al meglio ma le colpe non sono solo di Paulo Sousa… Ci vada piano con dare per morto Corvino. Mi ha sorpreso tante di quelle volte…

frica e, forse, se arriverà al Mondiale, il più anziano a giocarsi una fase finale di una Coppa del Mondo. Ne farò un pezzo, è una promessa Stefano. Mi ha stupito anche Fabrice Ondao, il portiere, classe 1995, del Camerun. Pensa, l’ha scoperto Eto’o, è stato lui a portarlo, a sei anni, al Barcellona. Pazzesco… Un plauso anche alla Burkina Faso!

MA CHE BELLA LA COPPA D’AFRICA Direttore, se la conosco un po’, sono certo che avrà apprezzato la Coppa d’Africa. Ancora una volta tanti talenti, tante sorprese e mille imprevisti. Io adoro questa competizione, la seguo da diverse edizioni e, ogni volta, mi sorprende. C’è qualcuno che l’ha stupita? Sono curioso di sapere le sue valutazioni sull’ultima edizione… Stefano, mail firmata

MESSI-INTER, POSSIBILE? Ponciroli, vado al punto: Messi può davvero venire all’Inter? Sarebbe incredibile ma non so se crederci Orlando, Twitter

Non sbagli Stefano, l’ho seguita con avidità, anche per questioni lavorative ma non solo. Menzione d’onore per Essam El-Hadary, l’estremo difensore dell’Egitto. La “Diga”, a 44 anni, ha dimostrato che il buon vecchio Hector Cuper ci ha visto lungo… Che storia, il portiere più vecchio della Coppa d’A-

tifosI DELL'EGITTO

Che domanda impegnativa… Credo che la nuova società nerazzurra sia solida, economicamente fortissima ma, onestamente, Messi mi sembra irrealizzabile. Non tanto per una questione di cifre ma perché ritengo che la Pulce sia destinata a chiudere la propria carriera al Barcellona. E’ diventato il migliore in blaugrana, perché dovrebbe andarsene? Lui appartiene al Barcellona, c’è poco da aggiungere. Comunque, caro tifoso nerazzurro (vado sul sicuro), l’Inter, in estate, ci sorprenderà, ne sono certo…

ICAM E LE UOVA DI PASQUA Solo grazie ad ICAM avrete l’uovo di Pasqua ufficiale della vostra squadra del cuore!!! La notevole e consolidata qualità del cioccolato ICAM per un prodotto di primissimo livello. All’interno del vostro uovo di Pasqua preferito, troverete sempre un gadget ufficiale della vostra squadra del cuore e potrete anche partecipare ad un super concorso, con grandi premi in palio. Per saperne di più, potete collegarvi al sito www.icamcioccolato.com/it !!! La Pasqua sarà molto più dolce con l’uovo della squadra per cui fate il tifo!!! Se volete esagerare, ricordatevi che sono disponibili anche gli ovetti di cioccolato con ripieno alla nocciola, ovviamente con i colori del club che tifate…

leo messi

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INTERVISTA DANIELE RUGANI PERSONALITà DA VENDERE Affidabile in campo e nella vita, un giocatore moderno

L’UOMO DEL FUTURO Lunga chiacchierata con Daniele Rugani, presente e futuro della Juventus e della Nazionale…

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foto Image Sport

di Fabrizio Ponciroli foto Archivio TC&C

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INTERVISTA / DANIELE RUGANI

Quando sei finito a giocare come difensore? “Appena arrivato all’Empoli. È stato Cappelletti a mettermi in difesa”. Come l’hai presa questa decisione?

Quando hai capito che avevi le carte in regola per diventare un calciatore professionista? “Ci sono stati tanti momenti… Già con la convocazione con i Giovanissimi Nazionali ho cominciato a capire di potercela fare. Sai inizi a girare l’Italia, a giocare all’estero, insomma cambia la tua prospettiva. Da lì ci sono stati tanti step. Importante, sicuramente, il passaggio alla Juventus, in Primavera, con Baroni. Un anno davvero bello, pieno di soddisfazioni, anche perché mi sono anche allenato, a volte, con la prima squadra bianconera. Poi, ov-

viamente, l’anno in Serie B, dove ho iniziato a confrontarmi con giocatori veri, di anche 30 anni e con esperienza… Aver fatto bene in quell’anno in cadetteria è stato fondamentale per la mia carriera”. Insomma, seppur giovanissimo, ti sei dovuto subito adattare a tante situazioni nuove. Sempre in giro, sempre lontano da casa. Ne hai sofferto? “No, io sono sempre stato molto determinato. Volevo diventare un calciatore professionista. Ho sempre avuto la testa da calciatore. Da piccolino, quando giocavo la domenica mattina, ricordo che cenavo e andavo a letto alle 21… Anche quando ero più grande, mi sono sempre comportato da professionista, anche se non lo ero ancora. Lavoravo tanto in allenamento, avevo una dieta equilibrata, insomma ci tenevo a non sbagliare nulla. Infatti, non a caso, sono stato spesso il capitano delle mie squadre, forse perché ero molto responsabile”.

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“” Anche se mio padre era appassionato di calcio e, ai suoi tempi, aveva anche giocato, al primo allenamento mi ha portato mia mamma Quanto è stato importante Sarri per la tua crescita professionale? “Sarri è stato fondamentale per me. L’ho avuto quando, per me, tutto era ancora una grande incognita. Ha avuto il coraggio di lanciarmi subito, mi ha fatto migliorare tantissimo. Mi ha insegnato delle cose che, ancora oggi, mi tornano sempre molto utili. Sarri è bravissimo ad insegnare calcio, l’ho provato sulla mia pelle e so che significa essere allenati da lui”. Mi racconti il tuo primo giorno alla Juventus… L’hai sentita un po’ di pressione? “Sicuramente ho sentito più pressione. È vero che la Serie A l’avevo già fatta con l’Empoli ma la Juventus

è tutta un’altra cosa. Capisci subito che qui è diverso, già dal primo giorno di ritiro dove ti ritrovi centinaia di tifosi all’hotel e le telecamere ovunque, situazioni che all’Empoli non accadevano. Comunque l’ho vissuta bene, arrivando in punta di piedi. Sapevo che avrei dovuto lavorare sodo, sia per chi avevo davanti nel mio ruolo, sia per il gioco, diverso da quello a cui ero abituato”. I primi mesi non devono essere stati semplici, visto che non giocavi mai… “L’avevo messo in conto. Sicuramente non è stato facile ma sono stati mesi utili per la mia crescita. È stato importante, in quel periodo, Al-

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Ma, da piccolo, era davvero il ruolo di difensore quello al quale ambivi? “Guarda, ho cominciato come centrocampista, anzi come ‘tuttocampista’… Mi ricordo che, nell’Unione 98, ho provato anche a fare il portiere. In una partita, dopo un primo tempo da attaccante senza grandi frutti, mi sono messo in porta e mi è piaciuto. Per qualche settimana ho pensato davvero a diventare un portiere, anche perché ero bravino, ma poi mi sono reso conto che era un ruolo troppo statico per me. Mi piaceva troppo correre e in porta non potevo farlo”.

“Inizialmente non bene. Mi divertivo meno, correvo meno e dovevo essere più attento, rischiare poco. Però, sin da piccolo, sono sempre stato molto responsabile e, quindi, ho fatto del mio meglio per fare bene in quel ruolo. Mi sono adattato alla situazione, proprio perché il mio vero obiettivo era fare tanta strada. Per fortuna, nel tempo, si è rivelata la scelta giusta…”.

foto @FDLCOM

Poi che è successo? “È successo che, per un paio di anni, mi sono divertito tantissimo nell’Unione 98 poi, visto che ero bravino, sono finito nell’Atletico Lucca, società piuttosto quotata nel

lucchese. Dopo è arrivata la chiamata dell’Empoli ed è cominciato tutto quanto…”.

foto Image Sport

A

llora Daniele, sfogliamo il libro dei ricordi. Come ti sei avvicinato al mondo calcio? “Anche se mio padre era appassionato di calcio e, ai suoi tempi, aveva anche giocato, al primo allenamento mi ha portato mia mamma, insieme a mio fratello. Mi sono subito innamorato del gioco e, così, mi sono iscritto alla prima vera scuola calcio, vicinissima a casa mia, nel lucchese, denominata Unione 98. L’età minima per iniziare a giocare a calcio era sei anni ma mi hanno raccontato che io mi sono iscritto un anno prima. Un aneddoto curioso è che, al primo allenamento, non avendo ancora la divisa della squadra, mi sono presentato con la maglia di Del Piero…”.

INTERVISTA / DANIELE RUGANI

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INTERVISTA / DANIELE RUGANI

IN RAPIDA CRESCITA Ogni volta che è chiamato in campo, risponde da campione

INTERVISTA / DANIELE RUGANI

legri che mi ha sempre sostenuto”. Parliamo un po’ di Allegri… “Il Mister mi ha aiutato tantissimo. Quando non trovavo spazio, mi ha sempre incitato a continuare a dare il massimo, dicendomi che il mio momento sarebbe arrivato. Mi ha fatto notare delle mancanze che avevo, mi ha fatto crescere da tutti i punti di vista”. A livello di compagni, chi ti ha aiutato maggiormente nel tuo processo di crescita? “Direi i difensori, ognuno a loro

“” Allegri? Quando non trovavo spazio, mi ha sempre incitato a continuare a dare il massimo, dicendomi che il mio momento sarebbe arrivato modo. Barzagli, ad esempio, è uno che parla poco ma, osservandolo in campo, impari tantissimo. Chiellini, invece, è uno che ti spiega le cose, con attenzione e calma. Bonucci è più diretto ma, ripeto, tutti, a loro modo, sono stati importantissimi”.

Ora, in Italia, tutti concordano che la coppia Rugani-Romagnoli rappresenta il futuro della Nazionale. Che effetto ti fa? “Guarda, non ci penso affatto. Basta una partita sbagliata e gli elogi si trasformano in critiche, quindi prefe-

L’IMMACOLATO

53 partite consecutive senza un cartellino giallo, Rugani ci svela il perché…

Rugani

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foto Image Sport

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è considerato un giocatore modello, con profondo rispetto per le regole del gioco. Tra le sue imprese, c’è un record personale incredibile. Il primo cartellino giallo da professionista gli è stato sventolato davanti al viso dopo ben 53 gare consecutive senza macchia. Il difensore bianconero ci spiega come sia stato possibile: “Diciamo che, prima dell’arrivo alla Juventus, ero inserito in un calcio completamente diverso. Prima, ai tempi di Empoli, avevi sempre la copertura alle spalle. Quindi, se venivi saltato, sapevi che ci sarebbe stato qualcuno a darti una mano. Questo cambia il tuo modo di approcciarti all’avversario. Alla Juventus non è così. Qui vai a prendere l’uomo direttamente e, se ti salta, sei nei guai. Sei, per forza e per tipologia di gioco, più aggressivo e quindi il giallo, a volte, arriva. Comunque, per la mia crescita, c’era bisogno che diventassi più aggressivo quindi anche qualche giallo non è poi tanto negativo. Va bene essere pulito ma, per essere un giocatore completo, devi anche saper far di tutto”. C’è chi dice che, quel primo giallo, arrivato a Firenze (Fiorentina-Juventus, 24 aprile 2016), in effetti non era così lampante:“Vero, concordo (Ride, ndr)”.

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INTERVISTA / DANIELE RUGANI

Giudizio da difensore: Dybala è davvero di un’altra pasta? “Assolutamente sì. Sono convinto che diventerà tra i primi cinque top player al mondo. Lo conosco da tanto tempo e, ogni anno, è migliorato in maniera sensibile. È cresciuto tantissimo rispetto a Palermo, ha delle doti pazzesche. Già adesso è un campione ma può fare ancora altri step”.

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BRAVO ANCHE IN AREA AVVERSARIA

tra i primi cinque top player al mondo. Lo conosco da tanto tempo e, ogni anno, migliora

Rugani ha il gol nel sangue, una risorsa in più

Davvero imprevedibile e difficile da gestire. Uno che ti fa dire: ‘E adesso che si fa?’… Davvero un giocatore unico, indubbiamente”. Quest’anno si parla tanto dell’ossessione Champions League qui a Torino… Questa squadra può arrivare fino in fondo? “La rosa per arrivare fino in fondo c’è ma dipende da tanti fattori, compresa la fortuna e gli episodi. Abbiamo sicuramente il materiale umano corretto per provarci, anche perché noi vogliamo fare la storia, da qui la voglia di vincere ancora lo

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Sempre da difensore: chi è l’avversario che ti ha messo più in difficoltà? “Se devo fare un nome, dico Tevez.

“” Sono convinto che Dybala diventerà

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Di Fabrizio Ponciroli

RISORSA ANCHE IN ATTACCO Già diversi gol, uno anche in Champions League

Scudetto”. Hai già vinto tanto qui alla Juventus… Quale è il trofeo a cui sei più legato? “Sicuramente il campionato (2015/16, ndr). Sai, da tifoso juventino ne ho festeggiati tanti in piazza. Ritrovarmi in piazza ma da protagonista, da giocatore, ha avuto un sapore speciale per me, anche perché ho dato anche io una mano, in particolare nell’ultima parte della stagione”. C’è un trofeo che punti a conqui-

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risco pensare solo ad allenarmi e a fare del mio meglio, tutto qua. In Italia, soprattutto, un momento sei un campione e, un secondo dopo, non lo sei più. Io so che posso diventare un campione ma, per farlo, mi devo impegnare in campo, sudando e allenandomi sempre al massimo”.

INTERVISTA / DANIELE RUGANI

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ualcuno l’ho fatto, speriamo ne arrivino altri, magari ancor più importanti”. Stiamo parlando del feeling di Rugani con il gol. Ad oggi, in carriera, ne ha già segnati otto, numero per nulla insignificante. Il primo guizzo arriva, in Serie B, con la Reggina. In quell’anno, quello della promozione dell’Empoli in Serie A, ne segnerà due. Al suo esordio ufficiale nella massima serie si migliora ulteriormente, arrivando e tre segni. La prima gioia giunge contro il Cesena (2-2 il finale). Nell’estate del 2015 arriva il passaggio alla Juventus. Ben 21 le presenze nella sua prima annata bianconera ma nessun gol. L’appuntamento è solo rinviato alla stagione successiva. Il 21 settembre 2016, allo Juventus Stadium, apre le marcature contro il Cagliari (4-0 finale) ma trova anche la via della rete in Champions League. Suo il 2-0 che chiude la pratica, tra le mura amiche, con la Dinamo Kiev. E il tassametro corre senza sosta…

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INTERVISTA / DANIELE RUGANI

SGUARDO DA BRAVO RAGAZZO Rugani sa come comportarsi bene, non ha mai sgarrato...

INTERVISTA / DANIELE RUGANI

stare prima della fine della carriera? Sei più un tipo da Champions League o da Mondiale? “(Ride, ndr). Devo dire per forza entrambe, scelta troppo difficile…”. Parliamo del Daniele extra calcio… Che altri hobbies hai? “Ne ho a centinaia (ride, ndr). Non sto fermo un minuto, faccio 1500 cose diverse al giorno. Diciamo che il tennis è uno sport che amo particolarmente”.

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Sei più un tipo alla Federer o alla Nadal? “Direi Nadal, quindi tanta corsa e talento costruito (ride, ndr)… Comunque mi difendo bene dai, ci gioco sin da piccolo. Alternavo calcio e tennis da ragazzino. Appena ho un attimo libero, spesso mi ritrovo con la racchetta in mano. Non è un caso che, da poco più di un anno, nel mio paese sono diventato proprietario di un circolo. Piccolino, con due campi ma, per la nostra famiglia, ha

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“” Sono legato al campionato vinto con la Juve. Champions o Mondiale? Devo dire per forza entrambe, scelta troppo difficile... un valore inestimabile. Ci ha giocato mio padre, che ora lo gestisce, e pure io ho cominciato lì. L’abbiamo chiamato DR24, con tanto di logo…”. Oltre al tennis? “Mi piace il basket, ho una passione per la pesca… Sai, laghetto, pesca alla carpa…”. Come andiamo a livello di cinema? “Sono malato di cinema… ne vedo tantissimi. Vedo ogni genere, tranne quelli horror”. Parliamo di vacanze: chi le

sceglie? Tu o la tua compagna Michela? “Scegliamo insieme, anche se io sono più bravo a cercare le mete giuste e, quando le propongo, piacciono sempre. Non sono tanto un tipo da vacanze classiche, tipo Ibiza o Formentera, mi piace più sperimentare luoghi alternativi, tipo l’Africa che mi affascina tanto”. Ultima domanda: sarai soddisfatto a fine carriera se le persone diranno di te che… “Che sono stato un vero professionista, un ragazzo perbene, un calciatore bravo, magari portato come esempio per i più giovani”.

Intervista di Fabrizio Ponciroli

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SPECIALE/ TECNICI TOSCANI

SPECIALE/ TECNICI TOSCANI

TECNICI TOSCANI

Granducato di

Toscana Al momento in cui scriviamo, cinque delle sei squadre che comandano la Serie A e la Serie B sono guidate da allenatori toscani: un caso? Improbabile, ma questo lo approfondiremo in seguito. Di certo se tre indizi fanno una prova, cinque (su sei)

raccontano forse un'indiscutibile verità. E cioè che da quelle parti c'è qualcosa che si sposa perfettamente con il mestiere di mister. Che siano di campagna, di sabbia o addirittura di scoglio, come essi stessi si dividono, ciò che li accomuna è

La Toscana non è solo la Patria dell'arte, ma anche regione che sforna allenatori illuminati, tosti e vincenti

IL MAGO DELLA JUVE Max Allegri è il timoniere della Vecchia Signora

di Sergio STANCO foto Agenzia Liverani

la sagacia tattica e la capacità di gestire anche gli spogliatoi più “fumantini”. Forse perché essi stessi “fumantini”. Già, perché il sangue caldo è un'altra delle caratteristiche imprescindibili per guadagnarsi l'etichetta dell'allenatore toscano DOC.

SPECIALE

Massimiliano Allegri è di Livorno e prima di sedere in panchina e diventare un allenatore di successo, di mestiere faceva il trequartista. “Acciughina” lo chiamavano, per la sua silhouette e la sua magrezza. Si diceva che non avesse tanta voglia di sacrificarsi, era uno che sapeva di essere bravo ma a volte si piaceva un po' troppo e si accontentava della giocata. Ma forse stiamo parlando di uno dei primi trequartisti moderni, meno fantasisti per intenderci e più centrocampisti a tutto campo. Luciano Spalletti è di Certaldo, provincia di Firenze, ma rispetto al collega della Juve, la gamba non la tirava mai indietro: “Anche perché nello sport il campione non è quello che vince sempre – si legge sul suo sito ufficiale - ma è quello che non molla mai ed io del mollare non conosco il significato”. Insomma, “Una vita da mediano, per dirla alla

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Ligabue”. Allegri ha avuto una discreta carriera anche in Serie A (il top nelle sue esperienze di Cagliari e Pescara probabilmente, ma ha vestito anche la maglia del Napoli). Luciano Spalletti, invece, si è formato e fermato sui campi di provincia, non riuscendo mai a scavalcare il muro dell'allora Serie C. Fabrizio Sarri, che invece è nato a Napoli, ma è cresciuto A Figline Valdarno e del toscanaccio (nel senso buono ovviamente) è davvero il prototipo, da calciatore non è andato oltre i dilettanti, ma questo non gli ha impedito di diventare uno degli allenatori più bravi, innovativi e ispirati della nostra epoca. Come diceva Sacchi: “Per essere un buon fantino non devi esser stato un cavallo”. Era un impiegato di banca, con un'ottima carriera tracciata, ma ha mollato tutto per inseguire un sogno: “Mi chiamano ancora l'ex impiegato, ma non me ne vergogno e non capisco

perché dovrebbe essere un difetto aver fatto altro nella vita”. Anzi, dovrebbe essere un merito, aggiungiamo noi. Tra tutti Allegri è forse il più pragmatico, Spalletti il più riflessivo, Sarri il più sanguigno: tutti, però, giocano un calcio offensivo, con tanti attaccanti e giocatori di fantasia: Pjanic, Cuadrado, Mandzukic, Dybala e Higuain contemporaneamente in campo sembrava una follia fino a qualche tempo fa, invece il Conte Max ha trovato la quadratura del cerchio; il 4-2-3-1 è un marchio di fabbrica per l'azienda Spalletti, fin da quando Luciano s'inventò Totti falso nueve, come oggi lo chiamano gli spagnoli pensando di averlo inventato. Proprio come ha fatto Sarri quando si è ritrovato orfano di Higuain e con una grande intuizione ha spostato mini-Martens nel ruolo di centravanti, creando un maxi-bomber.

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Fantasia al potere

Massimiliano Allegri

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SPECIALE/ TECNICI TOSCANI

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Gavetta che passione

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walter mazzarri

Era nato a Pisa nel 1922, Tommaso Maestrelli, ma il lavoro del padre, dipendente delle Ferrovie, lo aveva portato a ripetuti trasferimenti sin dalla prima infanzia. In sostanza poco cambia: negli annali del calcio, alla voce "primo allenatore toscano ad aver vinto lo Scudetto", compare proprio il nome di questo fuoriclasse della panchina mai troppo rimpianto. Discreto interno di centrocampo negli anni della gioventù, con l'orgoglio per la convocazione nella Nazionale di Vittorio Pozzo ai Giochi Olimpici di Londra 1948, Maestrelli fu artefice della vittoria del primo titolo tricolore della Lazio nel 1973/74. In un panorama tattico ancora saldamente imperniato sul gioco all'italiana, tutto difesa e contropiede, la filosofia calcistica dei biancocelesti rappresentò una rottura degli schemi tradizionali. Era, in pratica, un assaggio di quel calcio totale esibito ai massimi livelli dalla Nazionale olandese: quel sofisticato sistema di interscambio di ruoli, pressing, marcatura a zona e ritmi forsennati che colse impreparata l'aristocrazia calcistica nazionale. Fu una favola senza lieto fine. Gravemente malato, Maestrelli morì il 2 dicembre 1976, a soli 54 anni. E tragica era stata anche la fine del livornese Armando Picchi, già libero della Grande Inter divenuto poi, grazie ai buoni uffici di Italo Allodi, allenatore di una Juventus giovane e ambiziosa. Picchi approdò a Torino nel 1970 e si sentì subito a casa. Stimato dagli Agnelli e dal futuro presidente

IL GRANDE MAESTRELLI Tutti si ricordano la sua impresa con la Lazio

tommaso maestrelli

Boniperti, che lo convinse a far da chioccia ai tanti talenti in sboccio (da Bettega a Capello, da Causio ad Anastasi), non fece però in tempo a raccogliere i primi frutti del proprio lavoro. Portato via da un male incurabile, si spense

foto Agenzia Liverani

alla Roma, poi se ne va allo Zenit, prima di tornare nella Capitale a cercare di terminare l'ottimo lavoro cominciato qualche anno prima. Sarri ha la stessa età di Spalletti (58 anni, mentre per Allegri sono “solo” 50), ma non avendo i trascorsi del calciatore professionista, ha dovuto cominciare davvero dal basso. Per questo il suo curriculum è ancora più lungo: tralasciando gli inizi in seconda categoria, “l'impiegato” si guadagna le copertine quando porta il Sansovino dall'Eccellenza alla Serie C2 in tre stagioni. Da lì alla Sangiovannese, Pescara, Avellino, Verona, Perugia, Grosseto, Alessandria, Sorrento: esperienze non sempre positive, tanto che la sua stella sembrava destinata a spegnersi. Ci ha creduto il presidente dell'Empoli Corsi, dirigente illuminato, che lo ha rilanciato prima di consegnarlo nelle braccia di De Laurentiis.

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in cui Callejon e Insigne continuano a far ammattire le difese avversarie sulle fasce e Mertens fa il Maradona al centro dell'attacco. C'è un'altra cosa che accomuna questi tre moschettieri: tutti hanno fatto la gavetta. E pure parecchia. Allegri ha cominciato dall'Aglianese, squadra della provincia di Pistoia nella quale aveva terminato la carriera e prima di arrivare alla sua prima panchina importante (quella del Milan) si è seduto su quelle di Spal, Grosseto, Lecco, Sassuolo e Cagliari. Poi lo scudetto in rossonero prima di arrivare alla Juve. Luciano Spalletti è andato anche oltre: comincia con l'Empoli, dopo che da calciatore era stato il capitano e il faro della squadra allenata da Guidolin, poi le esperienze di Samp, Venezia, Udinese, Ancona e ancora Udinese. A Luciano piacciono le minestre riscaldate, visto che dal Friuli si trasferisce

maurizio sarri

di Luca GANDINI

Una carrellata di allenatori di grande spessore e storia…

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luciano spalletti

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Allegri è primo in classifica in Serie A ed è ormai tecnico lanciato verso una carriera indimenticabile. All'estero hanno già drizzato le orecchie e le sirene cominciano a suonare con insistenza. Qualcuno in lui vede l'erede naturale di Ancelotti, sebbene Carletto non abbia nessuna intenzione di abdicare. La Roma di Spalletti insegue i bianconeri e Luciano vorrebbe finalmente capitalizzare quanto di buono (tanto) fatto finora e che probabilmente i risultati (e soprattutto la bacheca) non testimoniano a dovere. Sarri si è affacciato da due anni al grandissimo calcio, ma sono bastati per dimostrare di che pasta sia fatto: secondo la critica, non c'è alcun dubbio sul fatto che il suo Napoli sia la squadra più spettacolare del campionato. Lo era l'anno scorso quando aveva un formidabile finalizzatore come Higuain, lo è anche quest'anno

Precursori e vincenti

il 26 maggio 1971, ad appena 36 anni. Secondo gli esperti, molti dei suoi insegnamenti sarebbero emersi nella grande Juventus che negli anni immediatamente successivi dominò la scena a livello nazionale.

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SPECIALE/ TECNICI TOSCANI

SPECIALE/ TECNICI TOSCANI

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Parlavamo di gavetta, giusto? Allora facciamo un salto in Serie B, dove si stanno affermando due tecnici di cui si dice un gran bene: parliamo di Leonardo Semplici, fiorentino verace, allenatore della Spal rivelazione della cadetteria, e Marco Baroni, anche lui di Firenze e che sta guidando il sorprendente Benevento a caccia di un sogno. Semplici ha 50 anni come Allegri e prima di arrivare in B si è giocato le sue carte proprio nella provincia toscana (Sangimignano, Figline, Arezzo, Pisa e giovanili della Fiorentina); Baroni di anni ne ha 54 anni e pure lui ha cominciato dalle sue parti (Rondinella, Montevarchi, Carrarese e Siena inframezzati da Sudtirol, Ancona e Cremonese),

IL DURO SONETTI Uno che si faceva sentire, in campo e fuori

nedo sonetti

foto Agenzia Liverani

Si fa presto a dire Scudetto. Nella carriera di un tecnico ci sono imprese che valgono forse ancor di più. Eugenio Fascetti da Viareggio, ad esempio, di Tricolori da esibire non ne ha. Ma siamo certi che mai baratterebbe la gioia di un titolo con l'orgoglio per le cinque promozioni dalla B alla A ottenute con Lecce, Lazio, Torino, Verona e Bari, le tante salvezze centrate sul filo di lana o la valorizzazione di decine di giovani campioni poi rivenduti con importanti plusvalenze. Lo stesso discorso vale anche per il piombinese Nedo Sonetti, altro “santone” della panchina che alle parole ha sempre preferito i fatti. Cinque promozioni conquistate in ogni angolo d'Italia, tra il 1983/84 (Atalanta) e il 1999/00 (Brescia), passando per Udinese (1988/89), Ascoli (1990/91) e Lecce (1998/99). Coetaneo di Sonetti è Renzo Ulivieri, pisano di San Miniato classe 1941, ancora oggi sulla breccia alla guida dell'Associazione Italiana Allenatori, approdo quasi naturale dopo quarant'anni di vita in panchina. Interminabile, l'elenco di fuoriclasse alle sue dipendenze: da Roberto Mancini a Gigi Buffon, da Fabio Cannavaro a Lilian Thuram a Roberto Baggio, col quale, a Bologna, furono scintille... Chiusura dedicata al massese Corrado Orrico. Così come Arrigo Sacchi al Milan, aveva voluto portare la rivoluzione zonista sull'altra sponda del Naviglio. Sacchi trovò la società ad appoggiarlo. Orrico, all'Inter, fu lasciato solo. A metà stagione 1991/92 fece le valigie e se ne andò. La coerenza, per un toscano, viene prima di tutto.

Ci siamo anche noi

leonardo semplici

prima di passare a fare il “professore” nelle giovanili della Juventus. Esperienza che poi lo ha portato al Lanciano, al Pescara, al Novara e poi fino al Benevento. E con questo finiamo la carrellata sui “primi della classe” dei principali campionati italiani, ma c'è qualcuno che di recente si è tolto qualche soddisfazione e qualcun altro che sta cominciando a capire un campionato complicato come la Premier. Certo, l'inglese non è proprio lingua agevole per uno che arriva da San Vincenzo, provincia di Livorno, ma uno che capisce di calcio come Walter Mazzarri trova il modo di farsi capire. Magari ci vuole un po' di più, ma alla fine i risultati parlano e anche al Watford

marco baroni

se ne stanno accorgendo. Marcello Lippi non ci pensa nemmeno ad imparare il cinese, ma dopo aver portato l'Italia sul tetto del Mondo, ora prova a fare la storia anche della nazionale asiatica. Dovesse riuscire a compiere il miracolo, gli faranno una statua. Probabilmente d'oro, vista la quantità di denari che circola da quelle parti. In realtà Lippi nella storia c'è già entrato, visto che in Cina ha già portato una Champions League da allenatore del Guangzhou Evergrande. Dalla Toscana (Viareggio per la precisione nel caso specifico) alla conquista dell'Asia come un novello Marco Polo. Come a dire che i tecnici toscani non si accontentano di dominare in Italia. Avanti il prossimo...

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Ci sono tecnici che sono abilissimi nel trovare la A…

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di Luca GANDINI

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Specialisti in promozioni

marcello lippi

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INTERVISTA LEONARDO SEMPLICI SGUARDO FIERO

TECNICI TOSCANI

Semplici ha acceso i cuori dei tifosi della Spal

L'ARTE della

SEMPLICI…Tà

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SPECIALE

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In cadetteria c’è una squadra che ha già lasciato il segno: la Spal di Semplici…

di Lorenzo MARUCCI foto Mascolo Photoview

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poi diventare un difensore centrale, all’età di venticinque anni. Da ragazzino promettevo bene…

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Semplici però non si fa distrarre dall'affetto che lo circonda e con i suoi collaboratori non lascia niente al caso nel preparare le partite. Si chiude in casa, si rivede le partite della sua Spal e analizza i filmati degli avversari, studiando le mosse e le strategie vincenti. Poi ovviamente ad

un certo punto arriva anche l'appetito, la fame vera e propria a cui non si può dire di no. Ferrara offre un ampio ventaglio di ristoranti gustosi e attraenti, e tra i preferiti di Semplici c'è il 'Centrale'. Cappellacci ripieni di zucca, tortelli, salama da sugo con purè. Delizie assolute per il palato, se non fosse per quelle 'maledette' calorie. "Devo tenermi leggero, se dovessi mangiare tutte queste leccornie dovrei andare a correre tutti i giorni", scherza Semplici che da buon fiorentino ha innescato anche una simpatica polemica con il titolare del ristorante a proposito delle origini della zuppa inglese. "Noi gli ripetiamo che la ricetta originale è la nostra, quella nata sulle colline fiorentine. Lui invece sostiene che la vera zuppa inglese sia quella ferrarese. Così spesso riprendiamo e accendiamo questo curioso dibattito.

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lo incrociano. "Qui si sta benissimo - racconta Semplici - città a misura d'uomo, tranquilla e piacevole. Si respira l'arte e la cultura del Rinascimento". Per chi è nato e cresciuto a Firenze in mezzo alle meraviglie del capoluogo toscano, è bello poter apprezzare il Duomo, il Castello Estense, Palazzo Prosperi-Sacrati e il Palazzo dei Diamanti. "Ma mi hanno colpito anche i giardini rinascimentali all'interno di alcuni palazzi. Davvero magnifici, curatissimi e con tanto di fontane e fiori".

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Basta camminare per le strade del centro e i capannelli dei tifosi che discutono a metà mattinata si fermano per complimentarsi con lui appena

“” Sono nato come centrocampista per

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L'

appetito vien mangiando. Il famoso motto attribuito al grande scrittore francese Francesco Rabelais (autore di Gargantua e Pantagruel) si attaglia perfettamente a Leonardo Semplici, l'attuale tecnico della Spal autentica rivelazione di questa stagione. Non certo perché l'allenatore toscano ha costruito le sue fortune a tavola, quanto perché la sua fame agonistica - unita alle indubbie capacità - lo ha portato a vincere praticamente in tutte le categorie. Prima in Eccellenza Toscana con il San Gimignano, poi con il Figline portato dall'Eccellenza alla Prima Divisione in Lega Pro, quindi con la Spal dalla Lega Pro alla B. E adesso si gode un altro eccellente momento con la squadra ferrarese, cullando un nuovo straordinario sogno. "Grande mister", "Mi raccomando sabato eh": a Ferrara ormai Semplici è diventato un beniamino e un punto di riferimento. Lui sorride, saluta e risponde: "Speriamo bene".

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INTERVISTA / LEONARDO SEMPLICI

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“”

A Firenze mi hanno sempre spronato a dare un'identità di gioco alla squadra, senza tralasciare ovviamente la fase difensiva… E non ci mettiamo mai d'accordo”.

Da ragazzino qual era il suo giocatore preferito, il suo idolo? “Ero e sono tifoso della Fiorentina. Inoltre giocavo come centrocampista e il mio idolo è sempre stato Giancarlo Antognoni. Mi ispiravo a lui. Mi fa piacere adesso rivederlo nel club viola. È una persona speciale”. Da giocatore ha ottenuto varie promozioni. Spicca anche quella con l'Arezzo dalla D alla C, con Cosmi allenatore. "Sì, da qualche anno ad Arezzo

meglio un gruppo mi faceva riflettere, anche perché ero un po' introverso. Sapevo che invece la capacità di tenere in pugno la squadra doveva essere una delle caratteristiche principali per questa mia mansione. Pian piano però capii che allenare mi piaceva davvero. E allora ho iniziato a darci dentro".

C'era Ciccio Graziani come presidente. Com'era? "Molto partecipe. Ci stava sempre vicino con la sua esperienza, consigliandoci non solo sugli aspetti tecnici. Ci dava carica e stimoli con il suo modo di fare coinvolgente e passionale".

Tra i tecnici di riferimento per lei non c'è solo Cosmi ma anche Indiani, è vero? "Con lui ho un legame speciale: in otto anni insieme ci siamo regalati tante gioie, le promozioni dalla D alla C con la Rondinella, il San Gimignano, il Poggibonsi e il Grosseto dove mi volle quasi a fine carriera. Ricordo che nel 2002-03 in C2 c'era anche la Fiorentina e io ero in campo nella partita che vincemmo clamorosamente 2-0 contro i viola. Ad ogni modo vorrei ricordare anche altri tecnici molto bravi che ho avuto, come Piero Braglia e Attilio Sorbi. Con tutti ho avuto un buon rapporto, sia che giocassi sia che avessi poco spazio".

Come nasce invece il Semplici allenatore? "Al San Gimignano. Avevo chiuso la mia carriera da giocatore e nel 200405 sulla spinta del presidente iniziai a provare a fare questo mestiere. Ero ritenuto un allenatore in campo, così mi fu proposto questo nuovo ruolo". Le piacque subito? "Inizialmente ero un po' scettico. Non ero convinto che potesse rappresentare il mio futuro. L'idea di gestire al

Andiamo adesso al periodo in cui ha allenato la Primavera della Fiorentina. Come avvenne il suo

“” Non esiste un modulo vincente: l'allenatore deve essere abile ad analizzare le caratteristiche dei giocatori e ad adottare un certo schema approdo in viola? "Nel periodo in cui allenavo il Figline, la Fiorentina svolgeva la seconda parte del ritiro estivo a San Piero a Sieve, nel Mugello. E la prima amichevole veniva programmata contro di noi. Credo di aver fatto insieme alla mia squadra una buona impressione al ds Corvino e ai suoi collaboratori. Fu così che rimasi probabilmente in testa ai viola e diventai poi il tecnico della Primavera". A proposito di Corvino quale è stata la miglior qualità che le ha trasmesso? "Prima di tutto sono grato a lui e alla famiglia Della Valle per avermi dato la possibilità di far parte del club. Per me fiorentino è stata una soddisfazione doppia. La grande conoscenza dei giovani da parte di Corvino è

stata per me utilissima, ha saputo regalarmi consigli preziosi su tante situazioni. Attraverso il confronto quasi quotidiano emergevano indicazioni importanti sul lavoro da effettuare giorno per giorno". Tra i dirigenti per lei è stato prezioso anche Macia. "Sì, nel corso della mia permanenza a Firenze mi sono confrontato spesso anche con lui. Parlavamo parecchio, di tanti argomenti. Mi ha aiutato e fatto capire tante cose, anche sul modo di porsi all'esterno e su tanti particolari che non sono secondari. Come ad esempio l'importanza delle forme, della necessità della giacca e della cravatta in certe occasioni più o meno ufficiali. Oppure la conoscenza della lingua inglese. Devo ancora approfondirla, ma lo farò".

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Adesso però parliamo anche di calcio. Chi era il Semplici giocatore? "Sono nato come centrocampista per poi diventare un difensore centrale, all’età di venticinque anni. Da ragazzino promettevo bene: iniziai all’Impruneta vicino a casa mia. Era un calcio diverso rispetto ad oggi, l’amicizia era uno dei valori fondamentali. Non a caso ancor oggi ho un ottimo rapporto con tanti di coloro con cui giocavo. Passai poi all’Empoli dove ho svolto tutta la trafila del settore giovanile. Ricordo che a sedici-diciassette anni fui anche convocato per un raduno della nazionale giovanile. Conservo ancora la lettera a casa: nel gruppo c'erano pure Roberto Baggio e Ciro Ferrara, il ct se ricordo bene era Francesco Rocca.

Purtroppo però mi feci male e non fu possibile rispondere a quella convocazione. Peccato perché poi non mi si ripresentò più un’occasione del genere. Erano gli anni in cui, come dicevo prima, giocavo nei ragazzi dell'Empoli. Arrivai fino alla Primavera".

stavano cercando di costruire una squadra che potesse tornare tra i professionisti subito dopo il fallimento. Il club era di grande tradizione e c’era la grande volontà di risalire. Puntarono su un tecnico emergente come Cosmi e su una serie di calciatori pieni di fame. E l'obiettivo fu centrato".

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INTERVISTA / LEONARDO SEMPLICI

Nel corso della sua esperienza alla Fiorentina ha dovuto vivere anche la novità rappresentata dal reality 'Giovani Speranze' su MTV. Come si trovò a gestire quel periodo? "Quella fu un'annata bella e difficile. Il programma ha dato molta notorietà ai ragazzi e spesso insieme alla società siamo intervenuti per far capire che le telecamere non dovevano rappresentare il loro vero obiettivo. Il pensiero doveva esser quello di crescere come ragazzi, uomini e professionisti. Ad ogni gara i giocatori avevano richieste di autografi e foto. La notorietà a volte può far sbandare i ragazzi di 17-18 anni ma la società è stata abile nel tenere tutti sotto controllo, facendo capire a ognuno qual era la strada da seguire". Che cosa si portato dietro, alla Spal, dell'esperienza in viola? "Credo di aver portato un gioco più spregiudicato. A Firenze mi hanno sempre spronato a dare un'identità di gioco alla squadra, senza tralasciare ovviamente la fase difensiva. Serve come sempre l'equilibrio, ma l'importante è che ci sia un'impronta riconoscibile. E in questo la Fiorentina mi ha dato un bell’input". Il 3-5-2 che utilizza alla Spal è il suo marchio di fabbrica? "No, assolutamente. Si figuri che prima d'ora non lo avevo mai utilizzato. Non esiste un modulo vincente: l'allenatore deve essere abile ad analizzare le caratteristiche dei giocatori e ad adottare un certo schema. E poi come dicevo prima serve dare un'identità precisa alla squadra".

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Se si volta per un attimo indietro e analizza la sua carriera da allenatore ha qualche rimpianto? "Forse per l'annata ad Arezzo, nel 2009-10. Fui esonerato e poi richiamato. Arrivammo terzi ma probabilmente se avessi potuto andare avanti per l'intera stagione avremmo potuto vincere il campionato. La sintonia con la squadra era giusta e i giocatori erano forti: da Cannarsa a Croce, da Chianese a Maniero, l'attuale

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“” La Spal in A? Sognare è bello. Ed è giusto continuare a farlo. Ma noi dobbiamo essere concentrati e realisti. E non illudere nessuno attaccante del Bari". I calciatori miglior che ha allenato finora? "Senza fare torti a nessuno dico Enrico Chiesa e Anselmo Robbiati che ho avuto al Figline. Due professionisti serissimi oltre che dalle grandi capacità tecniche. La carriera del resto parla per loro". Tra i calciatori che ha allenato nel recente passato chi le sta dando più soddisfazione? “Guardando il percorso che stanno facendo dico Bernardeschi, ma anche Babacar, che comunque i suoi gol li sa fare. Ma stanno crescendo bene anche Fazzi , Venuti e Capezzi. Tutti giocatori che ho avuto nella Primavera della Fiorentina”. Tra i grandi tecnici del passato che le piace? "Credo che Sacchi e Guardiola abbiano rivoluzionato il calcio degli ultimi trent'anni. Parlando di allenatori di grido devo anche dire che è stato un enorme piacere conoscere qui a Ferrara Fabio Capello che è venuto a vederci dal vivo. Chiacchierare di calcio con lui è stata una bella esperienza". Il Semplici fuori dal calcio che tipo è? “Mi concentro molto sul lavoro. Certo, una volta alla settimana, la sera con lo staff dei miei collaboratori ci concediamo anche una cena non proprio indicata per la miglior dieta. Ma si può fare. A base di carne sopraffina, quasi come se si mangiasse in Toscana. Ad organizzare e a scegliere il ristorante ci pensa Scalabrelli, il preparatore dei portieri. E un momento in cui non ci si risparmia. Ma, appunto, è una volta alla

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LA FORZA DEI SOGNI

Il tecnico ha idee ambiziose ma niente illusioni

INTERVISTA / LEONARDO SEMPLICI

settimana. Si stacca la spina, si ride, si scherza e si apprezza la buona tavola. Poi però si torna subito sul pezzo perché il campo chiama”. Le piace anche il cinema? “Sì, mi piace. Le Ali della Libertà, con Morgan Freeman è il film che apprezzo di più. I miei attori preferiti invece sono Mel Gibson e Catherine Z. Jones. Guardo anche la tv e ascolto un po' tutti i generi di musica. Ma poi fondamentalmente a me piace il calcio. Lo guardo e lo riguardo. Il pallone è sempre stato il mio hobby preferito". Un hobby che fa sognare. La Spal vola e in tanti iniziano a credere in una grande impresa... "Sognare è bello. Ed è giusto continuare a farlo. Ma noi dobbiamo essere concentrati e realisti. E non illudere nessuno". A volte i sogni si avverano…

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INTERVISTA STEFANO SENSI

INTERVISTA / STEFANO SENSI

IL FUTURO CHE AVANZA

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Sensi punta a grandi traguardi

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Faccia a faccia con Sensi, giovane stella del Sassuolo dalle idee piuttosto chiare… di Fabrizio PONCIROLI foto Mascolo - Photoviews Calcio 2OOO

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ecentemente, in Italia, il Made in Italy è tornato prepotentemente di moda. I giovani talenti di casa nostra riescono, sempre più, a mettersi in luce e a ritagliarsi uno spazio importante nella massima serie italiana. Stefano Sensi, classe 1995, è uno dei prospetti azzurri più interessanti. Non a caso il Sassuolo, club attentissimo alla valorizzazione dei giovani, ci ha puntato in maniera significativa. Lo abbiamo incontrato, per saperne di più sul suo conto… Allora Stefano, sfogliamo il libro dei ricordi… Come ti sei avvicinato al calcio? “Guarda, da quando ho memoria, ho sempre avuto il pallone tra le mani.

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“” Xavi è sempre stato il mio idolo. Mi piaceva come gestiva la palla. Sapeva cosa fare, prima ancora che la palla gli arrivasse È sempre stata la mia passione. Ho guardato il calcio in TV da quando ero piccolo. Seguivo le partite del calcio argentino e brasiliano, tanto per farti capire”. Sempre voluto fare il centrocampista o hai sperimentato altri ruoli? “Quando ero piccolo, non avevo un’idea di dove volessi stare in campo, mi interessava solo giocare. Mi ricordo che, all’inizio, dissi che volevo fare il portiere ma l’allenatore di allora non era convinto. Ho cominciato come trequartista, ora sono un centro-

campista centrale”. Come il tuo idolo, un certo Xavi… “È sempre stato il mio idolo. Mi piaceva come gestiva la palla. Sapeva cosa fare, prima ancora che la palla arrivasse tra i suoi piedi. Pazzesco”. Ora che effetto ti fa essere paragonato a giocatori come Pirlo e Verratti… “Innanzitutto devo dire che è motivo di grande orgoglio per me. Fa sempre piacere essere paragonato a certi giocatori, anche se loro sono fuori categoria. Chiaramente un po’

PIRLO E VERRATTI I paragoni importanti si sprecano...

di pressione la senti ma, ripeto, è comunque un piacere”. Quando hai capito che potevi fare del calcio la tua professione? “Non c’è stato un vero e proprio momento, direi che è una consapevolezza che è arrivata con il tempo. Io, sicuramente, ci ho sempre creduto, ho sempre voluto fare questo mestiere”. Ma se non ci fossi riuscito, cosa avresti fatto? “È una domanda che mi sono sempre fatto ma non mi sono mai dovuto dare

SASSUOLO, CHE CONQUISTA

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Con i neroverdi spera di diventare ancora più grande

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realizzare un sogno. Sono finito in una delle società top d’Italia, nel suo piccolo, una società molto grande una risposta vera. Forse avrei lavorato con il mio babbo che dirige una fabbrica di finestre”. La tua famiglia come vive il tuo essere un calciatore professionista? “Sono felicissimi, sono i miei primi tifosi. Se sono arrivato fino a questo punto, lo devo principalmente alla mia famiglia”.

Che tipo è Di Francesco? Quanto è importante la sua presenza per i giovani… “Il Mister è un allenatore molto preparato, cura ogni dettaglio e, come hai detto, crede tantissimo nei giovani. Non per caso, il Sassuolo ha lanciato e, tutt’ora, ha tantissimi giova-

Che consigli ti ha dato a livello individuale? “è un allenatore che si rivolge al singolo senza dimenticare il gruppo. Dice quello che pensa di ogni giocatore davanti a tutti gli altri. Punta al gruppo, sempre e comunque”.

Tu in cosa devi migliorare? “È una domanda che mi fanno spesso. Credo che, principalmente, io debba migliorare nella mentalità, nel saper essere sempre pronto, avere l’atteggiamento giusto ad ogni partita. Insomma, avere una mentalità vincente”.

Un Sassuolo che, quest’anno, ha alternato momenti buoni ad altri meno esaltanti, come mai secondo te? “Direi che gli infortuni hanno influito tanto. Ne

Tipo quella che si respira alla Juventus… “Loro sono incredibili, non mollano mai. Oltre alla fisicità e alla tecnica, hanno questa super mentalità vincente che li rendi

ni in rosa”.

Di Fabrizio Ponciroli

Sensi sta bruciando le tappe, ogni stagione si migliora

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ato ad Urbino il 5 agosto 1995, Stefano Sensi è già uno dei migliori prospetti del calcio italiano. Dopo aver mosso i primi passi da calciatore all’Urbania, nel 2007 entra a far parte delle giovanili del Rimini in cui mostra doti importanti. Disputa, da protagonista, due campionati Primavera, con il Cesena. Nel 2013 ecco il passaggio, con la formula del prestito, al San Marino. Con i sammarinesi resta due anni, segnando la bellezza di 11 reti in 63 gare totali. L’anno seguente arriva il passaggio di categoria importanti, con l’innesto al Cesena, compagine di Serie B. Ancora una volta, Sensi non delude: 33 gettoni stagionali con quattro gol all’attivo. Nel gennaio del 2016 firma con il Sassuolo che lo lascia, fino al termine dell’anno, al club bianconero. L’esordio con i neroverdi avviene nelle qualificazioni per l’Europa League, contro il Lucerna. Il 16 ottobre 2016 arriva il primo gol in Serie A: lo segna al Crotone (2-1 per il Sassuolo). E’ già nel giro dell’Under 21. Insomma, una carriera in rapida crescita.

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Ne hai fatta di strada prima di arrivare al Sassuolo… “Sì, diverse tappe e, poi, è arrivata la chiamata del

Sassuolo. Per me è stato come realizzare un sogno. Sono finito in una delle società top d’Italia, nel suo piccolo, una società molto grande. Sono felicissimo di essere qui”.

IN RAPIDA CRESCITA

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“” Sassuolo? Per me è stato come

abbiamo avuto parecchi… E poi, rispetto allo scorso anno, ci sono stati tanti cambiamenti e tanti giovani da inserire. Non è sempre facile ma possiamo migliorare tanto”.

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INTERVISTA / STEFANO SENSI

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Il suo idolo era Xavi, con i piedi è un asso

A livello personale, quali sono i tuoi obiettivi a breve giro? “Il mio obiettivo è fare più presenze possibili, almeno per quanto riguarda la stagione in corso. Poi, chiaramente, come tutti i giovani, mi piacerebbe, un giorno, giocare in un club che lotta per il vertice, per trofei importanti”. C’è un campionato, tralasciando la Serie A, che ti piace particolarmente? “Credo che, per le mie caratteristiche, il campionato spagnolo sia il meglio per me… Mi affascina molto il calcio inglese, mi piace la loro determinazione, la voglia che ci mettono sempre”. Intanto ti sei tolto la soddisfazione del primo gol in Serie A… “È stato bellissimo, una gioia immensa. Ho segnato contro il Crotone. Eravamo sotto nel punteggio e siamo riusciti a rimontare e vincere la partita. Quindi è stata una soddisfazione doppia”.

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Come mai, ultimamente, c’è più spazio per i giovani italiani in A? “Le società, attraverso i vari dirigenti, si sono accorti che c’è del talento nei nostri settori giovanili. Poi tutto è arrivato di conseguenza. Chi ha avuto la fiducia del proprio club, ha risposto alla grande”.

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Non credi che tutto questo Made in Italy sia dato anche dalla poca disponibilità economica. In tanti hanno puntato su giocatori fatti in casa

“” I miei sogni da calciatore? Te ne dico due: Mondiale e Champions League. Sono una persona ambiziosa per ovviare a casse semi vuote… “No, non penso sia questa la motivazione anche perché, quando c’è bisogno di acquistare, nessuno si tira mai indietro”. Parlando ancora di giovani che si sono messi in luce, che idea ti sei fatto di Donnarumma? “Lui è qualcosa di incredibile. Alla sua età, ha un fisico eccezionale ma ciò che mi colpisce è la personalità che ci mette in campo. Sembra un veterano”. Domanda secca: un trofeo che vorresti vincere da qui ai prossimi dieci anni… “Te ne dico due: Mondiale e Champions League. Sono una persona ambiziosa”.

pellicola del 2007 che racconta le avventure del personaggio Bob Lee Swagger, tiratore scelto reduce dall’Etiopia, ndr)”. Ora che sei un calciatore professionista, c’è un giocatore a cui chiederesti la maglia da gioco? “Ti direi Xavi ma non gioca più ad altissimi livelli, quindi vado con Iniesta, un altro genio del calcio. Uno che, come Xavi, sa sempre cosa fare con la palla, gioca sempre a testa alta. Giocatore unico”. C’è qualche sport, oltre al calcio, che ti piace particolarmente? “Il basket NBA”. Hai una squadra del cuore? “Mi fa impazzire Kyrie

Irving, giocatore dei Cleveland Cavs. Lui è incredibile, segna 25 punti a serata, nonostante abbia al fianco uno come LeBron James. Parlavamo di mentalità, Irving ne ha da vendere”. Un luogo che ti piacerebbe visitare e un’auto che ti piacerebbe guidare… “Mi attira Singapore, ho visto delle immagini e mi piacerebbe andarci. Auto? Non saprei. Sono uno che adora la velocità, quindi un’auto sicuramente sportiva ma non saprei ancora quale”. In attesa di scegliere l’auto giusta, Sensi sta lavorando per diventare un top player. La determinazione non gli manca, così come l’ambizione…

Parliamo un po’ di te… Videogames come andiamo? “Non gioco tanto alla playstation, ci giocavo qualche tempo fa, ora faccio altro”. Tipo? “Mi piace rilassarmi facendo lunghe passeggiate, mi diverte molto il cinema”. Che genere di film? “Soprattutto film d’azione, sono i miei preferiti”. foto Mascolo/Photoviews

fortissimi”.

COL PALLONE SA FAR TUTTO

Un film in cui ti sarebbe piaciuto essere il protagonista? “Direi Shooter, un film che racconta di un cecchino (con Mark Wahlberg,

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REPORTAGE / TORINO-JUVENTUS

REPORTAGE

A CASA DEL TORO… La Juventus ospite del Torino, in gioco molto più dei canonici tre punti… di Fabrizio PONCIROLI

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È

una giornata fredda. Torino-Juventus, attesissimo Derby della Mole, quest’anno va in scena alle porte dell’inverno. Nonostante il clima rigido, l’aria è elettrica attorno all’Olimpico. Mancano ancora diverse ore all’inizio del match (fissato per le 15.00), eppure la tifoseria granata è presente in massa nelle vie adiacenti allo stadio. Mihajlovic, tecnico dei granata, è stato chiaro: “Se giochiamo da Toro, possiamo vin-

cere contro la Juventus”. La banda di Allegri è la capolista, sta ammazzando il campionato, eppure, in casa granata, le certezze non mancano… L’impresa non pare impossibile. Tra i tifosi circolano diverse copie di un giornale dei tifosi. Il titolo in prima pagina è inequivocabile: “Il nostro Clasico”, con chiaro riferimento alla super sfida che incendia la Spagna. Dopo anni di vacche magre (otto stracittadine perse su nove, durante la

gestione Ventura), il Toro, finalmente, si sente pronto a giocarsela alla pari con i “nemici bianconeri”. Anche una leggenda granata come Sala si è sbilanciato: “Quest’anno siamo molto più vicini alla Juventus rispetto al recente passato. È la prima volta da anni che vedo ridursi il gap con i nostri rivali cittadini”, le sue parole durante la terza edizione della Hall of Fame Granata. L’eccitazione tra i supporter granata è tangibile: “Vinciamo 2-0, ci

foto Ponciroli

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IL CUORE GRANATA La Curva, l'anima del tifo del Toro

LA COREOGRAFIA JUVE Al derby anche la risposta bianconera

pensa Belotti”, ci assicura un variopinto tifoso della Curva. Gli fa eco un ragazzino: “Tocca a noi vincere sta volta. Belotti non lo ferma nessuno”. Tra cori e canti, la carovana si sposta verso i cancelli. È ora di entrare all’Olimpico. Recuperati gli accrediti, siamo all’interno dello stadio. C’è aria da derby. Lo speaker ricorda che il Filadelfia, la casa granata, è quasi pronta, invitando i veri tifosi a contribuire per completare l’impianto. A qualche minu-

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REPORTAGE / TORINO-JUVENTUS

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REPORTAGE / TORINO-JUVENTUS

SEMPRE PRESENTI I veri tifosi granata non mancano mai all'Olimpico

to dall’inizio del match, lo spettacolo del tifo prende vita. La coreografia della Curva Maratona è da brividi. “Voi passione e grinta… Noi la vostra spinta”. Il simbolo del club granata, il toro, giganteggia, quasi a spronare la squadra di Mihajlovic ad abbattere, senza pietà, la zebra bianconera. La sciarpata dell’intero Olimpico (in realtà, la dicitura esatta, sarebbe Stadio Olimpico Grande Torino), di fede granata, è coinvolgente e autentica. C’è anche l’ex Glik allo stadio. Il suo passaggio sotto la Curva Maratona esalta, ancor di più, le armate granata. Il popolo bianconero presente allo stadio non sta certo in silenzio e risponde con altrettanta partecipazione. L’essere a pochi metri dal campo, ci permette di carpire la carica che serpeggia tra i 40

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22 in campo. Lichtsteiner, poco prima dell’inizio della partita, rivolgendosi ad Alex Sandro, si lascia andare un “… forza, forza, è il momento di vincere”. Parole in perfetto stile Juventus. Il più rilassato è Allegri. Niente Dybala dall’inizio. In campo, con Higuain, c’è Mandzukic. Dentro il muscolare Sturaro mentre Pjanic si siede in panchina. Mihajlovic, dall’altra parte, conferma l’undici della vigilia, con il tridente Ljajic-Belotti-Iago Falque. I primi minuti, a dire il vero, sono di marca granata. La “garra” dei ragazzi di Mihajlovic è nettamente superiore a quella profusa dalla capolista. Belotti è inarrestabile. Una sua fuga, palla al piede, manda in visibilio il popolo granata. È proprio il Gallo a sbloccare il Derby della Mole. L’Olimpico è una

bolgia. La Juventus è stata infilzata. I bianconeri barcollano ma, là davanti, c’è un mostro che risponde al nome di Higuain. È lui, su imbeccata di Mandzukic, a riportare la stracittadina in parità. I granata non si demoralizzano. Il primo tempo, di fatto, lo vince, ai punti, la squadra di casa. All’intervallo c’è soddisfazione tra i presenti di fede granata: “Peccato per la rete di Higuain, potevamo essere sul 2-0”, ci confida un 67enne che ben conosce l’importanza del derby a Torino. Nel secondo tempo il ritmo si placa. Il Toro punge di meno, eppure la sensazione di poter battere la Vecchia Signora è forte. Mihajlovic, da sempre un guerriero, decide di provare il colpaccio. Al 36’ della ripresa, spazio a tre cambi simultanei. Dentro Boye, Martinez e Acquah.

Passano pochi secondi e il mostro torna protagonista. Dopo aver costeggiato la gara a lungo, rimanendo quieto a lungo, Higuain si inventa un gol straordinario. Potenza e classe, il tutto per confezionare il 2-1 e la sua doppietta personale. Il pubblico granata non ci crede… I tifosi bianconeri festeggiano. C’è, in realtà, ancora il tempo per reagire ma la Juventus, ormai, è in totale controllo del match. Con il cuore, i granata si gettano in avanti, sospinti da pubblico e allenatore. Ci pensa Pjanic, entrato da poco, su favolosa giocata di Dybala, altro subentrato, a chiudere i conti con la rete del definitivo 3-1. Al triplice fischio finale di Rocchi, l’Olimpico granata applaude comunque i suoi eroi per i circa 70’ giocati alla pari (a tratti anche meglio) con la capolista. Poi è

LA FORZA DELLA JUVE è la squadra più tifata d'Italia, la più amata...

GONZALO VS HIGUAIN

Minuto 82, il bianconero vince il duello con il granata e decide il derby… Il secondo, classe 1995, è Avete presente il cult una delle grandi promesse cinematografico “Fuga per la Vittoria”? Ricordate del Toro targato Sinisa. Da quando Molinaro l’attimo in cui Luis Fernannon è più il titolare della dez, ossia Pelé, realizza fascia, Barreca ha dimola magnifica rovesciata strato sempre di avere le che entusiasma anche il doti per non sfigurare. Maggiore tedesco von Bene, la palla, come in un Steiner? Il tutto accade rallenty cinematografico, in un attimo, anche se la scena, grazie a diversi ral- si abbassa dolcemente. lenty, si protrae a lungo. Il Barreca prova a spostare Derby della Mole ci conse- il corpaccione di Higuain. Tutto inutile. Gonzalo si gna un’analoga scena di libera di Antonio e, dopo impareggiabile bellezza. aver controllato il rimbalMinuto 82, su un lungo zo della palla, esplode lancio di Chiellini verso l’aria di rigore avversaria, un destro che non lascia scampo ad Hart, fino a Higuain e Barreca si sfiquel momento insuperabidano a duello. Il primo è l’asso della Vecchia Signo- le. Un gol “alla Higuain”. Barreca resta di sasso. Il ra. Costato una fortuna, Pipita l’ha battuto. Qualcuha il dovere di fare la no proverà anche a dare differenza quando serve.

TABELLINO PARTITA 11/12/2016 – ore 15.00 TORINO-JUVENTUS 1-3 (primo tempo 1-1) TORINO (4-3-3):Hart; Zappacosta, Rossettini, Castan, Barreca; Benassi (36'st Boye), Valdifiori, Baselli (36'st Acquah); Iago Falque (36'st Martinez), Belotti, Ljajic. (Padelli, Cucchietti, Bovo, Maxi Lopez, Gustafson, Vives, Moretti, De Silvestri, Ajeti). All. Mihajlovic. JUVENTUS (4-4-2): Buffon; Lichtsteiner, Rugani, Chiellini, Alex Sandro; Khedira, Marchisio, Sturaro (22'st Lemina); Cuadrado (36'st Pjanic), Higuain, Mandzukic (26'st Dybala). (Neto, Audero, Benatia, Evra, Hernanes, Asamoah). All. Allegri. ARBITRO: Rocchi di Firenze MARCATORI: 16' Belotti (T), 28' pt Higuain (J); 37' Higuain (J), 47' st Pjanic (J) NOTE: spettatori: 26.500 circa. Ammoniti: Castan, Manduzkic, Rugani. Angoli: 4-3 per il Torino. Recupero: 1', 5'

delle colpe al giovane difensore granata. Un errore. Barreca ha fatto del suo meglio. Il capolavoro è tutto di Higuain. Come

in “Fuga per la Vittoria”, un momento indimenticabile… L’apoteosi del gioco del calcio racchiuso in pochi istanti…

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BELOTTI VS HIGUAIN - Il saluto prima della battaglia

APRE IL GALLO - Belotti porta avanti il Torino

LE DUE PANCHINE

mento, sembra una caffettiera pronta ad esplodere. È talmente concentrato sulla gara che sembra in campo, al fianco dei propri giocatori. “Dai, pressalooooo!!!”, “Prendilo, prendilo, prendilooooooo”. Sinisa non molla di un centimetro,

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SI FESTEGGIA - La Juve vince sul campo del Toro

La salute: una scelta professionale

cercando di caricare a pallettoni ogni suo giocatore. Diverso l’approccio di Allegri. Ad inizio match, nel momento migliore dei granata, l’allenatore bianconero ripete, all’esasperazione, un concetto: “Calma, calma, calma!!!”. Il suo stile è più “elegante”

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SI SCATENA IL PIPITA - Devastante Higuain, l'uomo in più della Juve

NEL SEGNO DI SIXTUS ITALIA

Mihajlovic e Allegri, due grandi allenatori con un approccio diverso alle partite In TV non c’è modo di soffermarsi, a lungo, sulle due panchine e, in particolare, sul lavoro degli allenatori. Diverso se si è “live” allo stadio. Gustarsi l’operato di Mihajlovic e Allegri durante il derby è uno spasso ulteriore. Il serbo, sempre in movi-

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REPORTAGE / TORINO-JUVENTUS

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REPORTAGE / TORINO-JUVENTUS

meno irruento anche se, quando Belotti, trova il gol dell’1-0, la reazione non è da lord. Entrambi, tuttavia, calpestano, nervosamente, la loro zona di competenza con grande spirito battagliero. Una sfida nella sfida, tra due allenatori di prima fascia…

Il nostro reportage è stato possibile grazie al prezioso aiuto di Sixtus Italia. Azienda toscana di primissimo livello, opera da oltre 40 anni nel mercato italiano per la distribuzione diretta a società sportive, negozi, farmacie e istituti medici e fisioterapici di prodotti ed attrezzature specifiche per attività di recupero fisico e prevenzione. La divisione Technology è il fiore all’occhiello di

un’azienda da sempre proiettata al futuro. Sixtus Italia è un marchio decisamente presente sui campi di calcio, in particolare su quelli della Serie A. Sono infatti ben 13 le squadre della massima serie italiana che si affidano all’eccellenza garantita da Sixtus Italia. Sperimentato il tutto personalmente, non possiamo che accordarci a chi crede nel marchio Sixtus Italia.

arrivato un certo Higuain e tutto è cambiato… L’uscita dallo stadio è sempre il momento più emozionante per carpire lo stato d’animo dei tifosi. “Come si fa a cambiare tre giocatori insieme? Non puoi fare una cosa così assurda”, racconta un nervoso tifoso del Toro. C’è chi se la prende con la sfortuna: “Se Ljajic metteva quel tiro (si era sull’1-1, ndr), la partita finiva e li avremmo battutti”. Trovia-

mo anche una coppia ben assortita. Lui tifoso granata, lei bianconera: “Questa volta pensavo toccasse a me festeggiare ed invece mi tocca ancora tornare a casa sconfitto”, scherza, ma non troppo, il ragazzo. In sala stampa, Mihajlovic sottolinea la grande prova offerta dalla sua squadra: “Fino all'83' è stata una sfida equilibrata e anche noi abbiamo avuto le nostre occasioni. Loro puntano a vin-

cere campionato e Champions, ma non ho visto tutta questa differenza con noi. Abbiamo provato a vincerla. Abbiamo giocato alla pari ma il secondo gol ci ha tagliato le gambe”. L’analisi del tecnico serbo è corretta: il secondo gol è l’istantanea del Derby della Mole n.192. Il capolavoro di Higuain è la dimostrazione del perché il Pipita è, ad oggi, uno dei migliori attaccanti in circolazione.

Un guizzo da fuoriclasse, un perfetto mix di forza e talento. Una meraviglia… L’ultima immagine che ci resta della stracittadina è un gruppo di tifosi granata che si gustano un panino a pochi metri dallo stadio. “Domani al lavoro ci sarà da soffrire con tutti i gobbi che ho in ufficio”, ammette uno dei presenti. Eh sì, perdere il Derby della Mole fa sempre male, anche se hai giocato a testa alta…

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PASSIONE ALL'INGLESE Ebbsfleet U.F.C.

PASSIONE ALL'INGLESE / Ebbsfleet U.F.C.

ESORDIO La prima partita del Gravesend & Northfleet FC 31 agosto 1946 contro Hereford United

Nella Non League si respira il calcio inglese autentico, quello che lascia a bocca aperta…

seguendo di Gianfranco GIORDANO

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uando parliamo di calcio inglese pensiamo subito ai lustrini e alle paillettes della Premier League, questo è quello che mostrano solitamente televisione e giornali. Oltre al massimo campionato ed agli altri tre campionati della Football League c’è un universo di storia e passione che danno vita alla Non League, qui vive ancora il vero calcio inglese. Lontani mille miglia da quel baraccone televisivo dove si parla solo di business ci sono ancora sport ed entusiasmo genuino, più si scende di categoria più è bello. Northfleet, cittadina del Kent di circa 13.000 abitanti, quaranta chilometri a est di Londra sulla riva meridionale del Tamigi, qui gioca l’Ebbsfleet United Football Club, squadra

della Conference South. Le origini del club risalgono al momento in cui la regina Vittoria sedeva sul trono, l'impero britannico si estendeva in lungo e in largo in tutto il mondo ed East London si stava ancora riprendendo dagli omicidi di Jack lo Squartatore. Il Northfleet Invicta era in origine un club di cricket, ma i suoi membri adolescenti lo trasformarono in un club di calcio nel novembre 1890, due anni più tardi cambiò denominazione in Northfleet United. Nel frattempo a Gravesend, una manciata di chilometri verso il mare, nel 1893 dalla fusione tra il Gravesend FC ed il Gravesend Ormond nacque il Gravesend United FC, questo club fu uno dei membri fondatori della Kent League. Dopo la pausa per il secondo conflitto mon-

diale, il Gravesend United riprese, non senza difficoltà, l’attività agonistica dalla Kent League nel 1945-46, raggiungendo il terzo posto. Il Nothfleet United era ormai alla deriva e non riuscì ad iscriversi a nessun campionato. Nel frattempo iniziarono le trattative tra i dirigenti dei due club per raggiungere un accordo che porterà alla fusione e alla nascita di un nuovo sodalizio, il Gravesend & Northfleet FC. La Southern League ammise il nuovo club nella sua assemblea del 14 giugno 1946 e vennero anche confermate le maglie rosse del Northfleet United come colori sociali, probabilmente su ispirazione della bandiera del Kent; il Gravesend United portò in dote il titolo sportivo mentre il Northflet United mise a disposizione il terreno di Stonebridge Road. Il 31 agosto iniziò

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il negozio del club un container dipinto di rosso

ci, chi mi saluta, chi mi dà una pacca sulla spalla, chi si ferma a chiacchierare. Prima della partita un salto al bar per una pinta, dove difficilmente riesco a pagare da bere. A questo livello del calcio inglese, sesto, raramente c’è divisione tra le due tifoserie, ed è anche difficile vedere poliziotti. I tifosi delle due squadre affollano il bar e spesso si scambiano le curve tra i due tempi, le Magpies hanno circa cinquanta tifosi al seguito con sciarpe e maglie bianconere orgogliosamente in vista.

A Stonebridge Road c’è una media di mille spettatori a partita, oggi l’incontro è importante e lo stadio è gremito da 1.318 spettatori, molti di questi sono tifosi di squadre di Premier che, a causa dei prezzi dei biglietti troppo alti per le partite delle loro squadre, preferiscono assistere a partite di Non League. Questo è il famoso modello inglese, prezzi alti per stadi salotto e fuori i veri tifosi della working class. Prima della partita Hooky, la mascotte della squadra, fa il giro del campo intrattenendosi con i tifosi e con i

foto Gianfranco Giorndano

giocatori che si riscaldano. Ormai ci siamo, le squadre entrano in campo, rossi da una parte e bianconeri dall’altra, terna arbitrale rigorosamente in nero, alle 15.00 si comincia. Il campo è perfetto, verde e liscio come il tavolo di un biliardo, le tribune a ridosso del campo, i giocatori così vicini da poterli toccare, pubblico caloroso e corretto, qui si riesce ancora a vedere la partita in piedi. Nella Plough End, dove ci sono i tifosi più accesi dell’Ebbsfleet United, i cori sono scanditi da Scott con il suo tamburo. La partita è bella, combattuta ed intensa. Pochi falli, nessuna simulazione e tanto agonismo da entrambe le parti, quando c’è una segnatura i giocatori esultano in modo semplice senza mettere in scena i teatrini che ormai vediamo abitualmente sui campi delle serie maggiori. Nel primo tempo le Magpies giocano meglio, trovano il vantaggio dopo pochi minuti grazie a Marks, che approfitta di una difesa non impeccabile, e controllano la partita senza concedere troppo agli avversari, l’Ebbsfleet riesce comunque ad arrivare al pareggio al 22’ con Shields. Passano solo cinque minuti e gli ospiti tornano in vantaggio ancora con Marks, intanto comincia a scendere una pioggia leggera. Il secondo tempo comincia sotto il diluvio, in apertura sono ancora le Magpies a rendersi pericolose ma è il Fleet che prende in mano il gioco con azioni veloci in profondità, senza comunque riuscire a pareggiare. Alla mezzora ospiti in dieci, i padroni di casa continuano a premere con sempre più decisione e raggiungono il meritato pareggio al 77’ grazie ad un rasoterra a fil di palo di Bubb. Passano solo dieci minuti e anche il Fleet rimane con un uomo in meno, i padroni di casa sbandano un po’ e il Maidenhead segna la rete vincente a due minuti dalla fine, sempre con Marks che si porta a casa il pallone. Dopo la partita tutti al pub per scacciare l’umidità del pomeriggio con qualche pinta, oltre ai tifosi è regola trovare al bancone i giocatori di entrambe le squadre. I tifosi sono soddisfatti per l’impegno profuso da tutti i giocatori e per il gioco offensivo della squadra, anche se la delusione per la sconfitta arrivata nei minuti finali è tanta e non mancano ovviamente le critiche per la difesa un po’ approssimativa, come spesso succede in questo campionato. Dalla stagione 2015/16, i giocatori dell’Ebbsfleet United hanno un contratto full-time, si allenano tre volte la settimana e spesso nei giorni liberi si dedicano ai ragaz-

la sede gli uffici del club e la reception

foto Gianfranco Giorndano

foto Gianfranco Giorndano Stonebridge Road l'ingresso dello stadio

foto Gianfranco Giorndano

la nuova era per il calcio locale, un compito arduo li attendeva nella prima partita in casa contro i vice campioni della precedente stagione, l’Hereford United. Quel giorno più di 5.000 spettatori arrivarono a Stonebridge Road, la squadra giocò magnificamente per l'occasione, battendo gli ospiti con il punteggio di 3-0. Il club ha sempre navigato nella Non League, vincendo diverse volte campionato e la Kent Senior Cup, fiore all’occhiello il terzo turno di FA Cup contro l’Aston Villa il 6 gennaio 1996 a Villa Park. Con la speranza di aumentare gli spettatori e con un occhio alla ricostruzione futura della regione, il primo maggio 2007 fu annunciato che la denominazione Gravesend & Northfleet FC passava alla storia ed il club assumeva la nuova denominazione di Ebbsfleet United FC. Il cambiamento sollevò, ovviamente, molte discussioni tra i tifosi. Il Fleet, la Flotta, questo il nickname del club, raggiunse il suo momento di massima gloria il 10 maggio 2005, quando vinse la finale di FA Trophy a Wembley, 1-0 contro il Toquay United con rete di Chris McPhee. Sabato 19 novembre, l’occasione è ghiotta il Fleet ospita la capolista Maidenhead United per il diciannovesimo turno di campionato. Il torneo è lungo, 42 partite, si gioca il sabato pomeriggio e spesso il martedì sera, il calendario non è rigido come ai livelli più alti e capita che alcune partite vengano spostate su accordo dei due club. Arrivare allo stadio è semplice, dall’aeroporto di Londra Stansted si prende il pullman fino a Stratford, zona olimpica, si entra nel centro commerciale Westfield, circa a metà dello shopping center c’è la stazione ferroviaria di Stratford International. Dopo quattordici minuti di treno eccomi alla stazione di Ebbsfleet International, poi bastano pochi minuti a piedi e si arriva davanti all’ingresso dello stadio. Si acquista il biglietto direttamente al botteghino, dodici sterline, si oltrepassano i classici tornelli ed eccoci all’interno, con me ci sono tre amici di Torino. Manca un’ora alla partita quindi c’è tutto il tempo di andare al negozio del club, un container dipinto di rosso, dove compro il match programme e guardo se c’è qualche nuovo articolo da comprare per me o per qualche amico appassionato di calcio inglese. Il negozio non è il classico superstore dei club di Premier, in ogni caso sono esposte le divise da gioco, abbigliamento e tutti gli accessori necessari per il vero tifoso. Non mancano i libri sulla storia del club. Nel frattempo comincio ad incontrare i miei ami-

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Ebbsfleet United - Maidenhead United Fleet in attacco

zi delle formazioni giovanili o intrattengono rapporti con tifosi e sponsor. I contratti sono annuali ed al termine della stagione il manager decide quali giocatori riconfermare, lo stipendio varia dalle 3.000 alle 5.000 sterline al mese, la media stipendi del campionato è più bassa ma ci sono club che pagano di più. C’è anche chi preferisce prendere meno soldi per privilegiare la famiglia ed il lavoro, ad esempio nell’estate del 2015 il capitano Paul Lorraine ha lasciato la squadra perché tre allenamenti alla settimana

non erano conciliabili con i suoi impegni. La rosa è composta da giovani che sperano di raggiungere un giorno il calcio professionistico (nel settembre del 2011 su questo campo si è esibito Jamie Vardy, segnando una rete con la maglia del Fleetwood Town), ragazzi che non sono riusciti a sfondare e ci sono anche giocatori con una carriera più o meno importante alle spalle. All’inizio degli anni 70 nel Gravesend & Northfleet ha giocato il futuro selezionatore della nazionale inglese, Roy Hodgson, per lui 59 presenze

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ed una rete in due stagioni. Attualmente fa parte della rosa l’attaccante Charlie Sheringham, figlio del ben più famoso Teddy, classico attaccante inglese che ha preso dal padre il coraggio e lo spirito di sacrificio ma non la classe. L’Ebbsfleet United è attualmente una società solida ed autonoma dal punto di vista finanziario ma in passato i problemi sono stati tanti. Il personale di servizio allo stadio è parzialmente volontario, alcuni lavorano completamente gratis ed altri hanno un contributo economico, per il servizio al bar ed al ristorante della Fleet Lounge, ci si affida ad un’agenzia che fornisce il personale. Al bar il tempo passa veloce in compagnia di alcuni tifosi, in particolare Chris, ex presidente del Fleet Trust ed attuale responsabile della manutenzione dello stadio, e Dave, si chiacchiera e si beve. Nel frattempo arrivano al pub Nathan Ashmore e Danny Kedwell, il portiere ed il capitano. I giocatori dopo la partita passano volentieri dal pub per bere qualcosa e fare due chiacchiere con i tifosi. Nella scorsa stagione ho assistito ad una bellissima scenetta. C’era la festa di compleanno di un bambino di dieci anni, una cosa abbastanza normale organizzare una festa dopo la partita, ed improvvisamente è arrivato un giocatore che portava al tavolo del festeggiato la torta con le candeline. Non vi dico l’emozione del bambino. Il tempo vola ed arriva il momento di andare, saluto gli amici, Ashmore e Kedwell che nel frattempo si erano uniti al nostro gruppo, ed esco dallo stadio. Domani mattina si torna a casa, aspettando con ansia di ritornare per un’altra giornata di calcio vero.

foto Gianfranco Giorndano

IL CAMPO DELLA PASSIONE Qui è dove tutto ha inizio e finisce...

PROPRIETÀ

Storicamente la società è sempre stata diretta da facoltosi tifosi locali, spesso in gruppo, che sopperivano alle esigenze del club mettendo mano alle proprie risorse. Questa tradizione si interruppe nel gennaio del 2008, quando l’Ebbsfleet United venne rilevato dal progetto MyFootballClub, una web community fondata l’anno precedente. Dopo il successo iniziale il progetto si sgonfiò lentamente e, dopo mesi di agonia superati grazie al cospicuo intervento finanziario a titolo gratuito di un tifoso ed alle collette tra i tifosi, lo spettro del fallimento era sempre più vicino. La svolta arrivò nella primavera del 2013 con una nuova proprie-

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dopo partita al pub dello stadio Danny Kedwell e Nathan Ashmore, il capitano ed il portiere, in mezzo, con i tifosi italiani

tà, la Kuwait Europe Holding Sport Limited del Dottor Abdulla Al-Humaidi. Questi è un imprenditore Kuwaitiano appassionato di calcio residente in Inghilterra, era sua intenzione acquistare una squadra di calcio di basso livello con l’aspirazione di tentare la scalata al calcio professionistico. Abitando a Brighton, il Dottor Abdulla rivolse le sue attenzioni inizialmente all’Eastbourne Borough, ma il complesso assetto societario del club sulla manica non consentì l’operazione, successivamente contattò MyFootball-

Club ma la sua offerta venne rifiutata. Dopo un tentativo con il Welling United, rigettato dalla proprietà che non aveva intenzione di passare la mano, assunse Peter Varney, dirigente del Charlton Athletic, con l’incarico di contattare nuovamente MyFootballClub. Nel frattempo la situazione dell’Ebbsfleet United si era fatta drammatica, il club aveva solo più due settimane per reperire i fondi necessari ed evitare il fallimento, a quel punto il consorzio accettò l’offerta della Kuwait Europe Holding.


SPECIALE / MAGLIe STORIChe ASTON VILLA

SPECIALE / MAGLIe STORIChe ASTON VILLA

L’

MAGLIE STORICHE

VIVA VILLA Club con fan in tutto il mondo, l’Aston Villa ha sfoggiato maglie leggendarie e ricche di significato…

STAGIONE 2016-17

Jonathan Kodjia

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foto Imago/Image Sport

SPECIALE

di Gianfranco GIORDANO

Aston Villa venne fondato da membri della Aston Villa Wesleyan Chapel di Handsworth nel 1874, non ci sono certezze sulla data esatta, si parla di marzo o di ottobre ma alcune fonti citano un giorno preciso, il 21 novembre, nove giorni prima della nascita di Winston Churchill. I fondatori, che si ritrovarono sotto un lampione a gas in Heathfield Road, erano giocatori di una squadra di cricket desiderosi di tenersi in allenamento durante i mesi invernali, dopo aver visto una partita di rugby decisero che lo sport praticato sotto le Association Rules era più consono ai loro gusti. Il nome è molto particolare, assolutamente unico nel panorama calcistico britannico, e fa riferimento alla zona di Aston, un’area nella parte settentrionale della città di Birmingham, mentre Villa deriva da un incrocio stradale denominato Villa Cross posto sulla Villa Road. L’Aston Villa giocò la prima partita nel marzo del 1875, avversario Aston Brook St.Mary's, una squadra di rugby della zona. Le due squadre decisero di giocare il primo tempo, terminato a reti bianche, secondo le Rugby Rules ed il secondo tempo secondo le Association Rules, la rete decisiva per i Villans venne segnata da Jack Hughes. La prima divisa era composta da una maglia con sottili righe orizzontali blu reale e rosso scarlatto, pantaloni bianchi e calzettoni blu reale. Nella stagione 1877/78 il Villa scende in campo con una divisa composta da maglia bianconera a sottili righe orizzontali, pantaloni bianchi e calzettoni neri. Il club nei primi anni ebbe l’influenza della numerosa comunità scozzese presente in città, in particolare William McGregor, arrivato al club nel 1877, grande organizzatore e uomo d’affari. Nella stagione 1878/79 il club comprò delle maglie nere a girocollo impreziosite da un grande leone rampante rosso, con i ripetuti lavaggi i leoni sbiadirono diventando di un colore rosa stinto quindi, per la stagione seguente, si decise di andare in Scozia e comprare tredici stemmi reali gialli con il leone rampante rosso, in modo da attaccare lo stemma sulle maglie per le partite e poi staccarlo prima di mandare le maglie in lavanderia. Le stagioni giocate con il leone sul petto non furono particolarmente fortunate per la squadra, così si decise di togliere lo stemma dalla maglia ed utilizzare il leone solo sulla carta intestata e su tutti gli oggetti del club. Negli anni tra 1880 ed il 1884 si alternarono diverse divise, amaranto con il leone rosso, biancoblù a righe orizzontali, nera ed anche una maglia divisa a metà in due tonalità di verde. Nella stagione 1884/85 e nella prima parte della stagione seguente, i Villans indossarono una curiosa maglia biancorossa “pezzata”, con pantaloni bianchi e calzettoni neri (purtroppo non ci sono fotografie della squadra con questa divisa), seguita poi da una classica maglia a strisce verticali bianconere con collo a camicia, il resto della divisa rimane invariato. L’8 novembre 1886, in vista della nuova stagione, il direttivo del club decise di ordinare delle nuove divise composte da maglia a sottili strisce verticali cioccolato e azzurro (al tempo il color cioccolato era abbastanza di moda nel calcio britannico) con collo a camicia, pantaloni bianchi e calzettoni cioccolato. L’incarico di cercare le nuove divise ad un prezzo ragionevole venne affidato a McGregor, con questa divisa il club vinse il suo primo trofeo, l’FA Cup. La stagione successiva arrivarono i definitivi colori amaranto e celeste, da quel momento non ci furono altri cambiamenti cromatici ma solo qualche aggiustamento stilistico, riguardo alla scelta dei colori amaranto e celeste ci sono due versioni. La nuova accoppiata cromatica sarebbe semplicemente un’evoluzione della divisa precedente, l’amaranto andava a sostituire il cioccolato in onore

STAGIONE 1874

STAGIONE 1879-80

STAGIONE 1886-87

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SPECIALE / MAGLIe STORIChe ASTON VILLA

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UNA MAGLIA UNICA L'Aston Villa è un club con una storia leggendaria...

STAGIONE 1887-88

STAGIONE 1892-93

STAGIONE 1923-24

Ashley Westwood

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foto Imago/Image Sport

della Regina Vittoria che nel 1887 festeggiava i cinquantanni di regno, l’amaranto è il colore che rappresenta la monarchia britannica, il balcone di Buckingham Palace nelle occasioni ufficiali è sempre adornato con un drappo di questo colore. Un’altra versione parla di un omaggio alla Scozia, patria di molti giocatori del club. Si narra di una riunione tenutasi in un pub (e dove altrimenti?) in cui i giocatori decisero di adottare i colori di Hearts e Rangers che, insieme al leone rampante, avrebbero dovuto rappresentare il legame tra l’Aston Villa e la Scozia. La prima divisa con i nuovi colori, stagione 1887/88, era composta da una maglia a scacchi amaranto e celeste con collo a camicia in tinta, pantaloni bianchi e calzettoni amaranto. Con questa divisa l’Aston Villa partecipa alla prima edizione della Football League, il più antico campionato nazionale del mondo, nato grazie a William McGregor, il primo ad avere l’idea di mettere ordine nel caos dei campionati disputati a livello locale. Nelle stagioni 1890/91 e seguente la maglia è divisa a metà con collo a girocollo amaranto chiuso da bottoni, mentre nelle stagioni 1892/93 e seguente il collo è bicolore a camicia. In queste stagioni venne usata, sporadicamente, la maglia amaranto con le maniche celesti che divenne definitiva con l’inizio della stagione 1894/95. Era la famosa maglia di lana amaranto con collo a girocollo chiuso da laccetti con un vistoso bordo celeste, maniche celesti e polsi amaranto, i pantaloni sono bianchi ed i calzettoni amaranto con bordini celesti, sono anni d’oro per il Villa che comincia a diventare una leggenda ammirata in tutto il regno e questa maglia, disegnata da Ollie Whateley (giocatore del Villa e della Nazionale inglese), diventa una vera icona del calcio britannico e rimane praticamente invariata fino alla stagione 1922/23. Nel frattempo il club si spostò nell’Aston Lower Grounds, al tempo il miglior impianto sportivo della zona, nel 1897 e subito i tifosi ribattezzarono l’impianto Villa Park. Nei primi anni del secolo, indicativamente tra il 1900 ed il 1908, i Villans hanno indossato delle semplici maglie rosse di tessuto più leggero in giornate particolarmente calde. Nella stagione 1923/24 il collo, sempre a girocollo, riporta un doppio bordo celeste, anche i polsi che riportano un doppio bordo amaranto, i calzettoni diventano neri con bordini celeste ed amaranto, il collo è sempre chiuso dai laccetti che spesso vengono persi durante le partite o in lavanderia. Questa divisa viene usata, praticamente invariata, fino al 1944 anche se in alcune occasioni la squadra scende in campo con una versione precedente della maglia. Alla ripresa dei campionati nel 1946, l’Aston Villa si presenta nuovamente con il collo a girocollo con una sola striscia azzurra, questa maglia verrà usata per nove stagione e nel 1955/56 per l’ultima volta si torna alla maglia con collo con due righe azzurre. Nella stagione 1956/57 la maglia presenta un collo a V celeste con righine amaranto, sul petto lo stemma societario, che non lascerà più la divisa, mentre il materiale usato non è più la lana bensì il cotone. Dalla stagione successiva i calzettoni non saranno più neri e cambieranno spesso di colore alternando amaranto, celeste e bianco nel corso degli anni. Nella stagione 1963/64 il collo diventa a girocollo, pur mantenendo lo stesso stile, questa maglia rimane in voga fino al 1969 quando venne adottata una maglia completamente amaranto con un collo, di colore celeste come i polsini, assolutamente nuovo a camicia con un inserto a V nella parte anteriore, per la prima volta vengono indossati pantaloncini celesti. Questa divisa venne suggerita dal manager Tommy Docherty, la stagione successiva, con il cambio di manager, lo stile

SPECIALE / MAGLIe STORIChe ASTON VILLA

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SPECIALE / MAGLIe STORIChe ASTON VILLA

SPECIALE / MAGLIe STORIChe ASTON VILLA

foto Imago/Image Sport

STAGIONE 2016-17 Aly Cissokho

STAGIONE 1946-47

STAGIONE 1969-70

STAGIONE 1956-57

STAGIONE 1973-74

STAGIONE 1961-62

STAGIONE 1980-81

I 5 LOGHI: L'evoluzione dei loghi che si sono succeduti nella storia dell'Aston Villa

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della maglia rimane invariato ma ritornano le maniche celesti ed i pantaloncini bianchi, questa maglia verrà usata fino al 1975. Nella stagione 1975/76 compare per la prima volta sulla maglia il logo dello sponsor tecnico, la britannica Umbro che mantenendo invariato il disegno della maglia propone un collo a camicia a righine celeste ed amaranto con polsi nello stesso stile. Questa è la maglia dell’ultimo successo in campionato, 1981/82, quando si chiude il rapporto di fornitura con la Umbro, ed è anche una delle ultime maglie “classiche” dei Villans. Nel 1981/82, la stagione del trionfo europeo a Rotterdam contro il Bayern, la francese Coq Sportif propone una maglia dal disegno diverso dal solito, collo a V celeste con righine amaranto, maniche celesti con righine amaranto sui polsi e fianchi della maglia di colore celeste. La stagione successiva compare sulle maglie il primo sponsor commerciale, la Davenports, fabbrica di birra di Birmingham che sponsorizzerà il club per una sola stagione. Notevole il servizio fotografico dell’epoca, con la venticinquenne maggiorata Erica Roe, divenuta famosa nel Regno Unito dopo uno spogliarello sul campo di Twickenham nel corso del test match di rugby Inghilterra-Australia del 2 gennaio 1982, in posa con la maglia del Villa insieme ai giocatori. Nelle stagioni 1983/84 e seguente la ditta francese propone una maglia completamente amaranto con collo a girocollo celeste con righine amaranto ed un importante inserto triangolare pure celeste, la maglia è completamente amaranto eccetto i fianchi celesti. Ormai sembra una gara tra i fornitori a snaturare una delle maglie più belle ed ammirate del calcio inglese, nelle stagioni 1985/86 e seguente maglia completamente amaranto con collo a V bianco e due strisce orizzontali celesti nella parte alta del petto, nella stagione seguente modello quasi uguale con le due strisce che proseguono sulle maniche. Arriva la danese Hummel che per due stagioni, 1987/88 e seguente, propone una maglia metà amaranto e metà a sottili strisce verticali celeste ed amaranto con collo a V bicolore, dopo questo scempio per la terza stagione viene adottata una maglia tradizionale. Dal 1990/91 al 1998/98 vengono adottate divise tutto sommato tradizionali ma con le maniche che diventano azzurre, eccezione per la stagione 1993/94 e seguente quando la Asics presenta una maglia amaranto con sottili strisce verticali azzurre. Interessante la maglia 1992/93 che, per omaggiare il primo campionato della neonata Premier League, ripropone il collo a girocollo chiuso da laccetti in voga agli inizi del 900, lo sponsor tecnico, nuovamente la Umbro, vestiva anche il Napoli che usò la maglia del Villa come terza divisa, una sola volta, nella stagione successiva. Si arriva al nuovo millennio e le divise cambiano ormai ad ogni stagione, si ritorna ai colori classici amaranto e celeste ed al disegno storico, a parte un paio di stagioni tra cui la maglia a larghe strisce verticali del 1999/2000. Nel corso degli anni il Villa ha fatto tendenza e diversi club inglesi hanno deciso di vestirsi con questa maglia, i motivi sono diversi ma tra le altre indossano il claret and light blue Burnley, Crystal Palace, Scunthorpe United e West Ham United. Per gli Hammers si trattò di una scommessa vinta e non di emulazione. La seconda maglia dell’Aston Villa è per tradizione bianca o celeste, solitamente con inserti amaranto e celeste o solamente amaranto. Nella stagione 1955/56 la seconda divisa era a strisce verticali amaranto e celesti, in questi anni è capitato che Aston Villa e Birmingham City si prestassero i rispettivi kit per usarli come divise alternative in FA Cup, secondo le regole dell’epoca quando

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SPECIALE / MAGLIe STORIChe ASTON VILLA

SPECIALE / MAGLIe STORIChe ASTON VILLA

STAGIONE 1981-82

STAGIONE 1987-88

STAGIONE 1982-83

STAGIONE 1992-93

due squadre avevano divise simili dovevano cambiare entrambe. Il Villa indossò la divisa blu del City nel febbraio del 1953 contro il Rotherham e nel 1957 contro il Burnley, in questo caso era la divisa rossa alternativa. Molto apprezzata la maglia celeste con strisce verticali sottili usata nella finale di FA Cup del 1957, vinta contro il Manchester United. Nella prima metà degli anni 70 venne sfoggiata una bella divisa composta da maglia gialla con bordi blu, pantaloncini blu e calzettoni gialli, in quel periodo questo completo era usato come divisa alternativa da molti club. Anche negli ultimi anni si è rimasti fedeli a questi colori con l’aggiunta del nero, nelle stagioni 1993/94 e seguente si è anche vista una maglia nera e verde a strisce verticali. Nel secondo dopoguerra e fino agli anni 80, i portieri del Villa hanno sfoggiato delle bellissime maglie di colore verde brillante, molto british, per poi passare a divise di ogni colore come moda dei tempi moderni. Il primo stemma a comparire sulle maglie dell’Aston Villa, 1878, è il leone rampante rosso della Scozia che scomparirà dopo quattro stagioni. Nella stagione 1886/87, viene cucito sulle camicie lo stemma cittadino. Nella stagione 1956/57 compare, questa volta in maniera definitiva, un vero stemma sociale, si tratta del leone rampante rosso all’interno di uno scudo sotto il quale c’è il motto sociale, Prepared. Nella stagione 1969/70 il leone diventa celeste, ricamato sul petto della maglia a sovrastare le lettere AV. Nel 1973 arriva il logo forse più bello, che rimarrà in auge per ventanni, un cerchio celeste con un leone rampante amaranto racchiuso in un cerchio amaranto con la denominazione del club in lettere dorate. Nel 1992 viene proposto uno scudo a strisce verticali amaranto e celesti con un leone rampante dorato e la scritta Prepared, nel 2007 lo scudo è celeste con bordo amaranto ed al centro un leone rampante dorato sulla scritta Prepared sormontato dall’acronimo AVFC ed una stella a ricordare la vittoria in Coppa Campioni; ultimo restiling all’inizio di questa stagione quando viene tolto il motto per ingrandire il leone. Prima di chiudere giusto ricordare che l’Aston Villa è la squadra per cui tifa il principe William, duca di Cambridge.

STAGIONE 1984-85

STAGIONE 1999-2000

STAGIONE 2012-13

foto Imago/Image Sport

STAGIONE 2016-17 Ross McCormack

ASTON VILLA SUBBUTEO: Nel catalogo HW del Subbuteo l’Aston Villa compare con tre diverse numerazioni: numero 7, la divisa classica con maglia amaranto a maniche celesti con pantaloncini bianchi e calzettoni amaranto con bordo celeste; la numero 74 con il collo celeste triangolare in due versioni con maniche celesti, pantaloncini e calzettoni bianchi oppure con maglia amaranto con collo triangolare pantaloncini e calzettoni celesti; ultima la numero 333 con il vistoso collo a girocollo bicolore.

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I GIGANTI DEL CALCIO GIGI SIMONI UN UOMO VERO Simoni, signore dentro e fuori dal campo

L’allenatore gentiluomo

foto Agenzia Liverani

Più di 60 anni di onorata carriera in tutti i ruoli ricoperti. Omaggio a Gigi Simoni, un professionista che farebbe ancora tanto bene al calcio italiano

di Sergio STANCO foto Archivio TC&C

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I GIGANTI DEL CALCIO / GIGI SIMONI

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imoni si nasce”, così s'intitola il libro che Mister Gigi, così lo chiamano ancora i suoi “ragazzi” (alcuni dei quali ormai sono uomini, che lui stesso ha contribuito a far maturare e diventare grandi professionalmente e non), nel quale il tecnico (ma anche il calciatore, il direttore sportivo e il presidente) ha deciso di raccontare più di 60 anni dedicati al mondo del pallone. “Simoni si nasce”, un po' come “Signori si nasce”: già, perché Gigi è considerato davvero un “galantuomo” del calcio. Pur in un ambiente che si alimenta di invidie e vendette, non sentirete mai nessuno parlar male di lui. E, viceversa, nonostante 60 anni di carriera, con tutto quanto gli è accaduto, non sentirete mai una parola fuori posto uscire dalla sua bocca. E qualora ce ne fosse davvero bisogno, l'intervista che segue ve lo dimostrerà.

“” Ero un centrocampista e diciamo che sono cresciuto molto in fretta. Il mio inizio è stato molto bello, con la Fiorentina dello Scudetto 60 anni di carriera? “Da anni in molti mi chiedevano di farlo, ma non mi sentivo pronto. Avevo come la sensazione di essere un po' presuntuoso nel farlo. Ma a 78 anni mi son detto che forse potevo permettermelo (sorride, ndr). Poi, quando abbiamo cominciato a buttare giù qualche idea, mi sono accorto che il materiale era davvero tanto e che quindi c'era davvero molto da rac-

contare. Pensi che la prima stesura, già rivista, contava più di 500 pagine, poi l'abbiamo ridotta a 330 altrimenti sarebbe stata un'enciclopedia. Dal punto di vista personale è stata un'esperienza molto positiva, direi quasi educativa: ho rivissuto più di 60 anni di calcio, ma anche di vita, analizzando ciò che ho fatto bene e ciò che invece ho fatto male. Sono contento del risultato, credo che sia una lettura molto piacevole e questo non perché sia la mia storia (ride, ndr)”.

GRANDI CAMPIONI

Ha allenato tanti fuoriclasse, come Paulo Sousa

La sua autobiografia copre tre epoche e ruoli: in quale si è sentito più a suo agio? “In realtà si può dire che i ruoli sono quattro: prima il giocatore, poi l'allenatore, infine il presidente, passando per quello di direttore tecnico. Mi sono sentito a mio agio in tutti i ruoli, ma quello che mi è piaciuto di più è sicuramente quello dell'allenatore: da giocatore sei uno dei tanti, uno dei venti e oltre, da dirigente è sempre un lavoro d'equipe, mentre l'allenatore è davvero un uomo solo, uno contro tutti, determina tantissimo, molto di più di quello che si dica in giro. Il tec-

foto Image Sport

foto Agenzia Liverani

Mister, cominciamo proprio dal suo libro: come è nata l'idea di ricapitolare

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I GIGANTI DEL CALCIO / GIGI SIMONI

nico ha tanti oneri e pochi onori, quando vince è un eroe, quando perde... Vabbè, ci siamo capiti. Però in nessun altro ruolo incidi come da allenatore ed è quello che ti dà l'adrenalina per continuare a farlo nonostante tu sia sempre nel mirino”. Molti conoscono il Simoni allenatore, del Simoni giocatore invece si parla poco: ce lo descriva lei... “Ero un centrocampista e diciamo che sono cresciuto molto in fretta. Il mio inizio è stato molto bello, perché a 19 anni ero aggregato in una Fiorentina fortissima, quella dello Scudetto. Una squadra esemplare, composta da campioni che rappresentavano un esempio per un giovane come me. Da lì è iniziata la mia onesta carriera da calciatore proseguita poi a Mantova e terminata al Genoa”.

“” Ronaldo non doveva correre, c'erano i compagni a farlo per lui. A lui bisognava solo dare la palla, poi lui avrebbe pensato al resto Cosenza e pur di rilanciarmi ho deciso di ricominciare dalla Carrarese in C2. In quel periodo ero consapevole che potesse essere l'ultima chance, pensavo spesso alla canzone di Morandi, quella “Uno su mille ce la fa”. E con la Carrarese ottenni la promozione e poi negli anni successivi altre quattro o cinque. Poi da lì è “rinato” tutto, con la Cremonese, il Napoli, l'Inter e la storia che ormai tutti conoscono”.

INNAMORATO DI RONALDO Simoni ha sempre avuto un debole per il brasiliano

Inevitabile tornare sul famoso JuveInter del “blocco” Iuliano-Ronaldo: Moratti ha ribadito che con quel rigore avreste vinto lo scudetto, lei ne è così convinto? “Meno del presidente, ma di sicuro ce la saremmo giocata, invece ci hanno impedito pure quello. Potevamo vincere o perdere, c'era solo un punto di differenza tra noi e loro, invece quell'episodio ha cambiato tutto, perché dopo quella partita è come se si fosse spenta la luce, avevamo perso l'entusiasmo”.

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Qual è stato il capitolo del libro più

bello da scrivere? “Sono stati tutti belli, perché – come dicevo in precedenza – è stato un po' come ripercorrere la mia vita. Ovvio, però, che della mia esperienza all'Inter, seppur breve, conservo ricordi bellissimi. Ho avuto la possibilità di lavorare con un gruppo eccezionale, una squadra di fenomeni che ha vinto meno di quanto meritasse e probabilmente non per colpa propria, o almeno non solo. Sono convinto che con qualche episodio favorevole – o meglio non incredibilmente sfavorevole come ci è capitato – e un paio di difensori in più, quella squadra avrebbe potuto dominare in Italia e in Europa per molti anni”.

foto Image Sport

Sono invece più di 20 le squadre a curriculum come allenatore... “La carriera da mister è stata sicuramente più complicata, ma mi ha anche dato grandi soddisfazioni. Non è stata tutta rose e fiori però, ho passato un momento molto difficile nel quale ho davvero pensato di non farcela. Venivo da tre esoneri, rispettivamente Genoa, Empoli e

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SEMPRE A TESTA ALTA Nonostante tutto, Simoni non ha mai abbassato lo sguardo

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Pensa che se Ceccarini avesse fischiato quel rigore la sua carriera sarebbe stata diversa? “Dipende: se poi fossimo riusciti a vincere il campionato, certamente sì. Con una Coppa Uefa e uno scudetto vinti difficilmente sarei stato esonerato dopo pochi mesi l'anno successivo, avrei certamente goduto di maggiore fiducia. Parlo della società, perché i tifosi me l'hanno sempre mostrata e ancora oggi quando vado a Milano non riesco neanche a fare una passeggiata tanto è l'affetto nei miei confronti. Quella era una squadra eccezionale nelle individualità, ma anche come gruppo, ed era anche simpatica. Prima che arrivassi all'Inter tutti a dirmi: “Vedrai in che casino ti sei cacciato...”, invece io dico sempre che allenare quella squadra è stata la cosa più facile che mi sia capitata in carriera. Avevo 26-27 giocatori, molti dei quali inevitabilmente non giocavano quasi mai, eppure tutti remavano dalla stessa parte, si allenavano tutti a mille ed era un gruppo molto unito...”. Tutti si allenavano a mille, tranne uno... “Lo ammetto. Era una squadra di campioni con in più un fenomeno che faceva storia a sé. Ronaldo non doveva correre, c'erano i compagni a farlo per lui. A lui bisognava solo dare la palla, poi lui avrebbe pensato al resto. Ma l'intelligenza di quella squadra è stata anche quella di riconoscere la leadership del brasiliano e di accettarla: anche loro sapevano che un fenomeno come Ronnie avrebbe potuto trascinarci a successi importanti e tutti erano pronti a sacrificarsi per lui”. Del giocatore Ronaldo si è detto tanto, ci racconti qualcosa dell'uomo che merita di essere svelata... “Un ragazzo di una bontà straordinaria, che non faceva mai pesare la sua superiorità tecnica, che pure era evidente. Non l'ho mai sentito rimproverare un compagno per un passaggio sbagliato, era sempre sorridente, portava il buonumore negli spogliatoi. Tutti i compagni gli volevano un bene dell'anima. Ecco un altro miracolo di quella squadra meravigliosa, non c'era traccia di invidia. Le faccio un esempio: in quel gruppo c'era anche Nicola Berti, che non giocò prati-

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Episodio Iuliano? Una volta ero a Los Angeles in vacanza e alcune persone mi hanno fermato per parlare proprio di quell'episodio camente mai, eppure era il primo ad incoraggiare i compagni e a fare gruppo. Questo per darle l'idea dell'atmosfera che si respirava”. Berti, ma anche Pirlo, Zanetti, Bergomi, Moratti e tanti altri, non hanno voluto mancare alla presentazione del libro... “A conferma di quello che le dicevo prima. Mi ha fatto tanto piacere vedere tanti miei ragazzi e molti di quelli che non hanno potuto partecipare, come Ronaldo ad esempio, mi hanno mandato messaggi video o sms. È stato bellissimo avere ulteriore conferma del loro affetto. In realtà non ne ho mai dubitato, perché con molti di loro ci sentiamo ancora spesso, ma è stato comunque bello vederli in un giorno così importante per me. Pensi che Pirlo era appena rientrato dagli Stati Uniti, avrebbe potuto farsi i fatti suoi, invece è venuto alla presentazione. E Pirlo l'ho avuto solo per pochi mesi...”. Non solo Zanetti, Bergomi e Ronaldo, però, perché quella squadra poteva contare su giocatori di qualità e personalità straordinari... “Beh, basti pensare a Simeone, un leader nato, un allenatore in campo, un fuoriclasse nel suo ruolo. La sua carriera da tecnico non mi sorprende affatto, ero sicuro che sarebbe diventato uno dei migliori allenatori al mondo. Anche perché, vi regalo un aneddoto, un giorno sono andato a trovarlo a casa sua a Madrid quando ancora giocava e mi ha mostrato una cassapanca piena di appunti sui

metodi di allenamento dei suoi mister. In particolare, andava matto per Bielsa, una vera e propria mania, dei suoi metodi di lavoro sapeva davvero tutto. Lì ho capito che avrebbe fatto strada. Ma come giustamente ha detto lei, ce n'erano tanti: ricordo Djorkaeff, ad esempio, un giocatore dalla classe infinita. Fatemi però spendere una parola per Ivan Zamorano, un altro leader di quella squadra, troppo spesso sottovalutato”. Non abbiamo ancora parlato di... “Baggio, lo so, non abbiamo ancora parlato di Baggio (ride, ndr). Ma nel periodo in cui è stato con noi, Roberto è stato più sul lettino dei massaggi che sul campo di allenamento. Il suo talento era indiscutibile e ogni volta che era disponibile con me ha sempre giocato, il fatto è che era spesso alle prese con problemi fisici. E che il nostro rapporto fosse idilliaco lo dimostra anche la sua autobiografia, nella quale mi cita tra gli allenatori con i quali non ha mai avuto problemi. “Quando Simoni non mi faceva giocare, almeno mi spiegava perché”, ha scritto. Con lui ho avuto e ho tuttora uno splendido rapporto, anche perché è un ragazzo speciale. Ricordo ancora i nostri pranzi insieme alla Pinetina e qualche anno fa sono anche andato a trovarlo a casa sua. Roberto è sempre piacevole, con lui puoi parlare di tutto. È un “puro”, per questo non mi sorprende che non sia voluto rimanere nel mondo del calcio...”. Non la sorprende, invece, che Zanetti non abbia fatto l'allenatore? “No, sinceramente non ce lo vedevo. Ero sicuro che sarebbe rimasto nel mondo del calcio, ma più in un ruolo dirigenziale, più affine al suo carattere. E infatti non mi sbagliavo. Avrei invece scommesso su Bergomi, secondo me aveva tutto per diventare un ottimo allenatore, invece ha scelto una carriera diversa. Per carità, è ottimo anche come commentatore, ma continuo a pensare che avrebbe potuto fare tanta strada da tecnico”. Tornando al giorno della presentazione, che effetto le ha fatto sentire Moratti ammettere di aver sbagliato a esonerarla? “Nessun effetto, perché io l'ho sempre saputo (sorride, ndr). E anche lui lo ha ca-

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I GIGANTI DEL CALCIO / GIGI SIMONI

I GIGANTI DEL CALCIO / GIGI SIMONI

UNA CARRIERA IN QUATTRO TAPPE Di Sergio Stanco

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na carriera spettacolare quella di Gigi Simoni, forse con un palmares troppo parco per le qualità di giocatore prima e di allenatore poi. Nato a Crevalcore nel 1939, il piccolo Gigi trova la strada del professionismo grazie alla Fiorentina, dove muove i primi passi nel grande calcio. Da giocatore veste anche le maglie di Mantova, Napoli, Torino, Juve (già, proprio la “nemica” Juve) e Brescia, prima di chiudere la carriera con la casacca rossoblù del Genoa. Come spesso si dice di centrocampisti dalla grande personalità, Gigi era allenatore già in campo e, appese le scarpette al chiodo, diventarlo davvero è stata una naturale conseguenza. Ricomincia proprio dalla panchina del Genoa

nel 1975 e termina su quella del Gubbio nel 2012: 37 anni di passione. Non è tutto, perché nel frattempo Simoni aveva inaugurato una nuova carriera, quella di Direttore Tecnico (Lucchese e proprio Gubbio), ruolo che poi avrebbe affinato nella sua Cremonese, società della quale è stato anche Presidente. Da allenatore i maggiori successi, ma anche la più grande delusione: la coppa Uefa con l'Inter nel 1998 contro la Lazio al Parco dei Principi (3-0 grazie alle reti di Zamorano, Zanetti e Ronaldo) e lo Scudetto dello stesso anno sfuggito d'un soffio a causa di quel famoso Juve-Inter del fattaccio IulianoRonaldo. Quella delusione fu determinante anche per l'esonero dell'anno successivo, quando Moratti decise di sollevarlo dall'in-

60 ANNI DI CARRIERA IN 300 PAGINE Di Sergio Stanco

Un libro per raccontare e raccontarsi…

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imoni si nasce. Tre vite per il calcio”, questo il titolo completo della biografia di Gigi Simoni (GoalBook Edizioni Pisa). E tre sono anche gli autori (Luca Carmignani, Luca Tronchetti e Rudi Ghedini), ognuno impegnato a trattare ruoli ed epoche diverse di un grandissimo professionista del nostro calcio. Si analizzano gli anni da calciatore, i tanti successi da allenatore (12 promozioni) ma anche alcune cocenti delusioni. “Sono stato sul punto di smettere ad un certo punto”, ci ha rivelato durante la nostra chiacchierata, “Meno male che non l'ho fatto, Mi sarei perso tante gioie”. Un libro che parla di un calciatore o allenatore, fate voi, di altri tempi. Un salto all'indietro in quel calcio romantico che ci piace sempre ricordare e celebrare.

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carico dopo una storica vittoria contro il Real Madrid in casa in Champions e, ironia della sorte, proprio nel giorno in cui Simoni ritirò l'ambito premio “Panchina d'Oro” per l'ottimo lavoro svolto alla guida dell'Inter.

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Simoni, una vita sul rettangolo di gioco…

pito presto. Ne ero convinto allora e ne sono sempre più convinto oggi, ma non provo alcun rancore, perché la gioia che mi ha dato offrendomi l'opportunità di allenare l'Inter, vale più di qualsiasi esonero. Anche se essere cacciato dopo aver battuto 3-1 il Real Madrid in Champions League fa un po' effetto. In ogni caso mi resta dentro quell'esperienza e le dirò di più, l'applauso che San Siro mi ha riservato l'anno dopo quando ci andai da avversario con il Piacenza, è stato forse il più bello, semplicemente indimenticabile. La gente aveva capito che avevamo dato il massimo e che ci era stato impedito di andare oltre. E l'altra cosa di cui vado fiero è l'ottimo rapporto che ho conservato con il Presidente nonostante la diversità di vedute sull'esonero. Non gli ho mai chiesto perché l'abbia fatto, ma ero sicuro che si fosse pentito, perché poco dopo quell'episodio ci siamo risentiti, abbiamo pranzato e cenato insieme, mi ha sempre invitato alle sue feste. Forse era anche il suo modo per chiedermi scusa (sorride, ndr)”. E torniamo a quel famoso Juve-Inter. Lei disse: “Con Ceccarini forse sono stato anche troppo signore”. Lo incontrasse oggi, cosa gli direbbe? “Mah, niente di che, io so che fare l'arbitro è un mestiere difficile, si può sbagliare, ma ciò che non gli ho mai perdonato è che non l'abbia ammesso. Avrebbe

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Mai avuto un procuratore, mai cercato compromessi, mai fatto abbattere nei momenti duri, mai sentito un fenomeno quando le cose Andavano bene potuto dire, anche a distanza di anni, “Perdonatemi, mi sono sbagliato”, invece ha preferito difendere la sua posizione, che è semplicemente indifendibile. Questo, al di là del rigore non assegnato, è quello che in tutti questi anni mi ha dato più fastidio. Insomma, quanti rigori non sono stati concessi nella storia del calcio? Di questo ne parliamo ancora a quasi vent'anni di distanza... Pensi che una volta ero a Los Angeles in vacanza e alcune persone mi hanno fermato per parlare proprio di quell'episodio. Si rende conto? È evidente che qualcosa non sia andato per il verso giusto quel giorno, che Cec-

carini abbia preso un abbaglio. È evidente a tutti, tranne a lui. Avrebbe potuto tranquillamente ammettere di aver fatto un errore e la cosa sarebbe finita lì”. Un'altra risposta da “allenatore gentiluomo”, come l'hanno soprannominata: a proposito, le piace? “Sinceramente mi lascia indifferente. Credo di esserlo, ma non penso che sia una cosa eccezionale o che sia doveroso sottolinearlo. Anzi, forse nel calcio e nella vita essere sempre gentiluomo non sempre paga”. Esperienza all'Inter a parte: di cosa va più fiero della sua carriera? “Di non aver mai cercato scorciatoie, per tutto quello che ho ottenuto non devo ringraziare nessuno se non me stesso. Mai avuto un procuratore, mai cercato compromessi, non mi sono mai fatto abbattere nei momenti duri, né mi sono mai sentito un fenomeno quando le cose andavano bene. E non mi riferisco solo all'Inter, consideri che credo di avere ancora il record di promozioni come allenatore. In generale, sono contento dei risultati raggiunti ma anche dell'immagine che sono riuscito a dare di me. Sinceramente, mi do un buon voto”. La lode, l'aggiungiamo noi. Grazie Mister Simoni. E mai come questa volta, “Mister” è un “titolo” più che meritato...

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SPECIALE DERBY DI VERONA

SPECIALE / DERBY DI VERONA

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VERONA SI ACCENDE Un derby che esalta l'intera città...

GIULIETTA CONTRO ROMEO 68

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Sarà anche l'ultimo arrivato, ma il Derby dell'Arena ha ben poco da invidiare alle altre stracittadine in quanto a rivalità e spettacolo di Luca GANDINI - foto Archivio TC&C

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SPECIALE / DERBY DI VERONA

SPECIALE / DERBY DI VERONA

Dicembre 1994

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LA DISFIDA

L'ANIMA PELLISSIER: Dal 2002, il bomber del Chievo...

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Sarà il ChievoVerona, grazie al successo nel derby di ritorno, a spezzare l'equilibrio. E poco importa se, a fine campionato, il Verona terminerà avanti in classifica: quel netto 3-1 del 7 maggio inizia a far pendere decisamente dalla parte clivense la supremazia cittadina. Il Verona farà sul serio la stagione successiva. Già nell'estate del 1995 riassume la denominazione "Hellas" perduta dopo il fallimento societario del 1991 e, con una rosa profondamente rinforzata, decide di puntare non solo a spegnere gli entusiasmi dei cugini, ma anche alla promozione. Tappe fondamentali, e non poteva essere altrimenti, i due derby. Il Chievo, per stessa ammissione di patron Campedelli, non può permettersi di fare il passo più lungo della gamba. La Serie B è già un traguardo prestigioso, quindi tanto vale accontentarsi di mantenere la categoria aspettando tempi migliori. Il Verona no, il Verona non può più attendere. Glielo impongono la sua storia e il suo pubblico, sempre ai primi posti nelle classifiche d'affluenza. La risposta della squadra è finalmente all'altezza. Gli uomini di Attilio Perotti sconfiggono i clivensi in entrambe le stracittadine e, a fine anno, riconquistano la A dopo 4 stagioni in purgatorio. È proprio in questo periodo che iniziano a campeggiare sulle tribune del Bentegodi quei famosi striscioni destinati ad accrescere esponenzialmente la rivalità cittadina: “Quando i mussi (gli asini, n.d.r.) i volarà faremo el derby in Serie A!”, oppure: “E resterà sempre così, Verona in A e Chievo in B”. I tifosi del Chievo, che hanno la memoria lunga, per il momento incassano in silenzio e guardano avanti. Il ritorno tra le grandi dell'Hellas, frattanto, è tutt'altro che trionfale. La squadra retrocede subito e così la stagione 1997/98 si prepara ad accogliere nuovamente il Derby dell'Arena. All'andata, prepotente successo dell'Hellas, con il 4-0 sancito dalle reti di Leonardo Colucci, Alfredo Aglietti, Eugenio Corini e Marco Giandebiaggi. Riscatto Chievo al ritorno, grazie al 2-0 siglato Federico Cossato-Andrea Zanchetta. L'ambizioso Verona, affidato all'emergente tecnico bresciano Cesare Prandelli, ritenta l'assalto alla A nel 1998/99, tuttavia sarà proprio il Chievo la squadra che darà più noie ai cugini in quella stagione. Scialbo 0-0 nel derby di dicembre, sorprendente affermazione clivense a maggio, con il 2-0 firmato da Massimo Lombardini e Dario Passoni che comunque non priva l'Hellas della meritata promozione. Ormai stufi di vedere i rivali sempre davanti e pungolati dagli sfottò dell'altra sponda dell'Adige, Luca Campedelli e i suoi fidati collaboratori, primi tra tutti l'abile direttore sportivo Giovanni Sartori e l'anziano segretario generale Giancarlo Fiumi, decidono di mettersi alla prova e vedere fino a che punto possano spingersi le ambizioni della cenerentola dei pandori.

SPETTACOLO PURO: In campo e fuori, il derby diverte

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DI VERONA

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Il primo governo Berlusconi è in carica da pochi mesi, ma è già sul punto di cadere a causa delle insanabili fratture all'interno della maggioranza. L'Italia si divide tra innocentisti e colpevolisti nel processo sul "mostro di Firenze", mentre viene assicurata alla giustizia la famigerata banda della Uno Bianca. Si accendono segnali di speranza sul futuro del Medio Oriente, dopo l'assegnazione del Premio Nobel per la Pace al leader israeliano Yitzhak Rabin e a quello palestinese Yasser Arafat. La giovane cantante newyorkese Mariah Carey ha appena lanciato quella che diverrà una delle hit natalizie più famose di sempre, All I Want for Christmas Is You, mentre al cinema Forrest Gump corre su e giù per gli Stati Uniti inseguendo nuove e paradossali avventure. Nel calcio, a correre, è invece la Juventus di Marcello Lippi, Gianluca Vialli e Alessandro Del Piero, la più seria candidata a scucire lo Scudetto dalle maglie di un Milan in crisi. Anche dalla Serie B arrivano spunti interessanti. Primo tra tutti, il duello che la sera di sabato 10, in diretta sulla pay-tv, oppone la nobile, ma un po' decaduta, Verona alla pimpante realtà del ChievoVerona. Dopo quelli di Genova, Torino, Milano e Roma, il calcio italiano dà per la prima volta nella sua storia il benvenuto al "Derby dell'Arena", la stracittadina che da ormai più di vent'anni infiamma e contrappone i conterranei di Romeo e Giulietta. Il Verona, forte del suo blasone e dello Scudetto conquistato nel 1985 e memore dei tanti campioni che ne hanno vestito la maglia, contro la cenerentola Chievo, espressione di un piccolo quartiere a nord-ovest della città dove tutti si conoscono e il cui simbolo è il pandoro, il fiore all'occhiello dell'azienda dolciaria presieduta da quel Luca Campedelli, tuttora al timone del club. Giovani promesse, illustri carneadi e onesti pedatori di provincia si danno battaglia sul manto del Bentegodi. L'enfant du pays e futuro nazionale Damiano Tommasi, l'anziano scudiero di Roberto Baggio ai tempi di Firenze Celeste Pin e l'ex allievo di Arrigo Sacchi al Parma Aladino Valoti, a tenere alto il vessillo del Verona. Dall'altra parte, a incarnare l'orgoglio clivense, l'esuberanza dell'allenatore Alberto Malesani, atteso da una carriera da protagonista anche in Europa, la sicurezza del difensore napoletano Maurizio D'Angelo, colonna della squadra fin dai tempi della C2, e poi il poderoso attaccante Michele Cossato e il grintoso mediano di scuola-Inter Giuliano Gentilini, colui che, la stagione precedente, ha realizzato la rete-promozione contro la Carrarese. D'accordo, il calcio di altissimo livello magari non sarà di scena qui, ma guai a dirlo ai tifosi scaligeri: i 28556 spettatori che si radunano sugli spalti del Bentegodi rappresentano l'affluenza più alta di questa 14ª giornata di andata. Anche sul campo l'atmosfera è vibrante: fioccano gli ammoniti, a tratti l'arbitro genovese Graziano Cesari fatica a contenere l'impeto delle duellanti, ma, nonostante la girandola di occasioni, di gol nemmeno l'ombra. Almeno fino al 5° della ripresa, quando l'attaccante del Verona Fabrizio Fermanelli porta in vantaggio i suoi, realizzando un calcio di rigore da lui stesso abilmente procurato. Ma l'euforia degli uomini di Bortolo Mutti dura poco, perché, dall'altra parte, Malesani sostituisce l'ala destra Maurizio Rinino con l'esperta punta Riccardo Gori, il quale ripaga la fiducia dell'allenatore indovinando il perfetto colpo di testa dell'1-1. Il risultato non cambierà più. Finisce così, pari e patta, e tutti felici di aver assistito alla prima sfida in assoluto

tra le due anime della città. Non c'è che dire: quel 10 dicembre 1994, all'ombra dell'Arena e a due passi dal balcone di Giulietta, il calcio italiano si è arricchito di una nuova storia da raccontare.

SFIDA CALDISSIMA: Nel derby nessuno si risparmia TANTI NOMI: è noto anche come Derby della Scala

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SPECIALE / DERBY DI VERONA

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foto Image Sport IL MIRACOLOSO DEL NERI: Il suo Chievo ha fatto storia

CHIEVO, CHE PASSIONE: Piccolo quartiere, grande realtà

LA CLASSICA

CAMPEDELLI OSSERVA: Il patron del Chievo conosce l'importanza del derby

Destini opposti attendono ora le due società scaligere. Se, da un lato, il ChievoVerona si confermerà degno di un posto al tavolo delle grandi, grazie a una gestione economica oculata ma non certo deleteria per i risultati sportivi, dall'altro il Verona incapperà in annate difficili, segnate da problemi finanziari e involuzioni tecniche in cui, se va bene, ci si accontenta della B, ma, se va male, bisogna perfino affrontare l'umiliazione della Lega Pro, come avviene dal 2007 al 2011. Per un po', di Derby dell'Arena non se ne parla, visto com'è il divario che separa l'ex cenerentola Chievo da coloro che furono campioni d'Italia nel 1985. Finché, finalmente, anche sull'altra sponda dell'Adige si decidono a fare le cose per il meglio, allestendo una rosa competitiva in grado di puntare, se non proprio alla A, a un tranquillo futuro in B. E invece, al di là di ogni più rosea aspettativa, la società presieduta dal compianto Giovanni Martinelli e guidata sul campo da mister Andrea Mandorlini brucia le tappe, centrando un brillante filotto di promozioni tra il 2011, l'anno del ritorno in B dopo un combattutissimo play-off con la Salernitana, e nel 2013, quando la massima categoria viene riconquistata grazie al secondo posto alle spalle del Sassuolo. Evviva dunque Verona e il suo derby ritrovato. All'imbrunire di sabato 23 novembre 2013, le dirimpettaie dell'Adige riprendono un discorso interrotto più di 11 anni prima con una sfida carica di significati. Il ChievoVerona, ultimo in classifica, ha appena chiamato in panchina quell'Eugenio Corini già protagonista di tante memorabili annate all'epoca di Delneri, mentre l'Hellas del confermato Mandorlini si gode l'aria salubre della zona-UEFA. A spuntarla sono a sorpresa i "mussi volanti", che da lì faranno partire la rincorsa

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DELL'ADIGE

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Il primo passo, il più complicato, è quello di costruire una compagine di alto livello senza per forza stravolgere i bilanci societari. Arrivano dunque elementi funzionali al progetto, talenti che parevano bruciati in cerca di riscatto e ragazzi con una voglia matta di emergere. È il Chievo imperniato sulle geometrie dell'ex veronese Eugenio Corini, che pareva perso al grande calcio dopo i flop con la Juventus e il Napoli, eppure affidabilissimo regista. È il Chievo che vola con le ali Eriberto (il futuro Luciano, n.d.r.) e Christian Manfredini, che si esalta ai gol della torre senese Bernardo Corradi e che dietro dorme sonni tranquilli grazie all'intesa della coppia centrale Maurizio D'Angelo-Lorenzo D'Anna, ministri della difesa sin dalla stagione 1994/95. La seconda mossa è quella di affidare la squadra a Gigi Delneri, allenatore friulano di impostazione sacchiana, tutto 4-4-2, ripartenze, pressing e culto esasperato del collettivo. E il miracolo, finalmente, si compie, in quell'indimenticabile 2000/01. Il Chievo si piazza 3° nel campionato cadetto e conquista la sua prima promozione in A, proprio mentre il Verona, con le unghie e con i denti, salva il suo posto al sole nella massima categoria dopo lo spareggio con la Reggina. Ciò che pareva impossibile si è avverato: anche la città di Verona ha ora il suo derby in Serie A. Gli asini magari non voleranno, come sosteneva il famoso striscione di qualche anno prima, ma i tifosi del Chievo non stanno più nella pelle. La squadra percepisce quest'ondata di entusiasmo e affronta la nuova avventura con il piglio giusto. Pensate: alla vigilia della stracittadina, in programma la sera di domenica 18 novembre 2001, la truppa di Delneri è addirittura al comando del campionato, ma pregevole è anche il cammino del Verona, ai limiti della zona-UEFA. Già prima del fischio d'inizio, su disposizione del sindaco, viene suonato l'Inno di Mameli, mentre fantocci a forma di asinelli alati vengono esibiti un po' dovunque tra i tifosi clivensi. Lo abbiamo detto che da queste parti hanno la memoria lunga, no...? Anche la gara non tradisce le attese, tanto da venir ricordata come la più spettacolare mai disputata dalle duellanti. Eriberto e Corini su rigore danno il doppio vantaggio ai "mussi volanti", ma già prima dell'intervallo il futuro campione del mondo Massimo Oddo, sempre dal dischetto, accorcia le distanze. Nella ripresa è monologo Hellas, prima con la sfortunata autorete del terzino Salvatore Lanna, infine con il guizzo del talento argentino Mauro Germán Camoranesi a strappare uno spumeggiante 3-2. Il più felice di tutti è senza dubbio Alberto Malesani, sì, proprio lui, il vulcanico ex allenatore del Chievo ora dalla parte opposta della barricata, che, in barba al proprio passato, sfoga la sua gioia in un'interminabile esultanza sotto la curva dell'Hellas. Quella vittoria, seppur esaltante, si rivelerà però il canto del cigno della stagione del Verona. Mentre il Chievo continuerà a navigare nei quartieri alti, gli uomini di Malesani smarriranno inspiegabilmente la brillantezza dei primi mesi, tanto da non riuscire a evitare una malinconica retrocessione. A mostrar loro l'avviso di sfratto dalla Serie A saranno proprio i cugini, bravi ad aggiudicarsi con merito il derby di ritorno con un 2-1 in rimonta frutto della doppietta di Federico Cossato.

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INNO AL DERBY

IL DIVIN CORINI: Giocatore e poi allenatore del Chievo

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SPECIALE / DERBY DI VERONA

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GIOIA INFINITA Segnare nel derby rende immortali

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VERONA, SOCIETà NOBILE: I gialloblù hanno fatto la storia del calcio italiano

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verso una prodigiosa salvezza, nonostante sia il Verona ad aggiudicarsi la stracittadina di ritorno con un gol del campione del mondo Luca Toni. È ormai una piccola classica, il nostro Derby dell'Arena, ed è quasi un miracolo vedere Verona così degnamente rappresentata in Serie A da entrambi i suoi sodalizi in anni difficili come questi, in cui il Veneto, un tempo locomotiva del Paese, è costretto a pagare, forse più di altri territori, il proprio pesantissimo tributo alla crisi economica. Stagione 2014/15: venghino siori venghino al gran galà gialloblù. Stavolta la supersfida di andata si gioca sotto Natale, ma il sole che splende sul Bentegodi dà più l'idea di una bella giornata di primavera. Tuoni e fulmini si potrebbero scatenare quando il giovane Alberto Paloschi indovina l'incornata che dà al Chievo il gol-partita. È in netto fuorigioco, ma arbitro e assistenti non se ne accorgono. C'è qualche protesta, ed è normale, ma tutto finisce lì. Troppo grande la cultura sportiva, da queste parti, per perdersi dietro a inutili polemiche. Al ritorno, a maggio, con le squadre ormai salve, è festa grande, come grandi sono le firme del 2-2. Apre il solito Paloschi, pareggia l'argentino Juanito Gómez, e poi gli applausi sono tutti per i due capitani, Luca Toni e Sergio Pellissier, vecchi draghi che non hanno nessuna intenzione di mollare. Ci avviciniamo così all'attualità e a quelli che, al momento, risultano gli ultimi due confronti tra Hellas e ChievoVerona. Vanno in scena ovviamente nel 2015/16, una stagione iniziata male e finita peggio per il Verona, che, nonostante una rosa di buon livello, non riesce a confermarsi in A. Piccola consolazione, l'imbattibilità in entrambi i derby, frutto dell'1-1 dell'andata e dell'inutile vittoria per 3-1 del ritorno, in cui, ancora una volta, Luca Toni e Sergio Pellissier, gli uomini più rappresentativi, timbrano il cartellino del gol. Nemmeno il cambio di allenatore a dicembre, con l'ex clivense Gigi Delneri a prendere il posto di Andrea Mandorlini, sortirà gli effetti sperati, e così, come accennato, per i campioni d'Italia 1985 si spalancheranno di nuovo le porte della B. Il Chievo, dal canto suo, si godrà invece l'ennesima, meritata, salvezza. Che ne sarà dunque della classicissima dell'Adige? Quanto tempo dovremo attendere prima di tornare ad ammirare le duellanti scaligere affrontarsi con orgoglio e lealtà, come sempre fatto in questi anni? Le premesse per un ritorno in grande stile già dal 2017/18 sembrerebbero esserci. I discendenti dei Montecchi e Capuleti di shakespeariana memoria non aspettano altro. Il conto alla rovescia verso il 17° Derby dell'Arena è appena cominciato.

L'ERA MANDORLINI: A Verona ha fatto buonissime cose

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CONCETTO LO BELLO

VOLTO AUTORITARIO Concetto Lo Bello sapeva come stare in campo...

IL FISCHIETTO PERFETTO Concetto Lo Bello, uno dei più leggendari uomini in nero del calcio italiano… di Thomas SACCANI

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essuno ha calcato i campi della Serie A più di lui: Concetto Lo Bello, ad oggi, è l’arbitro che ha diretto più gare della massima serie italiana, ben 328 per essere precisi. Scomparso a soli 67 anni, nell’ormai lontano 1991, è stato uno o, forse, il miglior uomo in nero del nostro calcio. Nativo di Siracusa (primo di sei figli), ha intrapreso la carriera di arbitro giovanissimo. Si racconta che abbia anche vestito i panni del calciatore, pare nel ruolo di terzino. Nel 1954 è già tra i direttori di gara di Serie A. Quattro anni più tardi, diventa internazionale (28 dicembre 1958, Egitto-Germania Ovest, la sua prima partita fuori dai confini nazionali). Dotato di grande autorità e sempre pronto a “discutere” con i giocatori, è stato scelto per dirigere alcuni match “storici” come lo spareggio Scudetto, del 1964, tra Bologna e Inter o, ancora, la super sfida, del 1970, tra Cagliari e Juventus. Tanti anche i momenti indimenticabili in ambito internazionale. Era tra i prescelti per il Mondiale 1966 (era il fischietto della semifinale Germania Ovest-URSS), ha diretto ben due finali di Coppa Campioni (edizione 1967/68 e 1969/70) e si è pure regalato una finale di Coppa Intercontinentale (1966, Real MadridPeñarol). La sua è stata una carriera lunga e prospera. Non a caso è, ancora oggi, l’arbitro più anziano di sempre ad aver “fischiato” in una partita europea (Feyenoord-Tottenham, finale Coppa

Uefa 1973/74). Aveva la bellezza di 50 anni e 16 giorni. Duro, implacabile e per nulla timoroso delle conseguenze delle sue azioni. Il suo essere arbitro ha tracciato un sentiero. Tanti arbitri venuti dopo il suo regno, in un modo o nell’altro, devono molto a Concello Lo Bello da Siracusa. La sua brillante carriera è contraddistinta da una sequela di aneddoti spettacolari. Soprannominato “Il tiranno di Siracusa” non ha mai tentennato come quella volta, stagione 1966/67, che, in una sola gara (per la precisione in mezz’ora di gioco), fischiò ben tre rigori contro la malcapitata Spal, tutti trasformati da Altafini. Ci fu anche un esposto parlamentare dell’allora Ministro Preti (tifosissimo ferrarese) nei suoi confronti, a conferma dell’eccezionalità della cosa. Imperturbabile anche quando decise di denunciare l’allora patron dei galletti Totò Vilardo, reo di avergli proposto una busta da cinque milioni di vecchie lire per “favorire” un pareggio tra Cosenza e Bari. Disse di no anche ad un prezioso regalo dei vertici del Real Madrid (pare un orologio d’oro massiccio) alla vigilia della finale di Coppa Intercontinentale. Si racconta che, complice un suo cartellino rosso al russo Cislenko (fallo di reazione su Held), durante la semifinale della Coppa del Mondo 1966, si sia giocato la possibilità (concreta) di dirigere la finalissima. Le Nazioni appartenenti al Patto di Varsavia non presero di buon grado la sua condotta di gara pro Germania Ovest e, per la finale, fu scelto Dienst, passato poi alla storia per aver conva-

lidato il gol fantasma inglese. Dipinto, spesso, come un generale, non aveva paura di affrontare, anche a muso duro, i tanti campioni che scendevano in campo con lui. Famosi i suoi alterchi con i vari Rivera, Riva, Rocco e, soprattutto, con Sivori. L’1 dicembre 1968, durante un acceso Napoli-Juventus, espelle Sivori, in quella partita con maglia partenopea (e quindi con il dente avvelenato, visto l’avversario). Lo stanco e non più giovanissimo, ritenendo ingiusta l’espulsione commissionata da Lo Bello, gli grida addosso di tutto. Si prenderà ben sei turni di squalifica che, di fatto, chiuderanno la carriera del fuoriclasse italoargentino. Nella stessa partita, Lo Bello rifilerà ben nove giornate di squalifica a Panzanato e quattro a Salvadore (i due si erano picchiati in campo e pure nel tunnel verso gli spogliatoi). Degno di nota anche l’episodio legato a JuventusRoma, stagione 1971/72. Al 32’ della ripresa, Helenio Herrera, allora tecnico della Roma, sostituisce l’infortunato Petrelli con Liguori; quest’ultimo si presenta con un’entrata dura su Haller. Lo Bello gli sventola in faccia il cartellino rosso: Liguori resta in campo circa 90 secondi. Don Concetto, altro soprannome, è stato anche accostato al “duce”. 12 ottobre 1969, a Firenze va in scena il big match Fiorentina-Cagliari. Con il suo fare “militaresco” Lo Bello concede un rigore al Cagliari e nega due penalty ai padroni di casa. Inoltre, nel finale, annulla il possibile gol del pareggio di Chiarugi per un fuorigioco che nessuno, allo stadio, vede. Dalle tribune il coro “duce, duce” segue a pag. 80

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CONCETTO LO BELLO

IL PRIMO A SCUSARSI

IL FIGLIO D’ARTE

Di Thomas Saccani

Di Thomas Saccani Rosario ha seguito le orme del padre…

Il “caso” in Milan-Juve del lontano 1972: “Non avevo la moviola, non ho visto il fallo”

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oncetto Lo Bello è stato il primo arbitro a dichiarare, pubblicamente, di aver commesso un errore di valutazione. Bisogna tornare al 1972, esattamente al 20 febbraio. A San Siro va in scena Milan-Juventus. La gara termina sull’1-1 ma il popolo rossonero è adirato con Lo Bello, reo di non aver concesso un chiaro rigore (fallo di Morini su Bigon). Durante la Domenica Sportiva, le immagini confermano come l’azione in questione fosse viziata da fallo. Pizzul, commentando l’azione incriminata al monitor, incalza l’arbitro, presente al suo fianco. Lo Bello, invece che nascondersi dietro qualche scialba scusa, prende fiato e dichiara: “Adesso io credo che qui lei avrebbe il diritto di ridere perché non si aspetterà che io le dica che in quest’occasione il giocatore (Morini, ndr) è stato più furbo di me che, d’altra parte, non avevo la moviola e quindi non ho potuto vedere che era stato commesso un fallo”. Di fatto, a modo suo, l’ammissione di aver sbagliato nel giudizio. Un’altra perla di un arbitro decisamente fuori dagli schemi…

ella memoria degli sportivi, resta questa figura poderosa, questo sguardo severo, invece a casa era una persona docile, si faceva sopraffare dai nipoti”, rivela, a Sfide, Rosario, uno dei due figli di Don Concetto (Franca, la figlia). Rosario, affascinato dal padre che, da piccolo, lo portava spesso con sé (“Sono stato presente anche alla sua ultima partita”), decide di seguirne le orme. Dopo essersi impegnato duramente per imparare il mestiere, fa il suo esordio, in Serie A, il 18 maggio 1975 (SampdoriaFiorentina). Consigli da Don Concetto: “No, non si intrometteva, anche perché io volevo fare la mia strada”. Nel 1983, diventa arbitro internazionale. Negli anni Ottanta si distingue come uno dei migliori fischietti in Serie A. Dirige ben tre finali di Coppa Italia. Chiude la sua attività nel 1992, con 193 presenze nella massima serie italiana. Ovviamente a Rosario Lo Bello è legato l’aneddoto della Fatal Verona, ossia la partita in cui il Milan perse Scudetto e testa (cartellino rosso a Rijkaard, Van Basten, Costacurta e Sacchi). Conclusa la sua carriera, Rosario ha dichiarato: “Non ho mai sentito il peso dell’eredità di mio padre, è, invece, stato motivo di grande orgoglio”.

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CONCETTO LO BELLO

“MI DIEDE PREZIOSI CONSIGLI”

Di Thomas Saccani Walter Cinciripini non ha dubbi: “Grande carisma, lo rispettavano tutti”

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ESSERE SEMPRE PRONTO

In campo è vitale saper intervenire in maniera ferma...

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oncetto Lo Bello ha ispirato tanti grandi arbitri. Tra questi Walter Cinciripini, altro importante direttore di gara del nostro calcio. L’ex arbitro nativo di Ascoli Piceno ricorda un aneddoto con protagonista Concetto Lo Bello: “Ricordo che andai ad arbitrare a Siracusa, per una gara dell’allora C2. Come osservatore c’era Concetto Lo Bello. Ricordo che entrò nella stanza, si tolse la giacca e mi disse: ‘Mettiti seduto… Se tu seguirai questi cinque consigli, diventerai internazionale’… Io lo ascoltai e li scrissi per bene e la mia carriera andò poi bene anche grazie a quei consigli. Il più prezioso consiglio? Allora ero un po’ permaloso, mi consigliò di stare più tranquillo, di prendere le decisioni in campo con calma e così feci”. Cinciripini ha grande stima del lavoro svolto da Concetto Lo Bello per la categoria: “È stato il migliore di quella generazione. Lui aveva carisma, in campo lo rispettavano tutti. Questo è fondamentale per un arbitro soprattutto quando incorri in qualche errore. Lui aveva il controllo della situazione, sempre”.

SANDRO SALVADORE CON LOBELLO CONCETTO E SANDRO MAZZOLA

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1986. Il suo amore per lo sport lo porta a costruire, nella propria città, la Cittadella dello Sport. Deputato DC per ben quattro legislature, ha ricoperto anche il ruolo di presidente della Federazione Italiana Gioco Handball. Il giorno seguente alla sua prematura morte, il 9 settembre 1991, su La Repubblica, Gianni Brera gli confeziona un articolo di grande e profonda stima: “In realtà Concetto Lo Bello aveva della vita un concetto agonistico, dire sportivo non basta. I continui viaggi lo avevano trasformato in cittadino del mondo. Dal cassero della sua

nave tuonava bordate di fischi malamente ricambiate da plebi ostili e nel contempo ammirate. Il tifoso avvertito lo apprezzava come il calcio che sapeva far produrre e indirizzare con arguzia sorniona ma ferma”, si legge in un passo del lungo servizio. Insomma, un arbitro di granito, un esempio. Non a caso, l’AIA ha istituito un premio, a suo nome, che, ogni anno, va “All’arbitro italiano, iscritto nell’elenco F.I.F.A., particolarmente distintosi nel corso della stagione sportiva precedente”. Un doveroso omaggio al fischietto più autorevole di sempre.

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si fa sempre più forte. Si arriva anche ad un passo dall’invasione di campo con Lo Bello che, raccontano le cronache, resterà chiuso nel proprio spogliatoio a lungo. In realtà, la moviola dell’epoca, riconoscerà il buon operato del direttore di gara. Appeso il fischietto al chiodo, Lo Bello si concede, anima e corpo, ad un’altra sua grande passione, la politica, sempre, però, con fini sportivi. Dopo aver ricoperto i ruoli di assessore (la prima volta nel lontanissimo 1956) e consigliere comunale, diventa sindaco di Siracusa nel

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CALCIATORI 2016-2017, CI SIAMO!!! La collezione più attesa dell’anno è arrivata in tutte le edicole con un nuovo, bellissimo MAXI ALBUM.

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i perché la prima grande novità dell’edizione CALCIATORI 2016-2017 è il nuovissimo MAXI ALBUM di 128 pagine. Un album di dimensioni esagerate sul quale potrai attaccare tutte le 745 figurine che fanno parte della collezione. Anche le figurine sono ovviamente grandi e tutte lucidate per rendere ancora più chiare e definite le immagini dei calciatori. Una collezione fortemente rinnovata nelle pagine interne dove sono confermate le rose della Serie A TIM con 22 figurine di calciatori e dove la doppia pagina dedicata alle info e alle statistiche diventa una vera e propria CALCIATORIPEDIA.

CALCIATORI 2016-2017 è ancora più ricca nei materiali, quest’anno sono addirittura 6 le tipologie di figurine, con maglie in raso, scudetti metal microincisi, figurine fluo dedicate alla new generation, le olografiche con gli allenatori, i trofei e gli scudetti della Serie B Con.Te.it, e le nuovissime Cast & Cure tutte da scoprire. Speciali anche le figurine della sezione RAFFIGURA IL TUO CAMPIONE, dove troviamo 11 campioni “firmati” da alcuni nostri collezionisti. E ancora…..Serie A: Record da campioni, con immagini Gazzetta dello Sport; Calciomercato ed il Film del campionato. Ma quest’anno ci sono almeno altri 2 ottimi motivi per collezionare CALCIATORI 2016-2017. All’interno di ogni bustina verde, in vendita nelle edicole, è presente un buono che ti permette di registrare 1 punto per l’operazione CALCIOREGALI (www.calcioregali2017.it oppure App) ed accumulando punti potrai ottenere fantastici premi. Inoltre, se sei particolarmente fortunato e trovi su un lato del buono la scritta HAI VINTO puoi ritirare direttamente dal tuo edicolante una speciale bustina di CALCIATORI GOL!

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DOVE SONO FINITI

La storia di Davide Favaro, in missione negli States...

Il Globetrotter del calcio Raccontiamo la storia di Davide Favaro, ex promessa del vivaio del Milan, oggi laureato e allenatore negli Stati Uniti

“N di Sergio STANCO

on pensare solo al calcio, pensa a studiare”, quante volte abbiamo sentito i nostri genitori dire queste parole? Un’infinità. E per continuare con i luoghi comuni, che dire di “Uno su mille ce la fa”? La cantava Morandi, ma potrebbe essere il motto di tutti quelli che sognano di diventare calciatori professionisti. Anche allenatori, come ci ha ricordato Gigi Simoni nella nostra intervista per i “Miti del Calcio” proprio su questo numero. Bene, Davide Favaro è arrivato ad un passo dal farcela, poi un infortunio (ma non solo, come lui stesso ci racconterà con massima onestà) lo ha messo “fuori”. Da allora è ripartita la caccia al pezzo di carta e oggi ha coronato il sogno di ogni genitore: Davide è un ex calciatore, nel frattempo si è laureato, sta facendo un Dottorato e allena. Cosa si può chiedere di più ad un figlio? Raccontiamo la sua storia perché possa essere da monito, ma anche da guida, a tutti quei ragazzi che nel pallone vedono riflesso il loro futuro. Davide è stato una promessa del calcio, settore giovanile del Milan, bomber implacabile, poi il crack al ginocchio a 19 anni. Da allora un girovagare in provincia che lo ha riportato a casa, nei dilettanti. E in quel momento, i dubbi, gli interrogativi, i timori. Oggi, solo un dolce e lontano ricordo.

foto Agenzia Liverani

Allora Davide, partiamo dall’inizio: dove e come nasce la tua passione per il calcio? “Vengo da un piccolo paesino in provincia di Treviso (Zero Branco) e quando sono cresciuto era un altro mondo: niente tecnologia, internet o cellulari. D'esta-

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te l'unico svago era ritrovarsi con gli altri ragazzini del quartiere per giocare a calcio. Passavamo estati intere a giocare e cosi è nata la mia passione. Inoltre, a quei tempi (parlo intorno alla metà degli Anni ‘90) il calcio era l'unico sport famoso in Italia e praticamente tutti almeno provavano a giocarci, quindi per me è stato semplice approcciarmi ed innamorarmi di questo sport”. Il tuo idolo da ragazzino? “Da piccolo ero interista ed il mio idolo era Ronaldo (secondo me il più forte giocatore degli ultimi 20 anni). Mi piaceva anche Recoba perché ero mancino come lui”. Un interista che fa tutta la trafila delle giovanili del Milan: cosa ricordi e cosa ti ha lasciato la “famiglia” rossonera? “Ho giocato lì per 5 anni (dal 1998 al 2003) ed è stata praticamente una seconda famiglia perché ho trascorso gli anni tra i più importanti della mia infanzia (dai 14 a 19). Sono arrivato a Milano che ero praticamente un bambino e ne sono uscito quasi da adulto. Ho trovato amici nel mondo del calcio ma soprattutto nel liceo (Istituto Sacro Cuore) che frequentavo. Ho avuto la fortuna di avere grandi allenatori (Gotti, Fiorin, Ballardini, Tassotti e Baresi). A Baresi ero molto legato e gli devo tanto, cosi come a Gotti (attuale secondo di Donadoni a Bologna) che considero la persona intellettualmente più preparata che ho conosciuto nel mondo del calcio. Un pensiero particolare però va a Ballardini (mio allenatore al Milan, Parma e Sambenedettese), un secondo papà con cui sono ancora in contatto e che vado a trovare ogni volta che torno in Italia”.

foto Image Sport

LO STUDIOSO DEL CALCIO

Davide FAVARO

Davide Ballardini

Un pensiero particolare però va a Ballardini (mio allenatore al Milan, Parma e Sambenedettese), un secondo papà con cui sono ancora in contatto Che effetto fa essere allenati da un mito come Franco Baresi? Che tipo era? “Era una persona umilissima e mi ha allenato nel suo primo anno da mister. Era piuttosto taciturno e riservato. Ovviamente, noi ragazzi morivamo dalla voglia di conoscere il suo giudizio calcistico”. Di quella squadra, chi ha sfondato e su chi invece avresti scommesso e invece non è “arrivato”? “Matri ha sfondato contro tutte le attese, perché nei 5 anni trascorsi insieme giocava raramente. Quello che non è arrivato e su cui tanti avrebbero scommesso probabilmente sono io, e questo è tuttora un grande rammarico, anche se la vita va avanti”. Hai mantenuto ancora qualche contatto o tagliato tutti i ponti?

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DOVE SONO FINITI

Davide FAVARO

ALLENATO DA UN MITO

Ho avuto un gravissimo infortunio all’età di 19 anni. Ad essere onesti, però, devo ammettere che non avevo la mentalità per fare il giocatore professionista

FAMIGLIA ROSSONERA

Favaro, da giovane, ha avuto come mister il grande Franco Baresi

Tanti illustri campioni del Milan hanno avuto a che fare con Favaro

Winter Season (da Settembre a Febbraio) o nella Spring Season (da Febbraio a Giugno). Anche nelle Università esiste più o meno lo stesso modello, con la differenza che le squadre si allenano solamente in una season e giocano a livello competitivo nell’altra”.

Eri considerato una promessa del calcio italiano, poi cos'è successo? “Ho avuto un gravissimo infortunio all’età di 19 anni, rottura del legamento crociato del ginocchio destro, di entrambi i menischi e grave danneggiamento della cartilagine. Ad essere onesti, però, devo ammettere che non avevo la mentalità per fare il giocatore professionista e non apprezzavo il valore e il dovere del sacrificio”. Rimpianti, qualcosa che non rifaresti, episodi da “sliding doors”? “Ci sono tante cose che se tornassi indietro non rifarei, errori di gioventù e atteggiamenti poco professionali. Tuttavia, questi errori sono stati utili e comprenderli, mi hanno aiutato ad essere dove sono ora e a fare quello che sto facendo. È stato un passaggio di maturità importante, ma ovviamente suggerisco a tutti i giovani che sperano di diventare calciatori di essere sempre professionisti, dentro e fuori campo”.

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Tanto girovagare in provincia tra Lega Pro e Serie D: quando nasce l'idea o esigenza di riprendere a studiare? E quando matura la decisione di mollare il calcio? “Ero una promessa delle giovanili del Milan e non essere riuscito sfondare mi ha abbattuto mentalmente. Ho quindi iniziato ad essere realista e a comprendere che con il calcio non sarei riuscito a vivere. A 25 anni sono tornato a casa con i miei genitori per giocare nel Treviso tra i Dilettanti ed ho iniziato a studiare all’Università di Padova. All'epoca non ho preso quella decisione perché mi attirasse l'idea di studiare, ma solamente per crearmi un’alternativa per il dopo calcio. Ora sono negli Stati Uniti e, dopo aver acquisito un Master in Sport Management, ho iniziato un Dottorato nella stessa disciplina, quindi devo riconoscere che quella è stata la decisione più saggia della mia vita”. Lasci neanche 30enne per inseguire quale sogno? Decisione difficile?

Franco baresi “Non difficile, mentalmente ho smesso di giocare quando sono sceso tra i Dilettanti a 25 anni, quindi lasciare a 30 anni non è stata una decisione difficile. Giocare nei Dilettanti nel Chieti, Treviso, Feltrese, Dolo e nella squadra del mio paese è stato divertente e ho stretto parecchie amicizie, ma ero cosciente che sarebbe stata solo una fase di passaggio”. Come arrivi negli USA? “Mi ero laureato all’Università di Padova e avevo praticamente smesso di giocare a calcio. Volevo fare un’esperienza all'estero ma non ero preparato mentalmente e professionalmente per questa transizione. Stavo guardando alla possibilità di fare un Master negli USA, in Inghilterra o in Australia. Dopo aver spedito diverse applications, sono stato preso per un Master in Sport Management dalla St. Thomas University di Miami. In quel momento avevano anche bisogno di un Assistant Coach nella squadra maschile di calcio dell’Università e quindi ho iniziato

Mauro Tassotti anche la mia carriera di allenatore”. Quando ti sei trasferito, nella tua testa c'era già l'idea di fare qualcosa nel calcio laggiù? “Sinceramente non ci avevo pensato, ho solo risposto ad una loro esigenza temporanea e questa bella e “casuale” possibilità si è concretizzata, permettendomi di abbinare studio e calcio, le mie due grandi passioni”. Come si sviluppa la tua esperienza a stelle e strisce? “Come allenatore, sono stato Assistant Coach Men's Soccer alla St. Thomas University (Miami, Florida) da agosto 2014 ad ottobre 2015, poi Head Coach Men's Soccer alla Archbishop CurleyNotre Dame High School (Miami, Florida) da settembre 2015 a febbraio 2016 e Head Coach Youth Academy alla Milano United Soccer Academy da febbraio 2016 ad oggi. Da settembre 2016 sono anche Head Coach Men's Soccer alla

foto Image Sport

foto Image Sport

“Il mio più grande amico nel mondo del calcio è Mario Stancanelli, ex giocatore professionista con cui ho giocato per qualche mese nel Treviso”. Nel Milan sei stato compagno di Donadel, che oggi gioca in MLS: vi siete “ritrovati” dopo tanti anni? “No, purtroppo non ci siamo più visti dopo gli anni del Milan. Ora lui è a Montreal in Canada ed io a Miami, quindi lontanissimi. Peccato, perché tra i miei ex compagni di squadra è la persona che ho stimato di più, perché oltre ad essere un buon giocatore era la persona più seria ed intelligente”.

Nel mio futuro vorrei andare in giro per il mondo ad insegnare nelle Università il confronto tra il modello Europeo e Nord Americano nei corsi di Sport Management

St. Brendan High School (Miami, Florida). Come studente, mi sono laureato con nel Dicembre 2015 con un Master in Sport Administration alla St. Thomas University (Miami Gardens, Florida) ed a gennaio 2017 ho iniziato un Dottorato di Business Administration in Sport Administration nella stessa Università”. In molti identificano il sistema scolastico statunitense come un esempio a livello di sport: ci spieghi come funziona esattamente? “Le scuole sono concepite in maniera differente rispetto all’Italia. Negli USA, ai normali obiettivi educativi e di apprendimento didattico, vengono anche aggiunti quelli di sviluppo fisico attraverso gli sport. Nelle High Schools (equivalenti delle nostre Scuole Superiori) dal lunedì al venerdì i ragazzi restano in classe fino alle 3.30 e poi rimangono per lo più all’interno delle strutture sportive scolastiche per praticare gli sport. Nelle High Schools i singoli sports partecipano nella

Pregi e difetti? Sarebbe applicabile in Italia? “I pregi sono lo sviluppo di senso di appartenenza alla scuola e la comodità di poter studiare e fare sport nella stessa struttura. Il difetto più grande è che lo sport non viene praticato per tutto l’anno come in Italia ma solo per un breve periodo. Secondo me non è un modello applicabile da noi per due motivi: l’esistenza dei club in Italia e il costo enorme delle scuole americane (offrendo strutture sportive così all’avanguardia è normale che i costi lievitino)”. Davide Favaro oggi? “Un ragazzo semplice ancora profondamente legato alla sua campagna veneta dove è nato e che sta inseguendo il sogno della sua vita di conseguire un dottorato in America”. E domani? Nel tuo futuro vedi un rientro in Italia per mettere a disposizione la tua esperienza? In che ruolo ti immagineresti ipoteticamente nel calcio? “Nel mio futuro vorrei andare in giro per il mondo ad insegnare nelle Università il confronto tra il modello Europeo e Nord Americano nei corsi di Sport Management, oppure fare sia il Coach di calcio ed il professore in Università che adottino il modello americano (USA, Canada, Australia, UK)”.

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L’ALFABETO DEI BIDONI VAMPETA

L’ALFABETO DEI BIDONI / VAMPETA

di Fabrizio PONCIROLI

VAMPETA, TUTTO E NIENTE

MALE ALL'INTER

Si ringrazia Panini per la gentile concessione delle immagini

Vampeta, in nerazzurro, non ha mai lasciato il segno...

Campione del Mondo col Brasile, icona del mondo gay e con un debole per il vino papale…

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neppure la famiglia che lo ha cullato per anni. Durante un amichevole del Brasile in Olanda, qualche anno più tardi, tornerà a far visita alla famiglia olandese che l’aveva ospitato: “È stato il più grande rimprovero che abbia mai ricevuto in tutta la mia vita, senza nessuna parola detta”, rivelerà, ricordando la scena, lo stesso Vampeta in una recente intervista. Dopo un biennio al Corinthians, nell’estate del 2000, sbarca in Italia. La Fiorentina sembra in pole position per metterlo sotto contratto, con Antognoni, allora ds dei viola, che crede ciecamente nel ragazzo. Invece, a spuntarla, è l’Inter. Ronaldo, amico di Vampeta, lo consiglia a Moratti che, sborsando la bellezza di 30 miliardi netti (oltre ad un triennale da quattro miliardi a stagione di stipendio), lo porta a Milano, sponda nerazzurra. Il 5 settembre, via internet, Vampeta, accompagnato dal ds Oriali, si presenta: “Sono tornato in Europa per vincere. Tutti mi hanno parlato bene dell’Inter. E i miei compagni di nazionale mi hanno detto che a Milano si sta bene”. L’inizio è da applausi. Segna,

foto Agenzia Liverani

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a vita, calcistica e non, di Marcos André Batista Santos, meglio noto come Vampeta, è simile ad una telenovela in stile Beautiful. Sia in campo che, soprattutto, fuori dal terreno verde, Vampeta è andato ben oltre a dove osano le aquile. Classe 1974, diventa, per tutti, Vampeta (perfetto mix di due parole brasiliane, ossia capeta, traducibile in diavolo, e vampiro) da piccolo, si dice dopo aver perso un paio di denti. Da giovane mostra un certo talento come centrocampista, tanto che il PSV Eindhoven decide di investire su di lui, oltre ad un ragazzino di nome Ronaldo. Mentre l’ambientamento di Ronie va alla grande, quello di Vampeta, in terra olandese, è complicato. Va a vivere nella famiglia di un compagno di squadra olandese. Appena può torna in Brasile, inizialmente in prestito poi, nel 1998, a titolo definitivo. Va al Corinthians, letteralmente scappando da Eindhoven. Non saluta nessuno,

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L’ALFABETO DEI BIDONI / VAMPETA

L’ALFABETO DEI BIDONI / VAMPETA

“ERA MOLTO ALLEGRO” Di Fabrizio Ponciroli

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foto Agenzia Liverani

ella ricca rosa nerazzurra della stagione 2000/01 c’era anche Bruno Cirillo. Come Vampeta, anche il difensore italiano sbarca a Milano nell’estate del 2000. Il suo ricordo del brasiliano è ancora vivo: “Come la maggior parte dei brasiliani che ho conosciuto durante la mia carriera, anche lui era allegro, direi molto allegro. Certo, anche io ho letto quello che ha fatto fuori dal campo ma, onestamente, nei mesi che è stato all’Inter con noi, non ricordo tutte queste follie extra calcistiche”. L’ex difensore, tra le altre, di Reggina e AEK Atene, riconosce il valore del giocatore: “Se uno arriva a giocare per la nazionale brasiliana, non può essere scarso con i piedi e, in allenamento, si vedeva che aveva doti importanti. Il problema è che quello è stato un anno maledetto”. Cirillo entra più nello specifico: “Quella stagione doveva essere fantastica ed invece ci furono tantissimi problemi. Fuori dalla Champions League, poi la sconfitta sul campo della Reggina e il cambio di allenatore, senza contare l’assenza di Ronaldo e altri problemi esterni. Insomma è stata una stagione nata male e, quindi, credo che anche Vampeta sia stato condizionato da tutto quello che ci è successo in quell’inizio di stagione davvero negativo. Poi lui è andato via e quindi non ha neppure avuto il tempo per poter mettere in mostra le sue doti. Comunque, ripeto, non poteva essere scarso uno che era nel giro della nazionale da anni”.

foto Agenzia Liverani

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Bruno Cirillo

foto @FDLCOM

Cirillo, compagno di squadra di Vampeta all’Inter, lo difende: “Anno maledetto”

al debutto, nella Supercoppa Italiana, purtroppo persa contro la Lazio. Una buona prestazione, l’unica… Vampeta è in campo nella disastrosa trasferta sul campo della Reggina (2-1 per gli amaranto), sconfitta che porterà al leggendario sfogo di Lippi, pronto a prendere tutti i suoi giocatori a calci nel sedere, Vampeta compreso. Lippi viene esonerato, arriva Tardelli. Vampeta si ritrova, come allenatore, il giocatore al quale è stato, più volte, paragonato. L’amore non sboccia. Tardelli dirotta in panchina Vampeta, troppo lento e in evidente sovrappeso. Gioca solo in Coppa Uefa e in Coppa Italia prima di finire fuori rosa. Durante il mercato di riparazione, gennaio 2001, la sua avventura italiana giunge al termine. Nonostante la “protezione” di Ronaldo, l’Inter lo cede al PSG. Gioca poco (e male) in terra francese. Inevitabile, a fine stagione, il ritorno in Brasile. Qualcosa di buono la combina, visto che l’Inter acquista un giovanissimo Adriano, grazie anche a Vampeta. In qualche modo, riesce a farsi convocare per il Mondiale del 2002 e, giocando solo 18 minuti in tutto il torneo, diventa anche Campione del Mondo. Festeggia il titolo a modo suo, presentandosi ubriaco dall’allora presidente del Brasile Fernando Henrique Cardoso (con tanto di capriola davanti a tutti i presenti). Nel 2003, un grave infortunio al ginocchio lo condiziona enormemente. Comincia così un peregrinaggio in diversi club brasiliani, senza mai lasciare il segno. Si ritira nel 2008 anche se, ufficialmente, lo fa nel 2011, dopo aver disputato qualche partita nel Gremio Osasco Audax, squadra di terza divisione brasiliana di cui è anche allenatore (poi ne diventerà anche il presidente). Questa la sua epopea in campo ma c’è ben altro… Vampeta è diventato una leggenda soprattutto per quello che ha combinato fuori dal rettangolo di gioco. Primo calciatore a posare nudo per la nota rivista gay G

Magazine, si è vantato, come riporta Diario, di aver avuto, nei suoi anni migliori, “… più di 400 donne, grazie al calcio”. Di fatto non ha mai dichiarato di essere omosessuale (è stato anche testimonial di un Gay Pride) mentre, ai tempi in cui era un giocatore vero e proprio, è finito sotto i riflettori per aver rivelato che, nel Gojas, club brasiliano, erano presenti diversi “bambi”, termine decisamente dispregiativo per indicare i gay. Molto attivo sessualmente, ancor di più a livello di alcol. Recentemente ha fatto clamore una sua dichiarazione alla Gazzetta dello Sport: “Una volta andai a casa di Ronaldo, in un condominio dove abitavano pure Dida, Roque Junior e altri. Ero già sbronzo quando andai a pigliare una bottiglia di vino dalla sua cantina. E me la scolai. Ma era il vino regalatogli da papa Giovanni Paolo II in una visita in Vaticano... Ronaldo si incazzò, voleva che gliela pagassi. Ma il vino sapeva d’aceto...”. Ancora più scioccante le sue parole rilasciate ad un media brasiliano: “Mettevo la vodka nelle borracce dell’acqua, così non venivo scoperto”. Il tutto mentre era ancora in nazionale… Divertente anche l’aneddoto legato al Kuwait (sì, ha giocato anche lì): “Un libanese mi aveva insegnato come fare del vino in casa. Non andò benissimo. Sono stato arrestato per 36 ore, quando la polizia mi ha trovato con sei litri di quella bevanda che sembrava melassa”. Non contento, ha tentato anche la carriera del politico. Non è stato eletto. Ora, oltre a divertirsi nel ruolo di presidente dell’Audax, si diletta anche come commentatore e opinionista TV. Il fisico è abbondante, così come la sua voglia di far festa, sempre e comunque… Se volete saperne di più, ricordatevi che il buon Vampeta si è cimentato anche nel ruolo dello scrittore. Nel 2013, infatti, ha presentato il libro “Vampeta – Memorias do Velho Vamp”… Idolo assoluto!

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PARTITE DA RICORDARE ATALANTA-MALINES

PARTITE DA RICORDARE / ATALANTA-MALINES

di Thomas SACCANI

AD UN PASSO DA STRASBURGO

UNA GRANDE SQUADRA

foto Agenzia Liverani

L'Atalanta di Mondonico è rimasta nel cuore di tutti...

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aprile 1988, una data incastonata nella mente di qualsiasi tifoso della Dea (e non solo). Una giornata storica, quella in cui l’Atalanta andò ad un passo dal conquistare la finale dell’allora Coppa delle Coppe. Una stagione strana, unica, irripetibile. Dopo aver perso la finale di Coppa Italia contro il Napoli del grande Maradona, l’Atalanta, seppur in Serie B, viene iscritta, come rappresentante italiana, alla Coppa delle Coppe (il Napoli, vincitore anche dello Scudetto, gioca la Coppa Campioni). La prima partita “europea” è contro i

modesti gallesi del Merthyr Thydfil. I bergamaschi, seppur perdendo, la gara d’andata, in terra gallese, passano il turno. Arriva poi l’Ofi Creta, eliminato grazie ad una grande prova tra le mura amiche. L’Atalanta si esalta nella sfida successiva, buttando fuori dal torneo una corazzata come lo Sporting Lisbona. Dopo aver vinto, tra le mura amiche, con un secco 2-0, i bergamaschi, senza Garlini e Stromberg, si salvano a Lisbona, grazie ad un guizzo di Cantarutti che evita guai nel finale di partita. Giunge così alle semifinali di Coppa delle Coppe, unica italiana ancora in corso in Europa (negli anni in cui l’Italia dominava). Gli orobici pescano, nel

foto Agenzia Liverani

L’impresa della mitica Atalanta di Mondonico, quella che mise in difficoltà il grande Malines…

IVANO BONETTI

segue a pag. 96 92

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PARTITE DA RICORDARE / ATALANTA-MALINES

PARTITE DA RICORDARE / ATALANTA-MALINES

“VIVO NEL RAMMARICO”

L’INVINCIBILE PREUD’HOMME

Di Thomas Saccani Daniele Fortunato non ha dimenticato la sfida con il Malines

Di Thomas Saccani Decisivo nella doppia sfida con l’Atalanta, portiere straordinario

IL TABELLINO DELLA GARA ATALANTA-MALINES (0-1) 1-2 ATALANTA Piotti, Bonacina, Gentile, Fortunato, Barcella, Rossi (70' Cantarutti), Stromberg, Nicolini, Bonetti, Icardi (80' Compagno), Garlini. All. Mondonico

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ella storia del calcio belga, ci sono stati due grandi portieri (in attesa che Courtois diventi altrettanto leggendario), ossia Pfaff e Preud’Homme. Quest’ultimo, ora allenatore del Club Brugge, ha legato la sua carriera da portiere a tre squadre: Standard Liegi, Malines e Benfica. Calciatore belga dell’anno per ben due volte (1987 e 1989), ha vinto diversi trofei ma, in particolare, è legato alla Coppa delle Coppe vinta con il suo Malines nel 1987/88 (contro l’Ajax). Preud’Homme è stata la stella del Malines degli anni ’80, la miglior era del piccolo paese belga (dal 1986 al 1989, vince Coppa delle Coppe, Scudetto belga, Coppa di Belgio e Supercoppa Europea). Daniele Fortunato, suo avversario nella doppia sfida di semifinale in Coppa delle Coppe, lo ricorda così: “Fortissimo, aveva una presenza in porta incredibile. Ti dava la sensazione di essere insuperabile. Sapevi che, per superarlo, dovevi fare davvero qualcosa di eccezionale, come accade oggi ai vari Buffon e Donnarumma. Il Malines senza Preud’Homme sarebbe stato molto ma molto più debole”. In effetti, Preud’Homme è stato un portiere “fuori dalla norma”, capace di miracoli pazzeschi. Ne sa qualcosa il Milan che, in Coppa Campioni, edizione 1989/90, si trovò di fronte un Preud’Homme leggendario. Lo stesso che fermò la corsa dell’Atalanta di Mondonico…

Si ringrazia Panini per la gentile concessione delle immagini

MALINES Preud'Homme, Emmers, Clijsters, Rutjes, Hoflens, Sanders, De Wilde (72' Jaspers), Koeman, De Ferm, De Mesmaeker, (46' Den Boer), Ohana. All. De Mos Arbitro: Butenko (Urss) Reti: 39' Garlini (A) (rig.), Rutjes al 55', Emmers al 79'

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ono trascorsi quasi 30 anni, eppure il ricordo della semifinale persa con il Malines è ancora vivo nella mente di Daniele Fortunato, uno di coloro che, il 20 aprile 1988, era in campo con i colori dell’Atalanta: “Di quella sera mi ricordo i quasi 40.000 spettatori allo stadio, una cosa mai vista a Bergamo. Ricordo l’eccitazione che si respirava all’interno dello stadio, un’atmosfera bellissima, indimenticabile”. Fortunato non ha dimenticato nulla di quella gara di ritorno: “Vivo nel rammarico per aver mancato la finale – spiega –. Credo che l’Atalanta abbia buttato via la possibilità di arrivare a giocarsi la finalissima nella sfida d’andata, in Belgio. Avremmo potuto pareggiare all’andata, invece fummo sconfitti. Poi, nel ritorno, ci abbiamo provato, in tutte le maniere ma non è andata bene. Probabilmente meritavamo qualcosa in più noi ma è andata diversamente”. Fortunato ancora soffre al gol del momentaneo pareggio di Rutjes: “Un gol molto fortunoso, frutto del caso. Ha segnato in un modo che capita una volta nella vita. Un tiro d’istinto che è finito nell’angolino. Incredibile… Mentre io ho preso il palo”, rimugina l’ex nerazzurro. Un’impresa con Mondonico in partita: “Lui era sempre carico come una molla. Ha affrontato quella partita di ritorno esattamente come tutte le altre gare. Era uno che si arrabbiava anche durante le amichevoli, tanto per capirci”. Per fortuna, con il passare degli anni, il dolore per la sconfitta ha lasciato lo spazio all’orgoglio per quanto fatto in quella stagione: “Vero, più passano gli anni e più, quella cavalcata, diventa storica. Non dimentichiamoci che noi abbiamo partecipato a quella Coppa delle Coppe solo perché il Napoli aveva vinto sia lo Scudetto che la Coppa Italia contro di noi. All’inizio non sapevamo neanche cosa aspettarci, visto che giocavamo in Serie B e puntavamo a tornare in A. Poi, con il passare del tempo, abbiamo iniziato a crederci. Giocavamo in Europa e, nel contempo, in Serie B. Non è stato facile, tanto che, a fine campionato, siamo arrivati quarti, ultima posizione utile per tornare in A. L’Italia si è accorta di noi dopo la sfida con lo Sporting Lisbona, anche perché, quell’anno, eravamo, ad un certo punto, l’unica squadra italiana ancora in gioco nelle coppe europee. Credo che sia stata la più grande impresa nella storia dell’Atalanta. Oggi ti rendi conto di aver fatto qualcosa di storico che resterà per sempre nei cuori dei tifosi dell’Atalanta”. Recentemente Atalanta e Malines si sono ritrovate di fronte. Una sfida tra Vecchie Glorie andata in scena nel settembre del 2007 (13esima edizione Trofeo Bortolotti, per la cronaca successo degli orobici per 1-0): “È stato bello giocare quella partita, sempre con tanta gente allo stadio. Ho rivisto tanti miei ex compagni, con alcuni ci sentiamo ancora oggi. Un bel modo per ricordare un confronto che nessuno dimenticherà mai, neppure quelli del Malines visto che, anche loro, hanno vissuto il loro momento migliore proprio in quegli anni”. 94

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“OHANA MI HA FREGATO”

Di Thomas Saccani Ivano Bonetti e il suo ricordo di Atalanta-Malines: “L’arbitro ci ha negato un rigore colossale”

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era anche un giovanissimo Ivano Bonetti nell’Atalanta che, nella stagione 1987/88, arrivò ad un passo dalla finale di Coppa delle Coppe. L’ex difensore, tra le altre, di Juventus e Sampdoria, difenda a spada tratta i suoi compagni di allora: “Ci tengo a precisare che noi eravamo una squadra convinta dei nostri mezzi. Anche se eravamo in Serie B, sapevamo di essere forti. Con un pizzico di fortuna, credo proprio che avremmo conquistato la finale e forse la Coppa delle Coppe. L’arbitro - continua - ci ha negato un rigore clamoroso su Stromberg. Ci avesse dato quel penalty, probabilmente sarebbe finita diversamente…”. Bonetti ha grande rispetto del Malines, compagine che, in quegli anni, dimostrò di essere di prima fascia: “Loro erano sicuramente una squadra importante, con delle individualità notevoli. Oltre a Preud’Homme, che era incredibile, mi ricordo di Ohana che, arrivando in finale, mi ha fregato il Trofeo Bravo che allora veniva dato al Miglior Giovane Europeo Under 23. Fossi andato in finale io, l’avrebbero dato a me…”. Sono tanti gli aneddoti su quella lunga e meravigliosa cavalcata europea: “Ricordo il tragitto per andare allo stadio la sera della sfida con il Malines, una serie infinita di bandiere nerazzurre… Anche quando tornammo da Lisbona. Ho ancora i brividi. C’erano centinaia di persone ad aspettarci, si respirava una gioia unica. A Lisbona abbiamo fatto una grande impresa, anche se eravamo convinti di potercela fare. Non crollare al cospetto di uno stadio con 70.000 persone è stato incredibile”. Eppure, di quell’Atalanta dei miracoli se ne è parlato poco: “Io sono stato alla Sampdoria quando si vinceva tanto. La differenza con quell’Atalanta è che il gruppo Samp è rimasto insieme per diversi anni mentre, quell’Atalanta ha perso pezzi importanti già al termine della stagione 1987/88. Avessimo giocato insieme per 5/6 anni, probabilmente quell’Atalanta sarebbe stata ancor più acclamata e ricordata nel tempo. Comunque a Bergamo se la ricordano bene…”.

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foto Agenzia Liverani

PARTITE DA RICORDARE / ATALANTA-MALINES

L E PA R T I T E D E L L ' ATA L A N TA I N C O P PA D E L L E C O P P E 1 9 8 7 / 8 8 PARTITA

TURNO

RISULTATO

MARCATORI

MERTHYR T. - ATALANTA

16ESIMI

2-1

Aut Icardi, Progra (A), Aut Progna

ATALANTA - MERTHYR T.

16ESIMI

2-0

Garlini (A), Cantarutti (A)

OFI CRETA - ATALANTA

OTTAVI DI FINALE

1-0

Persias

ATALANTA - OFI CRETA

OTTAVI DI FINALE

2-0

Nicolini (A), Garlini (A)

ATALANTA - SPORTING L.

QUARTI DI FINALE

2-0

Nicolini (A) Rig,, Cantarutti (A)

SPORTING L. - ATALANTA

QUARTI DI FINALE

1-1

Houtman, Cantarutti (A)

MALINES - ATALANTA

SEMIFINALE

2-1

Ohana, Stromberg (A), Den Boer

ATALANTA - MALINES

SEMIFINALE

1-2

Garlini (A) Rig., Rutjes, Emmers

sorteggio di Ginevra, il Malines. L’incontro d’andata, in Belgio, sorride alla squadra belga che si impone 2-1 (con Nicoli che spreca un’occasione colossale sul momentaneo 1-1). E si arriva così al fatidico 20 aprile 1988, il giorno della partita di ritorno, quella che potrebbe regalare all’Atalanta il biglietto per Strasburgo, sede della finalissima. Lo stadio è stracolmo. Sono quasi in 40.000 pronti a sostenere i propri beniamini. Il tecnico Mondonico si affida ai soliti noti. Vanno in campo Piotti, Bonacina, Gentile, Fortunato, Barcella, Rossi, Stromberg, Nicolini, Bonetti, Icardi e Garlini. Di fronte il Malines dell’astro nascente Preud’Homme, imbattuto fuori casa. Il mare nerazzurro, già due ore prima del match, inneggia alla propria squadra. I circa 2.000 supporter del Malines non si notano neppure. De Mos, tecnico della formazione belga, rinuncia a Den Boer (in gol all’andata) per De Ferm, giocatore più attento in fase di contenimento, a conferma della volontà di non scoprirsi troppo. L’Atalanta parte a testa bassa, con tanto di pressing forsennato. Tanto nervosismo in campo, molto lavoro per il direttore di gara Butenko. I padroni di casa, nonostante il grande impegno, faticano a rendersi pericolosi dalle parti di Preud’Homme.

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Il primo sussulto è di Stromberg, già in gol all’andata, ma il numero uno del Malines si fa trovare pronto con un intervento prodigioso. Poi, la partita si sblocca. Fallo di mano, molto discusso, di Cljsters. Per Butenko è rigore. Garlini infila la palla in rete: 1-0 Atalanta (39’). Il pubblico è in delirio. Nella ripresa, nei minuti iniziali, clamoroso palo di Fortunato. Il Malines non ci sta e, in mischia, trova il pari con un tiro spettacolare del ruvido difensore Rutjes uno che, raccontano le cronache, si era avvicinato al calcio quasi per caso. Tutto da rifare per gli orobici. Brusca reazione dei nerazzurri con Preud’Homme che para l’impossibile (incredibile intervento su Icardi). Mondonico si gioca l’arma Cantarutti nel tentativo di scuotere la squadra ma le energie, in casa Atalanta, sono ormai ridotte al lumicino. Emmers, con un bel destro, chiude i conti: 2-1 a favore del Malines. Niente finale, a Strasburgo ci vanno i belgi che, oltretutto, la Coppa delle Coppe la vinceranno pure (1-0 al fortissimo Ajax). I giocatori bergamaschi sono scuri in volto, non il pubblico che applaude, in maniera convinta, tutti i protagonisti, cantando “Torneremo in Serie A” (obiettivo raggiunto, grazie al quarto posto finale in serie cadetta).


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Il DJ/Speaker di RTL 102.5 Carlo CARLETTO Nicoletti seguirà i profili Instagram e Twitter dei giocatori più importanti del pianeta Calcio e ci segnalerà le foto e i tweet più divertenti e particolari. Segnalate quelle che magari potrebbero sfuggirgli scrivendogli al suo profilo Instagram e Twitter: @carlettoweb

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