Bimestrale | GIUGNO - LUGLIO 2017 | N. 228 | Italia | Euro 3,90
Calcio
BE €8,00 | F €11,50 | D €9,50 | PTE CONT €7,50 | E €7,50 | CHCT chf 8,50
L’ALFABETO DEI BIDONI
BERTRAND CRASSON
IL BELGA ANONIMO
2OOO La rivista diretta da FABRIZIO PONCIROLI Prima immissione: 12/01/2017
Dove sono finiti? MAURIZIO TURONE “QUEL GOL TIENE BANCO ANCORA”
Speciale MAGLIE STORICHE LA CASACCA DEL FEYENOORD
Giganti del Calcio CRISTIAN CHIVU “MOURINHO HA QUALCOSA IN PIÙ”
ESCLUSIVA
Nikola KALINIĆ
foto Federico De Luca @FDLCOM
Reportage GARE DA NON DIMENTICARE 24/05/1992 FOGGIA-MILAN 2-8
“ HO UN SOGNO NEL CASSETTO... ”
ESCLUSIVA Eusebio DI FRANCESCO ” LE MIE SQUADRE DEVONO DIVERTIRE”
di Fabrizio Ponciroli
Registrazione al Tribunale di Milano n.362 del 21/06/1997 Prima immissione: Maggio 2017 Iscritto al Registro Operatori di Comunicazione al n. 18246
6 Nikola Kalinić
INTERVISTA ESCLUSIVA di Fabrizio Ponciroli
16 EUSEBIO DI FRANCESCO
6
INTERVISTA ESCLUSIVA di Francesco Fontana
26 FAVOLE DI PROVINCIA
SPECIALE
Michele Criscitiello
Diretto da
Fabrizio Ponciroli
INTERVISTA ESCLUSIVA
di Sergio Stanco 36 TRIESTINA
Redazione
LA STORIA RACCONTA di Luca Savarese
16
44 FEYENoORD
MAGLIE STORICHE
di Gianfranco Giordano
SANSONE 30
Nicola Sansone Múnich (Alemania) 10.09.1991 / 1.75 M. / 73 KG. Sassuolo (16-17) / INT
52 VIAGGIO A Sheffield
REPORTAGE
I GIGANTI DEL CALCIO
Realizzazione Grafica
di Francesco Fontana
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SPECIALE DERBY
di Luca Gandini
e-mail: media@calcio2000.it
RECORD INVINCIBILI
Stampa
di Paolo Bardelli
DOVE SONO FINITI? di Stefano Borgi
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L’ALFABETO DEI BIDONI di Fabrizio Ponciroli
92 FOGGIA-MILAN 2-8
Distribuzione
Distribuzione ESTERO
PARTITE DA RICORDARE
SO.DI.P. spa, via Bettola 18 20092 Cinisello Balsamo (MI) Tel +39 02/66030400 Fax +39 02/66030269
di Thomas Saccani
98 SCOVATE da CARLETTO RTL
76 NUMERO CHIUSO IL 28 APRILE 2016
Tiber S.p.A. Via della Volta, 179 25124 Brescia Tel. +39 0303543439 Fax. +39 030349805 Mepe S.p.A. Via Ettore Bugatti, 15 20142 Milano Tel +39 0289592.1 Fax +39 0289500688
88 Bertrand Crasson
Statistiche
Contatti per la pubblicità:
84 MAURIZIO TURONE
TC&C S.r.l.
Redazione Calcio2000
76 MARCO BALLOTTA
Hanno collaborato
Sergio Stanco, Francesco Scabar, Luca Savarese, Gianfranco Giordano, Luca Gandini, Paolo Bardelli, Thomas Saccani, Stefano Borgi, Carletto RTL. Image Photo Agency Agenzia Aldo Liverani, Federico De Luca.
68 IL DERBY DI BERGAMO
Gaetano Mocciaro, Chiara Biondini, Marco Conterio, Lorenzo Di Benedetto, Simone Bernabei, Lorenzo Marucci, Pietro Lazzerini, Tommaso Maschio, Francesco Fontana, Luca Bargellini.
Fotografie
di Gianfranco Giordano
58 CRISTIAN CHIVU
TC&C srl Strada Setteponti Levante 114 52028 Terranuova Bracciolini (AR) Tel +39 055 9172741 Fax +39 055 9170872
DIRETTORE RESPONSABILE
di Francesco Scabar
30 NICOLA SANSONE
EDITORE
IL PROSSIMO NUMERO sarà in edicola il 10 LUGLIO 2017
84
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Calcio2000 è parte del Network
L'EDITORIALE di Fabrizio PONCIROLI
direttore@calcio2000.it
GUARDIAMO AVANTI…SENZA DIMENTICARCI DEL PASSATO
D
ifficile individuare uno sport più assurdamente emozionante come il gioco del calcio… Può renderti euforico o gettarti nello sconforto. L’indifferenza non riesce mai ad avere il sopravvento, il calcio è parte di noi, uno dei tantissimi motivi per alzarci ogni mattina… Bene, il calcio è cambiato, si sta evolvendo. Per chi vive di nostalgici ricordi, il pallone di oggi è complicato da comprendere. A Milano, ora, ci sono delle proprietà cinesi, chi l’avrebbe mai detto? Un tempo, anche solo 5/7 anni fa, spendere 30/40 milioni sul mercato era un’enormità. Oggi, se hai un budget di 30/40 milioni di euro non sei nessuno, quasi un “pezzente”. Eppure, anche con tanti lifting alle spalle e, non ho dubbi, altrettanti nell’imminente futuro, il calcio è emozione pura. Non ne possiamo fare a meno… Forse è per questo che cerchiamo di raccontarlo a modo nostro, alternando argomenti di stretta attualità a pagine dedicate al calcio d’un tempo… Questo numero è un esempio di questa volontà di essere passato, presente e futuro. Siamo andati a Firenze a parlare con Kalinic, uno che ha detto di no al dorato mondo cinese… Poi ci siamo confrontati con Di Francesco, allenatore destinato a grandi cose. Non contenti, ci siamo fatti raccontare come si sta al Villarreal da Sansone… Ma, come detto, a noi interessa anche il calcio d’archivio e le curiosità alle quali nessuno dà spazio e credito. Doveroso raccontare un club prestigioso come la Triestina, bello soffermarsi sul calcio inglese dei non professionisti. Due chiacchiere con Chivu, uno che ha indossato, con onore, le maglie di Inter e Roma, ci sono sembrate obbligatorie. E che dire dei reportage su il derby di Bergamo, sul leggendario Turone e sul “record man” Ballotta? Ovviamente non ci siamo dimenticati dell’alfabeto dei bidoni (mitico Crasson) e neppure delle gare da non dimenticare (Foggia-Milan 2-8). Insomma, un’offerta completa, per accontentare tutti i palati, anche quelli più esigenti. Prima di arrivare a questo compromesso editoriale (come lo definisco io) c’è voluto del tempo ma ora ritengo che si sia trovata la giusta direzione. Vero, abbiamo commesso tanti errori e, probabilmente, ne faremo di nuovi, tuttavia la voglia di migliorarsi è tangibile… Spesso mi viene posta questa domanda: “Che senso ha una rivista cartacea nel mondo di oggi, in cui la tecnologia è padrona e, su internet, c’è tutto a disposizione?”. Personalmente rispondo sempre nella stessa identica maniera: “Avrà senso fino a quando ci saranno persone, come il sottoscritto, che continueranno a crederci”. Io ci credo e anche voi mi state dimostrando, sempre più, di crederci. E’ sufficiente per continuare a dare il massimo, anche di più… Buona lettura a tutti quanti!!! 4440_210x285_Gatorade_Calcio2000.indd 1
Bimestrale | GIUGNO - LUGLIO 2017 | N. 228 | Italia | Euro 3,90
Calcio
BE €8,00 | F €11,50 | D €9,50 | PTE CONT €7,50 | E €7,50 | CHCT chf 8,50
L’ALFABETO DEI BIDONI
BERTRAND CRASSON
IL BELGA ANONIMO
2OOO La rivista diretta da FABRIZIO PONCIROLI Prima immissione: 12/01/2017
Dove sono finiti? MAURIZIO TURONE “QUEL GOL TIENE BANCO ANCORA”
Reportage GARE DA NON DIMENTICARE 24/05/1992 FOGGIA-MILAN 2-8
Speciale MAGLIE STORICHE LA CASACCA DEL FEYENOORD
Giganti del Calcio CRISTIAN CHIVU “MOURINHO HA QUALCOSA IN PIÙ”
ESCLUSIVA
Nikola KALINIĆ
LA G SE 2016
foto Federico De Luca @FDLCOM
Calcio2OOO
N. 228 - GIUGNO - LUGLIO 2017
4 LA BOCCA DEL LEONE
NIKOLA KALINIĆ
issn 1126-1056
2OOO
Anno 20 n. 3 GIUGNO - LUGLIO 2017
Calcio
sommario n.228
“ HO UN SOGNO NEL CASSETTO... ”
“CON LE 2 AGGIOR
ESCLUSIVA Eusebio DI FRANCESCO ” LE MIE SQUADRE DEVONO DIVERTIRE”
21/04/17 12:40
“Il passato è un segnale di direzione, non un palo dove appoggiarsi” (Thomas Holcroft)
www.calcio2000.it
Calcio 2OOO
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PER SCRIVERCI: media@calcio2000.it
LA BOCCA DEL LEONE di Fabrizio Ponciroli - foto Image Sport FILM DEL CAMPIONATO Caro Direttore, inizio ad apprezzare il nuovo Calcio 2000 bimestrale, molto interessante nella parte storica e nelle interviste ai protagonisti del calcio attuale, però volevo chiedere se era possibile vedere ogni tanto delle caricature in copertina e più spesso i disegni di Cesare Righi. Perchè non riproporre a fine stagione l'inserto il Film del campionato con tutti i tabellini delle partite e i disegni dei gol più belli, visto che nel bimestrale è diventato superfluo inserire i suddetti tabellini? Un saluto a te e tutta la redazione Berto Flavio, mail firmata Caro Berto Flavio, grazie per i complimenti… Guarda, io ho una venerazione per Cesare Righi ma non è semplice trovare lo spazio per tutto, soprattutto ora che siamo diventati bimestrali. Un Film del campionato all’uscita di luglio avrebbe poco senso ma per i disegni, appena posso, li inserisco volentieri… MERTENS VALE PIU’ DI DYBALA Direttore, la leggo sia su Calcio2000 che su Tuttomercatoweb ma mai una volta che parla bene del mio Napoli. Siamo sempre messi in disparte, c’è sempre da
parlare della Juventus e di quanto sono bravi e belli. Non è così e poi si esagera sempre con la Juventus. Dybala adesso è il nuovo Messi e Mertens sembra uno che non conta niente. Ma non è così. Mertens ha fatto meglio di Higuain qua a Napoli ma non se ne accorge nessuno. Il giornale mi piace ma il suo essere anti Napoli no. Mi spiega perché ci odia tanto? Rossano, mail firmata Caro Rossano, io non odio nessuno… Non fa parte del mio DNA, te lo assicuro. Per odiare una persona deve proprio averla combinata grossa e non è affatto il caso tuo o del “tuo” Napoli. Ripeto, da mesi, che Sarri è un maestro e che ha meritato la Panchina d’Oro. Sono altrettanto certo del fatto che Dybala sia un fuoriclasse. Non perché gioca nella Juventus ma perché ha i numeri del top player. Mertens non gli è tanto lontano. Tuttavia, onestà per onestà, se dovessi scegliere tra uno dei due, prenderei Dybala e, ti assicuro, non perché è di proprietà della Vecchia Signora. Comunque, caro Rossano, il Napoli mi piace tanto, tantissimo. Con Sarri al comando, credo proprio che farà ancora meglio il prossimo anno, magari meglio anche
dries mertens
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della Juventus… PREUD’HOMME, CHE RICORDI Direttore Ponciroli, le scrivo questa mail per complimentarmi con il giornale e per il pezzo su Atalanta-Malines. Io c’ero a Bergamo quel giorno e mi ricordo benissimo come è andata. Non sono mai stato più orgoglioso di una squadra come di quell’Atalanta di Mondonico. Le assicuro che senza Preud’Homme, avremmo fatto noi festa a fine partita. Con il pezzo su quella partita mi ha riportato alla mente tanti ricordi, purtroppo anche quello di Preud’Homme. Mai visto uno così, sembrava un gatto. Spero che scriverà anche altro dell’Atalanta, non abbiamo perso solo quella partita nella nostra storia Massimo, mail firmata Massimo, felice che il servizio le sia piaciuto… Guardi, io Preud’Homme lo inserisco, nella mia personale classifica dei migliori portieri della storia del calcio, al quarto posto assoluto, dietro solo Buffon, Zoff e Pagliuca, quindi capisce che l’ho sempre stimato tantissimo. Mi è spiaciuto non poterlo ammirare nel nostro campionato, sarebbe stato molto divertente. Comunque, stia
Michel Preud'homme
tranquillo, ho in programma uno speciale molto particolare sull’Atalanta. Direi che la nuova creatura di Gasperini merita attenzione, non crede? UN CONSIGLIO PER I BIDONI… Caro Ponciroli, mi piace il suo stile nel descrivere i bidoni del calcio. Ho comprato anche il suo libro sui Bidoni. Ho un nome per lei: Amaral, quello che ha giocato nel Parma e nella Fiorentina. Oltre ad essere brutto forte, era scarsissimo. Io lo so bene, l’ho visto “non” giocare a Parma con Ancelotti che l’ha capito subito che questo era davvero uno senza piedi. Mi piacerebbe vedere che cosa mi trova su Amaral… Enzo, mail firmata Enzo, ma che nome mi hai tirato fuori? Amaral, idolo assoluto… In effetti la bellezza non era il suo forte e, anche con i piedi, non era Michelangelo. Direi che è un serio candidato ad entrare nella collezione… E dire che il suo rapporto con il calcio è stato molto duraturo. Le cronache raccontano che sia ancora “attivo”. Alla veneranda età di 44 anni, gioca ancora in qualche parte del Brasile. Si è pure cimentato in un reality show denominato “A Fazen-
amaral
da”… Grande Amaral, ne parleremo sicuramente in futuro. Grazie della dritta Enzo… MILAN CINESE, FALLIMENTO SICURO Direttore, il closing è avvenuto ma io sono più preoccupato di prima. Come possiamo pensare di fare grandi cose senza Berlusconi? Questo Lì mi sembra un affarista bello e buono, non uno con la passione come era il Cavaliere. Prevedo annate di grande sofferenza. Mi fa sapere che ne pensa lei di questa faccenda? Tiziano, mail firmata Tiziano, non sia pessimista… Certo, ci hanno messo tantissimo tempo per prendersi il Milan ma credo che la sostanza ci sia. Li Yonghong è sicuramente un uomo di business ma, nel calcio d’oggi, chi non lo è? I tempi in cui le società vivevano “della passione e dei soldi dei propri presidenti” sono finiti. Ora ogni società è un’azienda e, come tale, deve avere risorse importanti ma profitto. Non a caso il Milan verrà quotato in Borsa… Stia tranquillo, i cinesi, sia quelli rossoneri che quelli nerazzurri, hanno un progetto chiaro. Potrà non piacere ma è il calcio di oggi…
Li Yonghong
MILAN, MA IBRA NO? Direttore, so che lei mi capisce. Ibra infortunato è stata una mazzata per chi ama il calcio come noi. Ma credo che Ibra possa tornare a giocare, magari anche più forte di prima. Mi chiedo e le chiedo: ma un ritorno al Milan è impossibile? Perché non prendere uno come lui per far crescere i giovani e far capire cosa significa essere rossoneri? Grazie Direttore Pietro, mail firmata Caro Pietro, mi conosci bene… Io ho un debole per Re Zlatan. L’ho sempre adorato. Ho anche avuto la fortuna di intervistarlo. Pochi minuti ma indimenticabili. Sì, sono certo che tornerà ai suoi livelli e saprà ancora fare la differenza in campo. Purtroppo ritengo che rivederlo in Italia sia impossibile. Credo che continuerà la sua carriera in Premier League, al Manchester United, o, al massimo, si divertirà con l’MLS, un campionato in cui potrebbe davvero essere il sovrano incontrastato. L’importante è rivederlo in campo il prima possibile. Uno come lui non può restare troppo lontano dal campo verde. Ci manca già tantissimo, vero?
Zlatan Ibrahimović
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INTERVISTA NIKOLA Kalinić ATTACCANTE MODERNO
In campo Kalinić non si risparmia mai
“SOGNO I MONDIALI, GIOCANDO IN EUROPA”
foto Federico De Luca @FDLCOM
Nikola Kalinić si confida a Calcio2000: “Perché non sono andato in Cina? Perché ho ancora tanto da dare a certi livelli…”
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di Fabrizio Ponciroli foto Federico De Luca @FDLCOM
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INTERVISTA / Nikola Kalinić
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Al momento, in Italia, ci sono tanti croati di altissimo livello. Che mi dici di Mandzukic e Perisic? “Mandzukic lo conosco da tanto tempo, ci siamo sfidati come avversari e giochiamo insieme in nazionale. Ci sentiamo qualche
gue ma arrivare fino alla finale di Europa League è stata una grande soddisfazione per me e per tutto il gruppo”.
Dopo la Croazia, ecco l’Inghilterra… Esperienza negativa quella al Blackburn? “Diciamo che non è andata benissimo ma conservo comunque un bel ricordo di questa esperienza. Mi ha aiutato a crescere come giocatore e come persona”.
Parliamo della Fiorentina… “Sono stato molto contento della chiamata della Fiorentina. Mi ricordo bene i primi allenamenti, ero molto emozionato. Ogni volta che mi allenavo, mi sentivo particolarmente esaltato. L’idea di giocare in Serie A mi piaceva molto, quindi ho accettato con grande gioia”.
Nel 2011 ti trasferisci in Ucraina… “In Ucraina, al Dnipro, mi sono trovato bene. Ho deciso di accettare la loro offerta soprattutto perché il tecnico della squadra, Juande Ramos (visto sulle panchine di Real Madrid e Tottenham, ndr) mi voleva a tutti i costi. E’ stata una bella esperienza. Il momento più esaltante è stata la finale di Europa League (2014/15, ndr). Sicuramente il livello del campionato non era paragonabile alla Premier Lea-
“” Ho sempre giocato in attacco. A volte a sinistra, altre a destra, spesso come centrale d’attacco ma sono sempre stato un giocatore offensivo migliorato in campo, il merito è proprio di Paulo Sousa che mi ha fatto crescere in tanti aspetti del gioco. Per me è stato importante e, quando scendo in campo, mi impegno al massimo anche per lui”.
Che rapporto hai con Firenze? “Mi piace tutto di questa città. E’ molto accogliente e poi ho scoperto il cibo… La ‘fiorentina’ è davvero ottima”.
C’è qualche aspetto del gioco in cui devi migliorare? “Beh, devi chiederlo a Paulo Sousa non a me (Ride, ndr)”.
Mi parli di Paulo Sousa? “è grazie a Paulo Sousa se sono approdato alla Fiorentina. Se non ci fosse stato lui come allenatore, io non sarei mai arrivato a giocare in Italia. Per questo motivo, devo molto all’allenatore. Inoltre, se sono
Si è parlato tanto di te per il tuo rifiuto a trasferirti in Cina. Ci spieghi come è andata veramente? “Nessun mistero. Io volevo continuare a giocare a certi livelli e quindi non mi piaceva l’idea di an-
dare in Cina. Credo di avere ancora tanto da dare in Europa”. Quindi è un appuntamento solo rimandato quello con la Cina? “Non so, vedremo più in là. Ora penso solo a giocare ai massimi livelli, non penso al futuro”. Restare in Europa significa anche, continuare a far parte del giro della nazionale e, nel 2018, ci sono i Mondiali… “Mi piacerebbe moltissimo giocare i Mondiali. Ho vissuto l’emozione degli Europei, sarebbe meraviglioso poter indossare la maglia della nazionale croata ai Mondiali. Speriamo, manca ancora tanto”.
foto Federico De Luca @FDLCOM
foto Federico De Luca @FDLCOM
Quando hai capito che avevi i
Ora sei un grande bomber ma da piccolo hai sperimentato altri ruoli? “Ho sempre giocato in attacco. A volte a sinistra, altre a destra, spesso come centrale d’attacco ma sono sempre stato un giocatore offensivo”.
volta al telefono, anche con Perisic mi sento: lui è davvero un grandissimo giocatore. Ha fatto bene l’Inter a puntare su di lui”.
foto Image Sport
Apriamo il libro dei ricordi… Come è nato l’amore per il pallone? “Mi sono avvicinato al calcio per caso, è stata una serie di circostanze fortuite a portarmi a giocare a pallone. Quando è venuto a mancare mio nonno, al funerale, alcuni miei parenti mi hanno visto calciare il pallone e mi hanno chiesto se volevo giocare a calcio. Così, giovanissimo, ho cominciato ad allenarmi all’Hajduk Spalato”.
numeri per diventare un giocatore professionista? “Appena ho cominciato a giocare nelle giovanili dell’Hajduk, subito gli allenatori mi hanno fatto allenare con ragazzi più grandi di me. Mi dicevano che ero bravo e che avrei potuto diventare un giocatore di livello. Quindi direi che è avvenuto tutto piuttosto in fretta, sentivo tanta fiducia attorno a me”.
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N
ikola Kalinić non è un ragazzo che ama molto i riflettori. A lui interessa solo fare il suo dovere in campo, aiutare la squadra a vincere, magari segnando qualche gol pesante. Appena ce lo troviamo di fronte, comprendiamo che è davvero “un bravo ragazzo”. Disponibile e decisamente tranquillo, l’esatto contrario del Kalinić, combattivo e mai domo, che siamo soliti vedere in campo…
INTERVISTA / Nikola Kalinić
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INTERVISTA / Nikola Kalinić
NIENTE CINA, C'è DA FARE IN EUROPA L'obiettivo sono i Mondiali del 2018 in Russia
INTERVISTA / Nikola Kalinić
Guardiamo ancora più avanti… Che farai quando smetterai di rincorrere il pallone? “Bella domanda, credo che resterò nel calcio ma non penso che farò l’allenatore”. Come mai? “Troppo impegnativo, troppa pressione. Al massimo potrei fare l’assistente allenatore (Ride, ndr)”. Parliamo di talenti: Bernardeschi e Dybala… “Bernardeschi ha talento ma bisognerebbe lasciarlo libero di poter
“” Perché non sono andato in Cina? Nessun mistero. volevo continuare a giocare a certi livelli e quindi non mi piaceva l’idea di andare in Cina giocare. Invece c’è tanta pressione su di lui, forse troppa. Tutte le attenzioni, almeno qui a Firenze, sono sempre su di lui e questo non va bene. Spero anche che riesca a stare bene fisicamente, così da fare ancora meglio. Comunque
è destinato ad una grande carriera ma, ripeto, la pressione nei suoi confronti è troppo alta. Dybala? Sta dimostrando, partita dopo partita, di essere un grandissimo giocatore. E’ ancora giovane ma ha numeri eccezionali”.
LA MAGLIA VIOLA
Griffata Le Coq Sportif, la divisa 2016/17 è un perfetto mix di eleganza e innovazione
Il fascino della maglia della Fiorentina è
noto in tutto il mondo… Anche durante la stagione 2016/17, i giocatori della Fiorentina hanno indossato le divise da gioco griffate
Le Coq Sportif. Il sodalizio tra l’azienda francese e
la società viola è saldo. Tradizione e innovazione sono priorità sia per Le Coq Sportif che per la stessa Fiorentina. Così è nata la collezione 2016/17, un inno all’eleganza con particolari di alto livello qualitativo come il ritorno alle finiture con i colori di Firenze… Se avete in programma una gita nella splendida Firenze, consigliamo
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foto Federico De Luca @FDLCOM
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foto Federico De Luca @FDLCOM
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INTERVISTA / Nikola Kalinić
Mi dici i tre giocatori più forti con cui hai giocato ad oggi? “Modric, Eduardo Silva e direi Perisic. Tutti e tre grandi giocatori”. Il tuo gol più importante ad oggi? “Tutti i gol sono importanti. Se ne devo scegliere uno, direi quello che ho segnato contro l’Ucraina che è valso la vittoria (1-0, gara valida per le qualificazioni ai Mondiali, ndr). Una rete che è valsa tre
“” Bernardeschi ha talento ma bisognerebbe lasciarlo libero di poter giocare. Invece c’è tanta pressione su di lui, forse troppa punti vitali per la Croazia”. Ti dipingono come un tipo tranquillo fuori dal campo. Hobbies? Musica, cinema, sport che segui oltre al calcio? “è vero, non sono uno che esce molto alla sera, mi piace starmene a casa a fare il papà. Non amo particolarmente il cinema, faccio spesso zapping quando ascolto la musica. Sport? Ho una passione per il tennis. Seguo con grande stima Federer, un campione fantastico”.
Niente cinema ma, con Mateo, il tuo figlioletto, ti sorbirai tanti cartoni animati… “(Ride, ndr)… Sì, ora segue molto Masha & Orso””. Dubbi fugati. Tanto “gladiatorio” sul terreno verde ma, appena dismette i panni del calciatore, Nikola Kalinić è un papà modello, di quelli che mettono la famiglia al primo posto. Forse anche per questo che ha deciso di dire di no ai soldi della Cina…
LA SUA CARRIERA NEL SEGNO DELLA CROAZIA
LA CROAZIA NEL CUORE La nazionale è fondamentale per Kalinić
Di Fabrizio Ponciroli
Tante esperienze ma la nazionale resta il suo grande amore…
L’
esordio di Kalinić in un campionato professionistico, per la precisione la Prva hrvatska nogometna liga (massimo campionato croato), risale al lontano 2005. A soli 17 anni ha iniziato a calcare i campi di calcio delal Croazia con l’Hajduk Spalato. Dopo qualche mese, a farsi le ossa, al Pula, dove segna i suoi primi gol da professionista, e al Sebenico, esplode proprio all’Hajduk. In due stagioni, dal 2007 al 2009, segna 44 gol complessivi. Nell’estate del 2009, per circa otto milioni di euro, va al Blackbun, in Inghilterra. La sua prima annata non è eccezionale: solo due gol in campionato, sette in totale. L’anno seguente ne segna cinque di reti in Premier League ma viene impiegato a singhiozzo. Ed ecco che, a sorpresa, nel 2011, decide di emigrare al Dnipro. Va in doppia cifra nelle prime due annate, qualche problema fisico lo frena nella stagione 2013/14 ma è nell’anno seguente che fa la diffeLA di NIKOLA Kalinić renza. Trascina, a suon di gol e ottime prestazioni, il Dnipro alla finale di Europa League (persa contro il Siviglia). ArriStagione Squadra NAZIONE PRESENZE va così, nell’agosto del 2015, la chiamata della Fiorentina 2005-2006 Hajduk Spalato Croazia 7 che investe circa cinque milioni di euro per vestirlo di viola (voluto, fortemente, da Paulo Sousa). Segna il suo primo 2006-gen 2007 Pula Croazia 13 gol in campionato contro il Bologna. Nella sua prima annagen-giu 2007 Sebenico Croazia 8 ta alla Fiorentina, indimenticabile la tripletta rifilata all’Inter 2007-2008 Hajduk Spalato Croazia 32 (terzo gigliato a riuscirci dopo Batistuta e Viani). Chiude con 13 gol in 42 gare. Va decisamente meglio nella stagione 2008-2009 Hajduk Spalato Croazia 36 2016/17 con ben cinque reti in Europa League e 14 (ad 2009-2010 Blackburn Inghilterra 33 oggi) in Serie A. Tuttavia, Kalinić si esalta quando si parla di 2010-2011 Blackburn Inghilterra 20 nazionale croata: “Per me quella maglia è importantissima. 2011-2012 Dnipro Ucraina 21 Ho giocato in tutte le giovanili della nazionale, do sempre il massimo per la squadra del mio Paese”. Esordio, in na2012-2013 Dnipro Ucraina 29 zionale, nel lontano 2008 (contro la Moldavia). Il suo primo 2013-2014 Dnipro Ucraina 23 gol, due anni più tardi, contro Malta. Dopo due Europei da 2014-2015 Dnipro Ucraina 48 spettatore, è protagonista ad Euro 2016, dove segna un gol, di tacco, nel 2-1 con cui la Croazia supera la Spagna: “Una ago-15 Dnipro Ucraina 4 rete importante, ci ha regalato una vittoria prestigiosa ed è ago 2015-2016 Fiorentina Italia 42 stata una festa per tutti”, ricorda lo stesso Kalinić. Ora, nel 2016-2017 Fiorentina Italia 35 mirino, c’è il Mondiale, il suo sogno…
foto Image Sport
Dybala è uno dei tanti segreti di questa Juventus che non molla nulla… “La Juventus ha una mentalità pazzesca. Danno sempre tutto quello che hanno, in ogni partita, in ogni situazione. Inoltre la società investe molti soldi su giocatori importanti, quelli che poi fanno la differenza in campo”.
INTERVISTA / Nikola Kalinić
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gol 0 3 3 26 18 7 6 10 10
* aggiornati al 14 aprile 2017
foto Federico De Luca @FDLCOM
foto Federico De Luca @FDLCOM
carriera
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INTERVISTA / Nikola Kalinić
“”
grazie a Paulo Sousa, sono approdato alla Fiorentina. Se non ci fosse stato lui come allenatore, non sarei mai arrivato a giocare in Italia
INTERVISTA / Nikola Kalinić
“SA FAR TUTTO” Di Fabrizio Ponciroli
Roberto Pruzzo, ex attaccante di Roma e Fiorentina, lo incorona: “Uno così fa sempre comodo in squadra”
Nikola Kalinić
non è il classico bomber. In campo, oltre a cercare la via del gol, svaria su tutto il fronte offensivo. Gioca per e con la squadra, quando serve, lo trovi anche a dare una mano in difesa. Abbiamo chiesto a
Roberto Pruzzo
, ex attaccante con un certo feeling con il gol (205 reti, da professionista, in carriera), il suo personale pensiero a riguardo del centravanti croato attualmente in maglia Fiorentina: “A me è sempre piaciuto molto. Non è il classico giocatore che sta in mezzo all’area di rigore ad aspettare la palla buona per fare gol. Lui fa reparto da solo. Sa far tutto e questo è importante nel calcio di oggi. Sa giocare con il resto dei compagni e non si risparmia mai, sia quando c’è da attaccare che in fase di contenimento. Diciamo che in campo è difficile vederlo fermo e questa è una qualità importante nel calcio di oggi dove bisogna sempre essere in movimento”. L’ex centravanti, Campione d’Italia con la casacca della Roma, va oltre: “Ritengo che uno con le caratteristiche di Kalinić faccia comodo a qualsiasi squadra. Non è egoista ed è comunque determinante. Inoltre non è facile da marcare, proprio perché non dà punti di riferimento. In Italia è maturato tantissimo, diventando pericoloso in ogni situazione di gioco. Difetti? Dovrebbe, a volte, essere più cinico davanti alla porta”. Insomma, secondo un esperto come Pruzzo,
foto Federico De Luca @FDLCOM
foto Federico De Luca @FDLCOM
Kalinić è una sicurezza…
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Intervista di Fabrizio Ponciroli
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INTERVISTA EUSEBIO DI FRANCESCO
INTERVISTA / EUSEBIO DI FRANCESCO
SGUARDO FIERO Di Francesco ha le idee chiare su quello che vuole...
A LEZIONE DA
EUSEBIO
foto Image Sport
Intelligente, preparato, ambizioso. Rispetto e idee di gioco, finalizzate al gruppo. Il singolo viene dopo. In poche parole, Eusebio Di Francesco di Francesco FONTANA foto Archivio TC&C 16
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INTERVISTA / EUSEBIO DI FRANCESCO
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“” Sono per un gioco verticale, poco orizzontale. E apprezzo molto quando un calciatore pensa una giocata finalizzata al far male all’avversario il calcio finisce, e anche i soldi. E dopo? Cosa si fa?”. Un’intervista tutta da leggere, da gustare. Perché il ‘Ferguson neroverde’ è così, sincero e schietto. Semplicemente. Fermandosi e guardandosi alle spalle, quel è il bilancio di questi anni: lei, uomo estremamente ambizioso, è soddisfatto? “Sì, non lo nego. Sono molto contento della mia crescita e di quello che ho fatto finora. Tutti i tipi di esperienze, positive o negative esse siano, servono per crescere. Io cerco sempre di migliorare, non
mi fermo mai. Ma facendo un bilancio di questi anni non posso che essere soddisfatto, nonostante la strada sia ancora molto, molto lunga”. In un mondo in continua evoluzione, in che modo studia e si aggiorna? “Io mi baso soprattutto sulle mie esperienze, sul mio lavoro. Mi piace creare delle situazioni nuove, sono molto attento a tutti gli aspetti di una squadra, tecnici e tattici. Voglio che sia la fase difensiva che quella offensiva siano complete. L’obiettivo è fornire il maggior numero di certezze ai miei ragazzi,
SPETTACOLO SASSUOLO
Con i neroverdi ha proposto un calcio bello e vincente
questo è importantissimo. Fondamentale. Prima, ovviamente, devi avere credibilità nei loro confronti, senza la quale non si può trasmettere nulla. Sono d’accordo con Francesco (Acerbi, ndr) che di recente ha sottolineato l’importanza del saper comunicare. Per un allenatore questo è il compito più duro, senza dubbio. Ed è anche la base per arrivare ai risultati. Non bisogna mai accontentarsi, non bisogna mai pensare di avere certezze assolute”. Quali sono i suoi concetti-base? “Sono per un gioco verti-
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ggetto del desiderio di tante squadre, l'allenatore del Sassuolo si apre e si racconta in questa intervista esclusiva concessa a Calcio2000, nella quale parla a ruota libera di quello che è stato, del progetto attuale e di un futuro ancora de definire: gli inizi, i momenti duri che però sono serviti per crescere, il rapporto con il figlio Federico (“Ma al momento non vorrei allenarlo”), il suo 4-3-3 e la visione di un calcio che vede a proprio modo. Tanto in campo quanto una volta appesi gli scarpini al chiodo. Considerazioni non banali, chiare e ricche di spunti che possono essere un esempio per molti, soprattutto per quei giovani a suo dire “talvolta appagati e al sicuro, forti di un contratto di 4-5 anni. Ma
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A inizio carriera si è sdoppiato tra campo e scrivania: cosa hanno portato quegli anni e cosa l’ha portata a sce-
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Si ringrazia Panini per la gentile concessione delle immagini
cale, poco orizzontale. E apprezzo molto quando un calciatore prepara qualcosa di particolare e pensa una giocata finalizzata a far male all’avversario. Per intenderci, non una giocata fine a se stessa. Mi piace la cattiveria dei giocatori. Poi io ci metto del mio, questo è ovvio”.
gliere, definitivamente, il ruolo di allenatore? “Non avrei mai fatto l’allenatore, non era la mia ambizione. All’inizio volevo fare il dirigente, ci provai, ma mi resi conto che alcune cose non mi andavano proprio giù. Parlo del sistema, del modo di far mercato di parecchie persone e di altre cose. Quindi feci il corso di allenatore, ne fui entusiasta. Da quel momento decisi quindi di lavorare con i giovani, per me era bellissimo”. Poi arrivò la chiamata dai ‘grandi’. “Dal Lanciano, nell’ex Se-
rie C1. Per me rappresentò una grande scuola, fatta anche di errori, certo, ma fu fondamentale per capire in che modo avrei dovuto lavorare per diventare un bravo allenatore. Fu proprio in quella stagione che presi definitivamente la decisione di intraprendere questa carriera”. Qual è l’errore che rifarebbe? Per intenderci, quello che l’ha fatta migliorare. “Cambiare troppo credo sia controproducente, così si tolgono tantissime certezze ai ragazzi. Parlo del metodo, dell’assetto,
A Pescara, invece, si ritrova a casa. “È stata dura, ma non posso che considerarlo come un capitolo bellissimo della mia carriera, che mi ha dato grande soddisfazione. All’inizio ricoprivo un doppio incarico: responsabile del settore giovanile e allenatore della Berretti. Era bellissimo. Stancante, ma bellissimo. Andavo via alle 8 del mattino e tornavo alle 10 di sera, ma ero contento. Magari mia moglie un po’ meno, ma tutto era appagante. Ero un ‘tuttofare’, avevo carta bianca. Questo mi piaceva”. Poi la Prima Squadra. “Sì, ma non era un obiettivo. I dirigenti poi decisero per il cambio allenatore, mi scelsero e conquistammo la Serie B partendo da una situazione di classifica che
non ci vedeva nemmeno in zona play-off. Vincere con una squadra non costruita come avrei voluto fu un grande risultato. Non introdussi subito il 4-3-3, in quel caso fui io che mi adattai alle caratteristiche della mia rosa”. Il 4-3-3, il suo credo tattico: in poche parole, come lo spiegherebbe? “Nasce molto dall’esperienza con Zeman, che mi ha aiutato nel compito di trasmettere le mie idee offensive alla squadra. Un allenatore non deve snaturarsi, ci sta adattarsi, ma se abbiamo un concetto ben chiaro e del quale ci fidiamo è bene e giusto insistere. E per quanto mi riguarda, quello che riesco a trasmettere con il 4-3-3 non vale per gli altri moduli”. ‘Turnover e abilità nel cambiare in corsa’, va
“” A gennaio la Roma ha offerto per Defrel una somma tre volte superiore rispetto alla spesa fatta per acquistarlo. Questo è significativo. Per non parlare poi di Berardi… tanto di moda questa frase nel calcio di oggi: lei non la pensa esattamente così. “Io credo in più in un’impostazione specifica e in un modo di giocare ben preciso, non mi piace cambiare. Preferisco insistere. Poi, ovviamente, dipende anche dagli uomini che hai a disposizione. Penso a Sarri, che appena arrivato a Napoli ha provato a giocare con il trequartista, salvo poi proporre un tridente puro. Ha cambiato modulo, ma non la filosofia. Attenzione, questo è quello che conta. Il Sassuolo mi ha scelto per portare avanti e sviluppare
un certo tipo di progetto, un certo tipo di gioco. E anche sul mercato abbiamo agito scegliendo quei giovani in grado di giocare con il 4-3-3. Anche io ho cambiato, è capitato, certo. Ma farlo troppo toglierebbe delle certezze alla squadra. Questa è la mia idea, che può anche non essere condivisa. Ci sono allenatori che cambiano spesso e vincono quasi sempre, a loro faccio tanti complimenti. Magari arriverà il giorno in cui anche io mi adatterò e cambierò più spesso. Chi può saperlo”. Cosa rappresenta per lei
la figura di Spalletti? “Dal punto di vista tecnico non ha inciso tantissimo sul mio modo di lavorare, ma il nostro rapporto è sempre stato bellissimo. Lui, scherzando, diceva che ero io l’artefice delle sue scelte sui giocatori da utilizzare. Era una battuta, anche perché non mi sono mai permesso di interferire nelle sue decisioni. Si parlava tanto di calcio, lui mi chiedeva, ma mi limitavo a esprimere la mia opinione. Il rispetto dei ruoli è fon-
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nella gestione. È stato intelligentissimo, appena arrivato alla Juventus, ad adattarsi alla rosa schierando la difesa a tre
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“” Secondo me Allegri è il migliore
non dei singoli. Per me tutti sono titolari”.
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damentale. Lui è un ottimo allenatore, non c’è nemmeno bisogno di sottolinearlo, ha delle idee ben precise. Quando un tecnico esprime dei concetti e cerca di trasmettere le proprie idee alla squadra non posso che considerarlo bravo e preparato, indipendentemente dal modulo”.
TUTTI PER I GIOVANI Di Francesco ha una missione: far crescere i suoi ragazzi
Attualmente, chi sono i migliori in Italia? “Secondo me Allegri è il migliore nella gestione. È stato intelligentissimo, appena arrivato alla Juventus, ad adattarsi alla rosa schierando la difesa a tre. Non ha tolto sicurezza alla squadra, poi gradualmente ha inserito la difesa a quattro. Poi, parlando prettamente di campo, mi rivedo molto in Sarri. Ci sono tanti aspetti che ci accomunano”.
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E all’estero? ”Conte è bravissimo, riesce a dare un’identità ben precisa alla squadra. E il suo lavoro al Chelsea parla chiaro. Poi non posso non citare Guardiola, indipendentemente dai risultati. Può piacere o meno, ma lo considero un passo avanti rispetto agli altri”.
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Tornando a lei, dopo Pescara tappa a Lecce con una situazione difficile. “Fu una scelta dettata dalla voglia e dall’ambizione di misurarmi in un palcoscenico come la Serie A, forse un po’ frettolosamente. Non era il momento migliore per andare a Lecce, dove trovai una proprietà che, come prima cosa, mi disse che l’obiettivo sarebbe stato quello di cedere le quote. La mia inesperienza mi ha impedito di capire che stavo sposando un
“” Sassuolo? Potrei rimanere per tanti anni come potrei andare via tra poco. Eventualmente, nella scelta della nuova squadra saranno fondamentali l’importanza e la serietà del progetto progetto complicato, con tanti ragazzi in prestito. E questo può fare la differenza, in senso negativo. Mi spiego meglio”. Questione di ‘fame’? “Esatto. Manca il senso di appartenenza. Specialmente il giovane di oggi, forte di un contratto di 4-5 anni, va in prestito e, magari non giocando, ‘stacca la spina’ perché pensa di avere le spalle coperte, con la certezza di trovare un’altra squadra per la stagione successiva. Questo non va bene. Ripeto, manca il senso di appartenenza. Ma quando scade il contratto cosa succede? Lo dico io, sparisci. Uno su mille ce la fa, e gli altri 999? Che fine fanno? Un giovane può avere anche 6 anni di contratto, con un tenore di vita che solo i calciatori possono permettersi, ma il calcio non dura 30 anni. Anche il calcio, nonostante i grossi guadagni, finisce. E pure i soldi finiscono”. I giovani di oggi sono diversi rispetto a quelli delle generazioni precedenti? Crede ci sia meno determinazione? “Nel calcio possono non bastare le qualità, conta soprattutto l’aspetto caratteriale. Io, ovviamente, possedevo delle doti tecniche, ma avevo il ‘fuoco’ dentro. Proprio quello che mi ha permesso di diventare
allenatore. E non è facile. Quanti calciatori ci sono in Italia? Tantissimi. Quanti allenatori hanno la fortuna di allenare in Serie A? Essere tra questi 20 è un privilegio. Tutti quelli che hanno smesso e adesso non fanno gli allenatori, sinceramente, non so dove siano”. Calcisticamente parlando, che rapporto ha con suo figlio Federico (oggi al Bologna, ndr)? Sarebbe interessante ascoltare una vostra conversazione a casa, magari a cena. “Gli dico sempre di dare il 100%, con entusiasmo. Per fortuna questo non gli manca, poi ovviamente deve crescere, perché è ancora giovane. Dal canto mio, quando era un ragazzo, non l'ho mai forzato per un certo tipo di scelta. Ho lasciato la decisione finale sempre e solo a lui, volevo vederlo soddisfatto e felice. Oggi nel suo bagaglio ci sono delle carenze dal punto di vista della tattica applicata, perché non ha avuto la fortuna di giocare e crescere sin da giovanissimo in un settore giovanile di alto livello. Ma ripeto, è giovane e ha tutto il tempo per migliorare. Dal canto mio, però, nessun consiglio per l’aspetto prettamente calcistico”. Il motivo? “Mai e poi mai gli darei dei consigli tattici, non voglio
interferire con il lavoro di un grande allenatore come Roberto (Donadoni, ndr). Federico sa che darei sempre ragione a lui, nonostante si possano avere delle idee differenti. Non è giusto per me entrare in questi discorsi, è giusto che lui impari da Donadoni. Io non voglio e non posso creare confusione”. Le piacerebbe allenarlo in futuro? “Al momento no, ma magari un domani cambierò idea”. Tornando a lei, sente un po’ il ‘Ferguson del Sassuolo’? “Le idee chiare sono fondamentali. Cosa vuole la società da me? Vuole che i giovani crescano con la speranza di arrivare un po’ più in alto in classifica? Benissimo, ma non possiamo comunque pensare di arrivare tra le prime cinque. È stato scritto e detto che il Sassuolo avrebbe potuto arrivare a tanto, ma non è vero. In un certo progetto il risultato sportivo non deve essere la priorità, al contrario della crescita dei giovani. Questo è quello a cui punto. Se la crescita è veloce, bene. In questo caso si può alzare l’asticella, altrimenti nessun problema. Serve pazienza. E al Sassuolo c’è tutto, io sono felice. A gennaio la Roma ha offerto per Defrel una somma tre volte superiore
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QUANDO ERA CALCIATORE Con la Roma ha vinto lo Scudetto 2000/01...
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rispetto alla spesa fatta per acquistarlo. Questo è significativo. Per non parlare poi di Berardi, che arriva addirittura dai bambini. Poi Zaza, Duncan, Vrsaljko… Sono tanti gli esempi che potrei fare. La bravura non consiste nell’individuare giocatori fatti e finiti pagandoli 15-20 milioni di euro. Così è troppo facile. Il bello è andare sui ragazzi, scommettere su di loro e valorizzarli”. L’intuizione migliore? Forse scontato dire Berardi. “Sì, è lui. Lui più di tutti. Quando lo abbiamo preso era un ragazzino come tanti altri. Lo definirei un talento ‘illuminante’. Quando lo feci esordire c’era grandissimo stupore, ma per me era normale”. Indipendentemente dalla squadra in cui prima o poi andrà a giocare, cosa gli augura? “Ha le qualità per giocare in grandissime società. Un domani, quando andrà via da qui, spero tanto che riesca ad adattarsi immediatamente alla novità e al cambiamento. Poi ha tutti i mezzi per fare bene, sia dal punto di vista tecnico che caratteriale”.
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Eppure in questi anni si è parlato di un ragazzo complicato sotto quest’ultimo punto di vista. “Sciocchezze. Tutto falso, voci assurde. Domenico è un grande ragazzo che ha certamente sbagliato in passato, ma come tutti. È normale. Errori che fanno parte della crescita di ogni giovane. Quest’anno è stato etichettato come un simulatore, ma non esiste
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al mondo. Parliamo di un ragazzo eccezionale e di un giocatore di assoluto talento. Come ho detto, gli auguro di adattarsi subito alla nuova realtà, quando arriverà il momento dovrà avere la forza di calarsi immediatamente nella parte”. Il suo esonero può essere considerato come l’unico, vero ‘neo’ di questa avventura? “Chiamiamolo pure un incidente di percorso. Un incidente di percorso che però è servito per migliorare come allenatore. Ho accettato di tornare soprattutto per i giocatori, che mi chiamavano in continuazione per dirmi di tornare. Per questo ho accettato, altrimenti non sarei tornato. Per fortuna non è cambiato nulla nel rapporto con l’ambiente, anzi. Tutt’altro, è diventato ancor più forte”. Un giorno, ai suoi giocatori, ricordò un messaggio molto speciale che arrivò alla sua casella di posta elettronica. “Sì, quello di Borgonovo. Una e-mail emozionante, un messaggio bellissimo, speciale, arrivato in un momento per noi particolare (alla vigilia della gara Sassuolo-Livorno, partita decisiva per la promozione in Serie A, ndr). Era un periodo in cui cercavo di combattere insieme ai miei ragazzi il concetto della ‘paura’. Cercavo di spiegar loro come superarla in determinate occasioni. E la sera stessa arrivò il messaggio di Stefano. ‘Se non ha avuto paura lui, perché mai dovremmo averla noi?’, questo dissi ai ragazzi”. Lei è uno dei tecnici più
apprezzati, del quale si parla molto in ottica mercato: dove immagina il suo futuro? “Io ho deciso di legarlo al Sassuolo. Parlo seriamente, faccio fatica a parlare di mercato. Potrei rimanere per tanti anni come potrei andare via tra poco. Eventualmente, nella scelta della nuova squadra saranno fondamentali, anzi, decisive l’importanza e la serietà del progetto”. Il sogno resta la Roma? “Vedremo. Se mi vuole qualcuno deve pagare. Costo 3 milioni, il valore della clausola rescissoria. Non è poco, ma ci può stare. Se vuoi qualcuno è perché lo vuoi veramente. Giusto che una società che ha creduto in te si tuteli in questo modo”. Ambisce all’estero? “Mi piace ancor più dell’Italia, ma credo non sia ancora il momento”. Tra qualche anno, magari
dopo aver smesso, come le piacerebbe essere ricordato? “Mi piace che la gente venga a vedere le mie squadre per divertirsi. Che abbia la possibilità di ammirare una squadra che gioca per divertire e far gol essendo offensiva, esprimendo un’idea di gioco ben precisa. Vorrei essere ricordato come un allenatore che ha portato e introdotto qualcosa di originale. Il calcio è fatto da tanti punti di vista: c’è chi pensa solo al risultato, indipendentemente dal modo in cui può arrivare. Io invece voglio arrivarci attraverso qualcosa: il rispetto, il gioco, il lavoro di squadra. Io faccio l’allenatore non per allenare un singolo, ma un gruppo. Senza gruppo l'l’individualità non esiste”. Il tempo a nostra disposizione è concluso, Eusebio Di Francesco deve tornare ad allenare, che è poi la sua vera passione…
Intervista di Francesco Fontana
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SPECIALE/ FAVOLE DI PROVINCIA
SPECIALE/ FAVOLE DI PROVINCIA
FAVOLE di PROVINCIA
GLI ANTENATI DEL
SASSUOLO
Nel calcio italiano tante sono state le favole: squadre della provincia più profonda che sono
riuscite a raggiungere traguardi impensabili grazie all’opera di società serie, grandi maghi
Panoramica sulle favole di provincia più belle che il calcio ha narrato e narra ancora oggi di Francesco SCABAR foto Agenzia Liverani
della panchina e campioni sottovalutati.
Bigogno, trascinata in campo dal fuoriclasse svedese Arne “Raggio di Luna” Selmosson disputò un campionato strepitoso giungendo seconda in classifica alle spalle del Milan di Nordahl e Schiaffino; al termine di quella indimenticata stagione però le zebrette friulane furono declassate in Serie B a causa di un illecito commesso qualche stagione prima. Dopo un solo anno di purgatorio,
l’Udinese, pur privata del suo fuoriclasse scandinavo, giunse lo stesso quarta in classifica nell’anno sportivo 1956/57. L’anno successivo fu un’altra formazione nordestina, il Padova del miracolista Nereo Rocco a sbalordire tutti contendendo per buona parte del campionato lo scudetto alla grande Juventus di Charles, Sivori e Boniperti. Complice un piccolo calo nel finale i patavini giunsero terzi,
IL CAPOLAVORO DI ROCCO Con il modesto Padova diede fastidio alla Juventus
TOSCANA CAPUT MUNDI Partiamo dalla Toscana degli Anni Trenta quando la Lucchese nel giro di quattro stagioni (dal 1933/34 al 1936/37) passò dalla Serie C al settimo posto della massima serie. Tutto merito del grande allenatore ungherese Ernő
Erbstein capace di valorizzare il portiere Aldo Olivieri (campione del mondo nel 1938) e un manipolo di giocatori di fede antifascista come il romagnolo Bruno Neri e l’istriano Bruno Scher. Nella stagione 1942/43 il modesto
anche se negli anni successivi riusciranno a confermarsi nelle zone nobili del campionato (quinto e sesto posto nel biennio 1959-61). Nel 1961/62 fu il momento dell’Atalanta che sotto la guida di Ferruccio Valcareggi in panchina ed Humberto Maschio in campo giunse sesta, posizione conquistata dal Lanerossi Vicenza di Luis Vinicio e Sergio Campana nel 1963/64 e 1965/66.
Livorno guidato da Ivo Fiorentini contese lo scudetto sino all’ultimo secondo al Grande Torino che riuscì a spuntarla solo grazie ad un gol di Valentino Mazzola a pochi minuti dalla fine sul campo di Bari all’ultimissima giornata.
La stagione successiva il campionato fu sospeso a causa della guerra, a calcio si giocò comunque lo stesso nella Repubblica Sociale Italiana, e con formule piuttosto precarie. Al termine di un’autentica gimkana i Vigili del Fuoco di La Spezia
si laurearono campioni della “Divisione Nazionale” battendo in finale il Torino FIAT, cioè il Grande Torino di Mazzola, Loik e Gabetto rinforzato da un campione come il grande Silvio Piola. Merito di questo successo stava tutto nel “Mezzo
Sistema” (modulo precursore del Catenaccio italiano) con il quale il mister Ottavio Barbieri mise sotto scacco il portentoso reparto offensivo granata grazie all’utilizzo di un innovativo “terzino libero”, Wando Persia.
RITORNO ALLA “NORMALITÀ”
SPECIALE
Nell’immediato dopoguerra, furono delle squadre di provincia a cercare di intaccare lo strapotere del Grande Torino guidato da Erbstein: nel 1946/47 il Modena di Alfredo Mazzoni giunse terzo incassando solo venti gol grazie all’affiatata coppia di terzini centrali formata da Remondini e Braglia, il miglior risultato
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nella storia del club canarino. L’anno dopo fu il turno della Triestina: dopo essere giunta ultima in classifica al termine del campionato precedente e ripescata per meriti “patriottici” (la città era infatti sotto amministrazione anglo americana mentre l’Amatori Ponziana, la seconda squadra cittadina, giocava in Serie A jugoslava), la dirigenza decise
di affidare la panchina ad una giovane/vecchia gloria, Nereo Rocco. Rocco impostò la squadra con il Mezzo Sistema di Barbieri con un difensore libero (Ivano Blason) dietro ad una inedita linea di tre marcatori: alla fine la squadra giunse addirittura seconda in classifica dietro gli Invincibili! Restiamo ora nel Triveneto: nel 1954/55 l’Udinese di Peppino
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CALCIO IN TRINCEA NEREO ROCCO e GIOVANNI TRAPATTONi
IL SOLE DELLA SARDEGNA Non può considerarsi una provinciale tout court, vista la presenza di fuoriclasse come Gigi Riva e grandi campioni come Albertosi, Cera, Domenghini e Nené e di una consolidata presenza tra le “grandi” della Serie A in tutti gli anni Sessanta, ma la vittoria dello scudetto del Cagliari nel 1969/70 è stato più di uno scudetto: grazie a quella grande vittoria infatti non esultò la sola Cagliari ma tutta un’isola che per decenni è stata emarginata dalla storia d’Italia. Bisogna aspettare la stagione 1975/76 per trovare
un’altra favola di provincia: fu il Cesena di Pippo Marchioro, uno dei primi profeti del gioco a zona, ad agguantare il sesto posto valido per la Coppa UEFA: l’anno successivo Marchioro andò al Milan e il Cesena bagnò il suo (sfortunato) esordio in Europa contro il Magdeburgo prima di retrocedere. Successe qualcosa di simile al Lanerossi Vicenza nel 1977/78: un grande e sottovalutato allenatore come G.B. Fabbri s’inventò come unica punta un’ala piccola e gracile che si chiamava Paolo Rossi.
Dietro al futuro Pablito un tourbillon di movimenti di difensori e centrocampisti in stile “totale”: nacque così il Real Vicenza che fruttò un clamoroso secondo posto ma anche un’amara successione la stagione successiva, quando il testimone di “sorpresissima” passò al Perugia di Ilario Castagner, una squadra un po’ in antitesi allo spumeggiante Lane di Fabbri e Rossi, coriacea e impenetrabile in difesa, che senza la macchia di una sconfitta giunse dopo il Milan della “stella”.
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SPECIALE/ FAVOLE DI PROVINCIA
SPECIALE/ FAVOLE DI PROVINCIA
UN BAGNO(LI) D’UMILTÀ Negli anni Ottanta la scena era dominata dall’Hellas Verona pilotato dal genio pragmatico di Osvaldo Bagnoli: i gialloblù scaligeri si aggiudicarono un quarto ed un sesto posto nel 1982/83 e nel 1983/84, al terzo anno la società azzeccò gli acquisti degli armadi nordici Hans Peter Briegel e Preben Larsen Elkjaer e rimasero in testa dalla prima alla trentesima giornata: fu scudetto, il primo conquistato da una squadra non capoluogo di provincia. Dopo la sbornia tricolore
l’Hellas di Bagnoli dimostrò di avere “buoni freni” (citazione dello stesso Bagnoli) e conquistò un altro prestigioso quarto posto nel 1986/87 prima di sfiorare l’approdo ai quarti di Coppa UEFA la stagione successiva. Nella stagione 1987/88 un’altra squadra italiana, l’Atalanta di Emiliano Mondonico, sfiorò l’impresa in Europa giungendo sino alla doppia semifinale di Coppa delle Coppe contro il forte Malines di Preud’homme pur militando in Serie B. Gli anni Novanta
Le Favole d’Europa - Squadre entrate nella leggenda… si aprirono all’insegna del Parma, squadra di provincia neofita in massima serie che con investimenti mirati e intelligenti riuscì a centrare un paio di secondi posti e a trionfare in Coppa Italia, Coppa UEFA e Coppa delle Coppe. Qualche anno dopo si scoprirà che dietro la favola parmigiana c’era qualche “fantasia” contabile, ma va assolutamente evidenziato come, durante la prima era Scala, il Parma abbia raggiunto i tetti più alti d’Europa senza spendere miliardi.
IL FOGGIA DEI MIRACOLI Nel decennio dominato dalle “sette sorelle” in patria non c’era spazio per favole provinciali, una squadra del Sud allenata da un boemo flemmatico e silenzioso, il Foggia di Zdenĕk Zeman, regalò gol e spettacolo anche se non riuscì mai a superare la cintola della metà classifica. In Europa invece squadre italiane di non elevato blasone
riuscirono a fare la voce grossa: il Vicenza di Francesco Guidolin a sorpresa vinse la Coppa Italia nel 1996/97 e poi giunse fino alla finalissima di Coppa delle Coppe contro il Chelsea di Gianluca Vialli. Nel 1997/98 l’Udinese di Zaccheroni e Bierhoff completò la sua ascesa centrando uno straordinario terzo posto, poi bisogna
attendere la stagione 2000/01 per vedere una provinciale ben figurare nel nostro campionato, è l’Atalanta dei ragazzi terribili Pelizzoli, Damiano e Cristiano Zenoni e soprattutto del controverso fantasista Cristiano Doni che giunse settima sotto la guida di Giovanni Vavassori.
I MUSSI VOLANO ANCORA L’anno dopo tornarono di moda le fiabe a Verona, questa volta fu il piccolo Chievo, squadra che rappresenta un piccolo rione della città veneta, a fare impazzire il campionato conquistando un incredibile quinto posto grazie alle alchimie di Gigi Delneri, fautore di un 4-42 compatto ed aggressivo con maniacale applicazione della tattica del fuorigioco in difesa. I tornei successivi (una sola retrocessione in B, una qualificazione Champions con Pillon in 28
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panchina, anche se dovuta soprattutto grazie al ciclone Calciopoli) confermeranno che il Chievo non è una semplice favola ma una realtà ormai consolidata e che ha segnato indelebilmente due decenni della nostra Serie A. Nel 2004/05 l’Udinese di Luciano Spalletti centrò una storica qualificazione in Champions League classificandosi al quarto posto e l’anno successivo le zebrette friulane affronteranno nel gironcino iniziale il grande Barcellona di Ronaldinho, poi
campione d’Europa. Negli anni del post Calciopoli l’Empoli di Gigi Cagni centrò uno storico settimo posto che permise ai toscani una fugace apparizione in Coppa UEFA. Nel biennio 2009/10 tornò a farsi sentire l’Udinese che con Francesco Guidolin in panchina e grazie ai gol di Totò Di Natale centrò un terzo e un quarto posto poi vanificati da due precoci eliminazioni ai preliminari di Champions contro Arsenal e Sporting Braga.
INGHILTERRA: 1)Nottingham Forest (197780): una favola semplicemente irripetibile firmata Brian Clough, dalla Second Division alla vittoria in campionato e della Coppa Campioni (due volte!), il Forest rimane tuttora l’unico club in Europa ad aver vinto più coppe dalle grandi orecchie che campionati! 2)Leicester (2015-oggi): nonostante l’esonero di Claudio Ranieri, l’artefice della favola calcistica per antonomasia del calcio del terzo millennio, le Foxes hanno ancora voglia di stupire e di scrivere la storia, il secondo gradino del podio è già loro! 3)Aston Villa (1980-82): un campionato conquistato dopo decenni di digiuno ed una rocambolesca Coppa Campioni vinta grazie alle parate di uno semisconosciuto portiere (Nigel Spink), a metà strada tra Nottingham e Leicester ci sono i villans! SPAGNA: 1)Deportivo La Coruna (2000-04): il Super Depor che nel 2000 ha interrotto una lunghissima dittatura MadridBarcellona e nel 2004 è giunto ad un passo dalla finale di Champions, è stato la più bella favola di un campionato
spesso avaro di sorprese. 2)Real Sociedad (1980-83): una squadra al 100% basca, guidata dal grande portiere Luis Arconada, in patria conquista due campionati consecutivi (gli unici della propria storia) mentre in Coppa Campioni giunge sino alle semifinali dove viene eliminata dall’Amburgo del mago della panchina Ernst Happel, poi vittorioso ad Atene contro la Juve. 3)Eibar (2014-oggi): last but not least un’altra squadra basca, espressione di una cittadina di 27.000 abitanti che in questa stagione potrebbe qualificarsi per le coppe europee dopo aver scalato tutte le gerarchie del calcio spagnolo. GERMANIA: 1)Eintracht Francoforte (195860): un biennio intenso in oltre cento anni di puro anonimato, i biancorossi vincono il campionato e poi giungono sino alla finalissima di Coppa Campioni dove viene travolta dal 7-3 dal Grande Real di Di Stefano e Puskás. 2)Kaiserslautern (199690): dalla Serie B al tetto di Germania in soli due anni, il secondo grande miracolo calcistico firmato dal taumaturgo Otto Rehhagel.
3)Red Bull Lipsia (2016oggi): dalla depressa ex DDR calcistica è emersa questa scheggia impazzita che sta mettendo a soqquadro tutte le gerarchie della Bundesliga, attualmente i ragazzi di Ralph Hasenhüttl sono secondi in classifica con buona probabilità di stupire l’Europa negli anni prossimi. FRANCIA: 1)Calais (1999/00): una squadra dilettantistica composta da operai, postini, insegnanti che nell’anno del Giubileo è riuscita ad arrivare fino alla finalissima di Coppa di Francia dopo un percorso lunghissimo ed entusiasmante, peccato solo non sia arrivato il lieto fine. 2)Montpellier (2011/12): il primo e unico titolo nazionale della squadra della Linguadoca è giunto nel modo più clamoroso, battendo sul filo di lana il grande Paris Saint Germain di Ancelotti e degli sceicchi arabi. 3)Bastia (1977/78): la squadra corsa, composta da dieci onesti mestieranti ed un fuoriclasse (l’olandese Johnny Rep) centra contro ogni pronostico la finale di Coppa UEFA venendo però battuta dal PSV Eindhoven.
Favole nazionali e tristi Dalla Danimarca sul tetto d’Europa alla scomparsa della Chapocoense… Due Nazionali-Cenerentola meritano di essere ricordate, la Danimarca del 1992 che in un mese passò dalle spiagge alla vittoria dell’Europeo e la Grecia di Otto Rehhagel che nel 2004 stupì tutti issandosi sul tetto d’Europa. Infine una fiaba finita in tragedia pochi
mesi fa: la Chapocoense, piccola squadra del Sud del Brasile giunta appena nel 2014 in massima serie, che il 22 novembre 2016, alla vigilia della finale di Copa Sudamericana contro il blasonato Nacional Medellin, si è dissolta precipitando con
l’aereo. Quella che poteva essere una delle più belle pagine di sport della storia del calcio sudamericano si è trasformata in una tragedia incredibile, seconda solo alla sciagura di Superga in cui perì il Grande Torino.
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INTERVISTA NICOLA SANSONE CUORE AZZURRO
Nato a Monaco di Baviera, si è sempre sentito italiano al 100%
ITALIANO VERO
foto Federico De Luca @FDLCOM
Intervista a Nicola Sansone, attaccante del Villarreal e della nazionale italiana con una storia molto particolare...
di Sergio STANCO foto Archivio TC&C
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INTERVISTA / NICOLA SANSONE
INTERVISTA / NICOLA SANSONE
possibilità di essere convocato in Nazionale, fin dalle giovanili, non ho mai avuto alcun dubbio che feste tuo papà il giorno della prima convocazione... "Era felice, emozionato, glielo si vedeva in faccia, ma come tutta la gente del Sud non è uno che si lascia andare, si è tenuto tutto dentro. Sotto la "scorza", però, sono certo che fosse l'uomo più felice del mondo quel giorno. Il più "pazzo" di tutti, invece, è mio fratello, che ogni volta che segnò o vado in Nazionale, diventa matto". Immaginiamo non sia stato facile crescere da figlio di emigranti in Germania: che ricordi hai della tua infanzia? "Tutti belli e, ad essere sincero, non è stata così dura. Forse perché ho la mamma tedesca, parlo la lingua fin da bambino e se non fosse per il cognome e la fisionomia, forse nessuno si accorgerebbe che sono
SANSONE
Nicola Sansone Múnich (Alemania) 10.09.1991 / 1.75 M. / 73 KG. Sassuolo (16-17) / INT
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italiano (dice proprio così, ndr). Nel calcio è stato un po' più complicato, perché quelli col cognome non tedesco devono sempre dimostrare qualcosa in più, ma alla fine questo è stato anche uno stimolo". Mai pensato: "Quasi quasi scelgo la Germania"? "Mai, fin da piccolo mi sono sempre sentito italiano nel profondo, d'altronde non sarebbe stato possibile altrimenti, perché mio padre è rimasto sempre molto legato alle sue origini. Ancora oggi fa fatica a parlare tedesco (ride, ndr). Quando ero piccolo in casa si guardava solo la Serie A e prima di tutto l'Inter, di cui è tifoso sfegatato. Appena c'è stata la possibilità di essere convocato in Nazionale, fin dalle giovanili, non ho mai avuto alcun dubbio". In casa, però, si vive un derby: la
Immaginiamo che festa ai Mondiali del 2006, proprio in Germania... "Pazzesco, una soddisfazione enorme, una gioia incontenibile. Io e mio fratello eravamo in giro per Monaco dopo la partita a festeggiare come due pazzi". E che effetto ti ha fatto, poi, giocare prima contro e poi con campioni del Mondo come Buffon, Barzagli, De Rossi? "Un effetto stranissimo. Pensare che erano quei "mostri sacri" per cui avevo esultato in Germania, mi faceva venire i brividi. È un onore potersi allenare al loro fianco, per me sono degli esempi e lo saranno sempre". Per altro, tu a Buffon hai anche fatto gol... "Eh sì, un gol bellissimo per di più, su punizione all'incrocio. È stata
“” Da noi si fa molta più tattica, qui in Spagna pensano a giocare. Gli Allenamenti sono per la maggior parte del tempo con la palla anche una rete storica per il Sassuolo, perché ha significato la prima vittoria in assoluto per il club contro la Juve. Davvero una bella soddisfazione per me ma anche per tutta la squadra". Sei abituato a segnare gol belli e soprattutto nei match importanti, anche quest'anno non hai fatto eccezione: hai punito il Barcellona e contro la Real Sociedad sei andato a segno con un pallonetto da metà campo... Quale delle due ti ha reso più orgoglioso? "Difficile scegliere, perché fare un gol al Barcellona è qualcosa che sogni fin da bambino, mentre andare in rete con un pallonetto da centrocampo è qualcosa di inusuale, che forse ti capita una volta nella vita. Come bellezza forse sceglierei quello alla Real Sociedad, ma come
significato quello al Barcellona". In Spagna hai cominciato talmente bene che i colleghi ti avevano messo l'etichetta di "quello più efficace di Messi": come l'hai presa? "Come meritava di essere presa, ridendo! Non scherziamo dai, Messi è un "mostro", fare paragoni con uno come lui non esiste, è unico. La cosa era nata da una statistica secondo la quale in base al numero dei tiri in porta, io risultavo più concreto, ma erano solo numeri e per di più temporanei. È infatti dopo lui si è rifatto con gli interessi... (ride, ndr)". La sensazione, però, è che il tuo ambientamento in Spagna sia stato piuttosto facile... "È vero, mi ha aiutato la cultura spagnola, che è molto simile alla nostra, ma anche il fatto che qui ho
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"Personale" è riduttivo: immagino
“” Germania? Appena c'è stata la
mamma tedesca è in minoranza? "Sì, ma ormai anche lei è mezza italiana (ride, ndr). Tifa Italia da tempo, anche da prima che fossi convocato. Ora di più. È felice per me, apprezza la nostra cultura, gli piace il nostro Paese".
Si ringrazia Panini per la gentile concessione delle immagini
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osa può avere di italiano uno nato in Germania, da papà originario della provincia di Salerno e mamma visceralmente tedesca, cresciuto nel settore giovanile del Bayern e che ora gioca in Spagna? Semplicemente il cuore, l'orgoglio, il senso di appartenenza. Questo è Nicola Sansone, uno che avrebbe potuto prendere la "scorciatoia" delle nazionali giovanili tedesche e che, invece, fin da piccolo ha sempre visto solo tricolore. Colpa di papà, tifoso sfegatato dell'Inter che in casa sintonizzava la TV sulla Serie A e guai a chi cambiava. La passione arriva da lì, il resto c'è l'ha messo il piccolo Nicola, che col pallone ci andava anche a dormire, ma che faceva solo sogni Azzurri: "Ho sempre sognato, un giorno, di venire a giocare in Italia e di vestire la maglia della Nazionale. Li ho realizzati entrambi, ma ora non mi accontento. Ci tengo ad essere un protagonista e non solo una comparsa. Ogni volta che metto la maglietta azzurra è un orgoglio infinito, ma non voglio che rimanga una soddisfazione personale".
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trovato Bonera, che già conosceva l'ambiente, e Soriano che già conoscevo dai tempi delle giovanili del Bayern Monaco. A livello calcistico, poi, sapevo che tipo di calcio praticava il Villarreal e, anzi, questo è stato uno dei fattori che mi ha indotto a trasferirmi, perché pensavo che mi sarei adattato facilmente e che il loro stile di gioco sarebbe stato perfetto per le mie caratteristiche". Di Villarreal cosa conoscevi invece? "Nulla, se non che fosse una città della ceramica (ride, ndr). Questo perché una volta eravamo venuti qui col Sassuolo (altra città nota per le sue ceramiche, ndr) a fare un'amichevole che si chiamava proprio "Trofeo della Ceramica". È stata una bella sorpresa, perché qui si vive bene, tranquilli, la città molto bella e le persone sono ospitali. Poi, come detto, Bonera mi ha aiutato tanto, ma anche con gli altri compagni di squadra si è instaurato subito un bel rapporto ed è stato facile inserirsi". E poi c'è il Madrigal, uno stadio magari non "monumentale" ma comunque storico e importante...
“” Già essere convocato da Mister Ventura per me rappresenta il coronamento di un sogno, se poi riuscissi a vincere qualcosa di importante… "Vero, un'altra delle motivazioni che mi hanno indotto a venire qui. Quando sono venuto col Sassuolo mi è piaciuto tantissimo, tanto che mi son detto "Un giorno mi piacerebbe giocare qui". Il destino ha voluto che quel giorno arrivasse molto presto". Che calcio hai trovato in Spagna rispetto all'Italia? "Ovviamente da noi si fa molta più tattica, qui pensano a giocare. Gli allenamenti sono per la maggior parte del tempo con la palla, mentre da noi si fanno tante esercitazioni. La differenza, poi, però, la vedi in campo: qui ogni tanto assisto a delle scene incredibili, con errori che da noi sarebbero imperdonabili (ride, ndr). Ma il calcio spagnolo è bello anche per questo, per la loro voglia di attaccare e giocare sem-
pre. Il massimo sarebbe un mix tra calcio italiano e spagnolo, peccato non esista...". Dopo aver inseguito tanto la Serie A non ti è dispiaciuto lasciarla per trasferirti all'estero? "Sinceramente non è stato un passo difficile o una scelta complicata, perché nella mia testa c'era sempre l'idea di mettermi alla prova in altri campionati, giocare grandi partite e in grandi squadre. Villarreal mi offriva tutte queste opportunità: solo il pensiero di poter giocare contro squadre come Real e Barcellona era uno stimolo incredibile. Detto questo, a Sassuolo stavo benissimo e ringrazierò sempre tutti, perché l'esperienza è stata formidabile. Ancora adesso seguo con affetto squadra e club e sento i miei ex compagni".
A proposito, su questo numero abbiamo un'intervista al tuo ex Mister Di Francesco, uno di cui si dice un gran bene: che futuro ti immagini per lui? "È un grandissimo allenatore e in questi anni a Sassuolo lo ha dimostrato. Col club e con l'ambiente si è creato qualcosa di speciale e non sarà facile per lui lasciare tutto questo. Se poi mi chiedi un giudizio tecnico, per me arriverà presto ad allenare una grandissima squadra, perché ha idee e soprattutto ha la capacità di saperle trasmettere ai giocatori in maniera chiara, doti non comuni te lo assicuro". Per restare al Sassuolo: che mi dici del tuo amico Berardi? "Un altro fenomeno, uno che per le qualità che ha, potrebbe giocare in tutte le più grandi squadre del Mondo ed essere un pilastro della Nazionale. Se ogni tanto non facesse qualche cazzata (testuale, ndr) probabilmente sarebbe già esploso e tutti si sarebbero accorti della sua classe infinita, ma ultimamente ho visto che ha fatto il "bravo". Sono contento per lui, perché è un bravo ragazzo e non si merita l'etichetta che gli è stata appiccicata addos-
so". Che effetto ti ha fatto, invece, ritrovarti dopo tanti anni ancora in squadra con Soriano? "Un effetto strano, perché siamo cresciuti insieme nelle giovanili del Bayern e siamo rimasti amici. Anche se non è che ci sentissimo proprio tutti i giorni, eravamo comunque in contatto e devo dire che la sua scelta di lasciare il Bayern e trasferirsi in Italia ha condizionato molto la mia carriera. Arrivare in Serie A era anche il mio sogno e vedere che lui ci era riuscito, è stato uno stimolo in più. Al Bayern mi offrivano solo un contratto per la seconda squadra, mentre io volevo giocare ad alti livelli, così quando è arrivata l'offerta dall'Italia (dal Parma, ndr), non ci ho pensato due volte". E adesso, tu "figlio" della provincia di Salerno, lui della zona di Avellino, parlate in dialetto e fate impazzire il bresciano Bonera? "Sì, è vero, ogni tanto capita (ride, ndr). Noi facciamo le battute e lui non capisce nulla e ci chiede la traduzione. In realtà, però, quando io e Roberto non vogliamo proprio farci capire, parliamo in tedesco, ci
Un'infanzia azzurra
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La storia di Sansone, dal Crotone fino alla Nazionale…
UnA DATA che ha significato molto per Sansone…
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icola Sansone nasce a Monaco di Baviera il 10 settembre del 1991, da papà italiano (originario della provincia di Salerno) e mamma tedesca. Il papà, però, è interista sfegatato e soprattutto "molto" italiano. Alla domenica, quando la sua attività di fruttivendolo resta chiusa, ci si ritrova tutti davanti alla TV a guardare la Serie A. Ed è lì che il piccolo Nicola comincia a sognare di giocare in Italia. L'occasione gliela offre il Parma che nel 2011 sfrutta i tentennamenti del Bayern Monaco e lo riporta da noi. Crotone è il primo assaggio di calcio italiano, poi il Parma lo riporta a "casa" a fine prestito. Due stagioni in gialloblù prima di passare al Sassuolo, dove Sansone trova definitiva consacrazione. Con i neroverdi impressiona tutti, inclusi gli osservatori del Villarreal, che non perdono tempo e lo acquistano alla fine della scorsa stagione. Pur avendo la doppia nazionalità, Nicola ha sempre optato per la nazionale italiana, fin dalle giovanili. Dall'Under 17 in poi ha vestito tutte le maglie azzurre, fino a quella della nazionale maggiore: Conte è il primo a convocarlo e farlo esordire nel giugno del 2015 (a Ginevra nell'amichevole contro il Portogallo). Resta fuori dalla lista dell'Europeo 2016, ma è ormai un convocato fisso della "nuova" Italia di Ventura.
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Di Sergio Stanco
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Di Sergio Stanco
viene più facile e siamo più sicuri che nessuno capisca nulla".
uella di Sansone è una bella storia, di un ragazzo che l'Italia l'amava soprattutto grazie ai racconti del suo papà, ma che ha considerato da sempre lo "Stivale" come la sua Patria, pur vivendoci - di fatto - solo per qualche fugace vacanza. E per celebrare questa bella storia, ci siamo ispirati alla canzone di Toto Cutugno "Lasciatemi cantare", che dal 1983 (anno del suo esordio a Sanremo) è diventata la colonna sonora di tutti i nostri emigranti in giro per il mondo. "Lasciatemi cantare, con la chitarra in mano, lasciatemi cantare una canzone piano piano. Lasciatemi cantare, perché ne sono fiero, sono un italiano, un italiano vero". Orgoglio, fierezza e senso di appartenenza, sentimenti che per i nostri connazionali di Germania hanno raggiunto il culmine la sera del quattro luglio del 2006, quando l'Italia a Dortmund sconfisse proprio i tedeschi nella storica semifinale mondiale, prologo del successo di Berlino. Spesso usata anche come presa in giro dai nostri "avversari", l'abbiamo scelta perché è proprio questa canzone che è risuona-
Avete organizzato anche il "gruppo lasagne" con cene tipicamente italiane? "Ovvio, quello è inevitabile, anche perché il cibo è un altro cavallo di battaglia per noi italiani. Ovunque sia andato, con qualsiasi giocatore straniero abbia legato, ogni volta che a tavola facevo assaggiare il nostro cibo a compagni e amici, è sempre stato un trionfo. Tra le cose di cui vado molto fiero c'è anche questo, gustarsi la faccia degli stranieri mentre mangiano le nostre specialità non ha prezzo". Immagino, però, che - professionalmente - tu abbia ancora sogni italiani e di ben altro tenore... "Naturalmente mi piacerebbe continuare a restare nel giro della Nazionale e piano piano ritagliarmi il mio spazio. Mi piacerebbe giocare di più, essere protagonista. Già essere convocato da Mister Ventura per me rappresenta il coronamento di un sogno, se poi riuscissi a vincere qualcosa di importante con la maglia azzurra sarebbe qualcosa di eccezionale".
LA carriera di NICOLA SANSONE Stagione
Squadra
B.Monaco II 2010-2011 B.Monaco II 2011-2012 Crotone 2012-2013 Parma 2013-gen 2014 Parma gen-giu 2014 Sassuolo 2014-2015 Sassuolo 2015-2016 Sassuolo lug-ago 2016 Sassuolo 2016-2017 Villareal 2009-2010
PRESENZE
RETI
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0 2 6 6 2 5 8 7 0 8
ta per le vie di Dortmund (e di tutta la Germania) quell'indimenticabile notte. Lo sappiamo perché abbiamo visto personalmente centinaia di nostri connazionali cantarla a squarciagola quella sera col viso rigato di lacrime di gioia.
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LA STORIA RACCONTA TRIESTINA
LA STORIA RACCONTA/ TRIESTINA
di Luca SAVARESE
A Trieste, sembra essere tornata una nuova bora positiva, grazie alla nuova presidenza triestino-austrialiana, la presenza di Mauro Milanese e le ambizioni di una squadra, che dalla Serie D, passo dopo passo, vuole tornare dove la Triestina ha scritto la sua storia
RIECCO LE ALABARDE
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“L
a vostra gloria, undici ragazzi, come un fiume d’amore orna Trieste”. Non si può non iniziare con dei versi di un poeta il racconto di una squadra che ha tutto il fascino e l’impeto di una poesia. Il poeta è il triestino Umberto Saba, la squadra, ça va sans dire, è la Triestina. Diceva Pablo Picasso che l’ispirazione arriva, però deve trovarti già a lavoro. E Saba, a lavoro, lo era spesso sui banchi dello stadio del Littorio poi stadio Comunale. La prima partita che vide fu Triestina-Ambrosiana Inter, Serie A, nel novembre del 1942, 0 a 0. La Triestina il prossimo anno compirà 100 anni. Oggi, è una novantanovenne arzilla, la cui bora cittadina e le varie forti scosse della propria storia, ne hanno plasmato la saggezza ed irro-
Foto archivio Luglio editore
1948/49 IL SECONDO POSTO DIETRO IL GRANDE TORINO Da sinistra a destra: Sessa, Bacchetti, Trevisan, Ispiro, Grosso, Rossetti; piegati: Blason, Zorzin, Begni, Tosolini, Radio
bustito lo spirito. Certo, oggi il menù prevede il pane duro della quarta serie, ma per chi rischiava di non esistere più, vé questa Jota, una minestra tipica del territorio fatta di crauti e fagioli, sembra caviale. Il presente vede i rossoalabardati impegnati nel girone C della Serie D. Il Mestre viaggia forte, ma anche i ragazzi di mister Andreucci aiutati dalla coppia gol Serafini-França, esperienza e gol a servizio della categoria, ora volano con una proprietà presente e sul pezzo, dopo tanti fiaschi societari e con la carica positiva del triestino doc Mauro Milanese, che con la Triestina ha iniziato la carriera da calciatore ed ora l’ha salvata di tasca sua. Un momento, non esiste però un vero presente senza riabbracciare il grande passato ed allora, proviamo a riavvolgere la pellicola di questo
delizioso film. 18 dicembre 1918, sta arrivando il Natale e porta in dote alla città non un regalo qualsiasi, ma il regalo dei regali, una squadra di calcio unica. Perché, prima non c’era? Ce n’erano addirittura due. Il Trieste ed il Ponziana, che si alternavano giocando sulla piazza d’Armi della caserma Austro Ungarica di Piazza Dalmazia, oggi Piazza Oberdan. Ma, giocare in questo spazio è scomodo e la maggior parte del comando militare, mal sopporta tutto quel bailamme di rumori, di grida dei tifosi, di palla che sbatte qua e là. “O fate una sola squadra o qui non potete più giocare”. Questo, in soldoni, il dictat del comandante Guglielmo Tonon. E così avvenne quel 18 dicembre del 1918, sui tavoli del Caffè Battisti di via XX Settembre 43, la sala parto della nuova creatura. Il Trieste
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foto Ufficio Stampa U.S. Triestina Calcio 1918
Footbal Club ed il Ponziana, sono la mamma ed il papà dell’Unione Sportiva Triestina, che sarà registrata ufficialmente all’anagrafe il 2 febbraio del nuovo anno, il 1919. Il triumvirato costituito da Bertazzoni, Fonda, Vaccari gestisce le prime attività. La nuova squadra, ha un simbolo chiaro ed inequivocabile: l’alabarda della città sormontata da una stella. È nata la Triestina, destinata a riempire i giorni ed illuminare le notti di molti suoi tifosi e amici. Intanto, nel calcio, fremono modifiche e si propongono migliorie. Leandro Arpinati, dirigente bolognese, tutto d’un pezzo, vuole un campionato a girone unico, a partire dalla stagione 1929-30, molto più competitivo e che già paesi, come Austria ed Ungheria, sperimentavano con successo. Chi alla fine del campionato 1928-29 si fosse qualificato tra le prime 8 nei due rispettivi gironi sarebbe di diritto stato ammesso alla prima Serie A unica. La Triestina giunse nona. Si decise allora di ripescarla, per un grande tasso patriottico. Così visse strenuamente la Serie A, dal 1929 fino al campionato 1956-57. Il primo giorno di Serie A, non si scorda mai. Anche se quello vissuto dalla Triestina, il 6 ottobre del 1929, allo stadio del Littorio poi stadio Comunale, non fu, sotto il profilo del risultato, positivo. Il Torino ebbe infatti la meglio per una rete a zero. Allenatore dei padroni di casa l’austriaco Rudolf Soutschek. In rosa figuravano elementi autoctoni che faranno in seguito parlare di sé. Guglielmo Cudicini, futuro papà del ragno Nero Fabio e nonno di Carlo, anch’egli portiere, Piero Pasinati, centrocampista che si laureerà in seguito campione del mondo con la nazionale nel 1938. Renato De Manzano, autore a vent’anni, di ben 11 centri e dulcis in fundo Nereo Rocco. Diceva spesso di sé: “Mi son de Cecco Peppe!”. Voleva dire che apparteneva a Francesco Giuseppe, che regnò sul riformato Impero austro-ungarico dal 1867 e sul Regno Lombardo Veneto fino al 1866. Il nonno di Nereo, Ludwig Rok, fuggì da Vienna, dove esercitava il mestiere di cambiavalute, per mano di una cavallerizza ed acrobata spagnola, che lo aveva folgorato. A Trieste suo figlio, che sarà poi papà di Nereo, ebbe una macelleria che forniva le grandi navi. Per lavorare qui occorre, negli anni in cui il fascismo è titolare indiscusso, avere la tessera del fascio, sulla quale, mica si possono registrare cognomi stranieri. Allora Rok nel 1925 diventa Rocco. Inizialmente, la traslitterazione dall’austriaco al triestino doveva produrre un Rocchi, ma l’impiegato
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LA TRIESTINA DELLA RINASCITA: I festeggiamenti dopo un gol dei giocatori della nuova Triestina di Mauro Milanese…
dell’anagrafe capì male e sfornò così Rocco, che su Nereo, calzò a pennello. Persona ruspante, a tutto tondo. La stirpe Rocco è di dura cervice e di relazioni vere. Nereo nasce nella città alabardata il 20 maggio del 1912, nel rione di San Giacomo. Da ragazzo indossa il camice da macellaio per aiutare il padre e mette di corsa gli scarpini per ascoltare anche la sua passione per il calcio. Immagazzina esperienze, si forma uno stile, prova. Con gli amici, mette in piedi una squadretta, ci sa fare. Alla fine, al grembiule sporco di carni, preferirà una maglia che avrà una garanzia: sarà sempre madida di sudore. Da giocatore
è un centrocampista col vizietto del gol: con la Triestina, in 8 anni, andrà in rete 66 volte vestendone la maglia per 232 occasioni, vedendola dapprima giocare da adolescente allo stadio Montebello, giocandoci nello stadio Valmaura poi chiamato Giuseppe Grezar, in memoria del giocatore triestino scomparso col Grande Torino a Superga e, dal 1992 trasmigrando in uno stadio, il Nereo Rocco, dove la Triestina, lo vive e lo onora nelle sfide casalinghe. Dopo Trieste, il suo viaggio di giocatore incontrò Napoli, Padova e Libertas Trieste in Serie C, dove, prima di mettere gli scarpini al chiodo, fu giocatore ed
allenatore insieme. Fu proprio nell’imbastire la tattica di questa piccola realtà, che ebbe un’intuizione: portare in Italia il catenaccio, che in Svizzera, andava per la maggiore. Da allenatore, con la Libertas riuscì ad infliggere proprio alla Triestina una pesante sconfitta. Quella formazione rossoalabardata finirà ultima e resterà in massima serie solo per un ripescaggio. La dirigenza, convinta, lo prenota per la panchina, dove inizia il mito di Rocco. Prima stagione e si va subito fortissimi, arriva una terza piazza frutto di 49 punti, gli stessi di Juve e Milan, dietro solo al Torino. Ivano Blason battitore libero, Leo
Brunner presidente. Seguiranno due ottavi posti e poi la carriera di Rocco, dopo un passaggio a vuoto nella stagione 1953-54, saluterà la Triestina ma non Trieste. A Padova detterà ancora legge, suo ultimo ponte prima di andare a mietere successi al Milan. Morirà nel 1979. A chi gli diceva “Vinca il migliore”, “Speremo de no” rispondeva lui. A proposito di vittorie, la Triestina, dopo i suoi anni di A, cosa fece? Purtroppo la buona sorte, si congedò dalle sue vicende. Nell’annata 1958-59 i muli disputarono il loro ultimo campionato di A. I tifosi vivranno e sopporteranno limiti, precarietà, drammi,
insomma panni stretti per chi ha indossato le nobili vesti della A. In questo vortice verso il basso arriva anche la Serie D divenuta realtà per la prima volta nel 1971. Nel 197475 si riaccendono antichi sapori, ritorna, in quarta serie, il derby con il Ponziana, perso e pareggiato. L’annata 1978-79 è una specie di sabato del villaggio: grandi entusiasmi iniziali ma poi arriva il lunedì, anzi la domenica, della realtà. La partita contro il Parma guidato da Cesare Maldini, che proprio in casacca rossoalabardata esordì in A nel 1953 a ventuno anni. Sul neutro di Vicenza fu un 3 a 1 per i ducali che vanno in B. La Coppa
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foto Ufficio Stampa U.S. Triestina Calcio 1918
Anglo Italiana, una piccola gioia. Conquistata, al Grezar, il 15 maggio 1980 quando i giuliani prevalsero per 5 a 4 sugli inglesi del Sutton United Fc ai rigori. A Trieste si vuole tornare in alto. E, in B, si ritorna nel 1983, con la promozione matematica con la rivincita sul Parma. Un lampo di gloria, il doppio confronto con l’Udinese di Zico nella Coppa Italia 1984, che costò la vita al giovane Stefano Furlan (al quale è dedicata la curva Sud dello stadio Rocco). Nel 1992 si inaugura il nuovo stadio Nereo Rocco con 12000 abbonati, ma la squadra, nel frattempo finita in C, non riesce a riprendersi la B. Un ennesimo maroso è dietro l’angolo: il fallimento del 1994. L’Unione deve ricominciare tutto, dalla D. Nel 2002 ecco un altro magic moment: la B riabbracciata contro la Lucchese, dopo un 2 a 0 al Rocco va in scena un 3 a 3 non adatto ai deboli di cuore al Porta Elisa. Marianini porta avanti i toscani. Pareggia Del Nevo, Marianini timbra ancora. Carruezzo di testa, ad inizio ripresa, sembra firmare una condanna. Non c’è la regola del gol che vale doppio fuori. Quindi sotto coi supplementari, infuocati. Carruezzo sbaglia un rigore, Gennari no. La Triestina scopre che sotto un incubo, può annidarsi un sogno. È Ciullo a scovarlo del tutto col 3 a 3 che fa esplodere la festa delle alabarde rosse. È dolce la B dopo 12 anni. nel 2002-2003 si parte forte ma poi si cala e ciao ciao Serie A. In questi anni, si gusta Denis Godeas, re dei bomber triestini di sempre con 85 reti e si vede nascere l’astro di un giovane Pablo Granoche 24 gol in 36 gare nel 2006-2007 con Rolando Maran in panchina. Gli ultimi anni, più che il campo hanno visto giocare e piuttosto male una serie di proprietà strambe e poco credibili, più interessate alla loro tornaconto che al bene della Triestina, come la famiglia Tonnellotto, accusata di appropriazione indebita nel 2006. Nel 2012 arriva il secondo fallimento. I tifosi, con un atto d’amore, affittano per un anno il nobile stemma societario a 5000 euro dal curatore fallimentare e lo concedono, gratis, alla squadra. Sembra impossibile, ma la Triestina deve ripartire dall’eccellenza. Il 12 aprile 2016, la sospirata svolta. La società, tra cori da stadio nel tribunale di Trieste, viene prelevata all’asta per la cifra di 100.000 da una cordata australiana facente capo all’ex difensore Mauro Milanese ed a suo cugino Mario Vittorio Biasin, imprenditore australiano di origine triestine, azionista di maggioranza della squadra Melbourne Vic-
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ORA TOCCA A MILANESE:L'amministratore Unico Mauro Milanese, artefice della rinascita della Triestina, assieme al presidente Mario Biasin, presidente italo-australiano del sodalizio alabardato
tory. Nasce la Società Sportiva Dilettantistica Unione Sportiva Triestina Calcio 1918, che prova a inserirsi, senza far passi più lunghi delle gambe, nel solco di quella storia di “Rossoalabardati, da tutto un popolo amati”, come cantava Saba.
“LA TRIESTINA? UNA FAMIGLIA” Godeas ha contribuito, a suon di gol, alla storia del club…
Denis Godeas, classe 1975, bandiera della Triestina negli anni 90 e 2000, primo marcatore giuliano di sempre con 85 gol… Il tuo primo approccio con il calcio? “Il calcio è entrato in modo del tutto casuale nella mia vita: non avevo la fissa del calcio e non facevo solo quello. Avevo qualche dote e qualcuno l’ha notata, ma è stata una cosa molto semplice, senza nessuna forzatura. Poi mi ha aiutato molto anche il fisico, sono cresciuto molto in fretta, ero lo stesso di adesso ma meno muscolare e quando ero piccolo, già potevo tranquillamente compe-
tere con quelli più grandi di me, per merito Mattone su mattone, anzi gol su gol, vengono su 85 reti in 260 presenze. Qual’ è il della mia struttura”. segreto? Arriviamo al 1992. La Danimarca vincerà “Non ci sono segreti. Più dei numeri, che gli Europei, ma prima, un’altra squadra di contano certo e che mi fa piacere quando rosso vestita, la Triestina in C1, fa debut- me li ricordano, è importante quello che ho tare un attaccante diciassettenne che si lasciato, i tanti amici e le persone che mi stimano e che stimo a Trieste, questa è la cosa chiama Denis Godeas? “Si, e segnai anche un gol nelle prime partite. più interessante, aver lasciato un ricordo Fu bellissimo, una cosa particolare per me positivo che va al di là dei gol e del calcio, anche per il fatto che metà dei miei famigliari poi visto che facevo l’attaccante, qualche gol sono triestini, quindi avevo un pubblico fatto dovevo pur farlo...” di mamma, nonne, cugini: vissi un’emozione quasi doppia, come giocare davanti agli amici”. Oggi giochi ancora?
“Si nel Lumignacco, una squadra in eccellenza friulana, dove, ormai da un anno, gioco e alleno. C’eravamo salvati lo scorso anno con Zoratti che fu il mio primo allenatore a Trieste. Poi le cose non sono girate bene, il mister ha dato le dimissioni, e quando mi hanno chiesto se volessi andare io ad allenare, ho accettato volentieri. Adesso mi alleno e mi faccio giocare, è una cosa un po’ strana, ma a me serve per fare esperienza. E’ anomala, a volte stressante, ma la faccio con grande piacere. Il doppio ruolo toglie qualcosa del divertimento puro di giocare a calcio, ma, nel contempo, mi dà la pos-
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Venendo alla Triestina di oggi, che idea ti sei fatto del grande lavoro dietro le quinte di Mauro Milanese e della squadra? “Di Mauro Milanese non posso che dire bene, lo sento abbastanza spesso. Poi conosco Nicola Princivalli il vice di Andreucci. Non l’ho ancora vista dal vivo perché alla domenica gioco, ma andrò presto a vederla, perché finiranno dopo di noi. La squadra è forte, ha beccato un’antagonista tosta come il Mestre, allenata da Mauro Zironelli che avevo seguito quando allenava e bene il Thiene. L’ambiente ora ha trovato tranquillità, c’è tanta qualità e giocatori bravi, il progetto è fatto bene, fatto da gente che capisce di calcio e fa le cose come devono essere fatte, facendo bene le cose normali”.
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sibilità di fare quello che magari potrei fare nei prossimi anni, è davvero impegnativo, mi faccio giocare, mi manca solo che vado a far le righe del campo (ride)”.
CARLOS CLAY FRANÇA, CAPOCANNONIERE DELLA TRIESTINA: Cresciuto calcisticamente come terzino, diventa attaccante dopo la brutta malattia che lo ha afflitto nel 2006
“LA TRIESTINA è PARTE DI ME” Foto archivio Luglio editore
Cerone ha vissuto il periodo alabardato con grande partecipazione emotiva e non solo…
Ersilio Cerone, nato ad Avezzano nel 1962, professione difensore, dal 1984 al 1994 ha giocato con la casacca rossoalabardata. Con 301 presenze, è il terzo fedelissimo della Triestina Ersilio, se si concepisce la Triestina come un grande libro, bè tu hai scritto dei capitoli considerevoli, un lavoro paziente, robe che nemmeno un amanuense, come 10 anni, dal 1984 al 1994, riempiti da 301 presenze, condite da 25 gol. Insomma, niente male il tuo romanzo alabardato? “Be’ sicuramente un bel romanzo, però io mi ritengo un fortunato ad aver giocato a Trieste, c’erano tutte le componenti giuste: grande partecipazione di tifosi, una società alle spalle e buoni giocatori per la categoria. La nostra era ed è una realtà sempre molto amata”.
LA TRIESTINA PROMOSSA IN SERIE B:Anno 1989. In piedi: Russo, Cerone, Costantini, Danelutti, Gandini; piegati: Polonia, Papais, Lenarduzzi, Butti, Simonetta, De Falco
“Quando costruirono il Nereo Rocco, era all’avanguardia, uno stadio nuovo, efficiente, era difficile trovare un impianto così, di grande funzionalità. Ma la partecipazione della gente si viveva in entrambi gli stadi, insomma, non è mai mancata”.
Oggi la squadra, anche grazie a Mauro Milanese, sta facendo bene in D. Come le vedi e che idea ti sei fatto? Hai vissuto, come forse è capitato a po- “Avere la competenza è determinante. Mauchi, il passaggio dallo stadio Grezar al ro è stato calciatore, ha vissuto delle espeNereo Rocco, due impianti ma una sola rienze importanti. Ha competenza e capacità per poterla gestire; poi non è solo stato passione?
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calciatore, ma ha anche ricoperto, nel suo percorso, le cariche di direttore, amministratore, ha quindi accumulato varie abilità. In poco tempo la Triestina tornerà ai livelli che le competono, sicuramente”. Un aneddoto della tua lunga militanza alabardata? “Di aneddoti potrei dirne tanti, ma dico che ho un ricordo spettacolare di Trieste e che una gran parte del mio cuore ce l’ho lì e rimarrà con me per tutta la vita, dalle persone più umili a quelle più importanti, le ricordo tutte con affetto”.
SPECIALE / MAGLIe STORIChe FEYENOORD
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MAGLIE STORICHE
IL CLUB DEL POPOLO Questa volta tutti in Olanda per raccontare la storia, attraverso le maglie, del Feyenoord…
STAGIONE 2016-17
di Gianfranco GIORDANO
Rick Karsdorp
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SPECIALE
Un ringraziamento particolare ad Alwin del sito feyenoordshirts.nl per la sua disponibilità e per gli aneddoti che mi ha raccontato.
ul finire del XIX secolo a Rotterdam vennero fondati i primi club i cui soci praticavano cricket e calcio, nel 1884 i bianconeri del Concordia e nel 1885 i biancorossi dell’Olympia, i due sodalizi si fusero nel 1891 dando vita al Rotterdam che cessò l’attività dopo due stagioni. Nel 1888 un gruppo di studenti fondò lo Sparta, colori bianco e rosso, che rimarrà sempre espressione dell’élite cittadina. Due anni dopo l’inizio del nuovo secolo venne fondato l’Excelsior, colori rosso e nero, che sarà destinato a ricoprire un ruolo di secondo piano nel panorama del calcio cittadino ed olandese. Questi due club erano stati fondati nella parte settentrionale della città ma anche nella parte meridionale, è la Mosa a fare da divisione, il calcio aveva i suoi adepti. È una zona popolare abitata da lavoratori portuali e da operai, solitamente la domenica ci si ritrovava in Oranjeboomstraat, davanti alla Wilhelminakerk nel quartiere Feyenoord, per giocare a calcio, il più delle volte con palloni fatti di carta e stracci. Il 19 luglio 1908, Kees van Baaren, che ha appena ricevuto in regalo dal padre un vero pallone da calcio in cuoio per il suo compleanno, ed i suoi amici Gerard van Leerdam, Henk Mulder e Nico Struijs si ritrovano nella caffetteria De Vereeniging a Persoonshaven, poche centinaia di metri da dove sorge l’attuale stadio, per fondare una squadra di calcio che potesse dar sfogo alla passione della zona più popolare della città. Il nome scelto era Wilhelmina, in onore della regina d’Olanda, Wilhelmina Helena Pauline Marie van Oranje-Nassau, ed i colori rosso bianco e blu della bandiera olandese. Alla fine di luglio il Wilhelmina scende in campo per la prima volta, avversario di giornata il Be Quick, squadra del quartiere di Bospolder. Le divise, arrivate dall’Inghilterra ovviamente, in quanto i primi fabbricanti di maglie da calcio erano inglesi, in realtà erano composte da maglia amaranto con maniche celesti, pantaloncini bianchi e calzettoni neri. Quanto di più vicino ai colori scelti dai fondatori, in base alla moda vigente al tempo oltre Manica. Nella primavera del 1909 il Wilhelmina si fuse con il Volharding (Perseveranza), per il nuovo club venne scelto il nome di Hillesluis-Feijenoord Combination (HFC) ma la Rotterdamsche Voetbalbond (RVB) non accettò questa denominazione perché esisteva già l’HFC Haarlem. Venne allora scelta una nuova denominazione su idea dell’ala destra Jan van Ouwerkerk, RVV Celeritas con nuova divisa sociale composta da maglia giallonera a righe orizzontali chiusa da tre bottoni sulla spalla sinistra, sembra che la scelta cromatica sia stata decisa secondo la moda di quella stagione. In quello stesso anno, Kees van Baaren convinse la municipalità di Rotterdam ad affittare al club il terreno di Afrikaanderplein, il campo De Put era in condizioni pessime, per la cifra di un fiorino all’anno, ai tempi una cifra ragionevole. Nel 1912 il Celeritas vinse il campionato locale della RVB e venne promosso nei campionati della Federazione Nazionale (NVB), questo passaggio rese necessario un ulteriore cambio di denominazione in quanto a l’Aja c’era già un altro club denominato Celeritas. Il 15 luglio i soci si riunirono per decidere il nuovo nome, vennero avanzate tre proposte: RVV Het Zuiden, RVV Mars e RVV Feijenoord. A seguito di votazione venne scelta la denominazione di Rotterdamsche Voetbal Vereeniging Feijenoord (21 voti contro 4 per Het Zuide e 2 per Mars), cambiarono anche i colori sociali che diventarono bianco e rosso con maglia divisa a metà. Sulla scelta di questi colori non c’è un motivo certo. Una prima versione parla di ispirazione verso un club inglese,
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14 CAMPIONATI OLANDESI L'ultimo è stato vinto nella stagione 1998-99
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Miquel Nelom
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forse il Bolton Wanderes (ipotesi un po’ azzardata in quanto i Trotters avevano giocato in biancorosso solo nella stagione 1890/91), forse il Sunderland (club che aveva giocato con la maglia a quarti a fine 800 ma all’inizio 900 era passato ad una maglia a strisce verticali), forse semplicemente era stata trovata una partita di maglie di questi colori da un fornitore inglese. Una seconda versione parla di una richiesta di maglie ad un fornitore locale, il quale aveva proposto il bianco ed il rosso perché aveva tessuto in abbondanza di questi colori. A prescindere dalle motivazioni, il 25 agosto il Feijenoord si presentò in campo per la Concordiaan Beker, coppa messa in palio dal Concordia, club di ispirazione cattolica, il Feijenoord vinse il trofeo vincendo contro Fortuna e CVV (1-0 e 2-1 i risultati), aggiudicandosi il primo trofeo della sua lunga storia. La divisa indossata per la Concordiaan Beker rimase praticamente invariata fino alla stagione 1956/57, la maglia era rossa e bianca divisa a metà con le maniche contrapposte, collo a camicia bianco e rosso diviso a metà e chiuso da tre o quattro bottoni, solitamente i bottoni non venivano chiusi, i polsini di colore opposto alle maniche, pantaloncini neri e calzettoni neri con risvolti biancorossi. Nella stagione 1957/58 lo stile rimane pressoché invariato ma spariscono i bottoni dando al colletto, sempre a camicia, uno stile più moderno, compare anche lo stemma societario sul petto. Nella stagione 1962/63 compare la vera maglia del Feijenoord, lo stile è sempre uguale, ma il collo è a V con i colori sempre opposti alla maglia, è una maglia semplice, lineare, quasi banale ma di una bellezza senza pari. Il fornitore è l’inglese Bukta, la prima fabbrica inglese, forse del mondo, di abbigliamento sportivo attiva dal 1879. Più che una maglia diventerà un’icona del calcio ed un simbolo del calcio olandese. Nella stagione 1965/66 il collo è a girocollo, questa maglia rimarrà in uso per tre stagioni. Negli anni dal 1962 al 1970, oltre che dalla Bukta le divise vennero fornite anche dalla Jansen & Tilanus, la più importante ditta di abbigliamento del tempo in Olanda. In quegli anni non c’erano contratti esclusivi per la fornitura della divise, così era uso comune rivolgersi a più fornitori contemporaneamente, tanto più che le divise venivano pagate dai club. Per risparmiare il Feijenoord ordinava quantitativi notevoli di abbigliamento, ecco perché lo stesso tipo di maglia veniva usato per diversi anni. Nel 1968/69 si ritorna al collo a V, sono gli anni d’oro del Feijenoord che vince in Olanda ed in Europa, quella divisa rimane invariata fino alla stagione 1982/83. Il 6 maggio 1970 i Biancorossi vincono la Coppa dei Campioni a Milano, 2-1 contro il Celtic ai supplementari, sarà l’ultima partita con la maglia “pulita” senza logo del fornitore giocata dal club di Rotterdam. I successi europei avevano attirato l’attenzione della Le Coq Sportif, ditta francese all’epoca molto presente sui campi di calcio, che offre un vero contratto di sponsorizzazione al Feijenoord, dalla stagione 1970/71 le divise saranno firmate dal galletto. In realtà il contratto di sponsorizzazione della Le Coq Sportif comprendeva anche la finale di Coppa dei Campioni ma, in previsione dello scambio di maglie da effettuarsi a fine partita, il club decise di far indossare ai giocatori delle vecchie maglie della Bukta per non sprecare quelle nuove. Nel 1974, come da prassi nella lingua olandese, il club cambia denominazione diventando ufficialmente Feyenoord, anche se la Y veniva usata a volta anche negli anni precedenti. Dalla stagione 1977/78 lo sponsor tecnico è la Adidas, nella stagione 1982/83, l’ultima con le tre stri-
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STAGIONE 1965-66
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STAGIONE 1982-83
STAGIONE 1967-68
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UNA STORIA IMPORTANTE: Il Feyenoord è uno dei club più seguiti d'Olanda...
I 4 LOGHI: L'evoluzione dei loghi che si sono succeduti nella storia del Feyenoord
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sce, compare per la prima volte sulle maglie il logo di uno sponsor commerciale, la Gouden Gids ovvero le Pagine Gialle olandesi. Nella stagione 1983/84 la Puma, nuovo sponsor tecnico, propone un collo a camicia con la chiusura a V sul davanti, non ci sono altre variazioni di stile rispetto al passato. Arriva la Hummel e nella stagione 1987/88 e successiva propone un collo a V bianco con una riga nera, le maniche, sempre di colore opposto al busto, vengono prolungate fino al collo. Per l’ultima stagione della fornitura, la ditta danese ritorna al classico riguardo le maniche mentre il collo è rosso a camicia con chiusura a V sul davanti biancorossa. Nel 1990/91 ritorna la Adidas che mantiene lo stesso modello della Hummel, eccetto per le tre strisce aziendali sulle maniche ovviamente. In questa stagione il club aveva cominciato la stagione con la HCS informatica come sponsor principale, come nella stagione precedente. Durante il campionato la HCS venne travolta da uno scandalo finanziario che la portò al fallimento, il Feyenoord rimase senza sponsor e quindi senza soldi arrivando a rischiare a sua volta il fallimento. Venne reperito un nuovo sponsor, la compagnia di assicurazioni Stad Rotterdam Verzekeringen, ma il club non aveva soldi per comprare nuove divise dalla Adidas così vennero stampate delle toppe da attaccare sulle maglie per coprire il vecchio sponsor. Dopo quattro stagioni, arriviamo al 1994/95, cambia il colletto sempre a camicia ma rosso con due righine bianche e chiuso davanti da un bottone. Tra il 1996 ed il 1997 il Feyenoord concluse un accordo molto importante di fornitura con la Reebok, il colosso statunitense decise di annullare il contratto a seguito della battaglia di Beverwijk dove, in un tratto di autostrada, il 23 marzo 1997 si scontrarono tifosi di Feyenoord ed Ajax. Lo scontro si concluse con la morte di un tifoso dell’Ajax. Il club ha fatto causa alla Reebok e, nel 2003, il tribunale di Amsterdam ha condannato la Reebok a pagare una penale al Feyenoord. Dalla stagione 1997/98 ogni anno ci sarà una maglia diversa, obblighi commerciali, ma la maglia rimarrà in linea con la tradizione, nonostante un’alternanza di fornitori, unico vezzo ricorrente l’inserimento del nero nel collo e nei bordi. Nei primi anni di vita del club e fino al secondo dopo guerra non c’era una vera maglia di riserva, nelle poche occasioni che necessitava cambiare maglia veniva usata la maglia d’allenamento. All’epoca in Olanda toccava alla squadra di casa cambiare casacca. Negli anni '50 si cominciarono a vedere delle vere divise da trasferta, non c’era un colore definito ma si sceglieva nel catalogo del fornitore, badando più al prezzo che al colore. Negli anni '50 e '60 si sono viste maglie (il resto della divisa rimaneva quello standard) bianche, bianche con righe orizzontali amaranto, celesti con bordini biancorossi, blu e blu con maniche bianche. La prima vera maglia da trasferta, scelta con cognizione, risale alla stagione 1969/70 su iniziativa della Le Coq Sportif, la maglia verde con maniche bianche su ispirazione della bandiera cittadina. La bandiera di Rotterdam è verde con una striscia bianca centrale, il verde rappresenta Weena, il cuore della città, mentre il bianco rappresenta il fiume Rotte che da il nome alla città stessa. Nella stagione 1980/81 compare una maglia gialla accompagnata da bordi blu e pantaloncini pure blu, proposta della Adidas, in quegli anni il giallo era molto comune come colore alternativo. Il giallo rimarrà in voga per tutti gli anni '80, seguito di nuovo dal verde nella prima metà del decennio successivo. Poi ci sarà un’alternanza di nero, celeste, giallo, blu,
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ANCHE UNA COPPA DEI CAMPIONI Nel 1969-70 il Feyenoord è salito sul tetto d'Europa...
STAGIONE 1988-89
STAGIONE 2002-03 portiere
STAGIONE 1990-91
STAGIONE 2008-09
STAGIONE 1997-98
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bianco e verde tra seconde e terze divise. Da ricordare, in senso negativo, la terza maglia rossoblù in uso nella stagione 1990/01, invero piuttosto brutta. Per i cento anni del club, nella stagione 2008/09 la Kappa propose una riedizione della famosa maglia verde con le maniche bianche, il riscontro dei tifosi fu incredibile e questa divenne la maglia più venduta di sempre in Olanda. La maglia dei portieri del Feyenoord non ha mai avuto un colore definito, molto belle le divise completamente nere degli anni sessanta, la maglia era nera con bordo o colletto rosso. All’inizio della stagione 2002/03 venne proposta una maglia rosa, ritenuta dal club e dal fornitore Kappa molto attraente. Questa maglia venne indossata da Edwin Zoetebier una sola volta, parte della tifoseria protestò ritenendo la maglia per nulla consona alla tradizione e simbolo di poca virilità obbligando il club a togliere subito la maglia rosa dal catalogo. Un abbozzo di stemma sociale sulla maglia è comparso sporadicamente a cavallo tra gli anni venti e trenta, si trattava di una circonferenza metà bianca e metà rossa nella parte rossa della maglia. Il primo vero stemma compare nella stagione 1956/57, un cerchio biancorosso bordato di nero, al centro una F dorata, ricamato all’altezza del cuore. Questo logo venne usato fino alla stagione 1962/63. Bisogna aspettare fino la stagione 1983/84 per avere, in maniera definitiva, nuovamente lo stemma sociale sulla maglia. È lo stemma che, con qualche aggiornamento cromatico, viene usato ancora adesso dal club. Un cerchio biancorosso con una grande F, attorno uno spesso bordo nero con la scritta Feyenoord Rotterdam. La scritta e la F prima bianche e poi dorate. A partire dalla stagione 2008/09, per festeggiare il centenario, venne inserita una stella al di sopra del logo a ricordo della vittoria nella Coppa dei Campioni. Nella stagione 2002/03 comparve, solo sulle divise alternative, lo stemma bianco e verde della città di Rotterdam, nelle due stagioni seguenti venne applicato anche sulla prima maglia, successivamente non sarà più presente.
FEYENOORD SUBBUTEO: Nel catalogo HW del Subbuteo il Feyenoord è il numero 85, classica divisa rossa e bianca a metà con pantaloncini neri e calzettoni neri con risvolti biancorossi. http://www.celticdream.it/
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REPORTAGE / VIAGGIO A SHEFFIELD
foto Gianfranco Giordano
UN PEZZO DI STORIA Quando il calcio è vera e autentica passione
S ALLE ORIGINI REPORTAGE
DEL CALCIO Viaggio a Sheffield per vivere l’emozione della storia vera… di Gianfranco GIORDANO
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heffield, città di circa mezzo milione di abitanti nella contea del South Yorkshire (il cuore della piovosa Inghilterra), adagiata nella valle del fiume Don. Sede un tempo delle acciaierie più importanti del mondo, ha subito una forte crisi nella seconda metà del secolo scorso ma negli ultimi anni ha avuto un risorgimento economico e sociale. Sheffield ha avuto un ruolo molto importante nella storia del football, qui è
stata fondata la più antica squadra di calcio ancora in attività, lo Sheffield FC nel 1857, ed anche la seconda, l’Hallam FC nel 1860, ovviamente anche il primo derby mai giocato si è disputato qua. Si giocava secondo le Sheffield Rules, in vigore a Sheffield e nel nord dell’Inghilterra fino al 1877, quando si venne ad un accordo e venne stilato un unico regolamento che univa le Sheffield Rules e le Football Association Rules. A Sheffield venne introdotto
il calcio di punizione, la rimessa laterale, il calcio d’angolo, venne utilizzato il colpo di testa durante la partita e venne usata la traversa. Torniamo ai giorni nostri. Alcuni mesi fa scrivo un’e-mail all’Hallam FC, chiedendo informazioni riguardo l’origine del blu come colore sociale. Mi risponde Phil Farnsworth, un dirigente del club, dandomi l’informazione richiesta, lo ringrazio e gli dico che il mese prossimo andrò
a Liverpool per motivi personali e che approfitterò dell’occasione per andare a visitare Sandygate Road, il campo di calcio più vecchio del mondo dove da sempre si esibisce l’Hallam FC. Phil mi risponde subito chiedendomi di tenerlo informato sui miei spostamenti e che sarà per lui un piacere venire a prendermi alla stazione ed accompagnarmi a visitare Sandygate Road. Ritorniamo indietro nel tempo per una breve storia
dei quattro club più famosi della città, i già citati Sheffield FC e Hallam FC, lo Sheffield Wednesday FC e lo Sheffield United FC. Lo Sheffield Fc venne fondato 24 ottobre 1857 da Nathaniel Creswick e William Prest, due membri dello Sheffield Cricket Club. Al tempo era uso per i giocatori di cricket, sport esclusivamente estivo, tenersi in forma nei mesi invernali giocando a calcio o perlomeno a qualcosa di simile. A partire dal 1855
i giocatori dello Sheffield Cricket Club giocavano partite informali di calcio, senza nessuna regola particolare. Inizialmente i pionieri dello Sheffield FC non avevano rivali, ovviamente, e giocavano tra di loro entusiasmanti partite dividendosi tra scapoli ed ammogliati oppure tra cattolici e protestanti, difficile immaginare una divisione tra bevitori ed astemi. I giocatori indossavano le divise immacolate del cricket e, per distinguersi,
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foto Gianfranco Giordano
foto Gianfranco Giordano
foto Gianfranco Giordano
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REPORTAGE / VIAGGIO A SHEFFIELD
foto Gianfranco Giordano
REPORTAGE / VIAGGIO A SHEFFIELD
QUANTI TROFEI La storia si racconta anche attraverso le vittorie
aggiungevano sciarpe o cappelli rossi o blu. Nel 1804 il proprietario del Plough Inn public house, di Sandygate Road nel sobborgo di Crosspool, permise ai membri dell’appena fondato Hallam Cricket Club di giocare su un terreno adiacente di sua proprietà. Il 4 settembre 1860 i membri dell’Halam Cricket Club decisero di fondare una squadra di calcio da opporre allo Sheffield FC, era nato l’Hallam FC. Il 26 dicembre 1860, Boxing Day che rimarrà dedicato al calcio fino ai giorni nostri, le due squadre si incontrarono per la prima volta. Lo Sheffield FC decise di giocare in maglia rossa e l’Hallam FC optò per una maglia blu, da quel giorno il rosso ed il blu sono i colori dei due club, sono i colori più diffusi nel mondo del calcio 54
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e sono i due colori delle due squadre nella confezione base del Subbuteo. Nel 1820 veniva fondato un altro club di cricket, il The Wednesday Cricket Club, il nome venne scelto perché ci si trovava il mercoledì pomeriggio per le partite. La sera del 4 settembre 1867, ovviamente un mercoledì, nei locali dell’hotel Adelphy venne fondata una società di calcio per giocare nei mesi invernali. Il 19 ottobre venne disputata la prima partita contro The Mechanics. Vennero scelti i colori blu e bianco, sembra perché erano i colori dei camici usati dai macellai della città, probabilmente era la stoffa più facile da reperire. Il 22 marzo 1889, sei giorni dopo la finale di FA Cup giocata a Bramall Lane tra Preston North End e West Bormwich Albion,
venne fondato lo Sheffield United Cricket & Football Club, in realtà si giocava a cricket già dal 1854. Il Wednesday aveva traslocato da Bramall Lane al campo di Olive Grove, il proprietario del campo decise allora di fondare una squadra di calcio che potesse giocare sul campo di sua proprietà. Adotta i colori del South Yorkshire County Council, il rosso ed il bianco rappresentano la lavorazione dell'acciaio, il nero dei pantaloncini rappresenta le miniere di carbone, o forse venne scelto il rosso in contrapposizione al blu del Wednesday. Nuovamente rosso e blu. Arrivo alla stazione di Sheffield alle 11.30, il cielo ovviamente è grigio, trovo Phil che mi aspetta, saliamo sulla sua Peugeot ed arriviamo a Sandygate Road, periferia occidenta-
le della città. Sandygate Road è stato inaugurato nel 1804 come campo da cricket e dal 26 dicembre 1860 ospita le partite dell’Hallam FC, i Countryman non hanno mai avuto un altro terreno di gioco. Completamente ristrutturato nel 1999 ha una capienza di 710 posti, il record di spettatori risale al 1925 quando circa 2000 persone assistettero alla partita tra Hallam FC e Bishop Auckland FC. Scendiamo dalla macchina ed ammiro il muro storico che chiude lo stadio ed il cartello che informa i visitatori che quello è lo stadio più vecchio del mondo, di fronte c’è ancora il Plough Inn. Phil prende dal bagagliaio una scatola e la porta con sé. Entriamo nell'impianto, ovunque ci sono cartelli e targhe che esprimono l'orgoglio del club per la sua
VIAGGIO NEL PASSATO Cimeli di un calcio che trasuda emozioni e ricordi
storia. Prima tappa nella club house, nuovissima, costruita grazie alla generosità di alcuni tifosi facoltosi. Beviamo un caffè e Phil mi racconta alcuni aneddoti sulla storia del club. Finito il caffè passiamo alla sala trofei, agli spogliatoi, la sala medica ed infine entriamo in campo. Il campo da gioco ospita le partite dell'Hallam FC e, durante la pausa del campionato, alcune partite di cricket come era prassi agli albori del calcio, questo spiega perché il prato non ha la classica forma rettangolare. Al momento della visita il terreno è allestito per il cricket, quindi niente porte. Dopo la passeggiata sull'erba rientriamo nella club house, Phil apre la scatola che aveva portato con sè e tira fuori la YOUDAN CUP, LA COPPA PIÙ VECCHIA DEL MONDO, la
poggia sul tavolo davanti a me ed io posso ammirarla e toccarla. All’inizio del 1867 Thomas Youdan, proprietario di un teatro in città ed appassionato di calcio, decise di organizzare un torneo mettendo in palio una bellissima coppa d’argento, purtroppo il trofeo non venne realizzato in tempo per la finale. Oltre alla coppa, i vincitori avrebbero incassato anche un premio di ben due sterline. Al torneo presero parte dodici club della zona Broomhall, Fir Vale, Garrick, Hallam, Heeley, Mackenzie, Mechanics, Milton, Norfolk, Norton, Pitsmoor e Wellington. Spicca l’assenza dello Shieffield FC, ma The Club al tempo si rifiutava di giocare con altri club di Sheffield ed incrociava gli scarponi solo con avversari di altre città. Dei dodici club partecipan-
ti solo l’Hallam è ancora in vita. Si giocava secondo le Shieffield Rules, i giocatori potevano essere utilizzati da una sola squadra, c’era un arbitro neutrale, le partite cominciavano alle 15.00 (l’arbitro non avrebbe aspettato eventuali ritardatari), in caso di parità dopo i tempi regolamentari si giocavano i tempi supplementari con golden goal. Si cominciò il 16 febbraio con partite ad eliminazione diretta, semifinali e finale si giocarono a Bramall Lane. Il 5 marzo 3000 spettatori assistettero alla vittoria dell’Hallam sul Norfolk per 2-0, primo tempo a reti inviolate. Successivamente la coppa andò persa, nel 1997 un antiquario scozzese la ritrovò e la vendette all’Hallam per 2000 sterline. Compro un libro sulla sto-
ria del club, due sciarpe da portare ad amici ed alcune spille, Phil mi regala una sciarpa ed una tazza con il logo del club. Ancora un caffè e poi andiamo a Bramall Lane dove abbiamo appuntamento alle 14 per una visita dello stadio. Bramall Lane è stato inaugurato il 30 aprile 1855 per ospitare partite di cricket, la prima partita di calcio risale al 29 dicembre 1862 quando Hallam FC e Sheffield FC si incontrarono in una partita amichevole a sfondo benefico. Tra il 1880 ed il 1887 divenne la casa dello Sheffield Wednesday e successivamente ospitò lo Sheffield United. Dopo diverse ristrutturazioni, l’ultima nel 2006, può ospitare 32.702 spettatori ma il record di presenze si è registrato il 15 febbraio 1936 per una partita di FA Cup
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REPORTAGE / VIAGGIO A SHEFFIELD
foto Gianfranco Giordano
PREMIA LA SCUOLA
L’edizione 2017 ha visto il successo dell’Istituto Volta di Lodi, atteso a Londra…
foto Gianfranco Giordano
foto Gianfranco Giordano
B IL CAMPO DEI SOGNI: L'erba verde, lo stile inglese, il calcio puro
tra Blades e Leeds United, 68.287 spettatori. Qui, il 14 ottobre 1878, si giocò la prima partita di calcio sotto la luce dei riflettori. Puntualissimo arriva John Garrett, storico del club, responsabile delle relazioni con i tifosi e tifoso Blades al 101%. Apre le porte del museo dello United per me, per la cronaca la Youdan Cup è custodita qui, John parla in continuazione ed è molto simpatico, ci tiene a sottolineare che la sua famiglia tifa Blades quasi dalla fondazione quando il bisnonno si è trasferito a Sheffield dal Galles. Mette in evidenza che lo Sheffield United è il club della working class cittadina, nella sua famiglia da tre generazioni sono tifosi dello United, iscritti al sindacato e sostenitori del Partito Laburista. Mi racconta la storia dello stadio e della squadra, mi parla della frustrazione
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dei tifosi perché lo United non ha mai giocato nelle competizioni europee, mentre tutte le squadre delle città vicine, Liverpool, Manchester e Leeds, hanno partecipato alle coppe con buoni risultati, anche le Civette hanno fatto qualche comparsata in Europa, ma le Blades mai. Mi regala un libro sulla storia di Bramall Lane e poi mi porta all’interno dello stadio per una passeggiata sul campo con tanto di pausa relax in panchina. Finita la visita riprendiamo la macchina e via verso Dronfield, sobborgo a sud di Sheffield adagiato sulle colline dove sorge il campo attuale dello Sheffield FC. Anche qua siamo attesi da un membro del club, Dom Field, Phil ha organizzato tutto alla perfezione. Il padrone di casa apre le porte di The Coach & Horses Ground per me, mi fa visitare gli spogliatoi, la sala trofei
con tanto di firma sul libro dei visitatori, il club shop e poi entriamo in campo. The Club, questo il soprannome dello Sheffield FC, ha giocato in diversi campi prima di approdare nel 2001 al The Coach & Horses Ground, campo che in precedenza ospitava le partite del Norton Woodseats FC, club fondato nel 1912 e scioltosi nel 1999. Finita la visita andiamo a pranzo da Toby Carvery, un bellissimo ristorante a circa un chilometro dal campo, nel frattempo si sono fatte le 16.15 ma qua si mangia a tutte le ore. Il pranzo è ottimo, accompagnato da una pinta di Pedigree. Mentre mangiamo chiedo a Phil se è possibile andare a visitare Hillsborough, ma lui mi dice che ci sono problemi di traffico ed è difficile raggiungere lo stadio. Finito il pranzo torniamo a Sheffield e facciamo tappa in
un pub vicino alla stazione, mentre chiacchieriamo, Phil mi confessa che non mi ha portato ad Hillsborough perché lo Sheffield Wednesday gli sta sulle palle. Quella confessione onesta e passionale lo rende ancora più simpatico. Dopo un'ultima pinta torniamo alla stazione, io ho il treno alle 18.40. Una giornata emozionante e bellissima, grazie a Phil che mi ha dedicato tutto il suo tempo e grazie a John e Dom per la loro disponibilità e la loro passione. A Sheffield è stato girato il film Full Monty, in alcune scene il protagonista, interpretato da Robert Carlyle, indossava la maglia dello Sheffield United. Nel film Paul Mick e gli altri, di Ken Loach, si vede in alcune scene uno dei protagonisti con la maglia dello Sheffield Wednesday. Sheffield, una città che vive per il calcio.
en 119 squadre scolastiche iscritte, tutte con un sogno: volare a Londra per giocare nel torneo mondiale Gatorade 5v5 (15 nazioni partecipanti) e godersi, in caso di successo, in quel di Cardiff, l’incredibile opportunità di assistere alla Finale della UEFA Champions League 2017!!! L’edizione italiana, Trofeo Gatorade 5v5, andata in scena al Centro Sportivo “Sport Promotion Comasina” in Via Salemi 19 a Milano, ha visto coinvolte ben 30 squadre che, in un tabellone stile Champions League, si sono affrontate in campo senza risparmiarsi. La finalissima se la sono giocata l’Istituto Bachelet e l’Istituto Volta di Lodi. Una sfida ricca di emozioni e colpi di scena, vinta dall’Istituto Volta di Lodi per 3-2, con la voce leggendaria di Bruno Pizzul in sede di commento. Un successo che ha permesso a questi ragazzi di assicurarsi un posto nelle finali internazionali a Londra (1-2 giugno) e, sempre grazie a Gatorade, la possibilità di vedere, in caso di vittoria, direttamente dal vivo, la finale di Champions League, edizione 2017, in programma, il prossimo 3 giugno a Cardiff. “Siamo contenti, non ci aspettavamo di poter arrivare fino a questo punto. Contentissimi dei ragazzi e del loro atteggiamento sempre educato e nel segno del Fair Play. Grazie a Gatorade per la grande opportunità... E' nato tutto per gioco, ora andiamo a Londra", le parole di Domenico Oropallo, allenatore dell’IS Volta di Lodi. NEL SEGNO DI GATORADE Il “Torneo Gatorade Premia la Scuola” è l’ennesima dimostrazione della volontà, da parte dell’azienda, di coinvolgere sempre più i giovani e le scuole. Con questo progetto Gatorade ha voluto spiegare agli studenti delle scuole superiori delle classi prime e seconde l’importanza di uno stile di vita sano, incentrato sui valori positivi dello sport. Un evento all’insegna del Fair Play, grazie al brand Gatorade…
I GIGANTI DEL CALCIO Cristian Chivu CLASSE INFINITA In campo sapeva sempre fare la differenza
CHIVU, UOMO DI MONDO
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Ovunque ha giocato, ha sempre lasciato un ottimo ricordo. E con Mourinho…
di Francesco FONTANA foto Archivio TC&C
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n esempio unico. Una storia da raccontare, soprattutto ai più giovani. Quasi superfluo presentarlo, perché quello che ha vinto ed è riuscito a conquistare dopo aver rischiato di perdere molto, probabilmente tutto, resta scolpito nella mente di tutti e rappresenterà per sempre un capitolo emozionate nella storia del calcio. Cristian Chivu da Reșița si racconta in questa intervista con Calcio2000 ripercorrendo tutte le tappe di una carriera speciale, iniziata in Romania, decollata all’Ajax e proseguita con Roma e Inter. Club, quest’ultimo, che gli ha permesso di alzare al cielo qualunque trofeo. Difficile, però, trovare un particolare momento dal quale iniziare questo racconto: “Sì, è molto difficile. Sono tantissimi i momenti che porto con me, partendo dal settore giovanile in Romania, passando per il debutto nella massima Serie rumena fino ad arrivare alle stagioni in Italia. L'Ajax rappresenta un'esperienza incredibile, ha sempre attirato tantissimo
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“” La Roma? Lo comunicai alla società, invitandoli a trovare l'accordo con i giallorossi. Solo così avrei avuto la possibilità di migliorare e crescere i giovani e per me fu un vero e proprio sogno vestire, così giovane, quei colori. Poi arrivò la Roma, un grande traguardo personale perché da sempre puntavo a giocare nel campionato italiano. E ovviamente un posto speciale va all'Inter, che mi ha permesso di vincere tutto. Ripeto, è difficile. Non potrei scegliere, non sa-
rebbe nemmeno giusto nei confronti delle società in cui ho lavorato". Ha citato l'Ajax, la sua prima esperienza nel calcio di altissimo livello. In quel momento, probabilmente, la sua vita cambiò. "Quella chiamata fu una grande sorpresa anche per me. Ero ovviamente felice, ma qualche mese prima si presentò un'altra possibilità".
QUANTI RICORDI
L'Inter nel cuore, peccato per qualche infortunio di troppo
Vitesse Arnhem? "Esattamente. Mi spiegarono il progetto, tutto sembrava chiaro e definito, ma poi da parte mia iniziarono a sorgere dei dubbi, legati a una loro precisa richiesta: pretendevano che firmassi un foglio in cui garantivo per il mio trasferimento, respingendo eventuali offerte successive di altre società. Non firmai quel documento, ricordo di aver detto 'Se voi non vi fidate di me, è inutile proseguire'. E così fu". A posteriori, una grandissima fortuna. "L'Ajax arrivò esattamente un mese dopo, ho un ricordo molto particolare del mio impatto con quella realtà. Ricor-
TANTE VITTORIE CON MOURINHO
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Rapporto speciale con il tecnico portoghese ai tempi dell'Inter
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do che Blind (attuale ct della Nazionale olandese, ndr) e Pronk, il capo scouting di allora, mi interrogarono, nel vero senso della parola, sottoponendomi delle domande tattiche. Eravamo in una stanza dentro allo stadio, dopo una partita. Dovevo compilare un foglio, fu divertente. Poi scoprii che avevano un report sul Chivu calciatore riguardante 30 partite, seguite da varie persone. In quel momento capii il motivo di quella, chiamiamola così, 'intervista'". Perché il mondo Ajax è considerato così speciale? Cos'ha di diverso rispetto alle altre big d'Europa? "Parlo dell'Ajax perché ho vissuto quella realtà, ma preferisco includere nella risposta tutto il calcio olandese. Poi, ovviamente, l'Ajax è il club più importante. È il massimo, io sono stato fortunato. Credo sia difficile descrivere a parole quello che loro insegnano ai giovani, sia dal punto di vista tecnico-tattico che umano. All'inizio giocavo in Primavera per abituarmi alla difesa a tre, questo fu il primo obiet-
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“” Io non sono mai stato un giocatore che andava sotto la Curva a baciare la maglia, non ho mai creduto in queste cose… tivo. Ma sono speciali in tutto: insegnano ai ragazzi le regole di comportamento, la buona educazione, come ti devi comportare in campo, nello spogliatoio, fuori dal campo, come si sta a tavola... In poche parole, ti fanno diventare un uomo". Per lei la fascia da capitano, a soli 21 anni, non fu casuale. "Non me lo sarei mai aspettato. Cambiarono allenatore, il secondo in circa
due anni, e Koeman decise il primo giorno che io sarei stato capitano di quella squadra. Fu una sorpresa, lo comunicò davanti a tutti senza alcun preavviso al sottoscritto. C'erano giocatori importanti nel gruppo, con tanta esperienza, ma la scelta ricadde su di me. Tutti erano contenti, mi fecero le congratulazioni".
MORATTI, GRANDE PRESIDENTE Chivu ha sempre sottolineato la grande signorilità dell'ex numero uno interista
Inoltre capitano non di una squadra qualunque... "Molto forte, poi siamo migliorati parecchio con l'ingresso di molti giovani che poi hanno fatto carriera. Ibrahimovic c'era già, penso a Van der Vaart, Sneijder, De Jong, Van der Meyde, Maxwell. Inoltre tornò Litmanen. Eravamo un gruppo di assoluto talento, aiutato da uomini di esperienza, come lo stesso Jari. A volte in allenamento capitava che si facessero le partitelle con i giovani da una parte e gli esperti dall'altra. Pensi che io, 21enne, stavo con gli 'anziani'! (Ride, ndr). Era divertente, c'era tantissimo talento. Purtroppo a volte è mancata l'esperienza necessaria per raggiungere certi obietAMATO DAGLI INTERISTI
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Chivu è rimasto nel cuore del popolo della Beneamata
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tivi. Penso alla Champions League e ai quarti persi contro il Milan, quello che poi vinse la Coppa a Manchester contro la Juventus". Tra i suoi compagni, come abbiamo detto, c'erano Maxwell, Sneijder e Ibrahimovic. Grandi giocatori che hanno vestito anche la maglia dell'Inter: come li ha ritrovati a distanza di anni? "Wesley era il più giovane di noi, ad Amsterdam lo abbiamo conosciuto a 16-17 anni. Personalmente, non ho mai visto un giocatore calciare così bene sia di destro che di sinistro. Era ed è impressionante. Era rapido nel pensiero e nell'esecuzione. Si capiva già allora che avrebbe fatto una carriera importante. Invece io, Zlatan e Maxwell siamo arrivati nello stesso momento all'Ajax. Parliamo di due ragazzi eccezionali, che non ho trovato così diversi all'Inter. Maxwell era lo stesso, forse Ibra aveva le spalle un po' più grosse dopo gli anni alla Juventus. Sempre lo stesso ragazzo, ma con tantissima personalità in più. Conoscendolo, mi ha reso felice vederlo in alto in tutti questi anni. Ha sempre fatto la differenza".
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Chivu ha avuto una carriera importante, alzando diversi trofei...
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Capitolo Roma: come nacque quella possibilità? "Baldini e Capello mi hanno voluto fortemente. Erano entusiasti, e lo stesso valeva per me. L'Ajax non voleva cedermi, mi proposero lo stesso contratto, una follia per le loro casse, ma la scelta era ormai presa. La comunicai alla società, invitandoli a trovare l'accordo con i giallorossi. Solo così avrei avuto la possibilità di migliorare e crescere". Arriva in una piazza particolare, che dà tanto e pretende molto. Ha mai avvertito la pressione? "Mai, sono sincero. Ho sempre lavorato al meglio, ho dato il massimo e anche di più. Se nei sei giorni precedenti alla partita ti sei preparato alla grande, non devi sentire alcun tipo di pressione. Poi la partita è una storia a sé, la palla è rotonda. Ma per me non esiste la pressione. Non bisogna soffrire l'ambiente, l'insulto o l'ovazione. Certamente Roma è una piazza importante e particolare, questo non lo nego. Anzi, aggiungo che una volta che hai giocato a Roma
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A Madrid Avevo anche un certo Robben da curare... Mourinho mi disse questo: "Tu non devi fare altro che stare dietro a lui. Seguilo anche in bagno" sei pronto per tutte le piazze. Purtroppo si parla troppo, ci sono tantissime radio e tv. Negli ultimi 15 anni questi aspetti hanno impedito di vincere qualcosa". Con Capello c'era un rapporto particolare. "L'allenatore lo conosciamo tutti. Quando giudico devo valutare soprattutto i risultati, e lui ne ha ottenuti tantissimi. Poi la persona è veramente splendida, mi sono trovato benissimo con lui. Ha vinto in tutti i club in cui ha allenato, tanto in Italia quanto all'estero. Dall'esterno può apparire come un duro, ma ci sta che un allenatore possa esserlo. Con lui mi sono sempre divertito. Mi consigliava dove andare in vacanza, che libri leggere". Poi qualcosa si ruppe con l'ambiente. "In un'intervista risposi, a domanda precisa, che mi sarebbe piaciuto lavorare nuovamente con lui in futuro. E questo accadde poco prima dell'addio di Capello che poi andò alla Juventus. Il giorno seguente i media fecero il titolo: 'Chivu alla Juventus'. Ma non era vero, io parlai solo ed esclusivamente di Capello. Da quel momento il pubblico della Roma cambiò atteggiamento nei miei confronti. Io ne soffrivo. Mi fischiavano perché mi volevano bene. Io non sono mai stato un giocatore che andava sotto la Curva a baciare la maglia, non ho mai creduto in queste cose. Io avevo tutto nel mio cuore e nella mia mente, e quella intervista complicò tutto. Mi dispiace tantissimo per
quel preciso episodio. Davo tutto per la maglia, giocai una gara contro il Chievo Verona in condizioni clamorose, la mattina stessa ero in stampelle. Ma questo la gente non lo sapeva, si limitò a leggere quell'intervista stravolta". Inevitabile l'addio? "A Roma stavo benissimo, solo che poi la società decise di non offrirmi il rinnovo a un anno dalla scadenza. Aspettai, ma la loro volontà mi sembrava chiara: volevano vendermi. Io non parlai con nessuna squadra per rispetto, ma una volta colta la situazione decisi la mia nuova destinazione. Questo mi spettava. E la società era al corrente della mia volontà, ma volevano vendermi all'estero. Mi chiamarono durante le vacanze dicendomi che era tutto fatto con il Real Madrid, ma io volevo solo ed esclusivamente l'Inter". Perché proprio l'Inter? "Non fu una scelta controcorrente, parlai con mille persone prima di rifiutare le due big di Spagna. Io volevo vincere lo Scudetto in Italia, quindi fu uno dei motivi che mi spinsero a scegliere Milano. Poi a Madrid fece fatica un fenomeno come Samuel, io non volevo ripartire da zero. Ero un difensore nuovo: il passaggio dall'Ajax al Real Madrid avrebbe avuto una logica, ma dalla Roma sarebbe stato diverso. Inoltre svelo che ci fu l'occasione di andare all'Inter già ai tempi di Cuper, ma lo stesso si oppose, voleva un difensore alto. E arrivò Materazzi. Ma dentro di me ho sempre pensato che prima o poi le strade si sarebbero incrociate". Che persona e che allenatore è Mancini? "Un bravissimo tecnico che a Milano ha creato le basi per l'Inter vincente degli anni successivi. Ha scelto i giocatori giusti, sia dal punto di vista tecnico che caratteriale. È un vincente, questo è sicuro. Avevo un bellissimo rapporto con lui". Nell'estate 2006 scoppia 'Calciopoli'. "Ho pensato 'che imbecilli'. Quando parlavamo della Juventus si scherzava parlando dei favori arbitrali. Poi loro erano fortissimi, non avevano bisogno di alcun aiuto, qualche imbecille ha rovinato tutto. In un secondo momento, quando viene fuori tutto e puoi analizzare a mente
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fredda, capisci certe cose che, forse, al momento non sono così nitide". Dopo Mancini, arriva Mourinho: in cosa è diverso rispetto a tutti gli altri? "Dal punto di vista umano ha qualcosa di più rispetto agli altri. Lui è capace di tenere altissima la tensione per un'intera stagione. Solo lui sa come fare, ma è in grado di convincere i giocatori di essere i più forti del mondo. Per fare tutto questo ci vuole carisma, lui ne ha tantissimo. Ovviamente bisogna essere fortunati nel trovare un gruppo di giocatori che sposa le tue idee, altrimenti lo scontro è inevitabile. Con lui tutto fu perfetto. Anche quando giocavamo contro squadre più forti di noi, come il Barcellona, era in grado di convincerci di essere superiori. Lui è il numero uno. In allenamento ti ammazzava, ma una volta terminato era il primo a ridere".
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C'è un momento particolare, scherzoso, originale, che ricorda del vostro rapporto? "Avevo l'accordo con Mancini e la società di giocare gli Europei del 2008, operarmi per il mio problema alla spalla e rientrare. Nel frattempo cambiò l'alle-
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“” Con Stramaccioni, pur di giocare nel mio ruolo, feci quattro mesi con il Piede rotto. Piangevo dal dolore, non ero nemmeno al 30%. natore, arrivò Mourinho che mi chiamò subito. Sapeva tutto, mi chiese di operarmi immediatamente, addirittura il giorno successivo. Ero in Romania, volo per Milano e operazione a Pavia. Arrivai in ospedale e trovai José che era venuto a salutarmi. Beh, questo episodio credo spieghi molto di quello che rappresenta. Ma non è finita. Il primo giorno di raduno mi disse: ‘A favori siamo 1-0 per te, perché mi hai ascoltato e hai deciso di operarti subito. Per pareggiare ti concedo due settimane di vacanza, così siamo
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pari’. Questo fu il mio primissimo impatto con Mourinho". Da Verona a Madrid: una storia incredibile: cosa le disse Mourinho prima di scendere in campo a Madrid? "Prima della partita non potevo non pensare a gennaio e all'infortunio di Verona, ma stavo benissimo. Avevo anche un certo Robben da curare... Mourinho mi disse questo: "Tu non devi fare altro che stare dietro a lui. Seguilo anche in bagno. Non mi interessa cosa fai, prenderai il giallo intorno al 60', da lì sarai preoccupato. No problem, ti metto mediano e scalo Zanetti terzino. Poi ti sostituisco al 70' dato che sarai anche stanco". Detto prima della partita, non ha sbagliato una virgola. Per questo è il numero uno". Dalla stagione successiva, purtroppo, arrivarono in serie parecchi problemi fisici che portarono all'addio al calcio nell'estate 2013: come ripercorrerebbe le tappe che portarono a quella decisione? "Le cancellerei (ride, ndr). A parte gli scherzi, non ho fatto male con Benitez, poi anche con Stramaccioni ho giocato qualche partita. Dopo anni e anni Stra-
LA carriera di cristian CHIVU Stagione
Squadra
PRESENZE
RETI
1997-1998
CSM Reșița
24
2
1998-1999
U.Craiova
26
3
lug.-ago. 1999
U.Craiova
6
0
ago. 1999-2000
Ajax
28
1
2000-2001
Ajax
30
5
2001-2002
Ajax
42
1
2002-2003
Ajax
42
6
2003-2004
Roma
29
2
2004-2005
Roma
15
2
2005-2006
Roma
36
2
2006-2007
Roma
42
0
2007-2008
Inter
36
0
2008-2009
Inter
26
0
2009-2010
Inter
33
1
2010-2011
Inter
36
1
2011-2012
Inter
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0
2012-2013
Inter
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1
ma mi disse che avrei giocato sempre da centrale, per me fu bellissimo. Avevo una motivazione nuova, quindi provai ad andare oltre il forte dolore. E nel preliminare di Europa League rischiai molto, infatti fu la rovina della mia carriera. Provammo a ripartire, ma il piede faceva male. Altri interventi, ma nulla da fare. Con Stramaccioni, pur di giocare nel mio ruolo, feci quattro mesi con il piede rotto. Piangevo dal dolore, non ero nemmeno al 30%. Non riuscivo più a far nulla, anche giocare con i bambini. Con Maz-
zarri un altro tentativo, ma capii di dover smettere in America. Amichevole contro il Valencia, non riuscivo nemmeno a spingere oltre il 10%. Parlai con il mister e con lo staff medico, si decise di fare un altro intervento, rivolto ovviamente a giocare, non alla guarigione della persona. Non cambiò nulla, inevitabile smettere. Da quel momento ho potuto fare solo una cosa: sciare. Non ero capace, ora sono abbastanza bravo!". Che storia è quella di Cristian Chivu?
"Ho sempre dato tutto, nonostante siano capitati un paio di episodi, come il pugno a Masiello a Bari, che vorrei cancellare. Era un periodo duro, l'anno dopo l'intervento. Quel momento mi ha fatto riflettere tanto. Non avevo più il controllo di me stesso, quel gesto mi riportò un po' sulla 'terra'. Spero che la mia sia una storia bella da raccontare, magari ai giovani. Ma questo dovete dirlo voi (sorride, ndr)". Confermiamo, la storia di Chivu, uomo di mondo, è bella da raccontare…
Intervista di Francesco Fontana
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SPECIALE DERBY DI BERGAMO
SPECIALE / DERBY DI BERGAMO
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L'ATMOSFERA DEL DERBY Ci sono partite diverse da tutte le altre...
TRE METEORE E UNA DEA 68
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Cambiano i tempi e gli avversari, ma a dominare il derby di Bergamo è sempre e solo l'Atalanta di Luca GANDINI - foto Archivio TC&C
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SPECIALE / DERBY DI BERGAMO
SPECIALE / DERBY DI BERGAMO
Chiariamolo
in Coppa delle Coppe la stagione successiva, con tanto di approdo in semifinale. La Virescit Boccaleone, invece, dopo aver sfiorato la promozione in B nel 1987/88, poi svanita nello spareggio di Perugia contro la Reggina di Nevio Scala, avrebbe imboccato il tunnel del declino, scomparendo progressivamente dal calcio professionistico fino alla fusione con l'Alzano datata 1993.
subito: per ogni tifoso bergamasco, le sfide più sentite, il cui esito è in grado talvolta di determinare il valore di un'intera stagione, sono sempre state quelle con il Brescia. Scontri incandescenti, degni di un Superclásico sudamericano, vuoi per l'atmosfera vibrante che si respira prima, durante e dopo la gara, vuoi, ahinoi, per gli episodi non proprio da Libro Cuore che hanno spesso visto protagoniste le frange più esagitate di entrambe le tifoserie. La corsa scatenata dell'allora allenatore del Brescia Carletto Mazzone sotto la curva dell'Atalanta, a restituire al mittente i vari “attestati di stima” piovutigli addosso per tutti i 90 minuti in un infuocato duello di qualche anno fa, rappresentò nella maniera più appropriata l'essenza di questa rivalità. Secondo tradizione, e secondo l'atlante calcistico, l'originale derby di Bergamo è però quello che, nel corso degli anni, ha opposto l'Atalanta alle sue cugine meno blasonate provenienti o dalla stessa città o dalla vicina provincia. Virescit Boccaleone, Alzano Virescit e AlbinoLeffe: ecco i nomi delle cenerentole che hanno tentato senza fortuna di scrollarsi di dosso l'ombra imponente della Dea nerazzurra, regalando però agli appassionati tante piccole grandi storie di calcio degne di essere raccontate.
ALZANO LA VOCE
Ebbene sì: ci fu un'epoca in cui anche Bergamo ebbe due società tra i professionisti, proprio come Milano, Genova, Torino e Roma. Erano gli anni '80, quando, oltre all'Atalanta, a guadagnarsi un briciolo di meritata notorietà fu la Virescit. Fondata nel 1949 nel quartiere di Boccaleone, periferia est della città, maglia viola e calzoncini bianchi, seppe per qualche anno destreggiarsi senza infamia e senza lode nei campionati di Serie C1 e C2. Per tre volte ebbe anche l'onore di affrontare in gare ufficiali i cugini nerazzurri, ma senza mai raccogliere granché. Le prime due stracittadine furono giocate in occasione della Coppa Italia di Serie C nella stagione 1981/82 e videro entrambe il successo atalantino: 1-0 all'andata con gol del centravanti Bortolo Mutti davanti a 20000 spettatori; 3-1 al ritorno con ancora Mutti protagonista con una doppietta su rigore. Il derby più prestigioso, sia per i nomi in campo che per la competizione, cioè la Coppa Italia vera e propria, andò però in scena il 24 agosto 1986. Allo Stadio Comunale, l'attuale “Atleti Azzurri d'Italia”, l'Atalanta dell'ex centrocampista della Juventus e futuro c.t. azzurro Cesare Prandelli, del formidabile attaccante inglese già due volte campione d'Europa con il Nottingham Forest Trevor Francis, e dell'inesauribile jolly svedese Glenn Strömberg, se la dovette vedere con l'ambiziosa Virescit Boccaleone nella prima giornata del girone eliminatorio estivo. E anche qui, la Dea impose nuovamente la propria gerarchia con un faticato 2-1. Clamorosa autorete del viola Carmine Nunziata e bel sinistro di Beppe Incocciati a dare il doppio vantaggio all'Atalanta, perentorio colpo di testa del terzino Maurizio Carlo ad accorciare inutilmente le distanze e a consegnare agli archivi la terza ed ultima sfida tra le due dirimpettaie bergamasche. I nerazzurri sarebbero poi addirittura volati in finale, a contendere vanamente la Coppa al Napoli di Diego Armando Maradona, preludio ad un'esaltante cavalcata
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Si ringrazia Panini per la concessione delle immagini
LA METÀ VIOLA DI BERGAMO
Ed ecco quindi partire da Alzano Lombardo, piccolo centro di 12000 anime all'imbocco della Val Seriana, l'avventura dell'Alzano Virescit. Maglia a scacchi bianconeri, budget non certo stellare, ma tante idee ed entusiasmo da vendere. Presidente, il compianto Franco Morotti, commercialista affermato nonché ex amministratore delegato dell'Atalanta. Direttore sportivo, quel Piergiorgio Marchisio già dirigente della Virescit Boccaleone nei ruggenti anni '80. La rincorsa della neonata società ai quartieri nobili del calcio non fu nemmeno troppo lunga, visto che già nella stagione 1999/00 l'Alzano Virescit era ai nastri di partenza del campionato di Serie B. Una squadra che invece la B la voleva abbandonare al più presto era l'Atalanta, più che mai proiettata verso un pronto ritorno in A. Costruita con passione dal presidente Ivan Ruggeri, altro grande uomo di sport prematuramente scomparso, e dal mago del mercato Emiliano Mascetti, la compagine nerazzurra, forte di elementi esperti come l'ex campione d'Europa con la Juventus Massimo Carrera, l'imprevedibile fantasista Marco Nappi e il portiere Alberto Fontana, che si andavano ad aggiungere ai soliti ventenni d'assalto usciti dal vivaio (i vari Massimo Donati, Gianpaolo Bellini, i gemelli Zenoni ecc...), parve destinata a fare un sol boccone dei cugini bianconeri. E invece, sia all'andata che al ritorno, lo stadio “Atleti Azzurri d'Italia” fece da cornice a due sfide equilibrate. Il 19 dicembre, infatti, solo un guizzo da rapace di “Nippo” Nappi regalò all'Atalanta lo striminzito 1-0 su un Alzano comodamente piazzato a centro classifica. Il 21 maggio, davanti a un pubblico di quasi 15000 spettatori che rappresentò l'affluenza record della 35ª giornata, fu addirittura 0-0, e nemmeno l'ingresso in campo nella ripresa del celebre attaccante argentino Claudio Caniggia, già vice-campione del mondo con la Selección a Italia '90, servì a scardinare il blocco difensivo dei bianconeri. Se per l'Atalanta la stagione si chiuse con la riconquista della Serie A, l'Alzano Virescit non riuscì invece a confermare quanto di buono fatto nel girone d'andata e dovette suo malgrado arrendersi alla retrocessione. Un altro capitolo del derby di Bergamo, seppur breve, era già destinato a finire nell'album dei ricordi.
L'ECO DELLA VAL SERIANA
La formazione che ha dato vita a più derby di Bergamo con l'Atalanta, è però l'AlbinoLeffe. Sette, finora, le sfide tra la Dea e questa società giovane, sorta nel 1998 dalla fusione tra Albinese e Leffe, espres-
PRIMI DUE DERBY ATALANTA-ALBINOLEFFE
Serie B – Stagione 2003/04 – 4.a giornata Bergamo – Stadio Atleti Azzurri d’Italia Atalanta – Albinoleffe 2-1 (0-0) Atalanta: Taibi, Innocenti, Gonnella, Lorenzi, Smit, D.Zenoni, Bernardini, Marcolini, Gautieri (21’ st Pazzini), Budan (40’ st Mingazzini), Pinardi (34’ st Montolivo). All. Mandorlini AlbinoLeffe: Acerbis, Garlini, Biava, Sonzogni, Regonesi, Raimondi (40’ st Ferrari), Carobbio (30’ st Colombo), Del Prato, Gorzegno (37’ st Gori), Bonazzi, Possanzini. All. Gustinetti Arbitro: Racalbuto di Gallarate Reti: 12’ st Possanzini (AL), 22’ st e 37’ st Pinardi (AT) Serie B – Stagione 2003/04 – 27.a giornata Bergamo – Stadio Atleti Azzurri d’Italia Albinoleffe – Atalanta 0-4 (0-2) AlbinoLeffe: Gritti, Zoboli, Gorini, Sonzogni, Gorzegno, Raimondi, Del Prato, Carobbio (7’ st Testini), Morfeo, Possanzini (35’ st Serrapica), Bonazzi (27’ st Gori). All. Gustinetti Atalanta: Taibi, Rustico, Gonnella, Lorenzi, Bellini, Montolivo, Bernardini, Marcolini (35’ st Lazzari), Gautieri (35’ Della Rocca), Pinardi (40’ st Mingazzini, Pazzini. All. Mandorlini Arbitro: Saccani di Mantova Reti: 5’ pt Pinardi (AT), 46’ pt Montolivo (AT), 5’ st Gautieri (AT), 10’ st (Marcolini)
L’UNICA SFIDA DI COPPA ITALIA Secco 3-0 dell’Atalanta ai danni dell’AlbinoLeffe, anno 2004… L’unico precedente, in Coppa Italia, tra Atalanta e AlbinoLeffe risale al 22 agosto 2004. Davanti a circa cinque mila tifosi, la squadra nerazzurra allenata da Mandorlini si impone, con un secco 3-0 sulla formazione di Gustinetti. Le cronache raccontano di una partita comunque divertente. Grande occasione per l’AlbinoLeffe in avvio di gara con Taibi decisivo su Possanzini. Qualche minuto più tardi, clamoroso palo di un giovanissimo Pazzini, con Acerbis ormai battuto. Al 24’ altra occasione per l’AlbinoLeffe con Taibi ancora protagonista, questa volta su Carobbio. Ci pensa Pazzini, al 41’, a portare avanti gli orobici. L’AlbinoLeffe accusa il colpo e, un minuto più tardi, su azione di calcio d’angolo, Pià infila, di testa, la palla del 2-0. Nella ripresa l’Atalanta gestisce ogni tentativo di reazione degli avversari, chiudendo, definitivamente, la pratica, con Montolivo che, di tacco, serve Lazzari per il definitivo 3-0. Nel post match, Mandorlini, felice per il rotondo successo, non dimentica di complimentarsi con l’AlbinoLeffe: “Inizialmente sono stati più pericolosi, forse perchè erano più vogliosi, o forse semplicemente perchè non ci aspettavamo tutta quella grinta”. Vero, tanta grinta ma, ad oggi, nessuna vittoria contro l’Atalanta, neppure in Coppa Italia…
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foto Image Sport UN GIOVANE PAZZINI: Con l'Atalanta, ha fatto male all'AlbinoLeffe
IL DERBY CON IL BRESCIA: L'Atalanta considera le rondinelle i veri avversari stracittadini
fine. A fine stagione, tutto o quasi secondo copione per la Dea, abile a conquistare l'ennesima promozione, mentre la cenerentola AlbinoLeffe, con le unghie e con i denti, strappò una sudatissima salvezza dopo due infuocati play-out contro l'Avellino. Dopodiché, l'Italia del calcio si fermò per assistere ai due avvenimenti che segnarono quella contraddittoria estate del 2006: il trionfo della Nazionale al Mondiale di Germania e il processo-Calciopoli. Eventi al cospetto dei quali anche il nostro caro derby di Bergamo passò inevitabilmente in secondo piano. Anche perché, oltretutto, per quattro stagioni di fila l'Atalanta avrebbe disputato il campionato di Serie A, traguardo mai raggiunto dall'AlbinoLeffe, e quindi della stracittadina orobica, per un po', si persero le tracce. Sarebbe stata tutta un'altra musica se, al termine della stagione 2007/08, la cenerentola della Val Seriana avesse compiuto il miracolo di superare il più esperto Lecce nella finale dei play-off, ma il successo salentino all'andata e l'inutile pareggio del ritorno privarono la Celeste di quella che sarebbe stata l'impresa più grande della sua storia.
In una storia fatta di saliscendi tra A e B come quella dei nerazzurri, non sorprese più di tanto il fatto che, in quel 2004/05, la massima categoria riservò più ombre che luci. Nel mercato invernale, tre colonne come Giampaolo Pazzini, Damiano Zenoni e l'esperto Demetrio Albertini vennero cedute, mister Mandorlini fu esonerato dopo 14 partite in cui la squadra aveva raccolto solo 7 punti, e così la stagione si trasformò in una lenta via crucis verso il ritorno in cadetteria. Ad accogliere l'Atalanta, un AlbinoLeffe che ormai sguazzava in B con la stessa spavalderia di un'anatra nello stagno. Nel derby di ottobre, in verità, poche storie, visto che la Dea ebbe la meglio sui rivali con un comodo 2-0 (doppietta dell'ex interista Nicola Ventola). Nel ritorno di febbraio, la Celeste, da poco affidata a quell'Emiliano Mondonico già a suo tempo allenatore dell'Atalanta in alcune delle sue stagioni più memorabili tanto in Italia quanto in Europa, fece sudare le classiche sette camicie ai cugini. Vantaggio nerazzurro in apertura a opera di Riccardo Zampagna, annullato dal pareggio del regista albinese Mirco Poloni. Prepotente reazione degli uomini di Stefano Colantuono, con l'uno-due firmato dallo scatenato Zampagna e dal difensore Simone Loria, e poi tutto l'orgoglio del celeste Pierre Regonesi, bravo a trovare su punizione il gol del 2-3 e a tenere in partita i suoi fino alla
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UN COPIONE GIÀ SCRITTO
DOMINIO ATALANTA: Mai una gioia nell'AlbinoLeffe nei sette precedenti...
OMBRE SUL DERBY
Per la gioia degli appassionati bergamaschi, le duellanti tornarono a sfidarsi nella stagione 2010/11, e come al solito l'“Atleti Azzurri d'Italia” non tradì le attese, facendo registrare la più alta affluenza di giornata sia in occasione dell'andata che del ritorno. Gli allenatori erano gli stessi di cinque stagioni prima, Colantuono e Mondonico, ed identica era anche la trama: Atalanta favorita d'obbligo e pronta
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sione di due piccoli centri della Val Seriana a un tiro di schioppo dal capoluogo orobico. Nettissima la supremazia dell'Atalanta, capace di imporsi in tutte e sette le stracittadine, ma un applauso lo merita anche l'AlbinoLeffe, bravo a tirar fuori dal cilindro nove stagioni consecutive in Serie B. E fu proprio in occasione della quarta giornata del campionato cadetto 2003/04, che l'“Atleti Azzurri d'Italia” ospitò il primo duello. Era un'Atalanta appena retrocessa, ma decisa come sempre a tornare al più presto nella classe regina, la compagine agli ordini di Andrea Mandorlini. L'ex portiere di Milan e Manchester United Massimo Taibi, un'ala con alle spalle più di 200 gare in Serie A come Carmine Gautieri e due gioiellini destinati alla Nazionale, ossia l'attaccante Giampaolo Pazzini e il regista Riccardo Montolivo, i suoi punti di forza, ai quali l'AlbinoLeffe cercò di opporre l'entusiasmo di chi non ha nulla da perdere. E si gridò quasi al miracolo, quando, al 57°, l'attaccante Davide Possanzini portò in vantaggio il David della Val Seriana. Durò poco. Il Golia nerazzurro trovò subito il pari con l'ex nazionale Under-21 Alex Pinardi, e poi, a una manciata di minuti dal termine, il neo-entrato Pazzini ristabilì le logiche gerarchie. A febbraio fu tempo di ritorno, con l'Atalanta lanciatissima verso la Serie A e con l'Albinoleffe piazzato in una posizione di classifica tranquilla, addirittura davanti a giganti come Verona, Napoli, Bari e Genoa. A differenza dell'andata, stavolta la Dea dominò in lungo e in largo, cogliendo un 4-0 senza storia, ma a fine stagione tutti poterono festeggiare: i nerazzurri perché promossi in A e la Celeste perché brillantemente salva. Si tornò a parlare di derby di Bergamo il 22 agosto 2004. Per l'unica volta, le duellanti si confrontarono in Coppa Italia, nel girone eliminatorio, ma poco cambia: la forza degli uomini di Mandorlini fu ribadita da un 3-0 che non ammise repliche. I gol? Del solito Pazzini, del brasiliano Piá e di Andrea Lazzari, tre ragazzi usciti dal sempre fiorente vivaio atalantino.
SPECIALE / DERBY DI BERGAMO
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SPECIALE / DERBY DI BERGAMO
COLANTUONO E L’ATALANTA: L’ex tecnico orobico conosce bene l’atmosfera delle sfide da derby…
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SU ENTRAMBE LE PANCHINE Mondonico ha allenato sia l'Atalanta che l'AlbinoLeffe
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TIFOSI CALIENTI: Durante i derby, la passione cresce a dismisura
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a un rapido ritorno in Serie A, AlbinoLeffe orgogliosamente aggrappato alla zona-salvezza e deciso a dare qualche grattacapo ai più celebri cugini. E in effetti, sabato 11 dicembre, fu proprio la Celeste a portarsi in vantaggio grazie al difensore Luigi Sala, ma la risposta nerazzurra non si fece attendere, e così prima un rigore di Fabio Ceravolo e poi una doppietta dell'ex albinese Francesco Ruopolo, ribaltarono il punteggio. Emozioni forti anche nella rivincita in notturna del 16 maggio, e non solo dal punto di vista agonistico. Mister Mondonico era da poco rientrato in panchina dopo alcune settimane di riposo forzato a causa di seri motivi di salute, e a lui venne dedicato l'applauso più forte, non solo da parte dei suoi attuali tifosi, ma anche, ovviamente, di quelli atalantini, che mai hanno dimenticato le esaltanti pagine scritte insieme molti anni prima. Sul campo, almeno nel primo tempo, lo spettacolo era però solo di marca nerazzurra, e questo grazie soprattutto a un giovane centrocampista con dribbling e personalità da vendere: Giacomo Bonaventura. Del futuro milanista (doppietta) e del solito ex ingrato Ruopolo le reti del provvisorio 3-0, una mazzata che avrebbe steso chiunque, ma non il gagliardo AlbinoLeffe, che appena prima dell'intervallo aveva già accorciato le distanze con un bel sinistro dell'attaccante Paolo Grossi. Nella ripresa, veemente reazione degli uomini di Mondonico, che però non seppero andare oltre il secondo gol siglato dall'altra punta Omar Torri. Si chiudeva così sul 3-2, tra gli applausi di tutto lo stadio, l'ultimo derby di Bergamo. Sì, perché da allora l'Atalanta avrebbe definitivamente lasciato la B per trasferirsi in pianta stabile nella massima serie, mentre l'AlbinoLeffe, dopo essersi salvato per il rotto della cuffia nel play-out contro il Piacenza, non sarebbe riuscito a evitare la retrocessione in Lega Pro nel 2012. Ad aggiungere una punta di veleno a questo malinconico epilogo, anche il coinvolgimento, e neppure troppo marginale, di entrambe le società nello scandalo di Scommessopoli, quell'inquietante giro di partite truccate emerso nel 2011, che sarebbe costato ad Atalanta e AlbinoLeffe pesanti penalizzazioni in termini di punti e la squalifica di alcuni tra i loro giocatori più rappresentativi. Un duro colpo da cui il calcio bergamasco si sarebbe ripreso solo recentemente, grazie alle imprese, talvolta esaltanti, della giovane e sbarazzina Atalanta di Gian Piero Gasperini. Ora che del derby di Bergamo si comincia a sentire la mancanza, ritornano alla mente quei 12 duelli in cui prima i dirimpettai cittadini della Virescit Boccaleone e poi le sentinelle della Val Seriana, Alzano Virescit e AlbinoLeffe, hanno provato a ribellarsi al prestigio e alla potenza della Dea. Senza mai riuscirci, d'accordo, ma con l'orgoglio e la consapevolezza di chi si è sempre battuto a testa alta. È questo il vero senso del derby. È questo il vero senso del calcio.
VOGLIA DI NUOVE SFIDE: L'AlbinoLeffe sogna di tornare a sfidare l'Atalanta il prima possibile
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MARCO BALLOTTA
SENZA FINE
Titolare in Serie A a 44 anni, un mito assoluto
BALLOTTA, MEZZO SECOLO DI PASSIONE Il portiere da record che è già storia di Paolo BARDELLI
E
un uomo che il tempo, per più di mezzo secolo, se l’è fatto amico. Una lunga storia che è un piacere rivivere attraverso le parole del suo protagonista.
Ballotta ha salutato il grande calcio pochi anni fa, il suo nome però sembra appartenere ai bei tempi andati, una storia che riappacifica con il calcio. Poco glamour, tutta sostanza, eppure quel ragazzone emiliano è stato un precursore nel suo ruolo passando attraverso due delle squadre più vincenti degli ultimi decenni.
Un record rubato a sua maestà Dino Zoff... "Era il mio idolo da bambino, ritrovarmelo presidente alla Lazio e battere il suo record è stata una soddisfazione incredibile".
La nomea di “grande vecchio” quando ancora vecchio non era, prestazioni da giovane quando giovane non era più. Basso profilo, ma testa bassa mai, una carriera scandita a suon di record, è anche per questo che Ballotta è rimasto ben impresso nella memoria di molti ma non è il solo motivo.
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sistono calciatori che entrano nella storia per lo scintillio di un momento, un guizzo, una prodezza da consegnare ai posteri, poi ce ne sono altri che lasciano il segno senza bisogno di acuti. Marco Ballotta appartiene sicuramente alla seconda categoria, una carriera monumentale, una collezione di record nata da una passionaccia infinita: anche oggi, a 53 anni suonati, non vuole saperne di lasciare il campo.
Una storia capace di ingannare il tempo, recente e al contempo lontana per le sensazioni che trasmette, la storia di
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Partiamo dalla fine, o quasi. 11 maggio 2008 (Genoa-Lazio), titolare in Serie A a 44 anni. Ti rendevi conto di scrivere la storia? "Magari ci pensi ma relativamente, perché a me interessava solo giocare. Senza dubbio non è normale giocare così a lungo... Comunque il record lo avevo battuto due o tre anni prima!".
Legato al concetto di longevità, ma modernissimo nella concezione del ruolo. Hai detto spesso che il portiere è il primo attaccante: le cose sono cambiate negli ultimi anni? "Adesso è all'ordine del giorno, ma quando è cambiata la regola sul passaggio all'indietro e non si poteva più ricevere con le mani per tanti portieri sono sorte difficoltà enormi. Mi riferisco ai vari Tacconi, Zenga e compagnia bella, io con questa norma invece mi trovavo bene perché mi è sempre piaciuto giocare con i piedi. Appena riesci a prendere il pallone, devi cercare il compagno libero, magari un attaccante
per far subito ripartire l'azione". Tra i colleghi che hanno avuto problemi c'è anche il tuo ex compagno Marchegiani, che nel '92 perse la nazionale per un retro-passaggio... "Pagare così a caro prezzo mi è sembrato esagerato, in quell'occasione ha cercato un dribbling che non è riuscito". Una carriera partita dalla Via Emilia, tra la tua Casalecchio, Bologna, Modena, dove hai stabilito un altro record: 9 gol subiti in 34 incontri. Che ricordi restano di questi anni? "Abbiamo subito nove gol, ma concentrati in pochissime partite, dunque in circa 30 partite non ho preso gol ma non ho battuto il record di imbattibilità perché erano gare scaglionate. Eravamo una squadra forte, mister Ulivieri a livello difensivo era un martello, un perfezionista, davvero molto bravo. Con lui abbiamo vinto il campionato, grande soddisfazione perché sono stati gli anni che mi hanno lanciato nel calcio importante perché poi sono andato a Cesena". Una capatina in Romagna, poi la grande occasione Parma. Come è nata questa avventura? “È una storia strana. Sono andato a Cesena, con la promessa che se ci fossimo salvati sarei rimasto in Romagna, altrimenti sarei tornato alla base. Siamo retrocessi, all'epoca sulla panchina del Modena c'era Bersellini e lui non mi voleva perché aveva sentito delle voci poco chiare. Pastorello,
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che è stato il mio ds a Modena, aveva bisogno di un portiere a Parma e mi chiese se volevo andare a giocarmela con Taffarel. A Modena non c'erano le condizioni, ho accettato l'offerta ducale ed è stata la mia fortuna". Ma hai capito subito quanto fosse ambizioso il club? "Non sono andato là per quel motivo. Sono andato là perché c'era Pastorello e perché c'era Tanzi. Hanno vinto il campionato, sono andati in Coppa Uefa, era sicuramente un club prestigioso ma da lì a pensare che avrebbe vinto così tanto... lungi da me". Il Parma meritava di vincere ancora di più? "Siamo partiti vincendo, poi riuscire a costruire una squadra per vincere il campionato è dura. Abbiamo tentato, poi io sono andato via. La società ha provato a vincere il tricolore prendendo giocatori di levatura internazionale ma non c'è stato modo. Mancava solo quello. Giocarsela con le big non era facile, però era stata allestita una squadra di altissimo livello". Poi Brescia e Reggio Emilia, dove 78 78
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incontri Ancelotti. "Si metteva a completa disposizione. Era ancora un calciatore, aveva smesso da un paio d'anni ed era quasi coetaneo dei calciatori. E si comportava come uno di noi, davvero simpatico e sapeva come muoversi perché aveva vissuto negli spogliatoi per tanti anni. Un amico prima che un allenatore. Avevamo allestito la squadra per vincere il campionato, poi le cose si sono messe male e c'era il rischio che venisse esonerato ma noi, i giocatori più esperti della squadra, ci siamo opposti ed è rimasto. Poi siamo partiti e abbiamo vinto il campionato".
è stato pieno di problematiche tra la lui e la squadra. Siamo partiti bene, poi i risultati sono mancati e si è arrivati allo scontro. Non doveva accadere ma è successo, ognuno ha il proprio carattere e nell'arco di una vita capita di non andare d'accordo con qualcuno".
Si capiva che allenatore sarebbe diventato? "Era un predestinato. Vista la carriera che ha fatto e visti gli incroci, se uno arriva a quei livelli non è una casualità. Se fosse stato esonerato quell'anno, si sarebbe rifatto l'anno successivo. Comunque, prevedere così tanti successi non era possibile per nessuno".
Non ti sei mai sentito sottovalutato? "Nessuno mi ha mai regalato niente, quello che ho fatto me lo sono guadagnato. Anche all'ultimo anno di Modena a 40 anni non mi sentivo pronto per mollare. Sentivo dentro qualcosa che bruciava, ero lì lì per fare la prima categoria con amici poi ho chiamato il mio procuratore: 'La prima squadra che chiama, vado. Ho ancora voglia di giocare'. Osti mi chiamò per portarmi a Treviso, ultimo in Serie B. Ho firmato giovedì, sabato ho giocato e abbiamo vinto, alla fine siamo andati in Serie A ed è uno dei migliori campionati
Capitolo allenatori: parlare male non si può, ma chi ti ha fatto penare di più? "Malesani (ride, ndr), l'anno a Modena
Carattere molto diverso rispetto a Carletto... "Sì, completamente diverso. Poi arrivava da certe vicissitudini e voleva premere per tornare in pista e in questi casi si rischia di non essere lucidi. Comunque, acqua passata".
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MARCO BALLOTTA
che abbia giocato". Il rapporto con la Lazio è stato speciale, qual è il segreto della magia? "Con Eriksson e Viganò c'era grande feeling, è importante ritagliarsi il proprio ruolo e comunque cercare di essere utile anche nello spogliatoio. Mi sentivo sempre partecipe dei risultati anche quando non giocavo, poi quando sono stato chiamato in causa ho fatto discretamente e mi sono ricavato il mio campionato, la Coppa Italia. E l'ho pure vinta. Con la squadra che avevamo potevamo ottenere molto di più, quando c'erano le nazionali restavamo in cinque ad allenarci e questo la dice lunga". Hai vissuto due epopee del calcio italiano, Parma e Lazio, finite come sappiamo. Luci e ombre, hai nostalgia di quegli anni o pensi sia meglio ora? "Era un calcio molto diverso, oggi ci sono i giocatori ma mancano gli uomini: si prende tutto troppo alla leggera. All'epoca dovevamo guadagnarci il posto, arrivare non era facile, oggi si fatica meno. Il calcio di prima mi piaceva di più, ora è tutto veloce e poche squadre giocano bene. L'ideale sarebbe mixare le
due epoche. Non mi sento nostalgico, gioco e mi diverto ancora con ragazzi più giovani che per tenermi testa si devono dar da fare (ride, ndr)! Io mi trovo bene perché già da ragazzo ero proiettato nel futuro". Una certa nostalgia però va molto di moda sui social e Ballotta è già un personaggio mitico anche se ha smesso da poco: come mai? "Mi chiamavano 'nonno' già a Roma nel 97! Il tempo passa velocemente e ci ricordiamo sempre meno del passato, invece qualcosa va tenuto a mente perché con il passato si crea il futuro". Raccontaci la cavalcata che ti ha dato un altro record: il più anziano della CL. "Eravamo andati ai preliminari, Peruzzi ha smesso e la società puntò tutto su Carrizo ma ci furono problemi di passaporto. In ritiro c'ero solo io come portiere, ad agosto arrivò Muslera che era un bambino e non era ancora pronto. Affrontai i preliminari di Champions e li abbiamo passati, poi quell'anno tra campionato e coppa giocai una quarantina di partite a 44 anni. Il problema era il recupero, ma per una ventina di giorni ho giocato
addirittura strappato! Per il mister ero indispensabile: 'Marco gioca, poi se non ce la fai chiedi il cambio'. Ho stretto i denti e quando gioco non sento niente". Roma, ma anche Milano. In nerazzurro un altro record e la fascia di capitano... "Io l'anno prima giocavo nella Lazio, dove ho vinto campionato e Coppa Italia, conquistata dopo la finale con l'Inter! Giocai la Supercoppa in nerazzurro all'Olimpico contro la squadra con la quale avevo vinto tutto e Lippi mi diede la fascia da capitano. Giocare in quello stadio da avversario, contro tanti ex compagni, è stata una cosa incredibile". Differenze tra le due metropoli? "Roma ti dà un calore impressionante, si parla di derby venti giorni prima e venti giorni dopo. A Milano se ne parla il giorno prima e il giorno dopo, stop. A Roma, se vinci un derby, ti trovi migliaia di tifosi all'allenamento". Non solo grandi derby, ci racconti l'esperienza da punta tra i dilettanti e quella con il beach soccer? "Mi sono divertito tanto sulla sabbia, è
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L’UOMO DEI RECORD
UN SORRISO PER TUTTI Ballotta è stato apprezzato ovunque ha giocato...
Di Paolo Bardelli Nessuno ha lasciato il segno più di Ballotta…
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una bella occasione per ritrovarsi con vecchi amici ma è una gran fatica! Da attaccante gioco tuttora, devo giocare anche stasera. Finché stai bene fisicamente, non vedo perché dovrei fermarmi. Fisicamente sono ancora in regola".
Lui non pensa a battere record, ma appena calerà un po' sarà lui a dire 'basta'. Non vedo nessuno che possa scalzarlo ed è un problema, perché non può giocare in eterno. C'è Donnarumma, che sta crescendo bene, ma Buffon è ancora il numero uno".
C'è qualcuno in grado di superare i tuoi record, Buffon magari? "Gigi, giocando ad altissimi livelli, continuerà finché si sentirà all'altezza della situazione. Lui lotta per i trofei più grandi, che ti chiedono di essere al massimo e sta dimostrando di essere il più bravo di tutti.
Sarà un cambio epocale. In cosa sono diverse queste generazioni? "Nella passione, io ne ho ancora oggi. I ragazzi ora fanno le cose perché devono farle, quello che mettevo in campo io non lo vedo nei giovani, preferiscono fare altro e fai sempre più fatica a trovare campioni.
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Anche per questo motivo si è abbassato il livello. Io andavo ad allenarmi anche con la febbre, questo oggi manca". Tutti si ricordano di te, ma Ballotta tra dieci anni come vorrebbe essere ricordato? "Voglio essere ricordato come mi ricordano adesso, ogni volta che torno a Roma è sempre una gioia. Penso di aver lasciato un buon ricordo ovunque io abbia giocato, a prescindere dai risultati. Vuol dire che ho dato tutto quello che potevo dare, nulla viene per caso”.
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Ballotta non è bastato stabilire il record di calciatore più anziano a giocare in Serie A, tutto questo alla veneranda età di 41 anni e 203 giorni, no, Ballotta ha battuto il suo stesso primato: per 47 volte. Si è fermato a 44 anni e 38 giorni, un dato pazzesco, altrettanto clamoroso quello fatto registrare in Champions League e non in una partita qualunque. Real Madrid-Lazio dell'11 dicembre 2007, 3-1 per i Blancos ma Ballotta riesce comunque a fare la storia diventando il grande vecchio della principale kermesse europea, anche in questo caso ha migliorato un primato che già gli apparteneva, dopo averlo strappato a Billy Costacurta. Primati in qualsiasi categoria, da ricordare quello stabilito nel campionato di Serie C1 1989/1990, nessuna squadra professionista ha subito meno gol dei 9 in 34 partite incassati da Ballotta. 28 match con la porta inviolata. Scusate se è poco. In occasione del match di Supercoppa, datato 8 settembre 2000, il portiere emiliano è diventato il più anziano esordiente con la maglia dell'Inter, purtroppo per lui dovette incassare quattro gol dalla "sua" Lazio. Numeri da portiere leggendario e pensare che non era neppure il suo ruolo da ragazzo. Nato come difensore centrale, diventa poi attaccante, per poi approdare tra i pali a 13 anni. Da qualche anno è tornato a giocare come punta, tra prima categoria ed Eccellenza, ma i guanti lo reclamano e a 50 anni torna a difendere la porta, quella del Castelvetro. Pensione? Non scherziamo, Marco Ballotta senza imprese da record non sa stare...
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ROAD TO… MONDIALI PIù VICINI
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La Panini lancia Road To 2018 Fifa World Cup Russia…
di IERI e I G G O di I T IS N O G A T I PRO a del G IR O D ’I TA L IA in un ! A IV T A R B E L E C e A IC N U COLLEZIONE
D COL LEZ ION E UFF ICIA LE DI FIG URI NE E CAR
L’attesa per i Mondiali 2018,
in programma in Russia, cresce sempre più. Panini, per avvicinarsi al meglio all’evento calcistico più importante al mondo, ha confezionato un album di figurine da non perdere per nulla al mondo… Parliamo di Road To 2018 Fifa World Cup Russia, la raccolta ufficiale per chi vuole arrivare alla kermesse mondiale con tutte le info e le curiosità del caso. Come sempre, straordinario il prodotto Panini. All’interno dell’album presenti ben 30 delle nazionali più forti. Ogni squadra nazionale avrà due pagine di spazio all’interno della raccolta e ben 16 figurine a rappresentarla. Decisamente intrigante le figurine, in “stile americano”, quindi non nella classica posa Calciatori ma in movimento. Presenti anche tutti i Top Player delle nazionali più amate e vincenti, ossia di Italia, Brasile, Francia, Inghilterra, Spagna, Argentina, Germania e via dicendo… La collezione comprende la bellezza di 480 figurine complessive!!! Essendo una raccolta pensata per le che vedre“avvicinarsi” al Mondiale 2018, spamo in azione in zio solo alle stelRussia. Tutte e 480 le figurine, infatti, sono di calciatori, i veri protagonisti del prossimo Mondiale…
Tutti i CAMPIONI
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SEZIONI STORICHE sul GIRO D’ITALIA Le CARD di tutte LE TAPPE del percorso
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DOVE SONO FINITI
Turone è stato il primo difensore con il feeling per il gol...
NON SOLO “ER GO' DE TURONE”
Si ringrazia Panini per la concessione delle immagini
GIOCATORE MODERNO
Maurizio TURONE
Pupillo di Liedholm, idolo di Franco Baresi, Turone è stato il primo libero offensivo del calcio italiano. Eppure viene ricordato solo per 'quel' gol (annullato) alla Juve...
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1981-82
di Stefano BORGI
he ci volete fare, il calcio è pieno di storie simili. Un episodio, una frase, un gol... ti cambia la vita. O magari te la salva, come diceva la famosa telefonata. È il caso di Maurizio “Ramon” Turone, una carriera in serie A, una Coppa delle Coppe e 4 coppe Italia tra Milan e Roma. Eppure viene sempre e solo ricordato per un gol, “quel” gol realizzato (anzi... annullato) il 10 maggio 1981 al 75' di uno Juventus-Roma decisivo per lo scudetto. “Sinceramente è una cosa che non mi va giù – sbotta Turone - credo di aver fatto un'ottima carriera. Ho giocato in grandi piazze, ho vinto anche un europeo under 16, ho fatto il dirigente a Genova... Eppure tutti mi ricordano solo per quell'episodio”. Una sorta di fantasma che ogni tanto esce e si prende la scena. Ancora oggi, a Roma, 'er gò de Turone' tiene banco: “Certo, la vera rivalità tra Juve e Roma è nata allora. Quel gol è storia del calcio italiano da 36 anni. E sicuramente sono rimasto nel cuore di tanti tifosi: interisti, milanisti, granata, fiorentini. Però vorrei anche andare oltre”.
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C'è qualcosa che non è mai stato detto? Di “quel” gol dico... “Posso dire che, all'inizio, pensavamo fosse Pruzzo in fuorigioco. Non certo io. Quando Roberto colpisce di testa su cross di Bruno Conti. Tra l'altro l'arbitro (Bergamo di Livorno ndr.) lo aveva pure convalidato. Poi, quando ho visto che il guardalinee Sancini aveva annullato ed indicava me, mi sono cadute le braccia”.
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Ha mai riparlato con Bergamo di quell'episodio? “Si, ci siamo rivisti, ne abbiamo ridiscus-
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so. Ma gliel'ho detto, lui l'aveva dato buono, è stato il guardalinee ad annullarlo. E poi a distanza di tanti anni che gli vuoi dire...” Il campionato, tra l'altro, non era mica finito... “Esatto, mancavano ancora due partite e la Juve doveva giocare a Napoli. Partita difficilissima, sulla carta. Poi, chissà come mai, vinsero anche lì. Lasciamo perdere dai...” Ha qualche dubbio? “Io non ho mai creduto alla malafede, nel modo più assoluto. Dico però, che se ti viene a parlare l'avvocato Agnelli non è come se parlasse un altro presidente. Tutto qua. Chiamatela sudditanza, chiamatela come volete. Io so che esiste in tutti i campi, fa parte del genere umano”. Riavvolgiamo il nastro. Come nasce il Turone calciatore? “Un po' per strada, un po' all'oratorio Don Bosco. A questo proposito mi piace ricordare Don Gigi e Don Marcello. E poi Craviotto, detto 'Monzeglio', quello che ci portava in giro a fare le partitelle. Al tempo c'erano gli osservatori delle squadre di serie A che venivano a vederci, così a 16 anni interrompo ragioneria e vado al Genoa”. Perché gli fu dato il nome Ramon? “Successe proprio ai tempi del Genoa. Ramon per la pelle olivastra, perché avevo le tipiche sembianze dell'argentino. E poi ero molto tecnico, sembravo davvero un sudamericano. Devo dire che con i nomi ho sempre avuto un rapporto particolare: fino a quasi 20 anni sono stato Turrone con due erre, perché
Il gol annullato contro la Juve è nella storia. Da 36 anni. Però non mi va di essere ricordato solo per quello. Ho fatto tante cose in carriera
sbagliarono all'anagrafe. Sono diventato professionista col cognome sbagliato, poi l'ho corretto”. A Genova, lei di Varazze, giocava in casa... “Col grifone ho passato 5 anni splendidi. Ero il pupillo di tutti, potevo far ciò che volevo e veniva giù lo stadio. A Genova ho vinto l'europeo Under 16, ho fatto l'Under 18. Quando siamo retrocessi son voluto restare per risalire su, e volevo tornare in serie A col Genoa. Poi mi sono fatto male, siamo arrivati quinti, ed è sopraggiunto il Milan”. Era il 1972, la prima grande occasione... “Fu Rocco in persona a volermi. Venne a vedermi giocare e mi segnalò alla società. In rossonero ho vinto tanto, una Coppa delle Coppe, due coppe Italia. Ma ho
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Il nome Ramon? Perché sembravo un argentino, anche per come giocavo. Molto tecnico, sembravo un sudamericano...
Maurizio TURONE
LA carriera di TURONE
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anche perso uno scudetto all'ultima giornata, nella famosa 'fatal' Verona. Venivamo dalla finale europea di Salonicco, una partita giocata nel fango (vittoria sugli inglesi del Leeds per 1-0 ndr.) Io ero acciaccato, Schnellinger più di me, praticamente eravamo cotti. In seguito ebbi contrasti col presidente Colombo, col DS Vitali, e me ne andai a Catanzaro. Purtroppo in quel momento Liedholm era in Svezia e non poté dire la sua, sennò...”
Lei gioca nella Roma fino al 1982, però mi permetta: per la seconda volta se ne va ad un passo dallo scudetto... “È vero. Al Milan andai via nel 1978 e l'anno dopo vinsero lo scudetto della 'stella'. Alla Roma successe la stessa cosa, vado via e subito dopo vincono il campionato. In quel caso, però, sbagliai
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1971-72
1975-76
io ad andare a Bologna”.
addirittura in serie C”.
Per di più in serie B... “Fui anche sfortunato. Avevo già 34 anni e pensai: torno in serie A, gioco altri due anni a grandi livelli e poi smetto. E invece... L'offerta era di quelle che non si potevano rifiutare. Bulgarelli venne a prendermi a Roma, in più mi avevano dato delle garanzie, la squadra era forte, c'erano dei programmi. Solo che pochi mesi dopo arrestarono il presidente Fabbretti e crollò tutto. Andò tutto a rotoli, finimmo
Se dovesse descrivere il Turone calciatore? “Ero un libero completo. Credo di essere stato il primo libero offensivo del calcio italiano. Ero tecnico e veloce al tempo stesso, giocavo d'anticipo ma ero forte anche di testa. Quanto varrebbe oggi il mio cartellino? Ah, non lo so. Di sicuro prenderei 3-4 milioni d'ingaggio, non come ai miei tempi... (ride ndr.)”
Squadra
SERIE
PRES.
GOL
1968/69
Genoa
B
25
0
1969/70
Genoa
B
22
0
1970/71
Genoa
C
35
6
1971/72
Genoa
B
18
3
1972/73
Milan
A
15
0
1973/74
Milan
A
19
0
1974/75
Milan
A
29
0
1975/76
Milan
A
27
0
1976/77
Milan
A
22
0
1977/78
Milan
A
24
2
1978/79
Catanzaro
A
17
0
1979/80
Roma
A
26
1
1980/81
Roma
A
25
0
1981/82
Roma
A
23
1
1982/83
Bologna
B
20
0
1983/84
Savona
C2
19
1
1984/85
Savona
C2
16
0
1985/86
Cairese
C2
10
0
il mio capitano per tre anni alla Roma, carattere introverso ma persona splendida. Non mi faccia pensare a come è finita...”
1979-80
E adesso Ramon Turone che fa? Non la vediamo tanto in giro... “Adesso faccio il nonno, di tre maschi. I miei due figli hanno giocato al calcio come professionisti fino alla serie B, Alessandro oggi fa l'allenatore in seconda a Livorno con Foscarini. Sono stato fortunato, ho sempre avuto una bella famiglia”.
Si ringrazia Panini per la concessione delle immagini
Un anno a Catanzaro e poi l'offerta del presidente Viola “A Catanzaro, nel 1980, arrivammo in semifinale di Coppa Italia contro la Juventus. E guarda caso ci fu negato un rigore solare che ci avrebbe mandato in finale col Palermo. Guarda caso... Poi a Roma guai se Viola non mi avesse preso, Liedholm mi voleva a tutti i costi. Lo svedese è stato l'allenatore col quale sono andato più d'accordo, per lui ero il capitano in campo. Arrivai all'ultimo giorno di mercato, e solo in quel momento il mister decise di fare la zona. Solo perché c'ero io”.
1978-79
1974-75 Si ringrazia Panini per la concessione delle immagini
Sennò? “Si sarebbe messo di mezzo, questo è sicuro. Liedholm stravedeva per me, sia dal punto di vista tecnico che umano. Era già tutto pronto: in coppia con un giovanissimo Franco Baresi avremmo fatto la zona. Quella che poi facemmo a Roma con Santarini. Io ero un modello per Baresi, mi copiò anche la maglietta fuori dai calzoncini...”
1969-70
Stagione
1977-78
1980-81
Qualche rimpianto? “No, sono orgoglioso della carriera che ho fatto. Anche i due scudetti che non ho vinto non sono un problema. Forse l'unico vero rimpianto è non aver mai giocato nella nazionale maggiore, dovevo andare ai mondiali di Germania nel '74 ma mi strappai pochi mesi prima. E quando passa il treno, difficile risalirci. La verità è che Bearzot non mi vedeva e poi avevo grande concorrenza: Wilson, Facchetti, Scirea... Ricordo anche Carrera, libero del Vicenza. Era fortissimo, peccato che
1982-83 un infortunio gli abbia accorciato la carriera”. Il giocatore più forte col quale ha giocato? “Come idolo ho sempre avuto Franz Beckembauer, ma se devo dire i più grandi con i quali ho giocato dico Rivera e Falcao. E poi Bruno Conti ed Ancelotti. Con Bruno ci sentiamo spesso, Carlo invece sono stato a trovarlo a Monaco... siamo grandi amici. Un altro che voglio ricordare è Agostino Di Bartolomei. 'DiBa' stato
Il riferimento era alla televisione. Oggi tutti parlano di calcio... “Non mi piace. Ho ricevuto tantissime offerte, ma si dicono sempre le stesse cose... mi da fastidio. Anche il calcio di oggi non mi piace: molto veloce, molto fisico, ma c'è poco spettacolo. E poi la gioventù: ai miei tempi bastava una chitarra, un mandolino e ci divertivamo. Oggi non so che fanno, come si allenano: il telefonino, le belle macchine...” Non mi dica che lei non aveva una bella macchina “Io avevo la Porsche. Anzi le dirò di più, ne avevo due: una bianca ed una nera”. Ma sono i colori della Juve... “Si, ma non le ho mai fatte uscire insieme (ride ndr.)”
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L’ALFABETO DEI BIDONI BERTRAND
L’ALFABETO DEI BIDONI / BERTRAND
di Fabrizio PONCIROLI
BERTRAND, IL BELGA ANONIMO
IMPATTO ZERO
Si ringrazia Panini per la gentile concessione delle immagini
Crasson non si è imposto a Napoli, non solo per colpe sue...
Due anni a Napoli, poche prestazioni da ricordare e tanta, troppa superficialità…
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Del belga, terzino fluidificante con tanta gamba, si dice un gran bene. Le cronache parlano di un investimento importante a livello di ingaggio complessivo, circa quattro miliardi delle vecchie lire (era in scadenza di contratto con l’Anderlecht). Il ragazzo si presenta gonfiando il petto: “Non mi sento inferiore a Ferrara”, sottolineando anche una sua presunta dote: “Nelle rimesse laterali, so lanciare il pallone molto lontano”. Parole strambe? Forse… Quel Napoli di Simoni (esonerato ad un mese dalla fine del campionato perché colpevole di aver firmato con l’Inter) non incanta in campionato (chiuderà 13esimo) ma raggiunge la finale di Coppa Italia. Purtroppo per il Napoli e per Crasson, niente successo… La prima stagione del belga è anonima con un momento drammatico: il 18 maggio 1997, al San Paolo, va in scena Napoli-Fiorentina. Il belga è titolare ma, dopo soli 18 minuti, il tecnico Montefusco lo cambia. Nessun infortunio, nessun malore, solo l’approccio, secondo l’allenatore dei partenopei, decisamente sbagliato. Crasson
foto Agenzia Liverani
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remessa: Bertrand Crasson non era, di certo, un campione ma neppure uno di quelli veramente scarsi… All’Anderlecht, il club in cui ha giocato per 12 stagioni (dal 1989 al 1996 e, successivamente, dal 1998 al 2003), è, ancora oggi, molto rispettato. Ben sette i titoli vinti con “Les Mauve et Blanc”, ossia sei campionati del Belgio e una Coppa del Belgio. Aggiungete, a tutto questo, ben 10 anni di militanza, non sempre continuativa, nella nazionale belga (dal 1991 al 2001), con tanto di convocazione per i non fortunatissimi Mondiali del 1998. Insomma, niente male… Eppure, nella sua avventura a Napoli, non lascia il segno, anzi… Siamo nell’estate del 1996, il Presidentissimo dei partenopei Ferlaino ha voglia di ristrutturare la squadra dalle fondamenta. Viene chiamato, per guidare gli Azzurri, Simoni. Ben tre gli stranieri “di lusso” che vengono messi sotto contratto: Beto, Caio e, appunto, Crasson.
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L’ALFABETO DEI BIDONI / BERTRAND
“NON ERA UN DIFENSORE” Di Fabrizio Ponciroli
Colonnese ha giocato al fianco del belga: “Tatticamente soffriva il nostro calcio”
L’ALFABETO DEI BIDONI / BERTRAND
ma, in realtà, non era un difensore. Era, più che altro, un fluidificante offensivo. Ha sofferto molto le sue mancanze a livello tattico. Era abituato ad un calcio molto meno impegnativo tatticamente e, da noi, ha quindi avuto delle difficoltà”. Eppure, sul ragazzo extra campo, solo complimenti: “No, fuori dal campo era davvero uno simpatico. Non usciva tanto nei locali ma amava organizzare delle cene in casa. Sono stato spesso dalla sua famiglia. Era uno a cui piaceva stare con gli altri, uno di quegli stranieri divertenti, a cui piace stare insieme agli altri. Non era per nulla introverso, anzi era davvero simpatico”. Colonnese ha una sua personale convinzione circa l’avventura di Crasson in Italia: “Sono sicuro che se avessimo vinto la finale di Coppa Italia (persa con il Vicenza, ndr),
la sua carriera italiana sarebbe cambiata, proprio come la storia del Napoli. Eravamo, in quella stagione (1996/97), una grande squadra. Ricordo - continua l’ex difensore azzurro - che fino a gennaio eravamo secondi in campionato. C’erano giocatori importanti come Ayala, Cruz, Tagliataleta, Boghossian, Bordin e tanti altri. Purtroppo eravamo un po’ contati in attacco e questo, alla fine, ha influito sul resto della stagione. Perdere quella finale è stata una mazzata. Io me ne sono andato quell’estate ma chi è rimasto ha poi vissuto una stagione difficilissima, conclusa con la retrocessione. Sai, spesso il giudizio su un giocatore dipende molto dai risultati della squadra. Crasson è stato condizionato anche dall’annata orribile del Napoli al suo secondo e ultimo anno in Italia”.
P
er comprendere al meglio la figura di Crasson siamo andati a parlare con Colonnese, ex difensore, tra le altre, dei partenopei. Lui c’era quando il belga è sbarcato a Napoli: “Onestamente era un giocatore poco adatto al calcio italiano. Arrivava dal campionato belga dove svolgeva compiti più offensivi che difensivi. È stato preso come difensore
LA NUOVA AVVENTURA
1989/90 1990/91 1991/92 1992/93 1993/94 1994/95 1995/96 1996/97 1997/98 1998/99 1999/00 2000/01 2001/02 2002/03 2003/04 2004/05
club RSC Anderlecht RSC Anderlecht RSC Anderlecht RSC Anderlecht RSC Anderlecht RSC Anderlecht RSC Anderlecht Napoli Napoli RSC Anderlecht RSC Anderlecht RSC Anderlecht RSC Anderlecht RSC Anderlecht SK Lierse FC Brussels
nazione Belgio Belgio Belgio Belgio Belgio Belgio Belgio Italia Italia Belgio Belgio Belgio Belgio Belgio Belgio Belgio
presenze 1 28 20 32 27 31 12 22 22 30 28 33 32 18 28 11
gol 0 1 2 3 3 2 3 0 0 1 0 2 2 1 0 0
Di Fabrizio Ponciroli
Guida una squadra di calcio in Thailandia con ambizioni importanti
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asta Belgio, meglio la Thailandia. Nel 2012 Crasson si lascia alle spalle tutti quanti e vola in Asia per una nuova avventura. Decide di insegnare calcio, prendendosi in dote una squadra di D2 tailandese (più o meno, la nostra serie cadetta). 90
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Dopo cinque anni di “militanza sul campo”, è voglioso di ottenere il patentino di allenatore per “fare sul serio”. In un’intervista a Walfoot, sito belga, lo stesso ex Napoli ha condiviso la sua filosofia di gioco: “Voglio ridurre al minimo il margine di errore dei miei giocatori. Compiendo meno errori, si prendono meno gol e ci sono più possibilità di vincere la partita”. Chiaro, no? Una volta
preso il patentino, Crasson ha un obiettivo: “Voglio allenare, non mi importa dove. Va bene la Thailandia, così come la Birmania…”. Insomma, meglio volare basso dopo le “sparate” degli ultimi anni. Che prima o poi lo rivedremo in Belgio, magari alla guida del suo amato Anderlecht: “Seguo il campionato ogni settimana. Un mio ritorno? Non escludo nulla”. Attenzione a Bertrand…
foto Agenzia Liverani
Francesco Colonnese
foto Image Sport
stagione
foto Agenzia Liverani
LA CARRIERA DI CRASSON
si sentirà talmente umiliato da scoppiare in lacrime. Nella sua stagione d’esordio in Italia, si esalta solo in una notte di marzo con la casacca del suo amato Belgio. Contro il Galles, inventa un gol capolavoro: saltati un paio di avversari, fa partire un siluro che si insacca all’incrocio (per la cronaca, il Belgio vincerà la partita 2-1). Non molla e spera di rifarsi l’anno successivo. Sogni infranti, complica la peggior annata della storia del Napoli. Ferlaino cambia ben quattro allenatori ma, al termine del campionato, i partenopei, incredibile ma vero, retrocedono in Serie B. È un’annata da brividi per i tifosi azzurri che se la prendono con tutti, anche con Crasson. Il belga, nell’estate del 1998, capisce che l’Italia, e soprattutto Napoli, non fanno per lui (lascia la Serie A con 44 presenze totali e nessun gol). Se ne torna all’amato Anderlecht, dove fa in tempo a vincere altri due titoli nazionali, prima di trasferirsi al Lierse e chiudere la sua carriera da calciatore al Brussels. Nel 2005, a 34 anni suonati, decide che è giunto il momento di ritirarsi. Inizia così una nuova vita. Si diverte a fare il commentatore televisivo delle partite del campionato belga e si cimenta anche nel ruolo di procuratore poi, nel 2011, torna a far parlare di sé ma
in termini piuttosto inquietanti. Dal Belgio rimbalza la notizia che Crasson è finito in manette per aver tentato di strangolare la ex consorte. Ma come? Sembrava così tranquillo… Sarà lo stesso belga a spiegare l’accaduto: “Una questione d’affari. Ho solo detto alla mia ex moglie che stavo per denunciarla perché utilizzava il denaro del mio negozio per scopi personali. Lei ha reagito male e mi ha schiaffeggiato e ha anche cercato di strangolarmi. Abbiamo i lividi entrambi”, le sue parole a diversi media belgi. Una vicenda quasi surreale. Ancora oggi, in rete, è presente il video del “litigio”, registrato dalle telecamere a circuito chiuso del locale… Ma nel 2011 accade dell’altro. Ecco una nuova storia con Crasson, questa volta di “droga”. “C'erano molte flebo all'epoca e non si sapeva cosa contenessero. C'erano analisi delle urine ogni settimana ma è un'ipocrisia... all'epoca c'erano certamente prodotti che non si riuscivano a scoprire nell'urina”, le sue dichiarazioni alla tv belga Rtbf. Altra bufera, c’è chi parla di doping, anche se, di prove reali, non c’è mai stata nessuna traccia. Forse stanco di riflettori e stranezze, Bertrand decide di ricominciare tutto da capo, in Thailandia…
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PARTITE DA RICORDARE FOGGIA-MILAN 2-8
PARTITE DA RICORDARE / FOGGIA-MILAN 2-8
di Thomas SACCANI
L’OTTOVOLANTE DEL DIAVOLO
FENOMENO VERO
Si ringrazia Panini per la gentile concessione delle immagini
Van Basten, una delle colonne del Milan di Capello...
I
l Milan, stagione 1991/92, è passato alla storia per diversi motivi. Primo anno con Capello sulla panchina, Scudetto numero 12 della propria storia, Van Basten capocannoniere del torneo (25 reti) e rossoneri imbattuti per tutta la durata del campionato (22 vittorie, 14 pareggi e, appunto, nessuna sconfitta). L’epilogo di questa straordinaria cavalcata del Diavolo va in scena sul campo del Foggia dei Miracoli, quello targato Zeman. Allo Stadio Zaccheria, circa 25.000 posti a sedere, c’è il pubblico delle grandi occasioni in quel 24 maggio che verrà ricordato, soprattutto, per i 10 gol visti sul terreno di gioco. Il Milan,
reduce dal 4-0 ai danni del Verona, si presenta con la miglior formazione possibile proprio per cercare di chiudere imbattuto il torneo. Dall’altra parte, il Foggia, autore di una stagione da applausi (chiuderà al nono posto, eguagliando il suo miglior piazzamento di sempre in Serie A), punta a sgambettare il Diavolo proprio all’ultima partita dell’anno. Una curiosità: allo Zaccheria è presente, in tribuna, anche Sacchi, l’allora CT dell’Italia e, soprattutto, ex allenatore del Milan. Gli ospiti partono alla grande. Dopo 22’, con un bel colpo di testa di Maldini su cross di Gullit, la squadra di Don Fabio va in vantaggio. Il Foggia non ci sta e reagisce
foto Agenzia Liverani
Il Milan di Capello pasteggia allo Zaccheria con il Foggia di Zeman…
MARCO VAN BASTEN
segue a pag. 96 92
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PARTITE DA RICORDARE / FOGGIA-MILAN 2-8
PARTITE DA RICORDARE / FOGGIA-MILAN 2-8
LE GARE DA 10 RETI…
LA LEGGENDA DI CASILLO
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gol in una sola partita. Sfogliando il libro dei record della Serie A, scopriamo che è accaduto in 23 occasioni. La prima volta nel lontano 8 febbraio 1931 con il Brescia capace di imporsi sull’Alessandria con un netto 7-3. Dal 1950 in poi, 10 reti in un solo incontro si sono viste solo in 11 occasioni. Storico il 9-1 della Juventus ai danni dei “ragazzini” dell’Inter (16 aprile 1961). Indimenticabile l’8-2 con cui il Napoli, il 23 ottobre 1988, sotterra il Pescara (doppiette per Maradona e Careca). Il Milan, dopo l’impresa a Foggia, si ripete il 4 ottobre 1992: 7-3 sul campo della Fiorentina (sempre Capello in panchina, doppiette per Van Basten e Gullit). L’ultima partita da 10 reti risale all’1 maggio 2005: Parma-Livorno 6-4.
Di Thomas Saccani Sulla partita dello Zaccheria aleggia un mistero legato all’intervallo…
I maradona
Di Thomas Saccani I ricordi di un elemento fondamentale del Foggia di Zeman
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IL TABELLINO DELLA GARA FOGGIA - MILAN (2-1) 2-8 FOGGIA: Mancini, Petrescu, Codispoti, Picasso (67' Kolyvanov), Padalino, Matrecano, Rambaudi, Shalimov, Baiano, Barone, Signori. All.: Zdenek Zeman.
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Reti: 22' Maldini, 39' Signori (F), 41' Baiano (F), 47' Gullit, 52' Van Basten, 59' autorete Matrecano, 72' Simone, 74' Simone, 82' Van Basten, 87' Fuser
foto Image Sport
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Arbitro: Collina di Viareggio
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RAMBAUDI: “NOI CERCAVAMO SEMPRE IL GOL”
MILAN: Rossi, Tassotti, Maldini, Ancelotti (46' Massaro), Costacurta, Baresi, Donadoni, Rijkaard, Van Basten, Gullit (73' Fuser), Simone. All.: Fabio Capello.
gilardino
n tutti questi anni non c’è stata nessuna prova inconfutabile, quindi, ciò che stiamo raccontando, è semplicemente una leggenda. C’è chi crede che, in qualsiasi leggenda, ci sia un briciolo di verità. Noi ci limitiamo al semplice racconto di quella che ha più le sembianze di un caso montato ad arte piuttosto che un fatto di cronaca. Si narra che l’allora patron del Foggia Pasquale Casillo, prima della gara contro l’imbattuto Diavolo, fosse arrivato a promettere un sontuoso premio partita nel caso in cui i ragazzi di Zeman fossero riusciti nell’impresa di mandare k.o. il Diavolo dei campionissimi. Al termine della prima frazione, con il Foggia avanti 2-1, Casillo sarebbe andato nello spogliatoio foggiano per ritrattare la sua promessa, preoccupato dall’andamento del match (dopo 45’, i foggiani erano in vantaggio per 2-1). Niente più premio in denaro. Una notizia che avrebbe fatto infuriare alcuni giocatori foggiani. Al rientro in campo, il Foggia appare meno determinato e decisamente più malleabile. Il Milan segna sette gol e vince la partita. La difesa foggiana non fa nulla per rendere complicata la via del gol… Rambaudi, nella formazione titolare di quel Foggia “martoriato” dal Milan, fa chiarezza sull’intera vicenda: “Non c’è stato nulla di strano, nessuna vicenda particolare negli spogliatoi o altro. Semplicemente il Milan, sorpreso dal nostro bel gioco nel primo tempo, ha cambiato marcia nella ripresa e, non appena i suoi campioni hanno cominciato a giocare per davvero, la partita è cambiata. La verità è tutta qui, non c’è nessun mistero”.
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AMELIA
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Di Thomas Saccani Ad oggi, è capitato 23 volte nel massimo campionato italiano
LUCARELLI
ambaudi ha un ricordo vivido di quella domenica di maggio in cui il Milan si impose per 8-2 allo Zaccheria: “Nella prima frazione abbiamo giocato benissimo, tanto da riuscire a chiudere in vantaggio all’intervallo, tra la sorpresa generale. Purtroppo nella ripresa siamo calati, diversi nostri giocatori non erano al massimo, come Shalimov che non stava affatto bene”. 2-8 a parte, il Foggia 1991/92 è considerato, ad oggi, una delle squadre più divertenti e spettacolari mai viste in Italia. In quella meravigliosa squadra faceva la differenza un certo Rambaudi. Insieme a Baiano e Signori, formava il tridente dei sogni: “Ho giocato a Foggia dal 1989 al 1992 e devo dire che sono stati anni straordinari. Siamo cresciuti di stagione in stagione. Tutti sono migliorati, dalla società ai giocatori. Sono stati anni molto divertenti. Il nostro credo era cercare sempre di fare un gol più dei nostri avversari, quello che poi era il credo del tecnico Zeman”. Solo belle parole per il tecnico boemo: “Ai tempi del Foggia era esattamente come è oggi. Aveva le idee chiare, voleva una squadra offensivamente importante. Solo i gradoni sono cambiati, forse prima ne faceva fare di più…”. Una squadra, per certi versi, irripetibile. In quella stagione, 1991/92, il Foggia mise a segno 58 reti, incassandone altrettante: “Tutti noi giocatori eravamo coscienti del fatto che concedevamo tanto ma, nello stesso tempo, sapevamo che eravamo molto pericolosi in avanti. Con il nostro modo di giocare, oltre a far divertire molto, abbiamo fatto parlare di noi a lungo. Ancora oggi se ne parla”. Rambaudi ha rivisto lo splendente tridente di quel Foggia in quello messo in campo spesso da Sarri: “Mi rivedo molto in Callejon mentre Mertens mi ricorda Ciccio Baiano. Insigne potrebbe essere accostato a Signori, anche se Beppe era diverso in molte cose, come talento, sono equiparabili”.
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ZEMAN
con rabbia ribaltando il risultato grazie a Signori prima e Baiano dopo. All’intervallo, a sorpresa, i padroni di casa sono in vantaggio. Alla ripresa il Diavolo decide di inserire le marce alte. Arrivano, in 45’ di gioco (in realtà meno, visto che Collina fischierà la fine qualche secondo prima, causa invasione di campo dei tifosi foggiani), i rossoneri mettono a segno la bellezza di sette gol. Van Basten segna una doppietta, arrivando così a quota 25 gol in campionato (+7 su Roby Baggio, secondo classificato nella classifica marcatori). Il Milan è straripante, quasi surreale. La facilità di andare in rete è quasi imbarazzante (arrivano anche un paio di “regali” da parte del numero uno del Foggia Mancini). Con le otto reti rifilate al malcapitato portiere foggiano, la squadra di Capello chiude il campionato con 74 reti all’attivo, ben 29 in più rispetto alla Juventus, seconda classificata. A fine match, tutti hanno un motivo per festeggiare. Il Milan si gode lo Scudetto e la conquista di un record prestigioso (prima squadra a vincere il Tricolore da imbattuta). Il Foggia, nonostante gli otto gol al passivo, brinda ad una stagione meravigliosa in cui i ragazzi di Zeman, per lunghi tratti del campionato, hanno incantato tutti (nella successiva estate la squadra verrà smantellata)… Nelle interviste post partita, il tecnico rossonero Capello si lascia andare “Devo dire che ci tenevamo molto a questo record, volevamo fare un regalo al nostro presidente. È tutto l’anno che cercavamo la goleada, questa volta ci siamo riusciti. Nell’intervallo ho fatto presente 96
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CAPELLO
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PARTITE DA RICORDARE / FOGGIA-MILAN 2-8
ai giocatori quanto ci tenesse il presidente a questo record e i ragazzi hanno reagito nella maniera migliore”, le sue parole alla Rai. Più “moderato” il bomber Simone, autore di una doppietta: “Esagerato? No, abbiamo solo sfruttato quasi tutte le occasioni che abbiamo avuto a disposizione”. Donadoni svela il segreto della roboante vittoria, puntando il dito anche contro la difesa ballerina dei padroni di casa: “Nell’intervallo il Mister ci ha fatto notare che giocavamo un po’ troppo da fermi. Bisognava aumentare il ritmo. Così, quando siamo tornati in campo, abbiamo cercato di giocare il calcio che sappiamo. Va detto che la difesa del Foggia è apparsa molto ingenua”, il suo commento a La Stampa. Chi non ha voglia di festeggiare è Zeman che, alla Repubblica, confida: “Non mi spiego questo calo e quando succedono certe cose non si ha mai voglia di parlare. Chiedo scusa a tutti perché sono il primo responsabile…”. Il giorno seguente, la Gazzetta dello Sport apre il quotidiano con un eloquente titolo: “Milan – Scudettissimo”, sottolineando il capolavoro dei rossoneri, Campioni d’Italia e capaci di restare imbattuti per 34 giornate (come il Perugia 1978/79 ma, in quel caso, lo Scudetto non arrivò). Con il passare degli anni, il match dello Zaccheria è diventato un racconto epico, da tramandare ai nipotini. Nel 2012, ad esempio, a 20 anni dall’impresa del Diavolo, la Fifa apre il proprio portale proprio con Foggia-Milan 2-8, così da celebrare al meglio la partita che rese quel Milan immortale (oltre che imbattuto).
scovate da
CARLETT
MUTU L'ex campione romeno felicissimo ha dato la notizia sul profilo Instagram della nascita del bimbo.
Calcio 2OOO
MALDINI Ufficializzata la cessione del Milan da parte della famiglia Berlusconi ad una cordata di imprenditori cinesi, numerosi i messaggi d'affetto da parte di ex giocatori, ecco quello di Maldini.
ANTONINI
Foto di gruppo in aereo per i ragazzi dell'Atalanta, grande sorpresa di questa stagione.
Antonini preferisce ricordare l'epopea di Berlusconi elencando tutti i suoi successi.
BALOTELLI
PEROTTI
Un Mario Balotelli giovanissimo qui con il fratello Enock.
Bella questa foto "rubata" in panchina tra il pupone e Perotti.
Festeggiamenti negli spogliatoi dell'Allianz Arena di Monaco per i giocatori del Real Madrid, dopo aver sconfitto il Bayern.
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PALOSCHI
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ROSSI Un grande in bocca al lupo di pronta guarigione lo facciamo a Pepito Rossi dopo l'ennesimo infortunio al ginocchio.
Il DJ/Speaker di RTL 102.5 Carlo CARLETTO Nicoletti seguirà i profili Instagram e Twitter dei giocatori più importanti del pianeta Calcio e ci segnalerà le foto e i tweet più divertenti e particolari. Segnalate quelle che magari potrebbero sfuggirgli scrivendogli al suo profilo Instagram e Twitter: @carlettoweb
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