Uscita dal Jalovec ozebnik foto di S. D'EreditĂ
Edito da: informest Autori: Saverio d’eredità tanja Menegalija, Jože Mihelič e Špela novak Traduzioni: eXiSt Editing: informest Attribuzione delle foto: Saverio d’eredità, Marco battistutta, tanja Menegalija, Jože Mihelič Grafica: rossella picotti
comune di Monfalcone
città di codroipo
Stampa: poligrafiche San Marco Edizione e tiratura: 400 copie Luogo e data di stampa: cormòns, aprile 2015
UNIONE DELLA ROMAGNA FAENTINA
Il materiale elettronico sarà reperibile su: www.juliusproject.eu
Občina Jesenice
RINGRAzIAMENTI la presente pubblicazione è stata realizzata nell’ambito del progetto “JuliuS - Fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale e utilizzo congiunto di infrastrutture sportive nell’area transfrontaliera dalle alpi Giulie all’adriatico”, finanziato nell'ambito del programma per la cooperazione transfrontaliera italia-Slovenia 20072013, dal Fondo europeo di sviluppo regionale e dai fondi nazionali. il contenuto della presente pubblicazione non rispecchia necessariamente le posizioni ufficiali dell’unione europea. la responsabilità del contenuto della presente pubblicazione appartiene all'autore: Saverio d’eredità (informest), tanja Menegalija, Jože Mihelič e Špela novak (parco nazionale del triglav). l’itinerario n.15 è stato redatto da diego Masiello del centro didattico della Forestale di basovizza, che si ringrazia per la gentile disponibilità e per il materiale fornito. le traduzioni sono a cura di eXiSt con Kristina licen. Si ringrazia andreja Grom del Gal carso per il supporto nella revisione del testo.
progetto finanziato nell'ambito del programma per la cooperazione transfrontaliera italia-Slovenia 2007-2013, dal Fondo europeo di sviluppo regionale e dai fondi nazionali. projekt sofinanciran v okviru programa čezmejnega sodelovanja Slovenija-italija 2007-2013 iz sredstev evropskega sklada za regionalni razvoj in nacionalnih sredstev. Ministero dell'Economia e delle Finanze
Saverio D’Eredità · Tanja Menegalija · Jože Mihelič · Špela Novak
Le montagne di Kugy Gli itinerari più belli nelle Alpi Giulie Occidentali ed Orientali
Discesa lungo la Velika Dnina foto S. D'Eredita
INDICE Il progetto Julius........................................................................................................ 7 Uso della guida........................................................................................................... 9 Punti di appoggio e accesso agli itinerari..............................................13 Julius Kugy – La vita. .............................................................................................17
INDICE DEGLI ITINERARI
1| ŠKRLATICA
mt. 2738 - Via normale La prima impresa di Kugy e la nascita dell’alpinismo in Giulie . ...........................................................................................................................22
2| TRIGLAV
mt. 2864 – La via di Trenta Sulla cima del Re . ...........................................................................................................................24
3| LE MADRI DEI CAMOSCI
mt. 2518 - Traversata di cresta Sulle solari vette del Jof Fuart . ...........................................................................................................................27
4| CIMA ALTA DI RIOBIANCO
mt. 2257 - Via Normale Sull’ultima “vetta inaccessibile” . ...........................................................................................................................29
5| STENAR
mt. 2501 - Traversata In due giorni attraverso la Kriska Stena dalla Krnica alla Vrata . ...........................................................................................................................31
6| CANIN
mt. 2587 – Cresta Sud La lunga cresta della montagna lunare . ...........................................................................................................................33
7| VEUNZA mt. 2240 e PONZA GRANDE mt. 2274
Anello dal Lago di Fusine La Grande Cresta delle Ponze . ...........................................................................................................................35
8| BAVŠKI GRINTAVEC
mt. 2344 – Via normale dalla Zadnja Trenta “Il monte friabile” . ...........................................................................................................................38
9| Cima del Vallone
mt. 2368 - Via normale “Roccia pura” . ...........................................................................................................................40
10| JALOVEC
mt. 2643 - Salita da Nord per il Jalovec ožebnik con gli sci Una prima invernale di Kugy . ...........................................................................................................................42
11| JôF FUART
mt. 2666 - Gola Nordest “La via più bella e gioiosa” . ...........................................................................................................................44
12| JôF di MONTASIO
mt. 2754 - Direttissima alla Parete Nord Sulla Nord del “Drago” . ...........................................................................................................................46
13| PRISOJNIK
mt. 2547 - Cresta Ovest Un Natale del 1905 . ...........................................................................................................................49
14| VELIKA MARTULJŠKA PONCA
mt. 2601 - Via normale Un balcone nel selvaggio regno di Martuljek . ...........................................................................................................................51
15| MONTE SPACCATO
mt. 404 - Dalla città al Carso di Basovizza Dove Julius iniziò a sognare i fiori delle Giulie . ...........................................................................................................................53
IL PROGETTO JULIUS Sintesi
Il progetto JULIUS, iniziativa finanziata dal programma transfrontaliero di cooperazione territoriale Italia – Slovenia 2007-2013, intende promuovere attività di formazione e sensibilizzazione verso le attività sportive “nella natura”, offrendo un’immagine nuova e aperta del territorio transfrontaliero italo-sloveno, con una particolare attenzione alle nuove generazioni e alle fasce di popolazione più deboli, quali i diversamente abili. Nella fattispecie il progetto intende migliorare la fruizione congiunta delle infrastrutture sportive e ricreative dell’area transfrontaliera e promuovere la pratica fisica all’aria aperta sia attraverso la riqualificazione/ammodernamento degli impianti sportivi che tramite l’organizzazione di corsi di formazione, manifestazioni, eventi culturali (ad esempio la “Settimana della montagna” o Festival cinematografici) oltre ad una molteplicità di altre iniziative (per citarne solo alcune i campi estivi, le competizioni di arrampicata, proposte indirizzate a bambini e ragazzi, ecc). UN PROGETTO ATTIVO
Molte delle attività di JULIUS si svolgono nei meravigliosi contesti naturali dell’area di confine italiana e slovena, alcune di esse anche riconosciute e protette al livello europeo. Saranno organizzati corsi di introduzione all’arrampicata per ragazzi e giornate di avvicinamento alla montagna e agli sport nella natura, come l’arrampicata, l’escursionismo, la mountain bike e la speleologia con l’accompagnamento di istruttori qualificati e guide naturalistiche. Una particolare attenzione sarà prestata all’inclusione dei diversamente abili, grazie all’organizzazione di corsi di “arrampicata-terapia” mirati a coinvolgere i ragazzi disabili o in condizioni di disagio psicologico: una metodologia nuova ed inclusiva affinché lo sport sia davvero “per tutti”. I partner di progetto collaborano per: - Organizzare corsi di arrampicata sportiva e avvicinamento agli sport nella natura - Attrezzare e riqualificare le infrastrutture per la pratica delle attività sportive - Promuovere manifestazioni sportive per tutti, gare e meeting di arrampicata e speleologia
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PER UNA CULTURA DELLA MONTAGNA
Ispirato alla figura del grande scrittore ed alpinista Julius Kugy, poeta delle Alpi Giulie, JULIUS intende promuovere una cultura della Montagna fatta di rispetto per la natura e apertura verso popoli e culture che condividono uno spazio comune. Uno degli obiettivi del progetto è la valorizzazione della Natura e in particolare del rapporto tra l’Uomo e la Montagna in tutti i suoi molteplici aspetti: Natura significa innanzitutto bellezza di paesaggi che incantano. JULIUS intende quindi stimolare quell’espressività artistica ispirata dal dialogo e dall’interazione tra Uomo e Natura . Nel corso del progetto sono previsti: - Festival dedicati alla Montagna con la partecipazione di alpinisti, scrittori, registi e poeti - Concorsi fotografici, rassegne cinematografiche e letterarie - Pubblicazione di guide e schede informative per facilitare la conoscenza della montagna e del suo ambiente naturale
UN PROGETTO CONCRETO
Nel quadro del progetto JULIUS sono state realizzate delle infrastrutture per la pratica delle attività sportive, in particolare l’arrampicata ma anche per la mountain bike e l’escursionismo. Il progetto JULIUS è un progetto concreto con risultati tangibili e sostenibili nel tempo quali: - il completamento della palestra di arrampicata indoor di Codroipo - la costruzione di una palestra di arrampicata indoor a Postojna, Jesenice e Ljubljana - la riqualificazione del Centro Konver presso Pietra Rossa a Monfalcone - l’allestimento di un centro escursionistico a Brisighella L’accesso alle infrastrutture è garantito anche dopo la fine del progetto a beneficio dell’intero territorio transfrontaliero. ALCUNI DATI
Il progetto è coordinato dal Comune di Monfalcone con la partecipazione del Comune di Codroipo, Ampezzo, l’UNIONE DEI COMUNI DI BRISIGHELLA CASOLA VALSENIO E RIOLO TERME, Informest, GAM Spinea e GAL Carso per l’Italia e il Comune di Ljubljana, Jesenice, Postojna, l’Associazione per la cultura della montagna e il Parco nazionale delTriglav in Slovenia. La durata del progetto è di 3 anni con un finanziamento di 1.313.140,50 €.
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Uso della guida Note generali La presente guida è stata costruita cercando di offrire una visione complessiva della traccia alpinistica di Julus Kugy nelle Giulie. Quasi a voler riproporre il suo percorso di vita, si è voluto mantenere un ordine il più possibile cronologico, selezionando i percorsi più significativi sia da un punto di vista alpinistico che storico. Chiaramente è stata fatta una scelta, basata anche e soprattutto sulla fruibilità dei percorsi proponendo quelli maggiormente accessibili ad escursionisti con un minimo di esperienza alpinistica. Non per questo sono da considerarsi percorsi “facili”: accanto alle vie normali abbordabili per il semplice escursionista si sono accostati percorsi oggi facilitati da attrezzature e ferrate come anche vere e proprie vie di arrampicata e salite invernali. Il tutto per dare una visione completa del Kugy alpinista, il quale vedeva nelle montagne luoghi di contemplazione e ricongiungimento con la natura seppur aspra, piuttosto che “strutture per arrampicare” come egli stesso ebbe modo a dire. Si troverà quindi una selezione di itinerari, a partire dalla prima ascensione ad una vetta inviolata (la Škrlatica) alle salite invernali su Jalovec e Prisojnik passando per percorsi ormai celebri come la Diretta Nord del Montasio e la gola Nord Est del Fuart. Senza dimenticare quelli che potremmo definire “luoghi dell’anima” dell’alpinista e poeta Kugy, come le Madri dei Camosci o gli altipiani del Triglav, proprio per offrire al lettore la possibilità di immergersi nel tempo e nello stile di Kugy. Relazioni tecniche Ogni relazione è accompagnata da una nota introduttiva con cenni storici, riferimenti tecnici (scala delle difficoltà, attrezzatura, tempi e dislivelli) e una descrizione estesa del percorso. Per gli itinerari con base di partenza quale rifugi o bivacchi la descrizione inizia proprio dal punto di appoggio, rimandando alla sezione apposita (Accessi principali e punti di appoggio) i riferimenti per il raggiungimento degli stessi. I tempi sono calcolati sulla base di un escursionista mediamente allenato, capace di coprire un dislivello di circa 400 metri in un’ora in salita e 500 in discesa, fatti salvi casi specifici di percorsi con particolari sviluppi o difficoltà tecniche che possono modificare i tempi di percorrenza. La descrizione comprende la parte di salita e discesa, appositamente distinte e corredate di informazioni sui tratti salienti, le difficoltà e i tempi di percorrenza parziali. Ogni itinerario è stato percorso dai collaboratori alla presente guida e quindi verificato nella sua percorribilità: ovviamente bisogna tenere presente che trattandosi di percorsi in ambiente montano e non antropizzato, essi sono soggetti a normali mutamenti proprio di ogni ambiente naturale. Frane, smottamenti, valanghe, possono compromettere i percorsi così come eventuali attrezzature e segnavia. Prima di percorrere ogni itinerario è buona norma informarsi presso i rifugi in zona o far riferimento a enti (quali ad esempio i Parchi Naturali o associazioni) che hanno evidenza dello stato dei percorsi. Classificazione delle difficoltà Si adotta la classificazione presente nella Guida Monti d’Italia CAI-TCI E
= escursionistico. - Itinerari che si svolgono su sentieri di ogni genere, oppure su evidenti tracce di passaggio in terreno vario di solito con segnalazioni. Possono svolgersi su pendii ripidi, dove tuttavia i tratti esposti sono in genere protetti o assicurati (cavi). Possono avere singoli passaggi, o tratti brevi su roccia, non esposti, non faticosi né impegnativi, grazie alla presenza di attrezzature (scalette, pioli, cavi) che però non necessitano l’utilizzo di equipaggiamento specifico (imbragatura, moschettoni, ecc.). 9
Richiedono un certo senso di orientamento, come pure una certa esperienza e conoscenza dell’ambiente alpino, allenamento, oltre a calzature ed equipaggiamento adeguati. EE
= per escursionisti esperti. Si tratta di itinerari generalmente segnalati, ma che implicano la capacità di muoversi su terreni particolari. Sentieri o tracce su terreno impervio (pendii ripidi e/o scivolosi di erba, o misti di rocce e di erba, o di roccia e detriti). Terreno vario, a quote relativamente elevate (pietraie, brevi nevai non ripidi, pendii aperti senza punti di riferimento, ecc). Tratti rocciosi, con lievi difficoltà tecniche (percorsi attrezzati, vie ferrate fra quelle di minore impegno). Necessitano di esperienza di montagna in generale e buona conoscenza dell’ambiente alpino, passo sicuro e assenza di vertigini; equipaggiamento, attrezzatura e preparazione fisica adeguate.
EEA = per escursionisti esperti, con attrezzature. Questa sigla si utilizza per certi percorsi attrezzati o vie ferrate, al fine di preavvertire l’escursionista che l’itinerario richiede l’uso dei dispositivi di autoassicurazione. Scala delle difficoltà alpinistiche su roccia Si riportano solo la classificazione fino al IV grado dal momento che non sono presenti itinerari con difficoltà maggiori in questa guida. I
È la forma più semplice di arrampicata, bisogna scegliere l’appoggio per i piedi e con le mani si utilizzano frequentemente appigli, ma solo per equilibrio. II Si richiede lo spostamento di un arto per volta ed una corretta impostazione dei movimenti. Appigli ed appoggi sono abbondanti. III La struttura rocciosa è ripida o addirittura verticale, appigli ed appoggi sono meno abbondanti e può richiedere talvolta l’uso della forza. I passaggi non sono ancora obbligati. IV Appigli e appoggi sono più rari e/o esigui. Richiede tecnica e allenamento specifico. Si incontrano camini, fessure, spigoli, ecc. Scala delle difficoltà scialpinistiche e delle difficoltà globali alpinistiche Nella guida sono presenti 2 itinerari proposti in veste invernale. Per ciascuno di essi è stato utilizzata la scala delle difficoltà più adeguata al tipo di percorso, vale a dire quella sci alpinistica (Itinerario n.10 – Jalovec) e quella delle difficoltà globali alpinistiche (Itinerario n. 13 – Prisojnik). Scialpinismo (scala Blachère): MS MEDIO SCIATORE: pendenze mai superiori a 25°, pendii ampi e senza passaggi obbligati; BS BUON SCIATORE: pendenze fino a 40° (esclusa neve dura) e/o passaggi stretti obbligati; OS OTTIMO SCIATORE: pendenze oltre i 40° (o anche meno in presenza di neve ghiacciata) con passaggi stretti obbligati L’aggiunta della lettera A dopo la sigla sta indicare un itinerario con passaggi alpinistici dove è necessario l’uso della piccozza, dei ramponi o della corda. La difficoltà globale tiene invece conto di parametri come la lunghezza dell’itinerario, la ripidezza e la continuità dei pendii, l’esposizione, i pericoli oggettivi, la quota, l’isolamento. Può essere accompagnata dall’indicazione delle difficoltà su roccia e su ghiaccio (ad esempio: grado di pendenza della salita). 10
Essa si esprime con la scala: F facile PD poco difficile AD abbastanza difficile D difficile TD molto difficile ED estremamente difficile Approfondimenti Grazie alla collaborazione del Parco Nazionale del Triglav e del Parco Naturale delle Prealpi Giulie è stato possibile inserire a corredo di alcuni itinerari informazioni a carattere botanico e zoologico. Intento della guida, infatti, non è solo offrire un mero vademecum tecnico, ma informare e sollecitare la curiosità dell’escursionista verso l’ambiente circostante. Questo anche nello spirito di Kugy che proprio nell’interesse verso l’ambiente naturale trovò sempre una fonte di ispirazione e la spinta alla scoperta di queste montagne straordinarie, ancora oggi esempio di natura selvaggia che merita di essere tramandata alle future generazioni. Mappe e foto Gli itinerari sono corredati da documentazione fotografica ripresa sui luoghi percorsi con indicazione dell’autore e didascalia. È stata inserita una carta geografica generale con il mero scopo è di fornire al lettore una rapida visualizzazione della localizzazione del percorso. La cartografia escursionistica è di buona qualità sia in Italia che Slovenia, ma purtroppo difficilmente reperibile nei reciproci paesi. Si fa dunque rimando a questi articoli per una più adeguata informazione circa gli itinerari.
Discesa in doppia dall'Innominata foto di C. Battistuzzo
Bibliografia In molte presentazioni ed introduzioni sono stati inseriti dei passi tratti dai libri di J. Kugy. Le citazioni sono prevalentemente tratte dal libro più importante di Kugy “Dalla Vita di un alpinista”. Per la compilazione corretta dei dati nonché per l’inquadramento storico si è fatto riferimento alla guida CAI-TCI di G.Buscaini “Alpi Giulie” (1974).
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Sulla cima del Jalovec d'inverno Foto di S. D'EreditĂ
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PUNTI DI APPOGGIO E ACCESSI AGLI ITINERARI ITALIA Rifugio Guido Corsi 1874 mt. Situato nella pittoresca conca che giace alla base delle pareti meridionali del Fuart e dominato dalle incombenti sagome dell’Ago e Campanile di Villacco, è sicuramente tra i rifugi più belli delle Giulie grazie alla esposizione solare e la possibilità di effettuare numerose arrampicate ed escursione facendo base qui. L’accesso principale avviene dalla strada Tarvisio-Sella Nevea (ca. 5 km sotto il passo). Da uno slargo (indicazioni) si percorre una a stradina sterrata che si addentra nel bosco per circa 1 km (fin qui possibile arrivare in auto). Dal parcheggio seguendo la monotona pista forestale (segnavia 628) si arriva alle malghe di Grantagar (mt. 1530, 1h). Poco prima delle stesse, sulla destra (tabelle) si imbocca il “sentiero dei tedeschi” che si abbassa in un rio e poi prende salire nel bosco abbastanza faticosamente. Si attraversa un altro canale (incrocio con segnavia 650) quindi per sentiero scavato nella roccia (qualche cavo) e poi per prati si perviene al rifugio (0’45, 1.45 h dal parcheggio) 50 posti letto (4 nel locale invernale), proprietà CAI/SAG di Trieste, tel. +39 0428 68113, aperto generalmente da fine maggio a fine settembre. Itinerari: Madri dei Camosci, cresta (Itinerario n.3) Jôf Fuart, Gola Nord Est (itinerario n.11); Cima del Vallone, via normale (itinerario n.9) Rifugio Luigi Pellarini 1499 mt. Rifugio simbolo della storia alpinistica delle Giulie, sorge al cospetto del più spettacolare circo dei pareti di queste montagne che da qui si ergono come potenti baluardi rocciosi, quali la Cima di Riofreddo e le Madri dei Camosci, oltre ovviamente alla elegante piramide del Jôf Fuart. L’accesso avviene dalla Val Saisera, dalla quale, 3 km più in alto di Valbruna, si segue a sulla sinistra una stradina che conduce al parcheggio a q. 875. Da questo, per pista forestale e facile sentiero nel bosco (segn. 616) lo si raggiunge in meno di 2h. 35 posti letto, proprietà CAI/SAG di Trieste, tel. +39 0428 60 135, aperto da giugno a settembre. Itinerari: Jôf Fuart, gola Nord Est (itinerario n.11) Bivacco CAI di Gorizia 1950 mt. Questo piccolo bivacco a botte classico (più una piccola pertinenza) si trova nell’alto vallone di Riobianco, circondato dalle pareti delle Cime della Scala, Cima del Vallone e Cima Alta di Riobianco. Base per le arrampicate classiche della zona può anche essere utilizzato come tappa per le salite alla vie normali delle cime sopracitate. Lo si raggiunge dalla provinciale Tarvisio – Sella Nevea (ca. 6 km prima del passo) con il sentiero 625, che risale il ripido vallone di Riobianco, passando oltre il Ricovero Brunner, quindi su terreno aperto conduce al bivacco in circa 2 h di cammino. 15 posti letto, proprietà CAI di Gorizia, sempre aperto. Itinerari: Cima Alta di Riobianco, via normale (itinerario n.4); Cima del Vallone, via normale (itinerario n.9) Rifugio Fratelli Grego 1389 mt. Bel rifugio posto su una ampia radura a poca distanza dalla Sella Sompdogna, aperto sull’Alta Saisera ed in vista delle pareti più belle e selvagge delle Giulie. Molto frequentato anche per il facile accesso sia dal lato della Val Saisera (circa 45 minuti dal parcheggio in fondo alla Val Saisera, raggiungibile in auto da Tarvisio via Valbruna e con sentiero 611) che dalla Sella Sompdogna (parcheggio 13
a 10 min. raggiungibile in auto da Dogna con 18 km di stretta strada asfaltata). 20 letti, proprietà CAI/SAG di Trieste, tel. +39 0428 60 111, aperto generalmente da fine maggio a fine settembre, anche se spesso con il bel tempo viene aperto anche i fine settimana successivi. Itinerari: Jôf di Montasio, diretta Kugy (itinerari n.12) Rifugio Luigi Zacchi 1380 mt. Incantevole costruzione immersa nelle fiabesche foreste di Fusine è uno dei rifugi più belli della zona grazie alla recente ristrutturazione e la visuale straordinaria sulle possenti pareti del Mangart. Si raggiunge comodamente dal Lago Superiore di Fusine per comodo sentiero nel bosco (segnavia 512) in 1 ora e 15 di cammino. 22 posti letto, proprietà CAI di Tarvisio, tel. +39 0428 61 195, aperto generalmente da fine maggio a fine settembre e nei mesi invernali da dicembre a marzo. Itinerari: Veunza e Ponza Grande traversata di cresta (itinerario n. 7) Bivacco Costantini 1690 mt Di proprietà della sezione del C.A.I. di Manzano si trova alla base del Mulac, campanile roccioso molto caratteristico, rappresenta una base ideale per effettuare la lunga Alta Via Resiana. È una struttura fissa in lamiera a botte con posti per 9 persone con cuccette con coperte e materassi, dispone anche di tavolino e sgabelli con attrezzature varie da cucina. Si raggiunge dal parcheggio della strada di Malga Coot, in circa 1.30 di cammino lungo il segnavia 731 per facile sentiero prima nel bosco di faggi poi su terreno aperto risalendo la prima parte del canalone della Infrababa. Itinerari: Canin, cresta sud (Itinerario n.6)
SLOVENIA KoCˇa v Krnici (1113 mt) Il rifugio si trova in una radura in mezzo l’ampia conca Carnizza tra i monti di Martuljek, Škrlatica, Razor e Prisojnik. Il rifugio è aperto dal 1 maggio al 31 ottobre, sabato, domenica e festivi. Lungo la strada forestale che prima del ponte sul torrente Velika Pišnica, sotto l’Hotel Erika, si stacca dalla strada regionale Kranjska Gora-Vršič alla malga V Klinu da dove per raggiungere il rifugio bastano 30 min. Posti letto nelle camere 8, posti letto comuni 10, stanza invernale 0. Telefono: +386 31 301 773. Itinerari: Stenar per la Kriška stena (itinerario n. 5) e Velika Martuljska Ponca (itinerario n. 14). PogaCˇnikov dom sul Kriški podi (2050 mt) Il rifugio si trova sull’altura Griva sul ciglio inferiore della pianura carsica Kriški podi. Il rifugio è aperto dal 1 luglio fino all’ultima domenica di settembre. Vi si arriva seguendo Lungo la strada forestale da Log a Trenta lungo la Val Zadnjica fino alla chiusura della strada, da qui al rifugio per comodo sentiero segnalato in 3 h. Raggiugibile inoltre dalla Val Vrata lungo la Sovatna (3h) e dalla Krnica per l’itinerario della Kriška stena (vedi). Posti letto nelle camere 37, posti letto comuni 22, stanza invernale 20. Telefono: +386 51 221 319 Itinerari: Stenar per la Kriška stena (itinerario n. 5)
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Aljažev dom in Vrata (1015 mt) Si erge sul bordo di una radura nella parte superiore della valle di Vrata. Il rifugio è aperto dall’inizio di maggio fino alla fine di ottobre. Si raggiunge in auto seguendo da Mojstrana una strada locale, parzialmente asfaltata, lungo la valle di Vrata, fino al rifugio 5 min, oppure a piedi in 2 h 30. Posti letto nelle camere 29, posti letto comuni 67, stanza invernale 4. Telefono: +386 4 589 10 30, +386 31 384 011, +386 31 221 012 Itinerari: Stenar per la Kriška stena (itinerario n. 5) Dom Planika sotto il Triglav (2401 mt) Il rifugio si erge sull’altopiano Ledine sul lato sud del Monte Tricorno. Il rifugio è aperto da fine giugno a fine settembre. Vari sono gli accessi, tutti attraverso i sentieri che percorrono gli altipiani del Triglav. Da Trenta, attraverso Val Zadnjica e Komar, passando per il rifugio di Dolič in 5 h. Da Rudno polje di Pokljuka, passando dal Vodnikov dom in 5 h, per la strada forestale da Stara Fužina fino al rifugio su Voje, passando per Vodnikov dom in 5’30 h; da Mojstrana fino alla Lovska koča in Krma oltre la Krma Superiore e la sella Konjsko sedlo in 5’30 h; per la strada forestale fino alla malga Blato, oltre la malga Krstenica, Jezerski preval e passando il rifugio Vodnik in 5 h. Posti letto nelle camere 41, posti letto comuni 102, stanza invernale 0. Telefono: +386 51 614 773. Itinerari: Triglav (itinerario n. 2) Rifugio sul DoliCˇ (2151 mt) Il rifugio si erge sulla sella Dolez tra Šmarjetna glava e Kanjavec . Il rifugio è aperto da fine giugno a fine settembre. Come per il Dom Planika vari sono gli accessi; da Trenta lungo la strada forestale fino al parcheggio in Val Zadnjica quindi fino al rifugio in 4 h; dalla strada locale da Ukanza fino al parcheggio nei pressi del rifugio Savica, oltre la Comarcia e lungo la valle dei Sette laghi in 7 h. Posti letto nelle camere 65, posti letto comuni 15 stanza invernale 0. Telefono: +3864 57 44 069 (valle), +386 51 614 780. Itinerari: Triglav (itinerario n. 2)
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Julius Kugy La vita
Negli anni venti e trenta del ventesimo secolo l’oramai attempato Julius Kugy preferiva passare le giornate estive all’ombra fresca delle pareti nord del Jof Fuart e del Montasio nella Valbruna in Valromana. Stava bene nella casa dell’amico Oitzinger, un tempo sua guida alpina e compagno di cordata, l’aquila delle montagne, come usava chiamarlo. La località si estende sotto le sue montagne preferite ed era per lui facilmente raggiungibile da Trieste con la ferrovia. In tutte le Alpi Giulie soltanto la parete Nord del Tricorno, con la forza delle sue vedette altissime, i suoi dirupi profondi e i canaloni neri supera l’imponenza delle pareti ininterrotte del Jof Fuart e del Jof di Montasio sopra Saisera, dove il maestro Kugy ha lasciato la maggioranza delle magnifiche traccie delle sue imprese alpinistiche, invisibili all’occhio inesperto e che hanno fatto conoscere il suo nome al mondo. In quegli anni, scrive Stanko Klinar, gli alpinisti giovani avevano preso l’abitudine di fermarsi, andando in montagna, nella Valbruna in Valromana dal “papà Kugy” per la sua “benedizione paterna” mentre al ritorno correvano da lui con lo sguardo raggiante per raccontargli il loro successo. Era sottinteso, prosegue Klinar maliziosamente, che Kugy venisse messo su un piedistallo come un “padre divino” giuliano e per distribuire i “visti” per la conquista del mondo, laddove la sua mano e la mano dei suoi Komac, Pesamosca e Oitzinger in quei tempi di pionieri romantici non arrivava. Lì sotto la montagna amata ha esclamato il suo saluto nel momento del commiato, un omaggio ispirato alle Alpi Giulie pieno di gratitudine: “Ma il mio ringraziamento viene ancora a te, prima del commiato, o Montasio regale…” Si, il Montasio era di certo la passione più grande di Kugy. Probabilmente non è stato così legato a nessun’altra montagna e nessun’altra gli ha portato tanta fama, ma faremmo un grande torto al vicino Jof Fuart e al Jalovec, la Škrlatica e ovviamente al Tricorno e a molte altre cime delle Giulie Orientali e Occidentali, ma soprattutto al Kugy stesso, dicendo che queste vette non sono state ugualmente amate dal maestro. 17
Ha passato la sua lunga vita a Trieste, ma era nato a Gorizia (1858), la città sull’Isonzo perché in quel momento a Trieste imperversava il colera. Si chiedeva se il suo amore per l’Isonzo e le Alpi Giulie non sia nato lì con lui. Durante la sua infanzia Trieste era una città portuale fiorente e così suo padre decise ben presto di trasferirvisi dalla Carinzia e di fondare una ditta. La madre era figlia del poeta sloveno Jovan Vesel Koseski. Il giovane Kugy ha concluso il liceo tedesco a Trieste per poi laurearsi in diritto all’università di Vienna nel 1882. Spesso passava le vacanze a Lipa nei pressi di Podkloštra (Oristagno) nella Ziljski dolini (valle della Zeglia) dove era nato suo padre forse con il cognome di Kogej o Kogoj. Da Lipa ha fatto le sue prime escursioni in montagna. Una piccola coincidenza durante gli anni di studio ha voluto che, quale appassionato botanico amatoriale, dovette andare in montagna a cercare un fiore miracoloso, la Scabiosa trenta che tanti anni addietro, molto prima di Kugy, nelle Alpi Giulie trovò e descrisse il grande studioso Baltazar Hacquet. Non poteva, dopo tutti quegli anni, sapere che nel frattempo il fiore si era “trasferito” e che l’avrebbe cercata invano, ma ha trovato una cosa del tutto diversa, le montagne della sua vita. Julius Kugy era una persona eccezionale, dottore in giurisprudenza e commerciante all’ingrosso, alpinista e botanico, musicista e forse il migliore scrittore alpino che si conosca, poeta della montagna e umanista. Era un Triestino, Europeo, uomo di mondo a cui il nazionalismo e qualsiasi tipo di politica erano sconosciuti, banali. Ha elevato quello che prima era un semplice libro di viaggio a un livello artistico. Nell’atmosfera creata dai suoi scritti si riesce sempre a sentire che ciò che sta raccontando è veramente accaduto in tutta la sua importanza e bellezza. La forza lirica dei suoi saggi con la sua ricchezza di comparazioni e il vivere appassionato delle bellezze alpine oggi non è per niente minore di allora. Nonostante lo scrivere ispirato e romantico però Julius Kugy era un vero uomo d’azione che durante gli ultimi decenni dell’Ottocento e all’inizio del Novecento sistematicamente scopriva le Alpi Giulie, un alpinista che si arrampicava tenacemente così in estate come in inverno. Ha incontrato i più famosi alpinisti della sua epoca e, quale cittadino benestante, ha sempre potuto ingaggiare le guide migliori, cosa perfettamente normale ovunque in quel periodo. Nei suoi libri ha eretto un monumento fantastico e intramontabile alle sue guide alpine leggendarie della Val Trenta, la Saisera, la Raccolana, l’Alta Valle del Sava. I Komac, Pesamosca, Oitzinger e le altre guide di Kugy sono diventate nomi leggendari e importanti della nostra realtà alpina e alpinistica. Probabilmente il possente Jože Komac- Pavr proprio con lui si trasformò 18
in uno dei migliori arrampicatori del suo tempo nelle Alpi Orientali e perciò quando Kugy preparava delle arrampicate più rischiose chiamava sempre proprio lui. Ma ciò che la Saisera era per Kugy nelle Alpi Giulie Occidentali, la Trenta rappresentava nelle Alpi Giulie Orientali. Quello che sono il Jôf del Montasio e il Jôf Fuart sopra la Saisera, sopra la Trenta sono il Tricorno e Jalovec e sopra la Pišnica la Škrlatica, il Razor e il Prisank. E se nelle Giulie Occidentali ha raggiunto la sua maturità alpinistica e quale scrittore nell’età matura cercava l’ispirazione per la scrittura, nelle Giulie Orientali era venuto con l’entusiasmo e l’energia di un giovane botanico sulle traccie di una misteriosa ammaliatrice, la Scabiosa Trenta che lo ha portato nel mondo che invidiava. La sua prima escursione nelle Alpi Giulie lo ha portato nelle montagne di Bohinj. Quanto sia stato forte l’impressione che hanno avuto su di lui ci racconta l’estratto dal suo primo libro Dalla vita di un alpinista: Lassù regna la solitudine. Diresti che il suo occhio ti fissi immobile. Nulla si muove. La vita, i rumori del mondo son lungi; il suono non giunge fin
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qui. Nessuna corrente che accompagni il tuo viaggio col suo canto. Stai in ascolto e odi soltanto il battito del tuo cuore. Qui devi venire, se vuoi essere solo con te stesso.1 Questi pensieri nella loro forza lirica e poetica ricordano un po’ le famose parole di Cankar, ripetute migliaia di volte, che si riferiscono al momento in cui al Creatore rimane una manciata di bellezza… Ma non soltanto la pace divina del distacco d’alta montagna della zona di Bohinj di allora. Lui è rimasto ammaliato e sorpreso dagli spazi fino ad allora sconosciuti del mondo alpino a cui ha espresso la sua ammirazione con la metafora di un fiore “errante” seduttore e irraggiungibile, che si allontana continuamente dal viandante e lo attrae come la rivelazione della bellezza più alta è perfetta si allontana dall'artista. E sulla ricchezza floreale di Bohinj: “Dov’è il giardiniere? Tutto è così pulito e ordinato”, sospira guardandosi intorno. 1 trad. di ervino pocar 20
Senza dubbio Kugy ha presentato le Alpi Giulie e i loro abitanti al mondo intero con delle parole che non hanno eguali in tutta la vasta letteratura montanara. Nuove vie commerciali e il progredire della crisi economica hanno intaccato la società commerciale della famiglia di Kugy. Insieme al patrimonio ereditato ha cominciato ad andare in rovina. Avrebbe dovuto affrontare la miseria se la montagna, alla quale ha offerto il suo più grande amore, non avesse ricambiato tale sentimento. Così gli ultimi anni della sua vita si è mantenuto scrivendo libri e insegnando, comunicando così al mondo che le Alpi Giulie esistono e che sono degne del più grande rispetto e ammirazione. Molti anni prima, quando era ancora un giovane mercante all’ingrosso senza problemi esistenziali, ha dedicato la sua vita a cose più elevate che lo chiamavano: l’alpinismo, la botanica e la musica. Verso la fine della sua lunga vita invece, quale grande alpinista e studioso delle Alpi Giulie e loro portavoce, cominciò a vivere nella ricchezza della memoria e nello splendore dell’ammirazione dei giovani alpinisti che hanno intrapreso il suo stesso cammino. La sua vita si è conclusa nel 1944 a Trieste, nella sua città alla foce del torrente Rosandra, alla quale ha regalato un organo prezioso e l’orchestra filarmonica che ha fondato da giovane, e nelle vicinanze dell’Isonzo che come al poeta Gregorčič anche a lui portava i saluti dalle sue amate montagne. Jože Mihelič
Bibliografia • Dalla vita di un alpinista, L'Eroica, Milano, 1932. 2ª ed. italiana, Bologna, Tamari, 1967. 3ª ed. italiana, Trieste, LINT Editoriale, 1985. 4ª ed. italiana, LINT Editoriale, 2000 • La mia vita nel lavoro, per la musica, sui monti, Bologna, Tamari, 1969. 2ª ed. italiana: La mia vita: lavoro, montagne, musica Edizioni Ricerche, Trieste, 1993. • Le Alpi Giulie attraverso le immagini, Bologna, Tamari, 1970. • Anton Oitzinger, vita di una guida alpina, Trieste, LINT Editoriale, 1985. 2ª ed. italiana, Trieste, LINT Editoriale, 2001. • Tricorno. Cinquecento anni di storia, Trieste, LINT Editoriale, 2001. • Nel divino sorriso del Monte Rosa, Trieste, LINT Editoriale, 2008. • Dal tempo passato, Libreria Adamo, Gorizia, 1982. • Vojne podobe iz Julijskih Alp: Deveto poglavje (Ljubljana, 1995). 21
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mt. 2738 | Via normale
La prima impresa di Kugy e la nascita dell’alpinismo in Giulie Nel 1880 le maggiori vette delle Giulie erano state già raggiunte. Molte di esse furono salite forse in epoche remote da pastori e cacciatori. Scienziati e botanici si erano poi improvvisati alpinisti estemporanei per raggiungere le cime più alte a scopi prevalentemente geografici o esplorativi. L’alpinismo era quindi ancora una pratica poco diffusa e del tutto saltuaria in quest’angolo delle Alpi ai margini della scoperta. Le maggiori vette erano state tuttavia raggiunte, tranne una. La temibile Škrlatica, allora nota come Suhi Platz (Cima secca) per via dei suoi impervi valloni spogli di alberi e dall’aspetto repulsivo. Un giovane però si aggirava all’epoca tra le valli giuliane attratto da quelle cime e animato da uno spirito nuovo, di scoperta e amore. Eccolo il giovane Kugy che individua dunque il suo primo grande problema. La cima lo respinse diverse volte, ma al terzo tentativo entra in scena un attore decisivo. Andreas Komac, un giovane trentano dalle eccellenti doti alpinistiche, letteralmente si “offre” a Kugy e lo conduce insieme al più titubante Kravanja sulla terza vetta in ordine di altezza delle Giulie. Un’impresa notevole che segna la carriera di Kugy e lo consacra quale nuovo pioniere di queste montagne. L’attuale via normale probabilmente ricalca solo in parte la via originaria che superava il dirupato versante sud della “montagna rossa “ (per la colorazione particolare delle sue rocce), ma intatto rimane il fascino e l’asprezza dei luoghi. Si tratta di un’escursione lunga che richiede allenamento e un minimo di esperienza per muoversi su terreni rocciosi seppure ben protetti con attrezzature.
SALITA Dall’Aljažev Dom si prende a salire per buona traccia nel bosco di faggi che si fa ben presto ripida e faticosa. Si sale dunque decisamente guadagnando quota uscendo un po’ a sinistra dal fitto bosco per attraversare una zona di vegetazione più rada in vista della bella parete nord est dello Stenar. Dopo una traversata verso sinistra si prende a salire in una zona di mughi alternati a salti rocciosi proprio sotto l’impressionate parete e giungendo sul bordo del pianoro Na Rusju dove sorge il Bivak IV (2h). Questa era la zona dove spesso Kugy usava bivaccare sia durante i primi tentativi alla Škrlatica che nel corso delle tante peregrinazioni per queste montagne. Si continua ora verso nord traversando 22
il catino dove sorge il bivacco e portandosi rapidamente sotto un ripido pendio erboso (si tralascia a quota 2071 la traccia che a sinistra porta verso il margine superiore di Na Rusju dove si incrocia la traccia verso KrižKriška Stena - segnale su un masso) che si rimonta affacciandosi sul versante orientale della Dolkova Špica. La si traversa lungamente su ghiaioni e macchie d’erba portandosi alla base del vallone detritico dello Zadnji Dolek aperto tra le pareti della Škrlatica, ora visibile, la Roglica e la Dolkova Spica. Dapprima per roccette, mughi ed erba, poi faticosamente su ghiaione si risale il vallone giungendo al bivio per la via normale (quota 2300, 1h). Qui si abbandona la traccia che conduce alla caratteristica Rdeca
Difficoltà: EEA, passaggi di I e II Tempi: 4.30h in salita, 3.30h in discesa Attrezzatura: normale da montagna ed attrezzatura da ferrata Dislivello: 1800 mt in salita e in discesa
Per approfondire… Zadnji dolek e la finestra naturale nella Škrlatica. Zadnji dolek è il nome di una grande ghiaiosa carnizza tra la Škrlatica e Dolkova špica. Lungo il bordo della carnizza scende un sentiero alpino dal quale si può osservare la conca allargata e approfondita dai ghiacciai. La carnizza viene coperta da tre lati da grandi ghiaioni, il suo fondale invece, a causa delle grandi quantità di neve che si mantiene e a causa della neve sciolta che scioglie la base calcarea fa sì che la carnizza continui ad approfondirsi. Nell’ultima parte della scalata, sotto la cima della Škrlatica, ad ovest la vista si apre su una finestra naturale di forma triangolare. La finestra si è formata su una cresta sottile dove c’erano delle possibilità naturali di perforamento. Durante la disgregazione la parte di calcare meno resistente è stata rimossa e si è formata la finestra. La resistenza del calcare si può ridurre a causa delle pressioni presso la superficie di frattura o a causa degli spazi fra gli strati di calcare dove tende ad accumularsi acqua che si congela e provoca la disgregazione della roccia.
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Tramonto sulla nord ovest della Skrlatica foto di T. Menegalja
Škrbina, dai colori rossastri, per cominciare ad affrontare la parete sud della Škrlatica. Su rocce gradinate si perviene ad una stretta forcella dove iniziano le attrezzature m. 2400 ca. Seguendo le attrezzature si supera un breve camino di roccia solida (II) giungendo ad un piccolo intaglio. Qui si effettua un caratteristico traverso su liscia placca ben attrezzata con cavi e pioli che permette di aggirare un pilastro verticale. Oltre il traverso
si continua più facilmente per cenge con attrezzature fino alla forcella sulla cresta rocciosa meridionale. Il panorama si fa grandioso. Si sale tutta la cresta a tratti sul filo, a tratti quando questo presenta passaggi più verticali sul fianco settentrionale, giungendo quindi in cima (m. 2738 – 1.30h). DISCESA Si segue il medesimo percorso della salita.
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Sulla cima del Re “È il più alto delle Giulie. Dal regno fatato di Zlatorog penetrò nei miei sogni, e li dominò per molti anni. A nessun altro monte ho bruciato tanti incensi. Come mi batteva il cuore e con che ansia lo desideravo, quando sentivo il suo nome consacrato dal tempo, circonfuso di leggenda, annunciante la vicinanza di Dio! (J.Kugy, Dalla vita di un alpinista)”. L’ascesa diretta alla vetta del Tricorno dal fondovalle di Trenta ha atteso a lungo la sua realizzazione. Sembrava che il mondo del mitologico Zlatorog, che unisce il Tricorno e la Val Trenta in un’unica, misteriosa bellezza e grandiosità, intrecciata con gli invisibili veli delle fate, stesse aspettando il suo eroe fiabesco che avrebbe risolto l’arcano e scoperto il suo segreto. Che il momento dell’ascesa fosse maturo divenne chiaro nel 1881 quando è stato aperto il rifugio a Trenta. Così è successo che con la comparsa del rifugio è scomparso un pezzettino del misterioso e fiabesco, tipico carattere della Val di Trenta, nonostante portasse il nome del poeta che per primo ha cantato la canzone di Zlatorog. Kugy sali sul Tricorno per la prima volta ancora da studente. Nella traversata della valle di Krma verso la cima quella volta lo guidò Simon Klančnik – Šimenc di Mojstrana. Negli anni successivi andò lentamente scoprendo le diverse facce della montagna che lentamente lo conquistò e attrasse così tanto che tornò da lei da tutti i lati come sotto l’effetto di un incantesimo. Il sentiero non lo portò sempre in cima. Cercava le visuali dai dintorni più vasti che andassero a sottolineare la sua grandiosità. Così nacque il suo richiamo più famoso, pieno di ammirazione ispirata: Il Tricorno non è una cima, il Tricorno è un regno impressionante, elevando questa montagna ai margini delle Alpi fra i giganti dei massicci mondiali. Nel mondo sentimentale del giovane Kugy ha preso la forma di una montagna magica, la Trenta invece, di una valle montana magica il cui nome cento anni prima Hacquet usò per battezzare la misteriosa Scabiosa Trenta. Quando il famoso botanico triestino Tommasini accese la vena esplorativa del suo giovane amico e, con la proposta di cercare il fiore misterioso, gli regalò il libro di Hacquet “Le piante alpine della Carniola (Plantae alpinae carniolicae)”, probabilmente non sapeva che facendo ciò avrebbe risvegliato uno dei più grandi poeti della montagna e alpinisti di tutti i tempi. “Ed ecco i monti di Val Trenta alzavano le creste bianche e favolose, ampi si aprivano i loro atrii luminosi, e sopra loro sorgeva, meravigliosamente bella, la cupola gigante del Tricorno: lassù vidi la sua rocca”, scrisse Kugy in ricordo di quei tempi. E… la “favola” con cui questa storia comincia aveva raggiunto il suo apice. Era arrivato il suo eroe. La montagna stava aspettando Kugy. 24
mt. 2864 | La via di Trenta
Difficoltà: EEA, passaggi di I e II Tempi: 6.30 h in salita, ore 5 h in discesa Attrezzatura: normale da montagna ed attrezzatura da ferrata Dislivello: 2158 mt in salita e in discesa
Per approfondire… La misteriosa Scabiosa trenta “Ecco la graziosa creatura di luce, sul calice d’argento finemente merlettato, vestita di bianco splendente, trapunta di tenere antere d’oro! Non era ormai una piantina, era una piccola principessa del paese dei sogni.” Così Kugy descrisse la Scabiosa trenta quando vide per la prima volta una sua immagine nel libretto dello scopritore Hacquet. Il botanico italiano Tommasini ha affidato a Kugy il compito di cercare la misteriosa pianta, poiché 100 anni dopo la descrizione non si è più riusciti a trovarla. Il giovane Kugy è stato completamente ammaliato dalla pianta e ha rivoltato ogni angolo intorno al Tricorno e sopra la Val Trenta ma non è riuscito a trovarla. Più tardi ha saputo come si è risolto il mistero: il botanico austriaco Kerner ha scoperto che la pianta nell’erbario di Hacquet in realtà era la Cephalaria leucantha, che oggi in Slovenia cresce nel Litorale. Probabilmente Hacquet ha trovato gli ultimi esempi di tale specie nelle Alpi. Quando il clima si è raffreddato la diffusione della specie si è spostata più al sud.
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Triglav,visione invernale da nord foto di T. Menegalija
SALITA Da Log b Trenti (600 m) lungo la strada verso Versic. Al primo tornante, sulla destra si stacca una strada sterrata verso la Val Zadnjica. Si percorrono 2 km fino allo snodo con il sentiero per Kriški podi. Si prosegue sul fondo di una delle più pittoresche valli delle Alpi Giulie fino al pascolo Planja (fine della strada, 992 m). Qui il sentiero si divide. Quella di destra porta nel Zadnjiški dol e sui Prehodavci, a sinistra invece una comoda mulattiera ci porta lungo la china est della valle montana Korita fino al Luknja mt. 1758 (in italiano: Passo del Forame) tra i massicci Tricorno e Pihavec (in italiano: Cima del Vento). A metà discesa dalla Planja si stacca sulla destra il sentiero per il rifugio Dolič (che use-
remo per tornare). Fino al passo 3.30 h. Ci aspetta subito la parte più difficile, molto ripida, con la ferrata del sentiero Čez Plemenice (ex sentiero Bamberg). Il sentiero poi prosegue in prossimità della cresta fino alla cima delle Plemenice e avanti sugli ampi piani rocciosi (Bovški sneg) sotto la struttura della cima del Tricorno con una vista meravigliosa sulla “Stena” e le cime circostanti. La forcella Triglavska škrbina (2659 m) è ben visibile sulla destra della cima del monte. Dal ghiaione la si raggiunge da sinistra verso destra attraverso una stretta cengia pittoresca. Dalla forcella il sentiero si eleva verso la cima del Tricorno (2864 m) seguendo una larga e facile cresta e si raggiunge la vetta (dalla Luknja fino in cima 3 h).
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DISCESA Scendendo torniamo alla forcella Triglavska škrbina (anche Bovška škrbina). Verso il rifugio Planika scende una ripida valle. I lati dirupati a sinistra della forra sono assicurati. Si seguono le attrezzature quindi per ghiaie al rifugio (1 h). Da Planika su Dolz (direzione sud-est) sotto Rjavec porta un sentiero battuto che sotto la ex caserma militare italiana Morbegna (2520 m) si trasforma in mulattiera. Il passo Dolič (2151 mt, 1 h) dove si trova il rifugio alpino è un vecchio passaggio da Val Zadnjica a Bohinj attraversando la malga Velo polje. Dal rifugio in giù la mulattiera ci porta verso ovest, di nuovo sul punto dove si congiunge con il sentiero Val Zadnjica - Luknja. Da esso si scende verso valle (3h). Dalla forcella Triglavska škrbina si può anche tornare lungo la strada di ascensione fino ai ghiaio-
ni sopra Bovški sneg e da li a sinistra verso la caserma Morbegna e Dolič). L’intero percorso con brevi pause richiede circa 12/13 h. e rientra fra le escursioni più belle delle Alpi Giulie. Il contesto di alta montagna è insuperabile (l’atmosfera severa tra le pareti scoscese in fondo Val Zadnjica, la cresta panoramica e ariosa delle Plemenice, la misteriosa forcella Triglavska škrbina). Riescono a portarla a termine in un colpo solo solamente gli alpinisti più preparati ed esperti. In estate si può pernottare al rifugio Planika o a Dolič. L’escursione si può eseguire anche nella direzione opposta il che è anche più comodo per quanto riguarda il pernottamento, ma la discesa Čez Plemenice sulla Luknja è più difficile che in salita ed in più volgiamo sempre la schiena al Tricorno.
Per approfondire… La “via di Trenta” Per affrontare l’impresa non c’era uomo migliore di Andrej Komac, la leggendaria guida alpina di Kugy. Ha fatto proprio bene il commerciante triestino Albert Bois de Chesne a mettere questo forte cacciatore di frodo a guardia delle sue zone di caccia nella Val Trenta. Insieme a lui Kugy salì per primo sul Tricorno anche in inverno, insieme hanno compiuto la traversata vertiginosa sopra la profondità purpurea della Stena attraversando la cengia di Kugy, insieme hanno fatto anche l’ascensione del Rjavec, il fino ad allora inconquistato “Piccolo Tricorno”. Entrambi sono saliti insieme sul Tricorno anche l’ultima volta. La loro via diretta o direzione di arrampicata dal frontone della Val Zadnjica oggi non la usa più nessuno. Gli abitanti della Trenta conoscevano quel mondo perché sulle Plemenice pascolavano le loro pecore di razza (mantenendo così la razza autoctona dell’animale domestico sloveno). Da qui nasce anche il nome (razza = pleme; n. d. t.). 26
Sotto la cupola superiore del Tricorno hanno raggiunto la cima di Bovški sneg, proprio lì dove oggi molti alpinisti che scendono dal Tricorno sul sentiero che attraversa Plemenice vengono ingannati dal sentiero apparente che ben presto finisce sopra un burrone non assicurato e non marcato. Dopo aver trovato una cengia sottile che sopra Bovški sneg porta sulla forcella del Tricorno, la via per la cima tutto ad un tratto si aprì completamente. In memoria dei conquistatori del Tricorno di una volta Kugy ha scritto: “Per tutte le centinaia di scalatori del Tricorno che da Willonitzer in poi, per 120 anni, si erano arenati al precipizio della cresta est tornando indietro dal Piccolo Tricorno tristi e delusi, la via giusta sarebbe stata questa, e questa la via che li avrebbe portati alla meta.” Forse sarebbe stato più corretto se Kugy invece di scrivere “da Willonitzer” avesse scritto “da Hacquet” che è il vero grande promotore della movimentata storia alla conquista del Tricorno.
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LE MADRI DEI CAMOSCI
ŠKR AT I C A mt. 2518 | Traversata diLcresta
Sulle solari vette del Jôf Fuart Quando non fu il primo a scalarle, Kugy fu spesso il primo a dare il nome alle vette delle Giulie. La sua sensibilità, il senso poetico, la forza evocativa delle sue parole che erano tratti salienti della personalità di Kugy si manifestarono spesso laddove fu lui stesso a dare nomi alle vette allora sconosciute. È questo il caso della corona di cime che incornicia la conche dove sorgono i rifugi Corsi e Pellarini rispettivamente sul versante sud e nord del Jôf Fuart. L’itinerario proposto è ricco di suggestioni “kugyane”: non solo le solari vette delle Madri dei Camosci, ma anche il percorrere tratti dei “cammini degli Dei” – ovvero la famosa cengia che corre anulare attorno al gruppo – e toccare l’esigua punta dell’Innominata rievoca i passi del grande alpinista. Il percorso sfrutta in buona parte il sentiero attrezzato A.Goitan, unico tratto “addomesticato” della Cengia degli Dei che consente di collegare agevolmente e a piacimento le diverse vette, ed è percorribile da escursionisti con esperienza e attrezzatura da ferrata. La salita alle cime richiede invece esperienza alpinistica svolgendosi su terreno non attrezzato con passaggi di arrampicata fino al terzo grado e – per la discesa dall’Innominata – anche una calata in doppia. Lo sviluppo orizzontale del sentiero A.Goitan permette tuttavia di concatenare le salite a seconda dell’estro e del tempo a disposizione, immersi nei luminosi orizzonti delle più belle vette giuliane.
Difficoltà: EEA, tratti alpinistici per le salite alle vette (passaggi di II+) Tempi: variabili in funzione delle salite alle vette; calcolare circa 7 ore andata e ritorno dal Rifugio Corsi, eventualmente riducibili a seconda delle vette raggiunte Attrezzatura: normale da montagna, eventualmente uno spezzone di corda per la salita alle diverse cime, cordini e moschettoni, discensore, attrezzatura da ferrata Dislivello: 1880 mt in salita e discesa
Innominata foto di S. D’Eredità Dal rifugio Corsi si segue il sentiero n.627 fino al bivio per Forcella Riofreddo percorrendo i bei prati sotto le pareti meridionali delle Madri dei Camosci. Si comincia ora a salire verso la forcella su terreno detritico prima e poi per facili roccette (bolli rossi) a ripide svolte. Si sbuca su un ripido pendio d’erba che precede l’arrivo alla bella forcella (1h). Dalla forc. Riofreddo seguire i segnavia del sentiero A.Goitan fino alla grande terrazza ghaiosa che fascia a sud la cima. Risalire la terrazza e poco prima che il sentiero volti sul versante occidentale un po a sinistra dello sbocco di un profondo canale che si apre tra pilastri si individua un ometto. Qui comincia la via normale. Si salgono le ripide rocce sopra il sentiero (II) spostandosi verso il centro del canale. Risalirlo prima al centro poi a destra per ghiaie e rocce friabili portandosi sotto un fascia rocciosa ripida. Qui seguendo gli ometti
ci si sposta prima verso destra su rocce facili ma un po’instabili quando si individua una sottile cornice che permette di rientrare nel solco principale con un esposto spostamento verso sinistra (II+). Da uno spiazzo ghiaioso al centro del canale si affrontano le bianche rocce del lato sinistro, solide ma un po’lisce. Salire per queste rocce (II) guadagnando una forcelletta che affaccia sul versante Nord. Salire per un tratto sul filo su roccette e zolle erbose, poi spostandosi sul lato destra (N/E) e per tracce di passaggio su rocce friabili raggiungere l’ampia cima (1.30 h). Per rientrare sul sentiero A.Goitan si consiglia di scendere per il canalone ovest. Si tratta di una buona alternativa anche alla via normale, su roccia migliore e più sbrigativa anche per la discesa. Dalla cima scendere quindi per ghiaie e roccette verso ovest, seguendo radi ometti e tracce che conducono verso un breve 27
LE MADRI DEI CAMOSCI
caminetto che si scende (II). Scendere arrampicando ora per una piccola rampa di roccia solida che permette di evitare un salto roccioso. Scendere quindi per facili roccette sul fianco sx del canale, con alcuni brevi salti rocciosi non difficilo riportandosi in vista della cengia percorsa dal sentiero attrezzato A. Goitan che si raggiunge scendendo una breve paretina di roccia articolata (0’30 h). Proseguire lungo la cengia senza particolari difficoltà fino ad una forcelletta sotto la caratteristica cuspide della Innominata. Salire seguendo i bolli e le attrezzature della “variante Sud” del sentiero A. Goitan (lato sud dell’Innominata) per una trentina di metri quando si individua un caminetto di solida roccia che stacca sulla destra sopra i cavi (0.15 h) Salire il caminetto con arrampicata divertente che porta sul filo di cresta (ometto). Proseguire sulla destra del profilo dello spigolo lungo una fessura superficiale (sosta attrezzata dopo 30 mt per spezzare il tiro). Sotto l’ultimo salto spostarsi a destra per cengetta erbosa (1 chiodo) e salire in cima per le rocce esposte a nord (ore 0.30 h) Per la discesa pochi metri sotto la cima (lato di salita, guardando verso la Cima di Riofreddo) si rinviene una calata attrezzata. Con 2 calate da 30 mt si ritorna alla base (non conviene effettuare una calata unica per i possibili problemi nel ritiro della corda). Ritornati sulle attrezzature del sentiero, seguirle ancora alcuni
metri in salita fino ad un bel pulpito panoramico con vista spettacolare sulla corona di cime delle Madri dei Camosci. Scendere per un ripido camino verso ovest (attrezzature) fino alla forcella tra Innominata e Torre delle Madri dei Camosci. Sempre seguendo cavi e bolli si risale il versante opposto guadagnando la continuazione della cengia. Con andamento sempre più panoramico ed aereo si aggira interamente il versante sud della Torre delle Madri dei Camosci, affacciandosi quindi sul canale che separa la Torre delle Madri dei Camosci dall’Alta Madre. Raggiunto il fondo del canale si abbandona il sentiero segnalato per salire, senza via obbligata, il vasto impluvio (brevi passaggi di primo grado, roccette ed erba ripida) sbucando sulle ghiaie di una ampio circo tra le due vette che si raggiungono ugualmente senza difficoltà, a destra la Torre e a sinistra l’Alta Madre (1.30 h). Il rientro avviene per la stessa via di salita. Ritornati al sentiero A. Goitan si procede con bel percorso verso ovest e aggirata una parete strapiombante (esposto) ci si affaccia sul versante meridionale del Fuart. Qui ci si ricongiunge con la via normale alla cima del Fuart, che si segue in discesa passando attraverso la caratteristica “Galleria” (foro nella roccia attrezzato) e per roccette con cavi si supera anche l’ultimo salto roccioso. Per sentiero ora facile si scende quindi al Rifugio Corsi (2 h).
Per approfondire… Il camoscio alpino (Rupicapra rupicapra) Il camoscio alpino è riconoscibile dalle corna nere ad uncino e da due strisce scure sul viso chiaro. Mentre gli stambecchi non hanno paura dell'uomo, i camosci sono molto paurosi e all'incontro con un uomo scappano o cominciano a soffiare. I maschi si riuniscono in branchi separati dalle femmine con i cuccioli e s’incontrano solo in tardo autunno durante l'accoppiamento (calore). Si radunano nei pascoli di alta montagna dove si nutrono di erbe, in inverno scendono anche più in basso e rosicchiano i germogli degli alberi. Li incontriamo tra mughi e in alcune zone nei boschi di mezza montagna o montagna. Nelle nostre Alpi sono indigeni e Kugy indica come rifugi dei camosci la Škrlatica, le Madri dei Camosci e Divja koza (Kaltwasser Gamsmutter). In quel periodo erano molto famosi i cacciatori di frodo della Val Trenta che inseguivano i camosci per le cenge rocciose. I cacciatori più audaci menavano i camosci dalla Carniola oltre la Škrbina. Tra questi c'era anche Andrej Komac, la guida alpina più fedele e migliore di Kugy.
Le Madri dei Camosci foto di S. D'Eredità 28
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C I M A A LTA D I R I O B I A N C O
Sull’ultima “vetta inaccessibile” Quale instancabile indagatore di ogni singolo recesso delle sue montagne a Kugy non sfuggirono le cosidette “vette minori”, anche se di minore la Cima Alta di Riobianco ha ben poco. Pur non altissima o imponente la sua forma turrita e slanciata le conferisce una sagoma quasi “dolomitica” che per lungo tempo tenne lontani i tentativi di salita. Serviva una cordata eccellente come quella composta dai “soliti” Kugy e Komac per raggiungere la vetta ancora vergine. Come spesso accadde nel lungo sodalizio tra i due, se Kugy era l’ispiratore Komac vestiva le parti dell’esecutore. Come sulla Škrlatica le sue eccellenti doti alpinistiche gli permettevano di superare con facilità anche i passaggi più impegnativi e soprattutto di individuare con grande astuzia i punti deboli di ogni parete. La via normale alla Cima Alta di Riobianco esemplifica bene lo stile dell’epoca alla ricerca sempre e comunque della via più “naturale” alla vetta stessa. La salita non è particolarmente difficile e si risolve con un paio di facili tiri di corda. Necessaria comunque attrezzatura alpinistica e conoscenza delle manovre visto che la discesa si effettua a doppie.
SALITA Dal Bivacco Gorizia si prende la traccia che, verso sud, punta alla Forcella Alta di Riobianco (mt. 2150), evidente intaglio aperto tra la Cima Alta di Riobianco e le frastagliate creste delle “Cime Piccole”. Si sale subito faticosamente per ghiaie (a volte neve a inizio stagione) e a strette svolte si raggiunge la forcella (0.30 h). La via di salita si svolge lungo l’ampio canale / camino aperto nella stretta parete ovest della Cima Alta di Riobianco. Dalla forcella si imbocca una rampa ascendente verso sinistra portandosi con facili passaggi di arrampicata (II, III) alla base del canalone dove inizia la scalata vera e propria. Si traversa a sinistra e si imbocca un canale che si risale facilmente fin sotto una placca. La si scala (passaggio più difficile, III) nei pressi di un camino, giungendo su una comoda cengia, dove è possibile sostare (circa 50 mt, 2 spit di fermata). Ora salendo rocce divertenti ed articolate verso destra si sale sulla spalla erbosa che domina il canale, a poca distanza dalla vetta. Su terreno ormai facile sfruttando le tracce di sentiero si sale sulla bellissima vetta (1 h dalla forcella).
DISCESA La discesa segue la stessa via di salita, sfruttando gli ancoraggi già presenti in loco. Si ritorna sulla spalla da dove ci si cala da una clessidra con cordini (30 mt) con la quale si arriva al terrazzo poco sopra la forcella. Dagli spit di sosta con altri 20 metri di calata (o anche arrampicando) si arriva alla forcella (0.30 h) e da qui al Bivacco (0.15 h).
Stella Alpina foto S. D'Eredità
ŠKR L AT I C A mt. 2257 | Via normale
Difficoltà: A, passaggi di II e III Tempi: 3.30 in salita, 2.30 in discesa Attrezzatura: dotazione alpinistica, corda da 50 metri, qualche rinvio, cordini e moschettoni. Chiodi già in posto Dislivello: 1277 mt in salita e discesa
Per approfondire… Lo stambecco delle Alpi (Capra ibex) Possiamo riconoscere lo stambecco dalle corna lunghe dalla superficie irregolare, che nel maschio sono più lunghe e più grandi. Gli animali vivono in greggi: maschi da una parte, femmine con i cuccioli dall’altra. In inverno, durante la stagione degli amori i maschi combattono per le femmine sbattendo le corna. Nell’ambiente roccioso sono molto agili e vivono a livelli sopra il mare più alti dei camosci. La mattina e la sera si cibano di erba, germogli, semi e lichene mentre durante il giorno riposano. Tutti gli stambecchi delle Alpi derivano dal parco naturale Gran Paradiso dove è sopravvissuta l’unica popolazione di stambecchi in Europa, le altre sono già state sterminate. Li hanno trasferiti nelle Alpi Giulie a metà del ventesimo secolo (Val Zadnjica). Oggi nelle Giulie li possiamo osservare soprattutto nei dintorni dei Kriški podi, Sovatna e Pihavec, sulla cresta delle Lepe špice e sopra la Val Bavšica, numerosi pascolano sul Jôf Fuart e Jof di Montasio. Ai tempi di Kugy in queste zone non c’erano ancora stambecchi. 29
C I M A A LT A D I R I O B I A N C O
La Cima Alta di Riobianco foto S. D'Eredita 30
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STENAR
K R L AT I C A mt. 2501 |Š Traversata
In due giorni attraverso la Kriška Stena dalla Krnica alla Vrata Gli approcci ai tempi di Kugy non erano mai brevi. Le sue escursioni cominciavano da lontano, dal treno preso a Trieste il venerdi sera alle lunghe marce di avvicinamento per le valli ancora intatte e non percorse dalle strade asfaltate. Kugy era solito passare lunghe notti alla base delle montagne per ottimizzare i tempi ed effettuare le ascensioni in modo da poter essere di ritorno a valle per l’ultimo treno della domenica sera. I tempi sono ovviamente cambiati, ma nelle Giulie in particolare dalla parte slovena ancora oggi l’escursionista è costretto a partire da fondovalle profondi e preventivare lunghe marce di avvicinamento prima di guadagnare le solari vette di queste montagne. Si propone qui un’escursione di due giorni che permetterà di attraversare una delle zone più affascinanti e panoramiche delle Giulie Orientali, quella a cavallo tra il gruppo della Škrlatica e quello del Razor. La meta non è qui soltanto la cima più alta, lo Stenar, quanto piuttosto la traversata in sé stessa che prevede di valicare la parete della “Kriška Stena”, percorrendo poi i suggestivi altopiani del Kriški Podi e pernottando al Pogačnikov Dom. Il giorno successivo, raggiunta la cima dello Stenar e ammirato lo straordinario panorama sulla Nord del Triglav si scenderà per il selvaggio vallone della Sovatna in val di Vrata, culla del grande alpinismo sloveno.
1° giorno Dalla Koča v Krnici (tabelle) proseguire diritti inoltrandosi nella selvaggia Val Krnica, tra le superbe pareti del Razor e del gruppo della Škrlatica per risalire dapprima nel bosco poi su terreno aperto e in parte detritico, macchiato qua e là da verdi e mughi, verso il severo circo che chiude a meridione la valle. Si sale in direzione del grande canalone nevoso sotto le pareti del Razor. Superato il ripido dosso che chiude il canalone, il sentiero prosegue ora meno ripido verso la parte superiore del circo glaciale (v Kotu). Su un grosso masso si rinvengono le segnalazioni per proseguire a sinistra fino alla base della parete dove è posto l’attacco della Kriška Stena (quota 2000 m), in ambiente molto suggestivo di alta montagna (2 h). Seguendo la traccia ben segnalata sulla sinistra, si cominciano a risalire la parete seguendo un sistema di cenge attrezzate cui seguono alcuni tratti di sentiero, paretine e caminetti,
sempre molto esposti e in parte attrezzati con pioli e cavi. Superato un camino ripido la parete si appoggia e si prosegue in diagonale verso sinistra su belle placche di solida roccia fino a raggiungere la spalla detritica a mt. 2289 dove terminano le attrezzature (3 h). Si tralascia la traccia che verso sinistra (Nord) conduce verso il Dovški Gamsovec per imboccare quella diretta al Pogačnikov Dom e il Križ. Si raggiunge così su facile terreno detritico la cresta che chiude il caratteristico altipiano carsico del Kriški Podi, costellato da piccoli laghetti alpini e al cui centro sorge il Pogacnikov Dom. Toccata la cresta la si segue lungo il filo con alcuni brevi passaggi di facile arrampicata (I) che permettono di toccare la bella e panoramica vetta del Križ (mt. 2410, 0.30 h). Si scende ora in direzione sud/est per roccette e detriti, facendo a tratti attenzione per il terreno insidioso traversando il pendio in direzione dello Stenar. Si passa pochi metri sotto l’in-
Difficoltà: EEA, passaggi di I e II lungo la Kriška Stena Tempi: 1° giorno: 5h; 2° giorno: 4.30h Attrezzatura: normale da montagna ed attrezzatura da ferrata Dislivello: 1° giorno, 1300 mt in salita, 350 mt in discesa; 2° giorno, 450 mt in salita, 1500 mt in discesa
Per approfondire… L’orso bruno (Ursus arctos) Nel 1871 i cacciatori della Trenta stavano cercando l’allora ultimo orso della valle. Ancora con la neve lo rincorrevano dai Kriški podi verso la Planja, dove si separarono. Uno dei cacciatori, Anton Tožbar, incontrò l’orso, lo rincorse e gli sparò due volte. L’orso si lanciò verso Tožbar con le sue ultime forze e gli strappò la mascella inferiore insieme alla lingua. Il cacciatore è sopravvissuto. È diventato la prima guida alpina di Julius Kugy, aiutandolo nella ricerca della Scabiosa trenta. Nonostante si dice che Tožbar abbia sparato all’ultimo orso della Val Trenta, questi continuano a tornare. Gli orsi sono solitari, sono degli animali paurosi e preferiscono nascondersi dall’uomo. Diventano pericolosi se si sentono in pericolo. Per la maggior parte sono erbivori, mangiano anche insetti e carcasse, ogni tanto uccidono qualche pecora e così entrano in conflitto con l’uomo. I maschi pesano anche fino ai 200 kg e nonostante la grande massa riescono a correre veloci e nuotano bene. D’inverno solitamente preferiscono andare in letargo. 31
STENAR
taglio della Stenarška Vratca quindi si piega decisamente verso il basso per ghiaione raggiungendo così l’ampia insellatura della Dovška Vratca che mette in collegamento la Val Vrata con la Zadnjca. Dalla sella con bel percorso su terreno ondulato di natura carsica si raggiunge il bel rifugio posto al centro di un caratteristico altipiano carsico circondato dalle vette del Križ, Bovški Gamsovec, Pihavec e soprattutto del Razor (1 h). 2° giorno Si ritorna sui passi del giorno precedente per salire alla Stenarška Vratca (mt. 2295). Qui si piega ora a destra (Est) su una traccia che taglia interamente il ripido ghiaione sotto la parete terminale dello Stenar. Si supera un breve canale roccioso pervenendo ad una panoramica spalla. Con panorma vasto e grandioso si risale la dorsale detritica senza difficoltà giungendo sulla vetta dello Stenar (mt. 2501),
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straordinario balcone aperto sulla nord del Triglav, che da qui si mostra in tutta la sua solenne imponenza (1.30 h). La discesa si svolge per il percorso di salita fino alla Dovška Vratca da dove si comincia a scendere verso est verso il ripido e profondo vallone Sovatna. La discesa è semplice, su una buona traccia per ripidi prati e ghiaioni e conduce verso la testata della val Vrata. Ormai prossimi al limite delle faggete si lascia a destra un sentiero che conduce ad un piccolo bivacco e alla Luknja per piegare a sinistra. Il sentiero attraversa in diagonale il bel bosco di faggi, si oltrepassa una caratteristica sorgente quindi con sempre minor pendenza conduce sul fondo della valle, sotto la grande parete del Triglav. Si passa nei pressi del caratteristico monumento ai partigiani (grande chiodo con moschettone) e in breve si raggiunge l’Aljažev Dom (3 h).
Razor dalla Kriska Stena foto di S. D'Eredità
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M onte C A N I N
La lunga cresta della montagna lunare Il vasto gruppo del Canin domina con la sua mole la pianura friulana ergendosi brusco oltre i profili prealpini come una possente barriera orografica. Si può dire che il Canin sia il “guardiano” delle Giulie: è infatti il primo monte della fascia alpina e le sue lunghe e regolari creste formano quasi una muraglia a difesa delle Giulie. È una montagna dai tratti molto particolari, sia per la sua grandezza che per le peculiarità dei suoi altipiani carsici, veri deserti d’alta quota unici nel loro genere, che conferiscono a questo massiccio un aspetto quasi lunare. Non sfuggì il fascino misterioso del Canin anche a Kugy che descrive in maniera appassionata le vette solitarie e strane di questo massiccio, forse non attraenti dal punto di vista alpinistico ma assolutamente uniche per paesaggi, colori e forme. La salita della cresta sud è senz’altro una dei percorsi di alpinismo facile più remunerativi delle Giulie sia per gli scorci spettacolari verso la pianura e il mare sia per le vedute contrastanti che si possono cogliere sulla profonda e boscosa Valle di Resia da un lato e sull’altipiano del versante sloveno dall’altro. La stessa storia della prima salita di Kugy è molto interessante: dopo una notte passata senza chiudere occhio a causa di una infernale festa danzante in una locanda della valle di Resia, Kugy e compagni si incamminano verso la gigantesca montagna il cui silenzio contrasta con le note incalzanti dei balli. Oggi la lunga cresta è parte dell’Alta Via Resiana, percorso splendido e molto impegnativo dal punto di vista fisico. Qui si propone solo il tratto della cresta verso la vetta del Canin e la discesa per il Picco di Carnizza che è anche quello più interessante: necessita di esperienza alpinistica, attitudine ai percorsi esposti ed eccellente allenamento. Si consiglia il pernottamento al Bivacco Costantini per spezzare la salita e potere godere appieno la bellezza di questo spazio selvaggio nel cuore del Parco delle Prealpi Giulie.
SALITA Dal Bivacco Costantini si sale dapprima costeggiando le verticali pareti del Mulac, poi si traversa verso sinistra il canalone su lastre inclinate spesso bagnate. Raggiunta la sponda opposta del canalone si sale su terreno sempre ripido per sentiero segnalato giungendo infine alla ampia forcella Infrababa (mt. 2025) aperta sul solare versante meridionale e il tormentato acrocoro del Canin (1 h dal bivacco) Qui si volge a nord verso l’ampio spallone del Monte Slebe, la cui prima
parte non presenta particolari difficoltà, per grossi massi e macchie di erba. Giunti sull’anticima dello Slebe si scende qualche metro (esposto) per poi traversare sotto la cima del monte che si raggiunge per canalini e facili roccette (passaggi di II, mt. 2337 ore 0.45h) Dalla vetta si scende per una cinquantina di metri (attrezzature) ad una piccola sella dalla quale per facile ed ampia cresta si perviene sulla seconda vetta della giornata, il Lasca Plagna (mt. 2448)
K R L AT ICA mt. 2587 | ŠCresta Sud
Difficoltà: A, passaggi di II grado, brevi tratti attrezzati Tempi: 6h in salita, 4.30h in discesa Attrezzatura: normale da montagna, attrezzatura da ferrata per la “via Grasselli”, uno spezzone di corda per ogni evenienza Dislivello: 1913 mt in salita, 1938 mt in discesa
Per approfondire… Il Parco delle Prealpi Giulie Il Parco naturale regionale delle Prealpi Giulie, istituito nel 1996, si estende su poco meno di 100 km2 compresi nel territorio dei comuni di Resia, Resiutta, Chiusaforte, Lusevera, Venzone e Moggio Udinese. Include le parti più elevate delle catene del Monte Plauris, dei Monti Musi e del massiccio del Monte Canin, scendendo di quota solo in corrispondenza della frazione di Povici e della Valle del Torrente Mea. Queste zone sono state scelte per il loro grande interesse geologico, naturalistico, paesaggistico e storico – culturale e spesso assumono caratteri peculiari difficilmente rinvenibili altrove. Una particolare specificità è rappresentata dalle comunità locali insediate nella Val Resia e nell’Alta Val Torre che hanno saputo per secoli conservare la loro lingua e le loro tradizioni ed hanno concorso, con la loro laboriosità, a formare il paesaggio del territorio dell’area protetta e delle zone contermini. Stavoli, casere, sentieri, passerelle, prati e pascoli costituiscono testimonianze di una quotidianità che ha convissuto con la natura ed ha plasmato giorno dopo giorno il territorio offrendolo oggi pressoché integro ai visitatori ed agli amanti della montagna. 33
M onte C A N I N
Con percorso sempre aereo e panoramico si percorre la facile dorsale scendendo per un breve tratto e risalendo verso il Cerni Vogu (mt. 2422) terza cima della lunga cresta, che da qui in poi si fa più stretta e rocciosa (1h). Si scende abbastanza ripidamente dalla cima (esposto, fare attenzione al terreno a tratti insidioso e friabile), proseguendo quindi sul filo di cresta, abbandonandolo un brevissimo tratto per scendere dalla parte resiana (ovest) ad una forcelletta. Ora si passa sul versante orientale (sloveno) percorrendo alcune cenge e superando brevi passaggi rocciosi in cresta raggiungendo il caratteristico “Porton Sotto Canin”, da qui inizia l’ultimo balzo verso le due vette del Canin. Superato un primo passaggio impegnativo (II grado) seguono rocce più facili ed appoggiate. Si supera la quota 2429 metri (cippo di confine, possibile deviazione per la “normale resiana” verso Casera Canin) e si continua lungo la cresta che diviene man mano più ampia e agevole fino alla vetta del Canin Basso (mt. 2571, resti di croce, ometto), da cui è ben visibile la cima vera e propria del Canin. Questa si raggiunge senza particolari difficoltà, dapprima abbassandosi leggermente ad una piccola depressione tra le due vette quindi salendo a toccare la croce del Canin, 2587 metri (1.45h). DISCESA La discesa è altrettanto impegnativa e segue la cresta che ora volge verso nord/ovest verso la bella piramide del Picco di Carnizza. Dapprima si segue la facile cresta, seppure esposta, con belle ed impressionanti vedute sia sul ghiacciaio e gli altipiani settentrionali che sul vasto e selvaggio versante sud-occidentale che domina la valle di Resia. Il percorso segue quasi fedelmente la cresta, poggiando un breve tratto sul lato resiano (attrezzature metalliche) per aggirare un salto. Si segue poi il filo della cresta (tratti esposti) quindi nuovamente sul versante resiano abbassandosi per brevi canalini alla ampia insellatura tra Canin e Picco di Carnizza che si raggiunge con breve risalita (tratti attrezzati) 34
fino alla bella cima (mt. 2441, 0.45h). Dalla vetta si segue un primo tratto di ferrata lungo un canale, quindi si comincia a scendere più ripidamente in parete. Segue un impegnativo tratto verticale (staffe, cavi, faticoso) che si scende fino ad una piccola cengia verso sinistra per riguadagnare il filo di cresta e quindi le ghiaie alla base della parete dove finiscono le attrezzatura. Per sentiero si percorre una crestina erbosa che conduce alla Sella Grubia e al Bivacco Marussich posto poco sotto questa sul versante settentrionale (0’45 h dalla cima del Picco di Carnizza 1.30h dalla cima del Canin). Da qui in poi le difficoltà sono esclusivamente escursionistiche. Il percorso di rientro è tuttavia ancora molto lungo e su terreno impervio. Dalla Sella Grubia si rientra lungo il selvaggio vallone del Rio Ronc, che scende molto ripido sotto le pareti del Picco di Carnizza. Si segue quindi il segnavia 657 che con stretti tornanti perde rapidamente quota. Si traversa quindi lungamente per prati, si oltrepassano i ruderi di una casera risalendo poi brevemente ad una dorsale (Tapotsarton). Il sentiero ora entra in un bosco rado scendendo ripido fino al bivio con il sentiero 657 che permette di rientrare a Coritis (3 h dalla Sella Grubia).
Sulla cresta del Canin foto Marco Battistutta
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VEUNZA PONZA GRANDE
La Grande Cresta delle Ponze Il circo di vette che chiude a semicerchio la splendida conca di Fusine forma uno degli scenari più spettacolari e idilliaci delle Alpi Orientali. È il gruppo del Mangart, dominato dall’inconfondibile “cupola” della sua cima e circondato da una alta muraglia di impressionanti pareti verticali che si alzano improvvise dalla foresta di Fusine. In questo straordinario scenario poche sono le vette facilmente accessibili agli escursionisti e tutte comunque richiedono esperienza e capacità. Lo stesso Kugy qui faticò a trovare delle vie abbordabili e spesso fu costretto a tornare indietro, fedele alla sua etica che prevedeva sempre di scalare la montagna lungo linee naturali e senza forzature. Oggi i sicuri cavi delle vie ferrate non piacerebbero senz’altro allo “zio Giulio”, ma permettono anche all’esperto escursionista di provare l’ebbrezza di cavalcare questa lunga, aerea cresta rocciosa. Tuttavia proprio su questa lunga e bella cresta Kugy e le sue guide furono i primi a passare, sfatando il mito della “lama del coltello”, che aveva tenuto alla larga i valligiani dall’affrontare il filo del crinale. L’itinerario proposto combina la salita per la “Via della Vita” una delle ferrate più note ed impegnative delle Giulie che permette di raggiungere la selvaggia vetta della Veunza e lungo il filo della cresta si dirige verso le Ponze, dalle quali si rientra poi a Fusine. Si tratta di un percorso lungo ed impegnativo che si svolge su terreno spesso molto esposto, seppure ben assicurato, che richiede una buona esperienza ed allenamento. Senza dubbio tra le più belle cavalcate di cresta di tutte le Alpi Giulie sospesa tra i boschi di Fusine e quelli di Val Planica, in vista dei “giganti” delle Giulie, ovvero Mangart e Jalovec. In considerazione della tipologia di itinerario è assolutamente indispensabile tempo stabile, la cresta è molto esposta in caso di temporali!
SALITA Dal Rif. Zacchi si imbocca la strada forestale verso sud (tabelle) per si segue per circa 300 mt fino ad un bivio sulla sinistra (tabelle con indicazoni per la “Via della Vita”) dove una traccia entra nel rado bosco (sentiero 513). Seguire il bel sentiero tralasciando la traccia verso la Strugova che stacca a sinistra, e con andamento ondulato attraversare la suggestiva conca dell’Alpe Vecchia che posa ai piedi della muraglie del Mangart. Giunti ad un’ampia radura si abbandona il sentiero per staccare a sinistra (tabella) su un ripido sentiero che sfrutta il solco di
un torrente. La pendenza aumenta, e tra macchie di mughi e lisce placche si attraversa un colatoio verso sinistra sotto le selvagge pareti del Piccolo Mangart di Coritenza. Si traversa ancora verso sinistra, superando uno sperone tra radi larici e affacciandosi nel severo circo della Sagherza. Qui comincia la faticosa risalita di un ghiaione (presente nevaio fino a tarda estate) tendendo verso sinistra alla base delle caratteristiche pareti stratificate e concave della Veunza. L’attacco (mt.1810, targa in alto sulla roccia e una freccia rossa evidente, 1.30 h) può presentare problemi in
mt. 2240 Š–K mt. 2274 R L AT I C A Anello dal Lago di Fusine Difficoltà: EEA, passaggi di I e II Tempi: 4.30 h alla Veunza, 8 h alla Ponza Grande; 3 h in discesa Attrezzatura: normale da montagna ed attrezzatura da ferrata. Utile uno spezzone di corda con alcuni moschettoni e cordini per assicurare persone meno esperte Dislivello: 1650 mt in salita; 1500 in discesa
Per approfondire… La stella alpina (Leontopodium alpinum) Chi non conosce la stella alpina, questo fiore dall’apparenza vellutata? I fiori apparentemente sono effettivamente formati da calici e questi da innumerevoli fiori. I calici sono attorniati da bianche foglie pelose che ricordano i petali di un fiore e così un grande fiore apparente attrae gli impollinatori. Secondo Kugy da noi le stelle alpine più belle crescerebbero a sud della Luknja: “così una volta lì trovai una pianta che da una radice spuntarono cinque gambi di oltre venti centimetri e ognuno portava una stella grande come un tallero.” Già Kugy si arrabbiava con gli scalatori che strappavano le stelle alpine e ha scritto che essi le dovrebbero proteggere. Effettivamente la Stella alpina è stata la prima pianta protetta sul territorio sloveno. Se la trapiantiamo nella pianura perde la maggior parte del suo fascino - diventa meno pelosa, più verde, i suoi gambi si allungano, perciò va ammirata nei suoi luoghi di crescita. Nonostante la Stella alpina sia considerata simbolo delle Alpi è diffusa anche nei Pirenei, nei Carpazi e nel nord della penisola Balcanica. 35
VEUNZA PONZA GRANDE
caso il crepaccio terminale sia molto profondo e staccato dalla parete. Talvolta è possibile passare dentro il crepaccio e attaccare le lisce rocce di un breve camino (II, roccia liscia non facile) cui seguono una serie di piccoli canali e rampe attrezzate che conducono ad una prima cengia. La si segue lungamente e a al suo termine si sale alcuni metri per rintracciare una seconda cengia, parallela e più alta della prima che riporta in direzione opposta sulla verticale dell’attacco. Qui le attrezzature sono più discontinue ma il terreno è facile sebbene sempre molto esposto. Si entra così in colatoio dalla caratteristica forma a “U” dall’aspetto tetro e selvaggio (esposto alla caduta di sassi). Lo si traversa salendo per lisce placche attrezzate (verificarne lo stato, a causa di valanghe, temporali e cadute di sassi sono spesso molto rovinate) e per una ripida parete (gradini distanti) si sale ad una strettissima cengia. In grande esposizione, ma ben assicurati al cavo si traversa 10 metri a destra fino al suo termine sotto una parete verticale. Ora seguendo le attrezzature si sale faticosamente la parete soprastante sfruttando gradini infissi nella roccia. Usciti dal tratto più verticale si compiono alcuni piccoli spostamenti a sinistra per prendere un ampio diedro colatoio (staffe), poi la verticalità si attenua e segue un tratto più facile dove però diminuiscono le attrezzature (fittoni per eventuale sicura con spezzone di corda). Oltrepassate alcune cenge si supera un ultimo tratto verticale (scaletta) che permette di guadagnare un ghiaione ormai prossimi alla forcella Sagherza (1.30 h). Non si tocca la forcella ma seguendo i bolli si svolta a sinistra in direzione della Veunza. Ripide roccette instabili e un piccolo ghiaione permettono di guadagnare una ampia forcella detritica (quota 2274) dalla quale per facile e ora panoramica cresta si tocca la vetta della Veunza (mt 2340, 0.30 h, 3.30 h dal rifugio). Inizia ora la parte più spettacolare che percorre la cresta delle Ponze. Si continua lungo il crinale, contornando il caratteristico catino sospeso chiuso tra le vette della Veunza affacciandosi 36
sopra un tratto ripido e quasi verticale. Lo si scende in esposizione (cavi) e con diagonale verso sinistra ci si porta sopra la profonda gola che scende dalla Forca di Fusine. Si scendono due tratti verticali posando il piede nel canalone, attraversandolo con attenzione verso le rocce della Strugova che si risalgono lungo una placca inclinata insidiosa (attrezzature). Da qui il percorso, non difficile ma esposto, richiede cautela: si passano sempre sul versante italiano i tratti più impegnativi e lungo l’accidentato crinale si tocca la solitaria vetta della Strugova (mt. 2265, 1.30 h). Si scende lungo la cresta, poggiando sempre sul versante italiano (ovest) per aggirare i tratti più difficili seguendo cenge con alcuni cavi, approdando alla ampia sella Strugova. Da qui in poi il percorso non pone alcun problema di orientamento: si segue fedelmente il filo di cresta, spettacolare ed aereo, con vedute impressionati sulle pareti della conca di Fusine e della Val Planica. Alcuni tratti esposti ed affilati richiedono sicurezza di passo e attenzione. Si scavalca dapprima la vetta della Ponza di Dietro (mt. 2242, 1h), quindi ci si cala verso la Forca Rossa per ripido pendio erboso sul versante Ovest, insidioso soprattutto se bagnato (vecchie attrezzature): si transita per la piccola forcella (mt. 2149) e si riprende l’andamento della cresta arrotondata e piacevole toccando la cima della Ponza di Mezzo (mt. 2230, 0’45 ) dalla quale si scende a Forcella Planizza (mt. 2156 possibilità di discesa diretta allo Zacchi). Si procede ora sul filo di cresta, a tratti affilato ma assicurato. Al tempo di Kugy questo era uno dei tratti più difficili e temuti, descritto come la “lama di coltello”, ma che oggi non desta particolari problemi. Si scavalcano alcune piccole sommità, si passa un’altra forcelletta dalla quale si prende a salire sul lato orientale della Ponza Grande, ultima vetta della traversata di cresta (mt. 2274, 0.45 h, 3.30 h dalla Veunza).
VEUNZA PONZA GRANDE
Mangart dalla cresta delle Ponze foto M.Battistutta
DISCESA La via di discesa sfrutta la via normale alla Ponza Grande: si tratta di un sentiero attrezzato a tratti ripido ed esposto, ma privo di grosse difficoltĂ . Dalla vetta si cala a sud per un canale detritico quindi seguendo le attrezzature con una diagonale verso sinistra si traversa una parete rossastra (esposto, tacche e gradini) alla scendendo infine in un profondo canalone. Lo si attraversa montando su una successiva dorsale che si oltrepassa per
attraversare un altro solco. Il sentiero piega quindi decisamente verso il basso lungo uno sperone macchiato di mughi ed erba. Si riattraversa su lisci lastroni il canalone toccando un successivo sperone ricoperto di mughi. Lo si segue interamente (alcuni tratti attrezzati con cavi in corrispondenza di tratti rocciosi) fino alla base allo sbocco del canalone attraversato in alto. Da qui per facile sentiero si rientra al rifugio Zacchi (2 h dalla cima).
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B AV Š K I G R I N T AV E C
mt. 2347 | Via normale dalla Zadnja Trenta
Il monte friabile “Le sue pareti larghe, dominanti le valli dell’Isonzo e della Bavščica, visibili da distanze lontanissime, sono tratteggiate da strati obliqui, paralleli, che aumentano ancora l’impressione selvaggia e diabolica del suo strano aspetto: impressione che può raggiungere gli effetti più imponenti all’aurora o al tramonto, nell’ardore dei suoi colori meridionali che lo vestono, o meglio forse nel tetro giallore che i temporali di sud-ovest riflettono sulle sue rocce. (J.Kugy, “Dalla vita di un alpinista”). Kugy è salito sul Grintouz di Plezzo quale primo turista con la guida alpina Anton Tožbar. Quale cacciatore della Trenta conosceva la via per scendere alla malga Zapotok, oggi considerata la normale. In cima li raggiunse un temporale sul quale Kugy scrisse: “Il temporale prese le dimensioni di un enorme tumulto. Allora mi aspettavo, di minuto in minuto, d’essere fulminato. Sono passati ormai quarantadue anni. Ma mi ricordo esattamente che pensavo, trattenendo il respiro: Come andrà a finire? Ad ogni lampo Tožbar si segnava, e lo faceva tutti i momenti: scarica su scarica, e così croce su croce. Nel suo sguardo indimenticabile e nella sua posizione umile e chine v’era tutta una preghiera al buon Dio, da restare commossi. Così sorge dai tempi passati davanti a me la figura commovente di Anton Tožbar, tanto provato dalla sventura, fedele, umile, rassegnato e pio, nel segno della santa croce.” Il desiderio di salire lungo la cresta nord, che covava da anni, gli si è avverato nel 1899 in compagnia di Vladimir Dougan e Anton Tožbar jr. Se oggi, dopo tutti questi anni, pensiamo a questa salita senza le ferrate che oggi vi troviamo, dobbiamo inchinarci ai vecchi maestri. All’epoca Kugy segnò nel suo diario: “Lo scroscio d’acque è il tono fondamentale di Val Trenta.” Più tardi, nella descrizione di questa ascensione nel libro Dalla vita di un alpinista invece: “è un pedale tenuto da bassi fantastici che, mantenendosi nelle note più profonde, sopporta lo scroscio dell’acqua di tutta la valle e rimbomba nei secoli montani attraverso fragorose successioni armoniche senza fine… Al tempo dello sgelo le acque gonfie rombano tra i monti come il tuono di Dio che scuote le loro fondamenta e leva la sua voce fino alle massime altezze. Allora la si ascolta, quella voce, trattenendo il respiro e ci s’inchina rabbrividendo nell’anima davanti alla potenza delle forze dominanti nella natura.” Nello spirito dell’etica delle escursioni in montagna, leggendo queste frasi ci chiediamo se oggigiorno ancora sentiamo la vera gratitudine quando siamo partecipi al grande valore del vivere in montagna e se la misteriosità della natura ci spaventa ancora nel timore di Dio, alla presenza di diverse leggi o forme di vivere che ci dominano. 38
Difficoltà: EEA, passaggi di I e II Tempi: 5 h in salita, 3.30 h in discesa Attrezzatura: normale da montagna ed attrezzatura da ferrata Dislivello: 1382 mt in salita e in discesa
Per approfondire… L’aquila reale (Aquila chrysaetos) Uno degli uccelli più grandiosi delle Alpi Giulie è sicuramente l’aquila reale - l’apertura alare di un adulto può superare i 2 m. Il rapace è di colore marrone e ha il becco giallo e nero. In volo lo riconosciamo dal colore scuro del corpo, solo sulle penne della coda hanno una striscia bianca. I cuccioli possono avere penne bianche anche nella parte inferiore delle ali. Nelle Alpi l’aquila reale si ciba soprattutto di marmotte, uccelli, lepri, giovani camosci, pecore e altri mammiferi, mangia anche carcasse. Il maschio e la femmina solitamente rimangono insieme per tutta la vita e costruiscono il nido di rami su una cengia irraggiungibile. La coppia spesso naviga sopra i versanti in cerca di cibo nell’area estesa intorno al nido. Da noi troviamo l’aquila reale, oltre che nelle Alpi Giulie, soltanto nella Valle del Vipacco, sul ciglione Carsico, sulle Caravanche, sulle Alpi di Kamnik e della Savinja, intorno al Monte Nevoso e sui colli sopra il fiume Kolpa. Nelle Giulie sono frequenti soprattutto intorno alle malghe del Bohinj, alla Val Trenta, al Bretto e al Monte Nero. La specie è protetta in Slovenia e inserita sulla lista rossa.
B AV Š K I G R I N TAV E C
Triglavska Roza foto S. D'Eredità
SALITA Dal rifugio alla sorgente dell’Isonzo (mt 886) per strada sterrata (2 km), poi per sentiero marcato che sul fondo secco e ghiaioso della valle gira dapprima verso il suo lato sud. Sulla ghiaia in mezzo alla valle ogni tanto incontriamo dei fiori che dovrebbero crescere circa a quota 2000 m, ma che le acque torrenziali hanno portato a valle. Nella seconda parte della valle il sentiero ritorna sul lato nord e sale ripidamente le sue pendici, immerso nell’ambiente pittoresco, passando molti canaloni, fino alla malga Zapotok (mt 1385 1.30 h). Dalla malga (sorgiva permanente) il sentiero sale ripidamente e leggermente verso est nel lariceto, poi nuovamente verso ovest, agevolmente sotto le pareti del Srebrnjak (n.d.t. in italiano: Monte Argentaro) e la cima del Zapotok verso la sella Vrata, con scorci della catena dello Skutnik e del Pelc nad Klonicami. Nella via d’accesso alla cima c’è un crocevia. Il sentiero più facile sale ripidamente, il sentiero di destra ovvero quello più difficile invece attraversa un terreno più friabile verso la sella Kanja (mt 2030). Segue la parte più difficile del sentiero che supera con attrezzature la parete verticale del primo salto roccioso. Sopra il terreno diventa meno ripido e si ritrova
il collegamento con il sentiero più facile che stacca dal ghiaione sottostante. Si supera uno spigolo esposto, poi la cresta si fa nuovamente ripida e di roccia friabile. L’ultimo salto di una decina di metri è protetto da una fune metallica, quindi finalmente si tocca la vetta (dalla malga Zapotok 3.30 h). DISCESA Nella discesa, anche per seguire il percorso del primo approccio di Kugy, si raccomanda di prendere la variante facile. La parte ripida superiore sopra l’ampia conca (ghiaia e neve) è attrezzata, quindi attraverso una tipica porta di roccia si scende sul ghiaione e da lì verso la malga Zapotok e quindi a valle (3.30 h dalla cima) La cresta è panoramica come poche ma l’ascesa è lunga e nella parte superiore difficile ed esposta. L’orientamento non è difficile. Per godere la cima senza pensieri, il periodo migliore è il primo autunno quando diminuiscono i temporali e si attenuano le temperature. La gita è fra le più belle delle Alpi Giulie. Adatta solo ad alpinisti molto esperti e di buona tenuta perché lunga e tecnicamente impegnativa. In caso di cambiamento del tempo è difficile trovare un buon riparo.
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C ima del Vallone
“Roccia pura” Si tratta di una delle innumerevoli “prime salite” di Kugy, anche se come spesso capitava all’epoca erano cacciatori locali a poggiare per primi i piedi sulle vette delle Giulie. Cacciatori che poi spesso si tramutavano in guide alpine, mestiere antico e che è andato di pari passo con l’evoluzione dell’alpinismo. Kugy nutre profondo rispetto ed ammirazione per le sue guide: egli infatti apparteneva a quella generazione che vedeva nel “montanaro”, esperto dei luoghi ed avvezzo alle difficoltà dell’ambiente alpino, il perfetto completamento di una vera cordata. Non quindi un rapporto meramente economico “di prestazione”, ma una relazione profonda e umana che legava indissolubilmente i suoi componenti. Seguiamo quindi i passi di Kugy in questa bella salita su una cima ancora oggi fortunatamente risparmiata da cavi, attrezzature e segnavia, dove riassaporare il piacere per quella “roccia pura” che il grande alpinista tanto amava. La scalata, pur non presentendo rilevanti difficoltà tecniche, si svolge su terreno non attrezzato con alcuni passaggi esposti di massimo II grado e risulta perciò adatta ad escursionisti esperti in possesso di una minima esperienza alpinistica. La roccia è nel complesso buona e la salita non presenta pericoli oggettivi rilevanti. Straordinario il colpo d’occhio sul gruppo del Jôf Fuart e sul Canin. Si propone l’avvicinamento per il bel vallone di Riobianco, uno degli angoli più pittoreschi delle Alpi Giulie Occidentali.
SALITA Dal ponte sul torrente Riobianco lungo la strada che da Sella Nevea porta al Lago del Predil si imbocca il sentiero n. 625 che si addentra nel bosco e risale il vallone di Riobianco. Si sale lungo il fianco destro del vallone, alti sopra il torrente che qui mostra alcune belle cascate e pozze d’acqua. Si supera una zona di massi erratici quindi ancora per il bel bosco di faggi attraversando il greto del torrente su blocchi. Si rimonta ripidamente il fianco sinistro oltrepassando una sorgente e giungendo al Ricovero Brunner (chiuso, mt 1432, 1 h). Dal ricovero si prosegue ancora per bosco, traversando una zona franosa dove il sentiero incrocia nuovamente il torrente e passando sulla sponda opposta si comincia una faticosa risalita tra mughi. Usciti su terreno aperto, in vista delle pareti della Vetta Bella e del Pan di 40
Zucchero si traversa a sinistra (bivio per il sentiero Puppis, segnavia 630) e si continua per il bel vallone salendo a ripide svolte tra erbe e macchie di mughi tra la solare parete della Cima Piccola della Scala e l’elegante Cima Alta di Riobianco giungendo con un ultimo strappo alla bella conca ondulata dove sorge il bivacco CAI Gorizia (mt. 1950, 1h). Il sentiero prosegue ora su terreno detritico prima in piano poi ripidamente con strette svolte verso l’acuta forcella del Vallone che si raggiunge dopo ripida risalita su ghiaione (0.30 h). Dalla forcella si scende pochi metri verso ovest (verso il Rif. Corsi) incontrando sulla destra una deviazione (freccia rossa) che attraverso una cengetta permette di entrare in un canalone detritico interrotto da massi incastrati. Si abbandona subito il canalone seguendo i bolli rossi sulla costola sinistra del canalone.
mt. 2368 | Via normale
Difficoltà: E fino alla forcella del Vallone; A, con passaggi di II grado per la cima Tempi: 4h in salita, 3h in discesa Attrezzatura: normale da montagna, eventualmente uno spezzone di corda per la salita alla cima, cordini e moschettoni, discensore Dislivello: 1379 mt in salita e in discesa
C ima del V allone
Alcuni passaggi di 2°grado su roccia a tratti friabile richiedono attenzione. Si sale su rocce gradinate fino ad una cengia (spit per eventuale assicurazione) che permette di rientrare verso il canalone (ometti) che si segue per un tratto fino a circa 50 metri dal suo termine. Qui prestando attenzione si traversa a destra (esposto, 2°) per poi imboccare un canale/rampa di roccia molto buono che si segue con arrampicata divertente fino alla bellissima vetta (1 h).
DISCESA Si svolge lungo la medesima via di salita, prestando attenzione a ometti e segnali per non smarrire il percorso. Giunti alla cengia con spit di calata è possibile effettuare una corda doppia. Altrimenti si arrampica in discesa rientrando alla base del canalone. Da qui possibilità di traversata verso il rifugio Corsi lungo il sentiero 625 (0.30 h) oppure risalendo alla forcella del Vallone per il vallone di Riobianco al punto di partenza (2 h).
La Cima del Vallone dal Sentiero A.Goitan foto di S. D'Eredità
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JALOVEC
mt. 2643 | Salita da Nord per il Jalovec ožebnik con gli sci
Una prima invernale di Kugy L’inverno sulle Giulie ha un fascino particolare. I canaloni, le creste, le profonde e boscose vallate diventano ancora più silenziose e severe nella stagione fredda rendendo queste montagne particolarmente selvagge ed affascinanti. Praticare alpinismo invernale a piedi o con gli sci è un’esperienza molto intensa e profonda, che richiede preparazione ed allenamento ma che ripaga pienamente con grandi emozioni e scenari spettacolari. Kugy fu il primo ad affrontare queste montagne in inverno e si può dire che egli avesse una particolare predilezione per questa attività. All’epoca le montagne erano già impegnative e misteriose in estate. D’inverno un’ascensione rappresentava un’impresa di prim’ordine. Kugy realizzò diverse prime salite invernali, alcune ancora oggi ragguardevoli se si pensa alle tecniche ed i materiali di allora. Tra queste la salita allo Jalovec spicca, sia per la difficoltà che per il coraggio delle guide di Kugy nell’avventurarsi su queste montagne nella stagione invernale. Kugy stesso narra di questa salita rievocando situazioni pericolose nelle quali fortuna, esperienza e forza furono essenziale per la buona riuscita dell’impresa. La salita individuata da Kugy per il canalone nord è oggi una popolare meta scialpinistica e permette di coniugare impegno alpinistico e tecnica sciistica in una salita di grande eleganza e soddisfazione. Certo Kugy non aveva gli sci e ben maggior deve essere stato la fatica nel salire questa montagna dal fondovalle! Oggi possiamo apprezzare quell’impresa avendo la prudenza di scegliere le migliori condizioni di sicurezza della neve e con una buona esperienza scialpinistica. La salita dell’ultimo tratto verso la vetta invece va valutata con attenzione vista la notevole esposizione e l’elevata pendenza. Senz’altro una salita di prestigio alla montagna più bella delle Giulie.
SALITA La salita invernale al Jalovec comincia normalmente dal parcheggio dei trampolini di salto con gli sci della Val Planica, a pochi km dal confine di Fusine. Dal parcheggio superata la sbarra (divieto di accesso), si segue la strada che per circa 4 km percorre il fondo della Planica coperto di fitte abetaie fino ad arrivare, con pochissimo dislivello alla spianata dove sorge il Dom V Tamarju (mt 1108). Da qui ci si addentra nel bosco di faggi (normalmente sempre presente una traccia) che sale lievemente in direzione sud. Usciti dal bosco la pendenza aumenta in maniera costante e si procede sempre sul fondo del vallone 42
che man mano si stringe stretto tra le pareti della Site a sinistra e delle Ponze a destra. Senza possibilità di errore si continua in direzione dell’evidente canalone del Jalovec su pendenza costanti e in ambiente sempre più severo. Superato un tratto di canalone più stretto si esce su terreno ampio proprio ai piedi della bella parete nord est del Jalovec (andando verso destra è possibile raggiungere senza difficoltà il Kotovo Sedlo (splendido punto panoramico verso il Mangart). Si entra quindi nel canalone serrato fra le imponenti pareti della Golicica e dello Jalovec stesso, che si affronta all’inizio lungo la destra orografica per portarsi verso il centro. Qui, per
Difficoltà: AD, OSA, pendio fino a 45°-50° Tempi: 5h in salita, 2h in discesa Attrezzatura: normale da scialpinismo, indispensabili piccozza, ramponi, eventualmente uno spezzone di corda da 30 mt, cordini e moschettoni Dislivello: circa 1600 mt in salita e discesa (a seconda della transitabilità della strada)
Per approfondire… Canalone ghiacciato del Jalovec Questo è sicuramente il canalone ghiacciato più riconoscibile delle Alpi Giulie. Un canalone ghiacciato in montagna dovrebbe essere coperto dalla neve tutto l’anno, ma ultimamente non è più così. Potete osservare il Canalone solo da nord o da nord-est. Lo stretto istmo tra Jalovec e Goličica, che in alcuni punti in larghezza raggiunge a malapena 15 metri, si è formato durante la grande faglia da Tamar attraverso la forcella del Jalovec verso Plesouz nella cosiddetta direzione trasversale dinarica (nord-est - sud-ovest). Durante la frattura, a causa di forti pressioni per gli spostamenti, la roccia si è frantumata. La roccia frantumata è stata facilmente spazzata verso valle dall’acqua e dalle forze gravitazionali e così si è creato l’istmo con pareti verticali. Il canalone ghiacciato del Jalovec è luogo di erosioni attive soprattutto in primavera a causa dello scioglimento della neve e delle gelate e per le temperature primaverili più alte. A causa delle menzionate pareti verticali la caduta di massi è molto frequente.
JALOVEC
Uscita dal Jalovec ozebnik foto di S. D'Eredità
chi è salito con gli sci, può risultare conveniente toglierli e mettere i ramponi (in caso di neve dura) procedendo dunque a piedi e con attenzione su pendenze mediamente intorno ai 40° con tratti più ripidi verso l’alto dove il canale si stringe fortemente tra le pareti rocciose (possibile ghiaccio: 45°) prima di uscire in un impluvio ad imbuto che su terreno più facile ed ampio porta prima ad una piccola sella a sinistra, quindi ad una spalla a quota 2400 circa. Qui si possono anche lasciare gli sci visto che la salita alla vetta si effettua generalmente a piedi e solo se in buone condizioni di sicurezza. La discesa con gli sci è consigliabile solo a scialpinisti dotati di eccellente tecnica e padronanza degli sci viste la forte pendenza e notevole esposizione della parte finale, il cosiddetto “Tetto del Jalovec”. Si scavalca dunque la sella e senza perdere quota si traversa il versante Sud-Est dello Jalovec lungo un sistema di cenge intervallate da brevi salti rocciosi (talvolta emergono pioli e cavi del sentiero estivo) su terreno esposto e delicato. Dopo circa 100
metri un ripido canalino (50°) permette di raggiungere la cresta sommitale. Si segue il filo di cresta, con passaggi esposti ma non difficili a seconda della quantità di neve e si raggiunge in breve la vetta (5h dall’auto e 1h dalla sella a 2420 m). DISCESA La discesa ricalca integralmente il percorso di salita. Con prudenza si ritorna fino alla selletta di quota 2420. Qui, con gli sci, si inizia la entusiasmante ed impegnativa discesa del canalone. Nonostante l’ambiente severo e la pendenza costante, la discesa se effettuata con neve sicura e se in possesso di una buona tecnica, non risulta eccessivamente difficile e rischiosa. Tuttavia i primi 200 metri sono sostenuti ed impegnativi, poi la pendenza diminuisce e si esce dal canalone verso sinistra (attenzione ad un salto ben evidente sulla destra, sotto la Goličica). Qui su terreno ampio e ben sciabile si ripercorre a ritroso il percorso di salita e con sciata divertente si ritorna al rifugio e quindi al parcheggio. 43
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JÔF FUART
mt. 2666 | Gola Nordest
“La via più bella e gioiosa” L’alpinismo delle origini era fatto di lunghe osservazioni, caute ricognizioni e attese per indovinare il momento giusto per ogni salita. Spesso le “prime” ricalcavano i percorsi dei camosci, attentamente studiati dalle guide e cacciatori locali per essere poi “mostrati” ai signori che chiedevano loro di essere accompagnati. Kugy soleva dire che “l’uomo passa dove passa il camoscio…e qualche volta anche dove essi non passano”. La salita della gola Nord/Est del Jôf Fuart fu a lungo studiata a distanza dalle vette limitrofe: nessuno infatti aveva ancora osato salire questa bellissima vetta dal severo versante settentrionale, dominato da alte pareti e all’apparenza inaccessibile con i mezzi dell’epoca. Per quanto Kugy tenesse d’occhio questo canalone, unico punto debole della montagna, non scorgeva tracce di camosci. Doveva esserci quindi un qualche passaggio particolarmente ostico. Infine, con le sue guide Komac e Oitzinger, egli trovò il coraggio e la risolutezza per tentare e – con grande sorpresa – scoprire che stavolta era l’uomo a superare il camoscio. Un unico passaggio a metà della gola li impegna ai limiti delle loro capacità, ma il resto della via è sorprendentemente agevole, cosicché con grande soddisfazione egli ebbe a dire che questa era senz’altra la via più bella e gioiosa a questo monte. La gioia fu però breve: durante la guerra lo stesso Kugy, arruolatosi quale “Alpin Referent” per l’esercito austro-ungarico si trova a dover mostrare la “sua” via ai soldati, che la tramutano in un sentiero attrezzato per scopi militari. La gola si lega dunque anche ai ricordi bellici, ancora oggi presenti grazie ai pioli e scalette di legno ben visibili lungo tutto il percorso. Al giorno d’oggi possiamo ancora apprezzare la bellezza di questo itinerario, uno tra i più interessanti delle Alpi Giulie per l’ambiente selvaggio e severo in cui si inoltra e le difficoltà contenute, ulteriormente ridotte dalla recente opera di rinnovamento delle attrezzature. Rimane, tuttavia, una via da non sottovalutare. Il nevaio d’attacco è insidioso soprattutto a tarda estate, lungo la gola è sempre presente il rischio di caduta sassi ed è dunque da evitare assolutamente in caso di tempo incerto. Il rientro, consigliato lungo il facile versante meridionale, necessita di un secondo mezzo di trasporto ed in ogni caso di un ottimo allenamento considerando i ragguardevoli dislivelli e lo sviluppo del percorso.
SALITA Dal Rifugio Pellarini si segue il sentiero per Sella Nabois, abbandonandolo (mt.1670, indicazioni) per imboccare una traccia verso sinistra che taglia i ghiaioni giungendo in prossimità del nevaio (quasi sempre presente) steso 44
tra la parete Est del Fuart e il piccolo promontorio chiamato Piccolo Jôf. A seconda della stagione il nevaio può essere più o meno impegnativo. La pendenza è moderata ma la neve spesso dura o ghiacciata rende l’attraversamento insidioso. A stagione
Difficoltà: EEA, passaggi di II e III, nevaio Tempi: 5.15 h in salita, 3h in discesa Attrezzatura: da ferrata, eventualmente una corda da 30 m e, a seconda delle condizioni, ramponi e piccozza. Dislivello: 1806mt in salita, 1686mt in discesa
Per approfondire… Campanula zoysii Julius Kugy scrive sulle campanule: “pendono dalle rocce in interi mazzi. Dondolano su e giù così che devi per forza sentire il loro tintinnio leggero…“. La Campanula zoysii però non “tintinna” perché ha una forma di corona tutta particolare - la bocca è molto stretta e perciò gli impollinatori devono fare un buco nel fiore se vogliono raggiungere il nettare. Questo mostra l’antichità della specie e la separazione degli altri tipi di campanule. La Campanula zoysii è endemica (cresce soltanto in un’area precisa solitamente geograficamente delimitata) del Sud-est delle Alpi (Alpi slovene, Selva di Tarnova, Alpi Carniche, Carinzia austriaca), cresce nelle crepe nella roccia del tratto (sub) alpino. La specie è stata per la prima volta notata dal botanico sloveno Karel Zois nelle Alpi di Kamnik ed in seguito il suo nome viene tratto da lui. In Slovenia la campanula è protetta ed inserita nella lista rossa, inoltre fa parte delle specie Nature 2000.
JÔF FUART
il passaggio chiave lungo la gola foto Marco Battistutta
avanzata il crepaccio aperto tra neve e roccia può essere molto profondo e richiede attenzione. Si approccia dunque una facile cengia che contorna il Piccolo Jôf aggirandolo completamente fino ad affacciarsi sulla vera e proprio gola incuneata tra le alte pareti delle Madri dei Camosci e il corpo del Jôf Fuart. Si sale seguendo resti di attrezzature per brevi canalini, caminetti e qualche rampa facile (resti di guerra, passaggi di I/II) per poi traversare a destra per cengetta che conduce alla schiena erbosa del Piccolo Jôf. Se ne segue il filo per un tratto superando qualche breve e facile salto roccioso e per una cengetta si entra nella gola sopra un salto esposto. Qui l’ambiente si fa oppressivo ma grandioso. La gola è chiusa da alte pareti e il fondo può presentare neve o grossi macigni lisciati dalle scariche delle valanghe o dall’acqua. Seguen-
do vecchie attrezzature li si supera portandosi nei pressi di una strettoia. È il passaggio chiave. Si deve infatti superare una costola rocciosa liscia e verticale che divide il fondo della gola qui ostruita da un grande masso. La costola è ben attrezzata, ma costringe ad un passaggio di III. Oltre si piega a sinistra per evitare un tratto di gola verticale e incassato per rientrarvi sopra con percorso vario che sfrutta una serie cornici e cenge attrezzate nei punti più difficoltosi (tenersi il più possibile alti seguendo le attrezzature nuove; gradini intagliati nella roccia, passaggi di II). Rientrati al centro della gola la si traversa verso destra (neve) guadagnando un bellissimo pulpito erboso (ometto, mt. 2250 circa) dove si incrocia la Cengia degli Dei. Per sentierino ci si sposta a destra per superare alcuni salti rocciosi non particolarmente difficili su terreno sempre più aperto e panoramico. Comincia ora una faticosa risalita per ripidi verdi inframmezzati da friabili roccette che permettono di toccare la cresta e incrociare la via normale. Da qui ormai in vista della cima si rimonta la dorsale rocciosa che termina tra le due cime. Quella a Nord, di 1 metro più alta a destra, si raggiunge salendo per facili rocce. Quella sud (contrassegnata da una madonnina) seguendo il filo rotto della cresta (3.30 h dal rifugio). DISCESA Si svolge lungo la via normale, predisponendo due auto, che percorre il versante meridionale del Jôf Fuart. Si torna al bivio con la gola Nord Est, quindi si piega a destra per roccette facili e terreno detritico alternato a zolle d’erba. All’altezza di alcuni piccoli salti rocciosi alcuni cavi recentemente sistemati agevolano la discesa. Si incrocia quindi il sentiero A.Goitan e si prosegue in direzione della “Galleria” superata la quale si scende un’ultima paretina rocciosa attrezzata. Per sentiero ora facile si scende quindi al Rifugio Corsi (1.30 h dalla cima). Alternativamente è possibile rientrare lungo la via di salita con percorso più impegnativo (calcolare all’incirca 3 h per rientrare al Rif. Pellarini). 45
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J Ô F D I M O N TA S I O
mt. 2754 | Direttissima alla Parete Nord
Sulla Nord del “Drago” Ai piedi della nord del Montasio ancora oggi un cippo ricorda con le parole di Kugy, il suo passaggio tra questi monti. Non a caso proprio su questa parete Kugy le sue guide scrissero una memorabile pagina dell’alpinismo in Giulie. Probabilmente, anche se non la più difficile in assoluto, la scalata della Nord del Montasio fu la più importante e significativa della sua carriera. La “Nord del Drago” rappresentò infatti per Kugy una vera e propria ossessione che richiese numerosi tentativi e altrettanti insuccessi. Egli cercava la via “perfetta” che superasse in tutta la sua altezza e con percorso diretto la severa bastionata del Montasio. Il racconto di questa impresa (per l’epoca notevole considerando i mezzi usati) è ancora oggi appassionate. L’alpinista moderno rimarrà forse deluso nel vederla ora addomesticata ed attrezzata, decisione presa già nel 1911 dall’OAV (si trattò di una delle prime ferrate dell’arco alpino) che suscitò le critiche dello stesso Kugy. Tuttavia ciò permette anche all’escursionista preparato di approcciare questa grande parete che mantiene ancora molto del suo fascino: le difficoltà complessive considerando l’approccio sul ghiacciaio, l’altezza della parete, l’ambiente severo impongono infatti una buona esperienza alpinistica, preparazione e capacità di valutazione. Le condizioni del ghiacciaio e della parete sono infatti molto variabili a seconda delle stagioni, ragion per cui occorre informarsi bene prima di effettuare la salita.
SALITA Dal rifugio Grego si prende il sentiero 611 che traversa con alcuni saliscendi tutto il boscoso versante orientale del Jôf di Sompdogna, girando oltre un crinale sul versante meridionale, ricoperto di macchie di mughi e larici. Si giunge così nella Fossa di Carnizza, marcato vallone che scende dalla stretta Forca del Montasio, ben visibile in alto intagliata tra la Torre Carnizza e la Cresta dei Draghi. Si attraversa il vallone e si risale sul versante opposto, per sentiero ripido con stretti tornanti tra cespugli di rododendri e radi larici. Si oltrepassa un bivio (sentiero proveniente dalla sella Foran de la Grave a circa q.1570) seguendo le indicazioni per il biv. Stuparich a sinistra, passando sotto una fascia rocciosa e traversando un colatoio di roccia lisciata fino ad un grosso masso ormai in prossimità del bivacco (quota 1600, 1.15 h dal Gre46
go). Abbandonare il sentiero e seguire una traccia che si inoltra dapprima tra fitti mughi, poi su terreno aperto e scosceso lungo grandi colate di ghiaia che scendono dal ghiacciaio del Montasio. Passare nei pressi di una sorgente (quota 1780 circa) e risalire ripidamente verso destra in direzione della ben visibile morena del ghiacciaio su ghiaie e macchie erbose. Tralasciare la traccia che verso destra porta verso l’attacco della via Amalia continuando su traccia meno evidente in direzione del ghiacciaio percorrendo una valletta morenica fino al bordo inferiore del ghiacciaio. Le condizioni del ghiacciaio variano molto a seconda delle annate e del momento della stagione. Indispensabile affrontare questo tratto con il materiale adeguato, visto anche che le pendenze inizialmente non elevate diventano via via maggiori risalendo il cono nevoso (fino a 35°). Giunti allo
Difficoltà: EEA – passaggi di II, III e IV, ghiacciaio Tempi: 6h in salita, 4h in discesa Attrezzatura: normale da montagna, materiale da ghiacciaio (piccozza e ramponi necessari!). La via è solo parzialmente attrezzata e a tratti le stesse sono in cattivo stato. Per questo motivo non è da considerarsi come una vera e propria ferrata quanto piuttosto una via alpinistica. Oltre al materiale da ferrata è perciò indispensabile perciò una corda di almeno 50 mt, cordini e qualche friend per integrare le protezioni nei pochi tratti non assicurati. Dislivello: 1450 mt in salita e discesa
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Il Montasio da Nord Est foto di S. D’Eredità
sbocco del tetro canalone che da origine al ghiacciaio, dove esso è largo non più di 30 metri, ci si trova davanti ad un largo crepaccio. L’attacco della via si trova sulla parete di sinistra, dove con un po’di attenzione è visibile un grosso cerchio disegnato con lo spray (quota 2050 circa, 1.15 h dal bivacco, luogo esposto alla caduta di sassi, fare attenzione!). A seconda delle condizioni è possibile attaccare direttamente le rocce oppure è necessario scendere sul fondo del crepaccio per attaccare una liscia paretina a sinistra su roccia levigata e spesso bagnata. La si supera con qualche difficoltà (5 mt, 1 passaggio di IV) puntando ad un chiodo con cordino segnalato con vernice un po’ a destro. Dal chiodo traversare a sinistra lungo una cornice raggiungendo un buon punto di sosta alla base di una fessura (II). Rimontare la fessura di roccia solida e appigliata per circa 15 mt fino ad un terrazzino dove si rinvengono le attrezzature della vecchia ferrata (15 mt, III+). Proseguire lungo la fessura sfruttando le attrezzature in loco (III+) e dove questa finisce si traversa in diagonale a sinistra seguendo i pioli in parete (1 p. IV-) in direzione di una cengia dove appare una corda fissa. Seguire la corda fissa e successivamente le attrezzature, qui decisamente più affidabili che salgano lungo una stretta fessura con bella arrampicata fin dove questa finisce su una terrazza ghiaiosa (in totale: 50 mt, III, 1 p.IV-) Risalire il terrazzo verso sinistra in direzione di una larga spaccatura nella parete dove si ritrovano i pioli. Si supera uno spigolo cui segue una profonda fessura che si segue ancora pochi metri per deviare poi decisamente a destra lungo una cengia. Seguire bolli rossi e vecchi pioli per circa 50 mt lungo una successione di fessure, brevi traversi e caminetti (II+) fino ad un ripiano erboso. Qui si rimonta con delicatezza un ripido pendio di roccette friabili e zolle erbose fino ad un canale sormontato da una forcelletta. Piegare a sinistra lungo una cengia esposta ma facile, superare un muretto sfruttando i pioli
uscendo sullo spigolo della Cresta di Mezzo (nota: questa evidente cresta che funge da spina dorsale della parete è stata la prima direttiva di salita seguita da Kugy nei suoi precedenti tentativi). Seguire una traccia che rimonta lo spigolo sul lato sx fin sotto un salto roccioso che si vince con l’aiuto dei pioli (non agevole, i pioli sono piegati). Continuare lungo lo sperone seguendo i bolli rossi per roccette solide e non difficili per circa 30 mt, poi piegare a destra lungo una larga e comoda cengia ghiaiosa. Al suo termine superare un basso strapiombo (pioli, III), ed ancora per facili rocce e ghiaie verso un canale. Risalirlo sul lato sinistro, superare una liscia paretina (III), traversare a destra incrociando il fondo del canale e proseguire per stretta ed esposta cornice sormontata da un tetto (pioli molto grandi) fino dove questa si stringe dentro una nicchia: siamo al Passo Oitzinger, ben riconoscibile (spit, cordino e cavetto metallico). Si supera il passo assicurati al cavo portandosi all’estremità della cornice, cui segue un ultimo faticoso salto roccioso. Le maggiori difficoltà sono ora terminate. La parete diventa più inclinata e facile da salire, seguendo dapprima un canale di rocce friabili e spesso bagnate (II) fino ad uno spigolo (punto di sosta). Si cerca di seguire i bolli rossi a tratti visibili sebbene sbiaditi facendo attenzione in caso di nebbia o scarsa visibilità. Si risalgono roccette in verticale poi verso destra ad imboccare una fessura / canale che si segue fino al suo termine, uscendone a sinistra per cengia. Seguirla in direzione di uno spigolo appoggiato. Seguirlo con facile arrampicata (bolli rossi, qualche tratto friabile, spit ogni 30/40 mt circa per eventuali soste), spostandosi progressivamente verso destra in direzione della cresta, ormai visibile, procedendo per roccette e gradoni ed uscendo infine sulla cresta est del Montasio, in prossimità dei resti del bivacco di guerra dei Fratelli Garrone. Lungo il crestone della via normale, superando brevi risalti di I° si giunge in vetta (3.30 h dall’attacco). 47
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DISCESA Dalla cima del Montasio la via di discesa più rapida è quella che segue la via normale lungo la cresta est e poi per la scala Pipan (scaletta metallica attrezzata alta circa 60 metri) cala sul versante meridionale raggiungendo con percorso non difficile e segnalato i verdi prati dell’Altopiano del Montasio. Necessario in questo caso predisporre un secondo mezzo ai Piani del Montasio (2.30 h dalla vetta al parcheggio). Qui si propone il rientro al Rifugio Grego lungo la Ferrata Amalia (o “via dei Cacciatori Italiani”). Si tratta di un percorso molto interessante ma impegnativo su terreno a tratti esposto e ripido, sebbene le buone attrezzature la rendano comunque una via sicura. Sconsigliabile in caso di neve in parete in quanto richiede l’attraversamento di tre ripide conche esposte sopra salti rocciosi. Ci si cala dunque verso lungo il canalone Findenegg, ripido colatoio roccioso (innevato fino a tarda stagione) che si origina direttamente dalla cresta sommitale e sfocia sulla larga bancata della Gran Cengia. Il canalone si approccia in direzione ovest dalla vetta, prima per cresta a tratti esposta (roccia friabile) poi dove essa termina sopra un salto, si scende a sinistra per rocce friabili. Si segue fedelmente il canalone (ometti e bolli) superando alcuni brevi passaggi di arrampicata (II+) e al suo termine rocce meno ripide ma sporche di detrito fino ad incrociare il sentiero proveniente da Forca Disteis, sulla Gran Cengia. Seguire il sentiero verso dx giungendo al bivacco Suringar, nido d’aquila sospeso sull’orlo della parete Ovest (1h dalla cima). Proseguire lungo una stretta ed esposta cengia oltre il bivacco, poi scendere per ripide roccette (passaggi di I°, esposto) e giungere sul fondo del profondo canalone che si inabissa verso la parete ovest, dove esce la via di Dogna. Risalire per ripidi prati verdi seguendo la traccia, portandosi su una dorsale in vista del ripido canalone che separa la Torre Nord dal Montasio. Si passa in prossimità del gigantesco “Buso del Montasio”, profonda voragine che si apre nel cuore della parete, poi si 48
risale ripidamente su prati (cavo) in direzione della Spalla Nord (mt.2458), aereo pulpito che sorregge il castello sommitale del Montasio. Seguirla per un tratto in discesa verso N/O, poi piegare a destra e scendere su verdi ripidi alternati a roccette friabili (cavo poco affidabile, esposto) con un lungo obliquo verso destra in direzione di una conca (possibile neve residua) alla base della Torre Nord. Attraversare in discesa la prima conca e per rocce ripide alla conca mediana fino al suo bordo, esposto su un salto di lisce e ripide rocce che si supera sfruttando cavi e attrezzature. Alla sua base traversare verso destra su detriti fino ad una forcelletta erbosa affacciata sulla parete Nord. Dalla forcelletta seguire cavi e attrezzature calandosi per un canalino roccioso che sbuca sopra un salto. Scendere per un camino verticale (10 mt, cavi e pioli, faticoso) fino sotto ad una caratteristica quinta rocciosa staccata dalla parete che forma uno stretto intaglio. Risalire all’intaglio e, sempre sfruttando i cavi ottimi, si scende per parete molto esposta sul versante opposto, prima lungo una fessura, poi per paretine e ripidi gradoni (pioli) con andamento un po’a zig-zag fino alla base della parete dove terminano le attrezzature. Per traccia di sentiero verso dx traversare alla base della morena fino a raggiungere il sentiero seguito in salita (1.30h dal Bivacco Suringar, cui aggiungere 1 h al Rif. Grego).
La parete nord d’inverno foto di S. D’Eredità
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PRISOJNIK
Š K R L Ovest AT I C A mt. 2547 | Cresta
Un Natale del 1905 Kugy era un vero e proprio specialista di invernali: sulla neve e sul ghiaccio egli aveva infatti trovato un terreno d’azione particolarmente congeniale. Se infatti su roccia erano quasi sempre i fidati Komac, Oiztinger, Pesamosca a condurre le salite, sulla neve Kugy mostrava grandi qualità e doti tecniche. Non a caso la “seconda patria” alpinistica per Kugy furono i ghiacciai delle Occidentali, in particolare il Monte Rosa, cui dedicò un libro di memorie alpine. Egli trasferì l’esperienza accumulata salendo d’inverno le principali vette delle Giulie sui 4000 delle Alpi Occidentali, dove pure si distinse con imprese ragguardevoli per l’epoca. Le Giulie furono quindi ancora una volta una eccellente “scuola” per Kugy. Proponiamo dunque la salita al Prisojnik che, dopo diversi tentativi andati a vuoto, Kugy con la guida Anton Oitzinger e Otto Lorenz riuscì a salire il giorno di Natale del 1905. Essi seguirono l’attuale via normale da Sud: qui viene presentata la salita alla cresta ovest, un po’più difficile, ma particolarmente appagante, con discesa per la normale lungo la gola sud. Si tratta di un itinerario alpinistico che richiede ottima esperienza di salite invernali e che può presentare difficoltà variabili a seconda delle annate. È necessaria perciò molta preparazione, studio delle condizioni e particolare attenzione alla stabilità del manto nevoso. La presenza delle attrezzature lungo la cresta può in parte agevolare la salita, ma non si faccia affidamento su queste dato che d’inverno possono essere sepolte dalla neve. Si suggerisce in ogni caso di affrontare la salita possibilmente con scarso innevamento, quindi generalmente ad inizio stagione o comunque dopo prolungati periodi di bel tempo.
SALITA Si parte dal passo Vršič, raggiungibile in inverno in genere dal versante nord (Kranjška Gora) lungo la strada rotabile che a parte alcune stagioni particolari generalmente non viene ripulita. L’auto si lascia generalmente al rifugio Koča na Gozdu, altrimenti in funzione dell’innevamento potrebbe essere necessario partire più in basso (circa 1 h dal rifugio al passo). Passando dal Tičariev Dom si imbocca verso est una strada sterrata che si tramuta poi in traccia di sentiero (diverse varianti, indicazioni per il Prisojnik) che raggiunge un panoramico dosso dal quale scendendo pochi metri si comincia a traversare lungamente il versante occidentale della massiccia
Difficoltà: A, passaggi di I e II, AD (abbastanza difficile), cresta a tratti esposta Tempi: 5 h in salita, 3.30h in discesa Attrezzatura: piccozza, ramponi, eventualmente uno spezzone di corda da 30 mt, cordini e moschettoni Dislivello: circa 1300 metri in salita e discesa (a seconda della transitabilità della strada)
montagna. Si traversano ripidi pendii puntellati di larici e oltrepassati alcuni canaloni (fare attenzione alle possibili scariche di neve o sassi) si comincia a salire verso una spalla ricoperta di mughi sul filo del crinale S/W del monte. Qui si abbandona la via normale (che percorreremo in discesa) per cominciare a risalire senza via obbligata il pendio soprastante mirando ad una cresta. Poco prima che questa si impenni diventando più ripida, si piega a destra traversando i pendii sotto la cresta stessa. Attenzione, questo tratto può risultare insidioso in caso di neve instabile: il versante è infatti esposto al sole che scalda velocemente il manto rendendolo soggetto a rischio valanghe. Si giunge quindi in un canalino 49
PRISOJNIK
stretto poco sotto l’intaglio sulla cresta dal quale è visibile l’impressionate “Okno”, finestra naturale aperta sulla parete nord. A seconda delle condizioni è possibile sia salire sul filo di cresta e seguirlo oppure, con innevamento più abbondante, poco prima dell’intaglio imboccare una ripida rampa a destra. La si risale dapprima ripidamente (possibile ghiaccio, tratto impegnativo) poi su pendenza che mano mano si attenua riagganciandosi alla cresta. Si segue ora integralmente il filo di cresta con percorso entusiasmante, aereo e panoramico, ma senza particolari difficoltà. Laddove la cresta si fa più ripida generalmente si passa sulla destra (versante meridionale), aiutandosi con attrezzature e pioli che possono spuntare dalla neve. Si superano brevi muretti e canalini, quindi si traversa lungamente sul versante sud della cresta ma sempre in prossimità del suo filo, raggiungendo infine la bella vetta (mt. 2547, 3.30/4 h dal passo). 50
DISCESA La via di discesa più sbrigativa e facile sfrutta la via normale sul versante sud. Si ritorna per un tratto sulla cresta appena percorsa scendendo per una cinquantina di metri, quindi la si abbandona per traversare a sinistra l’ampio versante meridionale costituito da pendii aperti non particolarmente ripidi, ma insidiosi con neve dura o ghiacciata. Si raggiunge così l’imbocco del profondo canalone aperto nel versante sud, dove passa la via normale estiva. Si scende il canalone (tratti circa a 40°) piegando poi verso destra quando questo si biforca. Un ultimo tratto ripido deposita alla base delle pareti. Qui si traversa lungamente in direzione est (luogo pericoloso in caso di rischio valanghe), risalendo infine rapidamente alla spalla “Na Robu” dalla quale come per l’itinerario di andata, si rientra al Passo Vršič (circa 2.30 h dalla cima).
Sulla cima del Prisojnik d'inverno foto S. D'Eredità
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V E L I K A M A RT U L J Š K A P O N C A
Un balcone nel selvaggio regno di Martuljek Avventurarsi nella riserva del Martulijek equivale ad un viaggio indietro nel tempo. Le montagne di questa antica riserva naturale conservano infatti il fascino antico dell’epoca di Kugy, quando non vi erano che poche tracce di sentiero battute dai cacciatori e dagli animali, non esistevano segnavie, cartelli, rifugi e percorsi attrezzati e si affrontava la montagna nella sua originaria purezza. Così è anche oggi. Ogni salita a queste bellissime, selvagge vette dona all’escursionista un’esperienza d’altri tempi, dove potrà riassaporare le sensazioni provate da Kugy e dalle sue guide, gli approcci lunghi e lenti, le notti illuminate dal fuoco dei bivacchi, la roccia ancora non addomesticata. Si propone qui la salita ad una delle cime più accessibili e panoramiche, la Velika Martuljška Ponca che grazie alla sua posizione defilata rispetto al nodo principale del gruppo offre un colpo d’occhio impressionante sulle pareti della Škrlatica, del Višoki Rokav e dell Oltar. La salita non è particolarmente difficile e alla portata di escursionisti esperti con un minimo di esperienza alpinistica. Si svolge tuttavia in un ambiente selvaggio, privo di segnaletica che quindi necessita di una certa esperienza nel muoversi su terreni ancora integri, ma proprio per questo molto affascinanti.
SALITA Dalla Koča V Krnici si segue il sentiero verso lo Špik, oltrepassando il greto del torrente che scenda dalla Krnica e proseguendo nel bosco inoltrandosi verso lo sbocco del vallone della Velika Dnina. Qui, alla base di un ghiaione che scende dai dirupati costoni della Lipnica, si abbandona il sentiero principale e segnalato per lo Spik, imboccando una traccia che si inoltra nel fondo del vallone, alti sopra il fondo del torrente. Il sentiero che è a tratti piuttosto incerto e sconnesso, supera faticosamente il fianco sinistro del vallone per attraversarlo alla base di un ripido salto (non farsi ingannare da una traccia che prosegue in salita verso uno stretto canale che porta alla Špikova Škrbina). L’attraversamento può risultare difficoltoso con residui di neve dura e si svolge su terreno a tratti duro, a tratti mobile, che esige attenzione. Una volta approdati sul versante opposto (nord) del vallone si comincia a salire
su traccia ripida, ma buona a strette svolte e per macchie erbose. Si supera un tratto ripido tra mughi e placche rocciose (osservare bene la traccia, è facile perderla!) uscendo infine a quota 1700 circa su terreno aperto e proprio sotto le incombenti pareti settentrionali della Škrlatica. Siamo adesso nel cuore della Velika Dnina selvaggio vallone sospeso e racchiuso da alte e selvagge pareti dalle ammalianti tinte rossastre. Si risale a tratti faticosamente su ghiaione il vallone, transitando in prossimità del Bivak I (visibile sulla sinistra ancorato sotto le pareti rocciose, 3.30 h) e proseguendo verso il circo glaciale racchiuso tra la nostra montagna (la Velika Martuljška Ponca), l’Oltar (che chiude il vallone), il Visoki Rokav le cui torri svettano all’angolo destro e la Škrlatica (nota storica: il repulsivo canale che si origina dalla cresta della Škrlatica e incide la parete tra la stessa e il Visoki Rokav fu salito da Kugy e Komac nel 1889; questa salita,
ŠKR L AT I C A mt. 2601 | Via normale
Difficoltà: EE, tratto finale alpinistico (passaggi di II+) Tempi: 5.30h in salita; 3h in discesa Attrezzatura: normale da montagna, eventualmente uno spezzone di corda per la parte finale, discensore, cordino e 2 moschettoni. Dislivello: 1900 mt in salita e discesa
Nella pagina seguente in alto: Krnica; in basso: Skrlatica foto di S.D’Eredità 51
VELIKA MARTULJŠKA PONCA
oggi dimenticata anche per le condizioni spesso molto difficili del canale che presenta diversi tratti di placche rocciose lisce, fu la prima tracciata sul versante nord della Šrklatica). Superata una fascia di rocce a placche si lascia l’incerta traccia che prosegue in direzione dell’Oltar per piegare sul fianco sinistro del vallone dove una traccia non molto evidente consente di superare delle ripide roccette (passaggi di I) e verso sinistra si porta sul bordo di un anfiteatro sospeso tra pareti e chiuso dalle pareti della Ponca. Risalito un ripido ghiaione (è qui possibile osservare in estate la fioritura della Triglavska Roža) e un successivo pendio con roccette ci si porta su una panoramica spalla erbosa sul margine destro dell’anfiteatro, affacciata sul alto vallone della Velika Dnina. Qui è possibile vedere la parte finale dell’ascensione che sfrutta uno dei tanti camini che solcano come canne d’organo le basse pareti che chiudono a semicerchio questo anfiteatro. Dalla spalle salire per ghiaie alla base della parete qui si imbocca un primo camino verticale sulla sinistra (passaggio di III) cui segue un canale (alcuni chiodi per assicurazione). Proseguire per il canale fin sotto un altro camino, ben appigliato, che si sale (II+, chiodi) sbucando in prossi-
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mità della cresta sommitale. Superare roccette friabili verso destra ed uscire in cresta. Seguirne il filo con alcuni saliscendi fino a toccare l’ampia vetta della Martulieska Ponca (2h).
Per approfondire…
DISCESA Per lo stesso itinerario di salita. Nel primo tratto seguire scrupolosamente le tracce dell’andata ed eventualmente effettuare una breve calata nel camino se non si è sicuri (sufficiente spezzone di corda da 30 mt). Nella parte bassa della Velika Dnina fare attenzione a non perdere la traccia tra i mughi (4 h).
La Cinquefoglia delle Dolomiti rientra nelle Potentille, le foglie si dividono in 3 penne, entrambi i lati sono setosi. I suoi fiori sono rosati. Secondo la leggenda di Zlatorog sarebbe spuntata dal sangue di Zlatorog ferito dando forza al camoscio di guarire e gettare il cacciatore nella profondità. La pianta cresce in grandi cuscinetti bassi sulle pendici rocciose delle montagne. È diffusa nel sud delle Alpi, dal Lago di Como in Italia alle Alpi di Kamnik in Slovenia. È numerosa sulla cresta principale della Visoka Martuljška Ponca, intorno al Triglav e su altre montagne difficilmente accessibili delle Alpi Giulie. In sloveno questo fiore prende il nome dalla più alta vetta delle Alpi Giulie, il Tricorno (Triglav), infatti, viene chiamata triglavska roža (fiore del Triglav). Altre 3 piante prendono nome da questa montagna: triglavski svišč (Gentiana terglouensis), triglavska neboglasnica (Eritrichium nanum) e triglavski dimek (Crepis bocconi). Tutte e tre crescono nelle crepe della roccia e nei ghiaioni delle più alte montagne slovene.
La Cinquefoglia delle Dolomiti (Potentilla nitida) – Visoka Martuljška Ponca
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M O N T E S PA C C AT O
Š KBasovizza R L AT I C A mt. 404 | Dalla città al Carso di
Dove Julius iniziò a sognare i fiori delle Giulie “… dal 1868 al 1877 frequentai il ginnasio-liceo tedesco di Trieste. Sotto la sapiente guida del professore di storia naturale Acurti, un prete secolare, divenni nel tempo un entusiasta di botanica. La domenica e le feste vagabondavo per il Carso erborizzando. Raramente andavo solo, per lo più ero in compagnia di Baumbach o Kühnau o di tutti e due…molto contavano nelle nostre escursioni botaniche i prati carsici del Monte Spaccato e la grande verde oasi silvestre di Lipizza: luoghi invitanti e ricchi di essenze in tutte le stagioni… Nel delicato e austero paesaggio del Carso cominciai a sognare i fiori delle Giulie… è stata la flora montana a farmi risalire le valli, negli erti recessi dove essa ha la sua patria luminosa.” È dunque lo stesso Kugy a scrivere come la sua ricerca tra le montagne, durata per tutta la vita, nasce in riva al mare, a Trieste, allora effervescente scalo portuale dell’Impero austro-ungarico. In quell’ emporio suo padre commerciava: importava da tutto il mondo caffè, olio e frutta secca che poi spediva in buona parte dell’Europa centroorientale e nei Balcani. Per il giovane Julius la salita al Carso, da Trieste al Monte Spaccato e il proseguimento verso l’Equile di Lipizza, fu una tra le più classiche e amate escursioni botaniche che, inconsapevolmente, lo introdurranno al vasto mondo delle Alpi Giulie alla ricerca di quel misterioso fiore bianco, la Scabiosa Trenta. Di quelle escursioni carsiche Kugy scrive memorabili pagine in “Arbeit – Musik – Berge. Ein Leben” del 1931. Ripercorreremo una parte di quei tragitti millenari adeguandoci alla nuova urbanizzazione cittadina e alle opportunità escursionistiche odierne. Un camminare che ancora oggi, come ai tempi di Julius ma ancor prima, conduce – in entrambi i due sensi di marcia - verso mete materiali, ma anche intime e simboliche, sempre più lontane.
SALITA La prima parte della salita al Valico di Monte Spaccato dal rione di San Giovanni è oggi la Via Damiano Chiesa che si raggiunge in pochi minuti dal Piazzale Gioberti (parcheggio e capolinea delle linee bus 6-9). La via ricalca un millenario tracciato che la tradizione vuole militare come collegamento tra la Tergeste romana e le opere di difesa realizzate sui varchi alpini. Si risale la via, camminando sul marciapiede a sinistra, tra vecchie casette e nuovi condomini per giungere al sottopasso della Ferrovia Transalpina,
inaugurata nel 1906 per collegare il porto di Trieste con il cuore dell’Europa. Si prosegue fino ad incrociare la soprastante Strada per Fiume (SR 14) che si attraversa con cautela e si continua sulla strada asfaltata (Strada per Monte Spaccato, segnavie CAI 11) fino all’ultima abitazione. Poi la strada svolta a destra, si restringe ed entrando nel bosco diventa a fondo naturale. Delimitata a monte da alcuni muretti a secco in pietra arenaria ora la pista si inerpica verso il valico. Alcuni cippi in pietra delimitano la strada in una zona molto panoramica
Difficoltà: nessuna, cautela negli attraversamenti stradali Tempi: 2.30h Attrezzatura: dotazione escursionistica Dislivello: 388mt in salita e discesa
Per approfondire… Il proseguimento per l’Equile di Lipizza. Chi vuole seguire i tragitti di Kugy verso l’Equile di Lipizza, la storica scuderia dei cavalli bianchi fondata nel 1580 oggi in Slovenia, deve seguire sempre il segnavia CAI 44 sulla stradina che dal Centro didattico naturalistico attraversa internamente il villaggio. Attraversata con cautela la strada per Opicina, bisogna imboccare alla destra del piazzale una pista forestale in cui è stato realizzato dai forestali italiani e sloveni il sentiero internazionale Josef Ressel, attrezzato anche per non vedenti. La pista pianeggiante attraversa il Bosco Igouza in cui sono state realizzate in Italia 7 aree informative, in parte tattili, che illustrano le varie peculiarità naturalistiche dell’area. Pur nella sua piccola estensione e nonostante la continua frequentazione il bosco mantiene caratteristiche di elevata naturalità grazie alla sua corretta gestione, alla presenza al suo interno di un mosaico di microambienti quali radure, doline, pozze d’acqua, macereti, muri a secco e alla sua connessione con le limitrofe 53
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in cui è stata recentemente posata una panchina e una tabella informativa. In alcune parti il sedime stradale è stato danneggiato dalle piogge, specialmente nelle zone più ripide in prossimità del valico in cui sono visibili i resti di un monumento del 1939 che voleva ricordare il suo utilizzo militare. Dagli inizi dell’800 la salita a questo valico naturale fu praticata oltre che dai botanici - tra cui anche il re di Sassonia Federico Augusto che nel 1838 qui erborizzò assieme ai triestini Bartolomeo Biasoletto e Muzio de Tommasini - anche dai primi escursionisti cittadini che specialmente nei giorni di festa primaverili salivano per raggiungere i prati fioriti dell’altipiano carsico per passare qualche ora in allegria e tranquillità. Quotidianamente invece, di buon mattino, erano le donne dei villaggi più vicini a scendere a piedi per vendere il latte e altri prodotti agricoli nelle case di città, trasportando le mercanzie in apposite ceste che reggevano sulla testa. Negli anni’30, per rispondere alle aumentate richieste di latte, furono utilizzati anche degli asini, che bardati con delle apposite bisacce, potevano trasportare fino a 4 capienti contenitori. Negli anni ’50 con la costruzione della vicina Camionale e con la generale modernizzazione dei trasporti questo tracciato perse sempre più la sua funzione e fu praticamente abbandonato. Tutta l’area del valico e dei contermini prati del Monte Spaccato e del Monte Calvo, delimitati dai classici muretti in pietra calcarea – area descritta magistralmente dalla penna poetica di Kugy botanico che riesce a materializzare l’azzurro della genziana, il profumo dei narcisi, l’esile stelo della fritillaria e il sottofondo stridulo, invocante e nostalgico dell’ortolano - è stata stravolta dalla nuova viabilità, dalle varie reti di rifornimento energetico e dal vicino Scienze Park dell’Area di Ricerca. Il valico non ha perso però quella sua essenza misteriosa di essere una porta, una zona cerniera tra due mondi vicini, ma molto diversi. Al valico (m 352) svoltiamo a destra, si sottopassa la Camionale e ad un bivio si svolta a destra in salita seguendo il 54
segnavie CAI 1, lasciando a sinistra il CAI 44/a che porta al Bosco Salzer e ai laboratori del Sincrotrone Elettra. Si percorre una pista forestale che taglia il versante più panoramico e caldo del Monte Spaccato che degrada verso la valle di Longera. Transitando sotto la cima del monte (m 404), che ospitò strutture militari in entrambi i conflitti mondiali, si gode un bel panorama sul Bosco Farneto che dal rione di Cattinara penetra direttamente in città. La cima si può raggiungere seguendo le varie tracce che risalgono il versante. La pista continua attraversando con dei saliscendi dei rimboschimenti artificiali a pino nero (denominati Monte Spaccato, Hudo leto e Pucich) frammisti a bosco di roverella, terebinto e marruca. I rimboschimenti furono ritenuti necessari a metà ‘800 per rinverdire rapidamente ampie zone del Carso in cui gli originari boschi di querce furono intensamente tagliati e pascolati nel corso dei secoli. Sul versante, soggetto a numerosi incendi, si estende una landa in avanzato infeltrimento dominata da alte erbe, come la sesleria argentina, che svolge un importante ruolo di copertura e protezione dall’erosione del suolo, e la gramigna intermedia. La zona favorisce l’endemico Helleborus multifidus subsp. istriacus. Vi crescono molte altre specie endemiche estese dall’Istria al Carso: Centaurea cristata e Centaurea jacea subsp. weldeniana. Frequenti sono le grandi estensioni di mantelli di scotano, ciliegio canino e frangola dalmatica. Dopo una breve discesa si arriva alla strada per Padriciano che si percorre a destra per un breve tratto protetti da una staccionata in legno fino ad imboccare a sinistra un’altra sterrata in leggera salita. Si tratta dei resti della vecchia viabilità commerciale che collegava Trieste a Basovizza per poi proseguire verso la Carniola, l’Istria e il Quarnero. Si costeggiano i prati del campo golf giungendo al Bosco Venezian e all’incrocio con il sentiero CAI 44 dove sono ben visibili due antichi cippi censuari e forestali. Si lascia il CAI 1 e si prosegue sul CAI 44 che, dopo un incrocio, attraversa il Bosco Koller in cui venne sperimentato il rimbo-
ampie aree naturali del territorio sloveno. Il CAI 44 si innesta al CAI 3 che si segue a sinistra. Si oltrepassa una zona del tracciato in cui sono stati posati un passamano e un ponticello in legno necessari a superare in sicurezza dei banconi calcarei. Arrivati sulla vecchia strada commerciale per Sesana si svolta a destra, si oltrepassa il confìne di stato e, superata la confluenza con un’altra pista forestale, dopo un centinaio di metri si rientra a destra nel Bosco Igouza e si segue il Sentiero Ressel su una pista antincendio in cui sono state allestite dai forestali sloveni altre 6 aree informative multidisciplinari. Un muretto a secco segnala il confine tra il bosco e la proprietà dell’ Equile di Lipizza che si raggiunge in pochi minuti. A Lipizza è possibile visitare alcune zone delle scuderie e ammirare spettacoli ed allenamenti della rinomata scuola classica di equitazione. Si rientra a Basovizza per il stesso percorso.
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schimento ad abete greco e faggio. Proprio la presenza di questi ultimi ha favorito l’attuale nidificazione di alcune specie di picchio. Proseguendo sulla pista si osserva che nel bosco sono ancora visibili sui pini più vecchi le resinazioni degli anni ‘40 per il recupero della trementina. Si attraversa la strada in pavè che porta al Sincrotrone Elettra e si continua sulla pista che attraversa dei lembi di landa carsica che ospita Pulsatilla montana, Fritillaria orientalis, il raro Laserpitium siler e le estese fioriture di Narcissus radiiflorus e di Linum austriacum subsp. tommasinii. Si raggiunge l’abitato di Basovizza, menzionato per la prima volta col nome Bisviza nel 1297, nei pressi dell’entrata del vecchio vivaio forestale in cui si trova una cappelletta del 1827, tutta costruita in pietra calcarea e bordata da una scritta in lingua slovena antica che ricorda la tradizionale devozione popolare dei basovizzani. L’ottocentesco vivaio forestale, centro operativo del vasto rimboschimento carsico - che nella sua complessità ha visto la piantagione di circa 200 milioni di piante - è stato trasformato dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia in un moderno Centro didattico naturalistico, ideato e gestito dal Corpo forestale regionale. in cui si potrà approfondire la conoscenza del territorio e delle tematiche naturalistiche mondiali più importanti.
DISCESA Si può seguire la stessa via di salita o, a pochi passi dal Centro, per chi vuole rientrare a Trieste, c’è la fermata a richiesta della linea bus 39.
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M A P P A degli itinerari
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