4
n.
febbraio 08
MARKETING A C I T I L O E P
aglia per la tt a b i d o p m ca o Un nuov tradizionale? a l il r er u g a d sfi www.subvertising.it
GENNAIO BLOG MINIATURES
Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.
L
o sapeva bene il signor Lavoisier dall’alto dei suoi eruditi studi, ma certo anche noi, Begli abitanti del Belpaese, non siamo da meno; senza risalire ai tempi dei buoni e vecchi guelfi e ghibellini, è da qualche tempo che siamo abituati al costante trasformismo della nostra classe politica. Prima repubblica, Seconda repubblica o Basso Impero che si voglia si sa, insieme tre italiani come minimo fanno quattro partiti. Poi via, nuovo maquillage e si ricomincia, verso il prossimo remix. Deve far parte del nostro dna, non c’è dubbio. Ma non spariamo sulla croce rossa, o almeno non subito. Concentriamoci invece su una caratteristica precisa del secolare costume politico italiota. Come sosteneva il Gattopardo, occorre che tutto cambi affinché ogni cosa resti invariata; saper mutare di continuo, in profondità oppure solo apparentemente, è un talento che bisogna riconoscere ai nostri uomini politici. E anche se molto spesso puzzano di cantina per non dire d’ altro, in questo sono sempre stati all’avanguardia. L’ innovazione è come l’ossigeno per chi deve cambiare ciclicamente. Per l’ appunto, la domanda che ci siamo posti aprendo questo numero è: la comunicazione non convenzionale, che solo da pochi anni ha fatto la sua comparsa in Italia, quanto e come ha cominciato a influenzare la comunicazione politica? Da questa domanda ci siamo naturalmente spinti a tastare il polso ai paesi anglosassoni, oltretutto di questi tempi in cui le elezioni vanno di moda, da loro come da noi. E’ ancora presto forse per poter dire come il guerrilla stia contaminando anche il linguaggio ed il marketing politico, ma già ora se ne vedono i primi esempi, e nuove frontiere immaginarie si aprono. Benvenuti nel numero quattro di Subvertising...
Francesco Rossi Direttore Responsabile f.r@subvertising.it
3
Guerriglieri raccomandati
Il marketing non convenzionale secondo Vittorio Sgarbi
.11
Stars and stripes in black and white
Profili di marketing politico delle primarie democratiche americane 2008
SUBLIST
.6
.5 Blog news/1
Lo stickersgame di “Oh, no, John!”
.9
L’epidemia che ci manca
.13 Blog news/2
Dal rosso alla quadricromia
.14 Brain of the month
Tutti gli uomini del presidente
.16 Tool Box
Viral marketing
.17 Botte da orbi
Stan tornando i faccisti
SUBVERTISING
Anno II, numero 4 del 11 febbraio 2008 Direttore Responsabile: Francesco Rossi (fr@subvertising.it) Comunicati stampa, informazioni o altre richieste: Serena Baldini (redazione@subvertising.it) Pubblicità: Barbara Zanardi (zanardibarbara@gmail.com) In copertina: Bambola voodoo politici Grafica: Frameart.it Edizioni Cnet Web
Mensile iscritto presso il Tribunale di Bologna, numero 7803 del 16/10/2007
blog news/1
Lo stickersgame di “Oh, No, John!” di Fables (www.bloguerrilla.it)
N
on so se negli ultimi due anni vi è mai capitato, andando in giro per il mondo, di vedere Stickers che riportassero la scritta OH, NO! JOHN! Se non vi è mai successo, ne approfitto per raccontarvi questa storia, anzi ve la faccio raccontare direttamente da Sancho, uno degli ideatori di questa iniziativa, che ho avuto modo di conoscere un po’ di tempo fa: “Tutto è iniziato per gioco circa 2 anni fa, quando organizzavamo party privati per la nostra nicchia di amici, questo appuntamento veniva denominato con uno slogan “OH,NO!JOHN!”. Poi, questa situazione, ci sfuggì di mano e questo richiamo sottoforma di adesivo, si espanse in modo virale tra i giovani di Firenze. Noi, a nostra volta, abbiamo amplificato autonomamente questo passamano e la comunicazione dello sticker. Il risultato è straordinario!“. Il tutto nasce quindi per gioco, da un’esclamazione, Oh, No! John! che salta fuori durante uno dei party organizzati da Sancho e dall’altro ideatore, Tony. Ne segue una vera e propria fase teaser, che ha visto la circolazione dell’adesivo in diverse zone del pianeta. C’è addirittura chi ha creduto che dietro questa scritta si nascondesse un’organizzazione costituita per ribaltare il sistema. Da qualche mese, a distanza di quasi due anni da quella prima esclamazione, è nato il sito www.ohnojohn. com, che, sempre dalle parole di Sancho “racconta tramite le immagini sia nostre che quelle inviate dai “fans” dell’adesivo i viaggi che lo stickers-slogan è riuscito a fare proprio grazie agli innumerevoli nostri
interlocutori!”. Si tratta di un vero e proprio stickersgame, partito da Firenze e giunto fino in Patagonia, che ha attraversato l’Egitto, l’Andalusia e la Califiornia. In poco tempo è diventato un vero e proprio punto di incontro per tanta gente, accomunata dalla voglia di “giocare”, attaccando, scattando e postando le foto per poter far parte del club dell’adesivo, partecipando in modo attivo a questa sorta di guerrilla game. In qualsiasi zona del pianeta vi troviate in questo momento, se volete contribuire all’espansione virale del logo, basta inviare una foto a Sancho & Tony, che saranno ben lieti di inserirla nel loro sito. Parallelamente a questa iniziativa, i due ragazzi hanno lanciato il singolo “I love u still” supportato dalla vendita di magliette griffate Oh, No! John! presentate a Firenze lo scorso Marzo. Ma i due ragazzi non si fermano qui, la loro fama li porta ad essere citati nel libro guerrilla marketing di Levinson, recentemente tradotto in italiano, un momento che hanno deciso di festeggiare riattivando il loro spirito non convenzionale. Si mettono in marcia in direzione Saas Fee, Svizzera, dove ai primi di Novembre si è svolto lo Snowboard World Cup 2007, l’idea è stata quella di imboscarsi sul campogara per posizionare sulla neve delle particolari forme di polistirolo con stampa a doppia faccia di personaggi anni ’70. Viviamo una nuova fase dell’adesivo, i personaggi creati da Sancho & Tony gli hanno dato una voce, lo hanno fatto parlare per la prima volta, aspettiamo di vedere cosa succederà.
5
Stars an d stri pes i n black an d w hi te Profili di marketing politico delle primarie democratiche americane 2008 di Handling Brains (redazione@subvertising.it)
H
illary si candida ad essere la prima presidente donna, Obama ad essere il primo presidente di colore. In altre parole una larga fetta di aventi diritto al voto che finora era rimasta ai margini della domanda e dell’offerta politica trova finalmente non tanto due politici che le si rivolgono, quanto piuttosto due “corpi” capaci di incarnare visivamente opposizioni ben più profonde. Per questa ragione non è tanto il contenuto politico a dividere i due contendenti davanti all’elettore americano, quanto piuttosto il linguaggio che hanno scelto di usare, la forma che quel contenuto assume quando arriva alle sue orecchie, ai suoi occhi, in modo particolare alla sua pancia. Se prendiamo in considerazione la campagna presidenziale di Hillary Clinton, saldamente ancorata ai media tradizionali, primi fra tutti la TV e la carta stampata ci accorgiamo di come la ex-first lady abbia impostato la sua intera strategia di comunicazione sul
6
piano della “reliability”, la fiducia che si ripone nei soggetti capaci di “affrontare e risolvere i problemi del paese” perché preparati alle sfide. E’ una strategia che paga solo a patto di riuscire a mantenere un profilo istituzionale “alto”; ogni caduta di stile, ogni cedimento di nervi può, in qualsiasi momento, mandare all’aria la vittoria elettorale. Il tentativo, il cui successo potrà essere decretato solamente dalle urne, di presentarsi come interlocutore credibile dinanzi un’opinione pubblica preoccupata dalle crescenti difficoltà economiche e sociali interne e dalla politica estera, espone Hillary al rischio di apparire in sostanziale continuità con un establishment che ha dimostrato, durante gli anni di governo repubblicano, enormi lacune in materia di visione politica a medio-lungo termine. La sua offerta politica è basata sulla ponderazione razionale, sul “saper fare”, ma rimane poco luccicante: la rottura con il passato
si consuma sui contenuti, di certo non su di un linguaggio indirizzato alla fascia moderata dell’elettorato, alla classe media preoccupata dalla crisi dei mutui, oltre che a quella degli indecisi e dei repubblicani “pentiti”, con l’obiettivo di creare consenso attorno ad un leader la cui esperienza è ancorata ad un passato glorioso, ma pur sempre “passato”. Obama al contrario ha deciso di parlare alla pancia dell’America. La sua esperienza, inevitabilmente più povera di quella del suo avversario, diventa il punto di forza di un uomo che si definisce nuovo, libero dai vincoli che gravano sulla politica di palazzo. Sul “bancone della politica” il nostro outsider sembra offrire molto più di un programma concepito come somma di interessi di parte, così come il mar-
keting politico ha finora tentato di fare con alterni successi; Obama spariglia e offre al suo elettorato una visione complessiva, una chiave interpretativa
della realtà che latitava dal discorso politico americano almeno da quindici anni, da quando cioè sul tavolo del dibattito politico si trovava la questione della riforma della sanità, poi miseramente naufragata. Obama scalda i cuori, e per intercettare un pubblico annoiato da un’informazione televisiva più piatta della valle padana e stanco di una politica autoreferenziale lontana dalle sue esigenze, ha dovuto scovare i suoi elettori laddove essi si erano nascosti: sui blog, sui social network, nei meandri di comunità che non hanno niente a che fare con la gestione della polis. Ha saputo avvicinare gli utenti della rete stimolandoli proprio sul loro stesso terreno, andandoli a cercare senza aspettare che fossero loro ad andargli incontro: quando non è amato, rimane comunque al centro dell’attenzione dei net-surfers. Ne sono prova la lista di amici sul suo Myspace, più che doppia rispetto alla sua contendente, la mole di discussioni generata su Facebook, la quantità di video su Youtube che direttamente o indirettamente lo riguardano (guardatevi “I got a crush on Obama” o il video parodia dello spot della Apple uscito nel 1984, dove Hillary appare in veste di Grande Fratello), o anche il suo sito dove con sapiente chiarezza si offre al visitatore la possibilità di navigare tra una “rete di blog”, di temi, di stati diversi, alla ricerca dell’argomento che più lo interessa. Se Hillary aggiorna il suo blog con regolarità, Obama sa
7
Galeotta fu la ‘R’ Le prove di guerriglia marketing dei politici nostrani redazione@subvertising.it generare una gran quantità di discussioni sui network dove sempre più persone, specie quei giovani accusati di rimanere distanti da certi temi, si fanno un’idea politica per poi andare ad esprimerla con il voto: alla dimensione “narcisistica” del blog egli oppone una dimensione di “thought sharing” dove per vincere è essenziale mettersi apertamente in gioco. E’ una sfida tra due diversi eroi di diverse minoranze, che insieme rappresentano gli anti-eroi di Bush: un teatro nel teatro, dove la messa in scena di semplici opposizioni tra miti si fa figurativa, incarnata, corporea, dove la forma dell’offerta politica si fa sostanza. Ecco perché la sfida tra Obama e Hillary ha il sapore dello scontro finale: due modelli di leadership (e di marketing) a confronto, uno dei quali (a meno di ipotesi di tandem presidenziale) si rivelerà vincente perché più adatto ad interpretare gli umori di un paese stanco e disorientato. Non c’è da stupirsi se le previsioni dei maggiori istituti di ricerca danno un aumento della partecipazione al voto: in fin dei conti solo una donna ed un nero non avevano ancora fatto ingresso alla Casa Bianca dalla porta principale. Il prossimo candidato sarà forse gay?
8
Piccoli guerriglieri politici crescono. Ce lo auguriamo tutti, ovviamente, non tanto per il soggetto politico sé, spesso poco interessante, quanto per l’allargamento del marketing non convenzionale ad un “mercato” in cui tutte le regole solitamente applicate possono essere facilmente sovvertite. Qualcuno ci ha provato anche in Italia, anche se per enumerare i casi in cui il guerrilla marketing ha trovato applicazioni premeditate a favore di politici bastano le dita di una mano. Alzi la mano, per esempio, chi non ha mai sentito delle operazioni immobiliari dell’Onorevole Di Pietro su Second Life; l’anno era il 2007, il mese febbraio, ne dava l’annuncio il ministro stesso, aggiungendo:”Sull’isola i visitatori in futuro saranno accolti da persone dell’Italia dei Valori attraverso la loro rappresentazione virtuale. L’isola sarà inoltre utilizzata per incontri sia interni che con i giornalisti.” Ma Di Pietro non era nuovo a forme di comunicazione decisamente innovative per il settore politico. L’anno prima, nel 2006, aveva pubblicato su YouTube un video senza commenti nelle quali spiegava le sue scelte e idee, video ripreso poi anche sul suo blog, iniziativa lodata da molti. L’Assessore del Comune di Milano Vittorio Sgarbi ha un suo spazio MySpace; e Bertinotti, vero e proprio pioniere dello stickering politico, ha messo in campo grazie ai suoi collaboratori l’azione sfociata poi nella polemica “Post-it”. Il noto memo giallo era stato attaccato in giro per le città nel 2005, in campagna elettorale, con su scritto “Voglio” ed uno spazio da riempire, a cura dei cittadini. Sul sito, sulla pubblicità tabellare era stata stampata la stessa immagine ma fu proprio un dilemma di copyright a far scivolare l’operazione, che guerrilla era, in una inutile polemica: Bertinotti, costretto dalla multinazionale proprietaria del brand, la 3M, fu costretto a ricordare ad amici ed elettori che stava usando un marchio registrato, da quel momento apparso fin troppo in evidenza su ogni “giallino”.
L’epidemia che ci manca
di Ursula De Gaspari (redazione@subvertising.it)
“
E’ un blogger in standby. E’ fatalmente attratto dalle nuove tecnologie e in attesa di fondersi completamente con mouse, monitor e tastiera. Lavora come content producer per Excite.it. Laureato in Scienze della Comunicazione a Roma, con master in Comunicazione e Consulenza Politica, ha collaborato con la cattedra di Comunicazione Politica (”La Sapienza” - Roma) ed è stato stagista presso l’ufficio stampa del Ministro Melandri”.
U
n creativo, dunque; ma di quelli che “giocano” con l’immagine, la faccia di personaggi politici, di persone che poi, in alcuni casi, eleggiamo nostri governanti. E che per questo rischia ogni giorno non poco. Arturo, gli States insegnano, una bella donna sembra sempre l’ago della bilancia in occasione di elezioni. Una volta era una stagista in una solitaria stanza ovale, adesso è una supporter che gioca benissimo con i social media, facendo l’occhiolino a generi musicali, cinematografici e cult movie, anche di serie B. Raccontaci della Obama Girl. Forniscici i più reconditi percorsi di YouTube per scovarla... Complimenti, bel filo rosso. Si è soliti ripetere che “dietro a un grande uomo, c’è sempre una gran donna”, un tempo forse. Oggi la politica è fatta di luoghi e meta-luoghi e il senso della frase appena citata viene spesso stravolto. Le “grandi donne” oggi non stanno più “dietro”, si mostrano
al mondo e si preparano bene per farlo al meglio. Oggi il motto potrebbe essere: “insieme a un grande uomo c’è sempre una gran donna e dietro di loro c’è un grande staff di spindoctors”. L’ Obama Girl è un esempio più che calzante: Ms. Amber Lee Ettinger, la bellissima fan di Barack Obama, è una macchina da guerra molto ben pilotata. E’ giovane e bella, è una ragazza “normale” che non disdegna di mostrarsi ai navigatori (senza mai risultar volgare) sfoggiando la propria viscerale passione per il senatore nero. Un mix devastante che emana seduzione e la riflette su Obama. Scovare l’ Obama Girl è operazione fin troppo semplice. I percorsi di YouTube sono tutt’altro che reconditi e le interconnessioni tra grandi operatori web (Google, YouTube, Social Network e blogosfera) rende il tutto istantaneo. Imbattersi nella mora più clikkata della rete è più facile che prenotare un hotel online. I gestori di Barelypolitical, il “sito padre” della Obama Girl e di altre
9 9
L’epidemia che ci manca
di Ursula De Gaspari (redazione@subvertising.it)
simili iniziative, sono i bravissimi piloti di cui parlavo prima. Amber Lee Ettinger ha sì un suo blog ma è una più che palese facciata volta a rendere “casalinghi” dei contenuti professionali. L’ultimo video presente online è forse il primo segnale di “merchandising”: si chiede esplicitamente la sottoscrizione al canale Barelypolitical di YouTube, l’aggettivo “free” viene ripetuto fino alla noia ma, dietro, il giro d’affari e di voti è significativo. Ci piacerebbe sapere da uno spindoctor cosa potrebbe fare uno qualsiasi degli schieramenti in Italia in occasione di queste prossime elezioni anticipate. Sembra che l’unica alternativa siano i blog, alla Beppe Grillo, anche se pare che il blog di Prodi sia rimasto aperto per pochi giorni... Cosa consiglieresti a Veltroni di fare? Diciamo che ha pochi soldi e deve raggiungere un target stanco morto e terribilmente frustrato (in linea quindi con quello che chiedono normalmente le aziende alle agenzie di guerrilla marketing). Fini, la destra o il centro destra che sia: rinascere come una nuova figlia o impolverarsi nella Casa delle Libertà? Oppure, compito ingrato: restaurare con un viral Clemente Mastella... Un viral con Mastella protagonista “positive” è impresa ardua e, opinione personale, il giovane target del web vi si appassionerebbe difficilmente (eccezion fatta per la gioventù di Ceppaloni forse). Clemente Mastella, come lui stesso denuncia a
10
ogni piè sospinto, è ormai un simbolo “negative”, specie in rete dove controlli e censure vari sono più difficili da innescare. Una strategia che vada bene per uno qualsiasi degli schieramenti politici italiani non credo esista. L’elettorato di riferimento è spesso ben differenziato, specie allontanandosi dal grande centro. Certo è che alcune priorità appartengono a tutti, da Caruso alla Mussolini. Abbiamo di fronte due mesi scarsi di campagna elettorale: velocità, immediatezza, concretezza e, quanto più possibile, tanta tv e, soprattutto, tanto web. La tv rimane il medium imprescindibile: il digital divide, nelle sue varie sfumature, taglia ancora fuori dalla rete una grossa fetta di elettori. Il web, dal canto suo, vince sulla tv proprio perché risponde, se ben utilizzato, alle priorità sopra enunciate: è veloce e immediato più di qualsiasi altro canale. Inoltre ha costi irrisori rispetto a tv, radio e giornali (eccezion fatta per le tribune politiche non ufficiali tipo Vespa, Floris & Co. dove comunque l’accesso è quasi sempre “riservato”) e permette, avendone voglia e capacità, di instaurare un rapporto diretto con gli elettori, “alla faccia” della casta e della politica lontana dal cittadino. A Veltroni dico di continuare, semplificandolo e rendendolo vivo, il progetto de “La nuova stagione”: il sito, allo stato attuale, non fa una bella figura. Chiudo con una provocazione: il leader del PD ha già la sua “Obama Girl”, la rete “la” conosce bene e “la” segue con costanza: il viral politico è il suo pane quotidiano e il PD la sua mission impossible. Non aggiungo altro, basta cercare “tolleranza zoro” (si, con la ‘o’) e il motore di ricerca risponderà...
glieri dati Guerric rac oman Il marketing non convenzionale secondo Vittorio Sgarbi
L
di Francesco Porzio (fp@subvertising.it)
’esperienza insegna, dicono i proverbi. Fare guerrilla marketing in Italia insegna l’importanza strategica di saper conciliare le richieste del cliente con i limiti imposti dalle istituzioni pubbliche, limiti che a volte si superano. La spina che stavolta voglio piantarvi nel fianco è la stessa che causa tante sofferenze ai pubblicitari decisi ad imbarcarsi in una campagna pubblicitaria che contempli il rilascio di autorizzazioni, permessi e concessioni varie da parte degli enti pubblici: sto parlando delle difficoltà di dialogo tra l’impresa ed il municipio. Non tutti gli assessori infatti sembrano cogliere a pieno l’opportunità celata dietro le campagne di marketing non convenzionale portate avanti sul loro territorio, opportunità insieme di guadagno
e di prestigio a vantaggio dell’istituzione che rappresentano. In fondo è curioso come quei comuni che denunciano costantemente l’insufficienza delle risorse finanziarie in loro possesso, siano gli stessi che rinunciano ad entrate golose e sicure derivanti da questo tipo di attività. I più accorti, al contrario, trovano in operazioni a cavallo tra arte, marketing e comunicazione una fonte di cospicue entrate da investire poi in altri progetti, innestando sul tessuto urbano nuovi spazi pubblicitari ed espositivi. Una questione così controversa, dove entrano in gioco considerazioni di ordine estetico, economico, urbanistico e via dicendo, non poteva che essere oggetto di un colloquio con un politico altrettanto controverso: Vittorio Sgarbi, Assessore alla cultura del Comune di Milano.
11
G u e r r igclioemrai n d a t i rac
Il marketing non convenzionale secondo Vittorio Sgarbi
Assessore, mentre su Flickr spuntavano come funghi le foto dell’operazione della fontana di Trevi, un settimanale riportava il Suo elogio a questa contaminazione di arte e pubblicità (di sé stessi). Perché? E’ vero, sono stato il primo a prendere questa posizione nei confronti di un gesto eclatante come quello di Cecchini, un gesto irriverente ma certamente non dannoso per la cultura. Personaggi come Rutelli e Veltroni invece non hanno capito quest’operazione e anzi, si sono affrettati a dichiarare appena possibile come tutto fosse tornato rapidamente alla normalità.
Onestamente, la questione del guerrilla marketing per gli enti pubblici mi pare una potenziale nuova voce positiva sul bilancio. Eppure ne conosco pochi in Italia che hanno questa consapevolezza: la maggioranza vede queste attività come un mostro contro cui scagliare orde di polizie locali. Pensa che qualcosa possa cambiare in futuro? Penso che i comuni abbiano paura di queste azioni per il semplice motivo che non sono autorizzate: se l’azione di Cecchini, che sarà costata poche centinaia di euro, fosse stata autorizzata dal Comune, che so, per una
12
commemorazione di Fellini, di sicuro sarebbe costata molto di più e forse non avrebbe ricevuto la stessa attenzione da parte dei
mezzi di comunicazione di tutto il mondo. ...che, al di là della finalità di quel singolo caso, è il modus operandi del guerrilla marketing più genuino. Prendo spunto da quanto accade negli States per domandarle se crede che questi nuovi linguaggi possano trovare un impiego proficuo anche nella comunicazione politica italiana. So che lei ha anche il suo MySpace. Il linguaggio politico italiano si è rinnovato: penso all’onorevole Strano che per la caduta di Prodi ha mangiato mortadella in aula, o al cappio dei leghisti agitato a Montecitorio... Supponiamo per un attimo che Lei non sia nato critico d’arte e uomo politico ma pubblicitario. Quale tipo di messaggio sceglierebbe tra uno spot diretto da Muccino, uno scatto di La Chapelle o il Rosso Trevi di Cecchini? Cecchini, non c’è dubbio.
blog news/2
Dal rosso alla quadricromia di Fables (www.bloguerrilla.it)
Q
uanto successo a Piazza di Spagna lo scorso 16 Gennaio è un evento che mai si era verificato nella storia della capitale, 500.000 palline sono rimbalzate contemporaneamente sulla scalinata di Trinità dei Monti, ricordando a molti un famoso spot realizzato a San Francisco per pubblicizzare il televisore Bravia della Sony. L’autore di questa iniziativa, Graziano Cecchini, è lo stesso che circa tre mesi fa aveva colorato di rosso l’acqua della fontana di Trevi, cosa che personalmente mi aveva ricordato una performance che negli Stati Uniti aveva vissuto sotto l’onta del guerrilla marketing. Nel primo numero di Subvertising vi avevo infatti parlato dell’incredibile campagna realizzata dall’agenzia Pop2Life, in collaborazione con il Network Showtime, dal nome “Dexter’s Red Fountains”, con ben 13 fontane che erano state colorate di rosso. Al nostro personaggio non manca il coraggio, ma quel pizzico di originalità, tanto che qualcuno si è risentito del fatto che Cecchini si sia definito un futurista, condannandolo invece allo scomodo ruolo di anti-futurista. Il futurismo visse e si diffuse soprattutto con l’arte, disprezzando fortemente ogni forma di imitazione, elemento costante nell’opera di Cecchini, ma senza voler scomodare oltremodo Marinetti e compagni, tengo a precisare che il futurismo non si attua con dimostrazioni plateali che con l’arte hanno poco a che fare, ma vive ed ha vissuto di esaltazione della modernità nei suoi aspetti più caratteristici: la velocità, le macchine, le metropoli e i grandi complessi industriali, creando e rafforzando in ogni Manifesto il connubio con la dimensione artistica. Lasciamo perdere il futurismo e partiamo da un altro presupposto. Il rosso di Trevi si è trascinato
dietro un cumulo di proteste, il gesto è stato condannato da gran parte dei cittadini e solo il mancato danno alla sacra fontana ha placato di molto gli animi. Le palline di Piazza di Spagna, invece, sono state viste di buon occhio dalla maggior parte della popolazione, soprattutto da quella parte che era presente di fronte alla scalinata più famosa di Roma, c’è chi ha scattato divertito delle foto, chi ha girato un video, chi ha voluto prendere una pallina per ricordo o come testimonianza della presenza all’evento. E se così non fosse stato? Se tutti avessero condannato anche il secondo atto di Cecchini, secondo voi Zig e CronacaQui si sarebbero esposti comunque? Dovete infatti sapere che l’azione di Piazza di Spagna è stata appoggiata dai due sponsor appena menzionati. Il giorno successivo all’evento, CronacaQui ha titolato: “CronacaQui colora piazza di Spagna“, Zig è andato anche oltre,
ha lasciato sul sito il video del backstage dell’azione e in più ha creato la suoneria, che nello stile è ben lontana dal movimento armonioso delle palline. Improvvisamente la performance di Cecchini si è trasformata in azione di guerrilla marketing, il marketing di matrice non convenzionale che si rivolge ad una performance artistica per creare brand awareness, sempre che si sia trattato di arte e sempre che qualcuno si ricordi i nomi degli sponsor per almeno dieci giorni. Li avete già dimenticati, non è vero?
13
brain of the month
Tutti gli uomini del Presidente Chiacchiere libere e democratiche con Proforma, creativi pubblicitari per i politici
M
i sono sempre chiesto se esiste una differenza fra chi pubblicizza un prodotto, un brand, e chi decanta le qualità di un volto, di un programma, di una speranza. Parlando con Proforma, agenzia creativa con un curriculum importante nel comparto politico, scopro che anche questi creativi hanno, come noi, due occhi, due braccia, due gambe e soprattutto un cervello, molto creativo. Quello che conta è per tutti sempre lo stesso: la creatività. E i questa agenzia pugliese sembra essercene molta: basta una rapida occhiata al sito per capirlo. Vi presento, nell’ordine in cui siete fotografati, da sinistra: Giovanni Sasso, direttore creativo, Alberto De Leo, amministratore unico, Enzo Pasculli, responsabile ict e Peppe Allegretta, copywriter. Non tutto, ma la storia di Proforma, una storia che forse non comincia con la politica, o sbaglio? Non sbagli: comincia da una piccola azienda di cuscini. La prima fattura, un milione e duecentomila lire, per naming e packaging. Quella sera festeggiammo. La comunicazione politica l’abbiamo incontrata per caso, qualche anno più tardi. Una candidata al senato. Dopo essere stata costretta a improbabili pose tra un muretto a secco e una pianta di fichi
14
d’india, guardando il layout del manifesto andò via sbattendo la porta, al grido di “mi rivolgerò a una vera agenzia”. Dalla stessa porta, qualche anno dopo, entrò Michele Emiliano, un corpulento magistrato antimafia che aveva in testa la balzana idea di fare il sindaco di Bari per il centrosinistra, senza nemmeno essere iscritto a un partito. La sua incredibile vittoria segna contemporaneamente l’inizio e la consacrazione della nostra “vocazione politica”. Seguirà, di lì a breve, la sfida impossibile di un candidato governatore gay, comunista e con l’orecchino (Vendola), una campagna su post-it (primarie Bertinotti), una famiglia esaSperata dal governo Berlusconi (famiglia Spera, per i DS) e tanto altro ancora… Subito dopo l’aspetto politico della vostra agenzia, quello che mi balza più all’occhio che il vostro telefono non comincia né con 02 né con 06. Parliamo allora dei problemi e delle opportunità di lavorare nel Mezzogiorno: quali sono le maggiori differenze rispetto al “target milanese/romano” al quale sembra rivolta la maggior parte degli spot e dei messaggi pubblicitari? Una netta profilazione del target su base geografica mi sembra un’operazione un po’ anacronistica. Un giovane barese è oggi molto più simile a
brain of the month un suo coetaneo milanese rispetto a vent’anni fa. Il Mezzogiorno però è parte del nostro lavoro. Non abbiamo mai provato a milanesizzare il nostro accento, come fanno alcuni colleghi, né ci entusiasma l’happy hour. Sarà una scelta un po’ naif ma i clienti ritrovano nel nostro approccio privo di fronzoli un vero valore aggiunto rispetto ai competitors (per dirla alla milanese). E poi ad essere sinceri, oggi i clienti locali di Proforma sono sempre di meno, ma all’inizio, lavorare in un luogo dove non avevi da sgomitare troppo per metterti in mostra, è stato un bel vantaggio. Credetemi, non ho difficoltà a crederlo. Tornando alla comunicazione politica, che è l’argomento di questo numero: la scomparsa del vecchio sistema partitico, l’introduzione di nuove tecnologie, il guerrilla marketing, la globalizzazione…cosa è cambiato nella comunicazione politica italiana? In che direzione sta andando? Non lo sappiamo. Certo è che oggi anche il candidato sindaco di un paesino del Salento, senza un blog funzionante, non va da nessuna parte. La comunicazione politica italiana cambia se la politica sarà in grado di cambiare. Non ci sono alchimie. Se devi comunicare un’accozzaglia di partitini tenuti insieme da uno sputo, farai una campagna mediocre. La qualità delle idee in comunicazione è direttamente proporzionale a quella del prodotto. In politica questa è una correlazione molto più stringente rispetto al settore aziendale. Una risposta onesta, ma che glissa su un termine: guerrilla marketing. Io so che invece qualche operazione, anche piuttosto nota, ve l’hanno richiesta... Non ce l’hanno chiesto direttamente, l’abbiamo proposta noi. Abbiamo deciso che la campagna delle primarie di Bertinotti, invece che su grandi formati di affissione (che pure c’erano) si reggesse su piccoli fogliettini gialli adesivi. Insomma dai maxi poster ai mini post-it. E così abbiamo distribuito a tutti un post-it giallo con la scritta “voglio” e uno spazio vuoto da riempire a piacimento. In ogni festa di Rifondazione, intere pareti venivano invase dalle richieste più inverosimili. E lo stesso meccanismo si replicava sul web. È stata una campagna entusiasmante. Ma sulla guerrilla marketing c’eravamo fatti le ossa promuovendo i film di Piva (LaCapaGi-
Tutti gli uomini del Presidente
Chiacchiere libere e democratiche con Proforma, creativi pubblicitari per i politici
ra 1999 e MioCognato 2003), introducendo questo nuovo approccio applicato al cinema in in Italia per la prima volta. Entusiasmante: condivido in pieno, al di là della 3M. Certo è che comunicare in questo ambito non è sempre così facile come molti credono. E’ più semplice comunicare l’offerta politica di un gay comunista cristiano e pugliese oppure di un imprenditore di Arcore? Questo tipo di “clienti”, metà del lavoro è già fatto. Piuttosto, la vera sfida sarebbe comunicare l’imprenditore di Arcore, comunista. E magari scoprire che è gay…
Francesco Porzio fp@subvertising.it
tool box
VIRAL MARKETING di Wolverine (redazione@subvertising.it)
I
l termine viral marketing e stato usato per la prima volta nel 1996 dal professor Jeffrey F.
Rayport, docente della Harvard Business School, nel suo articolo, pubblicato per Fast Company, The Virus of Marketing. Nell’etimologia della parola marketing virale è gia definita la stessa essenza di questa tecnica di marketing alternativo. Il virus è un messaggio pubblicitario che sfrutta la capacità comunicativa di pochi soggetti per trasmettersi ad un numero esponenziale di utenti finali. La creatività di un idea e la facilità nella fruizione costituiscono i punti di forza di un messaggio virale, che sfruttando il meccanismo del passaparola (un nodo comunicativo si relaziona con un numero indefinito di altri nodi che a loro volta si relazioneranno con altri nodi accrescendo la trasmissione del messaggio in modo esponenziale) in modo
attivo e volontario, si diffonde in una comunità. Il canale della rete, come teorizzato da Douglas Rushkoff nel suo libro Media Virus, è quello che
16
si presta meglio ad un’ infezione da messaggio virale, in quanto le comunità che si muovono sul Web possono comunicare tra loro in modo chiaro, veloce, multimediale e gratuito. Spesso si tratta di fenomeni temporanei, i cosiddetti “internet meme” (“Internet phenomenon”), che hanno un picco di visite in un periodo di tempo determinato per poi veder calare la propria capacità attrattiva. Rayport individua sei caratteristiche fondamentali che una concreta azione di marketing virale deve possedere per avere successo: 1) Il modo migliore per entrare nel mercato è camuffarsi (“stealth marketing”) utilizzando contenuti “smart” per nascondere un messaggio pubblicitario.
2) Il messaggio virale deve esserefruitogratuitamente. 3) Bisogna lasciare che sia la comunità e il suo com-
portamento a causare la diffusione del messaggio 4) Bisogna apparire come un portatore del virus non come il virus stesso. 5) Sfruttare la forza di più legami deboli che sarà maggiore di quella di pochi legami forti 6) Calcolare gli investimenti nel lungo periodo fino a quando il messaggio raggiungerà il punto di rottura trasformandosi in un epidemia.
Immagini tratte da “Know your enemy Computer threat visualization by Alex Dragulescu - MessageLabs.com”
botte da orbi
STAN TORNANDO I FACCISTI
di Rolando Dotti, fondatore di Liberate le aragoste – Communication Network
O
gni politico ci mette la faccia che ha, è quella che ritroviamo sui muri in campagna elettorale. Comprereste un partito usato da quest’uomo? La risposta è un cachinno che assomiglia ad una pernacchia. Obama, ha sicuramente una bella faccia, ma anche un bell’ eloquio, parte integrante della sua immagine politica. E si fa scrivere i discorsi da un trentenne. Esattamente come i nostri politici: per non eccedere in giovanilismo rivoluzionario (eh, mica si può spaventare l’elettorato!) abbiamo scoperto che Veltroni si fa scrivere gli interventi da Pippo Franco, Berlusconi da Califano, Fini da Lino Banfi e Casini dal cardinale Tonini. Facce sui posters, facce sognà; oltre alle facce ecco gli slogans, anch’essi risalenti all’epoca del
faccismo. Sapete qual è lo slogan più amato nella storia della comunicazione politica? “la forza tranquilla” un ossimoro elettorale firmato da Mitterand e pensato, si fa per dire, da uno dei più grandi pubblicitari, Seguela. Classi politiche di brontosauri, nomenklature inamovibili che si avvalgono di motti stantii, tutti sullo stampo di “meno tasse per tutti”; eh, come non essere d’accordo. Non uno
che si sforzi di dire chiaramente: “ti finisco la Milano Roma”, magari, “ti riduco il numero di parlamentari”, fino ad “asili nido nel giro di una legislatura”, ecc
ecc. Insomma, cose vere per gente vera. Punto, una frase senza la faccia, e chissenefrega tanto son i soliti faccisti che conosciamo. Facce nuove, rarissime, mica verrebbero votate perché belle, ma perché propongono un’idea da condividere. Ma prevale l’effetto mozzarella, quello che conta è la notorietà. Ci siamo, il prossimo partito di successo potrebbe basarsi non su un programma ma su volti noti e popolari: Il mostro di Erba, la mamma di Cogne, Alberto Stasi, Fabrizio Corona, Ricucci, Moggi; ma, volete vedere che qualcuno ci ha già pensato? Perchè ormai si vota il Barnum mediatico, un meticciato scenico, uno sproloquio faccista. La comunicazione politica è, da qualche legislatura, lo specchio di un sistema escoriato. Importiamo i politici dai paesi del terzo mondo, dai!
Rolando Dotti
redazione@subvertising.it
17
5
n.
marzo 08
Il futuro del guerrilla marketing www.subvertising.it