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Anno 22, n. 72 - Dicembre 2016 Sped. in Abb. Post. Art. 2, Comma 20/C, Legge 662/96 Filiale di Padova

Siria: il Natale rinasce dalle macerie


Editoriale

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n ogni epoca, il Natale ha sempre portato un ambiente di pace, di gioia e di speranza. Si notino, per esempio, gli innumerevoli episodi di fraternizzazione fra eserciti in guerra la notte di Natale. Impossibilitato a sopprimere la festa del Natale, il laicismo moderno ha cercato di snaturarla, sostituendo i simboli cristiani con altri mondani. Invano! L’atmosfera natalizia si fa sempre sentire. E in ogni angolo del pianeta risuonano sempre le musiche angeliche esultanti: Gloria in excelsis Deo et in terra pax hominibus bonae voluntatis! Questo Natale abbiamo un motivo in più per gioire. In molte chiese siriane, luoghi di culto di antichissima tradizione, si potrà di nuovo celebrare il Santo Natale, dopo il periodo buio della dominazione islamista. In questa rivista abbiamo più volte denunciato la sistematica distruzione della cristianità mediorientale da parte dei miliziani dell’ISIS. Una a

Christus vincit! una, le croci delle chiese sono state abbattute. È giusto che adesso gioiamo per la lieta notizia della loro riposizione.

Il futuro è incerto. La situazione politica del dopo-ISIS è tutt’altro che chiara. Tanto per cominciare, nessuno sa come sarà la spartizione delle aree di influenza tra i membri della coalizione a guida USA che lotta contro il califfato. D’altronde, sconfitto in Siria, l’ISIS ha già annunciato attentati in Europa. Non possiamo assolutamente abbassare la guardia. Anzi. Questo, però, non ci impedisce di gioire per nostri fratelli mediorientali, che potranno di nuovo celebrare il Natale come hanno fatto sin dai primi tempi.

La festa del Natale coincide col solstizio d’inverno, cioè la notte più lunga e più fredda dell’anno, dopo la quale il sole comincia a risorgere. Gli antichi la chiamavano festa del Sol Invictus. Per i cristiani è la nascita del Sole di Giustizia. Ed ecco tutto il suo simbolismo: dopo la notte buia del peccato e della decadenza, risorge sempre la luce della Fede!

Il Natale è, dunque, la festa della speranza. Cristo ha vinto il peccato quando è venuto sulla terra, e continua a vincerlo ogni volta che torna a nascere la notte di Natale. Anche quest’anno, carissimi lettori, prendiamo spunto dal trionfo di Cristo nel Natale per rincuorarci, per ricomporre la nostra speranza, nel caso essa fosse diminuita, soverchiata dalle tribolazioni della vita quotidiana. Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat! Ieri, oggi e sempre! Sopra e a sin., soldati cristiani della Coalizione rimettono le croci sopra due chiese a Mosul, in Siria, tolte qualche mese fa dai miliziani del Califfato

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Sommario Anno 22, n° 72, dicembre 2016

Editoriale: Christus vincit! Notizie Le strade tedesche in preda all’anarchia Quando lo Stato diventa spacciatore Cannabis e disturbi psichici: un rapporto troppo intimo Lutero: NO e poi NO! Perché il terzo Segreto non è stato rivelato nel 1960? L’uomo che fermò Hitler Campanili della Tradizione Il cappello: un fatto culturale Una meditazione sul Natale La festa della venuta della Santa Casa a Loreto Il dolce cammino ambrosiano verso il Natale Il presepe napoletano Il mondo delle TFP L’Angelus e il Natale

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Copertina: Nella città di Qamishli, in Siria, un presepe di fortuna allestito in mezzo alle macerie. Il Natale rinasce dopo gli orrori della guerra.

Tradizione Famiglia Proprietà Anno 22, n. 72 dicembre 2016 Dir. Resp. Julio Loredo

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Direzione, redazione e amministrazione: Tradizione Famiglia Proprietà - TFP, Viale Liegi, 44 — 00198 ROMA Tel. 06/8417603 Fax: 06/85345731 Email: info@atfp.it Sito: www.atfp.it CCP: 57184004 Aut. Trib. Roma n. 90 del 22-02-95 Sped. in abb. post. art. 2, Comma 20/C, Legge 662/96 — Padova Stampa Tipolito Moderna, via A. de Curtis, 12/A — 35020 Due Carrare (PD) TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / DICEMBRE 2016 - 3


Attualità

Spagna: le case religiose si svuotano

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a vita religiosa in Spagna sta scomparendo. Dal gennaio 2015, ben 341 case religiose hanno chiuso i battenti per mancanza di vocazioni. Di queste, 270 erano istituti femminili e 71 maschili. Il triste primato va alle Figlie della Carità, che hanno dovuto chiudere ventitré case. L’eccezione sono i conventi maschili di vita contemplativa: benedettini, cistercensi, certosini, trappisti, che hanno conservato tutte le loro case. Commentava un giornalista cattolico: “Dopo il Concilio la Chiesa ha fatto un’opzione preferenziale per il mondo, e il mondo ha risposto con un’opzione preferenziale per se stesso”.

Monaco: così muore una Diocesi

Il cardinale Reinhard Marx: con lui l’arcidiocesi di Monaco di Baviera sta morendo

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l cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco di Baviera, si è contraddistinto in questi ultimi tempi per le sue posizioni francamente radicali in materia di morale famigliare e sessuale. Peccato che l’applicazione delle sue dottrine nella sua diocesi si stia trasformando in un vero e proprio disastro. Sotto la sua egida, infatti, la vita religiosa a Monaco sta svanendo.

Lo scorso settembre si è celebrato un incontro diocesano. Nella varie relazioni sono abbondate le frasi sconvolgenti: “Il Concilio Vaticano II ha abolito tutti gli altri”; “I dogmi sono appena simbolici”; “La legge naturale evolve”; “La Chiesa oggi non conosce più l’eresia”; “Il relativismo è una grazia di Dio”; “Le gerarchie offendono Dio”, “L’uomo è di per sé un sacramento”; “La Chiesa non ha la verità assoluta”, ecc. Più sconvolgente, però, sono i numeri presentati nel corso dell’incontro, mettendo a confronto la situazione della Chiesa a Monaco nel 1959 e nel 2015: 1959 2015 — Numero di sacerdoti — Numero di chiese — Percentuali di cattolici — Numero di seminaristi

7.000 3.139 99,8% 390

1.344 1.200 48% 0

Il relatore ha, inoltre, informato che la metà delle chiese ancora funzionanti chiuderanno entro cinque anni. Via di questo passo, ha avvertito, la sopravvivenza della Diocesi potrà essere garantita solo per i prossimi dieci anni.

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Leggere su dispositivi virtuali diminuisce la capacità intellettiva

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astrazione è un elemento cruciale della vita intellettuale: la nostra anima trasforma i dati acquisiti dai sensi in idee che poi passano a risiedere nell’intelletto, costituendo il punto di partenza della cultura e dell’attività umana. Le persone che leggono su piattaforme digitali – tablet, smartphone o anche PC e notebook – però, vedono alterate la propria capacità di interpretare le informazioni, vale a dire, la loro capacità di astrazione.

La scoperta è stata presentata all’ACM CHI 2016, l’incontro di più alto livello in ambito mondiale su Human-Computer Interaction, tenutasi a San Jose (California). Geoff Kaufman, docente alla Carnegie Mellon University, e Mary Flanagan, docente al Dartmouth College, hanno presentato i risultati di uno studio condotto a livello nazione, rilevando che “individui che hanno completato lo stesso compito di elaborazione delle informazioni su un dispositivo digitale mobile rispetto a una piattaforma non-digitale, hanno mostrato un livello inferiore di costruzione del pensiero, dando priorità alle cose immediate e ai dettagli concreti, decontestualizzando quindi qualsiasi interpretazione”. Concludono i ricercatori americani: “Il pensiero astratto produce più capacità di comprendere gli altri, più creatività, chi invece resta nel concreto cade facilmente in generalizzazioni negative e frustranti”.

(Geoff Kauffman and Mary Flanagan, High-Low Split: Divergent Cognitive Construal Levels Triggered by Digital and Non-digital Platforms, Proceedings of the 2016 CHI Conference on Human Factors in Computing Systems)

I cibi transgenici non fanno male, anzi

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l più ampio studio mai realizzato sugli organismi geneticamente modificati (OGM), realizzato dalla National Academy of Sciences degli Stati Uniti, ha concluso che i cibi transgenici sono indistinguibili dagli altri alimenti e che non vi è alcuna prova del loro impatto negativo sulla salute umana. Il rapporto ha esaminato tutti gli studi scientifici degli ultimi trent’anni.

Ecco le principali conclusioni: 1) non vi è alcuna prova che gli OGM provochino danni alla salute; 2) non fa differenza per la salute consumare un alimento OGM o uno non OGM; 3) alcuni OGM beneficiano la salute umana; 4) gli OGM non riducono la biodiversità vegetale o animale; 5) i geni degli alimenti transgenici non danneggiano l’ambiente; 6) si assottiglia sempre di più la linea di demarcazione tra un OGM e uno non OGM; 7) gli OGM favoriscono l’economia. Lo studio, inoltre, sconsiglia l’uso dell’etichetta “OGM” a pretesto di salvaguardare la salute pubblica.

(Genetically Engineered Crops. Experiences and Prospects, National Academy of Sciences - Engineering - Medicine, 2016)

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Attualità

Romania: in tre milioni dicono SÌ alla famiglia

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uidati dalla Coali^ia pentru Familie (Coalizione per la Famiglia) i romeni hanno detto un fortissimo SÌ alla famiglia tradizionale. Più di tre milioni di firme sono state raccolte in tutto il Paese per indire un referendum che introduca nella Costituzione una clausola definendo la famiglia come formata dal matrimonio tra un uomo e una donna.

Notevole l’impegno della Chiesa Ortodossa Romena, che ha mobilitato il clero e aperto i luoghi di culto per la campagna pro-famiglia. Infatti, la stragrande maggioranza delle firme sono state raccolte da volontari di associazioni religiose.

La nuova formulazione proposta per l’articolo 48, par. 1 della Costituzione recita: “La famiglia è l’unione libera e volontaria tra un uomo e una donna, e si basa sulla loro uguaglianza e sul loro diritto e dovere di provvedere alla protezione, all’istruzione e alla formazione dei bambini”.

La proposta referendaria intende contrastare la campagna della lobby LGBT per introdurre, anche in Romania, le unioni civili, cioè il matrimonio omosessuale. La legge civile romena prevede solo il matrimonio eterosessuale. Se il quesito referendario proposto dalla Coalizione per la Famiglia sarà approvato, si chiuderebbe definitivamente la porta alle unioni civili. 6 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / DICEMBRE 2016

Il quesito, depositato presso il Senato lo scorso maggio, è stato approvato il 20 luglio dalla Corte Costituzionale. Adesso spetta al Governo decidere la data del referendum. I sondaggi mostrano un 82% dei romeni contrari al “matrimonio” omosessuale. Nel contempo, la piattaforma di associazioni pro famiglia della Romania ha ribadito il proprio impegno a sostenere altrettanto massicciamente, sin dalle prossime settimane, l’iniziativa dei cittadini europei (ECI) a favore di definizioni comuni all’interno della UE su matrimonio e famiglia. A sin., una locandina di propaganda della coalizione pro-famiglia

Sotto, un manifesto commemorativo delle tre milioni di firme


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Le strade tedesche in preda all’anarchia

o stupro di una bambina di dieci anni avvenuto a Lipsia torna ad accendere i riflettori sul crescente livello di crimini violenti perpetrati dai migranti in città e paesi di tutta la Germania, e su cosa sono capaci di fare le autorità e i media tedeschi per censurare le informazioni riguardanti gli autori di questi reati. La bambina si stava recando a scuola in bicicletta, quando un uomo le ha teso un agguato, l’ha gettata a terra e violentata. La polizia di Lipsia si è apertamente rifiutata di dire se l’indagato è un migrante, ma ha implicitamente ammesso che lo sia. Ha pubblicato un identikit del sospettato accompagnato dal monito politicamente corretto:

“Questa immagine deve essere pubblicata solo dai giornali dell’area metropolitana di Lipsia. La pubblicazione di questa immagine su Internet, e anche sui social media come Facebook, non è stata disposta dal tribunale, pertanto, è vietata”.

Il tentativo di censurare le informazioni sulla violenza sessuale, visto che alle autorità tedesche sta più a cuore tutelare l’identità dello stupratore anziché la salute della vittima e di altre ragazze che potrebbero essere aggredite, è pressoché senza precedenti in Germania. I crimini violenti – che comprendono stupri, aggressioni fisiche e sessuali, accoltellamenti, effrazioni, rapine, furti e traffico di droga – sono aumentati vertiginosamente da quando Angela Merkel ha permesso a più di un milione di migranti, per lo più maschi, provenienti dall’Africa, Asia e dal Medio Oriente di entrare nel paese. Secondo un rapporto confidenziale della polizia che è trapelato, nel 2015 i migranti hanno commesso 208.344 reati. Tale cifra rappresenta un aumento dell’80 per cento ri-

di Soeren Kern Gateston Institute

spetto al 2014 e corrisponde a circa 570 crimini perpetrati quotidianamente dai migranti, ossia 23 reati ogni ora, solo nel 2015.

Il numero effettivo dei reati commessi dai migranti è però molto più elevato, perché il report stilato dall’Ufficio federale della polizia criminale (Bundeskriminalamt, BKA), include solo crimini che sono stati scoperti. Secondo le statistiche della polizia, di tutti i reati commessi nel paese, in media vengono individuati gli autori di circa la metà di essi. Questo comporta che l’attuale cifra dei reati perpetrati dai migranti nel 2015 può superare i 400.000. Secondo un altro rapporto del BKA, durante i primi sei mesi del 2016, i migranti hanno commesso 142.500 crimini. Il che equivale a 780 crimini perpetrati ogni giorno dai migranti, ossia 32,5 reati commessi ogni ora, un aumento di quasi il 40 per cento rispetto al 2015. Anche in questo caso, i dati includono solo quei reati in cui un sospettato è stato acciuffato. La maggior parte di questi crimini è stata minimizzata dalle autorità tedesche, a quanto pare per evitare di alimentare sentimenti anti-immigrazione. Quasi sempre si parla di casi isolati (Einzelfälle).

La crescente sensazione che il paese sia in preda all’anarchia è comprovata da un sondaggio del 24 ottobre condotto da YouGov, che ha rilevato che il 68 per cento dei tedeschi crede che la sicurezza nel paese si sia deteriorata nel corso degli ultimi anni. Quasi il 70 per cento degli intervistati ha detto di temere per la propria vita nelle stazioni ferroviarie e nelle metropolitane tedesche, mentre il 63 per cento si sente in pericolo nei grandi eventi pubblici. Ormai, in molte zone del paese, la polizia locale ammette di avere poche risorse e di non essere in grado di mantenere la legge e l’ordine. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / DICEMBRE 2016 - 7


Attualità “Stiamo perdendo il controllo delle strade” Tania Kambouri, della Polizia tedesca

Nel Nord Reno-Westfalia un rapporto del ministero dell’Interno ha rivelato che i marocchini hanno commesso 6.028 reati nel 2015; gli algerini 4.995 e i tunisini 1.084. Si tratta di un aumento significativo rispetto agli anni precedenti. A Düsseldorf, i migranti commettono un reato ogni 3,5 ore. Un ispettore di polizia ha detto: “Il gruppo nel suo insieme è irrispettoso e assolutamente senza vergogna”.

La polizia di Amburgo dice di non riuscire a fronteggiare l’aumento dei crimini commessi dai giovani nordafricani. Thomas Jungfer, vicedirettore del Sindacato tedesco di polizia (DPoIG) locale, avverte che la città non dispone di un numero sufficiente di poliziotti per mantenere la legge e l’ordine: “L’insoddisfazione tra i nostri colleghi è crescente”.

Nella vicina Brema la polizia ha rinunciato a lottare contro la criminalità organizzata gestita da clan dei Balcani e del Kurdistan a causa delle esigue risorse di personale. Rainer Wendt, capo del Sindacato di polizia ha criticato i funzionari comunali per la mancanza di determinazione: “Brema si è arresa ai clan estremamente pericolosi. La sicurezza continua a naufragare”.

A Berlino, i clan criminali dei migranti operano impunemente. Un negoziante ha detto: “In passato, i bambini potevano correre liberamente qui. Nessuno si curava di prestare attenzione alla borsa o allo zaino. Oggi, tutto questo non è più possibile”. Un agente di vigilanza privata ha detto: “Il traffico di droga avviene sotto i nostri occhi. Se interveniamo, veniamo minacciati, insultati o ci sputano addosso. A volte, qualcuno tira fuori un coltello. Sono spietati, senza paura e non si fanno problemi a rubare, prendendo di mira anche gli anziani”. Nel Reno-Ruhr, la più grande regione metropolitana della Germania, le statistiche della polizia mostrano che gli algerini hanno commesso più di 130.000 crimini nel 2015, più del doppio rispetto al 2014. I marocchini ne hanno perpetrati 14.700 e i tunisini più di 2.000.

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A Stoccarda, la polizia sta combattendo una battaglia persa contro le bande di migranti nordafricani che sono dedite al borseggio. Giovani rom e kosovari saltano la scuola per andare a fare quotidianamente sistematiche incursioni nelle auto, razziando telefoni cellulari e altri oggetti di valore. Entrano anche negli studi medici, nelle residenze per anziani, negli asili e nelle scuole per saccheggiare.

A Lipsia, il numero dei furti sui mezzi pubblici è aumentato in modo esponenziale attestandosi al 152 per cento tra il 2012 e il 2015. Sono aumentati anche i casi di aggressione fisiche e sessuali sui mezzi pubblici. Complessivamente, il numero di reati denunciati e commessi su bus e tram sono saliti di 111 per cento tra il 2012 e il 2015, e gli episodi di crimini perpetrati alle fermate degli autobus in quel periodo sono aumentati del 40 per cento.

A Dresda, i migranti provenienti da Algeria, Marocco e Tunisia hanno preso di fatto il controllo dell’iconica Wiener Platz, una grande piazza pubblica di fronte alla stazione ferroviaria centrale. Essi vendono droga e borseggiano i passanti, di solito impuniti. I raid della polizia nella piazza sono diventati un gioco “della talpa”. In un libro che è diventato un best-seller, Tania Kambouri, un’agente della polizia tedesca, descrive il deterioramento della situazione della sicurezza in Germania a causa dei migranti che non hanno alcun rispetto per la legge e l’ordine. In un’intervista alla all’emittente Deutschlandfunk, ha dichiarato:

“Quando pattugliamo le strade, veniamo insultati dai giovani musulmani. Quando ci passano accanto fanno gestacci e lanciano insulti. Se istituiamo un posto di blocco, le aggressioni aumentano sempre più. (...) Stiamo perdendo il controllo delle strade”.

(Versione leggermente abbreviata)


Quando lo Stato diventa spacciatore

di Andrea Lavelli

Proposto dall’Intergruppo cannabis legale, è stato introdotto in Parlamento un ddl per legalizzare l’uso della cannabis e dei suoi derivati, tra cui l’hashish. Molte voci si sono levate in difesa dei giovani. Qual è la posta in gioco? Lo spiega Andrea Lavelli, direttore della campagna SOS Ragazzi.

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l ddl “Disposizioni in materia di legalizzazione della coltivazione, della lavorazione e della vendita della cannabis e dei suoi derivati”, sostenuto da un intergruppo parlamentare che conta più di 300 tra parlamentari e senatori, è approdato in aula a Montecitorio lo scorso settembre, quando il voto dell’aula ne ha deciso il ritorno in commissione. Se ne tornerà a parlare probabilmente a partire da gennaio. Questo rinvio è una preziosa occasione per analizzare questa proposta di legge e comprenderne la pericolosità, soprattutto per i tantissimi giovani e giovanissimi che rischiano di cadere nella droga, “mandando in fumo” la propria salute fisica e psichica.

L’articolo 1 del testo base dispone la legalizzazione della coltivazione in forma personale delle piante di canapa dalla quale si ricavano droghe come la marijuana e l’hashish. I maggiorenni potranno coltivare fino a cinque piante di sesso femminile e detenere il prodotto ottenuto. Prevista la coltivazione in forma associata. L’unico obbligo per chi vorrà coltivare cannabis a domicilio sarà una semplice comunicazione all’ufficio dei Monopoli.

Nell’articolo 2 si capovolge di fatto l’impostazione legislativa vigente per consentire ai maggiorenni di detenere liberamente e senza alcuna comunicazione dai 5 ai 15 grammi di cannabis per

“scopo ricreativo,” mentre nell’articolo 3 si sancisce la liceità della cessione gratuita di marijuana e altri derivati della canapa tra maggiorenni.

Già dalla lettura di questi primi articoli possiamo intuire le gravi conseguenze che l’approvazione di questo ddl porterebbe con sé per la nostra società. Una volta legalizzata la coltivazione, la detenzione e il consumo per i maggiorenni, come si potrà nei fatti impedire che questo fiume di droga non si abbatta con più facilità anche sui più giovani, tra i quali già da ora si registra un tasso preoccupante di ricorso alle sostanze stupefacenti? Nell’articolo 5 troviamo uno spunto ancora più inquietante, con l’istituzione di uno specifico Monopolio di Stato della cannabis che controllerà la coltivazione, la preparazione e la vendita al dettaglio di droga ai maggiorenni in appositi negozi dedicati. In un futuro non troppo lontano, girando per le nostre città, potremmo dunque presto imbatterci, accanto al salumiere e al panettiere di fiducia, anche in un modernissimo negozio in cui acquistare legalmente marijuana. Il tutto con il bollino e il benestare dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli. Sostanzialmente lo Stato si sostituirà alla figura dello spacciatore nel far cassa sulla distribuzione della droga. A qualcuno potrà forse sembrare una provocazione… in realtà è già tutto pronto. Basta fare un giro TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / DICEMBRE 2016 - 9


Attualità Sen. Benedetto Della Vedova, capo dell’Intergruppo cannabis legale

trovati positivi alla marijuana erano il 10 %, mentre nel 2015 il dato è arrivato al 21 %.

sul web e scoprire che c’è già chi ha fiutato l’affare e, in attesa dell’approvazione della legge, si sta preparando a buttarsi su questo ricco potenziale mercato di consumatori di droga.

Scopriamo ad esempio “Nativa,” il primo brand italiano per la coltivazione e la vendita dei derivati della canapa, con tanto di sito internet e l’obiettivo dichiarato di iniziare un franchising che porti ad accaparrarsi il ricco mercato italiano di consumatori abituali di marijuana. Sul sito di “Nativa” è tutto pronto e già da qualche mese si raccolgono le richieste di affiliazione. “La proposta di franchising Nativa,” si legge sul sito “prevede il coinvolgimento di una persona innamorata della cannabis e conoscitrice delle tante varietà che caratterizzano questa pianta”. L’obiettivo è l’apertura di “store monomarca aperti nelle principali città italiane”.

Per farci un’idea di ciò che potrebbe avvenire in Italia con l’introduzione di queste misure prendiamo ad esempio il Colorado che nel 2012 legalizzò la vendita della marijuana.. I risultati? Nel 2014 il numero dei giovani che aveva fatto uso di marijuana nell’ultimo mese era salito del 20% rispetto all’anno precedente. Dopo 4 anni di legalizzazione salta all’occhio l’aumento delle vittime causato da incidenti dovuti alla marijuana che dal 2013 è cresciuto del 62 % e il raddoppio dei ricoveri in ospedale: dai circa 6mila del 2011 (prima dell’approvazione della legge) a più di 11mila del 2014. Nel 2009, prima della legalizzazione, i morti a causa di un incidente stradale 10 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / DICEMBRE 2016

Numeri che spaventano ancora di più se abbinati a quelli di casa nostra, che parlano di un numero sempre crescente di minorenni che ricorrono al cosiddetto “spinello”. Il Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha evidenziato che nel 2014 quasi il 25 % degli under 18 ha dichiarato di aver fatto uso di cannabis, in aumento del quasi 2 % rispetto all’anno precedente. Cosa succederà se davvero un giorno sarà possibile coltivare cannabis in casa o acquistarla al negozio dietro l’angolo?

I sostenitori di questo ddl sostengono che questa legge sia in realtà necessaria per strappare il commercio di droga dalle mani della mafia. A queste affermazioni risponde il procuratore di Catanzaro, Nicola Grattieri, che ha ricordato che “i dati dicono che su 100 tossicodipendenti, 5 fanno uso di hashish e marijuana e solo il 25% di questi ultimi è maggiorenne, mentre il restante 75% è minorenne [ricordiamo infatti che il progetto di legge aprirebbe al possesso di cannabis per i soli maggiorenni]. Quindi, affermare che legalizzare la cannabis aiuta a colpire chi fa affari con la droga non è vero, perché la quota di affari legati alle droghe leggere è risibile rispetto al totale”. A queste parole possiamo aggiungere quelle del celebre magistrato Paolo Borsellino che nel 1989 affermava che è “da dilettanti di criminologia pensare che liberalizzando il traffico di droga sparirebbe del tutto il traffico clandestino e si leverebbero queste unghie all’artiglio della mafia”. Di fronte a un parlamento che intende riversare sui più giovani un fiume di sostanze stupefacenti, non possiamo che convincerci sempre più della necessità di potenziare lo sforzo educativo nei confronti dei più giovani. Non solo per far loro capire la pericolosità della droga per la propria salute mentale e fisica, ma soprattutto per portare loro l’unica Verità che può dare senso alla vita di ogni uomo e illuminare con la sua luce anche le notti più buie della vita.


Cannabis e disturbi psichici: un rapporto troppo intimo

di Loredana Benvenga

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L’uso, anche saltuario, della cannabis può provocare disturbi psichici? Risponde la dott.ssa Loredana Benvenga, psicologa e psicoterapeuta, già direttrice della rivista internazionale “L’immaginale”, fondatrice del Centro Junghiano Salentino.

l rapporto tra consumo di cannabis e disturbi psichiatrici o psicologici a tutt’oggi non appare ancora del tutto scientificamente verificato. Intanto dal punto di vista diagnostico si parla di “doppia diagnosi” quando si rileva, nello stesso soggetto, la copresenza di dipendenza di sostanze e sintomi di natura psichiatrica.

Molte ricerche finora si sono concentrate sullo studio del nesso di causalità tra l’uso della cannabis e l’insorgenza di disturbi psichiatrici: capire, cioè, se l’abuso delle sostanze possa produrre, nel tempo, effetti psicologici deleteri o danni al sistema nervoso.

Il campo di studio rimane aperto: non esiste, a tutt’oggi, la certezza scientifica che ci possa garantire l’equazione “dipendenza cannabis = danni psicologici”, ma è pur vero che si assiste (e lo sanno bene gli operatori che lavorano in tale ambito) ad una verifica costante dei due ambiti, cioè a soggetti compromessi psichicamente che abbiano quasi sempre, nella storia clinica precedente o attuale, riferimenti con l’assunzione di “droghe leggere”.

più a rischio di psicosi e addirittura che questo rischio di ammalarsi possa aumentare con l’aumento del livello di consumo.

Valutando retrospettivamente la storia clinica degli psicotici giovani in particolare, si registra in essi un consumo abituale ed elevato in percentuale maggiore che non nei soggetti sani, relativo al periodo precedente all’assunzione di cannabis.

La cannabis potrebbe inoltre provocare il passaggio da un livello di gravità lieve (come disturbo di personalità) a forme più gravi con un conclamato disadattamento sociale.

In sostanza un cervello più giovane (adolescenziale, che si ammala prima) è destinato a una malattia più grave e più cronica. Ma quali sono gli effetti indesiderati dell’uso della cannabis?

Trovare una percentuale più alta di depressi tra i consumatori di cannabis non ci può autorizzare a confermare un nesso di causalità (ovvero se sia la cannabis a provocarlo) così come per altre malattie psichiatriche. Però si può senz’altro asserire che i consumatori di cannabis siano psichiatricamente “Ritengo che una più corretta informazione e conoscenza degli effetti dannosi delle sostanze definite ‘leggere’ sia oggi più che mai necessaria onde evitare pubblicità ingannevoli con ripercussioni disastrose sulla salute mentale e fisica dei giovani” TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / DICEMBRE 2016 - 11


Attualità

Tra i tanti emerge l’aumento del ritmo cardiaco e un lieve torpore, gli occhi diventano lucidi e arrossati, per l’effetto vasodilatatore, la bocca secca. La realtà può sembrare distorta dal punto di vista sensoriale, aumenta l’ilarità e la loquacità o, al contrario, può insorgere ammutolimento e tendenza all’isolamento sociale. Non è vero che la cannabis sia potenzialmente “sociale”: molti soggetti riferiscono un incremento della chiusura e scarsa motivazione a stringere rapporti amicali e/o affettivi durante il periodo di consumo della cannabis. Gli altri sintomi possono essere derealizzazione, depersonalizzazione, pseudo-allucinazioni, distorsione delle percezioni, attacchi di panico. Il panico che compare può avere una fase acuta molto intensa, con altri sintomi quali l’isolamento, abbassamento del tono dell’umore, senso di angoscia.

Oggi si parla molto (forse troppo) degli eventuali benefici che la cannabis può procurare: non si sa ancora molto, ma eventuali spiragli terapeutici dovranno essere validati.

Molto noti sono invece i suoi effetti negativi. Diversi studi, per esempio, hanno evidenziato conseguenze sulla memoria, attenzione e velocità di pro-

cessamento delle informazioni (confrontando due gruppi di controllo).

Inoltre è noto che durante lo sviluppo adolescenziale il cervello vada incontro a importanti cambiamenti: diventa urgente, quindi, capire come la cannabis possa interferire con i neuroni e, quindi, con il normale processo di differenziazione e sviluppo cerebrale.

Tra chi consuma abitualmente marijuana si assiste, inoltre, alla cosiddetta “sindrome amotivazionale”, i cui segni tipici sono caratterizzati da apatia, indifferenza affettiva, chiusura e isolamento sociale. Personalmente ho riscontrato in vari casi episodi di cambiamento di personalità, stati di euforia maniacale alternati a depressione profonda (stati altalenanti con discontrollo degli impulsi).

Ritengo che una più corretta informazione e conoscenza degli effetti dannosi delle sostanze definite “leggere” sia oggi più che mai necessaria onde evitare pubblicità ingannevoli con ripercussioni disastrose sulla salute mentale e fisica dei giovani che, ricordiamolo, rimangono la fascia di popolazione tra le più suggestionabili. Il mondo degli adulti ne diventa doppiamente responsabile.

Non è vero che la cannabis sia potenzialmente “sociale”: molti soggetti riferiscono un incremento della chiusura e scarsa motivazione a stringere rapporti amicali e/o affettivi durante il periodo di consumo della cannabis

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Cinquecento anni di Martin Lutero

Lutero: NO e poi NO!

di Julio Loredo

Si parla oggi di “rivalutare” Martin Lutero. Oltre a cozzare col dogma cattolico, tale rivalutazione si scontra con la stessa verità storica. Sembrerebbe quasi che coloro che mitizzano la figura del monaco apostata non abbiano mai letto le sue opere, piene di bestemmie contro Nostro Signore Gesù Cristo e contro il Papato.

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Una breve analisi della vita e delle dottrine di Lutero, tratta dalle sue opere originali.

o scorso 13 ottobre – anniversario dell’apparizione della Madonna a Fatima – Papa Francesco ha accolto in Vaticano un pellegrinaggio composto da luterani. Una statua del monaco apostata Martin Lutero presiedeva la sessione tenutasi nell’aula Paolo VI. “Rendiamo grazie a Dio perché oggi, luterani e cattolici, stiamo camminando sulla via che va dal conflitto alla comunione”, ha dichiarato il Pontefice nella sua allocuzione.

Perplessità

Il pellegrinaggio era stato organizzato in preparazione del viaggio di Papa Bergoglio in Svezia per celebrare, insieme ai luterani, i cinquecento anni della cosiddetta “Riforma” protestante: “Alla fine di questo mese, a Dio piacendo, mi recherò a Lund, in

Svezia, e insieme alla Federazione Luterana Mondiale faremo memoria, dopo cinque secoli, dell’inizio della riforma di Lutero e ringrazieremo il Signore per cinquant’anni di dialogo ufficiale tra luterani e cattolici”.

I gesti amichevoli nei confronti dei luterani si stanno moltiplicando già da qualche tempo. Durante la visita alla chiesa evangelica luterana di Roma, il 15 novembre 2015, Papa Francesco aveva auspicato la “rivalutazione delle intenzioni della Riforma e della figura di Martin Lutero”. Durante il volo di ritorno dall’Armenia, lo scorso 26 giugno, egli aggiungeva: “Io credo che le intenzioni di Martin Lutero non fossero sbagliate. (…) Lui ha fatto una ‘medicina’ per la Chiesa, poi questa medicina si è consolidata in uno stato di cose, in una disciplina, in un modo di credere, in un modo di fare, in modo liturgico. Ma non era lui solo: c’era Zwingli, c’era Calvino”. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / DICEMBRE 2016 - 13


Cinquecento anni di Martin Lutero

“Mi sono fatto monaco perché non mi potessero incarcerare. Sono stato un grande furfante ed un omicida” A sin., la maschera mortuaria di Martin Lutero

Tali dichiarazioni e gesti non possono non suscitare una crescente perplessità in molti fedeli. Costoro faticano a comprendere come una figura che ha provocato tante sofferenze alla Chiesa possa essere in qualche modo “rivalutata”. La perplessità non è di oggi. Già in occasione di simili gesti compiuti in passato da altri Pontefici molte voci si erano alzate. Ecco quanto scriveva, per esempio, Plinio Corrêa de Oliveira nel 1984:

“Non comprendo come uomini della Chiesa contemporanea, compresi alcuni tra i più colti, dotti o illustri, mitizzino la figura di Lutero, l’eresiarca, nello sforzo di favorire un’approssimazione ecumenica, direttamente al protestantesimo e indirettamente a tutte le religioni, scuole filosofiche, ecc. Non scorgono il pericolo che è in agguato in fondo a questo sentiero, cioè la formazione, su scala mondiale, di un sinistro supermercato di religioni, filosofie e sistemi di tutti gli ordini, in cui la verità e l'errore si presenteranno frazionati, mescolati e messi alla rinfusa? Sola assente dal mondo sarà - qualora fosse possibile arrivare fino a questo punto - la verità integra: cioè la Fede cattolica, apostolica, romana, senza macchia né tanfo. Su Lutero - a cui spetterebbe, sotto un certo aspetto, il ruolo di punto di partenza in questa strada verso la baraonda universale - pubblico oggi ancora alcuni passi che ben mostrano l'odore che la sua figura di ribelle spargerebbe in questo supermercato, o meglio in questo obitorio delle religioni, delle filosofie e dello stesso pensiero umano” (1).

La verità storica

Il fatto è che, oltre a cozzare col dogma cattolico, la “rivalutazione” di Lutero si scontra – e in

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modo violento – con la stessa verità storica. Sembrerebbe quasi che coloro che “mitizzano” la figura di Lutero non abbiano mai letto le sue opere, piene di bestemmie contro Nostro Signore Gesù Cristo e contro il Papato. “L’immagine tradizionale di Lutero, per molti aspetti, è incoerente con la realtà storica”, scrive lo storico protestante Dietrich Emme, specialista nella vita giovanile del riformatore (2).

Nel 1510 Martino Lutero, allora monaco agostiniano, si recò a Roma per portare una lettera di protesta in merito a una diatriba interna al suo Ordine. La volgata protestante vorrebbe che, di fronte al desolante spettacolo di decadenza (“una cloaca”, dirà lui con riferimento sia all’Urbe che alla Chiesa), il monaco di Wittemberg fosse rimasto scioccato. Il che avrebbe innescato in lui prima il rigetto, poi il dubbio e infine la ribellione. Dunque, una reazione forse esagerata ma tutto sommato giustificata. Un’attenta lettura delle fonti originali ci fa vedere, invece, uno spirito irrequieto, dissoluto e già incline alla ribellione. Forse è il caso di gettare uno sguardo su alcuni di questi documenti, che altro non sono che le stesse opere (Werke) di Martin Lutero, nelle due edizioni ufficiali: quella di Wittemberg (1551) e quella di Weimar (1883). Conviene anche rilevare che gli autori sotto citati – Emme, Brentano, De Wette e Burckhardt – sono tutti protestanti.

La “vocazione” religiosa di Lutero

L’ingresso di Martino Lutero nell’Ordine agostiniano non fu dovuto tanto a una vocazione religiosa quanto al fatto che era latitante e voleva sfuggire alle autorità. Mentre era studente di Giurisprudenza all’Università di Erfurt, Lutero si batté a duello con un compagno, Hieronimus Buntz, uccidendolo. Per sfuggire alla giustizia, egli entrò allora nel monastero degli Eremiti di S. Agostino. Lo stesso Lutero ammise il vero motivo del suo ingresso in monastero: “Mi sono fatto monaco perché non mi potessero incarcerare. Se non lo avessi fatto, sarei stato facil-


mente arrestato. Ma così fu impossibile, poiché tutto l’Ordine Agostiniano mi proteggeva” (3).

Purtroppo, nel monastero non imparò a diventare buono. Egli stesso confessava in un sermone del 1529: “Io sono stato un monaco che voleva essere sinceramente pio. Al contrario, però, sono sprofondato ancor di più nel vizio. Sono stato un grande furfante ed un omicida” (4). La sua vita spirituale era in rovinoso declino. Nel 1516, Lutero scrisse: “Raramente ho il tempo di pregare il Breviario e di celebrare la Messa. Sono troppo sollecitato dalle tentazioni della carne, del mondo e del diavolo” (5). Ancora nel 1516 egli dichiarava: “Confesso che la mia vita è sempre più prossima all’inferno. Giorno dopo giorno divento più abietto” (6).

Nel convento, Lutero era soggetto a frequenti crisi di nervi, ad allucinazioni deliranti, in preda anche a segni di possessione. Nel guardare il Crocefisso egli spesso era assalito da convulsioni e cadeva a terra (7). Quando celebrava la Messa, era preso dal terrore: “Arrivato all’Offertorio ero così spaventato che volevo fuggire. Mormoravo ‘Ho paura! Ho paura!’” (8).

Agitato, nervoso, continuamente in crisi, tentato dal diavolo (che, secondo lui, gli appariva in forma di un enorme cane nero col quale condivideva perfino il letto) roso dai rimorsi, Lutero cominciò a formarsi l’idea che fosse predestinato alla dannazione eterna,

e questo gli faceva odiare Dio: “Quando penso al mio destino dimentico la carità verso Cristo. Per me, Dio non è che uno scellerato. L’idea della predestinazione cancella in me il Laudate, è un blasphemate che mi viene allo spirito” (9). Lutero, insomma, si immaginava già nell’inferno: “Io soffrivo le torture dell’inferno, ne ero divorato. Mi assaliva perfino la tentazione di bestemmiare contro Dio, quel Dio rozzo, iniquo. Io avrei mille volte preferito che non ci fosse Dio!” (10).

L’apostasia di Lutero. La dottrina della giustificazione

Lutero faceva poco o nulla per lottare contro i suoi difetti. I suoi confratelli agostiniani lo descrivono come “nervoso, di umore molto sgradevole, arrogante, ribelle, sempre pronto a discutere e ad insultare”. Egli stesso dirà di sé: “Io mi lasciavo prendere dalla collera e dall’invidia” (11).

Eccitato da cattive letture, orgoglioso al punto di non accettare nessuna autorità, Lutero cominciò a contestare diversi punti della dottrina cattolica fino a rigettarne parecchi.

Lutero difendeva le sue rivoluzionarie idee in modo arrogante, ritenendosi “l’uomo della Provvidenza, chiamato per illuminare la Chiesa con un grande bagliore”. “Chi non crede con la mia fede è

Lutero spiega le sue dottrine alla Dieta di Worms (1521) davanti all’Imperatore Alla fine della vita, Carlo V si pentì amaramente di non aver condannato il frate di Wittemberg

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Cinquecento anni di Martin Lutero

destinato all’inferno — scriveva — La mia dottrina e la dottrina di Dio sono la stessa cosa. Il mio giudizio è il giudizio di Dio” (12). In un’altra lettera ecco cosa dice di se stesso: “Non vi sembra un uomo stravagante questo Lutero? Quanto a me, penso che egli sia Dio. Altrimenti, come avrebbero i suoi scritti e il suo nome la potenza di trasformare mendicanti in signori, asini in dottori, falsari in santi, fango in perle?” (13). Sulle sue dottrine egli asseriva ancora: “Sono certo che i miei dogmi vengono dal cielo. Io vincerò, il Papato crollerà nonostante le porte dell’inferno!” (14).

Fu in queste lamentevoli condizioni spirituali che, verso la fine del 1518, successe ciò che Lutero stesso chiamò «das Turmerlebnis», cioè l’avvenimento della Torre, vero punto di partenza del protestantesimo. In cosa consiste questo «Turmerlebnis»? Lutero era seduto sulla cloaca nella torre che serviva da gabinetto nel monastero, quando improvvisamente ebbe un’“illuminazione” che lo fece “pensare in un altro modo”:

“Le parole giustizia e giustizia di Dio — scrive Lutero — si ripercuotevano nel fondo della mia coscienza come un fulmine che distrugge tutto. Io ero paralizzato e pensavo: Se Dio è giusto, egli punisce. Siccome continuavo a pensare a ciò, sono improvvisamente venute al mio spirito le parole di Habacuc: Il giusto vive della fede. E ancora: La giustificazione di Dio si manifesta senza l’azione della legge. A partire da questo punto, io ho cominciato a pensare in altro modo” (15).

Questo “altro modo” era la dottrina della giustificazione per la sola fede, indipendente dalle opere, la pietra angolare del protestantesimo. Secondo Lutero, i meriti sovrabbondanti di Nostro Signore Gesù Cristo assicurano agli uomini la salvezza eterna. All’uomo, quindi, basta credere per salvarsi: “Il Vangelo non ci dice cosa dobbiamo fare, esso non esige niente da noi. (...) [Il Vangelo dice semplicemente] credi e sarai salvato” (16).

Tale dottrina è tanto sconclusionata che lo stesso Lutero, con duri sforzi cercava di accreditarla: “Non vi è nessuna religione in tutta la terra che insegni questa dottrina della giustificazione; io stesso, anche se la insegno pubblicamente, con gran difficoltà la credo nei particolari” (17).

Di conseguenza, su questa terra possiamo anche condurre una vita di peccato senza rimorsi di coscienza né timore della giustizia di Dio, poiché basta avere fede per essere già salvati: “Anche se ho fatto del male, non importa. Cristo ha sofferto per me. A questo si riduce il cristianesimo. Dobbiamo sentire che non abbiamo peccato, anche quando abbiamo peccato. I nostri peccati aderiscono a Cristo, che è il salvatore del peccato” (18). Lutero anzi sosteneva che, per rafforzare la nostra fede, dobbiamo peccare. Così rimarrà chiaro che è Cristo che ci salva e non noi. Quest’idea Lutero la sintetizzava nella sua nota formula: esto peccator et pecca fortiter. In una lettera all’amico Melantone del 1° agosto 1521, Lutero affermava: “Sii peccatore e pecca fortemente ma con ancora più fermezza credi e rallegrati in Cristo. (...) Durante la vita presente dobbiamo peccare” (19). Scrivendo a un altro seguace, Lutero diceva ugualmente: “Devi bere con più abbondanza, giocare, divertirti e anche fare qualche peccato. (...) In caso il diavolo ti dica: Non bere! Tu devi rispondere: in nome di Gesù Cristo, berrò di più! (...) Tutto il decalogo deve svanire dagli occhi e dall’anima” (20).

A un altro amico, egli scriveva ancora: “Dio ti obbliga solo a credere. In tutte le altre cose ti lascia libero e signore di fare quello che vuoi, senza pericolo alcuno di coscienza. Egli non se ne cura, quando anche lasciassi tua moglie, abbandonassi il tuo paMatrimonio di Martin Lutero e Caterina Bora: “Con il mio matrimonio sono diventato così spregevole che gli angeli rideranno di me e i demoni piangeranno” 16 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / DICEMBRE 2016


Der deutscher Bauernkrieg, la Guerra tedesca dei contadini (1524-1526), una delle tante guerre di religione innescate dal luteranismo, che causarono milioni di morti in Europa

drone e non fossi fedele ad alcun vincolo” (21).

Ovviamente, le conseguenze dell’applicazione di queste dottrine non potevano essere altro che il dilagare del peccato e del vizio. Lutero stesso lo ammette. Per quanto riguardava i suoi seguaci protestanti, egli scrisse: “Sono sette volte peggiori di una volta. Dopo la predicazione della nostra dottrina, gli uomini si sono dati al furto, alla menzogna, all’impostura, alla crapula, all’ubriachezza e a ogni genere di vizi. Abbiamo espulso il demonio — il papato — e ne sono venuti sette peggiori” (22).

Un uomo pieno di vizi

Il primo a piombare nel vizio è stato proprio lui. Il 13 giugno 1521, scrisse a Melantone: “Io mi trovo qui insensato e indurito, sprofondato nell’ozio, pregando poco e senza più gemere per la Chiesa di Dio, perché nelle mie carni indomite ardo di grandi fiamme. Insomma, io che dovrei avere il fervore dello spirito, ho il fervore della carne, della libidine, della pigrizia, dell’ozio e della sonnolenza” (23). In un altro scritto, Lutero è altrettanto chiaro: “Sono un uomo esposto e coinvolto nella vita di società, nella crapula, nelle passioni carnali, nella negligenza ed in altre molestie” (24).

Lutero rapì dal convento una monaca cistercense, Caterina Bora, e la prese per amante. Nel 1525, “per chiudere le cattive lingue”, secondo quanto dichiarava, la sposò, nonostante tutti e due avessero fatto voto di castità. Lutero aveva una chiara nozione della riprovevole azione che aveva compiuto. Egli scrisse al riguardo: “Con il mio matrimonio sono diventato così spregevole che gli angeli rideranno di me e i demoni piangeranno” (25).

Caterina, però, non fu l’unica donna nella sua vita. Egli aveva la brutta abitudine di avere rapporti carnali con monache apostate, che egli stesso adescava dai conventi. Su di lui scriveva il suo seguace Melantone: “Lutero è un uomo estremamente per-

verso. Le suore che egli ha tirato fuori dal convento lo hanno sedotto con grande astuzia ed hanno finito col prenderlo. Egli ha con loro frequenti rapporti carnali” (26).

Lutero non faceva segreto della sua immoralità. In una lettera all’amico Spalatino leggiamo infatti: “Io sono palesemente un uomo depravato. Ho tanto a che fare con le donne, che da un po’ di tempo sono diventato un donnaiolo. (...) Ho avuto tre mogli allo stesso tempo, e le ho amate così ardentemente che ne ho perse due, andate a vivere con altri uomini” (27).

Lutero aveva anche il vizio dell’ubriachezza e della gola. “Nel bere birra — affermava — non c’è nessuno che si possa paragonare a me”. In una lettera a Caterina, diceva: “Sto mangiando come un boemo e bevendo come un tedesco. Lodato sia Dio!” (28). Verso la fine della vita, l’ubriachezza lo dominava totalmente: “Spendo le mie giornate nell’ozio e nell’ubriachezza” (29).

Bestemmiatore

Ma forse in nessun altro campo si è manifestato tanto il cattivo spirito di Lutero quanto nella sua tendenza a bestemmiare, specie contro la Chiesa e il Papato. Seguono alcuni esempi, tutti tratti dalle sue lettere e sermoni: “Certamente Dio è grande e potente, buono e misericordioso, ma è anche stupido. Deus est stultissimus. È un tiranno” (30).

“Cristo ha commesso adulterio una prima volta con la donna della fontana di cui ci parla Giovanni. Non si mormorava intorno a lui: Che ha fatto dunque con essa? Poi ha avuto rapporti sessuali con Maria Maddalena, quindi con la donna adultera. Così CriTRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / DICEMBRE 2016 - 17


Cinquecento anni di Martin Lutero

sto, tanto pio, ha dovuto anche lui fornicare prima di morire” (31).

Lutero fa di Dio il vero responsabile del tradimento di Giuda e della rivolta di Adamo. “Lutero — commenta lo storico protestante Funck Brentano — arriva a dichiarare che Giuda, tradendo Cristo, agì per imperiosa decisione dell’Onnipotente. La sua volontà [di Giuda] era diretta da Dio; Dio lo muoveva con la sua onnipotenza. Lo stesso Adamo, nel paradiso terrestre fu costretto ad agire come agì. Egli fu messo da Dio in una situazione tale che gli era impossibile non cadere” (32). “Tutte le case chiuse, tutti gli omicidi, le morti, i furti e gli adulteri sono meno riprovevoli dell’abominazione della Messa papista” (33).

Non meraviglia che, mosso da tali idee, Lutero scrivesse a Melantone a proposito delle sanguinose persecuzioni di Enrico VIII contro i cattolici inglesi: “È permesso abbandonarsi alla collera, quando si sa che specie di traditori, ladri e assassini sono i papi, i loro cardinali, i loro legati. Piacesse a Dio che vari re di Inghilterra si impegnassero a farli scomparire” (34).

“Perché non acchiappiamo papa, cardinali e tutta la cricca della Sodoma romana e ci laviamo le mani con il loro sangue?” (35).

“La corte di Roma è governata per un vero Anticristo, di cui ci parla S. Paolo. (...) Credo di poter dimostrare che, nei giorni nostri, il Papa è peggiore dei turchi” (36). “Così come Mosè ha distrutto il vitello d’oro, così dobbiamo fare noi con il papato, fino a ridurlo in ceneri. (...) Vorrei abolire tutti i conventi, vorrei farli sparire, raderli al suolo (...) affinché di essi non rimanga sulla terra neanche la memoria” (37).

Nella risposta alla bolla di scomunica, Lutero scrisse con arroganza: “Io e tutti i servi di Gesù Cristo riteniamo ormai il trono pontificio occupato da Satana, come la sede dell’Anticristo, noi ci rifiutiamo di ubbidire” (38). Lutero è morto in mezzo a orribili bestemmie contro il Papato, contro la Chiesa e contro i santi. Sentendo arrivare la fine, ha dettato una “preghiera” che finiva così: “Muoio odiando il Papa. (...) Vivo, io ero la tua peste, morto sarò la tua morte, o Papa!”.

Note_________________________________________________ 1. Plinio Corrêa de Oliveira, Lutero si considera divino!, “Folha de S. Paulo” 10 gennaio 1984, tradotto e pubblicato da “Lepanto”, Roma, Anno III - n. 22, gennaio 1984, pag. 3. Si veda anche Id., Lutero: no e poi no!, “Folha de S. Paulo, 27 dicembre 1983. 18 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / DICEMBRE 2016

2. Dietrich Emme, Über die Bedeutung der biographischen Lutherforschung, in Remigius Bäumer, Alma von Stockhausen (Hrsg.), Luther und die Folgen für die Geistesgeschichte - Festschrift für Theobald Beer (Gustav-Siewerth-Akademie, 1996), pp. 31-40. Cfr. anche Dietrich Emme, Martin Luther, Seine Jugend und Studienzeit 1483-1505. Eine dokumentarische Darstellung (Verlag Dietrich Emme, Regensburg, 1986). E anche la versione aggiornata: Dietrich Emme, Gesammelte Beiträge zur Biographie des jungen Martin Luther, hrsg. von Richard Niedermeier (GustavSiewerth-Akademie, 2016). 3. Dietrich Emme, Weshalb wurde Martin Luther ein Mönch?, in “MDR-Monatsschrift für Deutsches Recht”, 32. Jg., 5/1978, pp 378-380. Cfr. anche Dietrich Emme, Warum ging Luther ins Kloster?, in “Theologisches. Beilage der Offerten-Zeitung für die katholische Geistlichkeit Deutschlands”, 1/1985, Nr. 177, pp. 6188-6192. 4. Id., ibid. Emme cita il documento originale: Tischreden, Wa W, 29, 50, 18. 5. Cit. in Wilhelm Martin Leberecht de Wette, Luther, M., Briefe, Sendschreiben und Bedenken vollständig Gesammelt, Berlino, 1825-1828, I, p. 41. 6. Cit. in Id., ibid., I, p. 323. 7. Franz Funck Brentano, Luther, Parigi, Grasset, 7 ed., 1934, pp. 29-39. 8. Martin Luther, Werke, ed. Weimar, 1883, I, 487. Tischrede del 5 maggio 1532. 9. Brentano, op. cit., p. 53. 10. Id., ibid., p. 32. 11. Id., ibid., p. 32. 12. D. Martin Luther, Werke, ed. Weimar, 1883, X, 2, Abt. 107. 13. Martin Luther, Werke, ed. Wittemberg, 1551, t. IV, p. 378. 14. D. Martin Luther, Werke, ed. Weimar, X, 2, Abt. 184. 15. Brentano, op. cit., pp. 65-73. 16. D. Martin Luther, Werke, ed. Weimar, XXV, 329. 17. D. Martin Luther, Werke, ed. di Weimar, XXV, p. 330. 18. Id., ibid., XXV, 331. 19. Cit. in De Wette, op. cit., II, p. 37. 20. Cit. in Id., ibid., pp. 199-200. 21. D. Martin Luther, Werke, ed. Weimar, XII, p. 131. 22. D. Martin Luther, Werke, ed. Weimar, XXVIII, p. 763. 23. Cit. in De Wette, op. cit., II, p. 22. 24. Cit. in Id., ibid., I, 232. 25. Cit. in Id., ibid., III, 2,3. 26. Cit. in Id., ibid., III, 3. 27. Cit. in Id., ibid., III, 9. 28. In Carl August Burkardt, Dr. Martin Luther, Briefwechsel, Leipzig, 1886, p. 357. 29. Cit. in De Wette, op. cit., II, 6. 30. Martin Luther, Tischreden, No. 963, Werke, ed. Weimar, I, 478. 31. Martin Luther, Tischreden, No. 1472, Werke, ed. Weimar, II, 107. 32. Brentano, op. cit., p. 246. 33. Martin Luther, Werke, ed. Weimar, XV, 773-774. 34. Cit. in Brentano, op. cit., p. 254. 35. Id., ibid., p. 104. 36. Id., ibid., p. 63. 37. Martin Luther, Werke, ed. Weimar, VIII, 624. 38. Cit. in Brentano, op. cit., p. 100.


Centenario di Fatima

Perché il terzo segreto di Fatima non è stato rivelato nel 1960? Intervista ad Antonio Borelli

a cura di Benoît Bemelmans Siamo nel centenario delle apparizioni della Madonna di Fatima, un tema scottante sul quale gravano ancora tante domande. Per esempio: perché il “terzo segreto” non è stato rivelato nel 1960 come, invece, sollecitato dalla stessa Madonna? Lo abbiamo chiesto al celebre specialista Antonio Borelli, autore del best seller internazionale (più di tre milioni di copie) «Fatima: messaggio di tragedia o di speranza?». Tradizione Famiglia Proprietà - Nel consegnare il terzo segreto di Fatima, suor Lucia chiese di non renderlo pubblico prima del 1960. L’attesa per la sua rivelazione raggiunse quindi l’apice quell’anno. Ciò non avvenne, provocando grande frustrazione nei fedeli. Tuttavia, lungi dal diminuire, l’attesa andò aumentando, incoraggiando perfino speculazioni non sempre prudenti. Sembrerebbe che la Santa Sede non si aspettasse una tale reazione.

Antonio Borelli - Quando finalmente la Santa Sede rivelò la terza parte del Segreto, il 26 giugno 2000, volle compensare il suo precedente riserbo dandole un’ampia divulgazione. I giornalisti accreditati presso la Sala stampa del Vaticano furono tutti convocati e ricevettero una copia del libretto «Il Messaggio di Fatima», in una sessione presieduta dal cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, con la partecipazione di mons. Tarcisio Bertone, segretario della stessa congregazione e del direttore della Sala stampa Joaquín Navarro Vals. La sala era strapiena. Canali televisivi di tutto il mondo trasmisero la sessione in diretta.

Dopo gli interventi del cardinale Ratzinger e di mons. Bertone, il direttore della Sala stampa diede la parola ai giornalisti per eventuali domande. Vari reporter chiesero i motivi per cui i Papi avessero posticipato la pubblicazione del Segreto per ben quarant’anni. La domanda più articolata, a mio parere, fu quella dello scrittore e vaticanista Gian

Franco Svidercoschi, già vice-direttore de L’Osservatore Romano.

Ecco la sua domanda, tratta dal video fornito dalla Sala stampa:

“Eminenza: mi permetto di parlare del perché del ritardo, della lunga prudenza della Chiesa dal TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / DICEMBRE 2016 - 19


Centenario di Fatima A sin., il vescovo di Leiria-Fatima, mons. Alves Correia, con la lettera contenente il terzo segreto

Sotto, la prima pagina del manoscritto di suor Lucia col testo del terzo segreto

Esso fu consegnato in Vaticano nel 1957. Nel 1959 fu letto da Papa Giovanni XXIII, che decise di non renderlo pubblico

60 ad oggi. Lei, in qualche modo, già ha risposto parlando giustamente dell’evoluzione storica. (...) C’è anche la relazione di mons. Bertone sulle scelte diverse che hanno fatto i Papi. Ma io le chiedo: non è che la Chiesa abbia pagato un prezzo tropo alto per questo lungo silenzio, questo lungo segreto sul Segreto? (…) Non c’è una maniera diversa, da parte della Chiesa, non soltanto per Fatima, per affrontare le rivelazioni private, e quindi forse si potrebbe non provocare tutta quella serie di strumentalizzazioni e di scandali, che ci sono invece state proprio perché questo segreto è durato così a lungo? Grazie”.

Il cardinale Ratzinger rispose con molta precisione e sicurezza:

“Certamente la decisione dei tre Papi di non pubblicare il Segreto — perché anche il Papa attuale [Giovanni Paolo II], nell’81, non ha voluto pubblicarlo — era una decisione non dogmatica, ma prudenziale. E si può sempre discutere sulla prudenza di una decisione, se politicamente un’altra prudenza sarebbe stata preferibile. Quindi, questo atteggiamento dei Papi non è da dogmatizzare. Tuttavia, in retrospettiva, direi: certo abbiamo pagato un prezzo per le speculazioni che abbiamo avuto in questi ultimi decenni. Ma, dall’altra parte, penso che era anche giusto aspettare un momento di retrospettiva. “Nel 1960 eravamo alla soglia del Concilio, quella grande speranza di trovare una nuova relazione 20 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / DICEMBRE 2016

positiva tra mondo e Chiesa, e anche di aprire un po’ le porte chiuse al comunismo. Lo stesso ancora nel tempo di Papa Paolo VI: eravamo ancora in digestione, per così dire, del Concilio, con tanti problemi, che questo testo [il terzo Segreto] non avrebbe avuto il suo collocamento corretto. Lo stesso subito dopo l’attentato [a Giovanni Paolo II]: uscire immediatamente con questo testo non avrebbe prodotto, mi sembra, la comprensione sufficiente. Io penso, senza dogmatizzare questa decisione, ma personalmente, con una sincera convinzione, penso che era, tutto sommato, bene aspettare la fine del secolo per avere una visione più globale e per poter capire meglio il vero imperativo e le vere indicazioni di questa visione”. Pertanto, la rivelazione del segreto nel 1960 avrebbe potuto sconvolgere politiche molto delicate che la Santa Sede stava portando avanti.

Seguendo le parole del cardinale Ratzinger, tre temi di capitale importanza hanno segnato la vita della Chiesa nella seconda metà del secolo XX:


1. l’apertura della Chiesa al mondo moderno;

2. l’Ostpolitik, cioè l’apertura della Chiesa al comunismo;

3. l’attuazione delle direttive del Concilio tese a promuovere questa doppia apertura, oggetto di tanti problemi di “digestione” da parte del mondo cattolico. Come si inserisce il terzo segreto in questo panorama?

Il terzo segreto contiene la visione di “un Angelo con una spada di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva grandi fiamme che sembrava dovessero incendiare il mondo intero”. Ora, un mondo che Dio vuole punire in questo modo è un mondo che ha rigettato Dio. Non è un mondo che possa auspicare “quella grande speranza di trovare una nuova relazione positiva tra mondo e Chiesa”. A mio parere, la rivelazione del segreto nel 1960 avrebbe potuto frenare di colpo l’ambita apertura della Chiesa al mondo moderno. Durante il Concilio, troppi padri erano animati dall’ottimismo nei confronti del mondo moderno. Se, invece, avessero dedicato la dovuta attenzione alle due parti del Segreto già allora rivelate, forse avrebbero attenuato tale ottimismo. Basta, per esempio, prestare attenzione alla frase “molte nazioni saranno annientate”, contenuta nella seconda parte del Segreto. La rivelazione della terza parte – si pensi, per

esempio alla “grande città mezza in rovina” – avrebbe potuto aprire gli occhi dei pastori, inibendoli dal compiere il passo di apertura acritica al mondo moderno.

Siccome, però, molti uomini di Chiesa erano determinati a portare avanti tale apertura, a ogni costo, fu scelto di non divulgare il terzo segreto, anche al costo di frustrare parecchi fedeli. Un castigo così immane indica che la condotta degli uomini e della società oggi è in contraddizione con la legge di Dio. È possibile evidenziare il punto centrale di questa contraddizione?

A causa del laicismo imperante, gli Stati oggi si sentono esenti dall’obbligo di adeguare le regole di comportamento individuale e sociale ai dieci Comandamenti della legge di Dio. Di conseguenza, le trasgressioni alla legge naturale e divina diventano sempre più efferate e frequenti: divorzio, aborto, matrimonio omosessuale, gender e via dicendo. Il laicismo dello Stato si proclama neutrale in materia di religione e di morale, salvo poi rivelarsi nemico ostinato della Chiesa cattolica e della morale cristiana. Il laicismo non è neutrale in materia di religione, sfoggia anzi un ateismo militante. Su questo laicismo incombe il messaggio di Fatima, che è molto chiaro: o il mondo fa penitenza e si converte,

Secondo Benedetto XVI, il terzo segreto non fu rivelato nel 1960 per tre motivi:

1. l’apertura della Chiesa al mondo moderno; 2. l’apertura della Chiesa al comunismo; 3. l’attuazione delle direttive del Concilio, tese a promuovere questa doppia apertura, oggetto di tanti problemi di “digestione” da parte del mondo cattolico.

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Centenario di Fatima

ritornando alla pratica della Fede, o verrà un immenso castigo. L’idea di una grande punizione non è molto presente nei commenti al messaggio di Fatima, nemmeno da parte di tanti predicatori.

Lo è, invece, negli scritti dei grandi studiosi, a cominciare dallo stesso cardinale Ratzinger. Nel Commento teologico a corredo del terzo segreto, l’allora Prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede scrisse: “Come parola chiave della prima e della seconda parte del « segreto » abbiamo scoperto quella di « salvare le anime », così la parola chiave di questo « segreto » è il triplice grido: « Penitenza, Penitenza, Penitenza! ». Ci ritorna alla mente l’inizio del Vangelo: « paenitemini et credite evangelio » (Mc 1, 15). Comprendere i segni del tempo significa: comprendere l’urgenza della penitenza - della conversione - della fede. Questa è la risposta giusta al momento storico, che è caratterizzato da grandi pericoli, i quali verranno delineati nelle immagini successive. (...) L’angelo con la spada di fuoco a sinistra della Madre di Dio ricorda analoghe immagini dell’Apocalisse. Esso rappresenta la minaccia del giudizio, che incombe sul mondo. La prospettiva che il

mondo potrebbe essere incenerito in un mare di fiamme, oggi non appare assolutamente più come pura fantasia: l’uomo stesso ha preparato con le sue invenzioni la spada di fuoco”. La conclusione è chiara: il mondo di oggi – il mondo moderno – è di fronte alla seguente scelta:

a) o si converte, abbandonando quindi i falsi principi su cui si è costruito, cioè quelli della modernità laicista; b) oppure, se non si converte, sarà punito con un grande castigo.

Nel secondo caso, sulle sue rovine sorgerà una nuova civiltà, che san Luigi di Montfort ha chiamato Regno di Maria, in perfetta sintonia con il messaggio di Fatima: “Infine il mio Cuore immacolato trionferà”.

Ecco perché il terzo segreto parla di “una grande città mezza in rovina”. A buon intenditore poche parole. Si potrebbe dire che l’idea del castigo è il punto centrale del messaggio di Fatima?

Senz’altro. Molti predicatori pensano che annunciare un grande castigo potrebbe turbare i fedeli.

Giovanni Paolo II a Fatima, il 13 maggio 2000, quando venne annunciata la rivelazione del terzo segreto, avvenuta due mesi dopo

22 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / DICEMBRE 2016


E quindi tacciono. Ora, la missione dei profeti è proprio quella di richiamare il popolo alla conversione, annunciando punizioni. Proclamare il messaggio di Fatima nella sua interezza è una questione di fedeltà. In realtà, un’osservazione accurata mostra che un numero considerevole di anime si è già formata un’idea negativa sulla modernità rivoluzionaria, arrivando alla convinzione che, senza un intervento della divina Provvidenza, questo mondo non ha rimedio. Queste anime gioiscono con la proclamazione della vittoria del bene sul male. Il fatto è che, senza la menzione del castigo, il messaggio di Fatima è svuotato del suo carattere specifico per i nostri giorni. È incomprensibile che questo punto centrale sia omesso.

Non basta affermare che la predicazione della preghiera e della penitenza è in perfetta consonanza con il Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo. È necessario anche sottolineare l’immane castigo che incombe sull’umanità peccatrice. Solo allora potranno sorgere le pietre vive del futuro Regno di Maria! Quali conseguenze ha portato nella vita della Chiesa tale apertura al mondo moderno?

Ha prodotto conseguenze molto gravi, giacché ha eliminato le barriere che proteggevano i fedeli dalla contaminazione degli errori rivoluzionari del mondo moderno, portandoli ad abdicare principi inalienabili della dottrina cattolica. Tale risultato non è sfuggito allo sguardo di Papa Benedetto. Nell’allocuzione alla Curia romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi del 2005, il Pontefice disse:

“Il Concilio doveva interrogarsi sul rapporto tra la Chiesa e la sua fede, da una parte, e l’uomo ed il mondo di oggi, dall’altra. La questione diventa ancora più chiara, se in luogo del termine generico di «mondo di oggi» ne scegliamo un altro più preciso: il Concilio doveva determinare in modo nuovo il rapporto tra Chiesa ed età moderna. (...) Chi si era aspettato che con questo “sì” fondamentale all’età moderna tutte le tensioni si dileguassero e l’“apertura verso il mondo” così realizzata trasformasse tutto in pura armonia, aveva sottovalutato le interiori tensioni e anche le contraddizioni della stessa età moderna; aveva sottovalutato la pericolosa fragilità della natura umana che in tutti i periodi della

storia e in ogni costellazione storica è una minaccia per il cammino dell’uomo. (...) Non poteva essere intenzione del Concilio abolire questa contraddizione del Vangelo nei confronti dei pericoli e degli errori dell’uomo”. Secondo Lei, la punizione annunciata a Fatima distruggerà il mondo fino alle fondamenta?

No, assolutamente! Non è la fine del mondo. Il terzo segreto è molto chiaro: “una città mezza in rovina”, quindi non totalmente distrutta. Di ciò che esiste oggi qualcosa resterà. È confortante vedere che molti dei nostri contemporanei, finora passivi osservatori dell’avanzare del processo rivoluzionario, oggi invece cominciano a reagire. Si può, dunque, prevedere che il processo rivoluzionario non raggiungerà i suoi ultimi traguardi, cioè la totale distruzione della civiltà cristiana, i suoi principi, le sue istituzioni, i suoi monumenti. Esso urterà contro la resistenza, piccola ma in aumento, di un crescente numero di anime fedeli.

Commuove vedere nella scena finale del terzo segreto la schiera dei martiri che, con il loro sangue, innaffiano la terra che quindi rifiorisce. Il segreto accenna, dunque, alla restaurazione della civiltà cristiana in tutto il suo splendore. Dopo la rimozione dei detriti del laicismo moderno, risorgerà “la pace di Cristo nel Regno di Cristo, ossia, la civiltà cristiana, austera e gerarchica, sacrale nei suoi fondamenti, antiugualitaria e antiliberale”, come scrive Plinio Corrêa de Oliveira nel suo capolavoro «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione».

Noi non sappiamo quando avverrà ciò. Ma una cosa è certa: questa è la volontà della Madonna che a Fatima ha formalmente promesso il trionfo del suo Cuore immacolato.

Giovanni Paolo II con suor Lucia, a Fatima TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / DICEMBRE 2016 - 23


Santi ed eroi

L’uomo che fermò Hitler

di Marco Giglio

Il 13 maggio 1940, anniversario della prima apparizione di Fatima, un fatto soprannaturale impedì alla Wehrmacht di attaccare la Svizzera

D

alla metà degli anni Trenta, col nome in codice “Operazione Tannenbaum”, Hitler veniva preparando l’invasione della Svizzera in vista della sua annessione al Reich, alla stregua dell’Anchluss austriaco. Aveva perfino già preparato l’Aktion S (Schweiz), ovvero il dettagliato piano per l’instaurazione del dominio nazista in Svizzera, dalla sua conquista da parte della Wehrmacht fino al suo completo consolidamento come provincia tedesca.

Il 9 maggio 1940 l’ambasciatore americano informa il governo svizzero che il Paese avrebbe avuto bisogno di un miracolo per non essere invaso. L’11 maggio i servizi segreti svizzeri avvertono che la Wehrmacht si stava schierando lungo il confine nord-orientale. Il 12 Berlino interrompe ogni dialogo con la Svizzera. Lo stesso giorno, il ministro Goebbels annuncia alla radio: “In Europa, in meno di 48 ore, non vi saranno più nazioni neutrali”. La mattina del 13 maggio 1940, anniversario

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della prima apparizione della Madonna di Fatima, i paracadutisti della caserma di Stoccarda raggiungono gli aerodromi vicini al confine. La Luftwaffe è messa in stato di massima allerta. Nel tardo pomeriggio, ovviamente ben informata, Radio Tokio annuncia: “La Svizzera non c’è più. L’attacco tedesco è in corso”. Quella notte, Adolf Hitler dà il via libera all’Operazione Tannenbaum. Essa consisteva nell’invasione della confederazione elvetica da più parti, coinvolgendo undici divisioni tedesche e quindici italiane, per un totale di quasi un milione di soldati.

Dal suo canto, l’esercito svizzero contava su un milione di soldati, oltre al suo proverbiale sistema difensivo. Tutte le montagne e i laghi erano stati militarizzati e tutti i ponti imbottiti di esplosivi. Hitler disprezzava la Svizzera, chiamandola “un brufolo sulla faccia dell’Europa” e la sua popolazione “disgustosa e miserabile”. Tuttavia, temeva il suo sistema difensivo, che definiva “mostruoso e pauroso”, e il coraggio del suo esercito, che riteneva “peggio dell’Armata rossa”.

Interviene san Nicola di Flüe

Alle ore 23.00 il generale Ritter von Leeb riceve direttamente da Hitler il via libera. Alle ore 3.00 egli schiera le sue Panzerdivisionen sul confine e ordina l’attacco. In quell’istante succede un fatto inimmaginabile, raccontato dallo stesso generale: “Dopo aver ordinato alle mie truppe di attaccare la Svizzera, successe un fatto che sconvolse la


mia vita. Vidi intere divisioni ferme, senza poter avviarsi e senza poter sparare un solo colpo. Dopo aver ricevuto con stupore i rapporti dei miei subordinati feci rapporto al Führer. Infuriato, egli minacciò di fucilarmi se l’attacco non fosse avvenuto entro l’ora. Hitler non voleva credere che nessun carro armato, nessun camion e neanche una moto potessero partire. Lo stesso succedeva con gli aerei della Luftwaffe. Dopo tre tentativi, i mezzi erano ancora fermi, e gli aerei rimanevano a terra. Alla fine Berlino si arrese, e diede l’ordine di ritirata su tutto il fronte. In quel momento, i mezzi ripartirono senza alcun problema. La luce nella notte, una figura protesse la Svizzera e mi umiliò davanti al mio Führer”.

Il fatto sconvolse tanto von Leeb che, dopo aver comandato l’offensiva tedesca in Francia (giugno) e in Russia (settembre), col grado di Feldmaresciallo, diede le proprie dimissioni ritirandosi quindi a vita privata. Venne a morire nel 1956. Va detto, a onor del vero, che egli fu sempre uno strenuo avversario di Hitler e del nazismo. A cosa si riferiva von Leeb con “la luce nella notte” e “una figura protesse la Svizzera”?

Molte testimonianze attestano che quella notte del 13 maggio 1940 una mano luminosa apparve nel Cielo, come proteggendo la Svizzera dai nazisti. Il comandante svizzero Langendorf, per esempio, scrisse: “La sera del 13 maggio 1940 apparve nel cielo una mano. La mano sembrava simboleggiare uno Stop”.

Sopra, il feldmaresciallo Ritter von Leeb

Sotto, dipinto in una chiesa svizzera che mostra il miracolo del 13 maggio 1940

Pagina precedente, ritratto di san Nicola di Flüe (1417-1487), patrono della Svizzera

Lo stesso dichiara il brigadiere Hans Felix Pfenninger: “Sì, abbiamo visto nel cielo una mano, non solo io ma anche i miei soldati. Abbiamo dovuto riferire tutto ciò, sotto giuramento, al generale Guisan [Henri Guisan, Comandante capo delle forze svizzere, ndr]. Come evangelico, questo fu per me inspiegabile, e quindi mi sono convertito al cattolicesimo”.

Un medico militare, il dott. Walter Döbeli, scrisse: “Come protestante, debbo ammettere che fu san Nicola di Flüe colui che apparve in cielo e fermò la Wehrmacht, così salvando molte vite svizzere”.

A guerra finita, lo stesso Governo svizzero dichiarava per bocca del Consigliere federale Kaspar Villiger: “La guerra è finita e noi siamo convinti che, al fianco delle nostre truppe, vi sia stato il nostro patrono san Nicola di Flüe. Egli ha salvato la nazione dalla guerra”.

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Il pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira

Campanili della Tradizione di Plinio Corrêa de Oliveira

Qual è la bellezza della vocazione contro-rivoluzionaria nei giorni nostri?

Discorso di chiusura del II Incontro giovanile latino-americano, San Paolo, 15 gennaio 1970

Il campanile di Viceno in Val Formazza (VB) 26 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / DICEMBRE 2016


È

arrivato finalmente il momento della separazione. È arrivato il momento in cui, dopo alcuni giorni di convivio che si presentavano certamente intensi per i giovani che per la prima volta prendevano contatto con noi come giorni di una prima incognita, ardua da vincere, che però dopo si è andata illuminando con luci nuove. Si è andata illuminando con armonie nuove e con nuove verità e col fuoco di nuove decisioni nelle loro anime, al punto che si sono tuffati pienamente in questo convivio quotidiano, dopo ciò, ecco arrivato il momento della separazione. Questo momento è crudele per tutti noi, non solo per voi che siete venuti da luoghi assai lontani del Brasile, ma anche da altri paesi dell’America Latina, è anche crudele per noi, che restiamo qui, nello stesso cuore della Contro-Rivoluzione. È un momento crudele di dilacerazione. Non a causa di un sentimentalismo stupido per le amicizie che si allontanano geograficamente, ma per causa della grande incognita che grava su ogni separazione come questa. Incognita per voi, incognita per noi. È l’incognita della perseveranza.

Voi ve ne andate, cari miei, come pecore in mezzo ai lupi. Voi ve ne andate per annunciare la Verità, ve ne andate per predicare il Bene, ve ne andate per il vostro esempio, per la vostra parola, per il vostro impegno, per combattere tutto un mondo che si è dato al male, che si è dato all’errore, che si è dato alla stra-

vaganza, che si è dato alla depravazione! Lo scontro sarà immenso. La prova sarà dura, e vi assalirà non soltanto mentre sarete per strada, o con i vostri colleghi di studio o di lavoro, ma perfino, a volte – e quanto duole dirlo! – fra le sacre pareti del focolare.

Fosse solo quello! Perfino negli ambienti tre volte sacri del Tempio si faranno sentire voci che cercheranno di dissolvere nelle vostre orecchie e nelle vostre anime le lezioni qui ricevute, di cancellare gli ideali a voi presentati, di farvi rinunciare alle decisioni che qui avete preso. È epica la lotta che si staglia davanti a voi! E perciò – e io ne sono certo – molti di voi sentite, già in questo momento, un’angoscia che vi costringe il cuore. Questa angoscia non è solo vostra, ma è anche nostra. Noi ci preoccupiamo per voi, e vedendo i vostri passi che già da domani si allontaneranno da noi in diverse direzioni, noi ci domandiamo: Madonna, persevereranno?

E la risposta che nascerà dal fondo di questa domanda suscitata dall’angoscia non sarà la risposta dell’angoscia, sarà invece la risposta della fiducia, sarà la risposta della preghiera, della preghiera già mille volte esaudita in occasione di altri congressi, di altre Settimane di studio. Noi, nel momento della separazione, siamo sempre assaliti dalla stessa preoccupazione.

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Il pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira

Veduta dell’auditorio durante la conferenza: Voi siete i campanili della Tradizione!

Ma, di convegno in convegno, di Settimana di studio in Settimana di studio, ecco che tornano quelli che se ne erano andati, e tornano con le braccia piene di raccolti, di battaglie ingaggiate, di buoni esempi dati, tornano con nuovi amici al cuore della tradizione, la famiglia e la proprietà. Nostra Signora non abbandona coloro che si isolano e vanno per le vie del mondo senza la protezione vicina di coloro che abitano qui, coloro che vanno per le vie del mondo al Suo ordine, per la Sua missione, chiamati da Lei. Più di quanto noi stessi potremmo fare, lo farà il Suo sguardo sapienziale e immacolato, posto su ognuno di voi in ogni momento della vostra esistenza, il Suo sorriso, la Sua grazia, la Sua forza proteggendovi, parlando nell’intimo dell’anima, parlandovi per la voce di un amico, per la voce di un collega, per la voce di un buon esempio che ricevete. In questo modo, andate! Andate animati! Andate risoluti! Andate pensando alla bellezza della vostra vocazione! Qual è la bellezza di questa vocazione? Qual è questa vocazione?

Immaginatevi una città completamente in balìa del disordine e del caos. Una città la cui confusione produce cacofonie di tutti i tipi; una città nella quale, nel mezzo di queste cacofonie, si sentono urlare blasfemie e immoralità. Immaginate nel mezzo di que28 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / DICEMBRE 2016

sta città le campane di centinaia di chiese che suonano, chiedono a Dio misericordia, chiedono a Dio giustizia, Gli chiedono, attraverso il perdono o la forza, di far cessare subito tante abominazioni per salvare le anime che si perdono. Immaginate il numero di queste campane aumentare, suonate da anime, da mani fedeli che tentano di sottomettere la cacofonia blasfema della città. È un frastuono di voci, un conflitto di suoni, è l’armonia sacrale delle campane che protesta e che cerca di attenuare dall’alto i fragori illegittimi che si innalzano dalla terra.

Nel mezzo di questa lotta i primi combattenti iniziano ad invecchiare, iniziano a morire qua e là. Altri non muoiono, non invecchiano, ma cominciano a suonare la campana con una mano sempre più stanca: lo scoraggiamento li prende. Altri infine, finiscono per essere sedotti dalla baraonda della terra, smettono di suonare la campana e abbandonano le sacri torri della fedeltà per i pantani, per le strade piene di blasfemia, abbandonano la loro missione. Poche campane suonano ancora, ma nel mezzo del frastuono esse perseverano. E perseverano sotto ogni aspetto, perseverano in tutti i modi, perseverano contro ogni speranza, continuando ostinatamente a suonare. Nel più alto dei cieli c’è Maria Santissima, Regina di tutto l’universo, che ascolta, giudica e prega.


“Questa campana, che rappresenta l’eco fedelissima delle voci anteriori, è la campana della Tradizione che nell’aurora del Regno di Maria fa risuonare il suono di tutti i tempi, il suono di tutti gli insegnamenti della Santa Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana, non solo come continuazione del passato, ma come timbro più radioso, di più bei giorni futuri”

Onnipotenza supplicante, Lei accompagna gli avvenimenti passo dopo passo, perché Ella desidera che arrivi un determinato momento, un determinato istante in cui la Sua gloria rifulga. Questo istante avrà luogo quando le ultime campane ancora suoneranno, quando ancora esse persevereranno, ma il loro numero si sarà talmente ridotto, che quasi nessuno le sentirà più nel mezzo della confusione generale. Sarà in questo preciso istante che Maria Santissima interverrà. E nel mezzo del clamore generale, di queste grida di angoscia che salgono dal peccato, di queste grida di rivolta che si alzano dalla lussuria e dall’egoismo e dall’orgoglio, nel mezzo di tutto questo Maria Santissima donerà a queste campane una sonorità soprannaturale. Esse cominciano a trovare eco. Nella città iniziano insurrezioni. Qua e là una o più voci impressionate cominciano a gridare: “Questo non può continuare! C’è una campana che dice una cosa diversa; c’è una campana che mi invita a qualcosa di diverso rispetto a questa cacofonia; datemi la voce di quella campana. Or dunque io la procurerò, mi porrò vicina a lei e lì troverò la mia strada. Gente, venite, seguitemi!”.

E da tutte le parti iniziano a prendere forma, di qua e di là, piccoli nuclei che, nell’oscurità e nell’immane catastrofe, si raggruppano, prendono conoscenza l’uno dell’altro, si confortano a vicenda e giungono nella parte della città dove alcuni campanili ancora suonano. E lì riuniti iniziano la lotta della riconquista, iniziano a far cessare ogni tipo di disordine e impugnano la spada della parola che San Paolo affermò essere tanto tremenda, tanto ammirevole, tanto efficiente da ottenere molto più che la distruzione di milioni di corpi: una spada che colpisce quella regione misteriosa e profonda dell’anima umana, quella regione da dove tutto si governa, che decide i destini della Storia, quella regione che San

Paolo chiama la congiunzione tra l’anima e lo spirito. Inizia a penetrare nelle anime, produce movimenti di indignazione, movimenti di cristallizzazione, conduce dietro di sé, in segno di protesta contro la confusione, contro il caos, contro la corruzione, conduce dietro di sé, moltitudini che prima non facevano nulla. Alcuni dormivano, altri piangevano, pochi pregavano, nessuno faceva qualcosa. Ma uniti gli uni agli altri, eccoli che iniziano a lottare, che iniziano a reagire. Maria Santissima ha riunito il suo primo esercito.

È allora che il male tenta di soffocare questo esercito, tenta di eliminare il clamore, il suono di queste ultime campane. In questo istante, Maria Santissima, dal più alto dei cieli, discende insieme ai suoi Angeli. È in questo istante che Lei interviene disperdendo i malvagi, è in questo istante che Lei instaura la Sua gloria. Allorché la Sua gloria avrà inizio e il Suo Regno comincerà a risplendere tra gli uomini, la stessa campana starà suonando. È la stessa campana dell’inizio della reazione, che porta con sé il timbro delle campane suonate nelle epoche anteriori della gloria e della pace.

È la campana che rappresenta l’eco fedelissima delle voci anteriori, è la campana della Tradizione che nell’aurora del Regno di Maria fa risuonare il TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / DICEMBRE 2016 - 29


Il pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira

suono di tutti i tempi, il suono di tutti gli insegnamenti della Santa Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana, non solo come continuazione del passato, ma come timbro più radioso, di più bei giorni futuri.

Per intervenire, Maria Santissima aspetta questo momento nel quale tutto sembrerà perso, e nel quale Lei vorrà che tutto si salvi. Ed è questo il momento preciso che abbiamo davanti a noi. Non lo si può comprendere altrimenti, se non da un punto di vista soprannaturale. Non si può comprendere altrimenti, signori miei, la crescita in America Latina [dell’ideale Tradizione, Famiglia e Proprietà]; abbiamo appena constatato questo nella quotidianità, non solo nel contatto con coloro che ci sono pros-

simi, ma anche nel contatto con quanti sono da noi distanti.

Qui e là, vediamo che nel mezzo del caos si avvicinano persone, che si formano dei gruppi che iniziano a lottare, si realizza l’impossibile, auditori come questo si riempiono e si riempiono di giovani che da secoli la Rivoluzione prepara per essere sue vittime. Si riempie di giovani che hanno il senso della tradizione, un senso della famiglia, un senso della proprietà, che è mancato tante volte a quelli più grandi di loro, tanto più prossimi al passato in cui brillò, invece, questa sacra triade di valori.

Come spiegare questo fatto se non da un punto di vista soprannaturale? Come spiegare questo fatto se non per mezzo di una grazia speciale di Maria Santissima? Come spiegare questo fatto se non come una missione? Nel mondo in rivolta di oggi, nelle vostre nazioni, nelle vostre città, nei vostri paesi, voi sarete altrettante campane della Tradizione che suonano. Intorno a voi, negli ambienti che frequentate, la forza galvanizzante di questa chiamata di Maria Santissima si farà sentire. Il peso del demonio non mancherà. L’opposizione dello spirito delle tenebre che si è manifestato sottovoce, che si è manifestato con calunnie contro di voi, si moltiplicherà in tutti i modi. Verrà il giorno in cui ciò non basterà; il giorno in cui vorranno la vostra carne, vorranno il vostro sangue, vorranno la vostra vita.

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Ma voi siete il campanile che risuona, che risuona nell’oscurità e nella cacofonia, che risuona nel mezzo della confusione diffondendo


Io non sono, io non pretendo altro che di essere una campana, anzi meno di una campana: un’eco della grande campana che è la Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana

il suono della Tradizione, il suono del passato cattolico, prolungando questo suono fino alle prime albe del Regno di Maria. In questa missione tanto bella, così bella che io credo che, fatta eccezione per quella degli Apostoli, non ve ne sia stata una più bella sulla terra, questa bella missione data a ciascuno di voi individualmente, al più piccolo tra voi, al più segnato tra voi, al più tentato tra voi, in questa missione che oggi batte alla porta delle vostre anime per convincervi e infiammarvi, anche se i cieli si dovessero aprire e gli Angeli dovessero discendere sotto forma sensibile per difendere la vostra fedeltà, in questa missione, la grazia non vi mancherà!

Siate fedeli! Siate valorosi! Siate eco fedeli della Tradizione e tornerete ancora in Brasile cantando allegri, le vittorie che, attraverso voi, Maria Santissima avrà conquistato.

Il Salmo 126 recita: “Euntes ibant et flebant, mittentes semina sua. Venientes autem venient cum exsultatione, portantes manipulos suos” Se ne sono andati nella tristezza, nella notte, nell’incertezza, nel buio, piangendo ma seminando, ecco che tornano nell’allegria, portando alla tranquillità del focolare, allo splendore del convivio con i loro parenti, gli strumenti di lavoro con cui hanno riempito il giorno compiendo il proprio dovere.

Voi adesso ve ne andate, e le vostre anime piangono, ma voi portate i semi ricevuti in questa Settimana di studi; voi ritornerete con la grazia di Dio, con gioia, portando gli strumenti del vostro lavoro, gli insegnamenti che avete ricevuto e gli amici che avrete conquistato per la prossima Settimana di studi. Una parola su di voi è già stata spesa. È giusto che dica una parola su di me. Il mio nome è stato pronunziato questa notte innumerevoli volte. È stato menzionato così generosamente, che da parte mia sarebbe una mancanza di giustizia se su me stesso non vi dicessi nulla.

Voi avete letto i miei scritti, mi avete sentito parlare diverse volte, mi sentite parlare anche adesso. Voi

non mi avete mai sentito dire, sia voi amici di sempre, che da più di trenta o quarant’anni lavorate con me, sia voi amici di oggi, che in questo momento cominciate a conoscermi, voi non mi avete mai sentito pronunziare questa frase: “Io ho elaborato una dottrina; ho costruito un modo di pensare, ho fondato una scuola, ho fatto questo, ho fatto quello”. Tutto quanto ho fatto nella mia vita, l’ho sempre presentato, per un dovere di giustizia, con animo allegro ed entusiasta, io l’ho presentato - nella riconoscenza e nella gratitudine – come dottrina della Santa Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana. Perché se in me c’è qualche cosa di buono, questo che c’è di buono non è altro che merito di Maria Santissima che mi ha dato la grazia – per la quale io non ho sufficienti parole di ringraziamento, e per cui spero un giorno di poter trascorrere insieme a Lei l’intera eternità per ringranziarLa di ciò – di essere stato battezzato, di essere divenuto figlio della Santa Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana. La dottrina che io insegno è un’esposizione della Dottrina della Chiesa. Un’esposizione fatta talvolta con difficoltà perché raccolta da angoli reconditi, dove dormono tante meraviglie della Chiesa. È vero che vi è stato, pertanto, una sorta di lavoro archeologico per scoprire, nel fondo di questo silenzio, ma che non avrebbe dovuto essere silenzioso, per scoprire nel fondo di questo silenzio, ciò che io presento come dottrina. Potete leggere i miei libri, ascoltare le mie conferenze registrate, ma mai udrete altra cosa sul mio conto. Voi potreste dire che c’è molta osservazione della realtà, che c’è molta sagacità nel modo in cui la TFP vede le cose; che c’è originalità nel mondo in cui essa risolve i problemi. E io vi risponderei che è TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / DICEMBRE 2016 - 31


Il pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira

vero, ma voi udireste, ripetuto da me cento volte, che questo lo dobbiamo – io lo devo – al fatto che noi ci siamo imbevuti di dottrina cattolica su una serie di aspetti della vita umana che, cristallizzati in formule, cristallizzati in stili di vita, incarnati nelle tradizioni, hanno dato vita a quello che noi chiamiamo lo stile TFP.

Io non sono, io non pretendo altro che di essere una campana, anzi meno di una campana: un’eco della grande campana che è la Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana. Io desidero prolungare, non come ministro, non come maestro, ma come discepolo fedele ripieno di allegria per la gloria di essere discepolo, io desidero prolungare questo insegnamento, taciuto da tante cattedre, taciuto da tanti pulpiti, taciuto in tanti confessionali. Noi siamo l’eco che nel mezzo della battaglia prolunga la voce della campana, porta fino agli estremi la voce della campana facendola sentire ovunque, fedele anche quando – o dolore! – essa è silente, perché l’eco continua anche quando la campana tace; fedele anche quando la campana inizia a rintoccare in modo folle, tradendo la sua propria vocazione.

come se fosse il tempo del faraone Tutankhamon – c’era a San Paolo un bambino, nato in una famiglia cattolica, che aveva nella sua stanza una statua di Maria Santissima verso la quale aveva un’inspiegabile attrazione. Questo bambino, in un determinato momento dovette passare per una prova molto dura. E in quell’istante si mise a pregare vicino a una statua di Maria Ausiliatrice.

Nel collegio che frequentava, c’era un’altra immagine della Madonna del Buon Consiglio, presso la quale egli pregava nei giorni di tentazione. La colpa della tentazione era in lui stesso. Poteva dirsi di questo bambino ciò che disse Sant’Agostino sulla sua infanzia: “Tantillus puer et tantus peccator – così piccolo fanciullo e così grande peccatore”. La colpa era in quel bambino.

Questo bambino, tuttavia, alzando lo sguardo verso la statua di Maria Santissima, senza che avesse alcuna visione, senza che avesse alcuna rivelazione, senza che ricevesse nulla che non passi attraverso la vita comune della grazia, questo bambino capì, comunque, che Lei era Madre di Misericordia, che con Lei sarebbe andato tutto bene. Lui ripose una tale fiducia in Lei Questa è la fedeltà che mai l’ha abbandodell’eco, l’eco che Statua di Maria Ausiliatrice davanti nato per il resto della sua muore a partire dal moalla quale il giovane Plinio pregò vita. Lei gli sorrise contimento in cui smetta di rinuamente e questo bampetere. Il mio desiderio nella vita non è altro che ripetere, ripetere quello che bino assunse come suo dovere quello di parlare di io ho ascoltato, quello che io ho ascoltato dalla Santa Lei e di servirLa fintanto che avesse vita. Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana. Questo bambino che deve tutto a Lei, e che in E questo, questa fedeltà che fino ad oggi io ho questo momento Le rivolge pubblicamente un atto mantenuto e che Maria Santissima – lo spero – mi riconoscente di venerazione, mostrando che in lui concederà fino alla fine dei miei giorni, questa fe- non vi è nulla, ma che Lei è la Mediatrice di tutte le deltà, a cosa la debbo? Permettetemi una confidenza. Grazie, e che a Lei noi dobbiamo attribuire tutto, C’era una volta, tra il 1918 e il 1920 – un tempo questo bambino voi lo vedete in questo momento dache appare così lontano, per tanti di voi qui presenti, vanti a voi, che così termina il suo discorso. 32 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / DICEMBRE 2016


Il cappello: un fatto culturale

P

di Plinio Corrêa de Olvieira

rima della Rivoluzione francese il capello era il tricorno, le parti ritorte della tesa erano sollevate, spesso era adornato da bellissime piume, il tessuto era ricamato e talvolta portava anche qualche pietra preziosa.

Nel secolo XIX si è passati al cilindro. Oggi, tale copricapo può sembrare un lusso. In realtà, però, è appena un tubo nero. Si tratta di un pezzo di canna fumaria… A volte era fatto con materiale molto fine. C’era, per esempio, il cosiddetto cilindro a otto riflessi. A confronto del tricorno, però, sembra il copricapo di un becchino. Tanto più che gli uomini si vestivano di nero, come se fossero agenti funebri. L’unico adorno era, talvolta, una perla sulla cravata.

C’è stato, evidentemente, un crollo nei criteri di bellezza, anche nel campo della moda femmimile.

Dopo la Prima guerra mondiale ci fu un enorme cambiamento nella moda. Tutto si rammollì. Il cappello a cilindro scomparve, utilizzato solo per le grandi cerimonie, e fu sostituito dal cappello di feltro morbido.

Il cappello di feltro è ancora inferiore al cilindro. Esso è basso, ha qualcosa che si abbassa fino all’altezza dell’uomo. Non è di seta ma di feltro molle. Quasi come se la sua bellezza consistesse nell’essere suscettibile di essere stropicciato. C’è una cosa curiosa nella storia della moda: prima di scomparire un costume si ammorbidisce. Si direbbe che l’ammorbidirsi è il segno di un processo mortale.

Poi venne il beretto di lana, cioè il completo rammollimento del cappello.

(Brani della riunione per soci e cooperatori della TFP brasiliana, 9 agosto 1975. Tratto dalla registrazione magnetofonica, senza revisione dell’autore) TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / DICEMBRE 2016 - 33


Una meditazione sul Natale secondo la scuola di S. Ignazio di Loyola

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arò una meditazione sul Natale seguendo lo schema di S. Ignazio di Loyola. Cercherò, comunque, di adattarla un po’ al gusto delle nuove generazioni, aggiungendovi qualche adorno.

Egli dice che, col Natale, Nostro Signore Gesù Cristo ha voluto dare agli uomini una lezione. Una lezione indirizzata, più concretamente, a chi non vive per Dio ma per se stesso, cioè una lezione per gli egoisti, che sono la stragrande maggioranza degli uomini, soprattutto in tempi di decadenza, come lo erano quando Nostro Signore è nato, e come lo sono anche oggi. L’egoismo umano, secondo S. Ignazio, può tendere verso uno di questi tre obiettivi: le delizie, la ricchezza, e gli onori.

Per “delizie” egli intende i piaceri dei sensi, a cominciare da quelli sensuali, poi quelli della degustazione, della vista, dell’olfatto, dell’udito. Insomma, tutto ciò che il mondo può offrire di piacevole e di delizioso.

Per “ricchezza” egli intende il semplice possesso di denaro. È l’avidità di chi cerca i soldi non per i piaceri che questo può procurare, in questo caso il movente non sarebbe la sete di denaro, bensì quella delle delizie, il denaro sarebbe un mezzo, non un fine. S. Ignazio si riferisce a chi ha un debole per i soldi, cioè vuole essere ricco per il

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di Plinio Corrêa de Oliveira *

solo fatto di esserlo. Tali persone spesso vivono in modo oscuro, banale, perfino miserabile, pur di avere la gioia di sentirsi continuamente in possesso di una grande fortuna.

Poi ci sono gli “onori”. Sono le persone che cercano non i soldi o la bella vita, bensì la considerazione degli altri, cioè vogliono essere oggetto di grandi attenzioni e di grande rispetto. In altre parole, cercano il prestigio.

Questa classificazione è perfetta. L’egoismo degli uomini ha sempre come oggetto una di queste tre cose. Voi stessi potete notare, sia intorno a voi sia in voi stessi, quanto gli uomini possano essere attratti da questi tre poli.

Qualcuno dirà: la classificazione è troppo schematica, perché una persona potrebbe andare dietro ai tre poli allo stesso tempo. È vero. Ma è insito nello spirito umano tendere verso uno dei tre poli in modo preponderante. Dopo averli esperimentati tutti, la persona si fissa su di uno, facendolo diventare lo scopo della sua vita.

C’è nell’uomo una certa unità per la quale egli ha anche un’unità di intenti. Quando non cerca Dio come fine ultimo, finisce per cercare uno di questi tre tipi di piacere come il suo fine ultimo.


Con la Sua nascita, Nostro Signore Gesù Cristo dimostrò la vanità di questi piaceri. Egli venne al mondo per dimostrare agli uomini come questi piaceri non valgano nulla.

Questa prova, naturalmente, si applica solo ai cattolici. Essa assume come punto di partenza la convinzione che Nostro Signore Gesù Cristo sia l’Uomo-Dio e, di conseguenza, che le Sue lezioni siano infinitamente sagge e infinitamente vere. Un ateo, ovviamente, non può accettare questa evidenza. Come potremmo fare una meditazione di Natale per un ateo? È impossibile, poiché egli nega la stessa ipotesi del Natale. Queste considerazioni sono, dunque, per un cattolico. Di più. Questa non è una meditazione per un cattolico qualunque, bensì per uno che abbia un certo fervore, al punto di essere in grado, almeno in qualche misura, di essere impressionato dalle cose della religione. Non è una meditazione per cattolici tiepidi, come se ne trovano tanti oggidì.

Gli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio suppongono un cattolico che si lasci impressionare e toccare con i temi religiosi, un cattolico con la voglia di essere coerente con la propria fede, che deduca dai principi religiosi alcune conseguenze per la sua condotta personale, ritenendo intollerabile essere incoerente.

Sant’Ignazio propone quindi una meditazione sul Natale, richiamando all’ordine quei cattolici che magari si possono sentire attirati da uno di questi tre obiettivi idolatrici, dimenticando Dio a causa del denaro, dei piaceri o degli onori.

Vanità delle ricchezze

Prendiamo il primo obiettivo – le ricchezze – e domandiamoci: a cosa valgono le ricchezze di questo mondo?

Nostro Signore Gesù Cristo è il creatore del cielo e della terra, è la seconda Persona della Santissima Trinità, è Dio. Egli ha creato l’universo, perché le operazioni di Dio sono fatte congiuntamente dalle tre Persone della Santissima Trinità. Le tre Persone hanno creato tutta la ricchezza che esiste sulla terra. Insomma, tutto ciò che esiste di splendido, di bello e di utile, in grado di sostenere la prosperità di un uomo, è stato creato da Dio.

Vera effige di s. Ignazio di Loyola

Nessuno può avere una ricchezza paragonabile a quella di Dio.

Dio non solo ha creato tutte le ricchezze che esistono, ma possiede la forza infinita di creare tutte quelle che vuole, senza nessuno sforzo. Egli è onnipotente ed esercita la Sua onnipotenza con una facilità perfetta. Basta guardare le stelle del cielo per capire quanto facilmente Dio crea tutto. Con la stessa facilità con cui Egli crea un granello di sabbia, avrebbe potuto creare mille universi. Inoltre, Dio è ricco nella Sua essenza, molto di più che per quello che Egli ha creato. Ora, questo Dio così infinitamente ricco ha voluto venire sulla terra come un povero, nato da un padre falegname e da una madre casalinga. Ha voluto nascere in una mangiatoia, cioè nel luogo più povero che si possa immaginare, avendo per riscaldamento il respiro di alcuni animali e come riparo non una residenza per uomini ma una stalla. È lì che il Verbo di Dio è nato!

Con questo gesto, Nostro Signore Gesù Cristo ha voluto insegnare che l’uomo deve essere indifferente nei confronti delle ricchezze, quando si tratta di confrontarle col servizio di Dio. L’uomo deve vivere non per essere ricco ma per amare, lo-

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dare e servire Dio su questa terra, salvo poi goderLo in Cielo per tutta l’eternità.

Così, questi uomini che vediamo intorno a noi, correndo scatenati dietro i soldi, avendo il possesso del denaro come unica preoccupazione della loro vita e meta della loro felicità, a punto di parlare soltanto di soldi, questi uomini sono dei veri sciocchi. Per quanto possano possedere, tutte le loro ricchezze sono appena un atomo di ciò che esiste nell’universo. Per Dio non sono altro che polvere e fango. Immaginiamo l’uomo più ricco del mondo. Così ricco che il semplice indice dei suoi beni è più lungo dell’elenco telefonico: immobili, denaro contante, azioni, oggetti preziosi e via dicendo. Che cosa vale tutto ciò in confronto con Nostro Signore Gesù Cristo? Assolutamente niente!

Queste persone che vivono solo, o principalmente, per i soldi e fanno del loro possesso l’unico scopo della loro vita, sono dei veri stupidi. Essi calpestano la lezione che Nostro Signore Gesù Cristo ci ha dato nella mangiatoia di Betlemme. Qual è questa lezione?

A Betlemme Nostro Signore ci ha insegnato che l’uomo può legittimamente ambire ricchezze, acquisirle e gestirle, purché non si trasformino nel fine supremo della sua vita. Questo dovrebbe essere la gloria di Dio e della Santa Chiesa cattolica, dunque la vittoria della Contro-Rivoluzione. Le preoccupazioni finanziarie devono essere collaterali, altrimenti il cattolico – da vero stolto – inverte l’ordine dei valori e passa ad amare di più quello che dovrebbe amare di meno, e viceversa.

La vanità delle delizie

Per quanto riguarda le delizie, Nostro Signore Gesù Cristo avrebbe potuto avere nella mangiatoia i tessuti più preziosi; avrebbe potuto ordinare agli angeli di portarGli i profumi più piacevoli; avrebbe potuto far venire i musicisti più squisiti; avrebbe potuto avere un abbigliamento super-caldo; avrebbe potuto essere alimentato con i migliori cibi. In una parola, essendo il Padrone di tutto, avrebbe potuto godere, sin dal primo istante della Sua vita, di tutte le delizie della terra. Che cosa fece, invece? L’esatto opposto! È nato sulla paglia, un materiale il cui contatto non

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dà alcuna gioia al corpo; in una stalla, dove gli odori non sempre sono piacevoli; tremando di freddo in piena notte d’inverno; avendo per sola musica il muggito degli animali. Cioè, il contrario di ogni delizia! Ha fatto tutto questo per mostrare agli uomini quanto sia sbagliato fare delle delizie lo scopo principale della vita.

Qual è, dunque, la lezione? Se è per il bene dell’anima e per la gloria di Dio, dobbiamo sbarazzarci da ogni piacere terreno, cercando unicamente il bene di Dio, della Madonna e della Santa Chiesa, anche a costa di molto sacrificio.

La vanità degli onori

In terzo luogo, gli “onori”, vale a dire la voglia smoderata di avere prestigio, spinto dall’egoismo. Che cosa sono gli onori? Sono i gesti di omaggio a una persona perché è più degli altri: più intelligente, più abile, più divertente, più diplomatica, più interessante, più gentile e via dicendo. In altre parole, sono gli atti di ossequio che una persona ritiene di dover ricevere per reali o immaginarie qualità personali.

La miseria umana è tale che a volte una persona può lusingarsi di una qualità che possiede davvero. Il famoso san Paolo Eremita, che viveva isolato nel deserto, a un certo punto ebbe la tentazione di lusingarsi per il fatto di essere l’uomo più vecchio sulla terra. Ora l’uomo più vecchio è anche quello più vicino alla sepoltura. Non c’è da lusingarsene! Evidentemente, egli vinse la tentazione. Nostro Signore Gesù Cristo ha voluto nascere spogliato da tutto ciò di cui potrebbe lusingarsi. È vero che Egli era della Casa Reale di Davide. Egli era principe di questo casato che, però, aveva ormai perso il potere politico, la fortuna e anche il prestigio sociale. Nell’ordine umano, Nostro Signore non era nessuno. Il Suo padre era un falegname e Sua madre una casalinga, come ho già detto.

Egli è nato come un paria, fuori dalla città perché nessuno ha voluto accogliere i suoi genitori. Essi avevano bussato di casa in casa chiedendo ospitalità. Nessuno ha voluto riceverli. Così ha scelto di nascere in una mangiatoia, per dimostrare fino a che punto sono sciocchi quelli che


Nostro Signore Gesù Cristo ha voluto nascere in povertà per insegnarci la vanità delle ricchezze terrene

A dx., l’adorazione del Bambino Gesù, Beato Angelico, Convento di s. Marco, Firenze

hanno l’idea fissa di sembrare più degli altri. Invece di cercare di servire la causa cattolica, fanno della presunzione lo scopo della loro vita.

Applicazione pratica delle lezioni

Come possiamo trarre profitto da queste lezioni? Prima applicandole a noi stessi, alla nostra vita concreta. E poi cercando di convincere anche altre persone. Quando vediamo qualcuno che non vive secondo la legge di Dio, ma solo per se stesso, dobbiamo avere il coraggio di dirgli: No! La tua condotta non è d’accordo con la volontà di Nostro Signore nel Vangelo! Nostro Signore, che è il re della Sapienza, insegnava il contrario. Se continui a comportarti in modo irrazionale, ti condannerai.

Dobbiamo invece proclamare: Beato chi rinuncia alla ricchezza, ai piaceri e agli onori. Oppure ha ricchezze, piaceri e onori, ma è sempre pronto a rinunciarvi, di un momento all’altro, per la causa cattolica. Io ammiro chi è pronto a qualsiasi rinuncia! Gli altri, invece, io li disprezzo. Io non posso ammirare una persona che vive come non dovrebbe.

Applicando le lezioni a noi stessi, dobbiamo domandarci: nei rapporti con gli altri, che cerco? Cerco di essere lusingato per la mia ricchezza? Per la vita di piaceri che conduco? Per un qualche titolo di superiorità? Se è così, allora non valgo niente! Io non dovrei desiderare le lusinghe degli altri, bensì che amino Dio sempre di più. Se io cerco di farmi lusingare invece di fare amare Dio, allora sto rubando a Dio ciò che Gli è dovuto. Io dovrei preoccuparmi esclusivamente di dedicare tutta la mia anima a Dio, alla Madonna e alla Santa Chiesa Cattolica.

Secondo la scuola di Sant’Ignazio, dovremmo giorno e notte avere queste considerazioni davanti agli occhi, eliminando dalla nostra anima, come uno che strappa le erbacce dal giardino, qualsiasi considerazione banale che mi possa portare ad amare il denaro, i piaceri o gli onori. Ciò presuppone, naturalmente, molta preghiera perché, con le sole forze della sua volontà, l’uomo è incapace di non pensare alle banalità. Queste sono considerazioni spesso molto ardue, che abbiamo difficoltà nel mantenere sempre in vista. E anche se riusciamo a tenerle sempre in vista, abbiamo difficoltà nel rinunciare ad alcune cose. Per raggiungere tale obiettivo, serve preghiera e mortificazione. Dobbiamo orientare tutta la nostra vita secondo questa idea: distacco dal denaro, dai piaceri e dagli onori.

Ecco una meditazione sul Natale fatta secondo la scuola di Sant’Ignazio di Loyola.

* Riunione per soci e cooperatori della TFP brasiliana, 29 dicembre 1973. Tratto dalla registrazione magnetofonica, senza revisione dell’autore.

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La festa della venuta della Santa Casa di Maria a Loreto

di Federico Catani

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Nelle Marche, le festività natalizie iniziano il 10 dicembre, con la festa della venuta della Santa Casa di Loreto e la tradizione dei “fuochi”, oggi per fortuna in ripresa.

e Marche – il cui nome stesso, al plurale, è indicativo – sono caratterizzate da una grande varietà di usanze, spesso diverse da paese a paese. Anche per quanto riguarda le festività natalizie è difficile individuare una tradizione comune, a parte, forse, quel che riguarda alcuni aspetti gastronomici.

Ce n’è però una che sembra accomunare maggiormente tutti i borghi e le città marchigiane, dal nord al sud: la festa della Madonna di Loreto o, come sarebbe meglio dire, della Traslazione della Santa Casa, il 10 dicembre. La Vergine Lauretana è la patrona della Regione e anche a livello laico, le istituzioni già da diversi anni hanno deciso di proclamare il 10 dicembre “Giornata delle Marche”.

A questa festa sono legate tradizioni secolari che purtroppo, a seguito dei profondi mutamenti sociali e culturali avvenuti a partire dalla fine degli anni Sessanta si sono andate perdendo. Bisogna però dire che negli ultimi tempi si è assistito ad una ripresa, dettata specialmente dal desiderio di conservare il prezioso e ricco patrimonio folkloristico locale.

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Tradizionalmente è la sera e la notte della vigilia della Madonna di Loreto che avvengono le manifestazioni più importanti e caratteristiche. Quella del 9 dicembre, infatti, per i marchigiani è la sera della “Venuta”, ovvero la notte in cui si ricorda la Traslazione miracolosa, avvenuta per mano angelica, delle tre pareti integre della Santa Casa di Nazareth (dove visse la Santa Famiglia) sul colle lauretano. I fatti risalgono al 1296, anche se il misterioso viaggio della Santa Casa iniziò già nel 1291, contemplando in totale ben cinque traslazioni, di cui una a Tersatto (in Croazia) e le altre tra Ancona e Loreto.

A livello popolare e in maniera spontanea, i festeggiamenti per la venuta della Santa Casa incominciarono quasi subito, fin dal XIV secolo. Si ebbe però la loro ufficializzazione e celebrazione in maniera organizzata nel XVII secolo, soprattutto grazie alla predicazione e all’opera dei cappuccini padre Bonifazio di Ascoli e fra Tommaso di Ancona. Nel 1624, il comune di Recanati (cui Loreto allora apparteneva), dispose che la sera del 9 dicembre «con lo sparo dei mortari e col suono di tutte le campane, si faranno fuochi sopra la terra del comune e si metteranno i lumi a tutte le


finestre della città e si accenderanno fuochi da’ contadini di tutte le campagne». Da qui è iniziata la tradizione dei “fuochi” (detti “focaracci” nel maceratese e fermano, “fugarò” nell’anconetano e “fochère” nell’ascolano) che si accendono nelle campagne, nei piazzali delle chiese e nei quartieri dei borghi di tutta la regione per illuminare la strada alla Madonna e a Gesù Bambino che arrivano in volo sulla loro casa. Non è un caso che in tantissime chiese marchigiane si conservino tipici gruppi scultorei, solitamente in legno, raffiguranti la Santa Casa a forma di chiesetta, munita di un piccolo campanile e con sopra la Vergine e il Bambino. Ecco perché nella regione la Madonna di Loreto è conosciuta anche come Madonna del “tettarello” (nel maceratese “de li cuppitti”), ovvero del tetto, perché è raffigurata sopra il tetto della casa. Pur variando da paese a paese, da quartiere a quartiere e anche da famiglia a famiglia, generalmente i “fuochi della Venuta” venivano accesi prima o dopo cena ma comunque, ovvio, sempre di notte. La gente si radunava attorno al falò, recitava il Santo Rosario e cantava le litanie lauretane. Aggiungendo poi canzoni ed inni mariani di devozione popolare. Ogni casa ed abitazione, inoltre, metteva almeno un lumino alla finestra o sul davanzale.

Il momento culminante comunque avveniva alle 3 di notte, l’ora in cui si riteneva che le tre Pareti fossero approdate nel punto in cui ancora si trovano e si venerano. Generalmente in quell’orario le campane suonavano a festa e molti capifamiglia sparavano diversi colpi di fucile dalle finestre per accogliere la Venuta. Poi ci si recava in chiesa per pregare e sovente era prevista la celebrazione della Messa. Oggi purtroppo questa tradizione è totalmente scomparsa, fatta eccezione – a conoscenza di chi scrive – di un volenteroso abitante di Tolentino (Mc), che ogni anno si reca in chiesa per salutare la Vergine Maria con qualche tocco di campana ed un Rosario cui si uniscono alcuni fedeli devoti. Sotto, il Santuario della Madonna di Loreto a Natale

Pagina precedente, la Santa Casa all’interno della Basilica: “Hic Verbum caro factum est”

Tutto ciò è stato recentemente e lodevolmente ripreso da numerose parrocchie e comunità locali. Un tempo era poi tradizione che i nonni o i genitori raccontassero ai più piccoli la storia della miracolosa Traslazione. E non è difficile immaginare quanto a tutti i bambini questo stimolasse la fantasia.

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Il dolce cammino ambrosiano verso il Natale

di Diego Zoia

A Milano l’ambiente natalizio si fa già sentire dal 7 dicembre con la Festa di sant’Ambrogio, Patrono della Città, e con la popolare Fiera degli Oh Bej Oh Bej, risalente al secolo XIII

M

ediolanum, ovvero il “luogo in mezzo alla terra”, è da sempre una grande città occidentale che fa l’occhiolino all’Oriente. Ce lo racconta non solo la sua vocazione da sempre multiculturale e cosmopolita, da non confondersi con le correnti accezioni, ma da interpretarsi in modo “imperiale”: ossia, con quell’ampio respiro che ha fatto grande Milano in questi secoli, annoverandola talvolta fra le capitali – non solo morali – d’Europa.

E quest’inclinazione ad essere un crocevia ce lo testimonia anche la liturgia ambrosiana, con il suo Avvento lungo sei settimane (esattamente come nelle tradizioni liturgiche orientali): un cammino di preparazione alla Natività del Signore ed ai suoi misteri. Sei settimane che ricordano al popolo cristiano la Prima Venuta del Signore, e che richiamano il cuore e la mente a riflettere sul suo Secondo e definitivo Avvento. Ma non poteva non avere, in questo percorso, un ruolo fondamentale Nostra Signora: l’ultima domenica di Avvento la Chiesa Ambrosiana celebra la Divina Maternità

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della Beata Vergine Maria, quasi a sottolineare (nell’imminenza della festa vera e propria del Natale del Signore) che ogni volta che celebriamo la Madre, celebriamo anche il Figlio.

Questo lungo periodo che parte dalla prima domenica dopo la festa di San Martino fa brillare Milano di festose luci: il 7 dicembre la Città celebra il suo Patrono, Ambrogio, con solenni celebrazioni e belle tradizioni. Spicca, fra queste la Fiera degli Oh Bej! Oh Bej!, da sempre il mercatino natalizio dei milanesi.

Se le prime attestazioni storiche di questa festa risalgono al 1288, quando – narrano le cronache – si svolgeva una festa in onore di sant’Ambrogio nella zona dell’antica santa Maria Maggiore (la Basilica Vetus, adibita dai milanesi alla funzione di cattedrale invernale prima della costruzione del Duomo), a buon diritto possiamo pensare che le origini del mercato fossero ben più arcaiche, e forse anche paleo-cristiane.


Comunque sia, il nome della festa come oggi la conosciamo, con le sue luci, le sue bancarelle e i suoi colori debbono essere fatte risalire al 1510 e coincidono con l’arrivo in città di Giannetto Castiglioni, alto dignitario dell’Ordine di San Lazzaro, incaricato dal Papa Pio IV (zio di san Carlo Borromeo) di recarsi nella città ambrosiana con la precisa missione di riaccendere nei fedeli milanesi la devozione e la fede verso i Santi.

Narra la tradizione che, giunto nei pressi della città, Giannetto ebbe il timore di non esser accolto con molto favore dalla popolazione milanese, piuttosto fredda nei confronti del Papa: era il 7 dicembre, giorno in cui Milano festeggiava il suo patrono Ambrogio. Quale captatio benevolentiae, Giannetto decise allora di approntare un gran numero di pacchi, riempiti con dolciumi e giocattoli. Varcate le porte di Milano, iniziò con il suo seguito a distribuire il contenuto dei pacchi ai bambini milanesi, che al ricevere i graditi e golosi doni, proruppero in esclamazioni di gioia gridando: “Oh bej! Oh bej!” (“Oh belli! Oh belli!”), accettando così di buon grado i doni del messo pontificio. Con lui, tutti coloro che si erano radunati intorno al corteo insieme ad una gran folla di cittadini raggiunsero dunque la Basilica di sant’Ambrogio attorniati da una folla festante. Per questo, da allora, l’antica e già esistente fiera che si teneva nel periodo della festa dedicata a sant’Ambrogio divenne la fiera degli Oh bej! Oh bej!

talizia milanese, ha vissuto traslochi importanti: nata in prossimità di santa Maria Maggiore, dal 1886 fino ad alcuni anni or sono si era spostata attorno alla Basilica di Sant’Ambrogio, collocazione che regalava un fascino unico nel suo genere; oggi si svolge a Piazza Castello. E sebbene la Fiera assuma sempre più caratteristiche internazionali, la “milanesità” della festa si gusta con ancora le castagne, il vino, la mostarda e il castagnaccio: sapori tradizionali e immancabili, perché ogni festa richiede ed è fatta anche dalla sua dimensione materialmente umana. Non per nulla, la Divina Maternità di Maria e il Natale alle porte, ci ricordano che Nostro Signore ha voluto assumere la nostra natura umana in tutto e per tutto, eccetto il peccato: e dunque anche aspetti materiali come il gusto, forse molto terreni, ma certamente piacevoli, sono meritevoli anch’essi di santificazione. E santificare la festa significa condividere con chi amiamo il gusto di cibi semplici e nel contempo speciali, e particolarmente gradevoli. A proposito: nell’aria, già sembra di sentire il profumo del panettone: ma questa è un’altra storia natalizia, tutta milanese. Sotto, l’albero di Natale a piazza Duomo Pagina precedente, la Fiera degli Oh Bej Oh Bej in piazza Castello, davanti all’imponente Torre del Filaretto

Venivano allestite bancarelle di vestiti, vecchi giocattoli, e soprattutto di prodotti gastronomici tipici dell’epoca e di cui i milanesi andavano, e ancora vanno, ghiotti: mostarda di frutta, castagnaccio e gli immancabili firòn: castagne affumicate al forno, bagnate nel vino bianco e infilate in lunghi spaghi.

Questa bella fiera, che apre la stagione na-

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Il presepe napoletano di Nicla Cesaro

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a parola presepe significa mangiatoia, greppia. Dal 1200, la parola sta ad indicare le rappresentazioni a tutto tondo sia della Natività sia di scene successive, quali l’Adorazione dei pastori, dei Magi, ecc.

Il presepe a Napoli diventa, col passar dei secoli, sempre più lontano dalla rappresentazione pedissequa dell’evento storico, e più rappresentativo della condizione di vita del popolo napoletano. La sofferenza di Cristo, nato povero e adagiato in una greppia, raccoglie l’anelito di un popolo che aspetta la Redenzione. Per questo nel presepe napoletano compaiono tante figure, tante scene. Il popolo tutto, di tutte le classi sociali, commosso dall’umanità Divina e cosciente del Sommo Sacrificio a cui Cristo, fatto Uomo, si offre, è presente ed adora il Divino Neonato. Nel 1205, a Napoli, nella chiesa di Santa Maria (che poi si chiamerà del Presepe) viene allestito il primo presepe di cui si ha notizia.

Nel 1324, ad Amalfi (Salerno), esisteva in casa d’Alagni una cappella del presepe mentre nel 1340 la regina Sancia dona alle Clarisse un presepe ligneo di cui rimane solo la Madonna Giacente (Museo di San Martino).

Nei secoli successivi la produzione presepiale fu varia ed affidata ad artisti di grande spessore. Si ricordano gli Alemanno (presepe ligneo di 41 statue, per la chiesa di San Giovanni Carbonara nel 1478), il Berverte (San Domenico Maggiore), il

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Rossellino (Sant’Anna dei Lombardi). Di grande spessore artistico il Marigliano, detto Giovanni da Nola, che scolpì un presepe ligneo, commissionatogli da Jacopo Sannazzaro in occasione della pubblicazione del poema “De partu Virginis”. Alla fine del ‘500, in pieno clima di Controriforma, ad opera di Teatini, Francescani, Gesuiti e Scolopi, il presepe ebbe a Napoli un impulso notevolissimo, con scopo didattico liturgico, poiché erano presepi poliscenici e smontabili e rappresentavano diverse tappe della narrazione evangelica.

Nel XVIII secolo, l’arte presepiale napoletana conosce il suo massimo fulgore. Il fiorire delle arti, del diritto, della filosofia, della cultura tutta, rese Napoli una delle città più brillanti d’Europa e la presenza di sovrani capaci e ispirati da valori cattolici, diede impulso a questa consolidata tradizione. Già Filippo V, nel 1702, rientrò in Spagna da Napoli, portando con sé diverse figure di “pastori” e allestiva ogni anno, nel palazzo del Buen Retiro, il presepe. Suo figlio, Carlo III e sua moglie, Maria Amalia di Sassonia, ereditarono dal sovrano questa devota consuetudine e, spinti da grandissima fede religiosa e consigliati dal domenicano padre Rocco, favorirono il diffondersi dell’arte presepiale, dedicandosi essi stessi all’allestimento delle scenografie e alla confezione di statuine e vestiti

Tale abitudine fu conservata, dopo la partenza di re Carlo per la Spagna, da suo figlio Ferdinando IV e da Ferdinando II, nelle regge di Caserta, Portici, Carditello, San Leucio, e dovunque i sovrani decidessero di trascorrere il Natale.

Naturalmente la corte imitò i sovrani e la connotazione del presepe diventò presto “cortese”.


È vero che la simbologia presente nel presepe settecentesco indica il trionfo del cristianesimo sul paganesimo (il tempio in rovina vicino alla grotta, gli angeli che annunziano ai pastori la nascita del Signore, deposto nella mangiatoia, umile come loro) ma il presepe perse la valenza ieraticamente evocativa che aveva avuto finora.

Forse proprio per questo, un Dottore della chiesa, sant’Alfonso Maria de’ Liguori, nel dicembre del 1754 scrive il canto “Quanno nascette ninno” di cui scriverà anche una versione italiana il cui nome è “Tu scendi dalle stelle”.

Nelle strofe della versione in napoletano, accanto alla spontaneità con cui poteva avvenire l’adorazione della nascita di Cristo ad opera del popolo, vi è chiarissimo l’intento di affermare il prodigio della Nascita di Cristo. Nell’uso delle parole, il miracolo della Sua nascita è delineato non come un “risorgere” in un ciclo naturalistico continuo e necessario, ma è un evento storico, un atto d’AMORE voluto e libero. Il VERBO si è fatto Carne. Non è uno dei tanti dei della natura arcadica e bucolica che sembrava avere tanta presa nell’immaginario settecentesco. GESÙ è DIO. Ha creato la natura, si incarna e tutti, Madonna, Angeli, pastori intonano canti e nenie per questo DIO Bambino. Nelle strofe del canto di sant’Alfonso, è chiaro l’intento morale, l’allocuzione al popolo che deve seguire l’esempio dei pastori e deve pentirsi dei peccati, per presentarsi al Dio Bambino

Luce. Le ultime strofe del canto sono inequivocabili. Il peccatore è nero come la pece ma se pentito, la misericordia di Dio può ricondurlo alla luce, allo splendore morale. Ed è per questo che gli ultimi quattro versi sono rivolti a Maria. Maria Speranza. Maria Madre. Madre di Dio fatto Uomo. Madre anche di noi uomini, peccatori.

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Il mondo delle TFP

Canada: Rosario in piazza

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ortata avanti dalla Canadian Society for the Defence of Christian Civilization, consorella delle TFP, la campagna Canada Needs Our Lady va a gonfie vele. L’iniziativa si prefigge la diffusione a livello nazionale della devozione alla Madonna di Fatima, nel centenario delle sue apparizioni, per attuare quella profonda conversione del cuore da Lei auspicata nel 1917.

Oltre alle visite in famiglia per incontri di preghiera e di spiegazione del messaggio di Fatima, la campagna organizza anche Rosary Rallies, cioè la recita del Santo Rosario in luoghi pubblici. Questo anche allo scopo di riportare la religione alla situazione dovuta: non soltanto una pratica “privata” o confinata alle chiese, bensì un elemento essenziale della vita pubblica canadese. Lo scorso 13 ottobre, anniversario dell’ultima apparizione di Fatima, si sono realizzati simultaneamente ben 350 Rallies in tutto il Paese. Oltre a questa campagna, la Canadian Society for the Defence of Christian Civilization è anche impegnata a fondo nel movimento per la vita, partecipando attivamente a tutte le manifestazioni in difesa dei nascituri. A luglio, uno stuolo di giovani volontari dell’associazione ha preso parte alla National March for Life tenutasi a Toronto. Portando i loro simboli caratteristici, si sono uniti alle migliaia di persone che chiedono uno Stop al massacro degli innocenti.

Un’attività molto partecipata è il pellegrinaggio che, annualmente, i volontari dell’associazione compiono al santuario di Midland, Ontario, dove sorse nel secolo XVII la prima missione dei Gesuiti. Il 16 marzo 1649, la missione fu attaccata dagli indigeni Iroquois. Due sacerdoti, P. Jean de Brebeuf e P. Gabriel Lalemant furono martirizzati. Foto, da sopra:

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- Rosary Rally a Kitchener, Ontario - Rosary Rally a Toronto - Giovani volontari dell’associazione partecipano alla Marcia per la Vita a Toronto - Marc Lascelle, direttore dell’associazione, col cardinale Cristopher Collins, arcivescovo di Toronto


Germania: NO all’agenda LGBT

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omenica 30 ottobre si è realizzata a Wiesbaden, capitale dell’Assia, una manifestazione in difesa della famiglia. Convocata dalla Demo für Alle (ispirata alla Manif pour Tous francese), la manifestazione ha radunato migliaia di persone, comprese molte famiglie con bambini a seguito. Il motto era: “In difesa del diritto dei genitori, contro l’indottrinamento sessuale”. La Demo für Alle riunisce una quarantina di associazioni e movimenti pro-famiglia, tra cui Kinder in Gefahr (Bambini in pericolo), un’iniziativa della TFP tedesca. Il motivo diretto della manifestazione è stato il progetto del governo regionale – controllato da una coalizione rosso-verde – di introdurre nelle scuole del Land l’educazione sessuale e l’iniziazione al gender. Secondo il “Programma per l’educazione sessuale nelle scuole pubbliche e professionali”, si vuole “impartire una conoscenza aperta e non discriminatoria per apprezzare la diversità e la varietà degli orientamenti sessuali e dell’identità di genere nella nostra società”.

Immediata la reazione dei gruppi pro-famiglia, che in pochi giorni hanno raccolto quasi 50mila firme contro il progetto governativo. “Questo progetto lede gravemente la libertà di espressione, l’autorità parentale, il diritto alla privacy dei minori, il diritto alla fede e la libertà di religione”, ha dichiarato nel

discorso inaugurale a Wiesbaden la leader della Demo für Alle Edvige von Beverfoerde.

Il secondo oratore è stato Mathias von Gersdorff, della TFP tedesca, direttore della campagna Kinder in Gefahr. “Il progetto del governo regionale è una fallacia – ha affermato von Gersdorf – dietro la scusa di ‘tolleranza’ e ‘diversità’ si vuole sovvertire gravemente un’istituzione fondata sul diritto naturale, come la famiglia, ledendo non solo la libertà dei bambini alla Fede e alla religione, ma anche il diritto dei genitori a controllare l’educazione dei propri figli. Non possiamo permettere la manipolazione sessuale dei nostri bimbi”.

La campagna della coalizione pro-famiglia ha avuto molto eco sui giornali, sia locali che nazionali. In particolare, l’autorevole Frankfurter Allgemeine Zeitung le ha dedicato un lungo articolo in prima pagina. La TV regionale ha mandato in onda un lungo servizio.

La sinistra omosessualista sembra allarmata. Parlando di “un successo sorprendente”, la pubblicazione online queer.de, portavoce delle lobby LGBT, si è scagliata contro “questa nuova destra” che “porta le sue lotte in Parlamento”. Specialmente preoccupante, secondo il portale, è il proliferare di pubblicazioni, siti e blog “omofobi”. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / DICEMBRE 2016 - 45


Il mondo delle TFP

I

l 2016 sarà ricordato in diversi paesi latinoamericani come l’anno del virus Zika. Alcuni casi di bambini brasiliani nati con microcefalia da madri infettate dal virus, che è inoculato dalla zanzara aedes aegypti, hanno fatto scattare una gigantesca campagna pubblicitaria con il pretesto di allertare l’opinione pubblica contro i presunti rischi dello Zika. A più di un osservatore, però, tanto chiasso è finito per sollevare qualche sospetto di manipolazione. Il sospetto si è trasformato in certezza quando, affermando che era proprio questo virus a causare la terribile malattia, la propaganda ha cominciato a proporre, come misura profilattica, la pratica massiccia dell’aborto.

Per chiarire il dubbio, l’Istituto Plinio Corrêa de Oliveira ha organizzato una tavola rotonda a San Paolo del Brasile. Vi hanno preso parte la dott.ssa Elizabeth Kippman, ginecologa ostetrica, e il dott. Paulo Leão, giurista (foto sotto). Dati e grafici alla mano, la dott.ssa Kippman ha dimostrato che non vi è nessun nesso scientifico fra l’infezione con lo Zika e la microcefalia. La nota ginecologa ha spiegato le varie cause della microcefalia, nessuna delle quali ha a che fare col virus. Interessante notare che gli Stati del Brasile con più alta incidenza di Zika erano anche quelli con più

46 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / DICEMBRE 2016

Virus Zika: manovra per imporre l’aborto? bassa incidenza di microcefalia. Non solo. Il paese con più alta incidenza di microcefalia sono gli Stati Uniti. Eppure non vi è un solo caso di contaminazione di Zika tramite l’aedes aegypti. A cosa sarebbe dovuto, dunque, questo scoppio di microcefalia in Brasile? Ha riposto il dott. Paulo Leão.

Citando uno studio condotto dal dott. Plinio Bezerra dos Santos Filho, depositato presso il Procuratore generale della Repubblica, il giurista ha puntato il dito contro il vaccino utilizzato contro il morbillo, la pertosse e la rosolia, che non avrebbe potuto essere utilizzato in donne gravide, o almeno non nei primi tre mesi. Questo studio, adesso al vaglio della giustizia brasiliana, denuncia una serie di errori e di procedure grossolane da parte del ministero della Sanità, nella sua campagna di vaccinazione per i settori più umili della popolazione.

Secondo il dott. Leão, c’è stata un’evidente manipolazione propagandistica dei casi di microcefalia, allo scopo di imporre la pratica dell’aborto come misura profilattica. Lo stesso segretario generale dell’OEA (Organización de los Estados Americanos) ha dichiarato che “l’epidemia di microcefalia è un’opportunità per dare uguali diritti alle donne di controllare il proprio corpo”.


Un’idea diversa per il Natale! Questo Natale faccia un regalo originale, offra un’opera del prof. Plinio Corrêa de Oliveira, il cui pensiero è stato qualificato dalla Sacra Congregazione per i Seminari e le Università “un’eco fedelissima del Supremo Magistero della Chiesa”.

Rivoluzione e Contro-Rivoluzione (Sugarco, 2008, 494 pp, € 15)

Il capolavoro di Plinio Corrêa de Oliveira sulla genesi della crisi attuale, edizione del cinquantenario accresciuta da testi integrativi.

Rivoluzione e Contro-Rivoluzione (Luci sull’Est, 1998, 196 pp, € 10)

Edizione del 1998, con Prefazione sulla vita dell’autore.

Innocenza primordiale e contemplazione sacrale dell’universo (Cantagalli, 2013, 366 pp, € 15)

La conoscenza di Dio attraverso la contemplazione dell’universo, la via pulchritudinis. Note sul concetto di Cristianità (Thule, 1996, 57 pp, € 5)

Brillante saggio sulla Cristianità, il suo carattere sacrale e la sua funzione apostolica.

Nobiltà ed élite tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana (Marzoratti, 1993, 260 pp, € 15)

Trasbordo ideologico inavvertito e Dialogo (Il Giglio, 2004, 130 pp, € 15)

Un uomo, un ideale, un’epopea. Vita e opera di Plinio Corrêa de Oliveira

Breve biografia illustrata del prof. Plinio Corrêa de Oliveira

La nobiltà e le élite hanno ancora un ruolo nella società odierna?

DVD, 35 min. Contiene anche biografia e cronologia. € 5.

Denuncia della guerra psicologica rivoluzionaria attraverso la manipolazione delle “parole-talismano”. (TFP, 2005, 112 pp, € 5)

Per richieste e informazioni:

— inviare una mail a info@atfp.it — chiamare al telefono 06/8417603 — sul sito www.atfp.it, Menu “Richiedi il materiale” Materiale fuori commercio, le cifre sono indicate a titolo di suggerimento, come libera offerta all’Associazione, compresa di abbonamento annuo alla rivista “Tradizione Famiglia Proprietà”.


L’Angelus e il Natale

di Plinio Corrêa de Oliveira

I

Ambrogio Lorenzetti, L’Annunciazione

n tre punti, l’Angelus condensa tutta la storia del Natale in una forma talmente sintetica, breve, logica e densa, che non è necessario aggiungere nulla. La preghiera dell’Angelus è una meditazione sul Natale, fatta da tre punti essenziali. È una preghiera eminentemente logica e ben costruita. In tutte le cose della Chiesa, però, su una struttura logica e coerente risplende poi un universo di imponderabili e di sacralità, una vera bellezza che forma un tutt’uno con la struttura logica. Vediamo come la storia del Natale è nell’Angelus:

1° punto: L’Angelo del Signore portò l’annuncio a Maria, ed Ella concepì per opera dello Spirito Santo; 2° punto: Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua volontà; 3° punto: Il Verbo Divino si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Questi sono i tre aspetti del Natale. Il primo glorifica il messaggio dell’angelo. Il secondo glorifica l’atteggiamento di Nostra Signora di piena obbedienza a quel messaggio. Il terzo glorifica Dio stesso che, nella Seconda Persona della Santissima Trinità, non solo si è incarnato, ma è nato e venne ad abitare in mezzo a noi. In questi tre punti è condensata tutta la storia del Natale in un modo così conciso, breve, logico e denso, che non si può aggiungere nulla. L’incarnazione e la nascita del Verbo di Dio è il più grande evento nella storia umana.


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