Anno 27, n. 91 - Ottobre 2021 Sped. in Abb. Post. Art. 2, Comma 20/C, Legge 662/96 Filiale di Padova
1571 - 2021 L e p a n t o : l a p i ù g ra n d e gior na ta che videro i secoli
Il giorno in cui l’Occidente morì
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erti eventi echeggiano nella storia e nell’eternità come rintocchi di campane. Alcuni sono festosi, come la proclamazione del dogma dell’Assunzione di Maria, il 1° novembre 1950. Altri, invece, sono rintocchi a morto, come la caduta di Costantinopoli, il 29 maggio 1453, che segnò la fine dell’Impero bizantino.
Il 15 agosto 2021, giorno dell’ingresso dei talebani a Kabul, sarà ricordato nella storia come il giorno in cui l’Occidente morì. Non nel senso che abbia tout court smesso di esistere come entità politica, economica e culturale, ma nel senso che si è reso palese che non ha nessuna voglia di sopravvivere. E, come ogni studente di primo anno di medicina sa, un paziente che non vuole vivere si lascia andare.
La caduta dell’Afghanistan è solo l’ultimo di una scia di eventi funebri che forse la spensieratezza del periodo estivo ci ha impedito di valutare nel modo dovuto.
Dal 2019 gli Stati Uniti sono scossi da una ribellione anarco-comunista – che va sotto diversi nomi, come Black Lives Matter, Woke e Cancel Culture – la cui idea base è quella di cancellare la cultura occidentale. Questo movimento si è esteso ad altri Paesi, come Gran Bretagna, Cile e Colombia.
Woke, però, è solo la punta dell’iceberg di un profondo malessere che corrode l’Occidente, e che fa sì che un crescente numero di persone dubiti della propria identità e della giustizia della propria cultura.
La fuga dall’Afghanistan segna la fine dell’Occidente come realtà egemonica. Se n’è approfittata la Russia e, soprattutto, la Cina. A metà agosto, un 2 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2021
portavoce del governo di Pechino ha avvertito: “La caduta dell’Afghanistan prepara quella di Taiwan. Siamo sicuri che l’Occidente non la difenderà”.
L’Occidente non difenderà Taiwan come non sta difendendo l’America Latina. Dopo un periodo di relativa tranquillità, il comunismo – quello vero, stalinista e amico della guerriglia – si sta riprendendo il continente. Negli ultimi due anni, sei paesi della regione sono caduti nelle mani di regimi ispirati a forme di marxismo-leninismo, senza che l’Occidente se ne sia nemmeno accorto. La caduta dell’Afghanistan è anche un chiaro segnale al terrorismo islamista: avete le mani libere! Ben diceva il deputato britannico Sir Iain Duncan: “Questo è una vergogna per gli Stati Uniti e per tutto l’Occidente”. Un Paese che non prova più vergogna è un Paese pronto a essere inghiottito dalla storia.
E mentre i nemici dell’Occidente caricano, quest’ultimo si preoccupa di trovare forme sempre più efficaci per suicidarsi: aborto, eutanasia, omosessualismo… Si racconta che i teologi di Bisanzio discutessero del sesso degli angeli mentre i turchi assalivano le mura della città. Che cosa dirà la posterità di un mondo che discute se un uomo è un uomo mentre tutto crolla? Ammoniva profeticamente il cardinal Giacomo Biffi: “Questa cultura del niente non sarà in grado di reggere all’assalto ideologico dell’Islam, che non mancherà”. Se tutto questo fosse vero, ma la Chiesa fosse salda, potremmo dire con tranquillità: Stat Crux dum volbitur orbis! Purtroppo, anche la Santa Chiesa di Dio ha raggiunto un grado di autodistruzione mai sognato prima. Col motu proprio Traditionis custodes Papa Francesco ha palesato ancor di più il proposito di distruggere quanto rimane in piedi nella società spirituale. Ma la Provvidenza ha le sue vie…
Il 7 ottobre 1571 un vento di crociata soffiò impetuoso nel mondo intero. Contro ogni attesa, la flotta cristiana sconfisse quella turca nella battaglia di Lepanto. Maria Santissima era intervenuta e aveva portato i suoi figli alla vittoria.
La Chiesa è immortale. Essa non può morire. Ciò vuol dire che, mentre più ci avviniamo a ciò che potrebbe sembrare la sua morte materiale, tanto più siamo prossimi al giorno in cui Maria Santissima interverrà di nuovo, in modo prodigioso, portando i suoi figli di oggi al trionfo del suo Cuore Immacolato.
Sommario Anno 27, n° 91, ottobre 2021
Editoriale: Il giorno in cui l’Occidente morì Defund the Police. Poi il boom di crimini e il ripensamento Regina linguarum Motu proprio Traditionis custodes. Il diritto di resistere Battaglia di Ostia, precorritrice di Lepanto Significato storico della battaglia di Lepanto L’eroismo di S. Pio V Il Santo Cristo di Lepanto Loreto e Lepanto: un intimo legame Lepanto: trionfo della fiducia La vocazione del Ordine Teutonico Università estive delle TFP Campeggi estivi delle TFP Carovane in Austria e Irlanda L’angelica milizia Cuba libera ora! Rosa rosarum
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Copertina: Papa S. Pio V contempla misticamente la vittoria della flotta cristiana nella battaglia di Lepanto, il 7 ottobre 1571.
Tradizione Famiglia Proprietà Anno 27, n. 91 ottobre 2021 Dir. Resp. Julio Loredo
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Direzione, redazione e amministrazione: Tradizione Famiglia Proprietà - TFP, Via Nizza, 110 — 00198 ROMA Tel. 06/8417603 Fax: 06/85345731 Email: info@atfp.it Sito: www.atfp.it CCP: 57184004 Aut. Trib. Roma n. 90 del 22-02-95 Sped. in abb. post. art. 2, Comma 20/C, Legge 662/96 — Padova Stampa New Everprint srl. Via Guido Rossa, 3 - 20061 Carugate MI TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2021 - 3
Attualità
“Defund the Police”. Boom di crimini... poi il ripensamento
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el 2019 esplose negli Stati Uniti una rivolta anarchica sotto i nomi di Black Lives Matter, Woke, Cancel Culture e altri. L’idea base era quella di cancellare la cultura occidentale, bruciando o sfigurando tutto ciò che essere connesso all’idea di Ordine e di Civiltà. Nell’auge della rivolta, più di duecento città americane erano in fiamme.
Uno degli slogan preferiti degli anarchici è Defund the Police – cioè togliere il finanziamento alla Polizia, vista non solo come strumento di repressione, ma anche come simbolo dell’autorità. Sull’onda della sommossa, diverse città hanno tagliato radicalmente i fondi pubblici alle Forze dell’ordine, ridimensionandole di conseguenza. I risultati non si sono fatti attendere.
A Portland, l’epicentro delle proteste, lo scorso anno gli omicidi sono aumentati del 533%, mentre le sparatorie hanno visto un incremento del 126%. A New York, si sono contati 150 delitti gravi in più rispetto ai 319 del 2019. A Philadelphia si è raggiunto il picco di 500 omicidi. Tra le città più colpite dalla sedizione, e che hanno quindi tagliato i fondi alla Polizia – come Los Angeles, Chicago e Atlanta – il tasso di criminalità dei primi cinque mesi del 2021 è stato sette volte superiore rispetto a quello del 2020. Secondo i database della Polizia, la maggior parte di queste violenze sono riconducibili proprio alla mancanza di mezzi come conseguenza del finanziamento ridotto.
Un anno dopo, alcune città hanno iniziato a fare marcia indietro, ripristinando i finanziamenti annullati o addirittura incrementandoli. A New York City, il sindaco Bill de Blasio ha detto che avrebbe ripristinato i novantadue milioni di dollari per un nuovo distretto di Polizia, dopo aver rigettato il progetto la scorsa estate. Il sindaco di Baltimora, che l’anno scorso aveva guidato gli sforzi per tagliare il budget della Polizia di 22 milioni di dollari, ha recentemente proposto un aumento di 27 milioni di dollari. In Oakland, California, le autorità hanno ripristinato tre dei ventinove milioni tagliati, mentre il sindaco propone addirittura di aumentarlo di 24 milioni di dollari.
Secondo informa il Wall Street Journal (“Cities Reverse Defunding the Police Amid Rising Crime”, 26 maggio 2021), almeno venti grandi città americane stanno avendo ripensamenti. Imperterrita, la sinistra democratica ha continuato a osteggiare la Polizia, accusandola di interferire nella politica. La deputata della California Karen Bass è giunta a identificare il problema maggiore “nel modo in cui gruppi di forze dell’ordine si stanno avvicinando alla prospettiva di una nuova legislazione come a un attacco ai loro diritti”.
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Chiesa
di Haoyang Jiao
Regina linguarum Un cattolico cinese riflette sulla bellezza e l’utilità della lingua latina
Haoyang Jiao è un giovane cattolico cinese, nato a Beijing e cresciuto nella cosiddetta “Chiesa Patriottica”. Ormai fedele a Roma, egli vive in Irlanda dove insegna lingua latina. Ecco alcune sue rifessioni su quella che egli chiama “Regina Linguarum”
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lla fine di un lungo studio sulla letteratura latina di Cicerone, san John Henry Newman scrisse in The Idea Of A University: “Sono assai sicuro di aver guadagnato molto in termini di precisione di pensiero, delicatezza di giudizio e raffinatezza di gusto”.
Queste parole del venerabile cardinale inglese descrivono perfettamente i sentimenti che io, cinese, cultore e insegnante di latino, provo nei confronti di questa lingua. Leggere in latino è un’esperienza unica. Il latino è di per sé didattico, è una combinazione di matematica e di poesia. Nel latino si possono facilmente osservare due caratteristiche principali: il dominio della legge (grande chiarezza a livello sintattico e semantico), e una somma eleganza abbinata alla brevità di espressione (capacità di trasmettere un messaggio forte con un numero limitato di parole). In più, ogni parola può essere modificata per soddisfare le necessità contestuali di tempo, numero, caso, persona e stato d’animo. L’apprendimento del latino è anche divertente. Da esso si può ricavare un senso di consapevolezza linguistica che
conduce alla lucidità della mente. Il latino può avere un profondo impatto sul nostro modo di pensare.
Come tutti sanno, il latino era la lingua dell’Impero romano, cioè proprio quel contesto in cui la Chiesa cattolica nacque e si difusse. Il testo originale dell’Antico Testamento è in ebreo, quello del Nuovo Testamento è in greco antico. Ma nel IV secolo san Girolamo tradusse l’intera Bibbia in latino che, insieme al greco, era la “lingua franca” dell’Impero. Papa Benedetto XVI scrisse nel motu proprio Latina Lingua: “In realtà, sin dalla Pentecoste la Chiesa ha parlato e ha pregato in tutte le lingue degli uomini. Tuttavia, le Comunità cristiane dei primi secoli usarono ampiamente il greco ed il latino, lingue di comunicazione universale del mondo in cui vivevano, grazie alle quali la novità della Parola di Cristo incontrava l’eredità della cultura ellenisticoromana”.
Fin dalle sue origini, il cristianesimo ha contribuito allo sviluppo delle lingue (compreso il latino) prendendo in prestito parole dal latino e infondendovi nuovi significati, e introducendo nuovi modi di TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2021 - 5
Chiesa
Nel tradurre al cinese i testi sacri del cristianesimo, i missionari usarono alcuni concetti tradizionali cinesi, importandone altri dalla tradizione occidentale Foto sopra: Prospero Intorcetta, S.J., Sapientia sinica, Pechino, 1662, in latino e cinese. Biblioteca centrale della regione siciliana
esprimersi. La Chiesa conservò il latino nella sua liturgia, nei documenti ufficiali, nei monasteri e nelle università. Nel Medioevo, il latino era una grande forza unificante nell’Europa occidentale. La lingua di insegnamento nelle università di tutto il continente era proprio il latino. Le lingue europee fecero un grande passo in avanti come conseguenza della traduzione al latino delle Scritture. Molte espressioni entrarono nelle lingue europee. Questo spiega alcune delle somiglianze tra di esse. Oggi, il 75% dei testi latini esistenti è di origine cattolica, l’altro 25% comprende le opere dell’antica Roma e di scrittori come Isaac Newton. Il latino è intimamente intrecciato con la storia della Chiesa cattolica.
Il latino esercitò una profonda influenza anche sulla lingua cinese, attraverso il lavoro di traduzione condotto dai missionari. Durante il processo di tra-
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duzione dal latino al cinese, i missionari inventarono inevitabilmente un nuovo vocabolario per tradurre nella nostra lingua concetti occidentali. Così, non poche parole quotidiane del cinese moderno sono in realtà ispirate al latino e hanno quindi le loro radici nella tradizione occidentale, grazie al lavoro dei missionari e di quei studiosi cinesi dalla mentalità aperta negli ultimi quattrocento anni, specialmente nella prima metà del secolo scorso. Sfortunatamente gli effetti dell’influenza del latino sul cinese sono invisibili, nascosti dietro agli ideogrammi. È significativo che uno dei maggiori studiosi della lingua cinese sia stato Ma Xiangbo, sacerdote gesuita del XX secolo che, guarda caso, era insegnante di latino. A riprova che una buona conoscenza del latino può anche contribuire positivamente e creativamente alla propria cultura.
Possiamo quindi capire perché la lingua latina è considerata la “Regina linguarum”. Imparare il latino va ben oltre l’acquisizione di un complesso insieme di regole grammaticali e di un vocabolario. Il latino porta con sé anche una cultura e una tradizione. Senza almeno una conoscenza superficiale del latino è difficile avere una visione chiara e diretta dei fondamenti ultimi di molte cose, per esempio nel diritto, nella filosofia e nella letteratura.
Per poter pensare con una qualche profondità è importante conoscere almeno il vocabolario e la grammatica di base di questa lingua. Il latino contiene idee secolari, senza le quali non saremmo in grado di comprendere la maggior parte delle cose che abbiamo imparato a scuola. Il latino è onnipresente in molte discipline, in molte lingue, in molti luoghi. Non è affatto una lingua morta! Il latino va oltre la storia, trascende le nazioni, è qualcosa che appartiene assolutamente al presente. La stessa idea di ”modernità” proviene dal latino.
Purtroppo, nella mente di tante persone oggi, il latino è una “lingua morta”, quindi studiarla sarebbe una perdita di tempo. Meglio studiare qualcosa di utile. Io rispondo con una frase tratta dalla Bibbia: “Lapidem, quem reprobaverunt aedificantes: hic factus est in caput anguli” (La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo. Salmo 117, 22). Ritengo che il latino sia la “pietra scartata” che diventerà pietra d’angolo nel futuro. Forse non aiuta a fare soldi, che è ciò che molte persone oggi vogliono, ma stabilisce uno standard umano.
fronte alla bellezza che ci circonda: la bellezza della natura, dell’arte e delle lingue. Dobbiamo saper contemplare le bellezze della nostra Santa Chiesa Cattolica, della sua architettura, della sua musica sacra, della sua liturgia, della sua lingua. Il latino porta le persone a intravedere una realtà trascendente, invitandole ad andare oltre se stesse. Il latino è una lingua sacra che si staglia in tutta la sua maestà nella Chiesa, invitandoci ad acquisire una certa mentalità. Perché questa indescrivibile bellezza ci porta alla verità. Perciò è sempre un bene avere una lingua sacra e bella nella preghiera e nella liturgia. E il latino è perfetto per questo scopo. Perciò credo che chi butta via questo tesoro della Chiesa sta facendo un passo nella direzione sbagliata, che può portare a gravi conseguenze. Usare e insegnare il latino è un modo efficace per combattere il predominio di una certa cultura postmoderna, liberale e vuota. Al contrario, è un eccellente modo per costruire una cultura cattolica nobile e attraente. Rinvenire questo tesoro culturale significa stabilire solide basi per il futuro. Regina linguarum laudemus Regem regum. Lodiamo il Re dei re con la regina delle lingue.
Sempre più persone e organizzazioni si stanno aprendo alla necessità imperativa di riaccendere la fiamma dello spirito cattolico, e di ristabilire l’identità cattolica autentica e perenne. Per raggiungere questo obiettivo, il latino deve essere preso sul serio, perché ci lega non solo al passato, alla tradizione, ma anche ai fedeli di tutto il mondo. La lingua non è mai una questione secondaria. Il grande papa Benedetto XVI disse: “La Chiesa dovrebbe essere un luogo dove la verità e la bellezza sono di casa”. Non possiamo essere più d’accordo! Non dobbiamo mai chiudere gli occhi di
Padre Matteo Ricci, S.J. (1552-1610), primo traduttore delle Sacre Scritture in lingua cinese, difensore dell’inculturazione TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2021 - 7
Chiesa
A proposito del motu proprio Traditionis custodes
I fedeli hanno pieno diritto di difendersi da un’aggressione liturgica anche quando viene dal Papa
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di José Antonio Ureta
on un tratto di penna, Papa Francesco ha compiuto passi concreti per abolire nella pratica il rito latino della Santa Messa, sostanzialmente in vigore da San Damaso sin dalla fine del IV secolo (con aggiunte di San Gregorio Magno alla fine del VI secolo), fino al messale del 1962 promulgato da Papa Giovanni XXIII. L’intenzione di limitare gradualmente – fino alla sua estinzione – l’uso di questo rito immemorabile è evidente nella lettera che accompagna il Motu Proprio Traditionis Custodes, in cui il pontefice regnante
esorta i vescovi di tutto il mondo a “operare perché si torni a una forma celebrativa unitaria” con i messali dei papi Paolo VI e Giovanni Paolo II che diventano così “l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano”. La conseguenza pratica è che i sacerdoti di rito latino non hanno più il diritto di celebrare la messa tradizionale, ma possono farlo solo con il permesso del vescovo (e della Santa Sede, per coloro che saranno ordinati d’ora in poi).
Il Papa ha potere per abrogare un rito?
La domanda ovvia che sorge di fronte a questa misura drastica è: ha un Papa il potere di abrogare un rito che è stato in vigore nella Chiesa per 1400 anni e i cui elementi essenziali provengono dai tempi apostolici? Perché, se da un lato il Vicario di Cristo ha la plenaria et suprema potestas nelle materie che riguardano «la disciplina e il governo della Chiesa diffusa nel mondo» [1], come insegna il Concilio Vaticano I, dall’altro, deve rispettare i costumi universali della Chiesa in materia liturgica.
La risposta è data perentoriamente dal Catechismo della Chiesa Cattolica promulgato da Giovanni Paolo II, al paragrafo 1125: “Nessun rito sacramentale può essere modificato o manipolato a discrezione
“Il papa non è un monarca assoluto la cui volontà è legge, ma piuttosto il custode dell’autentica Tradizione. Non può fare ciò che vuole” Cardinale Joseph Ratzinger 8 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2021
“Nessun rito sacramentale può essere modificato o manipolato a discrezione. Neppure la suprema autorità della Chiesa può cambiare la liturgia a suo piacimento” Catechismo della Chiesa Cattolica del ministro o della comunità. Neppure la suprema autorità della Chiesa può cambiare la liturgia a suo piacimento, ma solo nell’obbedienza alla fede e nel religioso rispetto del mistero della liturgia”.
Commentando questo testo, l’allora cardinale Joseph Ratzinger scriveva: “Mi sembra molto importante che il Catechismo, nel menzionare i limiti del potere della suprema autorità della Chiesa circa la riforma, richiami alla mente quale sia l’essenza del primato, così come viene sottolineato dai Concili Vaticani I e II: il papa non è un monarca assoluto la cui volontà è legge, ma piuttosto il custode dell’autentica Tradizione e perciò il primo garante dell’obbedienza. Non può fare ciò che vuole, e proprio per questo può opporsi a coloro che intendono fare ciò che vogliono. La legge cui deve attenersi non è l’agire ad libitum, ma l’obbedienza alla fede. Per cui, nei confronti della liturgia, ha il compito di un giardiniere e non di un tecnico che costruisce macchine nuove e butta quelle vecchie. Il ‘rito’, ovvero la forma di celebrazione e di preghiera che matura nella fede e nella vita della Chiesa, è forma condensata della Tradizione vivente, nella quale la sfera del rito esprime l’insieme della sua fede e della sua preghiera, rendendo così sperimentabile, allo stesso tempo, la comunione tra le generazioni, la comunione con coloro che pregano prima di noi e dopo di noi. Così il rito è come un dono fatto alla Chiesa, una forma vivente di parádosis”. [2] [Termine greco usato tredici volte nella Bibbia e tradotto per tradizione come istruzione, trasmissione.] Mons. Klaus Gamber, che lo stesso cardinale Joseph Ratzinger considerava uno dei più grandi liturgisti del Novecento, sviluppa questo pensiero nella sua opera La riforma della Liturgia Romana. Egli parte dalla constatazione che i riti della Chiesa Cattolica, intendendo l’espressione nel senso di forme obbligatorie di culto, risalgono definitivamente a Nostro Signore Gesù Cristo, ma si sono via
via sviluppate e differenziate dall’usanza generale, venendo poi corroborate dall’autorità ecclesiastica. Da questa realtà, l’illustre liturgista tedesco trae le seguenti conclusioni:
1. “Se il rito è nato per consuetudine generale – e su questo non c’è dubbio per chi conosce la storia della liturgia – non può essere ricreato nella sua interezza”. Nemmeno all’inizio della Chiesa ciò avvenne, poiché “anche le forme liturgiche delle giovani comunità cristiane si separarono progressivamente dal rito ebraico”.
2. “Così come il rito si è sviluppato nel tempo, potrà continuare a farlo anche in futuro. Ma questo sviluppo deve tener conto dell’atemporalità di ogni rito e svolgerlo in modo organico (...) senza rompere con la tradizione e senza un intervento dirigista delle autorità ecclesiastiche. Queste non avevano altra preoccupazione nei Concili plenari o provinciali che quella di evitare irregolarità nell’esercizio del rito”.
3. “Ci sono diversi riti indipendenti nella Chiesa. In Occidente, oltre al rito romano, sono presenti i riti gallicano (ora scomparso), ambrosiano e mozarabico; in Oriente, tra gli altri, il rito bizantino, armeno, siriaco e copto. Ciascuno di questi riti ha attraversato un’evoluzione autonoma, nel corso delle quali si sono formate le loro particolarità specifiche. Ecco perché, semplicemente, elementi di questi diversi riti non possono essere scambiati tra loro”.
4. “Ogni rito costituisce un’unità omogenea. Pertanto, la modifica di una qualsiasi delle sue componenti essenziali significa la distruzione dell’intero rito. È esattamente quello che accade per la prima TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2021 - 9
Chiesa
“Nei fatti, [il Novus Ordo] è un’altra liturgia della Messa. Bisogna dirlo senza mezzi termini: il rito romano, così come noi lo conoscevamo, non esiste più, è stato distrutto” P. Joseph Gelinau, S.J., membro della Commissione che ha redatto il Novus Ordo Missae
volta ai tempi della Riforma, quando Martin Lutero fece scomparire il canone della messa e collegò direttamente il racconto dell’Istituzione con la distribuzione della comunione”.
5. “Il ritorno alle forme primitive non significa, in casi isolati, che il rito sia stato modificato, ed infatti questo ritorno è possibile entro certi limiti. In questo modo, non vi fu rottura con il rito romano tradizionale, quando papa san Pio X ristabilì il canto gregoriano nella sua forma originaria”. [3]
Il Novus Ordo del 1969
L’illustre fondatore dell’Istituto Teologico di Ratisbona prosegue commentando che “mentre la revisione del 1965 aveva lasciato intatto il rito tradizionale (...) con l’ordo del 1969 si creò un nuovo rito”, che egli chiama ritus modernus, poiché “non basta, per parlare di continuità del rito romano, che nel nuovo messale si siano conservate alcune parti del precedente”. Per dimostrarlo, da un punto di vista strettamente liturgico, basti citare quanto sinteticamente detto a proposito dal prof. Roberto de Mattei su questa vera devastazione liturgica:
Durante la Riforma furono via via introdotte tutta una serie di novità e varianti, alcune delle quali non previste né dal Concilio né dalla costituzione 10 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2021
Missale Romanum di Paolo VI. Il quid novum non si limita a sostituire il latino con le lingue volgari. Consiste anche nel desiderio di concepire l’altare come una ‘tavola’, per sottolineare l’aspetto di banchetto piuttosto che di sacrificio; nella celebratio versus populum, sostituito al versus Deum, con conseguente abbandono della celebrazione ad Oriente, cioè verso Cristo simboleggiato dal sole nascente; nell’assenza di silenzio e di meditazione durante la cerimonia e nella teatralità della celebrazione spesso accompagnata da canti che tendono a profanare una Messa in cui il sacerdote è spesso ridotto al ruolo di ‘presidente dell’assemblea’; nell’ipertrofia della liturgia della parola rispetto alla liturgia eucaristica; nel ‘segno’ della pace che sostituisce le genuflessioni del sacerdote e dei fedeli, come azione simbolica del passaggio dalla dimensione verticale a quella orizzontale dell’azione liturgica; nella S. Comunione ricevuta dai fedeli in piedi e in mano; nell’accesso delle donne all’altare; nella concelebrazione, tendendo alla ‘collettivizzazione’ del rito. Consiste soprattutto e infine nel cambiare e sostituire le preghiere dell’Offertorio e del Canone. L’eliminazione in particolare delle parole mysterium fidei dalla formula eucaristica può essere considerata, come osserva il cardinale Stickler, un simbolo della demistificazione e, quindi, dell’umanizzazione del nucleo centrale della Santa Messa [4].
La più grande rivoluzione liturgica è avvenuta proprio nell’Offertorio e nel Canone. Il tradizionale Offertorio, che preparava e prefigurava l’immolazione incruenta della Consacrazione, fu sostituito dal Beràkhôth del Kiddush, cioè le benedizioni della cena pasquale degli ebrei. Padre Pierre Jounel, del Centro Pastorale Liturgico e dell’Istituto Superiore di Liturgia di Parigi, uno degli esperti del Consilium che preparò la riforma liturgica, descrisse al quoti-
“Non c’è un solo documento, nemmeno il Codex Iuris canonici, che affermi espressamente che il Papa, come supremo Pastore della Chiesa, abbia il diritto di abolire il rito tradizionale” Mons. Klaus Gamber
diano La Croix l’elemento fondamentale della riforma della liturgia dell’Eucaristia: “La creazione di tre nuove preghiere eucaristiche, quando finora ne esisteva solo una, la Preghiera Eucaristica I, fissata nel Canone Romano fin dal IV secolo. La Seconda è stata tratta dalla Preghiera Eucaristica di [S.] Ippolito (III sec.) ritrovata in una versione etiope alla fine del XIX secolo. La Terza si ispira allo schema delle liturgie orientali. La Quarta è stata preparata in una notte da una piccola équipe attorno a P. Gelineau” [5].
Il già citato P. Joseph Gelineau, SJ, non sbagliava quando, nel salutare con entusiasmo la riforma, dichiarava: “Nei fatti, è un’altra liturgia della Messa. Bisogna dirlo senza mezzi termini: il rito romano, così come noi lo conoscevamo, non esiste più, è stato distrutto” [6]. Come può, dunque, papa Francesco affermare nella sua recente lettera ai vescovi che “chi volesse celebrare con devozione secondo l’antecedente forma liturgica non stenterà a trovare nel Messale Romano riformato secondo la mente del Concilio Vaticano II tutti gli elementi del Rito Romano, in particolare il canone romano, che costituisce uno degli elementi più caratterizzanti”? Sembra un’ironia amara come il titolo del Motu Proprio: Custodi della Tradizione...
Non si può vietare il rito tradizionale
Se il Novus Ordo Missae non è una mera riforma e implica una tale rottura con il rito tradizionale, la celebrazione di quest’ultimo non può essere vietata, perché, come ribadisce mons. Klaus Gamber, “non c’è un solo documento, nemmeno il Codex Iuris canonici, che affermi espressamente che il
Papa, come supremo Pastore della Chiesa, abbia il diritto di abolire il rito tradizionale. Né si dice da nessuna parte che abbia il diritto di modificare le consuetudini liturgiche particolari. Nel caso di specie, questo silenzio è di grande significato. I limiti della plena et suprema potestas del Papa sono stati chiaramente determinati. È indiscutibile che, per le questioni dogmatiche, il Papa debba attenersi alla tradizione della Chiesa universale e quindi, secondo san Vincenzo de Lérins, a quanto si è sempre creduto, ovunque e da tutti (quod semper, quod ubique, quod ab omnibus). Diversi autori sottolineano espressamente che, di conseguenza, non spetta al potere discrezionale del Papa abolire il rito tradizionale”.
Inoltre, se lo facesse, rischierebbe di separarsi dalla Chiesa. Mons. Gamber scrive, infatti, che “il celebre teologo Suarez (+ 1617), riferendosi ad autori più antichi come il Caetano (+ 1534), ritiene che il Papa sarebbe scismatico se non volesse, come è suo dovere, mantenere l’unità e il legame con tutto il corpo della Chiesa come, per esempio, se scomunicasse tutta la Chiesa o se volesse modificare tutti i riti confermati dalla tradizione apostolica”. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2021 - 11
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“Per diritto naturale è lecito rifiutare la violenza mediante la violenza. Ora, con tali ordini e dispense, il Papa fa violenza, perché agisce contro la Legge, come sopra dimostrato. Pertanto, è lecito resistergli” Francisco de Vitoria, O.P.
Fu probabilmente per evitare questo rischio che otto dei nove cardinali della Commissione nominata da Giovanni Paolo II nel 1986, per studiare l’applicazione dell’Indulto del 1984, dichiararono che Paolo VI in realtà non aveva proibito la Messa antica. Inoltre, alla domanda: “Può un vescovo oggi proibire a un sacerdote in situazione regolare di celebrare una messa tridentina?”, secondo il cardinale Stickler, “i nove cardinali furono unanimi nel dire che nessun vescovo aveva il diritto di vietare a un sacerdote cattolico di celebrare la messa tridentina. Non c’è nessun divieto ufficiale, e io non credo che il Papa emetterà alcun divieto ufficiale” [7]. Papa Francesco, però, nel Motu Proprio Traditionis Custodes, ha di fatto autorizzato i vescovi a vietare questa celebrazione. Tanto che la Conferenza Episcopale del Costa Rica si è affrettata a decretare collegialmente che “non è autorizzato l’uso del Missale Romanum del 1962 né di alcuna delle espressioni della liturgia anteriori al 1970”, così che “nessun sacerdote è autorizzato nel continuare a celebrare secondo l’antica liturgia” [8].
Un diritto di resistenza
Per tutto quanto scritto sopra, sottoscriviamo pienamente le conclusioni tratte da padre Francisco
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José Delgado: “Penso che la cosa più intelligente adesso da fare sia, in modo calmo e pacifico, difendere la verità dalle leggi perverse. Il Papa non può cambiare la Tradizione per decreto o dire che la liturgia post-Vaticano II è l’unica espressione della lex orandi nel Rito Romano. Essendo questo falso, la legislazione che scaturisce da questo principio è invalida e, secondo la morale cattolica, non deve essere osservata, il che non implica cadere nella disobbedienza”. Non è necessario avere una conoscenza specialistica in ecclesiologia per capire che l’autorità e l’infallibilità dei papi hanno dei limiti e che il dovere di obbedienza non è assoluto. Sono numerosi i trattatisti di altissima caratura che riconoscono esplicitamente la legittimità della resistenza pubblica a decisioni o insegnamenti errati dei pastori, inclusi a quelli del Sommo Pontefice. Costoro sono stati ampiamente citati nello studio di Arnaldo Xavier da Silveira intitolato Resistenza pubblica alle decisioni dell’autorità ecclesiastica pubblicato sulla rivista Catolicismo nell’agosto del 1969. Nel caso specifico, è lecito non solo non osservare il Motu Proprio di Papa Francesco, ma anche resistere alla sua applicazione, secondo il modello insegnato da San Paolo (Gal 2,11). Non si tratta di mettere in discussione l’autorità pontificia, verso la quale deve crescere il nostro amore e la nostra venerazione. È questo stesso amore per il Papato che deve portarci alla denuncia di Traditionis Custodes, che intende eliminare in modo dittatoriale il rito più antico e venerabile del culto cattolico, a cui tutti i fedeli hanno il diritto di dissetarsi.
“Con questo atto filiale diciamo al Pastore dei Pastori: la nostra anima è Vostra, la nostra vita è Vostra. Ordinateci ciò che desiderate. Solo non comandateci di incrociare le braccia di fronte al lupo rosso che attacca. A questo si oppone la nostra coscienza” Plinio Corrêa de Oliveira
Come dice l’insigne teologo Francisco de Vitoria: “Per diritto naturale è lecito rifiutare la violenza mediante la violenza. Ora, con tali ordini e dispense, il Papa fa violenza, perché agisce contro la Legge, come sopra dimostrato. Pertanto, è lecito resistergli. Come osserva il Caetano, non affermiamo tutto questo nel senso che spetta a qualcuno essere giudice del Papa o avere autorità su di lui, ma nel senso che è lecito difendersi. Ognuno, infatti, ha il diritto di resistere a un atto ingiusto, di cercare di prevenirlo e di difendersi” [9].
Il modello di ferma resistenza, ma intrisa di venerazione e rispetto per il Sommo Pontefice, sulla quale i cattolici possono oggi basare la propria reazione è la dichiarazione di resistenza all’ostpolitik di Papa Paolo VI scritta dal compianto prof. Plinio Corrêa de Oliveira e dal titolo “La politica di distensione vaticana verso i governi comunisti - Per la TFP: cessare la lotta o resistere?”, che, nel suo paragrafo cruciale, diceva:
“Il vincolo di ubbidienza al Successore di Pietro, che mai romperemo, che amiamo dal più profondo della nostra anima, al quale tributiamo il meglio del nostro amore, questo vincolo noi lo baciamo nel momento in cui, macerati dal dolore, affermiamo la nostra posizione. E in ginocchio, fissando con venerazione la figura di S.S. Papa Paolo VI, noi gli manifestiamo tutta la nostra fedeltà. “Con questo atto filiale diciamo al Pastore dei Pastori: la nostra anima è Vostra, la nostra vita è Vostra. Ordinateci ciò che desiderate. Solo non comandateci di incrociare le braccia di fronte al lupo
rosso che attacca. A questo si oppone la nostra coscienza”.[10] [1] Cfr. Denz.-Rahner 1827. [2] “Lo sviluppo organico della liturgia”, 30 Giorni, http://www.30giorni.it/articoli_id_6275_l1.htm [3] http://www.obrascatolicas.com/livros/Liturgia/A_reforma_ da_liturgia_romana__.pdf. Altre citazioni di mons. Gamber in tutto l'articolo, sono tratte da questo lavoro. [4] “Considérations sur la réforme liturgique”, testo letto in occasione del Congresso Liturgico di Fontgombault, 22-24 luglio 2001, alla presenza del Cardinale Joseph Ratzinger. [5] Cfr. La Croix, 28 aprile 1999, p. 19. [6] Demain la liturgie — Essai sur l’évolution des assemblées chrétiennes, Cerf, 1979, in Cristophe Geoffroy et Philippe Maxence, Enquête sur la mese traditionnelle, La Nef hors série n° 6, pp. 5152. [7] Queste dichiarazioni del cardinale Stickler apparvero per la prima volta sulla rivista americana The Latin Mass e riprodotte dalla rivista francese La Nef, nel numero 53 del settembre 1995. [8] https:// www.facebook.com/ 16994947 640064 posts/4383320898396791/ [9] Obras de Francisco de Vitoria, p. 487. [10] https://www.atfp.it/biblioteca/documenti-delle-tfp/698-lapolitica-di-distensione-vaticana-verso-i-governi-comunisti. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2021 - 13
Dossier Lepanto
Lepanto: la più grande giornata che videro i secoli
14 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2021
N
el 1571 la Cristianità medievale non c’era più. Corrosa dallo spirito umanista e rinascimentale, spaccata dallo scisma luterano, indebolita dalle politiche machiavelliche, in balìa ai godimenti sensuali che la nascente modernità offriva, l’Europa sembrava un frutto marcio pronto a cadere nelle mani di un popolo guerriero e credente, anche se nell’errore: l’Impero Ottomano. Nessuno parlava più di crociata. Le stesse guerre di contenimento del nemico musulmano, per esempio nell’Adriatico, erano dettate più da motivi politici e strategici che religiosi. “La cavalleria medievale è morta!”, proclamavano gli umanisti.
Eppure, nel 1571 qualcosa risuonò nel più profondo dell’anima europea. Un vento di crociata soffiò impetuoso. Papa San Pio V lanciò un nuovo appello Deus vult! Se ne fecero eco alcuni principi cristiani, in primis Filippo II di Spagna, allora signore anche di parte dell’Italia. Dettaglio importante poiché, in realtà, una parte dei combattenti nella flotta “spagnola” erano siciliani e napoletani, senza dimenticare la flotta calabrese agli ordini del principe Gaspare Toraldo di Tropea.
E fu “la più grande giornata che videro i secoli”, nelle parole dello scrittore Miguel de Cervantes, che vi prese parte, perdendo perfino una mano. Motivo per il quale è chiamato “il monco di Lepanto”. Alla fine della giornata, contro ogni previsione, i cristiani avevano riportato una vittoria così schiacciante che fermò definitivamente l’avanzata marittima dei turchi. Non mancò chi intravedesse una rinascita dell’antico spirito di cavalleria.
La battaglia, piena di miracoli e di fatti prodigiosi, si combatté sotto la protezione di Maria Ausiliatrice. Papa San Pio V vide misticamente l’esito dello scontro mentre si trovava in Vaticano, e aggiunse l’invocazione “Auxilium Christianorum” alla Litania lauretana. Lepanto fu un trionfo di Maria. E questo fu riconosciuto da tutti. Nella Sala del Consiglio, nel Palazzo ducale di Venezia, si può ammirare un immenso dipinto della battaglia con sopra le parole: “Non virtus, non arma non duces sed Maria Rosarii victores nos fecit” - Non il valore, non le armi non i condottieri, bensì Maria del Rosario ci ha dato la vittoria.
Nel commemorare i 450 anni della battaglia, preghiamo a Maria Santissima che faccia soffiare un nuovo vento di crociata perché possiamo combattere i nemici odierni della Chiesa e della Civiltà cristiana, mille volte peggiori e più insidiosi dei musulmani turchi di allora.
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La battaglia di Ostia, precorritrice di Lepanto
di Pier Paolo Picano
Nel luglio 849 una flotta costituita dalle navi delle repubbliche marinare di Amalfi, Napoli, Sorrento e Gaeta, riunite nella Lega Campana sotto la guida del console Cesario di Napoli, sbaragliò i saraceni che si apprestavano a sbarcare presso Ostia con l’intento di saccheggiare Roma. Fu la più importante vittoria navale cristiana prima di Lepanto.
D
opo il terribile saccheggio delle basiliche di San Pietro e San Paolo Fuori le Mura dell’anno 846, Papa san Leone IV stava lavorando alacremente alla fortificazione delle mura di Roma, sicuro che la minaccia araba non avrebbe conosciuto tregua.
In effetti, nella primavera dell’anno 849, a Roma ancora scossa da quegli avvenimenti, giunse voce che un’imponente flotta araba, partita dal nord Africa e approdata sulle coste della Sardegna a Capo Teulada, stava organizzando le proprie forze per dirigersi successivamente verso la foce del Tevere. La stessa notizia giunse anche al Ducato di Napoli, e alle città di Amalfi e Gaeta, che non potevano certo tollerare la prepotenza dei saraceni nel Mar Tirreno e, 16 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2021
soprattutto, un secondo attacco alla città di Roma, sede della Cristianità. Costituirono una lega navale, armarono una flotta, affidando il comando a Cesario, console del Ducato di Napoli, che già aveva guidato le truppe cristiane, con successo, durante le fasi successive al saccheggio delle due basiliche.
Sergio I, duca di Napoli, inviò subito tale flotta, che giunse nelle acque di Ostia quando ancora i navigli arabi erano fermi in Sardegna. Papa Leone IV, sapendo che in passato erano stati numerosi e molteplici i rapporti amichevoli tra musulmani e napoletani, volle incontrare Cesario e gli altri comandanti per fugare ogni dubbio sulla sincerità della loro azione.
Dossier Lepanto
“Onnipotente Dio, che con la tua mano facesti camminare l’apostolo Pietro sul mare, così che non affogasse, e che salvasti l’apostolo Paolo nei tre naufragi, sii a noi propizio e ascoltaci: per i meriti dei due stessi apostoli, fortifica il braccio dei campioni cristiani che stanno per difendere una giusta e santa causa, affinché per la vittoria navale sia il tuo nome glorificato in ogni tempo e presso tutte le genti. Per i meriti di Gesù Cristo, Salvatore Nostro. Amen” San Leone IV benedice ad Ostia la flotta campana prima della battaglia
L’incontro si svolse presso il palazzo del Laterano, che allora era la residenza ufficiale del Vicario di Cristo. I comandanti militari rassicurarono il Papa, confermando che il loro intervento era solo ed esclusivamente per la difesa della città di Roma. Tali e sincere furono le loro affermazioni che il Pontefice si recò a Ostia per visitare ed incoraggiare le forze cristiane. I combattenti campani, sbarcarono dalle navi e accolsero con fervore e gioia Leone IV.
Il Papa celebrò una messa solenne nella Chiesa di S. Aurea (santa martirizzata ad Ostia al tempo di Claudio Imperatore) per propiziare la vittoria e amministrò personalmente la comunione a tutti i presenti. Nell’occasione recitò una bellissima preghiera, inserita in seguito nella liturgia: “Onnipotente Dio, che con la tua mano facesti camminare l’apostolo Pietro sul mare, così che non affogasse, e che salvasti l’apostolo Paolo nei tre naufragi, sii a noi propizio e ascoltaci: per i meriti dei due stessi apostoli, fortifica il braccio dei campioni cristiani che stanno per difendere una giusta e santa causa, affinché per la vittoria navale sia il tuo nome glorificato in ogni tempo e presso tutte le genti. Per i meriti di Gesù Cristo, Salvatore Nostro. Amen”. Proprio il giorno successivo a questo evento solenne, la squadra navale araba fece la sua comparsa all’orizzonte. Subito attaccati dalla flotta dalla lega cattolica, alla quale si erano unite le forze romane, i saraceni subirono importanti perdite pur dimostrando una tenace resistenza. Arrembaggi, speronamenti, incendi, corpo a corpo furiosi, andarono avanti con vigore. La vittoria fu resa definitiva da un improvviso vento di libeccio, che portò i navigli invasori o a fracassarsi sul lido o verso il mare aperto dove la maggior parte fece un inglorioso naufragio. Gli esperti
marinai italiani conoscendo bene quel vento e avendo navi ben più solide di quelle arabe, uscirono praticamente illesi dalla furia della natura.
Dei supersiti arabi, alcuni furono uccisi dagli armati della flotta cristiana, altri furono condannati a morte tramite impiccagione ma la maggior parte fu impiegata per la costruzione della mura Leonine, grazie soprattutto all’intervento personale del pontefice che pose fine a tutte le esecuzioni.
L’epica vittoria verrà anche celebrata nel 1514 con un affresco di Raffaello Sanzio, commissionato da Papa Leone X (1513-1521), che possiamo ammirare oggi ai Musei Vaticani nelle Stanze che prendono il nome proprio dal pittore urbinate (foto pagina a fianco). Nell’affresco, san Leone IV ha i tratti di Leone X, mentre è in atto di rendere grazie, alcuni prigionieri musulmani vengono portati con la forza davanti alla sua persona e fatti inginocchiare in segno di sottomissione. Sullo sfondo è rappresentata la Rocca di Ostia e la battaglia navale nelle sue fasi cruciali. Il tema del dipinto vuole alludere al tentativo di crociata che il pontefice Leone X volle organizzare, senza riuscirvi, contro i Turchi che minacciavano sempre più prepotentemente l’Europa dopo la presa di Costantinopoli (1453).
Capiamo benissimo che la battaglia di Ostia riveste tutti i caratteri del non politicamente corretto: un sodalizio armato di italiani, che per la difesa della Cristianità, combatte sotto il vessillo e la benedizione del Papa contro l’invasore islamico vincendo gloriosamente. Ma questi i fatti accaduti, oggi quasi del tutto sconosciuti. Così ci è parso opportuno ricordarli a giusta memoria di coloro che parteciparono e sacrificarono la loro vita in quella giornata di luglio dell’anno 849. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2021 - 17
Dossier Lepanto
Il significato storico della battaglia di Lepanto: Cristianità, Occidente e Islam di Massimo de Leonardis Qual è stato il significato della battaglia di Lepanto per la Chiesa, per l’Europa e per la storia? Lo spiega il prof. Massimo de Leonardis, già direttore del Dipartimento di Scienze politiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
L
a battaglia navale di Lepanto è uno degli eventi più importanti della storia, il cui significato trascende il semplice aspetto militare ed è ricco di insegnamenti anche religiosi. La rivoluzione ecclesiale generata dal Concilio Vaticano II ha però gettato un velo di oblio su un avvenimento che costituisce una delle glorie del papato, in nome di un pacifismo assoluto in contrasto con il Magistero della Chiesa, che anche nei documenti più recenti ha riaffermato la liceità della “guerra giusta”.
Pacificatrice non pacifista
Infatti, il Catechismo della Chiesa cattolica (1) elencando le condizioni di una «legittima difesa con la forza militare», osserva: «questi sono gli elementi tradizionali elencati nella dottrina detta della “guerra giusta”» (n. 2309). «La legittima difesa è un dovere grave per chi ha la responsabilità della vita altrui o del bene comune» (n. 2321). Il concetto è integralmente ripreso nel successivo Compendio della dottrina sociale della Chiesa: «Le esigenze della legittima difesa giustificano l’esistenza, negli 18 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2021
Stati, delle forze armate, la cui azione deve essere posta al servizio della pace: coloro i quali presidiano con tale spirito la sicurezza e la libertà di un Paese danno un autentico contributo alla pace» (2), ammettendo altresì «un’azione bellica preventiva, lanciata senza prove evidenti che un’aggressione stia per essere sferrata», «sulla base di rigorosi accertamenti e di fondate motivazioni, […] identificando determinate situazioni come una minaccia alla pace e autorizzando un’ingerenza nella sfera del dominio riservato di uno Stato» (3).
La Chiesa dunque è pacificatrice, ma respinge il pacifismo. Il Venerabile Pio XII affermava nel 1952: «La Chiesa deve tener conto delle potenze oscure che hanno sempre operato nella storia. Questo è anche il motivo per cui essa diffida di ogni propaganda pacifista nella quale si abusa della parola di pace per dissimulare scopi inconfessati» (4). Il pacifismo assoluto è più che mai una pericolosa utopia, come più volte riaffermò il Cardinale Joseph Ratzinger. Nel discorso pronunciato in Normandia il 4 giugno 2004 alle celebrazioni del 60° anniversario dello
Marcantonio Bragadin, Rettore della città di Famagosta, martirizzato dai musulmani il 17 agosto 1571. Fu torturato selvaggiamente e poi scuoiato vivo in piazza pubblica. Le sue ultime parole furono: “Dio, crea in me un cuor puro”
sbarco alleato, egli affermò: «Se mai si è verificato nella storia un bellum justum è qui che lo troviamo, nell’impegno degli Alleati, perché il loro intervento operava nei suoi esiti anche per il bene di coloro contro il cui Paese era condotta la guerra. Questa constatazione […] mostra, sulla base di un evento storico, l’insostenibilità di un pacifismo assoluto» (5). In una lettera al Presidente del Senato Marcello Pera, il Cardinale Ratzinger sostenne poi: «Sul fatto che un pacifismo che non conosce più valori degni di essere difesi e assegna a ogni cosa lo stesso valore sia da rifiutare come non cristiano siamo d’accordo: un modo di “essere per la pace” così fondato, in realtà, significa anarchia; e nell’anarchia i fondamenti della libertà si sono persi» (6).
Tale concetto fu ribadito e precisato in un discorso pronunciato il 1° aprile 2005, poche settimane prima dell’elezione a Sommo Pontefice: «La pace e il diritto, la pace e la giustizia sono inseparabilmente interconnessi. […] Certamente la difesa del diritto può e deve, in alcune circostanze, far ricorso a una forza commisurata. Un pacifismo assoluto, che neghi al diritto l’uso di qualunque mezzo coercitivo, si risolverebbe in una capitolazione davanti all’iniquità, ne sanzionerebbe la presa del potere e abbandonerebbe il mondo al diktat della violenza. […] Negli ultimi decenni abbiamo visto ampiamente nelle nostre strade e sulle nostre piazze come il pacifismo possa deviare verso un anarchismo distruttivo e verso il terrorismo».
Asceso al soglio pontificio, Benedetto XVI in più occasioni si è occupato specificamente del tema della pace e della guerra ribadendo questi concetti. Nel messaggio (7) per la consueta Giornata della Pace del 1° gennaio 2006, il Papa, affermò che «il riconoscimento della piena verità di Dio è condizione previa e indispensabile per il consolidamento della verità della pace».
In nome di un irenismo e di un ecumenismo spinti all’eccesso, molti hanno voluto negare il carattere intrinsecamente bellicoso dell’Islam, richiamato invece dal Santo Padre nel mirabile discorso di Ratisbona del settembre 2006: «Manuele II Paleo-
logo, forse durante i quartieri d’inverno del 1391 presso Ankara, ebbe [un dialogo] con un persiano colto su cristianesimo e islam e sulla verità di ambedue. “Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava”» (8). Maometto è in realtà l’unico fondatore di una religione che fu anche un capo guerriero; fin dall’inizio l’Islam si espanse con la violenza e la “guerra santa” è uno dei precetti fondamentali della dottrina e della prassi musulmana.
Una guerra difensiva
Altri hanno proposto una lettura assolutamente parziale dei rapporti tra Islam e Cristianesimo, evidenziando i momenti di dialogo e quasi cancellando secoli di aggressività musulmana. In una demitizzazione esasperata di pagine gloriose nella storia militare della Cristianità, ci si è spinti a negare sia valore strategico sia legittimità religiosa a battaglie come quelle di Poitiers e di Lepanto. È dunque opportuno a rileggere il giudizio autorevole di Fernand Braudel: «Se, anziché badare soltanto a ciò che seguì a Lepanto, si pensasse alla situazione precedente, la vittoria apparirebbe come la fine di una miseria, la fine di un reale complesso d’inferiorità della Cristianità, la fine di un’altrettanto reale supremazia della flotta turca [...] Prima di far dell’ironia su LeTRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2021 - 19
Dossier Lepanto
panto, seguendo le orme di Voltaire, è forse ragionevole considerare il significato immediato della vittoria. Esso fu enorme» (9).
Un maestro della storia militare, il britannico John Keegan, elenca Lepanto tra le quindici battaglie navali decisive della storia, da Salamina tra greci e persiani nel 480 a. C., al Golfo di Leyte tra americani e giapponesi nel 1944; ove per decisiva s’intende «d’importanza duratura e non puramente locale». Lepanto segna la fine del potere navale ottomano ed «arresta l’avanzata musulmana nel Mediterraneo occidentale», che da allora fu salvo dalla minaccia strategica dell’espansione turca, così come l’assedio di Vienna del 1683 ne bloccò l’avanzata terrestre (10). L’insigne storico Angelo Tamborra afferma che «con Lepanto», anche se non ebbe «immediate conseguenze strategiche», «prende fine [...] stabilmente, quello stato d’animo di rassegnazione e quasi di paura ossessiva che aveva prostrato l’Occidente, preso dal “mito” della invincibilità del Turco» ed afferma che con tale battaglia si ebbe il «definitivo declino della talassocrazia turca del Mediterraneo». Poche righe prima, lo stesso autore scrive che «la Cristianità, già frammentata in nazioni in lotta di predominio le une contro le altre – ta-
luna delle quali non aveva esitato a ricercare il compromesso o addirittura l’alleanza con il Turco – aveva visto ricomporsi, per un momento e almeno in parte, la sua unità contro il nemico comune» (11).
Va rilevato l’uso di due termini diversi per definire la civiltà europea: “Cristianità” ed “Occidente”. Lepanto fu una battaglia navale; ma fu soprattutto uno scontro tra la Croce e la mezzaluna, tra Cristianità ed Islam. Una Cristianità divisa, perché Lepanto si colloca pressoché a metà di quel secolo e mezzo che dalla fine del ‘400 alla pace di Westfalia del 1648 vide la laicizzazione delle relazioni internazionali; alla Respublica Christiana medievale si sostituì l’Europa degli equilibri. Non solo la riforma protestante spezzò definitivamente l’unità religiosa dell’Europa, ma l’interesse nazionale prevaleva talora sulle motivazioni religiose anche per gli Stati cattolici. I Re cristianissimi di Francia strinsero intese con il turco in funzione antiasburgica e le loro navi non furono presenti a Lepanto. I veneziani, che pure a Lepanto furono in prima fila, rimproverati in un’occasione per il loro scarso entusiasmo per l’idea di crociata, risposero: «siamo veneziani, poi cristiani». Va anche però ricordato che la Regina Elisabetta I d’Inghilterra, scismatica, alcuni anni prima, aveva indetto preghiere di ringraziamento per la fine dell’assedio turco a Malta, eroicamente difesa dai Cavalieri Gerosolimitani.
Il ruolo di S. Pio V
Tanto più grandioso appare quindi il ruolo di S. Pio V nel radunare gran parte di una Cristianità divisa per una battaglia d’importanza militare, civile e religiosa. Il Papa fu l’artefice della coalizione che vinse a Lepanto. Inviò Nunzi ai Principi italiani, al Doge di Venezia, ai Re di Polonia e di Francia. Per finanziare lo sforzo bellico, dopo aver autorizzato La Vallette, Gran Maestro dell’Ordine di Malta, ad ipotecare, per 50.000 scudi d’oro, le commende di Francia e di Spagna, il Papa impose la decima sulle rendite dei monasteri, tre decime al clero napoletano, riscosse dagli impiegati della corte papale 40.000 scudi d’oro in pena delle loro malversazioni e ne ricavò altri 13.000 dalla vendita di pietre preziose, acMüezzinzade Alì Pascià, commandante della flotta ottomana a Lepanto
Lepanto segna il definitivo declino della talassocrazia turca nel Mediterraneo
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Alcuni degli eroi della battaglia di Lepanto. Da sin., Don Giovanni d’Austria, commandante capo della flotta; Marcantonio Colonna, commandante della flotta pontificia; SebastianoVenier, commandante della flotta veneta; Álvaro de Bazán, commandante della flotta spagnola
cordò ai veneziani la facoltà di togliere 100.000 scudi sulle rendite ecclesiastiche e rinnovò in favore degli spagnoli il privilegio della Cruzada.
Come scrive un maestro della storiografia, Nicolò Rodolico: «Al di sopra di interessi materiali, di ambizioni, di possessi e di ricchezze, vi era un Crociato che chiamava a raccolta la Cristianità: Pio V. Non era Cipro dei Veneziani in pericolo, ma la Croce di Cristo nell’Europa era minacciata. La parola commossa del Papa riuscì a conciliare Veneziani e Spagnoli» (12). Fu firmata a Roma il 20 maggio 1571 una Lega, cui aderirono il Papa, il Re di Spagna, la Repubblica di Venezia, la Repubblica di Genova, il Granduca di Toscana, il Duca di Savoia, l’Ordine di Malta, la Repubblica di Lucca, il Marchese di Mantova, il Duca di Ferrara e il Duca di Urbino. «Le differenze che possono insorgere tra i contraenti – prevedeva il trattato di alleanza – saranno risolte dal Papa. Nessuna delle parti alleate potrà conchiudere pace o tregua da sé o per mezzo di intermediari, senza il consenso o la partecipazione delle altre». Accanto all’azione diplomatica, il Papa ordinò solenni preghiere, in particolare la recita del Santo Rosario, e processioni di penitenza, alle quali prese parte personalmente. Il Sultano ebbe ad esclamare: «Temo più le preghiere di questo Papa, che tutte le milizie dell’imperatore».
La battaglia e le sue conseguenze
Il mattino del 7 ottobre 1571 iniziò lo scontro tra le flotte cristiana e musulmana al largo di Lepanto
(oggi Nafpaktos), allo sbocco del golfo di Corinto ed a nord di quello di Patrasso. La flotta cristiana era sotto il comando supremo di Don Giovanni d’Austria, figlio naturale del defunto Imperatore Carlo V, ai cui ordini stavano i veneziani Sebastiano Veniero ed Agostino Barbarigo, il romano Marcantonio Colonna, il genovese Gian Andrea Doria, ed era composta in totale da circa 280 bastimenti, sui quali trovavano posto 1.800 pezzi d’artiglieria, 34.000 soldati, 13.000 marinai e 43.000 vogatori. La flotta turca, al comando dell’ammiraglio Alì-Mouezzin Pascià, contava circa 230 galee e una sessantina di bastimenti minori, per un totale di circa 290 legni, 750 cannoni, 34.000 soldati, 13.000 marinai e 41.000 rematori (in buona parte schiavi cristiani, per lo più greci). La vittoria cristiana fu netta. Gli alleati della Lega contarono circa 7.500 morti, uccisi o annegati, in gran parte soldati, e circa 20.000 feriti e persero 12 galee. I turchi ebbero 30.000 morti e 10.000 prigionieri, circa 100 navi bruciate o affondate e 130 catturate; 15.000 schiavi cristiani furono liberati. S. Pio V attribuì il trionfo di Lepanto all’intercessione della Vergine: volle che nelle Litanie Lauretane si aggiungesse l’invocazione “Auxilium Christianorum, ora pro nobis”, e fissò al 7 ottobre la festa in onore di nostra Signora della Vittoria. Pio VI fissò infine il 24 maggio la festa di Maria Ausiliatrice, in memoria della battaglia di Lepanto e della propria liberazione a Savona.
Quella del secolo XVI era un’Europa divisa sul piano politico-diplomatico e religioso. Per certi versi era però più spiritualmente salda di quella di oggi. In TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2021 - 21
Dossier Lepanto
essa persisteva, ancora notevole, anche a livello popolare, lo spirito di crociata. Il Re di Francia trattava col Sultano in termini diplomatici, ma non pensava certo che il suo Dio fosse lo stesso dei musulmani, non costruiva moschee, anzi, con le capitolazioni i sovrani francesi si preoccupavano di tutelare i cristiani nell’Impero ottomano; le poche apostasie a favore dell’Islam erano esecrate. La Chiesa cattolica con la Riforma Tridentina era più che mai salda nella dottrina e nella disciplina. Nel ‘500 l’aggressione islamica era solo militare; fu affrontata con una forza militare, saldamente fondata sulla fede e con fiducia nell’aiuto soprannaturale. Oggi la sfida islamica è molto più complessa e non può essere vinta solo con mezzi militari, contro un avversario “non clausewitziano”, che usa la violenza in modo lontano dalla nostra razionalità. La storia dimostra che l’Islam avanza quando la Chiesa vacilla ed i cristiani si abbandonano agli errori ed al lassismo spirituale. Se l’Occidente non ritorna ad essere Cristianità l’esito del confronto è incerto. Il gesto di Paolo VI nel 1967 di restituire alla Turchia una bandiera conquistata a Lepanto è stato ripagato nel 2020 convertendo nuovamente in moschea la basilica di Santa Sofia.
Un volume che ripercorre 1.400 anni di scontri militari tra Cristianità ed Islam. ricordando le figure di condottieri, difensori dell’Europa cristiana dall’Islam, come d’Aviano, Giovanni Hunyadi ed il francescano San Giovanni da Capistrano commenta giustamente: «Nati in un’età di ferro, la loro vita avventurosa e tormentata può forse scandalizzare la
maggior parte dei cristiani contemporanei, sicuramente più mansueti e pacifici: eppure la pace e la libertà che permettono questa mitezza sono conseguenza diretta di quelle battaglie» (13). 1. Catechismo della Chiesa cattolica. Testo integrale e commento teologico, a cura di Mons. R. Fisichella, Casale Monferrato, 1993, pp. 426-27. 2. Ibi, n. 502. 3. Ibi, n. 501. 4. Pio XII, Allocuzione al Movimento «Pax Christi», 15-9-52, in Insegnamenti pontifici, a cura dei Monaci di Solesmes, vol. V, La pace internazionale, parte prima, La guerra moderna, Roma, 1958, p. 561. 5. La traduzione dal francese del discorso con il titolo L’Occidente, l’islam e i fondamenti della pace in Vita e Pensiero, n. 5 (settembreottobre) 2004. 6. J. Ratzinger, Lettera a Marcello Pera, in M. Pera-J. Ratzinger, Senza radici. Europa, relativismo, Cristianesimo, Islam, Milano, 2004, pp. 97-98. 7. http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/messages /peace/documents/hf_ben-xvi_mes_20051213_xxxix-world-daypeace_it.html. 8. Benedetto XVI, Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni, 12 settembre 2006, in https://w2.vatican.va/content/benedictxvi/it/speeches/2006/september/documents/hf_benxvi_spe_20060912_university-regensburg.html. 9. F. Braudel, Civiltà e Imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, tr. it., Torino, 1999, vol. II, p. 1182. 10. J. Keegan, La grande storia della guerra. Dalla preistoria ai giorni nostri, tr. it., Milano, 1994, pp. 67, 69-70, 338-39. 11. A. Tamborra, Gli Stati italiani, l’Europa e il problema turco dopo Lepanto, Firenze, 1961. 12. N. Rodolico, Storia degli italiani. Dall’Italia del mille all’Italia del Piave, Firenze, 1964, p. 319. 13. A. Leoni, La Croce e la mezzaluna, Milano, 2002, p. 152.
Lo standardo della Santa Lega
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L’eroismo di San Pio V
I
di Plinio Corrêa de Oliveira
n che senso si può dire che Papa san Pio V sia stato un eroe, e perché è importante riconoscere il suo eroismo?
La situazione in Europa nel secolo XVI
Il santo Pontefice vedeva con preoccupazione la costante crescita del potere ottomano. C’era il pericolo che gli ottomani invadessero l’Europa, con consequenze perfino più rovinose dell’invasione araba della Spagna nell’alto Medioevo.
Il pericolo era tanto più reale perché l’Europa, già divisa nel secolo XI tra cattolici e scismatici, si era ancora divisa tra cattolici e protestanti. Queste deplorevoli divisioni avevano molto indebolito il campo cattolico. Dobbiamo inoltre ricordare che il protestantesimo a quel tempo aveva un vigore incomparabilmente maggiore di quello che ha oggi, era ancora nella sua fase di espansione, nella sua fase di lotta. Ed era molto da temere che i protestanti approfittassero dell’aggressione maomettana contro l’Europa per invadere, a loro volta, i paesi cattolici.
La casa d’Austria, che governava vasti possedimenti e alla quale abitualmente toccava per elezione il Sacro Romano Impero, si era già trovata più volte in difficoltà a causa della convergenza tra i protestanti all’interno e gli ottomani fuori. L’obiettivo delle forze del male era forzare la capitolazione della casa d’Austria salvo poi liquidare il cattolicesimo.
Per la Santa Sede, la minaccia ottomana era quindi molto più preoccupante di quella araba nell’alto Medioevo, poiché allora i cattolici formavano un blocco, mentre che nel secolo XVI erano divisi. In questa situazione san Pio V dovette appellarsi all’uomo che era allora il sostegno temporale della Chiesa, Filippo II re di Spagna. Tale sostegno
non poteva venire dall’Imperatore, alle prese con le divisioni religiose dell’Impero. Non poteva venire nemmeno dalla Francia, corrosa dalle guerre di religione e alleata dei turchi in chiave anti-imperiale. D’altronde, la Francia non aveva più il fervore religioso della Spagna. Non potendo contare né sulla Francia né sull’Impero, il Papa si appelò quindi a Filippo II. Egli fece appello anche alla Serenissima Repubblica di Venezia, una repubblica aristocratica con ampio sviluppo in tutto il Mediterraneo, e alla Repubblica di Genova, un’altra potenza marinara.
Purtroppo – e questo tutti gli storici lo ammettono, perfino quelli che, come me, ammirano Filippo II – il Re di Spagna era un uomo molto indeciso e titubeante. Dovendo risolvere una situazione, egli faceva avanti e indietro. Il Papa dovette mandare successive ambasciate per vincere la tremenda indecisione di Filippo.
Un vero eroe
Immaginate la provazione di san Pio V! Il destino dell’Europa e della Cristianità si giocava in una stanza dell’Escorial! Se Filippo II si rifiutasse, o se prendesse troppo tempo, l’orda maomettana si sarebbe scatenata sull’Europa. Sarebbe la fine della civiltà cristiana in Occidente. Non sarebbe la fine della Chiesa perché essa è immortale, ma sarebbe comunque un colpo quasi mortale. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2021 - 23
Dossier Lepanto
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Il Santo Cristo di Lepanto
l Santo Cristo di Lepanto si trova nella cappella del Santissimo della cattedrale di Barcellona, appena sopra la tomba di San Olegario. Il Crocifisso è annerito a causa di due episodi: uno, quando alcuni mori valenziani, dopo averlo portato sacrilegamente in processione, lo gettarono in un falò, da dove venne salvato da don Luis Quijada; un altro, durante l’incendio che divampò nel palazzo madrileno degli stessi Quijada.
Fu regalato a Don Giovanni d’Austria dalla sua tata, donna Magdalena de Ulloa, moglie di Don Luis.
Questo Cristo era presente alla battaglia di Lepanto, affisso al mastro centrale della nave Real, ammiraglia di Don Giovanni d’Austria. Le cronache raccontano che, nel bel mezzo della battaglia, il Crocifisso schivò un proiettile turco, ed è questo il motivo della strana inclinazione del suo corpo. 24 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2021
Sepolcro di S. Pio V nella Basilica di Santa Maria Maggiore, a Roma
Lo storico tedesco Ludwig von Pastor racconta i difficili rapporti di san Pio V con Filippo II, affermando che costituirono per il Pontefice un vero e proprio martirio. Il Re di Spagna mise molte condizioni, di carattere politico, finanziero e militare, e il Pontefice dovette accettarne tutte. Tra queste, per esempio, l’esigenza che la Santa Sede partecipasse con le sue proprie navi. S. Pio V dovette quindi incaricare il principe Marcantonio Colonna di preparare la flotta pontificia.
Se non fosse per l’impegno di san Pio V, non ci sarebbe stata la Santa Lega e non si sarebbe svolta la battaglia di Lepanto. Tutti gli storici riconoscono che, in tale situazione di estrema afflizione, san Pio V si comportò da vero eroi, combattendo fino all’ultimo momento.
Io credo che la famosa visione che egli ebbe sull’esito della battaglia sia stata una ricompensa della Provvidenza per i suoi sforzi. San Pio V era in una riunione con dignitari della Curia. A un certo mo-
mento si alzò e iniziò a pregare, sollecitando i prelati a unirsi a lui. Aveva avuto una mozione interiore che in quel momento si stesse decidendo una grande battaglia tra cattolici e maomettani. Poi, mentre guardava dalla finestra, ebbe la visione della Madonna Ausiliatrice, che gli rivelò che la battaglia di Lepanto era stata vinta. Rivolgendosi ai prelati esclamò: “Signori, abbiamo riportato una grande vittoria!”. Fu chiaramente una rivelazione soprannaturale, poi confermata giorni dopo con l’arrivo della notizia.
Ora perché proprio a lui? Prima di tutto perché era il capo della Cristianità. Ma anche perché era stato un vero eroe che aveva fatto uno sforzo uguale o maggiore di quello dei combattenti di Lepanto. Era stato un vero eroe, come lo fu Don Giovanni d’Austria e come lo furono gli altri grandi guerrieri che vinsero a Lepanto. Qualcuno potrà obiettare: “Dottor Plinio, non la capisco. Egli non ha rischiato la vita, è rimasto comodamente a Roma in attesa che arrivassero no-
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Dossier Lepanto
tizie. Se non ha rischiato la vita e non ha combattuto, non può essere un eroe”.
Questo è un falso criterio che dobbiamo toglierci dalla testa. Certamente chi combatte con le armi in mano è un eroe. Ma la dottrina cattolica non ha mai ammesso che questa sia l’unica forma di eroismo.
Che cos’è l’eroismo?
L’eroismo non è solo l’atto con cui l’uomo affronta il rischio di perdere la vita o l’integrità fisica. L’eroismo è l’atto con cui l’uomo affronta ogni grande dolore, o ogni grande sventura. Questo caratterizza l’eroe. E ci sono dolori morali come ci sono dolori fisici. E talvolta i dolori morali tormentano incomparabilmente più dei dolori fisici. Affrontare il dolore morale è spesso incomparabilmente più che affrontare il dolore fisico. Abbiamo un esempio di questa eroicità nella passione di Nostro Signore Gesù Cristo. La passione di Nostro Signore Gesù Cristo è divisa in due parti: l’agonia e poi la passione propriamente detta, nella quale Egli fu imprigionato, torturato e alla fine crocifisso.
In questa prima parte, Egli diede mostra di un vero e perfetto eroismo, nel senso più alto del termine. Egli patì tutta la sofferenza morale causata dai peccati dell’umanità, dall’ingratitudine dell’umanità, ecc. Al punto che chiese a Dio se fosse possibile rimuovere il calice. Egli sudò sangue di fronte alla prospettiva di tutto ciò che sarebbe successo.
l’inizio alla fine, esclusivamente morale. Eppure, Ella è invocata dalla Chiesa come Regina Martirum. Sebbene non abbia sofferto fisicamente, nessuno dopo Nostro Signore Gesù Cristo, in tutta la storia del mondo, ha sofferto ciò che ha sofferto la Madonna, per la passione e morte di suo Figlio.
Avere la forza d’animo per resistere alle cose più terribili, alle delusioni, alle calunnie, alle frustrazioni, insomma per resistere a tutto ciò che l’uomo può sopportare nella vita, questo è vero eroismo.
Questo è l’opposto dell’atteggiamento buonista e sdolcinato di un certo cattolicesimo contemporaneo, per il quale non esiste la lotta morale. San Pio V è stato il contrario.
Papa Ghislieri era già anziano. Egli avrebbe potuto pensare che non valesse la pena misurarsi con Filippo II e realizzare tutto quello sforzo titanico per mettere insieme la Santa Lega. Tanto, egli sarebbe morto da lì a poco... Poteva godersi tranquillamente le commodità del Palazzo Apostolico, fare passeggiate distensive per i giardini vaticani mentre si prendeva cura dei fiori, lasciando il governo della Chiesa ai suoi collaboratori. Ovviamente questo non è un eroe. È un buonista che non combina niente. San Pio V fece il contrario, egli affrontò la situazione di petto. Egli fu un vero eroe. Allora, cos’è l’eroismo? È l’accettazione energica, ferma, nello spirito di fede, di ogni sofferenza, qualunque essa sia, fisica o morale, per il bene della mia anima, per il bene della Chiesa, per il bene della Civiltà cristiana.
Portare a tal punto l’accettazione precoce del dolore e della sofferenza è un vero e proprio eroismo, anche se Egli non ha combattuto fisicamente contro nessuno. Peggio ancora: Egli ha accettato questo tremendo dolore nonostante ne conoscesse l’inutilità per coloro che avrebbero in seguito rifiutato la grazia, perdendo quindi l’anima. Questa deliberazione è eroica e comporta un dolore genuino, anche se fisicamente non stesse combattendo.
Noi dobbiamo essere disposti a versare il nostro sangue per la Chiesa. Sarà una cosa splendida, magnifica, un desiderio di donazione totale. Non ho abbastanza parole per lodare questo atteggiamento. Ma questa non è l’unica forma di eroismo. Altre forme di lotta per la Chiesa sono pure vero e autentico eroismo. Ed è proprio queste forme che fanno di san Pio V un eroe.
Certamente, ma la Madonna non l’ha offerto. Nessuno l’ha toccata. La sua sofferenza è stata, dal-
(Brani della conferenza di Plinio Corrêa de Oliveira per soci e cooperatori della TFP brasiliana, 7 ottobre 1975. Tratto dalla registrazione magnetofonica, senza revisione dell’autore. Foto sopra, lo stemma di Papa S. Pio V.)
Qualcuno dirà: “Egli ha offerto il rischio della sua vita, e questo è un elemento dell’eroismo”.
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Loreto e Lepanto: un intimo legame di Federico Catani
Un filo d’oro lega il Santuario della Madonna di Loreto alla battaglia di Lepanto. Papa S. Pio V aveva, infatti, messo l’impressa proprio sotto la protezione della Vergine di Loreto. Don Giovanni d’Austria, Marcantonio Colonna, e poi gli schiavi cristiani liberati durante la battaglia si recarono al Santuario per ringraziare la Madonna per la brillante vittoria. In questo modo Loreto confermò la sua vocazione di baluardo della Cristianità contro l’islam.
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l santuario della Santa Casa di Loreto ha svolto un ruolo essenziale nella secolare lotta della Cristianità contro l’aggressione islamica. Di fronte agli attacchi del mondo musulmano, la Vergine Lauretana è stata invocata a protezione del Papato, della Chiesa Cattolica e, in generale, dell’identità cristiana europea. Tra i tanti esempi che si potrebbero fare per dare un’idea dell’importanza di Loreto, basti considerare la battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571).
L’intervento della Madonna di Loreto
Come scrive padre Arsenio d’Ascoli nel suo I Papi e la Santa Casa (1969), «San Pio V aveva messo sotto la protezione della Vergine di Loreto l’esito della grande battaglia che le Nazioni cristiane combattevano contro i Turchi, che stavano facendo per mare gli ultimi sforzi per aprirsi un varco nel Mediterraneo Occidentale e colpire al cuore la Chiesa Cattolica. Il Santo Pontefice aveva ordinato preghiere continue nella Santa Casa di Loreto, per tutto il periodo dell’ultima grande crociata».
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Come è noto, per ottenere la vittoria il santo Pontefice si affidò alla Madonna e al Rosario, percorrendo in processione a piedi nudi le strade di Roma e invocando la misericordia e l’aiuto di Dio. Ma non si fermò alla sola preghiera. Si attivò infatti per promuovere un’alleanza militare degli Stati cattolici europei, la Lega Cristiana, sottoscritta il 25 maggio 1571. Ed è alla Santa Casa, dove si era recato nel 1566, che il papa rivolse il suo pensiero. «Perciò il Papa veramente pio, diedesi con private e pubbliche orazioni a conciliarsi il grande Iddio e principalmente ordinò che nella santissima Cella di Loreto continuamente si porgessero caldi prieghi alla Madonna ch’Ella si degnasse di prestar il favore suo ai Cristiani, nel maggior pericolo e bisogno. Né vana fu la speranza del Pontefice Pio e delle altre pie persone» (cf. Martorelli, Teatro istorico della Santa Casa Nazarena della B. Vergine Maria e sua ammirabile Traslazione in Loreto, vol. I, p.531). Va notato che, prima della battaglia di Lepanto, il comandante della flotta pontificia Marcantonio Colonna si recò nella Santa Casa con la sposa, Donna Felice Orsini, per mettere nelle mani di Maria la sorte della guerra. Mentre partiva per l’Oriente, la moglie
restò a Loreto insieme ad altre nobildonne a pregare per lo sposo e per la vittoria, passando giorni e notti tra le sante pareti.
Le cronache narrano che la sera della battaglia, il 7 ottobre 1571, improvvisamente, quasi mosso da un impulso irresistibile, San Pio V si alzò dal suo tavolo di lavoro e si accostò a una finestra fissando lo sguardo verso l’oriente, quasi estatico; poi, tutto gioioso, esclamò che era il momento di rendere grazie a Dio per la vittoria ottenuta dalla flotta cristiana sui Turchi.
Il ringraziamento per la vittoria
La festa della Madonna del Rosario, istituita da Pio V e fissata per il 7 ottobre, è quindi intimamente legata a Loreto, perché fu principalmente in questo santuario, all’epoca il più importante della Cristianità, che si pregò per il buon esito dello scontro navale. E fu dopo Lepanto che l’invocazione Auxilium Christianorum venne aggiunta alle Litanie Lauretane. Non solo. Come ricordo e come riconoscenza, nei medaglioni degli Agnus Dei Pio V fece porre l’immagine di Loreto con sopra le magnifiche parole Vera Domus florida quae fuit in Nazareth. E sotto di-
spose che si scrivesse: Sub tuum praesidium per far comprendere a tutti a chi era da attribuirsi il merito della vittoria, ovvero alla Madonna. Inoltre donò al santuario una pianeta e un pallio.
Roma preparò un ingresso trionfale al condottiero dell’armata papale, ma Marcantonio Colonna, riconoscendo che il merito della vittoria non era suo, bensì della Virgo Lauretana, posticipò il ritorno alla capitale e si recò prima a Loreto a ringraziare la Madonna. Tutta l’armata papale approdò a Porto Recanati. Il comandante, gli ufficiali e i cristiani liberati dai Turchi, a piedi, con il capo scoperto, cantando inni di gioia e di ringraziamento, salirono al colle lauretano. Nell’inverno del 1576 andò a Loreto a cavallo, partendo da Napoli, anche Don Giovanni d’Austria, il grande eroe di Lepanto, leader della Lega Cristiana. Egli sciolse così il voto fatto cinque anni prima alla Madonna, quando partì per la battaglia. Fino ad allora ne era stato sempre impedito da altri affari politici e militari. Appena vide da lontano il Santuario, si fermò, s’inchinò e si scoprì il capo in segno di riverenza. «Poiché alla benedetta Cella pervenne, fatta una generale confessione, alla Madonna TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2021 - 29
Dossier Lepanto
grazie infinite rendette; né di ciò appagato, aggiunse allora al voto già adempiuto un ricco dono di danari. Come ebbe soddisfatto al voto ed alla pietà, a Napoli ritornò, seco portando un gran desiderio di quella amabilissima Signora di Loreto» (Martorelli, vol. I, pp.433-434).
Circa 40.000 erano i rematori dell’armata turca a Lepanto. Molti erano cristiani e, come raccontano gli storici, «è assai noto che nella medesima giornata [della battaglia di Lepanto ndr], prima che al fatto si desse principio, gli schiavi cristiani dai Turchi posti alle catene per vogare, si votarono a Santa Maria di Loreto per la libertà loro» (Martorelli, vol. I, p.431). In 15.000 furono liberati nella grande battaglia e riportati in Europa sulle navi cristiane. Tutti poi, o in gruppo o individualmente, vollero venire a Loreto a sciogliere il loro voto. «E vollero che quivi restasse di tanto celeste beneficio qualche memoria: lasciarono alla loro Liberatrice le catene che ai remi gli tenevano legati» (Martorelli, vol. I, 431). Tali catene servirono per fabbricare le cancellate dei dodici altari della navata centrale della Basilica, dove rimasero per quasi due secoli. Infine, «essendosi poste
alle dette Cappelle li balaustri di marmo, furono levati quei cancelli, e quel ferro commisto indistintamente con altro fu impiegato in occorrenze di varie fabbriche spettanti all’istesso Santuario» (Martorelli, vol. II, p.134). Oltre alle suddette cancellate, le catene fuse servirono per la costruzione dei quattro cancelli della Santa Casa che ancora si conservano al loro posto per ricordo. Mentre con le grandi lance fu fatto un recinto alla fontana del Maderno e con le frecce una caratteristica cancellata a una Cappella della Basilica. Tuttavia alla fine vennero tutti asportati, perché corrosi dalla ruggine e soprattutto perché un’altra linea artistica s’imponeva nelle cappelle. «Fu davvero simpatico – scrive padre Arsenio d’Ascoli – il gesto di questi schiavi che vollero donare le loro catene alla loro Liberatrice come segno di riconoscenza e di amore. I quattro cancelli della Santa Casa, anche se semplici e rozzi, stanno lì a cantare le glorie e le vittorie della Vergine e a ricordare a tutti coloro che sono schiavi delle passioni a spezzare le loro catene ai piedi di Maria e a risollevarsi liberi e puri».
Sotto, Paolo Veronese, Battaglia di Lepanto (dettaglio). A pag. 22, Juan de Toledo e Mateo Gilarte, Batalla de Lepanto, Santo Domingo de Murcia. A pag. 23, Batalla de Lepanto, Parroquia de la Magdalena, Sevilla
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Lepanto: trionfo della fiducia
di Plinio Corrêa de Oliveira
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e fonti cattoliche che raccontano la battaglia di Lepanto spesso non menzionano un dato importantissimo, che è presente in alcune fonti musulmane. Queste ultime dicono – e fin qui tutte le fonti cattoliche sono d’accordo – che ci fu un determinato momento in cui la situazione dei cattolici sembrava disperata. C’era stato uno scontro terribile fra le due armate a bordo delle navi, e in questo scontro, a un certo momento, i cattolici stavamo quasi battendo in ritirata e la situazione sembrava persa.
All’improvviso, quando meno lo si attendeva, i musulmani cominciano a indietreggiare, e qualcuno di loro cui si chiede che cosa stia succedendo risponde che è apparsa in cielo una Signora in abiti da regina e li ha guardati con uno sguardo così terribile che è mancato loro del tutto il coraggio e sono fuggiti. Riflettiamo su questa situazione. Si tratta di una battaglia navale, forse la maggiore combattuta nella storia fino ad allora, che creava una “suspense” in tutta la Cristianità, perché lì si giocava in un certo senso il futuro dell’Europa.
L’Europa era miseramente divisa fra cattolici e protestanti: i protestanti avevano aperto una breccia nel seno della Cristianità e i Paesi cattolici, già provati dalla lotta contro i protestanti, non sarebbero riu-
sciti a resistere se nel Sud dell’Italia fossero sbarcate forze musulmane importanti. Roma sarebbe caduta nelle mani dei musulmani e non si sa chi avrebbe potuto fermare la loro avanzata. Umanamente parlando, la causa cattolica sembrava perduta.
In questa immensa battaglia navale combattevano, soprattutto, quattro potenze cristiane: - la Spagna, la maggiore potenza del tempo;
- Venezia, che era una potenza navale apprezzabile ma soprattutto aveva molto denaro, con cui contribuiva a questa crociata;
- Genova, che offriva un grande ammiraglio, Andrea Doria, per guidare le sue navi nella battaglia; - e una piccola squadra del Papa, che era quanto poteva mettere in campo perché tutte le forze cattoliche fossero presenti di fronte a un nemico tanto potente e brutale.
Le sorti della battaglia erano incerte. Le descrizioni concordano nel dirci che fu terribile, una carneficina tremenda. I cattolici abbordavano le navi musulmane, alcuni musulmani erano già sulle barche cattoliche, si uccideva e si moriva da una parte e dall’altra, le navi si scontravano e alcune andavano in pezzi. Navi che affondano, gente gettata in mare con l’armatura che dopo qualche tentativo di restare a TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2021 - 31
Dossier Lepanto
galla annega. Tuonare di cannoni, rumori tremendi, confusione. E i cattolici che arretrano… In questo momento della lotta, il comandante Don Giovanni d’Austria invoca l’aiuto di Nostra Signora e le forze cattoliche fanno ricorso alla fede, chiedendo alla Madonna che scenda in campo al loro fianco.
Possiamo immaginare lo sforzo di Don Giovanni d’Austria per raccogliersi e prendere, per così dire, le distanze dalla battaglia. Sta in mezzo alla lotta, con un nemico alle spalle e uno di fronte, colpendone uno che gli arriva contro e non sapendo da che parte voltarsi. A questo punto tuttavia prende una distanza mentale dall’avvenimento per volgersi alla sua fede, per guardare alle sorti generali della battaglia e accorgersi che la sta perdendo, benché i cattolici moltiplichino i loro sforzi con grande zelo.
Immaginiamo lo spirito di fede di chi lotta e non si arrende, di chi dà la vita per una causa che dal punto di vista umano sembra molto compromessa. Ma questo prima che intervenga Nostra Signora! Si può dire che sperò contro ogni speranza, che ebbe fiducia contro le ragioni che lo inducevano a disperare. In effetti umanamente non c’era speranza e non fu per ragioni umane che i musulmani si ritirarono. Ma nello stesso tempo fu per la fiducia che avevano nell’intervento di Nostra Signora che Ella apparve nel punto più alto del cielo.
Curiosamente sembra che l’abbiano vista i nemici ma non i cattolici. Le truppe islamiche comunque fuggirono. Questo significa che quei combattenti cattolici ebbero il merito della fede pura, della fede oscura: non videro il miracolo, ma sentirono gli effetti del miracolo. Fu necessario che il nemico raccontasse il miracolo, che i nemici spiegassero perché erano fuggiti per rendersi conto che in effetti la preghiera era stata esaudita.
Quanta fede in questa situazione critica, in questa giornata storica! La battaglia era persa, o quasi persa. Avrebbero potuto pensare: “Salviamo almeno la pelle, arrendiamoci. Se combatto sono morto, se mi arrendo diventerò schiavo dei musulmani ma qualcuno pagherà il riscatto per me e dopo qualche mese sarò libero”. Non lo pensarono. Ciascuno si disse: “Vedo in mare come si dibattono nelle ultime angustie uomini che stanno morendo della stessa morte che mi attende. Ho fiducia che se muoio volerò in Cielo come martire, ma ho anche fiducia nella possibilità della vittoria”. Di fatto questa fiducia fu premiata, e i cristiani vinsero la battaglia.
Replica della Real, nave ammiraglia della flotta cristiana Museo marittimo di Barcellona 32 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2021
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La vocazione del Ordine Teutonico
di Paul Herzog von Oldenburg
Ordine Teutonico ha una storia lunga 816 anni, difficile da riassumere in qualche riga. Vorrei, però, narrare alcuni fatti rilevanti, salvo poi tessere alcune osservazioni sulla vocazione religioso-militare dell’Ordine.
Un po’ di storia
Il grande merito dell’Ordine Teutonico, lo dico subito, è di aver edificato una civiltà cristiana in Prussia e nel nord della Polonia, un’area allora ancora pagana. L’Ordine Teutonico fu chiamato per evangelizzare e pacificare quella regione, che trasformò in uno degli stati più moderni del Medioevo. I frutti della sua azione permangono fino ai giorni nostri. Una catena di magnifici castelli, molti dei quali ancora in piedi, danno testimonianza del fervore, della forza imprenditrice e della costanza dei cavalieri teutonici. Essi fondarono più di cento città e 1400 villaggi che si beneficiarono di un’economia fiorente.
Ricordiamo che l’Ordine Teutonico era un ordine religioso, che dipendeva direttamente dall’autorità del Papa. Vediamo brevemente la sua storia.
Siamo nell’anno 1190, durante la terza crociata. Da tutte le parti dell’Europa provenivano eserciti di crociati per marciare verso Terra Santa, caduta tre anni prima nelle mani dei musulmani. Volevano riconquistarla con le armi. L’Imperatore Federico Barbarossa, ormai quasi settantenne, si mise alla testa dell’impresa con quasi sedicimila uomini. Dopo la brillante vittoria di Ikonion, egli morì annegato nel fiume Saleph, in Turchia, possibilmente in seguito a un infarto. L’impresa continuò al comando di suo figlio, Federico di Svevia, che stabilì il suo quartiere
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Civiltà cristiana
Hermann von Salza, Gran Maestro dell’Ordine Teutonico, figura controversa ma indubbiamente il più importante di tutti i Gran Maestri Pagina a fianco, Marienburg, Casa Madre dei teutonici
generale a S. Giovanni d’Acri, città di mare a nord di Gerusalemme.
Il numero crescente di feriti rese necessaria la fondazione di un ospedale. Commercianti di Bremen e di Lübeck, le cui navi erano ormeggiate al porto, donarono vele per farne delle tende. Con l’appoggio del Duca di Svevia fu allora fondata una Fraternità Ospedaliera, legata alla tradizione dell’antico ospedale tedesco di Gerusalemme. Ecco l’origine dell’Ordine Teutonico. Otto anni dopo, a richiesta dell’Imperatore Enrico VI, la Fraternità si trasformò in un ordine di cavalleria, che ricevette l’approvazione pontificia nel 1199.
Entrando nell’Ordine, il cavaliere si impegnava a vivere in comunità, all’interno di monasteri, facendo i voti di obbedienza, povertà e castità. Alla vita contemplativa, si aggiungeva la lotta armata contro musulmani e pagani. L’Ordine Teutonico si ispirava ai due ordini di cavalleria già esistenti, cioè i cavalieri ospedalieri di San Giovanni di Gerusalemme e i cavalieri templari. I teutonici seguivano la regola di S. Bernardo di Chiaravalle, che nel suo De laude 34 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2021
novae militiae ad milites Templi aveva spiegato magnificamente questa unione tra l’ideale religioso e l’uso delle armi nella costituzione di una nuova “militia Dei”. Scrisse S. Bernardo:
“È davvero impavido e protetto da ogni lato quel cavaliere che come si riveste il corpo di ferro, così riveste la sua anima con l’armatura della fede. Nessuna meraviglia se, possedendo entrambe le armi, non teme né il demonio né gli uomini. E nemmeno teme la morte egli che desidera morire. Difatti cosa avrebbe da temere, in vita o in morte, colui per il quale il Cristo è la vita e la morte un guadagno? Egli sta saldo, invero, con fiducia e di buon grado per il Cristo; ma ancor più desidera che la sua vita sia dissolta per essere con Cristo: questa è infatti la cosa migliore. Avanzate dunque sicuri, cavalieri e con intrepido animo respingete i nemici della croce del Cristo!”
San Bernardo, giova ricordarlo, aveva predicato la seconda crociata affermando che non erano soltanto i luoghi santi a essere minacciati dai pagani, ma anche i confini orientali dei paesi cristiani.
Fu così che, due anni dopo la fondazione, il Re Andrea d’Ungheria chiamò i cavalieri teutonici in suo ausilio contro i cumani che stavano minacciando i confini del Regno. Andrea incaricò i teutonici di convertire e pacificare i cumani, compito che svolsero egregiamente. A tale scopo, l’Ordine costruì sette castelli – da dove il nome Siebenbürgen – e portò avanti un’azione bellica ed evangelizzatrice durata ben venticinque anni.
Ingelositi dal potere dei teutonici, però, nel 1225 i principi magiari li cacciarono via dall’Ungheria. Fu una lezione per il Gran Maestro Hermann von Salza, figura controversa ma indubbiamente il più importante di tutti i Gran Maestri. Egli, infatti, decise che mai più i cavalieri teutonici sarebbero stati utilizzati per sostenere le pretese territoriali di Re o Principi. Hermann von Salza si sforzò di conseguenza per mantenere l’indipendenza dell’Ordine nei confronti del potere politico. Tempo dopo, però, quando ormai il potere dell’Ordine era diventato tale che lo stesso Imperatore dipendeva da esso, von Salza dovette intrecciare con lui stretti rapporti. Questi rapporti si rafforzarono ulteriormente col figlio Federico II.
Herman von Salza promosse l’equiparazione dei teutonici agli altri due ordini di cavalleria, suscitando aspre dispute. Un punto di discordia fu l’uso del manto bianco con sopra la croce nera, contestato dai templari che già portavano un simile manto con una croce rossa. Nel 1218, papa Onorio III chiuse la questione autorizzando i teutonici a usare il manto bianco con la croce nera, e collocando l’Ordine sotto la diretta giurisdizione del Sommo Pontefice. Negli anni successivi, l’Ordine ricevette molti altri privilegi, come il diritto di ricevere elemosine.
Nella quinta crociata contro l’Egitto, che si concluse con la lamentevole sconfitta dei cristiani, i teu-
tonici si distinsero per il coraggio e il fervore religioso. Il 29 agosto 1219, ben trenta cavalieri caddero durante l’assedio di Damietta.
Nel 1225, l’anno dell’espulsione dall’Ungheria, Hermann von Salza ricevette la richiesta del duca Corrado di Masovia di aiutarlo nella lotta contro i prussiani che minacciavano i confini orientali dell’Impero. Numerosi missionari erano già stati martirizzati nell’intento di portare questo popolo all’ovile di Cristo. Serviva anche la forza militare. Corrado offriva all’Ordine tutti i territori che avrebbero conquistato. Con la Bulla Aurea firmata a Rimini nel 1226, l’Imperatore Federico confermò la donazione dei territori offerti da Corrado. Nel 1234, con la Bolla di Rieti, Papa Gregorio IX confermò tutti gli accordi intercorsi fra l’Ordine Teutonico, l’Imperatore Federico II e il duca Corrado di Masovia. Già prima della conferma pontificia, Hermann von Salza aveva iniziato a costruire i castelli di Thorn, Kulm, Mariewerder, Rheden e Elbing, punto di partenza per la conquista della Prussia. Inizia così per l’Ordine un periodo aureo. Per più di un secolo i teutonici conquisteranno i territori della Prussia, Lituania, Livonia e nord della Polonia convertendo quei popoli al cattolicesimo, e costruendovi una civiltà cristiana. Edificarono più di cento città e 1400 villaggi, portandovi tutti i moderni sviluppi dell’Europa occidentale. I territori dell’Ordine Teutonico si stagliano, infatti, come la zona più ricca e moderna dell’Europa medievale. Erano membri della Lega Hanseatica e commerciavano con l’Oriente. All’indomani della caduta nel 1291 di San Giovanni d’Acri, ultimo baluardo cristiano in Terra Santa, e dopo un tempo a Venezia, nel 1309 il Gran Maestro Siegfried von Feuchtwangen decise di fissare la capitale dell’Ordine a Marienburg. La scelta
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Civiltà cristiana
si era resa necessaria visto ciò che stava succedendo ai templari. Perseguitati brutalmente dal re di Francia Filippo il Bello, e poi anche da Papa Clemente V (filo-francese), l’Ordine Templare sarà definitivamente soppresso nel 1312. Proprio per ripararsi da una tale ingerenza del potere temporale, i teutonici decisero di trasferire la casa madre sui confini orientali dell’Europa, in un territorio autonomo. Arriviamo così al 1410, anno della battaglia di Tannenberg in cui i cavalieri teutonici furono schiacciati dall’esercito del Regno Lituano-Polacco. Trascuriamo i complessi eventi che portarono a questo scontro. Basti dire che segna l’inizio della decadenza dell’Ordine. Nel 1525, il Gran Maestro Alberto von Hohenzollern-Ansbach, si pervertì al luteranesimo e secolarizzò i possedimenti prussiani, assumendo il titolo di duca di Prussia.
La fisionomia morale del cavaliere teutonico
Come possiamo definire la fisionomia morale del cavaliere teutonico?
Quello teutonico è il più giovane degli ordini di cavalleria. Non dovette, quindi, inventarsi una nuova regola, prendendo invece in prestito elementi dagli Ospedalieri di S. Giovanni e dai Templari. Prima che San Bernardo mostrasse il profilo del monaco-guerriero, l’unione fra l’ideale religioso e quello militare non era chiara. Possiamo menzionare le intuizioni precorritrici di Bonizone di Sutri. Nel suo Liber di vita christiana, scritto nel 1090, il vescovo di Sutri e poi di Piacenza, grande amico e collaboratore di S. Gregorio VII, elenca alcune caratteristiche del milite cristiano: sottomissione al Signore, rinuncia al saccheggio, donazione della propria vita al Signore, lotta per il bene comune, guerra contro gli eretici, protezione dei poveri, delle vedove e degli orfani, osservanza della castità. Come conciliare, però, la vita monastica con quella del guerriero? Si dovette aspettare San Ber-
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nardo di Chiaravalle che, nel De laude novae militiae ad milites templi, scritto attorno al 1130, analizza questa “grazia nova” segnata dall’apparizione di un novum militiae genus, che egli presenta come la salvezza della Casa di Davide, cioè della Chiesa e della civiltà cristiana. Questa nova militia combatte corporalmente i nemici di Cristo e spiritualmente i demoni, unendo così il monachesimo alla cavalleria. Il novo miles Christi difende Gerusalemme, la civitas Domini, come difende pure la civitas christiana, cioè la Chiesa, laddove questa ha bisogno della forza. Il novo miles Christi si differenza dai cavalieri secolari per il suo modo di vita, segnata dai voti monacali. San Bernardo lo definisce un “monaco-guerriero” e lo paragona ai Maccabei dell’Antico Testamento. Ricordiamo che i Maccabei (da Giuda Maccabeo, dall’aramaico makkaba, martellatore) insorgono nel 165 a.C. contro il dominio selgiuchide della Giudea. Lo stesso prologo della Regola dell’Ordine Teutonico definisce i cavalieri come “novi Maccabei”. Ed era proprio così che la gente li chiamava, soprattutto dopo la quinta crociata nella quale si distinsero per il fervore religioso e il valore militare. Il cavaliere teutonico, leggiamo nella Regola, è una militaris et religiosa persona. L’Ordine accettava fratelli sacerdoti, ai quali era tributato un trattamento privilegiato. Nessun sacerdote, però, poteva assumere un incarico direttivo. Prediligevano, anche se non esclusivamente, il reclutamento nei ceti nobiliari o del patriziato urbano, poiché costoro erano già abituati alla guerra e al comando.
I fratelli dovevano osservare la Regola, frequentare i sacramenti e assistere alla Santa Messa ogni giorno. In tempo di guerra dovevano mostrare coraggio e determinazione. Facevano i tre voti monastici – obbedienza, povertà e castità – e cantavano l’Officio divino, come i monaci. Il loro compito principale, però, era di combattere contro i pagani, gli infedeli e gli scismatici. A ciò si aggiungevano il
servizio ospedaliero, la cura dei malati e dei bisognosi.
Le letture durante i pasti davano al frate-cavaliere un’idea dell’importanza dell’Ordine e della sua missione all’interno della Cristianità. Loro erano i difensori dell’ordine cristiano e sociale. Si distinguevano dagli altri cavalieri non solo per i tre voti, ma anche per il loro stile di vita monastico. I frati-cavalieri non erano tenuti allo studio approfondito, come i monaci. Dovevano dedicare il loro tempo per prepararsi alla guerra e al servizio ospedaliero. Va notato che l’Ordine Teutonico era prima di tutto un ordine militare, e poi un ordine ospedaliero. Non aveva vocazione missionaria. I teutonici lasciavano volentieri la parte missionaria agli ordini mendicanti: i domenicani e i francescani.
I patroni dell’Ordine erano San Giorgio, per il lato militare, e Santa Isabella da Turingia, per il suo servizio ospedaliero presso i poveri. In Livonia, veneravano anche S. Maurizio, comandante della Legione Tebana. La loro devozione principale, però, era la Santissima Vergine Maria. Va notato che durante le crociate la devozione alla Madonna aumentò moltissimo tra i nobili. Questa devozione mariana viene
dall’origine dell’Ordine Teutonico. Nel 1192, prima ancora di essere riconosciuto come ordine di cavalleria, già si denominava Hospitalis novum Sancte Marie. In seguito il nome completo divenne Hospitalis Sancte Mariae Teutonicorum in Jerusalem, oppure Ordo fratorum hospitalis Sancte Mariae Teutonicorum Jerosolimitanorum.
I tre più importanti castelli dell’Ordine Teutonico sono dedicati alla Madonna. La casa madre si chiamava proprio Marienburg, Città di Maria, e aveva all’ingresso una statua della Madonna alta otto metri. Questa fu distrutta durante la II Guerra mondiale dai bombardamenti alleati. Il cronista Peter von Dusburg racconta nel secolo XIV che la Madre di Dio appariva spesso nel sonno ai cavalieri provati, ai feriti e ai moribondi, mostrandogli la via da seguire e il Cielo come ricompensa delle loro fatiche. In tempi di necessità, i frati-cavalieri pregavano Ave Maria e Salve Regina extra. Molti reggimenti dell’Ordine avevano la Madonna dipinta sullo stendardo. Pure i sigilli ufficiali recavano immagini di Maria. In ogni documento si invocava la protezione speciale della Madre di Dio.
Rievocazione della battaglia di Tannenberg, o di Grunwald, il 15 luglio 1410, in cui le forze del Regno Lituano-Polacco, guidate dal Re Ladislao II Jagellone e dal Gran Duca Vytautas (nella foto sotto), sconfissero i cavalieri teutonici. Da molti interpretata come una punizione divina, la battaglia segnò l’inizio della decadenza dell’Ordine Teutonico
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Civiltà cristiana
Il Duca Paul von Oldenburg mentre tiene la conferenza sull’Ordine Teutonico durante l’Università estiva delle TFP nel 2006, nel castello di Kleinheubach
gressive manifestazioni di sensualità e di mollezza. Si verifica un lento deperimento della serietà e dell’austerità dei tempi antichi. Tutto tende al gaio, al grazioso, al frivolo. I cuori si distaccano a poco a poco dall’amore al sacrificio, dalla vera devozione alla Croce, e dalle aspirazioni alla santità e alla vita eterna. La Cavalleria, in altri tempi una delle più alte espressioni dell’austerità cristiana, diventa amorosa e sentimentale, la letteratura d'amore invade tutti i paesi, gli eccessi del lusso e la conseguente avidità di guadagni si estendono a tutte le classi sociali”.
Questo insieme di virtù conferiva ai cavalieri teutonici una force de frappe unica. Abbondano le cronache pagane e musulmane che descrivono il terrore che provocavano questi cavalieri quando entravano in battaglia, anche quando erano pochi di numero. I pagani sapevano che non avrebbero indietreggiato.
Decadenza dell’Ordine
Come mai è decaduto l’Ordine Teutonico?
Spiega il prof. Plinio Corrêa de Oliveira in «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione»: “Nel secolo XIV si può cominciare a osservare, nell’Europa cristiana, una trasformazione di mentalità che nel corso del secolo XV diventa sempre più chiara. Il desiderio dei piaceri terreni si va trasformando in bramosia. I divertimenti diventano sempre più frequenti e più sontuosi. Gli uomini se ne curano sempre più. Negli abiti, nei modi, nel linguaggio, nella letteratura e nell’arte, l’anelito crescente a una vita piena dei diletti della fantasia e dei sensi va producendo pro38 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2021
Questo spirito mondano, purtroppo, penetrò anche nell’Ordine Teutonico. Due fazioni cominciarono a prendere corpo: mentre una voleva continuare la propria missione, spingendosi sempre più a Est per conquistare più terre alla Chiesa, l’altra voleva godersi il “paradiso” prussiano, sedotta dalle immense ricchezze che l’Ordine aveva ammassato. Purtroppo, col tempo prevalse questa seconda fazione. Donde tutta una serie di mosse politiche tese a consolidare il proprio potere che necessariamente portarono l’Ordine a scontrarsi col Regno Lituano-Polacco. Mentre i teutonici di buon spirito auspicavano l’unione di prussiani, lituani e polacchi per riprendere in mano la Russia scismatica, la fazione politico-mondana provocò la guerra fra paesi cristiani. Ed ecco il disastro di Tannenberg del 1410, interpretato da molti come una punizione divina che, però, non portò alla conversione. Nel 1525 avvenne poi l’apostasia finale.
Concludo affermando che l’ideale monasticoguerriero non è morto. Oggi la lotta contro la Rivoluzione non si fa con i mezzi bellici di allora. Ma l’ideale è lo stesso. Dobbiamo difendere la Cristianità oggi come i cavalieri gerosolimitani, templari e teutonici la difendevano nel Medioevo. Dio Nostro Signore e la Madonna ci aiuteranno. (Conferenza, leggermente abbreviata, del Duca Paul von Oldenburg all’Università estiva delle TFP a Kleinheubach, Germania, 28 luglio 2006.)
Il mondo delle TFP
P
Attività estive
er le TFP, l’estate è tutt’altro che un periodo di ferie. È l’epoca dei programmi di apostolato giovanile. Quest’anno, ne abbiamo realizzati quattro in Europa:
Un campeggio estivo in Francia, rivolto ai ragazzi più giovani; Un simile campeggio in Irlanda;
Un’Università estiva in Francia, per soli italiani; Un’Università estiva internazionale in Francia.
L’estate è anche periodo di “carovane”, cioè pullmini con 10-12 volontari delle TFP che visitano città e villaggi realizzando campagne pubbliche. Quest’anno ne abbiamo fatte due: Irlanda e Austria.
Davanti alla cattedrale di Reims TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2021 - 39
Il mondo delle TFP
In senso antiorario:
Universi
- La sera, attorno al fuoco, si raccontavano storie di santi e di crociati, per esempio della Reconquista spagnola;
- Conferenza di Julio Loredo per gli italiani sul concetto di Civiltà cristiana in Plinio Corrêa de Oliveira;
- Visita guidata alla cattedrale di Metz, accompagnati da D. Patrick Muller, parroco di Sarraltroff, e dal canonico Guillaume Fenoll, dell’Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote; - Visita guidata alle cantine di champagne Taittinger, a Reims, seguita da un corso di degustazione; - Un circolo di studio all’aria aperta;
- Conferenza di José Antonio Ureta, della TFP francese, sul “trans-umanesimo”, meta ultima del processo rivoluzionario; - Una bella grigliata tedesca!
- Rosario processionale nel parco della Villa;
- Corso di degustazine di vini, fatto da Mathias von Gersdorff, della TFP tedesca.
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tà estive In senso orario:
- Conferenza di Hugo Bos, della TFP olandese, sulle tecniche di azione pubblica; - I ragazzi fanno domande durante una conferenza;
- Visita guidata al centro storico di Metz, prima la parte medievale poi la parte detta “imperiale”, di epoca tedesca; - Competizione di arceria;
- I partecipanti attorno a Don David Meyer, parroco di Creutzwald;
- Visita guidata alla cattedrale di Reims, costruita sul luogo di battesimo di Clodoveo (496), dove erano consacrati i Re di Francia; - Il gruppo italiano al santuario di Bermont, luogo di pellegrinaggio di Santa Giovanna d’Arco; - Nel centro storico di Strasburgo;
- Conferenza di Daniel Martins, della TFP olandese, sulle campagne pubbliche della TFP.
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Il mondo delle TFP
In senso antiorario:
Campeg
- Francia: canto del Piccolo Officio della Madonna, in gregoriano; - Giochi medievali fra le due squadre;
- Santo Rosario processionale nel parco della Villa;
- Stanislaw Sadowski, della TFP polacca, parla della vocazione dei monaci-guerrieri del Medioevo; - Rosario processionale la sera;
- Conferenza di Daniel Martins, della TFP olandese, sul profilo del cattolico dei giorni nostri; - Irlanda: riunione all’area aperta
- Recita del Santo Rosario la sera;
- Attorno al fuoco, Julio Loredo, della TFP italiana, racconta la straordinaria storia del profeta Elia, nel giorno della sua festa, il 20 luglio.
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gi estivi In senso orario:
- Francia: una cena conviviale nel refettorio della Villa Notre Dame de la Clairière; sco;
- Celebrando il 20° cumpleanno di un partecipante tede-
- Via Crucis solenne, leggendo il testo di Plinio Corrêa de Oliveira;
- Alzabandiera solenne al canto del Credo, ogni mattina; - Non mancavano i giochi da salotto;
- Irlanda: guidati da un sacerdote, i ragazzi recitano un Rosario in piazza pubblica a Wexford;
- Visita all’abbazia di Jerpoint, nella contea di Kilkenny; - I ragazzi “conquistano” un castello;
- Gregory Murphy, della TFP irlandese, parla sulla devozione al Santo Rosario nella spiritualità di Plinio Corrêa de Oliveira.
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Carovane in Irlanda e Austria
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Il mondo delle TFP
C
L’angelica milizia
ontinua in Italia la diffusione del libro di Plinio Corrêa de Oliveira «L’angelica milizia. Gli angeli nel panorama attuale della Chiesa e del mondo». Venerdì 21 maggio ha avuto luogo la video-conferenza di presentazione dell’opera. Introdotti da Federico Catani, hanno parlato S.E. Mons. Athanasius Schneider, D. Marcello Stanzione e Julio Loredo.
Il vescovo ausiliare di Astana ha fatto una dotta quanto interessante disanima della dottrina cattolica sugli angeli: “Per la loro stessa natura gli angeli presentano un appello potente alla Chiesa a volgersi all’eternità, al mondo invisibile che ci attende”. Don Marcello Stanzione, noto esperto sugli angeli, ha esordito rivelando che “da venticinque anni che studio gli angeli. Ebbene, questo libro mi ha sconvolto. Plinio Corrêa de Oliveira ha una genialità che viene dallo Spirito Santo”.
Ha concluso l’evento Julio Loredo, direttore della TFP italiana e curatore del volume, offrendo una visione d’insieme dell’opera.
È toccato invece a Bergamo l’onore di ospitare la prima presentazione in presenza del libro. In un incontro organizzato dalla TFP insieme al Comitato Summorum Pontificum di Bergamo nell’Aula Magna Luigi Ciocca, ha introdotto i lavori Giuseppe Beretta, direttore del suddetto Comitato, prima di lasciare la parola a Julio Loredo.
Sopra, la conferenza a Bergamo. Introduce Giuseppe Beretta
Sotto, la locandina della video-conferenza con S.E. Mons. Athanasius Schneider, Don Marcello Stanzione e Julio Loredo I due video sono disponibili su Youtube
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Il mondo delle TFP
Cuba libera ora!
A
inizio luglio, Cuba è stata scossa da un’ondata di manifestazioni popolari per contestare l’allucinante miseria in cui è stata ridotta l’isola, una volta chiamata “Perla delle Antille”. Questa miseria ha una causa diretta ed evidente: il sistema comunista. La protesta ha avuto eco immediata tra la comunità di esuli cubani residenti negli Stati Uniti.
Mentre il governo comunista cubano reprimeva brutalmente le proteste, la TFP Americana si univa a coloro che rifiutano il marxismo e chiedono la fine della dittatura comunista nell’isola. “È giunto il momento di unirsi al popolo cubano abbandonato, che ha sofferto questa oppressione per sessantadue
anni”, ha dichiarato Raymond Drake, presidente della TFP nordamericana, “Migliaia di persone sono state arrestate, molte sono morte e centinaia sono sparite. Il governo censura la comunicazione con il mondo esterno e blocca persino Internet”.
In campagne di strada, specialmente nello stato della Florida, la TFP americana ha raccolto più di settantamila firme chiedendo al presidente Joe Biden di porre fine al fallito sistema comunista a Cuba (testo sotto). Il presidente è stato costretto ad ammettere che “il comunismo è un sistema universalmente fallito. E non vedo il socialismo come un sostituto molto utile”. Finora, però, nessuna misura concreta...
Lettera aperta al Presidente Joseph Biden
Signor Presidente,
Le chiediamo di porre fine al fallito sistema comunista in Cuba. Il comunismo è un male e un peccato grave contro Dio. È un crimine contro l’umanità. Eliminiamo il comunismo una volta per tutte! Per favore, prenda l’iniziativa di denunciare questo rimanente sovietico che continua ad opprimere il popolo cubano. Le chiediamo di ascoltare le grida dei manifestanti cubani, molti dei quali sono giovani. Non vogliono il comunismo ma la libertà che non hanno mai conosciuto.
Le chiediamo di prendere tutte le misure necessarie per realizzare questo cambio di regime e l’immediata normalizzazione della vita del popolo cubano. Non permetta ai comunisti di soffocare ancora una volta i legittimi desideri del popolo cubano.
Liberi Cuba dal comunismo, e il popolo cubano mostrerà sempre la sua gratitudine a Lei e alla nazione americana! Che Dio benedica l’America!
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La TFP Americana davanti all’ambasciata di Cuba a Washington
L
di William Gossett
a Società americana per la difesa della Tradizione, Famiglia e Proprietà (TFP) ha tenuto una conferenza stampa pubblica davanti all’ambasciata di Cuba a Washington D.C.. L’atto a sostegno delle recenti proteste anticomuniste nell’isola-prigione ha preceduto la consegna al presidente Joe Biden di una petizione con 71.128 firme, per chiedergli di prendere misure forti per liberare Cuba dalla tirannia comunista.
Diversi oratori, compresi alcuni cubano-americani, hanno denunciato con la massima fermezza il regime comunista. Il direttore della TFP americana Preston Noel, organizzatore dell’evento, ha introdotto i relatori. Egli ha ribadito l’assoluta necessità che l’amministrazione Biden dia un “messaggio coerente e forte” di fronte all’aggressione della tirannia comunista. Poi, a nome della TFP americana, ha parlato il suo vicepresidente John Horvat. “Veniamo qui oggi davanti all’ambasciata di Cuba per far sentire la nostra voce e quella di 71.128 firmatari. (…) Per comprendere la minaccia di Cuba dobbiamo andare oltre gli aspetti politici e vederla nel contesto delle profezie della Madonna di Fatima del 1917. Solo allora assume il suo vero significato”, ha affermato Horvat. Egli ha definito Cuba “uno strumento per diffondere gli errori della Russia in tutto il mondo”.
Sergio de Paz ha parlato a nome del gruppo di esiliati cubani con sede a Miami Cubanos Desterrados. Il dinamico cubano non ha usato mezzi termini contro il “regime comunista satanico”. Dopo di lui ha parlato il noto attivista cubano-americano Rafael García, ricordando le centinaia di persone scomparse dopo le proteste anticomuniste dell’11 luglio. Ha letto molti dei loro nomi e ha chiesto responsabilità al governo cubano: “La nostra gente sta morendo di fame perché la nostra terra non produce. Il comunismo fallisce ovunque”. Dopo la conferenza stampa, coperta da numerosi giornalisti di Washington D.C., è seguito un Rosario pubblico alla presenza di una statua pellegrina della Madonna di Fatima portata a spalla da membri della TFP.
La TFP americana ha una lunga storia di denuncia del regime castrista e della sua brutale persecuzione alla Chiesa, attraverso libri, pubblicazioni, campagne di piazza e altre azioni. In concreto, la TFP ha evidenziato lo scandaloso sostegno della sinistra cattolica al regime castrista. La TFP ritiene che la debolezza dell’Occidente, e concretamente degli Stati Uniti, sia responsabile per la permanenza al potere del governo comunista.
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Rosa rosarum
I
di Plinio Corrêa de Oliveira
mmaginiamo che qualcuno offrisse un fiore alla Madonna, naturalmente una rosa. Ella è la Rosa Mistica, Ella è la Rosa di Gerico. Non si può comprendere, o si comprende meno, che Le si offra un altro fiore.
Inginocchiato, egli offre alla Madonna la più bella rosa che mai vi fu, che vi sia stata e che vi sarà. La Madonna contempla la rosa e sulle Sue labbra affiora un sorriso incantevole. Qualcosa che giace nel profondo del Suo spirito trova in quella rosa un’espressione. Ed Ella sorride...
Ma quanto è più bello il Suo sorriso della rosa! E quanto, di conseguenza, ciò che esiste nel Suo spirito vale molto di più di ciò che La fece sorridere!
Se Ella accondiscendesse nel offrirci un regalo, noi Le chiederemmo quella rosa. E quando la rosa sarà appassita noi la conserveremo con cura, con sotto una scritta: “La rosa davanti alla quale il sorriso sorrise”. Perché ciò che vi era nel Suo profondo valeva molto di più della rosa. Noi potremmo dire, rivolgendoci a Lei: Rosa rosarum, ora pro nobis! Rosa delle rose, perfezione di rosa, trascendenza di rosa! Rosa nel cui confronto la più bella rosa dell’universo non è che una vaga immagine! Rosa che fiorisce nel profondo dell’anima di Colei che è una Rosa. Rosa dell’anima, tanto più bella della rosa materiale!
(Brani di una riunione per soci e cooperatori della TFP, San Paolo, Brasile, 10 ottobre 1979. Senza revisione dell’Autore.)