Anno 14, n. 2 - Giugno 2008 Sped. in Abb. Post. Art. 2, Comma 20/C, Legge 662/96 Filiale di Padova
maggio 1968: la bandiera nera sventola su Parigi
U
Due anniversari nefasti
na ragazza, una bandiera, un simbolo...
Lo stendardo nero dell’anarchia sventola su Parigi. Siamo nel maggio 1968 ed è scoppiata la rivoluzione della Sorbonne, auge e epitome d’una insurrezione giovanile che ormai infuriava in quasi tutto il mondo. Non era un’insurrezione qualunque. I suoi alfieri parlavano d’una “rivoluzione totale” per provocare “la disintegrazione del sistema”. Si proclamava la “morte della civiltà”. Ci sono certe date che segnano la storia. Tali furono il 1789 della Rivoluzione francese e il 1917 della Rivoluzione russa. Tale fu anche il 1968. Secondo Time “il ‘68 fu un rasoio che separò il passato dal futuro”. Vero, ma solo nel senso che il ‘68 fu l’anno cruciale ed emblematico di un gigantesco processo rivoluzionario, le cui prime avvisaglie risalivano a molti anni prima e il cui compimento si ebbe solo qualche tempo dopo, nella forma d’una generale trasformazione nei comportamenti delle genti, nel loro abbigliamento, nella vita quotidiana, nell’educazione, nella cultura. Apparentemente sconfitta, la rivoluzione del ‘68 fu invece la più vittoriosa della storia.
Vittoriosa perché subdola. Vittoriosa perché, a differenza di altre rivoluzioni, si diffuse in forma quasi esclusivamente culturale e tendenziale. Vittoriosa perché la società moderna non seppe, o non volle, contrastarla nel suo spirito, lasciando che si diffondesse come macchia d’olio. Oggi l’abbigliamento che allora era pegno di rivoluzione è diventato usuale perfino in ambienti sedicenti conservatori, e la musica che allora scandalizzava viene suonata perfino in chiesa... Si suole dire, con perfetta ragione, che la crisi odierna è frutto della tremenda scristianizzazione che ha colpito l’Occidente, facendogli perdere il senso religioso della
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vita. Nel ricordare il 40° anniversario della Sorbonne, non possiamo non rilevare come oggi ci siano segni d’una forte ripresa spirituale, specie fra i giovani. Una ripresa che, però, non ha ancora trovato espressioni tendenziali che gli permettano di porsi come alternativa culturale al ‘68. Sicché ci troviamo nella situazione alquanto paradossale d’una reazione antisessantottina che, però, troppo spesso si manifesta con modi prettamente sessantottini...
Ma ricordiamo pure un altro nefasto anniversario.
Il 21 gennaio 1977, per 310 voti a favore e 296 contro, passava in prima votazione a Montecitorio la legge 194 sull’aborto, promulgata poi il 22 maggio 1978. Evitando ad ogni costo un dibattito nazionale, il partito che allora guidava la maggioranza si assunse non solo la responsabilità dell’esito della votazione ma addirittura, nel dicembre del ‘79, la difesa della legge di fronte alla Corte Costituzionale. Il risultato è stato un fiume di sangue innocente che, purtroppo, continua a scorrere...
Trent’anni dopo, frutto di profondi cambiamenti nell’opinione pubblica, sembra che stia sorgendo una rinnovata consapevolezza del carattere fondamentalmente iniquo di questa legge e, quindi, dell’urgenza di procurarne l’abrogazione o almeno, come un primo passo, l’attenuazione.
Tutto dipende da noi. Abbiamo bisogno di scuotere l’immobilismo accomodaticcio che troppo spesso paralizza i cattolici. Nell’ora presente serve quella “fede coraggiosa e militante” della quale parlava Pio XII ai giovani dell’Azione Cattolica: “Sia la vostra una fede che non si chiude nella torre d’avorio. (...) Abbiate una fede coraggiosa e militante, come di chi confida in Cristo vincitore del mondo”.
Sommario Anno 14, n. 2 - giugno 2008
Due anniversari nefasti Berkeley, 1964: l’inizio di tutto 1968: Un rasoio che separò il passato dal futuro La Rivoluzione nelle tendenze Le tre profondità della Rivoluzione Vi sono stati portati dalla sacrosanta ed incontenibile evoluzione Il ‘68 cattolico Qualche pietra miliare del ‘68 cattolico Teologia postmoderna Una Chiesa postmoderna A trent’anni della 194: il dovere di coscienza di fronte alla vita USA: cacciando lo spettro del Vietnam A proposito di Plinio Corrêa de Oliveira Colombia: contro la guerriglia Università estiva delle TFP Il mondo delle TFP
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Copertina: Lo stendardo nero dell’anarchia sventola durante la rivolta della Sorbonne, nel maggio 1968.
Tradizione Famiglia Proprietà Anno 14, n. 2 giugno 2008 Dir. Resp. Annamaria Scavo.
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L’eredità del ‘68
Berkeley 1964: l’inizio di tutto
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al 1955 gli Stati Uniti erano agitati dal Civil Rights Movement, un movimento popolare che chiedeva diritti civili per le persone di colore come primo passo verso una democrazia più libera ed ugualitaria. Oltre ai democratici e riformisti di vario genere, il movimento era fiancheggiato anche da diversi settori della sinistra, compreso il Partito Comunista. Non pochi cattolici, inquinati da versioni di quel “cattolicesimo politico” covato dalle nuove correnti teologiche, vi partecipavano con ardore.
Un tale cattolico progressista era l’italo-americano Mario Savio, studente nell’Università di California a Berkeley. Nel settembre 1964, tornando da un giro di proteste nel Mississippi, egli si mise alla testa d’una rivolta studentesca che si sparse poi per altri campus, sotto l’egida del Free Speech Movement. La rivolta galvanizzò un ambiente già surriscaldato dalla controcultura beat e hippie, innescando la serie di rivoluzioni giovanili che segneranno tutto il decennio, raggiungendo l’auge nel maggio ‘68 parigino. In senso orario:
1 ottobre 1964, iniziano le agitazioni a Berkeley
20 novembre, la cantante socialista Joan Baez anima la protesta 2 dicembre, l’Università viene occupata Mario Savio mentre tiene un discorso agli studenti
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1968: “Un rasoio che separò il passato dal futuro”
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econdo Time, “il 1968 fu un rasoio che separò il passato dal futuro”. Più che rasoio, però, il 1968 fu una pietra miliare, cioè un anno cruciale ed emblematico, di quel gigantesco e multiforme processo rivoluzionario che aveva già avuto il 1789 e il 1917.
Prime avvisaglie
Già nel 1959, nel saggio Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, il prof. Plinio Corrêa de Oliveira scorgeva in queste tendenze le prime avvisaglie d’una nuova onda rivoluzionaria, che più tardi egli avrebbe chiamato la 4ª Rivoluzione, sulla scia di quel processo storico iniziatosi col Protestantesimo, e continuatosi con la Rivoluzione francese e col Comunismo.
Qualcosa covava già da “Così come lo abbiamo tempo. Dagli Stati Uniti, e poi dall’Inghilterra, arrivavano nuovi descritto — diceva il pensatore ritmi musicali — boogie-woogie, cattolico — il processo rivoluzioblues, rock’n roll — nonché nario nelle anime ha prodotto nuovi tipi umani — teddy boys, nelle ultime generazioni, e spehipsters, beatniks — espressioni cialmente negli adolescenti d’ogd’una intera generazione che non gi, che si lasciano ipnotizzare dal si riconosceva più nei padroni ‘rock and roll’, un modo di essetradizionali e bramava per cam- re dello spirito caratterizzato biamenti di fondo. Era come dalla spontaneità delle reazioni un’onda di urto, immensa ma primarie, senza il controllo delancora sorda, che saliva dagli l’intelligenza né la partecipazioabissi. Disdegnata da molti come Già negli anni 1950 si comincia a una pazzia passeggera di ragazzi sballati, che sarebbe subito rien- manifestare nelle nuove generazioni una voglia di trasgressione, che fa trata in riga, per gli osservatori presagire un’esplosione epocale più avveduti, invece, quest’onda indicava che qualcosa di epocale A dx, un teddy boy stava per esplodere. inglese nel 1957
ne effettiva della volontà; dal predominio della fantasia e delle ‘esperienze’ sulla analisi metodica della realtà. Tutto ciò, in larga misura, è frutto di una pedagogia che riduce quasi a nulla la parte della logica e della vera formazione della volontà” (1).
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L’eredità del ‘68
Contestazione generale
Manifestazione all’Università Complutense di Madrid, 1 maggio 1968
Come in un’atmosfera satura di gas infiammabile, bastava una scintilla per far scoppiare tutto. Questa scintilla fu la rivolta nell’Università di Berkeley, in California, nell’autunno 1964. Da qui la ribellione giovanile cominciò a incendiare il mondo.
Poi venne il 1968, iniziato proprio male. A gennaio c’era stata l’offensiva del Tet che, nonostante si fosse saldata con una vittoria americana, segnò l’inizio del crollo in Vietnam, suscitando ondate di proteste in tutto il
mondo. Il 4 aprile veniva ucciso a Memphis Martin Luther King, il leader nero del Movimento per i diritti civili. La tensione razziale saliva alle stelle, costringendo la Guardia Nazionale a pattugliare le strade. Nell’auge del conflitto, più di duemila città americane erano nel caos. Il 5 giugno cadeva as-sassinato l’idolo della sinistra democratica Bob Kennedy. Ad agosto i carri armati sovietici stroncavano nel sangue la “Primavera di Praga”, mandando onde di urto in tutta l’Europa orientale.
Poco prima del “massacro di Tlatelolco”, dove furono uccisi 40 studenti dell’Università Autonoma del Messico, 2 ottobre 1968
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Sulla scia di quanto era successo a Berkeley, l’ambiente studentesco era in tumulto. Ovunque risuonava la canzone dei Thunderclap Newman: “Call out the instigator, because there’s something in the air. Hand out the arms and ammo, because the revolution’s here — Chiamate l’agitatore, perché c’è qualcosa nell’aria. Distribuite le armi e munizioni, perché la rivoluzione è qui”. C’era, infatti, “qualcosa nell’aria”. Dall’Università Cattolica di Milano agitata da Mario Capanna all’Università di Berlino “incendiata” da Rudy “il Rosso” Dutschke, dall’Università Autonoma del Messico, dove decine di ragazzi vengono uccisi dalla polizia, alle università di Madrid, Barcellona e Siviglia, militarizzate per ordine di Franco, la protesta dilaga in tutto il mondo e si fa sempre più aggressiva, fino a sfociare in quello che sarà il ‘68 per antonomasia: la rivoluzione della Sorbonne, a Parigi.
La protesta non risparmia nemmeno il mondo comunista, dove intellettuali ungheresi contestano “il sistema di censura” del Partito mentre studenti polacchi si scontrano con la polizia a Varsavia e a Belgrado erompe la contestazione universitaria. Ad aprile, una riunione straordinaria del Comitato centrale del Partito Comunista sovietico parla di “crisi dei Paesi dell’Est”.
Queste agitazioni giovanili si intrecciavano poi con sommosse operaie che infuriavano in diversi Paesi, portando la tensione sociale a un livello tale che un giornalista scrisse che c’era in atto una “contestazione generale”. Generale non solo nel senso che interessava quasi tutto il mondo, ma anche e soprattutto
perché andava a toccare ogni campo della società e della cultura.
Un’idea descrive e compendia il ‘68: libertà illimitata. Alla base di tutto c’era una fortissima voglia di liberarsi da ogni forma di autorità e di legittima gerarchia, una spinta anarchica nel senso proprio e radicale del termine. Per la prima volta nella storia si proponeva una lotta della sensibilità libertaria di tutta una generazione contro il sistema di valori dominante. Nelle barricate del ‘68 si inneggiava alla rivoluzione culturale di Mao Tse Tung, si annunciava la morte dello Stato e della società organizzata, si prospettava la fine della Ragione, e con essa il tramonto della civiltà, si proclamava la nascita d’una nuova era storica nella quale gli istinti sarebbero stati finalmente “liberi” dopo duemila anni di repressione. Si contestava dunque la famiglia e anche il tradizionale ruolo dei sessi. Niente restava in piedi.
Nessuno slogan riassume meglio questa spinta anarchica del celebre “proibito proibire”, scritto in rosso su un muro della Facoltà di lettere di Nanterre.
Rivoluzione culturale
Pare sia stato lo storico Ferdinand Braudel a designare per primo questa contestazione generale una “Rivoluzione culturale”. L’espressione è giusta. Quello che soffiava nel mondo non era un vento qualsiasi. Come spiega un sito dedicato al ‘68: “Un vento di filosofica follia si trasmette dalla costa californiana al mondo: sono i valori borghesi del secolo, l’abbigliamento, la musica, la cultura tradizionale, a venire lacerati, dissacrati e travolti in un’ondata provoca-
Il ‘68 per antonomasia: la rivoluzione della Sorbonne
toria, ubriacante e irritante di giovinezza” (2). I suoi alfieri parlavano di “rivoluzione totale”. “L’idea tradizionale di rivoluzione è tramontata — proclamava Herbert Marcuse, filosofo del ‘68 — adesso dobbiamo intraprendere una sorta di diffusa e totale disintegrazione del sistema”. Il ‘68 insorge contro qualsiasi norma, contestando in modo radicale e simultaneo ogni forma
di autorità e di coazione morale o legale, sia nell’ambito individuale che in quello sociale. Sebbene sia chiaramente una continuazione e una radicalizzazione delle rivoluzioni precedenti, vale a dire la francese del 1789 e la comunista del 1917, essa possiede tuttavia delle caratteristiche che la distinguono: — Non insorge in nome della classe operaia né si produce
“L’idea tradizionale di rivoluzione è tramontata, adesso dobbiamo intraprendere una sorta di diffusa e totale disintegrazione del sistema”. Herbert Marcuse, filosofo del ‘68
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L’eredità del ‘68
Gli slogan del ‘68
Lo spirito del ‘68 francese si coglie soprattutto negli slogan scritti sui muri delle diverse Facoltà. Eccone un campione: Vietato vietare.
Gioisci senza freni.
Le barricate chiudono la strada ma aprono la via.
La poesia è sulle piazze.
La noia è controrivoluzionaria. Il sogno è la realtà.
L’immaginazione al potere. Non lavorate più.
Prendi i tuoi desideri per la realtà.
Sotto il selciato, la spiaggia.
Siamo realisti, chiediamo l’impossibile. Leggi meno, vivi più. Né Dio né padrone.
La rivoluzione è incredibile perché è vera.
La cultura distrugge la vita.
L’alcool uccide, prendi LSD.
Niente rimpasto, la struttura è marcia. Chi fa la rivoluzione a metà si scava la tomba.
Come pensare liberamente all’ombra d’una cappella?
“Il frutto più visibile del 1968 si osserva nei comportamenti delle genti, nel loro abbigliamento, nella vita quotidiana, nell’educazione. Abbiamo vinto sul piano culturale!”
Daniel “il Rosso” Cohn-Bendit, leader del ‘68 francese, in una foto recente
negli schemi della sinistra tradizionale. Gli analisti parlano di “movimenti di massa”, formati da gruppi socialmente disomogenei: studenti, operai, gruppi etnici, femministe e via dicendo.
— Prospetta niente di meno che una totale e radicale trasformazione della società in ogni suo aspetto e perfino del tipo umano finora vigente. “La rivoluzione culturale — scrive Pierre Fougeyrollas — significa una rivoluzione nella maniera di sentire, agire e pensare, una rivoluzione nelle maniere di vivere, insomma una rivoluzione della civiltà”.
— Sposta il fulcro della rivoluzione dall’ambito esterno, socio-politico, all’ambito interno, psicologico e morale. Dopo aver cancellato le gerarchie in campo ecclesiastico (protestantesimo), sociopolitico (rivoluzione francese) ed economico (comunismo), la Rivoluzione deve cancellare anche quella in interiore homini, in virtù della quale la Fede illumina la ragione e questa guida la volontà, che a sua volta domina la sensibilità.
Rivoluzione nelle tendenze
Ma forse il mutamento più interessante sta nel modo di fare la rivoluzione. Per la prima volta nella storia, la spinta rivoluzionaria viene propagata non tanto
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ideologicamente quanto per via tendenziale, cioè attraverso la musica, la moda, la cultura, i colori, l’arte. La contestazione degli anni ‘60 viaggia sull’onda dello ‘hippismo’, del rock’n roll, delle droghe allucinogene, dell’abbigliamento sgangherato e dei cappelli lunghi. Il rock’n roll fece più per il ‘68 che tutti i libri di Marcuse. D’altronde, il ‘68 fu unico anche perché non ebbe praticamente nessun contraddittorio. Mentre il Protestantesimo aveva suscitato la Contro-Riforma, la Rivoluzione francese la ControRivoluzione e il comunismo l’anticomunismo, il ‘68 non suscitò praticamente nessuna reazione di fondo. Non ci fu una musica che contrastasse il rock’n roll, né un tipo umano che sbancasse l’hippie. E questo ci porta ad una domanda finale.
Sconfitta o vittoria?
Il ‘68 è stato vittorioso? No, sul piano immediato. Sì — eccome! — in profondità e sul lungo termine.
In Francia, la rivolta della Sorbonne durò poco. Gli eccessi delle barricate suscitarono sdegno e indignazione nella società benpensante. Il 30 maggio sei-
centomila francesi marciarono a Parigi contro il caos rivoluzionario e in appoggio al presidente De Gaulle, che non ebbe difficoltà a vincere per larga maggioranza (60,16%) le elezioni legislative del 23 giugno.
Anche nel resto del mondo l’ardore rivoluzionario andò scemando, sostituito da uno spirito sempre più conformista. Una ad una le università furono evacuate, le strade ripulite, l’ordine ristabilito e la vita riprese come prima. La guerra del Vietnam finì nel 1974, e lo stesso movimento hippie perse il suo fascino. Negli Stati Uniti l’opinione pubblica andò placandosi salvo poi reagire vigorosamente in senso opposto, dando vita al “conservative revival” che portò Ronald Reagan al potere nel 1980. Uno degli slogan dei conservatori era proprio “the sixties are over! — gli anni ‘60 sono finiti!”. Con sfumature, questo fenomeno si ripeté in altri Paesi. Mentre in politica trionfava il conservadorismo liberista e i Partiti comunisti si tramutavano in “democratici”, le nuove generazioni ripudiavano decisamente lo spirito contestatario per abbracciare un consumismo sfrenato che fa orrore ai genitori sessantottini.
Le diverse reazioni contro il ‘68 deploravano i suoi eccessi anarchici, ma non toccavano le sue radici. Come macchia d’olio, la mentalità, il modo d’essere, l’abbigliamento, la musica, il tipo umano del ‘68 cominciarono ad imporsi in Occidente fino a diventare dominanti. Oggi, l’abbigliamento che allora era pegno di rivoluzione è diventato usuale perfino in ambienti conservatori, e la musica che allora scandalizzava viene suonata perfino in chiesa.
Nel 1986, il leader della Sorbonne Daniel Cohen Bendit dichiarava: “Il frutto più visibile del 1968 si osserva nei comportamenti delle genti, nel loro abbi-
gliamento, nella vita quotidiana, nell’educazione, nel femminismo, nella cultura” (3). E ancora qualche mese fa, egli si vantava ai giornalisti: “Abbiamo vinto sul piano culturale!”
Senza barricate né frastuono, i “moderati” di oggi sono arrivati laddove puntavano gli estremisti del ‘68. E la società nel suo complesso è diventata alquanto “sessantottina”. Che immensa trasformazione! Note______________________________
1. Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, Roma, Luci sull’Est, p.71. 2. www.cronologia/leonardo.it 3. New York Times, 1-9-1986.
Per un osservatore superficiale, la rivoluzione del ‘68 sarebbe quindi morta e seppellita. In profondità, però, è ben il contrario: il ‘68 è stata la rivoluzione più vittoriosa della storia.
Come macchia d’olio, la mentalità, il modo d’essere, l’abbigliamento, la musica, il tipo umano del ‘68 cominciarono ad imporsi in Occidente fino a diventare dominanti. Oggi, la musica che nel ‘68 era pegno di rivoluzione viene suonata perfino in chiesa
A dx, concerto rock durante il Congresso Eucaristico Nazionale di Bologna, nel 1997
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L’eredità del ‘68
L a R i v ol u zi o n e n elle ten d en ze
C
ommentando i capi d’abbigliamento presentati nelle sfilate di moda a Milano qualche mese fa, i giornalisti si servivano volentieri di aggettivi quali “romantico”, “aggressivo”, “sensuale”, “misterioso”. Ma, come è possibile applicare a dei pezzi di stoffa valutazioni che appartengono chiaramente alle categorie dello spirito?
La risposta è semplice: non si riferivano ai vestiti, incapaci per natura di possedere caratteristiche morali, ma alle reazioni che suscitavano negli spettatori. Mentre alcuni vestiti ispiravano sogni romantici, altri provocavano aggressività o lasciavano alleggiare un’aria di mistero. Esercitavano, cioè, un’influenza
sullo stato d’animo degli spettatori per mezzo delle percezioni sensoriali.
Il ruolo degli ambienti
Questo che si dà con i vestiti, si dà anche con altre realtà materiali con le quali l’uomo viene a contatto: suoni, forme, colori, sapori, odori. Dio ha stabilito misteriose e profonde relazioni tra queste realtà materiali e certi stati d’animo dell’uomo. Ecco perché, per esempio, possiamo parlare di un profumo “ingenuo” piuttosto che “sensuale”, “maschile” piuttosto che “femminile”, “tradizionale” piuttosto che “trasgressivo”. Ma è vero anche l’inverso: se da una parte l’uomo subisce
Dio ha stabilito misteriose e profonde relazioni tra le realtà materiali e certi stati d’animo dell’uomo. Ecco perché, per esempio, possiamo parlare di un profumo “ingenuo” piuttosto che “sensuale”, “maschile” piuttosto che “femminile”, “tradizionale” piuttosto che “trasgressivo”
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Nel gusto eccessivo della regina Maria Antonietta per la sua fattoria, l’Hameau (a sin.), dove riparava per sfuggire al protocollo della Corte, si poteva scorgere la profonda sazietà delle nuove generazioni per i fasti dell’Ancien Régime (a dx., pranzo a Versailles, tratto dal film di Sofia Coppola). E, come sappiamo, la noia è l’anticamera del rifiuto. Nel 1789, la nobiltà francese sarà travolta dalle conseguenze di tendenze che, imprudentemente, aveva incentivato. Sotto, Maria Antonietta verso la ghigliottina (sbozzo di Jacques-Louis David)
l’influenza delle realtà materiali che lo circondano, d’altra parte egli tende a modellarle secondo il suo spirito. Mettiamo a confronto, per esempio, l’abbigliamento dell’Ancien Régime, riflesso d’una mentalità che in tutto cercava la raffinatezza, con le mode apparse negli anni 1960 come manifestazione dello spirito hippie. Al primo corrispondeva il minuetto come musica e il salotto come ambiente, mentre alle seconde si addice il rock’n roll e la discoteca.
Si stabilisce così un circuito per il quale l’uomo modella le realtà che lo circondano ed esse, a loro volta, esercitano su di lui una profonda influenza. E tutto questo, sottolineiamo, ancor prima che l’intervento dell’intelletto abbia dato un contenuto ideologico a questi fenomeni. “Gli uomini — spiega Plinio Corrêa de Oliveira — si formano ambienti a loro immagine e somi-
glianza, in cui i loro costumi e civiltà si espandono. Ma è anche vero, in larga misura, l’inverso: gli ambienti formano a loro immagine e somiglianza gli uomini, i costumi, le civiltà”.
In questo modo, è possibile influire sull’uomo non solo attraverso un’argomentazione dottrinale, indirizzata cioè all’intelletto. Anche attraverso la manipolazione degli ambienti e di altre realtà materiali si possono influenzare a fondo le mentalità, e indurre persone, famiglie e popoli a formarsi una certa condizione spirituale. Si tratta di un’azione tendenziale.
storia moderna. Esiste al riguardo una folta e autorevole bibliografia controrivoluzionaria. Poco o niente, invece, si è detto su questo aspetto previo e più (a pag. 15 )
Le tre profondità della Rivoluzione
Molto si è scritto sulle dottrine e sui fatti delle grandi rivoluzioni che hanno costellato la
TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2008 - 11
Sei secoli di Rivoluz
Serenità, equilibrio, profondità. In lui la fede illumina la ragione, che governa la sensibilità. È il tipo umano del cavaliere medievale, serio, sacrale, dedicato corpo ed anima all’ideale della cristianità.
I sensi sono appagati, ma la nota dominante è quella spirituale: serenità, armonia, impulso verso l’alto. In una parola: sacralità. Il gotico sembra dire: “Guardami, e attraverso di me contempla l’assoluto!”. (La Sainte Chapelle, Parigi) 12 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2008
Con la decadenza del medioevo, tutto tende al gaio, al grazioso, al frivolo. Deperisce l’austerità dei tempi antichi. Si cerca lo sfarzo, ma non v’è più l’amore al sacrificio. (Il Re Luigi XIV vestito da musicante a Versailles)
I sensi sono stuzzicati fino al parossismo. Qualcosa dell’austero equilibrio del gotico si è rotto. Si tratta di uno stile senz’altro bello e ancora serio. Ma d’una belleza mondana. Il barocco sembra dire: “Guardami! Sono io l’assoluto!”. (La Gallerie des glaces, a Versailles)
ione nelle tendenze Ogni sfarzo è sparito. È rimasta la correttezza, senz’altro sobria e ancora elegante, ma laica e pragmatica, del tipo umano della Rivoluzione industriale. (Giovani agricoltori tedeschi del 1898)
La tendenza al bello è stata sostituita dalla preoccupazione per una confortevole funzionalità. Il corpo, non l’anima, è il padrone. Lo stile utilitario sembra dire: “Non perdere tempo nel guardarmi, usami!”. (La Grand Central Station di New York)
Un tipo umano caratterizzato dalla spontaneità delle reazioni primarie, senza il controllo de l’intelligenza né partecipazione della volontà, del predominio della fantasia sull’analisi metodica della realtà. Ecco l’“hippie” anni 1960.
Ogni preoccupazione di bellezza, di armonia e perfino di confort, è sparita. Niente ricorda il benché minimo valore dello spirito. Un collettore di acque non sarebbe molto diverso. (La stazione ferroviaria di Avignone, Francia) TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2008 - 13
Le tre profondità della Rivoluzione: nelle tendenze, nelle idee, nei fatti
La Rivoluzione nelle tendenze
Come abbiamo visto, la Rivoluzione è un processo fatto di tappe, e ha la sua origine prima in determinate tendenze disordinate che ne costituiscono l’anima e la forza di propulsione più intima (vedi parte I, cap. VII, 3).
Così, possiamo anche distinguere nella Rivoluzione tre profondità, che cronologicamente fino a un certo punto si compenetrano. La prima, cioè la più profonda, consiste in una crisi delle tendenze. Queste tendenze disordinate, che per loro propria natura lottano per realizzarsi, non conformandosi più a tutto un ordine di cose che è ad esse contrario, cominciano a modificare le mentalità, i modi di essere, le espressioni artistiche e i costumi, senza incidere subito in modo diretto — almeno abitualmente — sulle idee.
La Rivoluzione nelle idee
Da questi strati profondi, la crisi passa al terreno ideologico. Infatti, come ha posto in evidenza Paul Bourget nella sua celebre opera Le démon du midi, “bisogna vivere come si pensa, se no, prima o poi, si finisce col pensare come si è vissuto”. Così, ispirate dalla sregolatezza delle tendenze profonde, spuntano dottrine nuove. Esse cercano talora, all’inizio, un modus vivendi con quelle antiche, e si esprimono in modo da mantenere con queste una parvenza di armonia, che normalmente non tarda a sfociare in lotta dichiarata.
La Rivoluzione nei fatti
Questa trasformazione delle idee si estende, a sua volta, al terreno dei fatti, da cui passa a operare, con mezzi cruenti o incruenti, la trasformazione delle istituzioni, delle leggi e dei costumi, tanto nelle sfera religiosa quanto nella società temporale. È una terza crisi, ormai completamente nell’ordine dei fatti.
Le profondità della Rivoluzione non si identificano con tappe cronologiche
Queste profondità sono, in qualche modo, scaglionate. Ma una analisi attenta mette in evidenza che le operazioni compiute in esse dalla Rivoluzione si compenetrano a tale punto nel tempo, che queste diverse profondità non possono essere viste come altrettante unità cronologicamente distinte.
Chiarezza delle tre profondità della Rivoluzione
Queste tre profondità non si differenziano sempre nitidamente le une dalle altre. Il grado di chiarezza varia molto da un caso concreto all’altro.
Il processo rivoluzionario non è incoercibile
Il cammino di un popolo attraverso queste diverse profondità non è incoercibile, al punto che, fatto il primo passo, debba giungere necessariamente fino all’ultimo, e scivoli alla profondità seguente. Al contrario, il libero arbitrio umano, coadiuvato dalla grazia, può vincere qualsiasi crisi, e così può arrestare e vincere la Rivoluzione stessa. (Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, Luci sull’Est, Roma, 1998, pp. 45-47.)
L’eredità del ‘68 Un grande contributo dottrinale del prof. Plinio Corrêa de Oliveira è stato l’analisi della dimensione tendenziale del processo rivoluzionario (
dalla pag. 11)
profondo: la componente tendenziale, cioè quella che si manifesta attraverso vestiti, musiche, ambienti, stili artistici e via dicendo.
Ecco un significativo contributo del prof. Plinio Corrêa de Oliveira. Nel processo rivoluzionario egli distingue tre profondità: nelle tendenze, nelle idee e nei fatti (pagina a fianco).
Ogni rivoluzione possiede queste tre profondità. La Rivoluzione francese, per esempio, è chiaramente frutto delle dottrine illuministiche e liberali del secolo XVIII che poi hanno prodotto i fatti del 1789. Ma queste dottrine sono sorte in un ambiente già agitato da profonde trasformazioni nel campo delle tendenze. Per esempio, nel gusto eccessivo della regina Maria Antonietta per la sua fattoria, l’Hameau, dove riparava per sfuggire al protocollo della Corte, si poteva scorgere la profonda sazietà delle nuove generazioni per i fasti dell’Ancien Régime. E, come sappiamo, la noia è l’anticamera del rifiuto.
“Bisogna vivere come si pensa, se no, prima o poi, si finisce col pensare come si è vissuto”, diceva Paul Bourget.
A sua volta, la Rivoluzione francese diede origine a tutt’una serie di manifestazioni tendenziali che hanno contribuito possentemente alla sua propagazione. Basti pensare che ebbe come simbolo una musica, la Marseillaise, che da sola ha probabilmente entusiasmato più persone per la causa rivoluzionaria che
non i libri di Rousseau o di Montesquieu.
Fino a metà del secolo XX, il fattore ideologico rimaneva comunque di vitale importanza, visto trattarsi d’una umanità che ancora privilegiava — anzi, in certi casi, perfino divinizzava — la ragione, e alla quale serviva, dunque, un’articolata argomentazione intellettuale.
La civiltà dell’immagine
Ma già dagli anni 1950 comincia a profilarsi ciò che Paolo VI più tardi chiamerà la “civiltà dell’immagine”, col sorgere d’una generazione caratterizzata dalla spontaneità delle reazioni primarie, senza il controllo dell’intelligenza né la partecipazione effettiva della volontà; dal predominio della fantasia e delle “esperienze” sulla analisi metodica della realtà. È questa la generazione che farà il ‘68.
Senza in niente sminuire il contributo degli intellettuali — pensiamo a Ginsberg negli USA
e a Marcuse in Francia — la rivoluzione del ‘68 è stata predominantemente tendenziale, sia nella sua genesi che nei suoi sviluppi. Le mode immorali hanno fatto più per la rivoluzione sessuale, che non i libri di Wilhelm Reich e della scuola freudo-marxista, che la stragrande maggioranza dei ragazzi probabilmente ignora nel modo più assoluto.
Il prof. Plinio è stato sempre molto attento a questa dimensione della Rivoluzione. Dal 1951 sul mensile Catolicismo egli teneva la rubrica “Ambienti, costumi, civiltà”, nella quale analizzava le trasformazioni nei tipi umani, negli stili artistici, nella moda. Già da allora egli prevedeva che queste trasformazioni preparavano una grande rivoluzione, abbozzata poi nel suo libro Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, del 1959. Nelle pagine seguenti offriamo ai nostri lettori un articolo tratto da questa rubrica.
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L’eredità del ‘68
B
Vi sono stati portati dalla sacrosanta ed incontenibile evoluzione
di Plinio Corrêa de Oliveira
(Tratto da Catolicismo, n° 174, giugno 1965.)
ambini di cinquant’anni fa. Si tratta del quadro Giochi di primavera, del pittore austriaco Edmund Adler (1876-1965). Sono chiaramente figli del popolo, che giocano in un piacevole giardino, innocenti, tranquilli, vivaci ma rilassati. Niente in loro rivela l’esagerata precocità di tanti bambini odierni, costretti da genitori vanitosi ad un eccesso di studio che cozza con le legittime esigenze della loro tenera età. Tuttavia, le loro fisionomie, intelligenti ed espressive, evincono il nascere d’una buona capacità di concentrazione e di riflessione. Come conviene all’infanzia, questi bambini si trovano in un’atmosfera che gli suggerisce impressioni amene e distensive. I costumi sono semplici ma degni, i colori sono allegri. Il mazzo di fiori tenuto dalla bambina al centro esprime tutta la gioia e la delicatezza dell’occasione, appunto “giochi di primavera”.
horror, Kenneth Blovk, in occasione delle feste natalizie le vendite delle riproduzioni di Frankenstein, Dracula ed altri mostri è cresciuta di oltre il 100% riguardo allo stesso periodo dello scorso anno, raggiungendo i venti milioni di dollari. ‘Ai ragazzi piacciono i mostri’, dice Blovk. Secondo il dirigente aziendale, ‘ci si appella al bizzarro per lo stesso motivo per il quale ai ragazzi piacciono i Beatles’”.
Arriviamo al 1965. Se dovessimo credere a certi miti evoluzionistici, tutto sarebbe andato per il meglio, anche in campo educativo. Vediamo ciò che il progresso ci presenta come il prodotto più caratteristico e avanzato in questo campo. Un telegramma della Reuters, pubblicato lo scorso dicembre, riferisce: “Chicago, 18, Reuters. Secondo il responsabile vendite d’una grossa azienda di giocattoli
Questo vezzo per il mostruoso non si limita al mondo dei giocattoli. Una fabbrica di profumi ha lanciato un sapone raffigurante un rettile antidiluviano con scaglie di colore verde. La pubblicità offre questo prodotto alle mamme con il seguente slogan: “al contatto con questo sapone mostro, il suo piccolo mostro diventerà più pulito di un angelo”.
La scena mostra uno dei tratti caratteristici di ciò che la società europea dell’Ottocento considerava l’ideale di educazione per i bambini.
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Un servizio inviato dal corrispondente a New York della Folha de São Paulo descrive alcuni di questi giocatoli: “Non manca un Dracula che uccide una ragazza succhiandole il sangue dal collo, mentre dalla ferita sgorga un liquido rosso. C’è poi un uomo lupo, che può essere reso ancora più orribile dal bambino, giacché è fatto da un materiale plasmabile. Un altro giocatolo è il mostro Godzilla, pronto a distruggere l’umanità con suo alito radioattivo. (...) C’è poi tutt’una linea di pigiami, magliette e calze con stampe di mostri veramente terrorizzanti”.
Più di un lettore sarà forse sorpreso e sconcertato. Non si aspettava che l’insania dilagante potesse produrre una manifestazione così estrema, così caratteristica, così palesemente folle.
Altre persone, però, già predisposte nell’intimo a non resistere a niente di ciò che si presenta come moderno, dopo un primo momento di stupore riprenderanno a sorridere, cercando giustificazioni per questi giocatoli mostruosi: sono divertenti, sono così stravaganti che nemmeno i bambini li prendono sul serio, e via di questo passo.
Non la pensano così due illustri psichiatri, il prof. Martin Grottjahm, Ordinario di Psichiatria all’Università di California, e il prof. Spencer Lester, dell’Università di Columbia. Tutti e due si sono pronunciati fermamente contro questi giocattoli. Anche questo è sintomo della decadenza dei nostri giorni. Abbiamo bisogno di due noti
Sopra, uno dei mostri commentati nel 1965 dal prof. Plinio Corrêa de Oliveira come segno di certe tendenze giovanili. Sotto, un videogioco di oggi. Col senno del poi, è doveroso registrare che la sua denuncia era rigorosamente giustificata
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L’eredità del ‘68
Due ragazzine, due tipi umani, due concezioni del mondo giovanile, l’una ispirata ai canoni tradizionali, l’altra alla moda punk. “Trastullandosi col mostruoso, finiranno per diventare mostri”, scriveva il prof. Plinio Corrêa de Oliveira nel 1965. Una rivoluzione culturale senza paragone nella storia.
psichiatri per spiegarci che i mostri sono mostruosi... Questi mostri, concepiti secondo l’ideale di educazione proposto da certi pedagoghi moderni, in fondo non fanno altro che esprimere la sete di mostruoso che serpeggia un po’ ovunque, dall’arte moderna ai più svariati settori della vita contemporanea. Essi sono, nel campo dei giocattoli, ciò che i play boy sono in campo giovanile. Nel Dracula giocattolo si esprime lo stesso spirito del ragazzo che gioca ad essere mostro. È triste riscontrare che molti giovani oggi hanno in sé la radice della mostruosità, consistente in una certa simpatia, e perfino una condiscendenza, col mostruoso. Trastullandosi col mostruoso, finiranno per diventare mostri.
Dove andremo a finire? È una domanda che si porrà qualche lettore. Quanto maggiore è l’altura maggiore sarà la caduta. Come siamo decaduti da quell’ideale di educazione innocente e sereno dipinto dal Adler fino a questo abisso? La domanda è perfettamente valida. Ma, a rigore di logica, dobbiamo aggiungervi un’altra, non più sul futuro che ci aspetta ma sul presente nel quale siamo. Una piaga è il risultato del cattivo funzionamento di 18 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2008
tutto l’organismo e, anche se non tutto il corpo è ulcerato, mostra che qualcosa non va bene. La piaga del gusto per il mostruoso è esplosa nella nostra società moderna, sconvolta e deformata. La domanda non è dove andremo a finire, bensì dove siamo arrivati.
Dove ci porterà la sacrosanta, l’incontenibile, la divina evoluzione? *
*
*
Qui finisce l’articolo di Plinio Corrêa de Oliveira, scritto nel 1965. Siamo nel 2008. Noi possiamo, anzi dobbiamo, porci la stessa domanda che allora si poneva l’illustre pensatore cattolico: l’evoluzione è andata avanti, anche in tema di educazione infantile. Le cose sono migliorate? A vedere la proliferazione di mostri che popolano il mondo dei ragazzi, dai fumetti ai videogiochi, sembra proprio di no. Anzi. La tendenza al mostruoso denunciata dal dott. Plinio non ha fatto altro che aggravarsi fino al parossismo. All’epoca qualcuno aveva criticato questa denuncia come “esagerata” e “pessimista”. Col senno del poi, è doveroso registrare che, ancora una volta, egli aveva ragione.
I l ‘68 catto lico
U
n’analisi anche sommaria degli errori ed eresie che hanno funestato la Chiesa negli ultimi duecento anni, dal cattolicesimo liberale alla teologia della liberazione, rivela una constante: si tratta sempre di infiltrazioni in seno al cattolicesimo, di t e n denze ed idee rivolu-
zionarie già largamente dominanti nella sfera temporale all’insegna della “modernità”. Mossi da quella biasimevole “smania di novità” denunciata da Leone XIII nella Rerum novarum, i progressisti di ogni epoca si sono giustificati sostenendo di voler semplicemente venire incontro a queste tendenze, mettendo la Chiesa in riga con i nuovi tempi.
“I cattolici sono inferiori ai loro avversari semplicemente perché non hanno ancora accettato quella grande Rivoluzione che diede origine alla nuova società e alla nuova vita dei popoli. (...) Noi invece accettiamo, invochiamo i principi e le libertà proclamati nel 1789”, dichiarava Charles de Montalembert nel celebre discorso di Malines (1863), considerato il
“Manifesto del cattolicesimo liberale” (1).
“Il nostro atteggiamento religioso vuol essere semplicemente di cristiani e di cattolici, viventi in armonia con lo spirito del loro tempo. (...) Al nostro secolo abbiamo cercato di avvicinare parlando il suo linguaggio e pensando il suo pensiero”, si giustificava Ernesto Buonaiuti dopo la dura condanna di S. Pio X al Modernismo, nel 1907 (2).
“L’umanità è spinta da un’irresistibile movimento in avanti. (...) Il processo storico è intrinsecamente irreversibile. (...) Dobbiamo riconoscere ed assumere le verità nascoste in questo processo”, scriveva nel 1947 Jacques Maritain, il filosofo della svolta a sinistra nell’Azione Cattolica (3).
“Nelle barricate del ‘68 v’erano dominicani e gesuiti. (...) Fu un fulmineo cambio di paradigma culturale (...) sostenuto da tanti cappellani universitari” (Cardinale Ratzinger) Sopra, l’Università Cattolica del Sacro Cuore, a Milano, occupata dagli studenti nel novembre 1967
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L’eredità del ‘68
Anche le tendenze sessantottine fecero breccia nella Chiesa. A denunciarlo è il Cardinale Joseph Ratzinger: “L’adesione ad un marxismo anarchico ed utopistico (...) è stata sostenuta in prima linea da tanti cappellani universitari e di associazioni giovanili, i quali vi vedevano lo sbocciare delle speranze cristiane. Il fatto dominante si trova negli avvenimenti del maggio 1968 in Francia. Sulle barricate v’erano dominicani e gesuiti. L’intercomunione realizzata
Causa e effetto: sopra, padre David Maria Turoldo, animatore del centro di riflessione della Corsia dei Servi, a Milano. A sin., l’Università Cattolica occupata
durante una messa ecumenica in sostegno alle barricate fu ritenuta una specie di pietra miliare nella storia della salvezza, una sorta di rivelazione che inaugurava una nuova era del cristianesimo” (4).
Le radici di questo ‘68 cattolico risalgono a qualche anno prima. Dalle frange estreme di quella Nouvelle théologie, ispirata all’esistenzialismo e condannata da Pio XII nel 1950 (5), era nata la “teologia politica” e poi la
“teologia della liberazione”, tutte e due fortemente segnate dal pensiero marxista. L’esplosione avvenne negli anni 1960, in coincidenza col periodo post-conciliare. “Quasi fulmineamente cambiò il paradigma culturale — ricorda il Cardinale Ratzinger — in breve tempo, quasi nello spazio di una notte, lo schema esistenzialistico crollò e fu sostituito da quello marxista. (...) La distruzione della teologia avveniva attraverso la sua politicizzazione in direzione del messianismo marxista” (6).
In conseguenza di questo cambio di paradigma culturale, gli anni 1960 furono per la Chiesa “un periodo di grande inquietudine”, per usare l’espressione di Paolo VI (7). Qualche avvisaglia c’era già stata in Italia. Ricordiamo il gruppo “Il Gallo” fondato nel
A sin., la polizia carica gli studenti della Facoltà di Architettura di Valle Giulia, a Roma 20 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2008
1946 a Genova da Nando Fabbro. Ricordiamo padre Camillo Da Piaz e padre David Maria Turoldo animatori, nella Corsia dei Servi, a Milano, di un centro di riflessione dove si leggevano Maritain, Mounier e i teologi della Nouvelle théologie.
Arrivando poi al ‘68, chi può dimenticare la contestazione degli studenti della Cattolica in Piazza S. Pietro? L’occupazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano? Quella del Duomo di Trento? La riunione a Bologna dei “cristiani di base”? L’incontro a Rimini dei “Gruppi spontanei”? L’occupazione della cattedrale di Parma per mano dei “cristiani di base” che chiedevano “una chiesa povera e libera dall’autoritarismo”? La contestazione al Papa sulla piazza della Vittoria, a Taranto, dove egli si era recato per celebrare il Natale nelle acciaierie?
A Torino nasce la comunità del Vandalino, a Genova il movimento dei Camillini e poi la comunità di Oregina, intorno a padre Agostino Zerbinati. La contestazione dilaga ad Udine, a Napoli, a Verona dove un gruppo di francescani contrasta apertamente i vertici dell’Ordine. Quando Paolo VI pubblica l’Humanae vitae, scoppiano le proteste di piazza, qualificate dallo stesso Pontefice “manifestazioni anarchiche di contestazione globale” (8).
Non pochi, come ha ricordato Benedetto XVI, pensavano che “con la grande crisi scatenata dalla lotta culturale del ‘68, realmente sembrava tramontata l’epoca storica del cristianesimo. (...) Per tale movimento culturale, il tempo della Chiesa e della fede in Cristo era considerato finito” (9).
Gli studenti della Cattolica occupano Piazza Duomo, a Milano
In realtà, però, questo ‘68 cattolico ebbe una vita effimera. Secondo lo storico Antonio Acerbi, “non è stata una questione di repressione ma di carenza di significatività religiosa”. Con lui si trova d’accordo il memorialista più vicino al dissenso, Mario Cominetti: “L’errore fu d’aver preteso di liquidare il mondo cattolico attraverso un’azione e un cambiamento politico, sottovalutando l’importanza dei valori religiosi per grandi masse” (10).
La contestazione cessò, le barricate sparirono, i ragazzi si calmarono. Ma la caligine del ‘68 continuò insozzando larghe fasce del mondo cattolico. Oggi in chiesa, per esempio, è frequente vedere persone vestite in modo non molto diverso dei più arditi sessanttotini. Ciò che allora era visto come contestazione estrema, oggi è diventato quotidiano. Ecco il vero trionfo del ‘68.
Note______________________________
1. Citato in Emmanuel Barbier, Histoire du Catholicisme libéral et du catholicisme social en France, Bordeaux, Imprimerie Y. Cadoret, 1924, Vol. 1, pp. 233-234.
2. Anonimo (presumibilmente Ernesto Buonaiuti), Il programma dei modernisti. Risposta all’enciclica di Pio X “Pascendi Dominici Gregis”, Torino, Fratelli Bocca, 1911, pp. 7, 10. 3. Jacques Maritain, Humanisme intégral, Parigi, Aubier, 1947, pp. 146-147.
4. Joseph Ratzinger, Les principes de la théologie catholique, Parigi, Téqui, 1985, p. 433. Egli si riferisce alla celebrazione ecumenica nella Rue de Vaugirard, tenuta da cattolici e protestanti in sostegno agli studenti, il 2 giugno 1968.
5. Enciclica Humani generis. Vedere anche l’Allocuzione ai Padri Gesuiti in occasione della loro XXIX Congregazione Generale, 17 settembre 1946. Nonché l’Allocuzione ai Frati Dominicani in occasione del loro Capitolo Generale, cinque giorni dopo.
6. Joseph Ratzinger, La mia vita. Autobiografia, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 1997, pp. 103-104.
7. Allocuzione al Pontificio Seminario Lombardo, 7 dicembre 1968. Insegnamenti di Paolo VI, Roma, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1968, VI, p. 1188.
8. Vedere Dal “centrismo” al sessantotto, a cura di Marco Invernizzi e Paolo Martinucci, Edizioni Ares, Milano, 2007; Roberto Sciubba e Rosana Sciubba Pace, Le Comunità di base in Italia, Roma, Cones Edizioni, 1976. Per una bibliografia esaustiva, vedere: www.media68.net/francia/biblio/italia.htm. 9. Citato in Piero Gheddo, Il vescovo partigiano, EMI, 2008.
10. Citato in Tonino Armata, Il ‘68, quel mondo che volevamo cambiare, 1903-2008, www.ilquotidiano.it.
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L’eredità del ‘68
Qualche pietra miliare del ‘68 cattolico
1967, 11-10 ottobre: durante il III Congresso Mondiale per l’apostolato laico, a Roma, i delegati si alzano in piedi per commemorare Che Guevara. 17 novembre: gli studenti occupano l’Università Cattolica di Milano. Il rettore la fa sgombrare dalla polizia. 20 novembre: gli studenti, accampati davanti alla Cattolica, hanno già ricevuto centocinquanta attestati di solidarietà, tra cui quelli di Cisl, Acli e Movimento giovanile Dc. Anche parroci e preti si recano a visitarli. Novembre: cattolici e preti partecipano alla marcia organizzata dal Premio Lenin Danilo Dolci contro la guerra nel Vietnam. 1968, 14 gennaio: rappresentanti dei Gruppi spontanei cattolici d’Italia si incontrano a Bologna. 15 gennaio: contestazione degli studenti della Cattolica in piazza S. Pietro a Roma. 7 febbraio: nove preti di Trento sostengono l’occupazione studentesca. 16 febbraio: i presidenti nazionali della Fuci, Mirella Gallinaro e Giovanni Benzoni, inviano una lettera aperta ai professori universitari in cui sostengono la contestazione. 23 febbraio: a Roma le Comunità di base protestano contro i vescovi. 25 febbraio: a Bologna seicento cristiani costituiscono la “Nuova sinistra”. 21 marzo: terza occupazione della Cattolica. Sgombero e chiusura dell’università a tempo indeterminato. 25 marzo: “battaglia di Largo Gemelli” a Milano, migliaia di studenti tentano di riaprire l’Università, ma sono respinti dalla polizia. 26 marzo: inizia una “controquaresima” sul sagrato del Duomo di Trento. 31 marzo: Paolo VI all’Angelus stigmatizza le agitazioni alla Cattolica. 2 aprile: un centinaio di studenti cattolici dell’Università di Padova scrivono al Papa per contestare il suo giudizio sulla protesta giovanile. 14 aprile: a Lecce gli studenti della Fuci e i giovani di un gruppo missionario, appoggiati dall’assistente ecclesiastico, occupano la cappella dell’università per impedire il vescovo di celebrare la Messa pasquale. 24 maggio: quarta e ultima occupazione della Cattolica. Gli studenti prendono possesso 22 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2008
dell’Università, dove rimarranno per quindici giorni, insieme al rettore chiuso nel suo ufficio. 7-8 giugno: gli studenti della Cattolica assediano la sede del Corriere della Sera per impedirne l’uscita. Il sit-in si trasforma in un duro scontro con la polizia, con incendi di automobili e persone ferite. 13-16 giugno: il Convegno nazionale di Gioventù aclista ad Assisi approva un documento sulla “rivoluzione per cambiare una struttura di potere repressivo”. 24 giugno: Paolo VI condanna la “teologia delle rivoluzione”. 25 giugno: “marcia su Roma” di cinquantatré frati minori del Veneto e della Lombardia, per protestare contro la chiusura del convento progressista di San Bernardino a Verona. 14 settembre: una trentina di esponenti del gruppo “I Protagonisti” occupano la cattedrale di Parma. 22 settembre: la comunità dell’Isolotto di Firenze scrive una lettera di solidarietà agli occupanti di Parma; è l’episodio che scatena il “caso Isolotto”. Ottobre: duecento studenti occupano la chiesa di San Ferdinando annessa all’Università Bocconi di Milano per protestare contro l’allontanamento di cinque francescani. 26 ottobre: sono cinquemila le firme di solidarietà con l’Isolotto. Autunno: un anonimo gruppo di teologi italiani fa circolare un lungo ciclostilato che inneggia alla contestazione globale nelle Chiesa. 1-4 novembre: grande riunione a Rimini dei Gruppi spontanei italiani. Novembre: nasce alla Cattolica l’Assemblea di contestazione ecclesiale, una sorta di coordinamento dei cattolici progressisti milanesi. 11 dicembre: manifestazione pro Isolotto in piazza San Pietro a Roma. 25 dicembre: contestata la messa natalizia del cardinale Colombo a Milano. 1969, 1 gennaio: un gruppo di dimostranti occupa la navata della basilica di San Pietro recitando il Padre nostro, leggendo il Vangelo e distribuendo volantini dell’Isolotto 3 gennaio: un centinaio di aderenti al Movimento San Camillo di Genova occupano la chiesa.
Te o l o g i a post-moderna
Nell’agosto 1988 si tenne nella Casa Madre dell’Ordine Maryknoll, a New York, un convegno internazionale di teologi della liberazione. Convocato per festeggiare i 60 anni del sacerdote peruviano Gustavo Gutiérrez, caposcuola della corrente, il meeting rese evidente l’abbandono dei vecchi schemi marxisti, soppiantati dalle nuove tendenze esplose col ‘68. Era la fine della “teologia della liberazione” come essa era esistita sino ad allora, e l’inizio d’una nuova avventura che porterà alcuni di questi teologi ad abbracciare alcune delle visioni più spinte della cosiddetta postmodernità (1). TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2008 - 23
L’eredità del ‘68
1980: “Ciò che proponiamo è introdurre il marxismo nella teologia” Leonardo Boff
1990: “Il problema per noi adesso è rimuovere il marxismo dalla teologia” Adolfo Pérez Esquivel
D
efinendo la teologia della liberazione, il brasiliano Leonardo Boff scrisse nel 1980: “Ciò che proponiamo è introdurre il marxismo, cioè il materialismo storico, nella teologia” (2). Passano dieci anni, ed ecco che, nel corso di un convegno dell’As-sociazione di teologi Giovanni XXIII
tenutosi a Madrid, il premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel dichiarava: “Il problema per noi adesso è rimuovere il marxismo dalla teologia della liberazione”.
Due dichiarazioni a distanza di pochi anni. Un giro copernicano per la teologia della liberazione, costretta ad abbandonare i vecchi schemi della rivoluzione comunista, adeguandosi alle nuove tendenze esplose con il ‘68. La teologia della liberazione era nata in un determinato contesto storico, quello dell’espansionismo comunista in America
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Latina negli anni ‘60-‘70. Si prefiggeva di dare un senso teologico a questo processo, spronando i cattolici a fiancheggiarlo. Già dagli anni ‘80, però, era chiaro che il comunismo di stampo sovietico aveva i giorni contati, e anche in campo intellettuale ormai da un pezzo il marxismo aveva lasciato il campo alle nuove tendenze sessantottine. Un po’ ovunque, e particolarmente negli Stati Uniti, i teologi di questa corrente si diedero dunque al compito di aggiornarsi. Ne risultò una sorta di teologia postmoderna, che poi coincide perfettamente con ciò che il prof. Plinio Corrêa de Oliveira caratterizzava come “quarta Rivoluzione”. In quanto tale, è interessante analizzarla anche se in modo necessariamente succinto.
Il sacerdote peruviano Gustavo Gutiérrez, caposcuola della teologia della liberazione. Dopo aver scritto, nel 1972, che “il marxismo, come struttura formale del pensiero filosofico contemporaneo, non può essere superato”, egli si è spostato su posizioni più consone alle nuove tendenze.
Una nuova era storica
Lo sfondo di questa teologia è la percezione che stiamo entrando in una nuova era storica, nella quale dovranno cambiare non soltanto le istituzioni e le mentalità ma, più profondamente, il “paradigma” che li informa. Spiega Joseph Holland: “Dietro ogni teologia v’è implicita una certa interpretazione della società all’interno della quale essa si sviluppa, come dietro ogni modello di società v’è implicita una teologia, cioè una certa visione delle fondamenta e finalità di quella società. Ma dietro sia alla teologia che al modello di società v’è qualcosa di molto più profondo: il paradigma che anima tutte e due” (3).
Secondo questi teologi, col crollo del comunismo, l’umanità sarebbe entrata in un’era di discontinuità, un interregno fra il paradigma moderno e quello post-moderno, che si andrebbe affermando gradatamente col sorgere di un nuovo modello di società, d’una nuova spiritualità, di nuovi padroni di intellezione e di volizione, insomma di un uomo nuovo. Per spiegare la post-modernità, esaminano quindi i diversi paradigmi che si sarebbero succeduti lungo la sto-
ria. Inutile sottolineare quanto della loro visione sia prettamente utopica.
Paradigma primevo. L’analisi del paradigma primevo è molto importante nella prospettiva della teologia post-moderna poiché, come afferma Holland, “il primevo e il post-moderno hanno molto in comune. È questo il paradigma al quale ci dobbiamo ispirare per riprendere elementi che ci permettano di superare la crisi della modernità” (4). Secondo il teologo canadese Gregory Baum, l’uomo primitivo era pienamente “riconciliato” con i suoi istinti naturali, con gli altri uomini e con la stessa natura. Immerso in un’atmosfera comunitaria e idillica, egli aveva una profonda sensazione di “comunione” col cosmo: “Tutta la vita era sentita come un’immensa comunione” (5).
Questa comunione gli dava la sensazione che vi fosse un “impulso divino” che animava tutte le cose, e che egli identificava con Dio, “non concepito come un essere, ma sentito come un’energia circolante dentro di noi, fra di noi, attorno a noi, rivelandosi in ogni manifestazione di
“Dio non è concepito come un essere, ma sentito come un’energia circolante” James Hug
vita”, nelle parole del gesuita James Hug (6). “Tutto il cosmo brillava col Mistero divino — riprende Holland — tutta la vita era un immenso organismo pul-
La teologia postmoderna vede nel “paradigma primevo” un’atmosfera comunitaria e idillica alla quale bisogna tornare per riprendere elementi che ci permettano di superare la crisi della modernità Nelle foto, indios della floresta amazzonica, in Brasile
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L’eredità del ‘68
Il processo rivoluzionario
Il concetto chiave del “paradigma moderno” è libertà: libertà culturale con l’umanesimo, libertà religiosa col protestantesimo, libertà della ragione con l’illuminismo, libertà politica con la democrazia, libertà economica con la rivoluzione industriale, con le sue due anime, capitalista e socialista. (In senso orario: Erasmo di Rotterdam, Martino Lutero, Sans culotte del 1789, Manifesto bolscevico del 1917)
aspetti generava la fertilità e la creatività nell’universo.
sante, del quale l’uomo era appena una cellula” (7).
Consonante con questa atmosfera, di chiaro sapore panteistico, la forma di organizzazione sociale primeva era “tribale”, il governo era “consensuale” e la religione “sciamanica”. D’altronde, l’uomo primitivo non sentiva il bisogno della ragione e, quindi, non subiva i suoi effetti nocivi. “La riflessione uccide la vita — afferma Baum — la vita non va pensata ma vissuta. Il pensiero è la negazione della vita” (8). L’uomo primitivo distingueva, comunque, aspetti maschili e femminili nella natura, per esempio nel parlare di “padre sole” e “madre terra”. L’impulso divino era sentito come uomo/donna, come luce/tenebre. La comunione di questi due
Nel “paradigma classico”, secondo questi teologi, Dio cominciò ad essere concepito come maschile, come legislatore e dominatore, come oppressore che leggitima ogni autorità. Nacque così una “cattiva religione” Sopra, il Cristo Pantocratore del duomo di Monreale (PA)
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Paradigma classico. In un determinato momento, secondo questi teologi, vi fu una sorta di peccato originale consistente nella “ricusa di amare e di vivere una vita riconciliata”, che provocò una “rottura della comunione vitale con l’universo”. L’uomo fu dilacerato internamente, perdendo l’“armonia con i suoi istinti”. Questa dilacerazione interna si ripercosse poi nei rapporti con gli altri uomini e con la natura.
Nel tentativo di ricomporre l’unità perduta, in ambito interno l’uomo fece appello ad un principio ordinativo, la ragione, che andò così affermandosi reprimendo gli istinti e l’immagina-
medievale è crollata. Secondo Holland, “l’umanesimo rinascimentale segnò l’inizio del mondo moderno. La riforma protestante gli conferì un contenuto religioso. Ma la vera nascita della modernità avvenne con l’illuminismo” (9). Questo impulso ebbe poi conseguenze in campo politico, la rivoluzione americana e quella francese, nonché in campo economico, la rivoluzione industriale, con le sue due anime: capitalista e socialista.
“La riflessione uccide la vita. La vita non va pensata ma vissuta. Il pensiero è la negazione della vita” Gregory Baum
zione. In ambito sociale, l’uomo fece pure appello ad un principio ordinativo, il governo.
In conseguenza di questa nuova situazione psicologica e sociale, l’uomo cominciò a concepire Dio come una persona, un essere trascendente che svolgerebbe nei confronti dell’universo lo stesso ruolo ordinativo della ragione all’interno dell’uomo e del governo nella società. Nacque il monoteismo. Dio cominciò ad essere concepito come maschile, come legislatore e dominatore, come alienante ed oppressore, che legittima ogni autorità. Nacque una “religione cattiva”.
Storicamente, questo paradigma sarebbe cominciato col sorgere della vita organizzata, si sarebbe successivamente consolidato con la civiltà classica grecoromana, raggiungendo poi l’apice con la Cristianità medievale.
Paradigma moderno. Ad un certo punto, la Cristianità
Il concetto chiave di questo nuovo paradigma è “libertà”: libertà culturale con l’umanesimo, libertà religiosa col protestantesimo, libertà della ragione con l’illuminismo, libertà politica con la democrazia, libertà economica col capitalismo e, in certo senso, col socialismo. Ed ecco il processo rivoluzionario.
Crisi della modernità. Oggi però, scrive Holland, “siamo alla fine di quel vasto progetto culturale chiamato civiltà moderna. (...) Il sogno moderno volge al termine” (10). La liberazione della ragione è risultata nella sua divinizzazione. La libertà religiosa è risultata nella secolarizzazione. La libertà politica è risultata nella dittatura, sia quella dichiarata del comunismo/nazismo/fascismo, sia quella più sottile ma forse più terribile dello Stato moderno e delle grandi città: “Così il mondo moderno completa il suo ciclo. Nato per liberare l’uomo, finisce nella maggiore dittatura che la storia abbia conosciuto” (11).
Questa crisi non è primordialmente politica né sociale ma culturale, nel senso che questo vocabolo sta assumendo, vale a dire una crisi di civiltà: “La crisi fondamentale è dello stesso significato della modernità. (...) L’attuale situazione critica
“Siamo alla fine di quel vasto progetto culturale chiamato civiltà moderna. (...) Il sogno moderno volge al termine” Joseph Holland
richiede una rivoluzione nelle fondamenta culturali della modernità” (12).
Il paradigma post-moderno
Secondo questa teologia, il paradigma post-moderno cominciò a prendere corpo negli anni ‘60 col movimento hippie, con la rivoluzione di Berkeley nel 1964 e, soprattutto, con quella della Sorbonne nel 1968. Quali sono i suoi elementi fondamentali?
Fine dell’egemonia del Logos. Quando, nelle società primitive, il “concetto” è subentrato al “simbolo”, è cominciata l’egemonia della Ragione, ancora subordinata alla teologia nella società classica, poi libera e assoluta nella società moderna. Ciò che segna il passaggio al postmoderno è l’abbandono della ragione come forza propulsiva della storia. “Assistiamo oggi alla fine dell’egemonia del Logos. (...) Tutto indica che oggi
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Una Chiesa postmoderna
Al cuore della religione post-moderna troviamo una Rivelazione immanente. Dio sarebbe un’energia pulsante nel cosmo. Da un tale concetto segue naturalmente una spiritualità di tipo pentecostale, fondata sul “discernimento” e la “manifestazione” delle energie divine. In questa prospettiva, la Chiesa non è che una fluida associazione di persone che condividono questo discernimento, raggruppate in piccole communità carismatiche e senza gerarchia.
Il post-moderno riprende l’aspetto “sciamanico” della religione primitiva
Una Chiesa formata da piccole communità senza gerarchie Il post-moderno è fondamentalmente “ludico”. Messa con clowns a Florida
Un’adorazione postmoderna al Santissimo Sacramento La guida non proviene dall’autorità ecclesiastica, ma da una leadership carismatica Per “discernere” e “manifestare” il Dio-energia, si usano anche tecniche di meditazione orientale 28 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2008
L’eredità del ‘68
Si proclama la liberazione dei sogni. Qualsiasi fattore che inibisca il divagare onirico viene ritenuto oppressivo. Si cancella ogni distinzione fra immaginazione e realtà, e la fantasia regna sovrana. Giunta a questo punto, la teologia della liberazione sarebbe arrivata al termine, “liberando” l’uomo dall’ultima “oppressione”: quella della realtà stessa.
siamo giunti al termine di questo lungo processo dell’egemonia della ragione”, afferma il teologo della liberazione brasiliano Leonardo Boff. E continua: “Nella luce ancora incerta possiamo scorgere una nuova aurora, l’inizio d’una nuova egemonia culturale, quella dell’Eros e del Pathos. La civiltà è nata con la repressione dell’Eros. Adesso dobbiamo organizzare la vita e la cultura sotto l’egemonia dell’Eros, e non più del Logos. (...) Dobbiamo lasciare che riemergano le strutture arcaiche della vita costituite dall’Eros, cioè la spontaneità creativa, la libertà, la fantasia” (13).
Commentando queste dottrine, il noto sociologo americano Daniel Bell rileva che “solo l’impulso e il piacere sono validi, tutto il resto non è che neurosi e morte” (14).
Insieme all’Eros v’è il Pathos, cioè il sentimento, l’affet-
tività. “L’esperienza fondamentale dell’era post-moderna — continua Boff — è il sentimento. Non è più il cogito ergo sum, ma il sentio ergo sum. Vivere è sentire”. Secondo questa teologia, la conoscenza non è più un apprendere intellettuale, con la conseguente formazione di un concetto, ma una conoscenza diretta, per simpatia. Scrive Boff: “l’uomo avrà un’unione mistica con tutte le realtà, compreso Dio, e le conoscerà per simpatia” (15).
Una Rivelazione immanente. Al cuore della religione post-moderna troviamo dunque una Rivelazione immanente. Dio sarebbe un’energia pulsante nel cosmo che si tratterebbe di discernere. Troviamo Dio, prima di tutto, nel nostro corpo. “Il nostro corpo è la fonte primaria di Rivelazione — afferma Holland — noi conosciamo la presenza creativa di Dio nella realtà del nostro corpo: carne,
sangue, respirazione, postura, digestione, sessualità e via dicendo. Dio va trovato nelle profondità mistiche della carne” (16). Dio si rivela poi “nei nostri movimenti psicologici e temperamentali. (..) Sarebbe il campo interno, affettivo della Rivelazione”. Finalmente, Dio si rivela nella natura: una “Rivelazione ecologica”. L’ambientalismo più radicale riceve così un’etichetta pseudoteologica che lo fa pendere fortemente verso il panteismo.
Da un tale concetto di Rivelazione segue naturalmente una spiritualità di tipo pentecostale, fondata sul “discernimento” e la “manifestazione” delle energie divine — lo “Spirito” — circolanti nel cosmo. In questa prospettiva, la Chiesa non è propriamente un’istituzione, ma una fluida associazione di persone che condividono questo discernimento. “La Chiesa post-moderna è formata da piccole comuni-
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L’eredità del ‘68
tà carismatiche — spiega Holland — l’elemento centrale è il carisma, cioè questa presenza dell’energia spirituale che si manifesta quando vuole e dove vuole” (17). All’interno di queste piccole comunità carismatiche regnerebbe la perfetta fratellanza, attraverso una perfetta “condivisione”. Sarebbero, in pratica, piccole tribù nelle quali il governo non sarebbe gerarchico ma sciamanico. Nella Chiesa postmoderna la guida non proviene dall’autorità ecclesiastica, ma da una leadership carismatica di coloro che discernono meglio lo Spirito e ne rendono testimonianza, cioè i “profeti”.
La società ludica. Un altro elemento centrale del paradigma post-moderno sarebbe il suo carattere “ludico”, cioè giocoliere. Spiega Gibson Winter, al quale fanno riferimento molti di questi teologi: “Il ludus è l’espressione stessa dei movimenti della vita e della natura. (...) Il ludus è il modo d’essere del bios e del cosmo. (...) La vita è un ludus”. Mentre il tipo umano classico sarebbe l’Homo sapiens, e quello moderno l’Homo faber, il tipo umano dell’era post-moderna sarebbe l’Homo ludens (18).
Il ludus, come attività più naturale e spontanea dell’uomo, quella decorrente dal libero flusso delle sue energie e della sua fantasia, e non da un’azione disciplinante della ragione, sarebbe il migliore modo per cogliere le energie divine circolanti nel cosmo, la migliore “mediazione” attraverso la quale questo Dio-energia si manifesterebbe agli uomini: “Il ludus rende il bios e il cosmo accessibile al mondo del significato”.
Così, lo stesso modo di portare avanti la rivoluzione cambia sostanzialmente. Non si tagliano
più le teste, come nella rivoluzione francese, né si fanno insurrezioni proletarie, come nel comunismo, ma si “gioca”. “La storia si presenta come un gioco. Un gioco libero, inventivo, gioioso. È il gioco che rende realtà l’utopia”, spiega lo spagnolo Eugenio Fernández (19).
In questa società ludica, l’immaginazione gioca un ruolo primario, proprio come voleva il ‘68: “l’imagination au pouvoir!”. “L’immaginazione è la connessione fra l’uomo ed i processi creativi del bios e del cosmo”, scrive Winter (20). Liberando l’immaginazione, si aprirebbe questo canale privilegiato attraverso il quale si manifesterebbe il Dio-energia. La fraternità nascerebbe dalla varie fantasie condivise e pulsanti in modo sincronico.
La liberazione dei sogni. Donde l’enfasi sulla liberazione dei sogni. Leggiamo in un manuale di addestramento per le comunità ecclesiali di base: “I sogni hanno origine in Dio. Dio penetra nella realtà attraverso i sogni” (21). Qualsiasi fattore che inibisca questo divagare onirico viene ritenuto “oppressivo”. In questo modo si cancella ogni distinzione fra immaginazione e realtà, e la fantasia regna sovrana. Giunta a questo punto, la teologia della liberazione sarebbe arrivata al termine, “liberando” l’uomo dall’ultima “oppressione”: quella della realtà stessa. Note______________________________
1. Tracy Early, “Liberation Theology Founder: Vatican Criticisms Helpful”, The Tablet, 16-07-88; Peter Steinfels “New Liberation Faith: Social Conflict is Muted”, New York Times, 27-07-88. 2. Leonardo Boff, O.F.M., “Marxismo na teologia”, Jornal do Brasil, 06-04-80. 3. Joseph Holland, “Linking Social Analysis and Theological Reflection: The Place of Root Metaphors in Social and
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Religious Experience”, in James Hug, S.J., ed., Tracing the Spirit. Communities, Social Action and Theological Reflection, Center of Concern, Washington, D.C., 1984, p. 170. 4. Joseph Holland, The PostModern Cultural Earthquake: The Journey of Human Culture and the Current Conflict Among Traditionalists, Modernists, and Post-Modernists, Center of Concern, Washington, D.C., 1985, p. 10. 5. Gregory Baum, Religion and Alienation. A Theological Reading of Sociology, New York, Paulist Press, 1975, pp. 7-9. 6. James E. Hug, S.J., Social Revelation. Profound Challenge for Christian Spirituality, Center of Concern, Washington, D.C., 1987, p. 1. 7. Joseph Holland, The PostModern Cultural Earthquake, p. 10. 8. Gregory Baum, op. cit., p. 7. 9. Joseph Holland, “Linking Social Analysis and Theological Reflection”, p. 177. 10. Joseph Holland, The Spiritual Crisis of Modern Culture, Center of Concern, Washington, D.C., 1984, p. 3. 11. Joseph Holland, “Linking Social Analysis and Theological Reflection”, p. 180. 12. Joseph Holland, The Spiritual Crisis of Modern Culture, pp. 1-2. 13. Leonardo Boff, O.F.M., São Francisco de Assis. Ternura e Vigor, Editora Vozes, Petrópolis, p. 19, 22-23, 31. 14. Daniel Bell, “Beyond Modernism, Beyond Self”, in id., The Winding Passage. Essays and Sociological Journeys, Abt Books, Cambridge, Massachusetts, 1980, p. 288. 15. Leonardo Boff, O.F.M., São Francisco de Assis. Ternura e Vigor, pp. 24-25. 16. Joseph Holland, The PostModern Cultural Earthquake, p. 11. Id., The Spiritual Crisis of Modern Culture, p. 12. 17. Joseph Holland, “Linking Social Analysis and Theological Reflection”, p. 188. 18. Gibson Winter, Liberating Creation. Foundations of Religious Social Ethics, Crossroad, New York, 1981, p. 12. 19. Eugenio Fernández, “La Historia, Un Juego que va en Serio”, in Misión Abierta, ed., Desafíos Cristianos, Loguez Ediciones, Madrid, 1988, p. 195. 20. Winter, op. cit., p. 111. 21. Evelyn Eaton Whitehead and James D. Whitehead, Community of Faith. Models and Strategies for Building Christian Communities, The Seabury Press, New York, 1982 , p.105.
30° anniversario della 194
A trent’anni della 194: il dovere di coscienza di fronte alla vita
S
ulla legge 194 del 22 maggio 1978 — detta “per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza” — c’è veramente poco da aggiungere agli autorevoli commenti apparsi in diversi organi di stampa, in occasione del 30° anniversario di questa iniqua disposizione che ha aperto la porta alla strage degli innocenti in Italia.
Ormai è scientificamente dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la congiunzione dei gameti maschile e femminile produce un nuovo essere umano, distinto sia dal padre che dalla madre, con un patrimonio genetico proprio, unico e irrepetibile e, dunque, con tutto un progetto di vita. La vita esiste sin dal concepimento e va perciò tutelata. Sopprimerla tramite l’aborto è criminale, tanto più che si tratta di un essere perfettamente innocente. È un “crimine abominevole”, come lo ha qualificato Gio-
vanni Paolo II, aggiungendo che “costituisce un peccato che grida vendetta al cospetto di Dio”.
I cattolici e la 194
Se sulla legge in sé c’e poco da aggiungere, ci sarebbe invece molto da riflettere sul dovere di coscienza che una tale congiuntura impone ai cattolici. Ci sono contingenze in cui l’indifferenza implica un grave peccato di omissione. La polemica sull’aborto ne è tipico esempio. Quando viene negato il diritto alla vita del nascituro, fondamento di tutti gli altri diritti sui quali si fonda la nostra civiltà, viene toccata la nostra Fede in qualcosa di molto intimo, e cioè la consapevolezza che la vita, e con essa ogni bene di cui godiamo, proviene da Dio. E questo, in sana coscienza, un cattolico non lo può accettare.
Dalla percezione che è in atto un assalto contro la vita innocente, componente di un più
ampio assalto contro le radici stesse della nostra civiltà, scaturisce un ineluttabile dovere di difendere queste radici in opposizione alle tendenze deleterie. È chiaro che non tutti possiamo impegnarci a tempo pieno nella battaglia per la vita. Però possiamo difenderla nel nostro ambiente, per esempio diffondendo i diversi documenti pontifici in merito. Possiamo, nella misura delle nostre possibilità, collaborare con tante valide iniziative per la vita. Possiamo, infine, rifiutare il voto a chi si schiera con forze politiche che accettano l’aborto.
La responsabilità dei politici
Questo dovere morale raggiunge il suo culmine quando pesa sulle coscienze di uomini che, nella vita pubblica, possono far pendere l’ago della bilancia da una o dall’altra parte. Ci riferiamo chiaramente ai politici, ai quali sia
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30° anniversario della 194
I morti in Italia Prima Guerra Mondiale (1915-1918) TOTALE: 750,000 (1) Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) TOTALE: 444,052 (2) Legge 194 (1978-2007) TOTALE: 5,013,235 (3)
= 10.000 morti 1. Pubblicazione Nazionale in occasione del decennale della Vittoria, Firenze, Valecchi, 1929. 2. Stime dell’ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’esercito italiano. 3. Cifre ufficiali del Ministero della Salute nel Rapporto al Parlamento.
Giovanni Paolo II che Benedetto XVI hanno rivolto diversi appelli affinché “siano consapevoli della loro grave responsabilità (di) sostenere valori fondamentali come il rispetto e la difesa della vita umana”.
Proprio in questo campo l’Italia registra un’anomalia forse unica al mondo.
La 194 è l’unica legge abortista al mondo che reca in calce esclusivamente firme di uomini politici cattolici. Mentre in altri Paesi l’aborto è stato opera della sinistra, in Italia esso è stato consentito dalla Democrazia Cristiana. “Una prima avvisaglia del tradimento dello Scudo crociato — scrive Mario Palmaro — si
era già avuto il 26 febbraio 1976, quando il gruppo DC alla Camera votò insieme al PCI contro l’eccezione di incostituzionalità alla legge abortista. Nell’estate del 1976 sarà sempre un governo a guida democristiana (l’Andreotti Terzo) ad autorizzare in via straordinaria aborti eugenetici per le donne colpite dalla nube tossica di diossina a Seveso, nei pressi di Milano”.
Durante il dibattito in Parlamento, dove pure esisteva una maggioranza antiabortista, la DC rifiutò ostinatamente i voti del MSI, respingendo anche ogni forma di ostruzionismo. Giunta alla votazione del 21 gennaio del 1977, la legge è passata con 310 voti a favore e 296 contro.
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L’allora Presidente del Consiglio Giulio Andreotti scrisse quel giorno nel suo Diario. “Mi sono posto il problema della controfirma a questa legge (...) Ma se mi rifiutasi non solo apriremmo una crisi appena dopo aver appena cominciato a turare le falle ma (...) la DC perderebbe anche la presidenza e sarebbe davvero più grave”.
In altre parole, la perdita della presidenza di un Governo veniva considerata più grave della responsabilità morale di sottoscrivere una legge che, decretando la sentenza di morte per l’innocente, calpestava gravemente la legge divina.
Quando viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 22
maggio 1978, la legge portava in calce la firma di cinque politici della DC, a cominciare dallo stesso Andreotti. Il Capo dello Stato, anch’esso democristiano, Giovanni Leone, avrebbe potuto rimandare la legge 194 alle Camere per sospetta incostituzionalità. Invece l’ha firmata dopo solo quattro giorni. In seguito, il governo Andreotti assunse ufficialmente la responsabilità di difendere la legge abortista di fronte alla Corte Costituzionale, dove era stata sollevata l’eccezione.
Il tranello della “194 buona ma...”
Il cedimento della DC non è che un sintomo della corrosione che affetta larghi settori del mondo cattolico i quali, all’insegna di tendenze ed idee esplose negli anni ‘60, hanno ormai perso quella fibra che aveva consentito l’eclatante vittoria contro il comunismo nel 1948. Una corrosione che è andata peggiorando al punto che oggi, trent’anni dopo, vediamo molti cattolici che addirittura sostengono la 194.
Secondo questi, la 194 conterrebbe anche aspetti positivi che, però, non sono stati mai attuati. In altre parole, sarebbe una legge buona applicata male. Invece di chiederne l’abolizione, scelgono di battersi per la sua applicazione integrale. Questo è un tranello che bisogna dissipare. Nella normativa legale precedente alla 194, l’aborto in Italia non era consentito, e anzi veniva sanzionato dalle norme contenute
nel titolo X del libro II del Codice penale, che prevedeva la reclusione da due a cinque anni a chiunque cagionasse l’aborto di una donna consenziente. Nel caso di donna non consenziente, la pena saliva da sette a quindici anni. Tuttavia, alla luce dell’articolo 54 dello stesso Codice, venivano contemplate alcune eccezioni, quale per esempio salvare la vita della gestante.
La 194 capovolge questa concezione giuridica, ritenendo l’aborto un atto di per sé legale, salvo poi applicare qualche restrizione. La 194 suddivide in modo del tutto arbitrario la vita intrauterina in tre periodi, fissando per ciascuno di essi una differente disciplina e avendo come esclusivo criterio di riferimento i rischi per la salute della donna, senza il benché minimo accenno ai diritti del nascituro, al quale viene pertanto negata la condizione di persona. Ecco l’intrinseca malvagità di questa legge.
Secondo la morale cattolica, nell’impossibilità di ottenere il bene perfetto, è lecito scegliere un male minore, purché — ed ecco la sfumatura fondamentale — si indichi chiaramente trattarsi d’una scelta non perfetta, in attesa di tempi migliori. Applicato al caso, sarebbe dunque moralmente lecito affermare: “Come primo passo, vediamo pure di migliorare la 194, applicandola
bene, fermo restando che noi, come cattolici, puntiamo alla sua abolizione e ci batteremo in questo senso”. È quest’ultima affermazione — essenziale per la moralità dell’atto — che manca in molti cattolici “moderati” o “adulti”. E allora la scelta diventa immorale: non si può assolutamente accettare tout court la 194 come buona.
Esiste in Italia clima per un’opposizione decisa alla 194? Tutto indica che i tempi stiano cambiando. Dal forte impegno per la vita di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, alle buone notizie che ci giungono dagli Stati Uniti, dove i pro-lifers si stanno imponendo, all’evidente risveglio del mondo cattolico in Europa, dimostrato dai Family Day di Roma e di Madrid, la reazione in difesa della vita si fa sempre più forte. Se ne farà eco la nuova classe politica giunta al potere? O continuerà a cedere davanti alle lobby abortiste, minoritarie ma ben organizzate? È una domanda cruciale per la legislatura da poco inaugurata.
La vita esiste sin dal concepimento e va perciò tutelata. Sopprimerla è criminale, tanto più che si tratta di un essere perfettamente innocente
A dx., un bambino alla 6ª settimana di gestazione
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Attualità
USA: ca c lo s p e t tro d
U
n amico americano mi ha raccontato un episodio, accaduto qualche settimana fa. Egli si trovava su un volo diretto a Washington. A bordo c’era il classico mix: coppie in vacanza, turisti, scolaresche e via dicendo, nonché una Prima Classe piena di uomini d’affari in giacca e cravatta. Ad un certo punto salì sull’aeronave un ragazzo indossando la tuta mimetica. Faceva parte di un gruppo di veterani che rientravano dall’Irak. Senza pensarci due volte, un distinto signore si mise in piedi e gli chiese quale era il suo posto. “Il 23-B, signore”, rispose. “No, figliolo, quello è il mio. Il tuo posto è qui in Prima. Vieni!”. Uno ad uno, tutti i passeggeri di Prima Classe lasciarono il posto ai militari, stringendoli le mani e dandogli pacche amichevoli sulla spalla.
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Arrivando all’aeroporto di Baltimore-Washington International, nuova sorpresa: ad aspettare i soldati c’era una folla di qualche centinaio di persone, sventolando bandiere e gridando slogan patriottici. Mamme in lacrime baciavano i soldati come si fossero loro figli. Un gruppo di Girl Scout distribuivano biscotti e dolci fatti in casa. Un veterano di Corea si fece avanti per salutare il primo ragazzo. Questi scattò sull’attenti e disse con voce commossa: “Siamo noi che dobbiamo ringraziarla per quello che Lei ha già fatto, signore!”.
cciando e l Vi e t n a m
Incuriosito, il mio amico avvicinò un giovane soldato e, dopo averlo calorosamente salutato, gli chiese come mai tanta festa. “È così dappertutto! A me è la terza volta che mi mandano in Prima Classe”.
Qualche analista nostrano, con più wishful thinking che obbiettività giornalistica, ha voluto paragonare la guerra dell’Irak a quella del Vietnam, insinuando, senza tanti veli, che anche questa volta finirà male per Uncle Sam. Il paragone non regge per motivi di vario genere. Ma uno, soprattutto, fa stare questi due conflitti anni luce uno dall’altro: lo stato d’animo dell’opinione pubblica americana.
Quanto sono lontani quegli anni in cui i reduci del Vietnam erano accolti con sputi e minacce da turbe di hippie inferociti, salvo poi essere moralmente linciati da una stampa quasi massicciamente pacifista!
Oggi i soldati americani che tornano dalle operazioni belliche in corso in diverse parti del mondo vengono accolti come eroi da folle entusiastiche che non hanno parole sufficienti per ringraziarli. “La reconnaissance est le mémoire du coeur”, dicevano i francesi del ‘700, la gratitudine è la memoria del cuore. E gli americani sembrano proprio decisi a cancellare dai loro cuori quel abietto fenomeno di ingratitudine collettiva in occasione del conflitto del Vietnam.
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Il mondo delle TFP
A proposito di Plinio Corrêa de Oliveira
Recensiamo due importanti studi, recentemente pubblicati in Italia, riguardanti il prof. Plinio Corrêa de Oliveira. Uno è il libro di Giovanni Cantoni Per una civiltà cristiana nel terzo millennio. La coscienza della Magna Europa e il quinto viaggio di Colombo (Milano, Sugarco Edizioni, 2008, 261 pp.). L’altro, una serie di tre saggi scritti da Massimo Introvigne e diffusi sul sito del Centro studi sulle nuove religioni (CESNUR).
I
l 40° anniversario del maggio ‘68 ha visto una pletora di pubblicazioni evocative, alcune apertamente inneggianti, altre invece critiche, anche se non di rado cercando di salvarne qualche pezzo. Pochi, però, hanno badato a presentare un’alternativa. Fra questi spicca Giovanni Cantoni con suo recente libro Per una civiltà cristiana nel terzo millennio. Lo stesso autore spiega il senso dell’opera: “Mentre l’Occidente vive l’ormai plurisecolare agonia della Cristianità (...) la stessa Modernità va dissolvendosi: con il malato viene morendo anche il virus che lo sta uccidendo. Di fronte all’ambigua postmodernità (...) si può immaginare
una Cristianità Nuova nel terzo millennio? (...) Una cristianità che fronteggi la sfida del mondo multipolare, così come si è rivelato dopo il 1989, dopo l’implosione del focus occidentale del sistema imperiale ideocratico socialcomunista, e che combatta la quarta guerra mondiale, scoppiata l’11 settembre 2001?”.
La risposta di Cantoni è ovviamente affermativa. E perciò si richiama alla “risposta positiva e profetica” di Giovanni Paolo II, alla quale fa eco Benedetto XVI quando “auspica un’autocritica della Modernità e dello stesso cristianesimo moderno”. L’opera raccoglie ben ventiquattro articoli del noto pensatore cattolico piacentino, che è fondatore e reggente nazionale di Alleanza Cattolica, nonché direttore della rivista Cristianità.
Le due sponde della risposta
La prima fonte alla quale Giovanni Cantoni attinge — e non poteva essere diversamente — è la parola del Magistero e, concretamente, il richiamo alla “nuova evangelizzazione” rivolto da Giovanni Paolo II e che alcuni hanno ridotto ai suoi elementi spirituali, trascurandone il denso contenuto culturale e di civiltà. Una seconda fonte è la grande tradizione europea, la “coscienza della Magna Europa”, che non è altro che la Civiltà cristiana come concretamente essa è esistita, dalla conversione dell’Impero romano alla formazione del Medioevo. Dall’11 settembre 2001, cioè dall’attentato alle Torri Gemelle, questa Cristianità si trova ad affrontare una sfida che ha tutte le connotazioni di essere all’ultimo sangue: l’assalto dell’islam terrorista, primizia di ciò che più di un analista ha qualificato come Quarta guerra mondiale. In Cantoni troviamo, altresì, una grande originalità. Prendendo le distanze da una certa letteratura che spesso sembra appena vorticare su sé stessa, egli esplora non solo la grande tradizione europea, ma anche una realtà non solitamente pressa in considerazione dagli analisti europei, e anzi a volte per-
Giovanni Cantoni, Reggente nazionale di Alleanza Cattolica 36 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2008
Plinio Corrêa de Oliveira
fino disistimata, eppure ricchissima di contenuti e di promesse: il pensiero controrivoluzionario latinoamericano, rappresentato da personaggi come Plinio Corrêa de Oliveria e Nicolás Gómez Dávila.
Plinio Corrêa de Oliveira
Diversi capitoli sono dedicati all’analisi della vita e del pensiero del prof. Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), ispiratore delle Società per la difesa della Tradizione Famiglia e Proprietà - TFP.
È merito di Giovanni Cantoni l’aver tradotto e diffuso largamente in Italia il capolavoro del dott. Plinio, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, al quale dedicò un articolo sul Secolo d’Italia già nel 1964, in occasione della prima edizione italiana. In un’intervista concessa all’Ufficio TFP di Roma nel 1999, e trascritta nell’opera in questione, Cantoni spiega il suo interesse per questo saggio:
“Ho creduto d’identificare nell’opera una risposta utile ai miei personali problemi politicoreligiosi e a quelli del mondo politico-culturale in cui vivevo: quindi uno strumento per far chiarezza. (...) E mi ha colpito soprattutto il fatto che permettesse di andare oltre la comprensione politica del passato e che, cogliendo aspetti esistenziali del processo rivoluzionario, ponesse nella seconda parte le premesse per un’opera di Restaurazione”.
Il libro di Giovanni Cantoni chiude con un denso saggio sul “Contributo di Plinio Corrêa de Oliveira e di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione allo sviluppo del pensiero de dell’azione controrivoluzionari”. In questo saggio conclusivo, l’autore si concentra su “un aspetto di novità, forse il principale aspetto di novità” del leader brasiliano: l’analisi della dimensione “tendenziale” della Rivoluzione, cioè del ruolo degli ambienti e delle “piccole realtà”.
Il “risveglio cattolico” e il ruolo del dott. Plinio
In una serie di tre articoli che si possono leggere nel sito del Cesnur (Centro studi sulle nuove religioni), il suo fondatore Massimo Introvigne, dirigente anche di Alleanza Cattolica, tratta la figura di Plinio Corrêa de Oliveira, di cui quest’anno si celebra il centenario della nascita, analizzando con acume il contesto storico in cui il leader cattolico
brasiliano svolse il suo apostolato controrivoluzionario.
Il primo grande fattore presente in quel contesto, secondo Introvigne, è il fenomeno di “risveglio cattolico” degli anni 1920. Spicca in esso sia l’operato del vescovo (e futuro cardinale) Sebastião Leme che la conversione del brillante scrittore Jackson de Figuereido. Le due figure chiedono per i cattolici, la stragrande maggioranza della popolazione, uno spazio che finora è stato loro negato. Nello spirito del “risveglio” nascerà la Lega Eleitoral Católica che dovrà domandare alla nuova Assemblea Costituente riunitasi a Rio de Janeiro nel 1934, un “decalogo” di punti da inserire nella Costituzione. La lista cattolica avrà un pieno successo elettorale e raggiungerà i suoi scopi, proiettando anche la figura di Plinio Corrêa de Oliveira, essendo stato, a soli 24 anni, il candidato più votato dell’intero Paese.
In un secondo articolo, viene preso in esame l’importanza determinante avuta nel Brasile del “populismo”, fenomeno apripista del socialismo e, in genere, di una certa demagogia di sinistra che farà propugnare, fra l’altro, “il mito della riforma agraria”, panacea sterile di risultati reali per al Paese. Sulla scia di questi ed altri miti populisti, incomincerà l’azione di mons. Hélder Camera, segretario della conferenza dei vescovi, ma in realtà esponente ideologico di una minoranza che, tuttavia, conta sul favore dei mass media. La linea cattolico-populista andrà a confluire nel fenomeno della Teologia della liberazione, che anni più tardi segnerà profondamente la chiesa brasiliana. In quel periodo Plinio Corrêa de Oliveira cerca di illuminare i suoi concittadini, diffondendo e TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2008 - 37
Il mondo delle TFP
commentando il magistero nettamente antisocialista e anticomunista di Pio XII, in realtà trascurato dagli esponenti “mediatici” della Chiesa brasiliana. Uno degli aspetti più rilevanti della scuola di pensiero e di azione che a poco a poco andrà formando Plinio Corrêa de Oliveira è la sua netta opposizione al populismo, inteso come trionfo della quantità sulla qualità e come agente promotore “dell’involgarimento della cultura”. La promozione di ambienti atti alla retta “formazione delle idee” e la denuncia di quelli contrari a questo fine, d’accordo alla massima di Paul Bourget “bisogna vivere come si pensa se no, prima o poi, si finisce per pensare come si vive”, sarà un punto originale e caratterizzante dell’apostolato del prof. Plinio. Nel terzo articolo Massimo Introvigne prende in esame la crisi del cattolicesimo brasiliano che ha provocato lungo i decenni il drenaggio di decine di milioni di fedeli cattolici verso una religiosità di tipo predominante pentecostale e di origine nordamericana. Nella sua ultima fase, questa crisi cattolica si manifestò nella deriva marxisteggiante della teologia della liberazione.
Adoperando la terminologia più recente della sociologia delle religioni di cui è esperto, Introvigne attribuisce la diminuzione del cattolicesimo brasiliano non tanto alla “crisi della domanda” (ossia il processo di secolarizzazione, che fa calare l’interesse per i “beni religiosi”), bensì ad una “crisi dell’offerta”, cioè a un problema intraecclesiastico per cui non si riesce a soddisfare l’anelito profondo
del popolo di avere più religione, religione “religiosa” e non religione imbevuta di tematiche sociali. Nella svolta sociale del cattolicesimo brasiliano, immense quantità di persone sono migrate verso le nuove realtà religiose. Realtà che, del resto, vengono accusate dalla sinistra cattolica di essere “oppio del popolo”, data la loro offerta di religione troppo spirituale e quasi puritana. Perciò, secondo questa analisi, l’accodarsi di una parte importante della Chiesa alle esigenze del populismo politico si è configurato oggettivamente come un fattore che ha favorito l’avanzata pentecostale. Su questo sfondo di crisi del cattolicesimo brasiliano, Introvigne torna sulla figura di Plinio Corrêa de Oliveira per segnalare il suo primo libro In difesa dell’Azione Cattolica (encomiato da Mons. Montini, futuro Paolo VI, a nome di Pio XIII) come un grido d’allarme contro certe tendenze che già si manifestavano negli anni 30 e 40 del secolo scorso e che, da una parte, portavano a diluire il discorso religioso nel discorso sociale e a rilassare la spiritualità in atteggiamenti più lassisti nei temi etici allo scopo di penetrare meglio la società. D’altra parte si tendeva a far confluire tutte le realtà del vasto movimento cattolico, ad. esempio, le Congregazioni mariane, nel solo contenitore dell’Azione Cattolica, creando ancora delusione fra i fedeli. Purtroppo “l’analisi proposta da Em defesa da Acão Católica non sarà capita”, conclude Introvigne.
Colombia: contro la guerriglia
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ome contributo alla benemerita reazione popolare contro la guerriglia marxista in Colombia, che qualche mese fa portò milioni in piazza a Bogota (foto), la Sociedad Colombiana Tradición y Acción, consorella delle TFP, ha pubblicato il libro “Colombia, nunca más bajo el imperio del caos” — Colombia, mai più sotto l’impero del caos. L’opera analizza le radici psicologiche e politiche della strategia arrendevole dei successivi governi durante gli ultimi vent’anni, e che portò il Paese sull’orlo della catastrofe, mentre si augura che l’attuale reazione, sotto l’egida del presidente Uribe, possa continuare a riportarlo sulla strada della pace e dell’ordine.
Università estiva delle TFP
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ome è ormai consuetudine, anche quest’anno le TFP europee realizzeranno un’Università estiva per la formazione della gioventù. L’evento avrà luogo nel castello di Kleinheubach, in Baviera, proprietà del Principe von Löwenstein, dal 20 al 27 luglio p.v. In occasione del 100° anniversario della nascita del prof. Plinio Corrêa de Oliveira, ispiratore delle Associazioni Tradizione Famiglia Proprietà, l’Università avrà come tema “Attualità della crociata contro-rivoluzionaria”, e conterà sulla partecipazione di giovani di almeno dodici paesi. Oltre alle conferenze dottrinali, la settimana di formazione comprenderà anche visite culturali e turistiche, nonché momenti di sano svago. La sessione di apertura sarà tenuta dal dott. Caio Xavier da Silveira, presidente della Fédération Pro Europa Christiana, mentre quella di chiusura sarà tenuta da S.A. il Duca Paul von Oldenburg, della TFP tedesca, insieme al dott. Adolpho Lindenberg, direttore della TFP brasiliana.
(Sopra, il castello di Kleinheubach, in Baviera. A sin, aspetti dell’Università estiva del 2006) TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2008 - 39
Nell’abbazia di Chiaravalle di Milano è stata celebrata una Messa in ricordo del prof. Plinio Corrêa de Oliveira. Davanti ad un pubblico composto maggiormente da giovani, D. Ernesto Zucchini ha rievocato la figura del leader cattolico: “Egli mi ha insegnato un percorso di bellezza. Mi ha fatto capire la bellezza di Maria e la bellezza della devozione mariana. Io davanti a Dio posso testimoniare che il prof. Plinio ha fatto tanto bene”. Membri della TFP tedesca partecipano alla Santa Messa nella Basilica di S. Paolo, a Treveri, durante la settimana dedicata alla venerazione della Tunica Inconsutile di Nostro Signore Gesù Cristo.
Il mondo
delle TFP
Mathias von Gersdorff, della TFP tedesca, consegna al dott. Hans-Gert Pöttering, Presidente del Parlamento Europeo, trentamila firme in sostegno d’una iniziativa contro la pornografia infantile.
Esponenti delle TFP hanno partecipato al 1° Seminario conservatore europeo tenutosi all’Università di Cambridge, in Inghilterra, dove hanno tenuto due relazioni. Organizzato dal Leadership Institute, di Washington, il Seminario ha congregato un centinaio di giovani leader conservatori.