Anno 11, n. 1 - marzo 2005 Sped. in Abb. Post. Art. 2, Comma 20/C, Legge 662/96 Filiale di Padova
“Vo i t ut ti c he passa te per la v ia, co nsidera te e o sserv ate se c 'è u n do lor e simile al mio do lor e” (G e re m i a, Lam e nt azi oni 1 , 1 2 )
Il “Vangelo del secolo XXI” pag 12
Brasile: le bugie della propaganda pag 22
La grazia di Genazzano pag 29
Settimana Santa Passione non è finita. In un certo modo essa continua lungo la storia: “Tutta la storia del mondo, tutta la storia della Chiesa non è altro che questa lotta inesorabile fra quanti sono di Dio e quanti sono del demonio, fra quanti sono della Vergine e quanti sono del serpente”.
“Q
uanti sono quelli che vivono in unione con la Chiesa questo momento, che è tragico come è stata tragica la Passione, questo momento cruciale della storia in cui tutta un’umanità sta optando per Cristo o contro Cristo?” 1
Il passaggio della vita di Nostro Signore Gesù Cristo che più commuoveva Plinio Corrêa de Oliveira era certamente la Passione, quel momento in cui al Figlio di Dio è stato chiesto il sacrificio supremo che avrebbe sconfitto per sempre il male, aprendo l’era della grazia. La nostra salvezza si è compiuta, sostanzialmente, sulla Croce. “Infine è arrivato il vertice di tutti i dolori. È un vertice tanto alto che è avvolto dalle nubi del mistero. (...) Perché? Per redimere l’uomo. Per distruggere il peccato. Per aprire le porte del Cielo. Il vertice della sofferenza è stato il vertice della vittoria. La morte era morta! La terra purificata era come un grande campo ripulito perché su di essa si edificasse la Chiesa”.
Purtroppo il demonio è in agguato, sempre pronto a far cadere le anime e colpire la Chiesa di Dio, cercando di vanificare l’opera della Redenzione. La
Uomo cattolico, apostolico, pienamente romano — come egli soleva definirsi — unito alla Chiesa da vincoli di intimità spirituale che noi a malapena possiamo intravedere, Plinio Corrêa de Oliveira soffriva in se stesso non solo le vicissitudini delle singole anime che optavano per Cristo o contro Cristo ma, soprattutto, la sorte della sposa di Cristo nel secolo in cui, nelle parole di Giovanni Paolo II, “la Chiesa è tornata ad essere una Chiesa di martiri”.
Ma oltre al dolore, Plinio Corrêa de Oliveira guardava alla vittoria del Bene come il suo frutto più prezioso: “Fra poco brillerà il mattino della Risurrezione! Signore Gesù, possa io non aver paura quando tutto sembra irrimediabilmente perduto. Non aver paura perché sono ai piedi della Madonna, vicino alla quale si raduneranno sempre, e sempre di nuovo, per nuove vittorie, gli autentici seguaci della tua Chiesa”.
Unione spirituale con Cristo e con la Chiesa, pentimento e riparazione per i nostri peccati, preghiera per la conversione delle anime e, soprattutto, fiducia incrollabile nel trionfo finale della Chiesa e della Cristianità, ecco i voti che Tradizione Famiglia Proprietà formula per tutti i suoi gentili amici in questa Santa Pasqua 2005. 1. Plinio Corrêa de Oliveira, Via Crucis, Roma, Luci sull’Est, 1998. In copertina e in alto: Jesús del Gran Poder, Siviglia, Spagna.
Settimana Santa
Sorriso, Agonia e Morte del Figlio di Dio di Plinio Corrêa de Oliveira Un giorno — correva l’anno 1630 — Frà Innocenzo da Palermo, umile frate francescano, decise di scolpire un crocifisso in legno di ebano. Lo iniziò dal corpo, a cui riuscì a dare la forma desiderata. E lasciò per ultimo il volto, cioè la parte più difficile. Che aspetto dargli? Il frate era colto da indefinibile e profonda perplessità. Una notte si coricò con l’anima appesantita da questo problema, ma quando al mattino si accinse a continuare l’opera che aveva lasciato incompiuta, la trovò inaspettatamente finita, con un meraviglioso volto, realizzato da un artista ignoto.
Era un volto in cui si fondevano armoniosamente, con delicatezza, la virilità e un’unzione soprannaturale, che lo facevano apparire come l’opera di un angelo. Ricco di sfaccettature, a seconda dell’angolo di osservazione, il divino crocifisso appare sorridente, agonizzante o ormai morto. Il meraviglioso crocifisso è conservato da tre secoli nel santuario di San Damiano, ad Assisi. Riportiamo di seguito una meditazione al riguardo scritta dal prof. Plinio Corrêa de Oliveira nel 1963.
Signore, cosa ti avrebbe indotto a sorridere dall’alto della croce?
C
he abisso di contraddizione fra i dolori che, dal capo ai piedi, tormentano il tuo sacro corpo e quel sorriso che affiora dolce, soave, tenero, socchiudendoti le labbra e illuminandoti il viso! Soprattutto, Signore, che contraddizione tra l’abisso dei dolori morali che riempie il tuo cuore e quella gioia, così delicata e così autentica, che traspare dal tuo volto! Contro di te si è scagliato tutto il mare magnum dell’ignominia e della miseria umana. Non c’e ingratitudine né calunnia che ti sia stata risparmiata. Hai predicato il Regno dei Cieli e la tua predica è stata rifiutata dalla vile brama delle cose terrene. Il demonio, il mondo, la carne, in una infamante rivolta contro di te, ti hanno portato al patibolo, e lì sei in attesa della morte. Eppure sorridi! Perché?
Le tue palpebre sono quasi chiuse. Quasi... ma qualcosa possono vedere ancora. E quel che vedi, Signore, è la più grande meraviglia della creazione, il capolavoro del Padre celeste, un’aniTRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2005 - 3
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ma — e quanta bellezza ci può essere in un’anima! — ricchissima e integra nella sua natura, colma di ogni dono della grazia, e santificata da una corrispondenza continua e perfettissima a tutti quei doni. Vedi Maria. Vedi tua madre. E nel mezzo di tutti gli orrori nei quali sei sommerso, tale è la meraviglia che vedi, che sorridi affettuosamente, per incoraggiarla, per comunicarle qualcosa della tua gioia, per dirle qualcosa del tuo amore infinito e sublime. Tu vedi Maria. E accanto alla Vergine fedele, vedi gli eroi della fedeltà: l’apostolo vergine e le sante donne, la fedeltà dell’innocenza e la fedeltà della penitenza. Il tuo sguardo, per il quale tutto è presente, va molto più lontano perché si estende nei secoli, facendoti vedere tutte le anime fedeli che ti avrebbero adorato ai piedi della Croce fino al
“Per le lacrime di Maria, per l’ultima agonia, abbi pietà di me”
Q
uesti versi così semplici di un cantico religioso senza pretese mi colpirono profondamente. E mi vengono in mente contemplando il vostro volto in agonia.
L’ultima agonia... Che forza in quella espressione! Ogni tappa dell’agonia sembra una fine, dalla quale sgorga non la fine ma un’altra agonia ancora peggiore. E così, di dolore in dolore, di eccesso in eccesso, si giunge all’estrema agonia in cui la morte spezza i vincoli ultimi che legano l’anima al corpo.
Ultima agonia di un corpo spaventosamente tormentato... agonia di un’anima a cui la perfidia umana ha causato ogni possibile tristezza. È la parte più atroce della Passione. Maria Santissima, che tutto vede e tutto sente, piange. Il cielo si copre. La terra si accinge a tremar di orrore. Gli sciocchi schiamazzi della plebaglia ostile cercano di impregnare di volgarità la sublime scena. Ma intanto un grido di dolore partito dal tuo petto sale
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giorno del Giudizio. Vedi la Santa Chiesa cattolica, tua sposa. E per tutto ciò sorridi, con il sorriso più triste e più beato, più dolce e più compassionevole di tutta la storia.
Il Vangelo mai ti presenta ridendo, Signore. E solo le anime che ignorano o che hanno orrore della impudenza sensuale e volgare, possiedono il segreto di sorrisi come questo! Fra le miriadi di anime che nel seguito di Maria sono ai piedi della Croce, e per le quali tu sorridi, ci sarà anche la mia, Signore?
Umile, inginocchiato, sapendomi indegno, tuttavia ti chiedo un sì. Tu che non hai scacciato dal Tempo il pubblicano, per le preghiere di Maria non allontanare da te un peccatore contrito e umiliato. Dammi dall’alto della Croce una goccia del tuo ineffabile sorriso, o buon Gesù!
fino al cielo: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”
È l’ora del trionfo effimero dell’iniquità. È anche l’ora dell’estrema misericordia, delle conversioni inattese e miracolose. L’anima del buon ladrone parte per attenderti nel limbo. Milioni e milioni di anime, per i meriti infiniti della tua ultima agonia, per il valore supplicante delle lacrime di Maria, in tutti i secoli si convertiranno meditando questo passo della tua Passione.
Fra di esse, Signore, metti anche la mia anima. Rompi, ti prego, il ghiaccio della mia tiepida volontà. Brucia le mie vili condiscendenze alle seduzioni e opere di satana. Fai di me un vero figlio della luce, forte, impavido, “terribile come esercito schierato a battaglia” contro i tuoi avversari. “Per le lacrime di Maria, per l’ultima agonia, abbi pietà di me!”
Tutto è compiuto: “consummatum est”
L
a tua testa pende inerte. Una maestosa pace, soavissima e divina, splende in tutto il tuo corpo, sei pieno di pace, o Principe della Pace.
Ma intorno a te tutto è afflizione e sconvolgimento. Afflizione estrema nel Cuore di Maria e nel piccolo gruppo dei tuoi fedeli. Sconvolgimento nell’universo intero. Il sole si oscura, la terra trema, il velo del Tempio si squarcia, i centurioni scappano. Ma tu resti in pace. Sì, perché tutto è compiuto. Perché l’iniquità ha palesato la sua infamia fino alla fine. E perché tu hai palesato fino all’estremo la tua divina perfezione. Per i meriti sovrabbondanti della tua passione e morte, gli uomini possono riconoscere tutta la bellezza della luce e tutto l’orrore delle tenebre, perché possano essere figli della luce e inesorabili avversari delle tenebre.
Ai piedi della Croce c’è Maria. Che sublimi meditazioni farà nel suo intimo Colei di cui il Vangelo narra che già agli albori delle tua vita “serbava tutte queste cose nel cuore”, cioè le cose che ti riguardavano. Cuore Immacolato di Maria, sede della sapienza, comunicami una scintilla, anche la più piccola, della tua lucidissima e ardente meditazio-
ne sulla passione e morte del tuo figlio, il mio divino Redentore, affinché io la serbi come fuoco sacro e purificatore per sempre nell’intimo della mia anima. Così sia!
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Settimana Santa
Ave Crux spes unica!
S. Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein)
“Ti salutiamo, Croce santa, nostra unica speranza!” Così la Chiesa ci fa dire nel tempo di Passione dedicato alla contemplazione delle amare sofferenze di Nostro Signore Gesù Cristo. Il mondo è in fiamme: la lotta tra Cristo e anticristo si è accanita apertamente, perciò se ti decidi per Cristo può esserti chiesto anche il sacrificio della vita. Contempla il Signore che pende davanti a te sul legno, perché è stato obbediente fino alla morte di Croce. Egli venne nel mondo non per fare la sua volontà, ma quella del Padre. Se vuoi essere la sposa del Crocifisso devi rinunciare totalmente alla tua volontà e non avere altra aspirazione che quella di adempiere la volontà di Dio. (...) Stai davanti al Signore che pende dalla Croce con il cuore squarciato: Egli ha versato il sangue del suo Cuore per guadagnare il tuo cuore. Per poterlo seguire in santa castità, il tuo cuore dev’essere libero da ogni aspirazione terrena; Gesù Crocifisso dev’essere l’oggetto di ogni tua brama, di ogni tuo desiderio, di ogni tuo pensiero. Il mondo è in fiamme: l’incendio potrebbe appiccarsi anche alla nostra casa, ma al di sopra di tutte le fiamme si erge la Croce che non può essere bruciata. La Croce è la via che dalla terra conduce al Cielo. Chi l’abbraccia con fede, amore, speranza viene portato in alto, fino al seno della Trinità. Il mondo è in fiamme: desideri spegnerle? Contempla la Croce: dal Cuore aperto sgorga il sangue del Redentore, sangue capace di spegnere anche le fiamme dell’inferno. Attraverso la fedele osservanza dei voti religiosi rendi il tuo cuore libero e aperto; allora si potranno riversare in esso i flutti dell’amore divino, sì da farlo traboccare e renderlo fecondo fino ai confini della terra. Attraverso la potenza della Croce puoi essere presente su tutti i luoghi del dolore, dovunque ti porta la tua compassionevole carità, quella carità che attingi dal Cuore Divino e che ti rende capace di spargere ovunque il suo preziosissimo sangue per lenire, salvare, redimere. Gli occhi del Crocifisso ti fissano interrogandoti, interpellandoti. Vuoi stringere di nuovo con ogni serietà l’alleanza con Lui? Quale sarà la tua risposta? “Signore, dove andare? Tu solo hai parole di vita”. (Edith Stein, Dottrina, Testi inediti, Roma, pp. 127-130.) 6 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2005
“D
i fronte all’opera di distruzione della Rivoluzione libertaria ed egualitaria — sosteneva Plinio Corrêa de Oliveira — il nostro amore verso la Chiesa, il nostro amore verso la Civiltà Cristiana, il nostro amore verso la Patria, frutti dell’amore che sale a Dio per mezzo di Maria, si trasformano in un irrinunciabile dovere di militanza contro-rivoluzionaria” 1.
Un amore combattivo
Ecco sintetizzato in poche parole lo spirito di Plinio Corrêa de Oliveira: alla base un ardente amore a Dio per mezzo della Santissima Vergine, che si volgeva poi gerarchicamente all’opera divina rispecchiata nella creazione. Anzitutto alla Santa Chiesa Cattolica, sposa mistica di Cristo; quindi alla Civiltà Cristiana, realizzazione temporale delle realtà spirituali; e infine alla Patria, senza tralasciare le anime, riflessi vivi del Dio vivo, per le quali il dottor Plinio nutriva un tale zelo che non riusciva ad avvicinare una persona, anche sconosciuta, senza interessarsi a fondo per il suo bene spirituale. Ma l’amore, per essere completo, deve comprendere anche un’altro aspetto.
Dalla caduta di Lucifero, e poi dei nostri padri Adamo ed Eva, noi dobbiamo fare i conti con una realtà ineluttabile, con quel “mistero di iniquità” chiamato peccato.
Se ci riportiamo all’inizio della creazione vediamo Dio e i Suoi angeli nella gioia infinita d’un mondo ancora incontaminato. Trascinati da Lucifero, alcuni angeli scelsero però di
Passione: una lettura per la Chiesa militante ribellarsi contro l’ordine divino. Scoppia allora la prima rivoluzione della storia, il non serviam satanico. Davanti a questo fatto sconvolgente, per gli angeli rimasti fedeli sorse un nuovo obbligo morale: dare testimonianza di Dio, cioè amarLo, lodarLo e servirLo, in netto contrasto con coloro che Lo odiavano, bestemmiavano e si ribellavano. In altre parole, nacque il dovere della militanza, al quale non si sottrasse S. Michele: “Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo” 2.
D’allora in poi non si può pensare all’amore di Dio senza aggiungere un sentimento, armonico ed opposto, di ripudio e di contrasto al male, definitivamente stabilito nella creazione col peccato di Lucifero, e sulla terra col peccato di Adamo. Sottrarsi a questo sentimento implica non amare Dio fino in fondo.
Ed ecco la triplice divisione della Chiesa: la Chiesa trionfante, cioè quella che è già in Cielo; la Chiesa purgante, cioè quella che è nel purgatorio in attesa di andare in Cielo; e la Chiesa militante, della quale noi facciamo parte. Militante appunto perché impegnata in una lotta permanente contro “il demonio, il mondo e la carne”.
Agire contro
Profondo conoscitore delle anime, S. Ignazio di Loyola aveva una massima d’oro per la vita spirituale: agire contro, ovvero fare esattamente l’opposto di ciò che il demonio vuole da noi in quel momento. Questo vale anche per la vita della Chiesa e della Civiltà Cristiana. Ogni epoca ha i suoi difetti e le sue mancanze. Spetta alla Chiesa, Madre amorevole ed apostolica, saper cogliere queste disfunzioni e affrontarle per dilatare il Regno di Dio. Così come i benedettini dell’alto Medioevo seppero foggiare uno spirito di raffinatezza atto a incivilire i popoli barbari che
Ecco sintetizzato lo spirito di Plinio Corrêa de Oliveira: alla base un ardente amore a Dio per mezzo della Santissima Vergine, che si volgeva poi gerarchicamente all’opera divina rispecchiata nella creazione. Anzitutto alla Santa Chiesa Cattolica, quindi alla Civiltà Cristiana, alla Patria ed alle anime, riflessi vivi del Dio vivo.
A d., il prof. Plinio Corrêa de Oliveira alla Veglia Pasquale del 1989. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2005 - 7
Settimana Santa
“Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo”. La Passione appare come l’episodio culminante della lotta storica fra il bene e il male, fra Dio e il demonio. A s., il Paradiso perduto, litografia di Gustave Dore.
avrebbero in seguito costruito l’Europa cristiana, secoli dopo S. Francesco d’Assisi seppe invece proclamare il valore della semplicità evangelica di fronte a un mondo ormai troppo attaccato ai beni terreni. Due soluzioni apparentemente opposte ma in realtà armoniche fra loro e frutto dello stesso amore, ma atte a confrontare situazioni diverse.
Fra i difetti dell’ambiente cattolico Plinio Corrêa de Oliveira denunciava in modo particolare la tendenza a dimenticare che “la vita dell’uomo sulla terra è una milizia”. (Gio 7,1)
Gli ultimi decenni sono stati troppo spesso contrassegnati da quello che è divenuto noto come “buonismo”, vale a dire quel atteggiamento romantico e caramelloso secondo il quale un bel sorriso risolve qualsiasi problema. I risultati sono lì per chiunque voglia aprire gli occhi: mentre altre realtà, e in primis l’islam, raffermano con orgoglio la propria identità e non nascondono le proprie ambizioni espansionistiche, tante cose buone nel mondo cattolico tendono a sciogliersi come neve al sole.
Una lettura da cattolico militante
Ed ecco che, proprio per “agire contro” questo difetto capitale del tempo, nei commenti della Settimana Santa il pensatore brasiliano faceva una lettura della Passione da membro della Chiesa militante, mettendo in rilievo certe verità trascurate.
Secondo lui, precisamente contro la passione e morte del Divino Redentore si frantumano impotenti gli utopistici balbettii dell’irenismo. Tali balbettii cozzano a fondo con la dottrina cattolica, in quanto mentre postulano la presunta bontà naturale dell’uomo negano, teoricamente e praticamente, in maggiore o minore grado, l’esistenza del peccato originale e dei peccati attuali nonché le loro conseguenze sulla vita individuale e sociale. Orbene, il peccato si mostrò di fronte a Nostro Signor Gesù Cristo in tutta la sua ingiustizia, in tutto il suo torto, in tutta la sua atroce e dichiarata malvagità.
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La Passione: episodio apice della lotta fra bene e male
Da questa prospettiva la Passione appare come un episodio, anzi come l’episodio apice della lotta storica fra il bene e il male, fra Dio e il demonio. Leggiamo nel commento alla XI stazione della Via Crucis “Gesù inchiodato sulla croce”:
“Tutto è stato predisposto dall’inferno per farti soffrire, sia nell’anima che nel corpo. Quest’odio immenso non contiene per me nessuna lezione? Fra te e il demonio, fra il bene e il male, fra la verità e l’errore, vi è un odio profondo, irriconciliabile, eterno. Le tenebre odiano la luce, i figli delle tenebre odiano i figli della luce, la lotta fra gli uni e gli altri durerà fino alla consumazione dei secoli, e non vi sarà mai pace fra la stirpe della Donna e la stirpe del serpente.
“Per comprendere l’estensione incommensurabile, l’immensità di questo odio, si osservi tutto quanto ha osato fare. Ecco il Figlio di Dio trasformato, nel-
“Poté esservi chi lo odiasse? Sì, qui la realtà è innegabile, clamorosa. Egli fu vittima dell’odio più implacabile che si conosca”.
A d., immagine di Gesù flagellato, che Plinio Corrêa de Oliveira teneva nella sua camera da letto.
l’espressione della Scrittura, in un lebbroso nel quale non vi è niente di sano, in un essere che si contorce come un verme sotto l’azione del dolore, detestato, abbandonato, inchiodato su una croce fra due volgari ladroni.
“Tutta la storia del mondo, tutta la storia della Chiesa non è altro che questa lotta inesorabile fra quanti sono di Dio e quanti sono del demonio, fra quanti sono della Vergine e quanti sono del serpente. Lotta nella quale non vi sono soltanto equivoci dell’intelligenza, non vi è soltanto debolezza, ma anche malizia, malizia deliberata, colpevole, peccaminosa, nelle schiere angeliche e umane che seguono satana. “Ecco quanto bisogna dire, notare, ricordare, sottolineare, proclamare, e di nuovo ricordare ai piedi della croce. Perché siamo fatti in modo tale, e il liberalismo ci ha sfigurati a tal punto, da essere sempre propensi a dimenticare questo aspetto imprescindibile della Passione”3.
La fallacia irenista
La radice del buonismo è l’implicita negazione del male e, di conseguenza, del peccato volontario. Secondo questa visione, gli uomini sarebbero naturalmente buoni. Se commettono errori o fanno il male, se aggrediscono o praticano violenze e crimini, questo sarebbe dovuto semplicemente ad equivoci o circostanze, o a strutture sociali avverse che ve li avrebbero condotti. Gli uomini diventano cattivi solo perché non sono trattati con bontà, non sono state fatte loro opportune concessioni, né gli si danno prove illimitate di fiducia. Ora, come abbiamo detto prima, precisamente, contro la passione e morte del Divino Redentore si frantumano impotenti questi utopistici balbettii. Rifletteva al riguardo Plinio Corrêa de Oliveira: “Poté esservi chi lo odiasse? Sì, qui la realtà è innegabile, clamorosa. Nel corso dei secoli ha causato spavento, dolore e indignazione. Egli fu vittima del-
l’odio più implacabile che si conosca, un odio che si organizzò, che lo perseguitò con trame occulte e successive campagne di calunnie ed, infine, dopo il giudizio più iniquo della storia, lo condusse alla morte, alla morte in Croce.
“Come è possibile sostenere che tutto ciò si dovette ad un mero equivoco di comprensione o a qualche risentimento dei suoi persecutori che avesse come causa Lui che era la più pura innocenza? Quando mai vi fu un apostolo più prudente e pieno di tatto, un maestro più persuasivo e attraente, un benefattore più misericordioso e completo, un’incarnazione più viva e integra della verità, del bene e della bellezza?
“Tuttavia, contro di Lui si levarono gli odii senza ragione, il furore persecutorio di quelli che, tramando nell’ombra, rispondevano ai sublimi insegnamenti, alle cure miracolose, al perdono infinito, moltiplicando le insidie, aumentando la diffusione delle calunnie, alimentando in se stessi la deliberazione
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Settimana Santa
“ I o c e rc o c o n l o s g u a r d o l a Chiesa Cattolica per essere permeato dal suo spirito, per averla dentro di me. Io vorrei averla interamente nella mia anima, vorrei vivere soltanto per la Chiesa. Sicché, al momento della mia morte, io possa dire: Veramente, fui un uomo cattolico, tutto apostolico, romano, romano, romano!”
deicida proprio perché non era possibile trovare in Lui la più piccola macchia, né ombra d’ingiustizia o imperfezione. “Quale equivoco intellettuale, quale cattivo trattamento, quale parvenza di pretesto poteva addurre Giuda, il quale era uno dei dodici, accolto nella convivenza insondabilmente soave, nell’intimità infinitamente dolce dal Divino Maestro? Ciò che esisteva, come lo mostra chiaramente il Vangelo, era uno smarrimento morale, una volontà viziata che si aprì al male. Giuda divenne ladro, seguì le sue cattive inclinazioni e, abisso chiama abisso: l’evangelista ci dice che, in un determinato momento, ‘entrò Satana in Giuda’. “Giuda si mise al servizio del male organizzato che cospirava contro Nostro Signore, divenne traditore, il traditore per
antonomasia. Egli consegnò il Figlio dell’Uomo con un bacio, cioè aumentò l’iniquità del tradimento, poiché nel medesimo atto di consumarlo lo fece con la falsità di fingere un affetto che non aveva. Infine, lo stesso traditore fece testimonianza contro se stesso quando prima di impiccarsi disse: ‘Ho peccato consegnando sangue innocente’” 4.
Sentire cum Ecclesia
Ma forse l’aspetto più sublime delle meditazioni di Settimana Santa di Plinio Corrêa de Oliveira era la sua predisposizione a seguire la Passione di Nostro Signore Gesù Cristo in intima unione spirituale con la Chiesa. “Io cerco con lo sguardo la Chiesa Cattolica per essere permeato dal suo spirito, per averla
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dentro di me — dichiarava in una conferenza del 1978 — Io vorrei averla interamente nella mia anima, vorrei vivere soltanto per la Chiesa. Sicché, al momento della mia morte, io possa dire: Veramente, fui un uomo cattolico, tutto apostolico, romano, romano, romano!” 5.
In Cristo Plinio Corrêa de Oliveira vedeva la Chiesa, come nella Chiesa egli vedeva Cristo. Nel considerare la Passione di Cristo egli considerava anche la “passione” della Chiesa nel secolo XX, come nel considerare la “passione” della Chiesa egli vedeva Cristo sofferente e sanguinante sul cammino del Calvario... Commentando la VI stazione “La Veronica asciuga il volto di Gesù” egli scriveva: “Che re ha avuto in mano un tessuto più prezioso di quel
“La Pasqua si avvicina! Non aver paura, perché siamo ai piedi della Madonna, vicino alla quale si raduneranno sempre, e sempre di nuovo, per nuove vittorie, gli autentici seguaci della tua Chiesa”. A d., Risurrezione, di Hans Memling.
velo? Che generale ha avuto una bandiera più augusta? Ma vi è una grazia che vale molto di più del possedere miracolosamente stampato su un velo il santo volto del Salvatore. Sul velo la rappresentazione del volto divino è stata fatta come in un quadro.
“Nella santa Chiesa cattolica, apostolica, romana è fatta come in uno specchio. Nelle sue istituzioni, nella sua dottrina, nelle sue leggi, nella sua unità, nella sua universalità, nella sua insuperabile cattolicità, la Chiesa è un autentico specchio nel quale si riflette il nostro divino Salvatore. Ancora di più, è lo stesso corpo mistico di Cristo.
“E noi, tutti noi, abbiamo la grazia di appartenere alla Chiesa, di essere pietre vive della Chiesa! Come dobbiamo ringraziare di questo favore! Ma non dimentichiamo che noblesse obblige: far parte della Chiesa è cosa molto elevata e molto ardua. Dobbiamo pensare come pensa la Chiesa, sentire come sente la Chiesa, agire come la Chiesa vuole che agiamo in tutte le circostanze della nostra vita. Questo suppone un senso cattolico reale, una purezza di costumi autentica e completa, una pietà profonda e sincera. In altri termi-
ni, suppone il sacrificio di tutta un’esistenza.
“E qual è il premio? Christianus alter Christus. Sarò una riproduzione di Cristo stesso in modo eccellente. La somiglianza di Cristo si imprimerà, viva e sacra, nella mia stessa anima”.
La certezza del trionfo
Chi ha conosciuto Plinio Corrêa de Oliveira sa che egli aveva un carattere molto gioviale. Questo proveniva, oltre che dal suo naturale temperamento, dalla certezza della vittoria finale del bene, confermato anche dalla promessa della Madonna a Fatima: Infine il mio Cuore Immacolato trionferà!
Nei suoi commenti, soprattutto all’ultima stazione della Via Crucis “Gesù posto nel sepolcro”, egli non mancava mai di sottolineare questo:
“Tutto sembra finito. È il momento in cui tutto comincia. È il radunarsi degli Apostoli. È il rinascere delle dedizioni, delle speranze. La Pasqua si avvicina! “Nello stesso tempo l’odio dei nemici gira attorno al sepolcro e a Maria Santissima e agli
Apostoli. Ma essi non hanno paura. E fra poco brillerà il mattino della Risurrezione.
“Signore Gesù, possa anch’io non aver paura. Non aver paura quando tutto sembrerà irrimediabilmente perduto. Non aver paura quando tutte le forze della terra sembreranno nelle mani dei tuoi nemici. Non aver paura perché sono ai piedi della Madonna, vicino alla quale si raduneranno sempre, e sempre di nuovo, per nuove vittorie, gli autentici seguaci della tua u Chiesa”.
Note______________________________
1. Plinio Corrêa de Oliveira, “Il sacro dovere della militanza contro-rivoluzionaria”, in Il Pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira, n. 1, 1996. 2. Apoc. 12, 7-8. 3. Plinio Corrêa de Oliveira, Via Crucis, Luci sull’Est, Roma, 1998. 4. “Il sacro dovere della militanza contro-rivoluzionaria”. 5. “Amate la Santa Chiesa!”, Tradizione Famiglia Proprietà, dicembre 1998.
TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2005 - 11
Settimana Santa
La Passione secondo la Sacra Sindone La Sacra Sindone di Torino conferma, con straordinaria precisione, i terribili tormenti inflitti a Nostro Signore Gesù Cristo durante la Passione, al punto di essere stata paragonata ad un “Quinto Vangelo”
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editare sulla passione e morte di Nostro Signore Gesù Cristo, specie durante la Quaresima, è sempre stato motivo di grandi consolazioni spirituali e profitto per la vita interiore. Purtroppo per noi, uomini del secolo XXI costretti a vivere nel turbine della società tecnologica, riesce sempre più difficile “staccare” per poter meditare in santa pace ed elevare il nostro spirito alla considerazione delle cose divine. D’altronde, figli d’una educazione che riduce al minimo il ruolo del raziocinio, siamo sempre più immersi in ciò che Papa Paolo VI definì la “civiltà dell’immagine”.
Un messaggio per i nostri tempi
Forse la Divina Provvidenza pensava proprio a noi quando decise di aspettare il secolo XX per cominciare a svelare i misteri della più preziosa reliquia della Cristianità: la Sacra Sindone di Torino.
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Si tratta del lenzuolo di lino che avvolse il corpo esanime di Gesù nel sepolcro. Tutti e quattro gli evangelisti parlano della deposizione di Gesù nel “vicino sepolcro nuovo che Giuseppe di Arimatea aveva fatto scavare nella roccia”, e i primi tre dicono che “dopo averlo deposto dalla croce lo avvolsero in un lenzuolo”. Dopo parecchie vicissitudini, a metà del 1400 questo lenzuolo finì nel tesoro di Casa Savoia, prima a Chambéry e poi a Torino, salvo poi diventare patrimonio del Vaticano nel 1983, pur restando sempre nel Duomo di Torino.
Il lenzuolo misura (in cm.) 436 per 110, è tessuto a spina di pesce e filato a mano secondo tecniche usate in Palestina nel I secolo. Nella parte mediana longitudinale si intravede l’evanescente doppia impronta (frontale e dorsale) del cadavere di un uomo, a grandezza naturale. Il corpo raffigurato è quello di un maschio sulla trentina, con la barba e i capelli lunghi, robusto, di circa 1,75 di statura, con tratti fisionomici tipicamente semiti. Dall’impronta si può dedurre che l’Uomo della Sindone fu torturato, flagellato, crocifisso e trapassato da una lancia al costato. Tutto questo è visibile ad occhio nudo ed era noto sin dall’antichità. La tradizione cristiana ha sempre ritenuto questo lenzuolo una reliquia autentica, e
l’Uomo della Sindone un ritratto di Nostro Signore Gesù Cristo. Ne sono prova, per esempio, diverse icone bizantine raffiguranti Cristo e che chiaramente ricalcano l’Uomo della Sindone, nonché numerosi documenti che ne dimostrano il culto già in epoche molto remote. Ma si dovette aspettare il 1898 perché succedesse qualcosa che avrebbe per sempre segnato il destino della reliquia.
Comincia l’avventura scientifica
Il 25 maggio di quell’anno, la Sindone venne fotografata per la prima volta dall’avvocato torinese Secondo Pia. Egli rimase sbalordito quando sviluppò le prime due lastre: le fotografie rivelarono che l’immagine sindonica si comportava naturalmente come un negativo! Come mai? C’era indubbiamente un mistero.
Secondo Pia, fotografo della Sacra Sindone nel 1898.
Pagina precedente: la straordinaria fotografia del Volto sindonico ottenuta dal cav. Giuseppe Enrie nel 1931. La Sacra Sindone si comporta naturalmente come un negativo.
Comincia allora l’avventura scientifica della Sindone, vale a dire il suo studio sistematico con le tecnologie più avanzate. E più la si studiava, più se ne rimaneva scon-
“Dopo averlo deposto dalla croce lo avvolsero in un lenzuolo” (Lc. 23, 53)
La tradizione cristiana ha sempre ritenuto questo lenzuolo una reliquia autentica, e l’Uomo della Sindone Nostro Signore Gesù Cristo. E adesso la scienza lo ha confermato. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2005 - 13
Settimana Santa certati. Più si scoprivano i suoi misteri, più ci si accorgeva di stare appena grattando la superficie. Nel 1959 veniva fondato a Torino il Centro Internazionale di Sindonologia, mentre nel 1977 nasceva lo STURP — Shroud of Turin Research Project, Progetto di Ricerca sulla Sindone di Torino — che riunisce soprattutto studiosi americani. Scienziati dello STURP (Shroud of Turin Research Project) intenti a studiare la Sacra Sindone.
ricerche degli ultimi decenni, non c’è niente che contenga la ben che minima informazione che contesti la narrazione dei Vangeli” 2.
Perciò alcuni cominciarono a chiamare la Sacra Sindone il “Quinto Vangelo” o “Vangelo del secolo XX”.
Questo “Vangelo” è così ricco di dettagli, che il famoso chirurgo francese Pierre Barbet, pioniere degli studi medici sulla Sindone, arriva a dire che “un chirurgo che studi la Sacra Sin-
gue, chiamata clinicamente ematoidrosi, è un evento raro. Si osserva in condizioni di grande debolezza fisica accompagnata da forte scossa morale, emozione e paura. Ecco ciò che S. Luca chiama “angoscia”. C’è una brusca vasodilatazione dei capillari sottocutanei, che si rompono sotto le ghiandole sudoripare. Il sangue si mischia al sudore e fuoriesce dai pori.
Elaborazioni al computer delle immagini tridimensionali del volto dell’Uomo della Sindone, particolarmente quelle eseguite dal prof. Giovanni Tamburelli nel 1978, mostrano la pelle intrisa di sangue, oltre a innumerevoli abrasioni e piccoli coaguli, come sarebbe appunto avvenuto in conseguenza di una ematoidrosi.
Lo schiaffo in casa di Anna
“Aveva appena detto questo, che una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: ‘Così rispondi al sommo sacerdote?’” (Gv. 18, 22)
Questa non è la sede per un esaustivo resoconto di queste ricerche 1. Ci interessa coglierne solo un aspetto: la clamorosa conferma della narrazione evangelica sulla Passione di Nostro Signore Gesù Cristo.
Il “Quinto Vangelo”
Dopo decenni di indagini, gli scienziati possono affermare che la Sacra Sindone è perfino più minuziosa dei Vangeli nel raccontare, nel suo muto linguaggio, i dettagli della Passione. Commenta il prof. John Heller, dello STURP: “In tutte le
done per meditare sulla Passione percorrendo le diverse tappe del martirio di Gesù può, meglio di un grande predicatore o di un santo asceta, accompagnare le sofferenze di Cristo” 3.
L’agonia nell’Orto
“In preda all’angoscia, [Gesù] pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra” (Lc. 22, 44)
L’unico evangelista che descrive questo fatto è un medico, Luca, e lo fa con precisione clinica. La sudorazione di san-
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Dall’analisi del volto dell’Uomo della Sindone si evidenzia un grande ematoma sulla guancia destra. Il naso è gonfio, deviato a destra e visibilmente rotto.
Un sindonologo torinese, il prof. Judica Cordiglia, ritiene che questa ferita fu inflitta da un bastone di legno, corto e di circa 4-5 cm di diametro. Il colpo provocò un’abbondante emorragia nasale. Infatti, il baffo dell’Uomo della Sindone è intriso di sangue sul lato destro, e così pure la barba sottostante.
I moderni linguisti ritengono che il termine utilizzato da S. Giovanni, e normalmente tradot-
Ingiurie e lesioni
“Cominciarono poi a salutarlo: ‘Salve, re dei Giudei!’. E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano a lui” (Mc. 15, 18-19)
Elaborazione tridimensionale del Volto dell’Uomo della Sindone. È ben visibile il naso gonfio, deviato a destra e rotto.
to come “schiaffo”, possa essere interpretato come “bastonata”, il che sarebbe conforme ai dati della Sacra Sindone.
L’uomo della Sindone presenta molteplici traumi: tumefazioni sulla fronte, sulle arcate sopraccigliari, sugli zigomi, sulle guance, sulle labbra e sul naso. Quest’ultimo risulta deformato per via della rottura della cartilagine dorsale, vicino all’inserimento sull’osso nasale che, invece, è intatto. Dal naso escono due rivoli di sangue. Sul volto vi sono ecchimosi un po’ ovunque, ma soprattutto sul lato destro, visibilmente gonfio. Le sopracciglia sono lacerate, le ossa hanno
ferito la pelle dall’interno. Lo zigomo sinistro presenta diverse incisioni. Abbiamo a che fare, dunque, con un uomo che è stato brutalmente picchiato con colpi di bastone, pugni e schiaffi.
La flagellazione
“Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare” (Gv. 19, 1 )
La Sacra Sindone ci offre un quadro molto completo, preciso e orrendo della flagellazione. Sull’Uomo della Sindone si possono contare più di 120 colpi di flagello, inflitti da due uomini robusti, l’uno più grande dell’altro, ai due lati del reo. Erano esperti. L’unica parte del corpo che non presenta segni di flagel-
Sull’Uomo della Sindone si possono contare più di 120 colpi di flagello. L’unica parte del corpo che non presenta segni di flagellazione è il petto, ma solo per evitargli la morte precoce. Sotto, un flagrum romano del tipo usato ai tempi di Gesù Cristo.
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Settimana Santa
Sul capo dell’Uomo della Sindone appaiono almeno cinquanta ferite da punta, piccole ma profonde, riconducibili all’applicazione, non propriamente d’una “corona”, ma di un “casco” di rami spinosi, probabilmente quelli che i botanici oggi conoscono come Zizyphus spina Christi (sopra).
lazione è il petto. Colpi di flagello nella regione pericardica avrebbero potuto, infatti, causargli la morte precoce. Non mancano lesioni sulle gambe, il che significa che l’Uomo della Sindone fu flagellato svestito.
Le impronte sindoniche ci permettono, inoltre, di identificare due diversi strumenti utilizzati per questa tortura. Uno, il flagrum taxillatum, era composto da tre strisce con due piccole palle di piombo ognuna. Ogni colpo provocava quindi sei contusioni. L’altro strumento, invece, aveva alle estremità ganci metallici. L’uno percuoteva, l’altro lacerava. Studiando le impronte, è stato possibile stabilire perfino la posizione di Gesù durante la flagellazione: chinato su una colonna assai bassa.
Sotto, dettaglio della nuca, dove sono ben visibili i fatti emorragici.
ma profonde, riconducibili all’applicazione, non propriamente d’una “corona”, ma di un “casco” di rami spinosi. Le macchie di sangue più cospicue sono in corrispondenza delle vene e delle arterie della testa.
A destra di chi guarda l’immagine si vedono due rivoletti di sangue. Uno di questi scende lungo la capigliatura in direzione della spalla, l’altro quasi perpendicolarmente sulla fronte verso il sopracciglio. Questi fuoriescono da una ferita da punta che ha leso il ramo frontale dell’arteria temporale superficiale. Il sangue ha infatti carattere nettamente arterioso. Verso il mezzo della fronte vediamo una breve colatu-
La coronazione di spine
“E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora” (Gv. 19, 2)
Sul capo dell’Uomo della Sindone appaiono almeno cinquanta ferite da punta, piccole
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ra di sangue venoso in forma di 3 rovesciato, conseguente ad una lesione della vena frontale.
Le ferite prodotte dalla corona, o meglio dal casco, di spine scendono da dietro fino alla nuca, dove si rilevano fatti emorragici che ripetono la stessa fisionomia di quelli frontali. Le spine, conficcatesi profondamente, hanno leso qualche ramo dell’arteria occipitale e vene più profonde del plesso vertebrale posteriore. Il capo è pieno di vasi sanguigni e terminazioni nervose. La corona di spine deve avere certamente causato un dolore atroce a Nostro Signore, specialmente durante la ‘Via Crucis’ con quel peso enorme sulle spalle.
Cammino al Calvario
“Essi allora presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Golgota” (Gv. 19, 17)
Sulle spalle dell’Uomo della Sindone è evidente un’ampia ecchimosi a livello della scapola sinistra e una ferita sulla spalla destra che si possono attribuire al peso del patibulum,
ca ha sempre venerato tre cadute di Nostro Signore durante il suo cammino al Calvario.
Sulla Sacra Sindone le cadute sono assai evidenti. I ginocchi, soprattutto quello sinistro, sono scorticati. Sul ginocchio sinistro ci sono tracce di sangue e terriccio. Anche il naso appare scorticato e con tracce di terriccio, il che dimostra che Nostro Signore è caduto a terra col volto in avanti. Cosa d’altronde spiegabile, visto che Egli non poteva ripararsi con le mani, legate al patibulum.
La crocifissione
“Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra” (Lc. 23, 33)
ossia la trave orizzontale della croce.
Le spalle appaiono sollevate: questa disposizione è correlabile al trasporto della trave.
Le impronte mostrano inoltre che la trave si muoveva sulle spalle, producendo gravissime escoriazioni. Le immagini rivelano una notevole quantità di terriccio sulla pianta dei piedi dell’Uomo della Sindone, il che rivela che camminava scalzo.
Le tre cadute
“Gesù cade per la prima volta... Gesù cade per la seconda volta... Gesù cade per la terza volta” (Via Sacra)
Anche se non riportate da nessun Vangelo, la pietà cattoli-
Prima Gesù fu spogliato. Considerando che su tutto il corpo la pelle era piagata e coperta da una miscela di sangue, sudore e polvere, che si era ormai seccata e su cui si erano appiccicati i vestiti, possiamo immaginare il dolore straziante provocato da questo gesto. Nei moderni ospedali, un simile intervento viene a volte eseguito sotto anestesia generale, per evitare al paziente il rischio d’una sincope. Di conseguenza, molte ferite tornarono a sanguinare.
Sopra, sulle spalle dell’Uomo della Sindone è evidente un’ampia ecchimosi a livello della scapola sinistra e una ferita sulla spalla destra, che si possono attribuire al peso del patibulum. A s., ricostruzione (mons. G. Ricci) delle gambe dell’Uomo della Sindone con il ginocchio lacerato dalla cadute e l’infissione del chiodo nei piedi. Sotto, ricostruzione (mons. G. Ricci) di una caduta di Gesù durante il trasporto del patibulum. Sul naso dell’Uomo della Sindone si riscontra terriccio, segno che è caduto a terra col volto in avanti.
Nostro Signore fu steso ed inchiodato sulla croce. Ma gli aguzzini avevano sbagliato la distanza dei fori laterali e dovettero dunque stirare con forza il braccio destro, fino
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Settimana Santa
Sull’impronta dell’Uomo della Sindone si osserva una ferita da punta non nel palmo della mano, come vuole certa tradizione iconografica, ma nel polso in corrispondenza dello spazio detto di Destot. Si tratta di un passaggio anatomico che un chiodo può facilmente trapassare senza rompere nessun osso. Sotto, la pianta del piede destro, dove è visibile il terriccio ed una grande macchia di sangue.
a slogarne le articolazioni. Anche questo è visibile sulla Sacra Sindone. Ma dove furono conficcati i chiodi?
Sull’impronta anteriore dell’Uomo della Sindone si osserva una ferita da punta non nel palmo della mano, come vuole certa tradizione iconografica, ma nel polso in corrispondenza dello spazio detto di Destot. Si tratta di un passaggio anatomico che un chiodo può facilmente trapassare senza rompere nessun osso.
La visione classica dei chiodi nella palme è, dunque, da escludere. In primo luogo perché il palmo della mano non avrebbe retto al peso del corpo. E poi perché si sarebbero probabilmente rotte alcune ossa metacarpali, al contrario della profezia secondo cui “saranno preservate tutte le sue ossa, neppure uno sarà spezzato” (Sal. 34, 21).
I chiodi hanno lesionato il nervo mediano delle mani, provocando la flessione convulsiva dei pollici sotto le palme. Il che spiega l’assenza di questo dito sull’impronta sindonica. Quanto ai piedi, quello destro ha lasciato sulla Sindone un’impronta completa, mentre del sinistro si vede il tallone e il cavo plantare. Sulla Croce i due piedi erano quindi incrociati: il sinistro era collocato davanti e la sua pianta posava sul dorso del piede destro che poggiava direttamente sul palo della Croce. Erano inchiodati insieme. Le macchie di sangue riscontrate sulla Sindone corrispondono perfettamente a piedi forati e poggiati sulla Croce.
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Va notato anche che le ferite delle mani e dei piedi dell’Uomo della Sindone sono conformi alla sezione quadrata dei chiodi normalmente usati per la crocifissione romana.
La morte
“Gesù, gridando a gran voce, disse: ‘Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito’. Detto questo spirò” (Lc. 23, 46)
Appeso alla Croce per le braccia, senza un suppedaneo che lo tenesse in piedi (sulla Sindone non c’è traccia di un poggiapiedi che, d’altronde, fu introdotto nelle crocifissioni romane solo nella seconda metà del I secolo), Nostro Signore non poteva più respirare in modo normale. In tali circostanze incominciano spasmi, crampi e soffocazioni che si vanno aggravando fino a bloccare i muscoli ispiratori. La morte sopravviene per un misto di asfissia e shock generalizzato, in questo caso causato probabilmente anche da infarto ed emopericardio, come in seguito spiegheremo.
Sopra, la ferita del costato, con la vistosa colatura di sangue “morto”, cioè dopo l’avvenuta separazione della parte cellulare dalla componente sierosa. Il che sembra indicare che Nostro Signore sia morto di infarto seguito da emopericardio. A s., ricostruzione della ferita del costato provocata dalla lancia del soldato romano.
Sull’immagine anteriore della Sindone i muscoli del torace risultano contratti in modo spasmodico, il diaframma è alzato, l’addome sprofondato. Sono segni tipici di morte per ansia respiratoria, asfissia e shock.
Il rosso vivo della macchie di sangue è dovuto alla presenza di un’elevata quantità di bilirubina, che è tipica di persone che sono state fortemente traumatizzate appena prima del versamento di sangue.
La lancia di Longino
“Uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua” (Gv. 19, 34)
Sull’impronta anteriore della Sindone, a sinistra, si vede un’ampia colatura di sangue in corrispondenza di una breccia cutanea con le caratteristiche di
ferita da punta e taglio. I margini della ferita sono rimasti allargati e sono ben delineati, come quelli ottenuti su un cadavere. Tale ferita sarebbe riferibile al colpo di lancia del soldato romano. Si tratta di una ferita profonda, che ha perforato la parete toracica, e questo giustifica l’abbondanza del sangue fuoruscito. Il colpo è stato inferto ad un cadavere poiché i caratteri della colatura indicano l’avvenuta separazione della parte cellulare dalla componente sierosa del sangue.
Questo solleva un’ipotesi assai attendibile riguardo alla causa mortis di Nostro Signore Gesù Cristo: infarto seguito da emopericardio.
Tale causa di decesso si deduce dallo studio della colatura. Il sangue è assai denso, in esso si notano grumi separati da un alone di siero. Ciò è tipico di un uomo deceduto in seguito a un notevole accumulo di sangue nella zona toracica, il cosiddetto
emotorace. L’accumulo di sangue può essere spiegato dalla rottura del cuore e dal conseguente versamento di sangue fra il cuore stesso e il foglietto pericardico esterno. Tale versamento di sangue causa un dolore lancinante cui corrisponde sempre un grido, emesso il quale l’individuo immediatamente spira.
La ferita praticata con la lancia sul crocifisso, ormai cadavere, avrebbe quindi permesso la fuoruscita del sangue che si era già separato dal siero. L’esame ematologico rivela che questo sangue del costato destro è sangue “morto”, cioè uscito post mortem, mentre il sangue sulla fronte, sul polso, sulla nuca e sulla pianta dei piedi è “vivo”, cioè fuoruscito quando l’Uomo della Sindone era ancora vivente. D’altronde, penetrando dal lato destro all’altezza del quinto spazio intercostale, la lancia non
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Settimana Santa
Surrexit alleluia!
La scienza afferma che “il cadavere si è come vaporizzato, emettendo una radiazione che ha plasmato l’impronta. È molto probabile che, al momento di produrre questa radiazione, il corpo fosse in levitazione. (...) Uno dei più grandi misteri della Sindone è come il cadavere, staccandosi dal tessuto, non lo abbia toccato. Egli è volato via senza alterarne minimamente le fibre, senza strapparle e senza modificare le macchie di sangue già esistenti. Questo è impossibile per un corpo normale, soggetto alle leggi della natura. Questo si spiega unicamente per la ‘dematerializzazione’ del corpo, che vola via dal lenzuolo non essendo più soggetto alle leggi della natura. Orbene, è proprio questo che i cristiani chiamano ‘Risurrezione’”. 20 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2005
avrebbe mai potuto raggiungere il cuore, in quanto la lama del pillum romano non era sufficientemente lunga. La morte per emopericardio causa una immediata rigidità cadaverica, che si riscontra appunto nell’Uomo della Sindone.
La deposizione nel sepolcro
“Essi presero allora il corpo di Gesù, e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com’è usanza seppellire per i Giudei. (...) Nicodemo portò una misura di mirra e di aloe” (Gv. 19, 39)
Tutto quanto detto prima sulla Sacra Sindone di Torino, dimostra che essa fu effettivamente utilizzata per avvolgere il corpo esanime di un uomo crocifisso. Sul tessuto è stata identificata la presenza di aloe e mirra, sostanze usate in Palestina ai tempi di Cristo per la sepoltura dei cadaveri. Secondo studi medici, per formare i decalchi di sangue che si osservano sulla Sacra Sindone il crocifisso deve essere stato avvolto nel telo entro le due ore e mezza dopo la morte, rimanendovi non più di 40 ore, giacché non si riscontrano tracce di putrefazione.
La Risurrezione
“Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino, si recarono alla tomba, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono la pietra rotolata via dal sepolcro; ma, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. Mentre erano ancora incerte, ecco due uomini appa-
rire vicino a loro in vesti sfolgoranti. Essendosi le donne impaurite e avendo chinato il volto a terra, essi dissero loro: ‘Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato’” (Lc. 24, 1-6)
Nell’impronta dorsale della Sacra Sindone i muscoli dorsali e deltoidi appaiono naturalmente arcuati e non appiattiti, come sarebbe invece dovuto accadere in un corpo disteso di spalle su una pietra. D’altronde, le diverse macchie sul dorso non risultano schiacciate. Non si riscontra poi nessun effetto del peso corporeo.
Questo vuol dire che, nel momento di ‘incidere’ il telo, l’Uomo della Sindone fluttuava nell’aria senza toccare la pietra, in uno stato di levitazione. Come si è formata allora l’impronta sindonica? La risposta degli scienziati è che “il cadavere si è come vaporizzato, emettendo una radiazione che avrebbe plasmato l’impronta. (...) È molto probabile che, al momento di produrre questa radiazione, il corpo fosse in levitazione” 4. In termini scientifici si dice che il cadavere è divenuto “meccanicamente trasparente” rispetto al lenzuolo. Sentiamo ancora il prof. Aaron Upinsky dello STURP:
“Uno dei più grandi misteri della Sindone è come il cadavere, staccandosi dal tessuto, non lo abbia toccato. Egli è volato via senza alterarne minimamente le fibre, senza strapparle e senza modificare le macchie di sangue già esistenti. Questo è impossibile per un corpo normale, soggetto alle leggi della natura. Un cadavere coperto di piaghe non potrebbe mai essere portato via dal lenzuolo senza alterarlo e senza lasciare tracce. Questo è
un fatto decisivo e non contestato da nessuna scienza. Si spiega unicamente per la ‘dematerializzazione’ del corpo, che vola via dal lenzuolo non essendo più soggetto alle leggi della natura. Orbene, è proprio questo che i cristiani chiamano ‘Risurrezione’” 5.
Conclusione
Come conclusione possiamo citare le parole del prof. Plinio Corrêa de Oliveria:
“La Sacra Sindone è un miracolo permanente. Nostro Signore ha avuto un gesto di misericordia, specialmente per il nostro tempo, permettendo che la fotografia mostrasse il Suo Divino Volto. La Sacra Sindone è una tale meraviglia, una tale prova dell’esistenza di Nostro Signore, della Sua Risurrezione, una tale prova di tutto ciò in cui noi crediamo, che si dovrebbe parlarne continuamente in ogni ambiente cattolico. “Nella Sacra Sindone la maestà e la dignità dell’UomoDio si manifestano nel dolore e nell’umiliazione, con la mitezza dell’agnello e la fierezza del u leone” 6.
Note______________________________ 1. Cfr. Giulio Fanti ed Emanuela Marinelli, Cento prove sulla Sindone, Padova, Edizioni Messaggero, 2000. Questo libro contiene, tra l’altro, una bibliografia assai completa sul tema. 2. John H. Heller, Report on the Shroud of Turin, Boston, Houghton Mifflin, 1983. 3. Pierre Barbet, La Passione di N. S. Gesù Cristo secondo il chirurgo, LICE, Torino, 1951. 4. Julio M. Preney, O Santo Sudário de Turim - O Evangelho para o Século XX, Edições Loyola, São Paulo, 1992, p. 90-92. 5. Arnaud-Aaron Upinsky, intervista a Catolicismo, giugno 1998. 6. Plinio Corrêa de Oliveria, conferenza per soci e cooperatori della TFP brasiliana, San Paolo, 28-04-84.
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L’industria della povertà
Quo usque tandem propaganda?
Brasile: ma è proprio vero tutto quanto dicono i giornali?
Il celebre Cristo Redentore si staglia sullo sfondo della baia di Rio di Janeiro, uno dei panorami più imponenti del mondo. La “città meravigliosa” è particolarmente presa di mira da una cattiva propaganda.
È
stata di recente avanzata la proposta di annoverare, in quanto potenze emergenti, Cina e Brasile nel cosiddetto G7, ovvero l’esclusivo club dei paesi più ricchi. Parallelamente, si parla di concedere al Brasile un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, affianco agli USA, Francia, Russia, Regno Unito e Cina. Fra le potenze emergenti, il Brasile spicca per il fatto di essere massicciamente cattolico, un paese simbolo di quello che Papa Pio XII chiamava il “continente della speranza”, vale a dire l’America Latina, la grande riserva della Chiesa cattolica. Dalla Patagonia alla California esiste infatti una sola fede, una sola cultura di matrice europea e praticamente una sola lingua, se consideriamo che il portoghese brasiliano è assai vicino allo spagnolo.
Ma sembra che a qualcuno dia fastidio l’idea d’una potenza cattolica o, quel che è peggio, di un continente cattolico. Fatto è che negli ultimi anni è sorta una propaganda che tende a presentare un’immagine pesantemente negativa dell’America Latina.
Desta impressione l’accanimento di questa propaganda nel denunciare situazioni di presunta “estrema povertà” causate da una “mentalità arretrata” (si legga cattolica) o da “strutture sociali feudali” (si legga la società organica tradizionale), oppure, in versioni più moderne, dal solito “liberismo”, colpevoli comunque di generare intollerabili “ingiustizie sociali”. Questa propaganda assume talvolta contorni decisamente surrealistici, come quel cartellone in una chiesa di Roma che chiedeva aiuti per i “50 milioni di bambini brasiliani affamati”. Nessuno può negare che esistano in America Latina molte situazioni di disagio che richiamano il nostro impegno caritatevole. E noi, come cristiani, non possiamo sottrarcene se vogliamo essere fedeli al Vangelo. Ma il fatto è che non pochi mezzi di comunicazione spesso distorcono gravemente la realtà, esagerando la drammaticità di alcune situazioni. Senza voler fare dietrologia possiamo rilevare come, coincidenza o meno, questa distorsione giovi soprattutto ad una particolare interpretazione ideologica dei fatti: quella di
sinistra. Suscitando nel pubblico un atteggiamento fortemente emotivo nei confronti di queste disagi e in seguito attribuendoli alle politiche “liberiste”, è facile far balenare soluzioni di stampo ugualitario e socialista. C’è da chiedersi: quanto di questa propaganda avrà, dunque, un’impronta ideologica? Ma c’è un altro aspetto, molto più tangibile, che forse ci aiuterà a capire meglio i moventi di tale propaganda.
“Esiste un’industria di sfruttamento dei fondi destinati ai poveri”, secondo quanto denuncia Simona de Souza, coordinatrice del Sistema di difesa del minorenne di Rio di Janeiro, Brasile (Jornal do Brasil, 19-12-04). Vi sono organizzazioni impegnate nel sociale che hanno un interesse nel reclamizzare in modo esagerato le situazioni di disagio, giacché da esse dipende il loro finanziamento. Si potrebbe perfino ipotizzare, come ha insinuato l’ex-presidente brasiliano Fernando Henrique Cardoso, che alcune di queste organizzazioni non siano in realtà interessate a risolvere i problemi bensì a perpetuarli, visto che cessato il disaggio si asciugherebbe anche il fiume di soldi che le alimenta (Folha di S. Paulo, 31-0798). Forse il caso più clamoroso è appunto quello del Brasile, paese emergente e potenzialmente assai ricco, ma sistematicamente bastonato da una cattiva propaganda. Un esempio tipico: notiziando l’elezione nel 1998 di Fernando Henrique Cardoso alla presidenza, un grande quotidiano milanese ha scelto di illustrare il servizio con una foto di bambini di strada in una misera baraccopoli di Rio de Janeiro. Sarebbe come illustrare l’elezione di Berlusconi con una foto di clochard nella Stazione Centrale di Milano. Qualcuno ci resterebbe pure male... L’obiettivo di questa sezione non è di fare una difesa nazionalistica del Brasile, dandone un’imagine all’acqua di rose, né di negare che il paese abbia la sua quota di problemi socioeconomici non indifferenti. Vogliamo appena mettere in mostra la disonestà di questa propaganda sinistrorsa nel distorcere gravemente alcune situazioni.
TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2005 - 23
L’industria della povertà
Il governo Lula è sotto shock. Le statistiche dell’IBGE (l’ISTAT brasiliano) svelano che il problema del Brasile non è la fame bensì l’obesità. Secondo l’IBGE i brasiliani sottoalimentati sono appena il 4%, mentre il 40% risultano sovrappeso e l’11% addirittura obesi.
to”. Le stesse indagini hanno mostrato che la società brasiliana soffre piuttosto del problema opposto, visto che il 40% della popolazione risulta sovrappeso e l’11% addirittura obeso.
Clochard laureati
U
no studio realizzato nel 2002 dall’associazione internazionale Medici senza frontiere ha individuato poco più di 600 clochard adulti nella città di Rio di Janeiro, la cui popolazione è di 5,8 milioni di abitanti. Di questi clochard, tre avevano una laurea universitaria, e appena l’1,5% era costretto a mendicare mentre la maggior parte sussisteva grazie a lavori marginali come il ricupero di carta e il parcheggio abusivo (Jornal do Brasil, 06-07-03).
Questi dati reggono il contrasto con tante grandi città europee. Come termine di paragone possiamo notare che, secondo un recente censimento del Comune di Milano (popolazione 1,3 milioni), nel capoluogo lombardo vi sono quasi quattromila senzatetto, 70% dei quali italiani u (Corriere della Sera, 03-11-04).
Quattro brasiliani su dieci sono grassi
I
l governo Lula è sotto shock. Dopo aver sparato in ogni comizio la cifra di 40-50 milioni di affamati in Brasile, il “presidente operaio” si ritrova fra le mani le ultime statistiche ufficiali dell’IBGE (Instituto Brasileiro de Geografia e Estatistica) che svelano che il problema del Brasile non è la fame bensì l’obesità. Secondo i dati dell’IBGE i brasiliani adulti sottoalimentati sono appena il 4%. Questa cifra, come ha segnalato il Corriere della Sera (20-1204), “non quadra con quanto si è sempre afferma24 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2005
Questo ha mandato in crisi la politica di “fame zero” sulla quale Lula aveva costruito il suo trionfo elettorale del 2002, giacché, sempre secondo il Corriere della Sera, “è difficile individuare chi ha davvero bisogno di un assegno minimo per mangiare”. u
Ma quale fame?
A
ll’economista Sonia Rocha, coordinatrice dell’Instituto Brasileiro de Economia della Fundação Getulio Vargas, ben si potrebbe affibbiare la fama di Cassandra. A differenza della profetessa di Troia, però, Rocha fonda i sui moniti su solidi dati scientifici. Il suo recente libro La povertà in Brasile: insomma di cosa si tratta? ha sfrattato parecchi miti riguardo alla situazioni dei più disagiati. Ecco alcuni brani d’una intervista rilasciata al quotidiano Folha de S. Paulo:
“Anno dopo anno, come si può facilmente cogliere dai dati del IBGE, verifichiamo importanti miglioramenti nel livello dei diversi indicatori sociali come scolarità e accesso ai mezzi pubblici. I miglioramenti più vistosi si riscontrano nel campo dei beni di comfort, come elettrodomestici e macchine. Per esempio, mentre nel 1992 il 25% dei poveri possedeva una TV a colori, nel 1999 questo indice era schizzato al 81%. “Quando ci riferiamo al 35% della popolazione brasiliana come povera, non dobbiamo assolutamente pensare alla povertà ‘africana’. Si tratta semplicemente d’un livello di reddito al di sotto della media nazionale. Ma anche con questo reddito basso, nelle attuali condizioni del nostro Paese, si possono comperare sia beni di consumo che durevoli, come per esempio oggetti di seconda mano oppure acquistati a ratte.
Sfruttando appena il 60% del suo territorio, il Brasile ha avuto una spettacolare crescita nella produzione agricola. Nel prossimo decennio dovrà sorpassare gli USA come il maggiore produttore di derrate alimentari del mondo.
A d., fazenda di soia nel cerrado brasiliano. Moderne tecnologie stanno permettendo di sfruttare questa zona, grande quasi tre volte l’Italia.
“D’altronde, c’è stata una riduzione del numero di indigenti ancor più vistosa di quella dei poveri. (...) Considero quindi sbagliato lo sfruttamento dello spettro della fame in Brasile” (Folha di S. Paulo, 07-07-03). u
Produzione agricola: Brasile potrà sorpassare gli USA
“N
egli anni ‘90 c’e stata una rivoluzione silenziosa nelle nostre campagne, caratterizzata da una spettacolare crescita nella produzione agricola (...) il che consentirà al Brasile di competere in breve con chiunque”, dichiara orgoglioso il Ministro dell’agricoltura Roberto Rodrigues (International Herald Tribune, 13-1204). Questo “chiunque” è un velato riferimento agli Stati Uniti, che il Brasile si appresta a sorpassare in questo campo, diventando così il maggiore produttore di derrate alimentari del mondo. Con un clima che varia poco lungo l’anno, non è insolito riuscire ad ottenere due e perfino tre raccolte all’ano. “Il motore della rivoluzione — spiega Edward Schuh, dell’Università di Minnesota — è la scoperta di tecnologie assai semplici che consentono di utilizzare le terre delle pianure tropicali, finora ritenute inservibili”. Se consideriamo che quasi il 40% del territorio brasiliano è ancora vergine, cominciamo a cogliere l’infinito u potenziale di questo Paese.
La verità sui meninos de rua
U
no dei piatti forti di questa propaganda è senz’altro la situazione dei meninos de rua, vale a dire i bambini di strada. Alcune fonti europee parlano addirittura di 20 milioni. Qual’è invece la realtà?
Secondo i dati dell’IBASE (Instituto Brasileiro de Analises Sócio-Econômicas) e della FIA (Fundação para a Infancia e Adolescência), a Rio di Janeiro ci sono meno di 300 ragazzi che dormo-
no per strada. E lo fanno per libera scelta, giacché ci sono strutture di accoglienza, sia statali che ecclesiastiche, alle quali potrebbero rivolgersi.
In Brasilia, città di 3,5 milioni di abitanti, il Comune realizza mensilmente un censimento dei meninos de rua. Risultato: ci sono 83 ragazzi senzatetto. La situazione in San Paolo (9,8 milioni di abitanti) non è diversa. I dati ufficiali parlano di un numero totale di meninos de rua sotto i mille. Uno studio di SOS Menino, organo del governo di San Paolo, rivela che il 51,7% di costoro dormono in realtà a casa, e che il 47% vanno ancora a scuola. (Catolicismo, agosto 1997). u
Due ONG per ogni menino
“C
amuffati da istituzioni di difesa dei minorenni, ricevendo finanziamenti pubblici e privati, molti Organismi non governativi (ONG) si stanno nutrendo della miseria dei bambini di strada. (...) Esiste una vera e propria industria di sfruttamento dei fondi destinati ai poveri”. Ecco l’agghiacciante denuncia di Simona de Souza, coordinatrice del Sistema di difesa del minorenne del Comune di Rio di Janeiro.
A Rio, secondo Souza, ci sono praticamente due ONG per ogni menino de rua. Nel 2004 questi organismi hanno speso complessivamente R$ 8.112.714 (Euro 2.253.000). Considerando che i bambini di strada ufficialmente registrati sono poco più di 250, si conclude che gli ONG hanno speso per ogni bambino la bagatella di 750 euro al mese. Vale a dire, quasi il doppio dello stipendio minimo di un brasiliano! TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2005 - 25
L’industria della povertà
In giro per la favela Una ricerca realizzata in 37 favelas di Rio ha mostrato che, contrariamente a ciò che si pensa, la maggior parte degli abitanti (69,8%) appartengono economicamente alla classe media. Le favelas si reggono secondo un’economia sommersa che, quando presa in considerazione, fa salire di parecchi punti gli indicatori economici. Un simile studio ha verificato che il 34,5% delle famiglie che abitano in favelas di São Paulo godono d’un reddito pari a cinque volte lo stipendio minimo, e che il 74,2% delle case non sono propriamente baracche bensì costruzioni in mattone e cimento.
“Rocinha non è un lager — comenta la giornalista Claudia di Meo riferendosi alla più grande favela del Brasile — Vivere a Rocinha è come vivere, con una buona approssimazione, in un quartiere spagnolo di Napoli. Niente latrine a cielo aperto, niente escrementi per le strade. Ci sono luce e acqua, ci sono scuole”. (Nelle fotografie, alcune vedute della favela di Rocinha, a Rio de Janeiro.)
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“Oggi i bambini di strada sono come granate che gli ONG si passano di mano in mano. Purtroppo alcune persone vivono di questo gioco macabro”, conclude Souza (Jornal do Brasil, 1912-04). u
single e madre di 4 figli, che deve campare con 100 euro al mese; e “ricchi” tale Claudio da Silva proprietario d’una casa a tre piani con tre bagni e reddito familiare pari a cinque volte lo stipendio minimo.
a parola favelas, nome col quale sono conosciute le baraccopoli brasiliane, normalmente evoca immagini di estrema povertà e di violenza, luoghi infetti dove i bambini nascono e muoiono senza speranza, in mezzo al fango ed alle immondizie. Quanto di questa immagine corrisponde alla realtà e quanto invece è inventato dalla propaganda?
Una favela in diretta
Le favelas fra mito e realtà
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Una ricerca realizzata su un campione di 37 favelas di Rio de Janeiro dall’Instituto Superior de Estudios de Religião ha mostrato che, contrariamente a ciò che si pensava, la maggior parte degli abitanti (69,8%) appartengono economicamente alla classe media. Le favelas, secondo questo studio, si reggono secondo un “mercato occulto”, cioè una economia sommersa che, quando presa in considerazione, fa salire di parecchi punti gli indicatori economici. La ricerca mostra che il 51% degli abitanti delle favelas appartengono alla cosiddetta classe C. Ben il 36,7% appartengono alla classe B. Un sorprendente 2,6% appartengono addirittura alla classe A. Appena lo 0,9% sono alla base della piramide, cioè nella classe E.
Anche i dati della città di San Paolo si adeguano a questi parametri. Uno studio della Fundação Instituto de Pesquisas Econômicas ha verificato che il 34,5% delle famiglie che abitano in favelas godono d’un reddito pari a cinque volte lo stipendio minimo, e che il 74,2% delle case non sono propriamente baracche bensì costruzioni in mattone e cimento. “Bisogna farla finita con molti luoghi comuni” conclude la professoressa Alba Zaluar, dell’Università Federale di Rio di Janeiro, che studia le favelas dal 1980 (Catolicismo, settembre 1996).
Nelle favelas, secondo quanto mostrano diversi studi, v’è una gerarchia socio-economica che rispecchia quella del Paese. Per esempio, una ricerca della Fundação Getulio Vargas, ha evidenziato che nella Rocinha, la più grande favela del Brasile, vi sono “poveri”, tale Daniela Maia Reis, 25 anni,
Rocinha, d’altronde, possiede ben tre stazioni di radio, due delle quali FM, un canale di TV per antenna nonché due per cavo con più di 30.000 abbonati, un giornale quotidiano e uno settimanale u (BBC Brasil, 03-12-02).
E
per finire, riportiamo alcuni brani d’un articolo della giornalista Claudia di Meo pubblicato su Libero, che racconta una gita in Rocinha. Rifiutando i soliti tour turistici, lei ha voluto andarci per conto proprio per poter prendere contatto direttamente con la gente della strada.
“Uno degli ingressi di Rocinha comincia più o meno da Gavea. Si sale lungo una strada che sembra avvolgere tutta la montagna. La porta colorata prima della grande curva che immette nel centro della Rocinha parla chiaro: Studio di registrazione di Gilberto Gil, ovvero ministro della cultura brasiliano. È qui che vengono i grandi artisti del Paese a registrare i propri album, spesso utilizzando i ragazzi di Rocinha. “Passeggiando per la via principale colpisce il mercatino, che vende dalle scarpe alle magliette: è colorato e accogliente. Così, il sorriso di un negoziante che con la sua chitarra invita la gente nel negozio, fa capire che non servono vetri blindati per visitare questa città. Sì, proprio così, una città. Una città a parte, diversa da Rio. Una città in una città, con la sua storia, la sua comunità, il suo carnevale, la sua musica. La sua madrina: la ex donna di Ayrton Senna.
“Rocinha non è un lager, nessuna favela di Rio de Janeiro o di Salvador de Bahia lo è. Certo, la vita non è come viene concepita in Europa. Ma la gente che vive nella favela ha un lavoro e una famiglia, una dignità pari a quella di un avvocato che vive nel suo attico a Leblon, quartiere ricco di Rio. Vivere a Rocinha è come vivere, con una buona approssimazione, in un quartiere spagnolo di Napoli. Niente latrine a cielo aperto, niente escrementi per le strade. Ci sono luce e acqua e varrebbe la pena ricordarlo. Così come vale la pena dire che ci sono scuole e progetti di recupero dei bambini”. (Claudia di Meo, “Nel cuore di u Rocinha”, Libero 06-07-04). TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2005 - 27
Elezioni USA
“Questa volta i cristiani hanno mangiato i leoni”
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no dei motivi che hanno indotto tanti americani a votare per George W. Bush è stato, senz’altro, la speranza di poter augurare Merry Christmas ai vicini di casa, esporre alberi di Natale nel proprio giardino e cantare Silent Night nella pubblica piazza senza rischiare la multa, il licenziamento o addirittura la galera.
In molte città americane, questi semplici gesti di affetto cristiano sono considerati reato e vengono puniti severamente. E, guarda caso, questo succede precisamente nelle aree dove si fa sentire l’influenza delle organizzazioni di sinistra che hanno appoggiato John Kerry, come ad esempio l’ACLU —American Civil Liberties Union — che pretende di proibire qualsiasi menzione del nome di Gesù nelle feste natalizie, trasformandole in
commemorazioni meramente mondane.
A partire degli anni ‘60, in un paese dove la fede biblica è inserita perfino nella Costituzione, i cristiani sono sempre più bersagliati da una vera e propria persecuzione religiosa mascherata da difesa dei “diritti civili”. A promuoverla è una impressionante macchina da guerra costituita da ben finanziati organismi, come appunto l’ACLU, e potenti lobby politiche assecondate da grandi mezzi di comunicazione. Coincidenza o meno, questa macchina è massicciamente schierata col Partito Democratico.
E così molti cristiani si sono visti multare per aver allestito un presepio nel proprio giardino; licenziare per aver messo un crocifisso in ufficio; e addirittura sbattere in galera per aver letto la Bibbia nella pubblica piazza.
Stanchi di tanti soprusi, milioni di cristiani americani, che normalmente non partecipano alle elezioni, si sono mobilitati per sbarrare la strada a John
Kerry, più volte denunciato come “fantoccio dell’ACLU”. Questo vigoroso risveglio, e la conseguente vittoria di Bush, ha fatto esclamare al noto opinionista del Boston Herald Don Feder: “Questa volta i cristiani hanno mangiato i leoni!” Ecco un dato fondamentale per capire la vittoria repubblicana dello scorso novembre. E noi, cattolici italiani, fino a quando ci lasceremo mangiare u dai leoni nostrani? Molti cristiani statunitensi hanno votato per Bush con la speranza di poter conservare la libertà di culto minacciata dalla sinistra laicista. A s., il Presidente partecipa ad una riunione di preghiera in Oklahoma City.
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Plinio Corrêa de Oliveira
“N
La grazia di Genazzano
el dicembre 1967, avendo io 59 anni di età, fui colpito da una violenta crisi di diabete. Ne derivò una cancrena al piede destro, che indusse il chirurgo che mi curava a fare un’amputazione delle quattro falangi minori. “Tale misura no fu presa senza esitazione, poiché egli temeva profondamente che la cancrena si propagasse a tutto il piede, rendendo necessaria un’amputazione più ampia. “In questo caso, non sarebbe stato preferibile procedere una sola volta a questa amputazione maggiore? “Tuttavia continuai il ricovero con l’assistenza medica.
“Successe però, qualche tempo prima di questo fatto, che io avessi letto accidentalmente un libro intitolato La Vierge
La profonda devozione che i membri e simpatizzanti delle Società per la difesa della Tradizione Famiglia e Proprietà — TFP — nutrono per la Madonna del Buon Consiglio di Genazzano (RM) trova origine nell’insigne grazia concessa da questa miracolosa immagine al loro maestro ed ispiratore, il prof. Plinio Corrêa de Oliveira, e alla quale egli si riferiva come la “grazia di Genazzano”. Grazia anzitutto spirituale, ma anche di guarigione, essa ebbe di seguito un’incidenza fondamentale nella vita del grande leader cattolico brasiliano. Riproduciamo la “Dichiarazione” che lo stesso dott. Plinio rilasciò ai Padri Agostiniani, custodi del Santuario, e successivamente pubblicata nella rivista Madre del Buon Consiglio, luglio-agosto 1985. Mère du Bon Conseil, di Mons. George F. Dillon. Durante la lettura provavo nella mia anima una sensibile consolazione.
“Avendo viaggiato in Italia prima che mi ammalassi, il mio amico dott. Vicente Ferreira, mi fece la gentilezza di portarmi da Genazzano una stampa del venerato quadro di Nostra Signora del Buon Consiglio. Questa stampa mi giunse nel momento di una
prova spirituale che mi faceva soffrire molto più dell’infermità fisica.
“Dal 1960 ero presidente del Consiglio Nazionale della Società brasiliana per la difesa della Tradizione, Famiglia e Proprietà. Alcune circostanze, che non mi sembra il caso di menzionare, mi infondevano la certezza che fosse nei disegni della Provvidenza che questa associazione realizzasse una grande azione nel Brasile ed in tutta l’America del Sud, e anche in altri continenti, al servizio
“Quando la fissai, ebbi l’insperata impressione che la figura di Nostra Signora, pur non mutando in nulla, mi esprimesse un’ineffabile e materna dolcezza, che mi confortava e mi infondeva nell’anima — non so come — la convinzione che la Santissima Vergine mi prometteva che non sarei morto senza aver prima realizzato l’opera desiderata”. A s., il prof. Plinio Corrêa de Oliveira pellegrino a Genazzano nel 1988 per ringraziare la Madonna della grazia ricevuta.
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Plinio Corrêa de Oliveira
I
l 25 aprile 1467, gli abitanti di Genazzano, piccolo paese vicino a Roma, videro apparire sul muro d’una chiesa allora in costruzione un affresco raffigurante la Madonna col Bambino Gesù. Nessuno seppe spiegare da dove proveniva. Fatti posteriori mostrarono che si trattava della Madonna di Scutari, patrona dell’Albania, misteriosamente approdata in Italia dopo la caduta di quel paese sotto i Turchi e la conseguente distruzione del suo santuario. Da allora questa immagine, ancor oggi inspiegabilmente appoggiata sul muro o, come dicono i documenti ufficiali, “in stato di equilibrio precario”, è venerata come la “Madonna del Buon Consiglio”. Nel corso della storia molti santi, papi ed illustri persodella Cristianità. D’altro canto, ero certo che la mia morte in quella situazione avrebbe portato alla rovina lo sforzo per l’opera che allora iniziava a fiorire con vigore, e che desideravo ardentemente portare a compimento per la maggior gloria di Nostra Signora prima di morire. Perciò ero in uno stato di vera ansietà riguardo le incertezze sulla mia situazione clinica e chirurgica.
“Il giorno 16 dicembre, un’altro amico, il dott. Martim Afonso Xavier da Silveira, mi consegnò la suddetta stampa da parte del dott. Vicente Ferreira.
“Quando la fissai, ebbi l’insperata impressione che la figura di Nostra Signora, pur non mutando in nulla, mi esprimesse un’ineffabile e materna dolcezza, che mi confortava e mi infondeva nell’anima — non so come — la convinzione che la Santissima Vergine mi prometteva che non sarei morto senza aver prima realizzato l’opera desiderata. Ciò mi infuse una grande soavità nell’anima.
naggi sono giunti fino a questa cittadina romana come pellegrini per implorare la materna protezione della Madonna. Tra questi, Don Bosco, venuto a chiedere grazie per la nascente opera salesiana. Alla Madonna vengono attribuiti molti miracoli, rigorosamente documentati. La devozione alla Madonna del Buon Consiglio ebbe un grande impulso a metà dell’800 ad opera del Beato Stefano Bellesini, parroco del Santuario fra il 1831 ed il 1840. Il suo corpo, ancora incorrotto, si può venerare in una cappella speciale nella chiesa. Il prodigioso affresco si trova in un altare laterale del Santuario di Genazzano retto dai Padri Agostiniani.
“Anche ora conservo intatta la stessa convinzione. E, per il favore di Nostra Signora, quest’opera ha prosperato ammirevolmente, avvalorando la speranza che la meta sarebbe stata raggiunta. “Nell’occasione in cui fui beneficiato dalla grazia del sorriso-promessa di Nostra Signora di Genazzano, non dissi nulla alle persone che mi erano intorno. Solo molto più tardi ne parlai agli amici. Due di questi, che mi tenevano compagnia in ospedale quando ricevetti la stampa, nell’udire la mia narrazione, affermarono di aver notato che la figura della Madre del Buon Consiglio mi fissava con molto compiacimento, il che attirò molto la loro attenzione. Essi non avevano notato in me, tuttavia, il sorriso-promessa a cui alludevo. “Essi sottoscrivono con me questa dichiarazione.
“Grazie alla Santissima Vergine, la mia salute all’epoca migliorò in modo tale da sor-
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prendere il chirurgo. Di conseguenza la seconda operazione non si rese necessaria. “È col cuore traboccante di amore e di gratitudine alla Madonna del Buon Consiglio di Genazzano che scrivo la presente dichiarazione. “Plinio Corrêa de Oliveira
“S. Paolo, 10 maggio 1985”. Tradizione Famiglia Proprietà Anno 11, n. 1 marzo 2005 Dir. Resp. Alberto Carosa.
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Per commemorare l'inizio dell'anno che segna il 10° anniversario della scomparsa del nostro indimenticabile maestro ed ispiratore, il prof. Plinio Corrêa de Oliveira, rappresentanti delle diverse TFP europee sono venuti in pellegrinaggio al Santuario della Madonna di Genazzano.
In senso orario: il miracoloso affresco della Madonna di Genazzano; solenne messa celebrata da S.E. Mons. Juan Rodolfo Laise; dirigenti delle TFP davanti alla Madonna; conferenza dell'ing. Nelson Fragelli.
Pellegrinaggio delle TFP a Genazzano
Sacralità e mollezza nella forma di un lampadario
L
e cose sacrali tendono naturalmente ad essere caratterizzate da forme appuntite, cioè a slanciarsi verso l’alto rimandando a qualcosa di superiore. Esempio tipico sono le torri dei castelli medievali e le guglie delle cattedrali gotiche, ma anche un turibolo col coperchio a punta o un arco ogivale. Quando invece un qualcosa comincia a perdere sacralità, incomincia a diventare rotondo, come se avesse una tendenza all’obesità.
Allo spirito cavalleresco e combattivo si addicono le forme appuntite. Quelle rotonde, invece, riflettono uno spirito borghese, tranquillo e pacioccone.
Per esempio, questo lampadario nel cosiddetto stile olandese appartiene ad un’epoca segnata dal tramonto
di Plinio Corrêa de Oliveira
della cavalleria, man mano soppiantata dalla nascente borghesia. Esso non è costruito intorno ad una punta, ma ad una palla. Una palla, appunto, rigonfia e tondeggiante. Non si capisce bene quale sia la funzione di quella palla. Sembra comunque essere il centro psicologico, oltre che fisico, di quella serie di braccia che si aprono in cerchio per tenere le singole lampade. Ma la forma stessa delle braccia è tondeggiante, languida e invita alla mollezza.
Un lampadario del genere, pendente per esempio dal soffitto di una sala da pranzo, rappresenterebbe un continuo invito alla mollezza. Una famiglia che non lottasse contro questa influenza tendenziale, vedrebbe la sua fibra illanguidirsi e da essa non potrebbero più nascere cavalieri ma, semmai, uomini d’affari.