Coelum Astronomia N. 225

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GALLERY: MARTE IN OPPOSIZIONE E L'ECLISSE DI LUNA

Acqua liquida su MARTE!

C'è VITA tra le nubi di VENERE?

"Come abbiamo scoperto un lago sotterraneo..."

Astronomia Multimessaggero

Il Neutrino e il Blazar Il punto della Ricerca sui Neutrini Report JUNO Tra fulmini e saette Incontri Deep-Sky per la cometa 21P/Giacobini-Zinner Astrofotografia: riprendiamo la Via Lattea con l'inseguitore

La Luna che cammina... e il bolide del sabato sera

Il Cielo di SETTEMBRE Effemeridi e Fenomeni Un'apparizione spettrale nel Cefeo

225 2018

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Pubblicazione mensile di divulgazione astronomica e scientifica Anno 22 Numero 225 Editore: MAASI Media srl Copyright © 2018 - MAASI Media srl Tutti i diritti sono riservati a norma di legge. È permessa la riproduzione del materiale pubblicato con citazione obbligatoria della fonte, previa autorizzazione scritta dell’editore. Direttore: Gabriele Marini Direttore Scientifico: Renato Falomo (Osservatorio di Padova) Marketing e pubblicità: ads@maasi-media.com Redazione: Lara Sabatini, Paola De Gobbi Hanno collaborato a questo numero: Redazione Coelum Astronomia, Paolo Bacci, Francesco Badalotti, Giorgio Bianciardi, Barbara Bubbi, Giorgia Burzachechi, Marco Castellani, Gianni Comoretto, Paola De Gobbi, Michele Diodati, ESA, Renato Falomo, Eleonora Ferroni, Giuliana Galati, Giorgia Hofer, Redazione Media INAF, Rolando Ligustri, Marco Malaspina, Fulvio Mete, Luigi Morielli, Pietro Francesco Nicolai, Roberto Orosei, Simona Paiano, Stefano Parisini, Giuseppe Petricca, Claudio Pra, Maura Sandri, Sara Venturi Photo Coelum Andrea Alessandrini, Francesco Badalotti, Alessandro Bares Cipolat, Alessio Beltrame, Alessandro Bianconi, Maurizio Cabibbo, Alessandro Carovana, Alessandro Carrozzi, Giuseppe Columbo, Giuseppe Conzo, Pietro De Gregorio, Cristian Fattinnanzi, Alfonso Giglione, Michele Girardi, Giorgia Hofer, Marco Lorenzi, Antonio Magni, Mauro Muscas, Filippo Nori, Damian Peach, Yuri Puzzoli, Andrea Rapposelli, Carlo Rocchi, Francesco Sferlazza, Francesco Sgueglia, Tommaso Stella Redazione Via Fiorentina 153 - 53100 Siena segreteria@coelum.com www.coelum.com Registrato il 27/08/97 al n. 1269 del registro Stampa del Tribunale di Venezia Direttore Responsabile: Stefano Boccardi

IN COPERTINA Una fotografia davvero splendida e particolare: in occasione dell'eclisse totale di Luna, la luminosità del nostro satellite naturale si è ridotta al punto da consentire la ripresa della vicina Via Lattea. Crediti: Cristian Fattinnanzi.

l'Editoriale di Gabriele Marini Cari Lettori, è ormai quasi settembre e, dopo una lunga e calda estate davvero densa di avvenimenti, eccoci con il nuovo appuntamento con Coelum Astronomia! Come sempre il periodo estivo è volato via velocemente ma, di sicuro, oltre al caldo e alle troppe serate piovose (che purtroppo hanno ostacolato spesso le nostre osservazioni durante l'anno) quest'estate rimarrà impressa nella nostra memoria per la quantità di avvenimenti speciali. Ci eravamo lasciati con tanti buoni propositi per l'osservazione del Pianeta Rosso, che lo scorso 27 luglio ha raggiunto la Grande Opposizione con la Terra, un appuntamento preso nell'ormai lontano agosto 2003, data della ultima Grande Opposizione. Un'occasione davvero speciale dunque quella che abbiamo vissuto, e, anche se in queste sere quel "rosso occhio" spia ancora molto luminoso il nostro pianeta, esso è ormai in rapido allontanamento. Indimenticabile sarà anche l'eclisse totale di Luna, avvenuta proprio lo stesso giorno dell'opposizione marziana. Ricordo bene i due astri arrossati, in congiunzione, dominare il cielo in prima serata: uno spettacolo affascinante ed emozionante davvero alla portata di tutti. Per tutti voi che avete osservato questi eventi, ma ancor più per chi si è perso lo spettacolo, abbiamo preparato una vasta gallery con le immagini più belle. Ma, a ben vedere, la Grande Opposizione non è stato che l'inizio del trionfo estivo di Marte. La grande tempesta di sabbia globale che ha avvolto il pianeta in un manto di mistero già è stata qualcosa di raro e speciale... E l'apprensione per il rover Opportunity che, ad oggi, non ha dato segnali di vita proprio a causa della tempesta, ci ricorda le difficoltà insite nell'esplorazione del Pianeta Rosso. Ma non finisce qui: Marte è stato al centro dell'attenzione dei media globali anche per l'annuncio della scoperta di un lago sotterraneo di acqua liquida, una scoperta davvero importante e tutta italiana. Ce ne parla Roberto Orosei, dell'INAF di Bologna, e capo del team che ha compiuto la scoperta grazie al radar dal cuore italiano chiamato Marsis, installato a bordo della sonda ESA Mars Express. Sono anni che si parla della presenza di acqua liquida su Marte, tra conferme e smentite, ma ora le rilevazioni sono chiare: l'acqua c'è e non si parla di ghiaccio ma di acqua allo stato liquido, con tutte le conseguenze astrobiologiche che la scoperta comporta... Anche se non vi sono informazioni, il pensiero corre subito a ipotizzare una sacca in cui, chissà, potrebbe essere possibile la vita? Gli ingredienti ci sono. E in termini di ricerca di vita nel Sistema Solare, Michele Diodati ci parla di un'interessante ipotesi che coinvolge il nostro vicino planetario, Venere: c'è vita tra le sue dense nubi? Altri scoop dell'estate hanno visto il ritorno sulle scene mediatiche dell'astronomia multimessaggero. Forse ci eravamo un po' abituati a sentir parlare di astronomia gravitazionale, al punto da considerarla già routine. Ma questa volta i protagonisti sono i neutrini: per la prima volta è stato possibile risalire alla sorgente extragalattica di un neutrino, rilevato dall'Osservatorio IceCube, in Antartide. Si è trattato però ancora una volta di uno sforzo congiunto di numerosi Osservatori: ce ne parlano Renato Falomo e Simona Paiano, del team che ha compiuto la misurazione di distanza del lontano Blazar, origine del neutrino in questione. E con Giuliana Galati andiamo poi a ripercorrere la storia della ricerca degli sfuggenti neutrini e capiamo meglio di cosa si tratta e a che punto siamo. Aggiungiamo infine la release finale dei dati del satellite Planck, che ha misurato con estrema precisione la radiazione cosmica di fondo, e completiamo il quadro di questa rovente estate che abbiamo voluto riepilogare e spiegare in questo ricco numero della rivista. Ovviamente i contenuti non si esauriscono qui: tante sono le rubriche per l'osservazione del cielo (questo mese non perdete le comete!) e quelle dedicate all'astrofotografia. Ben ritrovati a tutti e buona lettura.

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Coelum Astronomia 225 - Sommario 6 Notiziario

116 PhotoCoelum

di Autori vari

di Autori vari

24 Notiziario di Astronautica di Luigi Morielli

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di Autori vari

L'acqua liquida su Marte - La storia di una scoperta di Roberto Orosei

La Luna che cammina... e il bolide del sabato sera

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122 Gallery Eclisse Totale di Luna 130 Gallery La Grande Opposizione di Marte di Autori vari

134 Le Meraviglie del Cosmo Un'apparizione spettrale in Cefeo di Barbara Bubbi

136

Uno Scatto al Mese Riprendiamo la Via Lattea con l'inseguitore

di Pietro Francesco Nicolai

di Giorgia Hofer

JUNO. Missione primaria scientifica confermata tra lampi, fulmini e saette...

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Il Cielo di Settembre

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di Redazione Coelum Astronomia

di Paola De Gobbi

Neutrini Extragalattici da dove provengono? Cronaca di un importante evento

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di Simona Paiano e Renato Falomo

156 Dove e quando osservare la ISS di Giuseppe Petricca

157 Comete - Incontri Deep-Sky per la 21P/Giacobini-Zinner di Claudio Pra

Alla Ricerca dei Neutrini

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di Giuliana Galati

L'ereditĂ di Planck

80

di Redazione Media INAF

160 La Luna di Settembre di Francesco Badalotti

165 Luna - Guida all'osservazione: Il Sinus Asperitatis di Francesco Badalotti

170 Impariamo a osservare il Cielo con la UAI Tra le galassie del Triangolo di Giorgio Bianciardi

C'è Vita tra le nuvole di Venere?

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di Michele Diodati

176 Guida osservativa a tutti gli eventi del cielo di Settembre 184 Mostre e Appuntamenti

104 La spettroscopia astronomica amatoriale - Parte 3

191 Notte Europea dei Ricercatori

di Fulvio Mete

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NOTIZIARIO

Titano senza veli di Redazione Coelum Astronomia

Sei immagini all’infrarosso tolgono a Titano la coltre spessa e coprente della sua atmosfera, che lo nasconde alle osservazioni nel visibile. Una mappatura completa della sua superficie nitidia come mai prima grazie allo strumento Visual and Infrared Mapping Spectrometer (VIMS) a bordo della sonda Cassini. Sei immagini a infrarossi della luna di Saturno, Titano, ci mostrano la sua superficie ghiacciata come mai l’avevamo vista, chiara, dettagliata e “globale”. Le immagini sono state create utilizzando 13 anni di dati acquisiti dallo strumento Visual and Infrared Mapping Spectrometer (VIMS) a bordo della sonda Cassini, una missione che non smette di stupire nonostante l’attività della sonda si sia conclusa ormai da tempo. Le precedenti mappe VIMS di Titano hanno sempre mostrato un’apia varietà di risoluzioni, diverse condizioni di illuminazione, dando quindi un’immagine non omogenea alle mappe globali, in cui si vedono le “cuciture” tra i vari pezzi assemblati per ottenere l’immagine intera della Luna, come possiamo vedere nell’immagine qui sotto. Questa nuova raccolta di immagini invece ha combinato in modo fluido i dati provenienti da una moltitudine di osservazioni divrese realizzare

da VIMS, con le più diverse condizioni di illuminazione e risoluzione, prese in tutto l’arco del corso della missione. Si è ottenuto così un risultato di gran lunga migliore alle precedendenti e ci permette di vedere come il globo di Titano potrebbe apparire a un’osservatore se non fosse presente la sua atmosfera nebbiosa. Difficilmente vedremo qualcosa di meglio nei prossimi anni. Osservare la superficie di Titano nella regione visibile dello spettro non è possibile, proprio a causa della foschia che lo avvolge: piccole particelle, chiamate aerosol, nell’atmosfera superiore che diffondono fortemente la luce visibile. Ma la superficie di Titan può essere più facilmente spiata grazie ad alcune “finestre” (chiamate proprio finestre atmosferiche) a infrarossi – lunghezze d’onda in cui lo scattering e l’assorbimento della luce sono molto più deboli. È qui che lo strumento VIMS ha permesso di

Sopra. Tre mosaici composti con i dati delle camere in luce visibile e infrarossa a bordo della Cassini, riprese durante tre flyby: nell'ottobre 2005, a sinistra; dicembre 2005, al centro; e gennaio 2006, a destra. Crediti: NASA/JPL/University of Arizona

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superare la foschia per ottenere immagini nitide della superficie di Titan. Nella composizione qui sotto vediamo la differenza, tra un Titano ripreso in luce visibile e i nuovi mosaici VIMS.

micron per il rosso, 2,03/1,27 micron per il verde e 1,27/1,08 micron per il blu. Questa tecnica aiuta a ridurre la visibilità delle cuciture, oltre a enfatizzare le sottili differenze spettrali dei diversi materiali che vediamo sulla superficie di Come si può immaginare, comporre una così Titano. Ad esempio, i campi di dune equatoriali grande mole di dati diversi non è stato semplice. della luna appaiono qui in un consistente color Per ottenere questi nuovi mosaici è stato marrone, mentre aree bluastre e violace necessario un lavoro certosino per combinare dati potrebbero essere aree arricchite di acqua con diverse geometrie di osservazione e ghiacciata (per una mappa con indicate le diverse condizioni atmosferiche. Ma attraverso analisi zone di Titano vedere qui). laboriose e dettagliate, insieme a una lunga lavorazione manuale dei mosaici, le cuciture sono Che la superficie di Titano fosse complessa e con state praticamente tutte rimosse. una miriade di caratteristiche geologiche e unità compositive lo sapevamo, ma lo strumento VIMS La tecnica utilizzata viene chiamata “band-ratio” ha aperto la strada a futuri strumenti a infrarossi (rapporto di banda), ed è una tecnica utilizzata in grado di visualizzare la luna di Saturno a una spesso nelle immagini telemetriche per risoluzione molto più elevata, rivelando enfatizzare i colori ad esempio della vegetazione. caratteristiche non rilevabili da nessuno degli Qualsiasi immagine a colori è composta da tre strumenti di Cassini. canali di colore: rosso, verde e blu. Combinando poi le riprese nelle varie lunghezze d’onda si Per ripercorrere la missione attraverso le ottiene l’immagine finale a colori. In questo caso, straodinarie immagini, comprese quelle di per ottenere ciascun canale, è stato considerato il Titano, che nei suoi 13 anni Cassini ci ha rapporto tra la luminosità della superficie di inviato, rileggi lo speciale dedicato su Coelum Titano a due diverse lunghezze d’onda: 1,59/1,27 Astronomia 214. I nuovi mosaci di Titano attorno alla luna ripresa in luce visibile. Crediti: NASA/ JPL-Caltech/ Stéphane Le Mouélic, University of Nantes, Virginia Pasek, University of Arizona.

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Immagini extra-nitide con la nuova ottica adattiva del VLT di ESA

l VLT (Very Large Telescope) dell’ESO ha visto la prima luce con una nuova modalità di ottica adattiva chiamata Tomografia Laser. È con questa che ha ottenuto delle immagini di prova straordinariamente nitide del pianeta Nettuno, di alcuni ammassi di stelle e di altri oggetti. Il pionieristico strumento MUSE (Multi Unit Spectroscopic Explorer) usato nella modalità a Campo Stretto, con il modulo di ottica adattiva GALACSI, può ora sfruttare questa nuova tecnica per correggere gli effetti della turbolenza a diverse altitudini nell’atmosfera. La nuova modalità che usa la tomografia laser, corregge quasi tutta la turbolenza atmosferica sopra il telescopio per creare immagini molto più nitide, ma su una zona più piccola di cielo. La turbolenza atmosferica varia con l’altitudine: alcuni strati producono una maggior degradazione del fascio di luce proveniente dalla stella rispetto ad altri. La tecnica nota come Tomografia Laser si prefigge di correggere soprattutto la turbolenza di questi strati più problematici. L’algoritmo di correzione viene quindi ottimizzato su questi strati per permettere di ottenere una qualità dell’immagine quasi identica a quella di una stella

guida naturale e che corrisponda ai limiti teorici del telescopio. Sfruttando questa nuova tecnica, il telescopio da 8 metri UT4 raggiunge il limite teorico della risoluzione delle immagini e non è più limitato dalla sfocatura dell’atmosfera. È quindi possibile catturare, a lunghezze d’onda visibili, immagini da terra più nitide di quelle del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA. L’unione tra una notevole nitidezza e le capacità spettroscopiche di MUSE permetteranno agli astronomi di studiare le proprietà degli oggetti astronomici in dettaglio maggiore di quanto sia stato mai possibile finora. Tutti questi importanti sviluppi dell’ottica adattiva rendono ancora più potente la compagine dei telescopi dell’ESO, mettendo sempre più a fuoco l’Universo. La nuova modalità, inoltre, è un passo avanti significativo per l’ELT (Extremely Large Telescope) dell’ESO, su cui sarà necessaria la Tomografia Laser per raggiungere gli scopi scientifici previsti. Questi risultati aiuteranno tecnici e scienziati dell’ELT a installare una simile tecnologia per l’ottica adattiva sul futuro gigantesco telescopio da 39 metri.

L'immagine a destra è ottenuta senza il modulo di ottica adattiva, mentre quella a sinistra dopo che il modulo è stato messo in funzione. Crediti: ESO/P. Weilbacher (AIP)

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Hayabusa 2 si prepara a incontrare Ryugu? di Redazione Coelum Astronomia

Selezionati i primi siti per l’atterraggio del lander MASCOT e per la prima raccolta di campioni per la sonda Hayabusa 2. Nei primi giorni di ottobre previste le prime operazioni di discesa sulla superficie dell’asteroide Manca davvero poco! A ottobre la sonda Hayabusa 2, sviluppata dall'Agenzia Spaziale Giapponese (JAXA), entrerà nel pieno della sua missione, tentando la raccolta di almeno un grammo di roccia dalla superficie dell’asteroide, da riportare poi a terra per le analisi, e rilasciando i suoi quattro passeggeri, che condurranno invece indagini direttamente sulla superficie: il lander europeo (da una collaborazione tra Germania e Francia) MASCOT da 10 kg e i tre piccoli rover Minerva di mezzo chilo ciascuno. Hayabusa 2 è arrivata alla sua meta lo scorso 27 giugno, dopo un viaggio di tre anni e mezzo e 3,2 miliardi di km percorsi. Ha terminato la sua corsa posizionandosi in un'orbita a circa 20 km dalla superficie, regalandoci alcune immagini ravvicinate di questo curioso asteroide dalla forma inusuale simile a un diamante.

In alto. Ryugu, in un “primo piano di tre quarti”, che mostra la superficie costellata di massa dell’asteroide, ripresa il 20 luglio da circa 6 km di distanza. Nessun minerale è predominante e gli scienziati ne stanno ancora analizzando la composizione. Crediti: JAXA/ University of Tokyo / Kochi University / Rikkyo University / Nagoya University / Chiba Institute of Technology / Meiji University / University of Aizu / AIST.

termici» ci dice Deborah Domingue, del team scientifico di Hayabusa2 e scienziato senior presso il Planetary Science Institute in Arizona.

L’orbita di Ryugu lo porta più vicino e più lontano dal Sole, facendo contrarre e espandere la roccia di cui è composto, il che influenza non solo la composizione minerale della superficie ma anche l’elasticità della roccia. E la composizione minerale Non conoscendo in dettaglio la forma e la non è l’unica sfida, la sonda infatti, per poter superficie dell’asteroide al momento della raccogliere i campioni e poi ripartire in direzione partenza, il lavoro del team di missione è stato per verso casa, avrà bisogno di cadere verso la lo più quello di capire dove far lavorare, e superficie dell’asteroide, raccogliere la regolite atterrare, la sonda e i suoi passeggeri robotici, superficiale e rimbalzare verso la sua orbita (sono cercando un punto particolarmente “pulito” e previsti tre di questi “touchdown” durante la incontaminato della superficie e meno esposto ai missione). È chiaro che è necessaria una zona pericoli dell’ambiente spaziale attorno relativamente pulita senza grandi massi che all’asteroide. possano essere da ostacolo. «L’ambiente spaziale non è cordiale, bombarda l’asteroide di micrometeoriti, vento solare e cicli

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Dai 10 punti selezionati dagli esperti delle tre agenzie spaziali coinvolte, è da poco emerso


A sinistra. Un dettaglio della superficie di Ryugu ripresa da soli 850 metri di altezza. Nell’immagine a grande campo a sinistra indicata la zona della ripresa ravvicinata sulla destra. Crediti: JAXA, University Tokyo, Koichi University, Rikkyo University, Nagoya University, Chiba Institute of Technology, Meiji University, University of Aizu, AIST. Processing: M. Di Lorenzo

quello che probabilmente sarà la zona di rilascio di MASCOT. Con un simpatico botta e risposta tra la sonda e il lander, che spiega anche a grandi a linee i motivi della scelta, il giorno e il luogo del rilascio sono stati comunicati dal profilo twitter di MASCOT: il 3 ottobre la data prescelta e il punto di atterraggio potete vederlo indicato con la sigla MA-9 nell’immagine in basso. La scelta tiene conto, oltre che delle caratteristiche del suolo, dei possibili rimbalzi che il lander farà per coprire quanta più superficie possibile nelle 15 ore in cui sarà attivo, facendo in modo che in quel periodo la zona risulti illuminata dal Sole. MASCOT non è un rover, infatti, ma ha un meccanismo interno, una sorta di martello, che agevolerà i salti e i rimbalzi, sfruttando la bassa gravità sulla superficie, facendolo rotolare quasi come un... dado truccato.

Allo stesso modo è stato indicato il punto in cui la sonda Hayabusa 2 potrebbe invece effettuare il primo prelievo, il punto L8 nella mappa qui sotto. Se tutto andrà come previsto, Hayabusa 2 studierà il grande asteroide dall'orbita per altri 16 mesi e scenderà più volte per raccogliere campioni di materiale, mentre MASCOT e i tre piccoli rover raccoglieranno informazioni dalla superficie dell’asteroide. «Siamo anche consapevoli [delle difficoltà]: sembra che ci siano grossi macigni sulla maggior parte della superficie di Ryugu e praticamente quasi nessuna superficie di regolite pianeggiante», ha aggiunto il project manager di MASCOT Tra-Mi Ho, del DLR Institute of Space Systems tedesco. « Sebbene scientificamente molto interessante, questa è anche una sfida per un piccolo lander e per la raccolta di campioni». Il rientro della sonda è previsto per il dicembre del 2019, e arriverà sulla Terra con il suo prezioso carico un anno dopo, a dicembre 2020. A sinistra. Una mappa dell’asteroide ci mostra alcuni dei punti scelti per la discesa di Hayabusa e il rilascio dei quattro passeggeri. MA-9 per il momento è quello scelto per il rilascio di MASCOT mentre L8 quello per la prima discesa di Hayabusa 2. Credit: JAXA/DLR www.coelum.com

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È confermato: ghiaccio d’acqua sulla Luna di Redazione Coelum Astronomia A sinistra. L'immagine mostra la distribuzione del ghiaccio d'acqua sul polo sud (a sinistra) e nord (a destra) del nostro satellite naturale. Le macchie azzurre rappresentano il ghiaccio, e sono sovrapposte a un'immagine del suolo lunare in scala di grigi in cui le zone più scure rappresentano le regioni più fredde mentre quelle chiare quelle meno fredde. Si vede come il ghiaccio sia collocato dove le temperature risultano più basse (zone praticamente nere) nelle parti in ombra dei crateri. Crediti: NASA

Nelle zone più scure e fredde, ai poli della superficie lunare, un team di scienziati ha ottenuto in modo diretto le prove definitive della presenza di ghiaccio d’acqua. Si tratta di depositi di ghiaccio distribuiti in modo irregolare e probabilmente molto antichi, maggiormente concentrati nel polo sud, ma con tracce sparse anche al polo nord. Il team, guidato da Shuai Li dell’Università delle Hawaii e della Brown University ha utilizzato i dati dello strumento Moon Mineralogy Mapper (M3) della NASA per identificare tre firme specifiche che dimostrano definitivamente che c’è ghiaccio d’acqua sulla superficie della Luna. La maggior parte del ghiaccio d’acqua giace nell’ombra dei crateri vicini ai poli, dove le temperature non superano mai i -156 °C, a causa dell’inclinazione molto ridotta dell’asse di rotazione della Luna che impedisce al Sole di raggiungere queste regioni.

dalla superficie ghiacciata, ma anche misurare direttamente il modo distintivo con cui le molecole d’acqua assorbono i raggi infrarossi, potendo così differenziare la forma, solida, liquida o sotto forma di vapore, in cui l’acqua può presentarsi. Le prime osservazioni avevano trovato prove indirette di presenza di ghiaccio al polo sud lunare, ma potevano essere un fenomeno spiegabile in altri modi, ad esempio una inusuale riflettività del suolo, ma ora la prova è definitiva… c’è ghiaccio d’acqua sulla Luna e potrebbe diventare una risorsa importante per una eventuale colonizzazione umana.

Il ghiaccio in superficie diventa infatti un bacino facilmente utilizzabile per una eventuale esplorazione umana ma anche per installare una postazione fissa. Con queste premesse, la missione assume Lo strumento M3 si trova a bordo della sonda velocemente importanza e capire di più su questo Chandrayaan-1, lanciata nel 2008 dall’Indian ghiaccio, come mai si trova lì, da dove proviene e Space Research Organization (ISRO), ed è come interagisce con l’ambiente lunare, diventa destinato unicamente alla rilevazioni di dati per una missione chiave per la NASA e i suoi partner confermare la presenza di ghiaccio d’acqua sulla commerciali, impegnati nella programmazione di superficie lunare. M3 può infatti non solo nuove missioni per tornare ad esplorare di osservare e verificare le proprietà riflettive attese persona il mondo a noi più vicino, la Luna.

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La controversa origine dell’ossigeno molecolare di Maura Sandri - Media INAF

La sonda Rosetta dell’Agenzia Spaziale Europea ha accompagnato la cometa 67P/ChuryumovGerasimenko nel suo viaggio intorno al Sole da agosto 2014 a settembre 2016, rilasciando sulla sua superficie il lander Philae e terminando il suo encomiabile lavoro con uno schianto programmato sulla cometa stessa il 30 settembre 2016.

essenziale per la vita. In passato è stato rilevato intorno ad alcune delle lune ghiacciate di Giove, ma non era assolutamente previsto che fosse trovato attorno ad una cometa. Inizialmente, il team scientifico di Rosetta pensava che l’ossigeno provenisse dal corpo principale della cometa, il suo nucleo. Ciò significa che doveva trattarsi di ossigeno molecolare “primordiale”, ossia già presente quando la Quando la cometa si è trovata abbastanza vicina al cometa stessa si formò agli albori del Sistema Sole, il ghiaccio sulla sua superficie è sublimato, solare, 4.6 miliardi di anni fa. ossia è passato direttamente dallo stato solido allo stato gassoso, formando attorno alla cometa Nel 2017 un altro gruppo di ricercatori ha tuttavia una tenue atmosfera chiamata chioma. L’analisi suggerito che l’ossigeno molecolare nelle comete della chioma da parte degli strumenti a bordo di potrebbe avere un’origine diversa, avendo Rosetta ha rivelato che l’atmosfera non conteneva scoperto un nuovo modo di produrlo nello spazio solo acqua, monossido di carbonio e anidride a partire da ioni energetici, ossia da molecole carbonica, come previsto, bensì anche ossigeno elettricamente cariche. I ricercatori hanno molecolare. L’ossigeno molecolare è costituito da proposto che le reazioni con ioni energetici sulla due atomi di ossigeno uniti tra loro (O2) e sulla superficie della cometa 67P potrebbero essere la Terra, dove viene prodotto dalla fotosintesi, è fonte dell’ossigeno molecolare rilevato.

La cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko. Crediti: ESA.

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Sopra. Vista della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko dalla sonda Rosetta. Crediti: ESA. Alla luce di questa nuova ipotesi, i membri del team di Rosetta hanno analizzato nuovamente i dati sull’ossigeno della cometa 67P/ChuryumovGerasimenko. In un articolo pubblicato su Nature Communications, guidato dai fisici dell’Imperial College di Londra, viene ora riportato che il meccanismo proposto per produrre ossigeno sulla superficie della cometa non è sufficiente a spiegare i livelli osservati nella chioma. L’autore principale del lavoro, Kevin Heritier del Dipartimento di Fisica dell’Imperial College, ha dichiarato: «Il primo rilevamento di ossigeno molecolare nella chioma di 67P è stato molto sorprendente ed eccitante. Abbiamo testato la nuova teoria della produzione di ossigeno molecolare superficiale utilizzando osservazioni di ioni energetici, particelle che attivano i processi superficiali che potrebbero portare alla produzione di ossigeno molecolare. Tuttavia, abbiamo scoperto che la quantità di ioni energetici presenti non poteva produrre abbastanza ossigeno molecolare per tenere conto della quantità osservata nella chioma». Marina Galand, del Dipartimento di Fisica presso

l’Imperial College, co-autrice del lavoro e CoInvestigator del Rosetta Plasma Consortium, ha aggiunto: «È possibile che parte dell’ossigeno molecolare rilevato sia stato generato sulla superficie della cometa, ma la maggior parte dell’ossigeno molecolare presente nella chioma non è prodotto attraverso tale processo». La nuova analisi è coerente con la conclusione iniziale del gruppo di ricerca, ossia che l’ossigeno molecolare è molto probabilmente primordiale. Sono state proposte altre teorie e non possono ancora essere escluse, ma la l’ipotesi dell’origine primordiale è quella che si adatta meglio ai dati. Ipotesi peraltro supportata anche da recenti teorie che hanno rivisto la formazione dell’ossigeno molecolare nelle nubi scure e la presenza di ossigeno molecolare nel Sistema Solare iniziale. In accordo con questi modelli, l’ossigeno molecolare creato si sarebbe congelato su piccoli granelli di polvere, che hanno raccolto sempre più materiale, accumulandosi a formare la cometa e bloccando l’ossigeno nel suo nucleo.

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‘Oumuamua: è una cometa! di Sara Venturi – Media INAF

‘Oumuamua, il primo asteroide interstellare, dopo un po’ d’incertezza, inizialmente catalogato come una cometa, poi come un asteroide (a causa delle mancata attività tipica delle comete in concomitanza con il passaggio vicino al Sole) e infine come il primo della nuova categoria di oggetti interstellari (a cui si deve la sigla 1I/2017 U1), è stato ora catalogato come cometa interstellare. Si tratta di un corpo inusualmente oblungo di circa 800 metri, di colore rosso scuro, dall’origine sconosciuta, che ha ruzzolato attraverso il Sistema Solare seguendo una traiettoria iperbolica. Marco Micheli del Coordination Centre ESA SSA-NEO di Frascati e i colleghi autori del nuovo studio hanno esaminato il moto di ‘Oumuamua, mostrando che l’arco lungo il quale l’oggetto ha viaggiato non può essere spiegato esclusivamente dall’attrazione gravitazionale del Sole, dei pianeti o degli asteroidi più grandi. Parte dell’accelerazione di allontanamento dal Sole deve essere di natura non gravitazionale, dimostrando che tutti i dati astronometrici (ovvero di posizione) possono essere descritti una volta inclusa nel modello la componente non gravitazionale. Grazie al modello utilizzato, gli autori hanno anche potuto escludere altre spiegazioni plausibili

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per il moto non gravitazionale (come la pressione della radiazione solare o l’interazione magnetica con il vento solare). La spinta conferita dai gas emessi dal corpo celeste può essere una spiegazione coerente del moto di ‘Oumuamua, postulando che esso si comporti come una cometa in miniatura. Gli spettri osservati e l’assenza di attività cometaria sono in linea con il corpo di una cometa con un sottile mantello isolante, come già aveva rivelato uno studio pubblicato su Nature Astronomy nel 2017 che ipotizzava come un lungo periodo di esposizione ai raggi cosmici avesse portato alla stratificazione superficiale di materiale organico e isolante, proteggendo il nucleo ghiacciato dalla vaporizzazione che si verifica al passaggio ravvicinato con il Sole. Questo spiega l’assenza di attività cometaria, nonostante ‘Oumuamua ricordi il nucleo di una cometa. Il paper conclude affermando che, in ogni caso, questi importanti aspetti di natura fisica di ‘Oumuamua non possono ancora essere risolti in maniera conclusiva sulla base delle osservazioni fatte finora e che osservazioni in sito sarebbero fondamentali per spiegarne l’ambigua natura.

Leggi lo speciale sul numero 219


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Il cuore della Via Lattea visto da SKA di Eleonora Ferroni - Media INAF

Dopo un decennio tra progettazione e costruzione, il radiotelescopio MeerKat è finalmente pronto ed è stato inaugurato il 13 luglio scorso in Sudafrica. All’evento, organizzato dal Dipartimento della Scienza e della Tecnologia del Sudafrica, è stato svelato un panorama mozzafiato della Via Lattea ottenuto con le antenne MeerKat che rivela dettagli straordinari della regione che circonda il buco nero supermassiccio al centro della nostra galassia. Con questa immagine «volevamo mostrare le capacità scientifiche di questo nuovo strumento», ha affermato Fernando Camilo, capo del team di scienziati dell’Osservatorio radioastronomico sudafricano (Sarao), che ha costruito e gestisce le antenne MeerKat nel deserto del Karoo. «Il centro della galassia era un obiettivo ovvio: unico, visivamente sorprendente e pieno di fenomeni inspiegabili – ma anche notoriamente difficile da “fotografare” usando i radiotelescopi». Il centro della Via Lattea, a 25 mila anni luce di distanza dalla Terra e situato dietro la costellazione del Sagittario (la “Teiera”), è per sempre avvolto da nuvole di gas e polvere che lo rendono invisibile dalla Terra usando normali telescopi. Tuttavia, a lunghezze d’onda infrarosse, X e, in particolare, radio è possibile penetrare nella polvere aprendo una finestra in questa regione. Nell’immagine è possibile vedere i

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famosi filamenti che disegnano il centro della nostra galassia: scoperti negli anni Ottanta, sono ancora un mistero per gli scienziati. Questo panorama galattico corrisponde a un’area di circa 1.000 anni luce per 500 anni luce; i colori scelti rappresentano la luminosità delle onde radio registrate dal telescopio (che vanno dal rosso per l’emissione debole all’arancio al giallo al bianco per le aree più luminose). MeerKat è uno dei precursori del progetto Square Kilometre Array (Ska) e conta 64 antenne a parabola distribuite su un’area di 8 chilometri di diametro nella provincia del Capo Settentrionale in Sudafrica: si tratta di strutture alte quasi 20 metri, dischi movimentabili pesanti 42 tonnellate dal diametro di 13,5 metri. Almeno fino a quando non verrà collegato con Ska1-mid (braccio sudafricano della prima fase del telescopio Ska che sarà composto da 133 antenne a parabola), MeerKat sarà il più grande radiotelescopio dell’emisfero Sud e il più sensibile interferometro radio in banda L (0,9-1,67 GHz) del mondo. Le enormi quantità di dati provenienti dai 64 “piatti”, In alto. Questa immagine del telescopio MeerKat è considerata la più chiara fotografia del centro della Via Lattea e include caratteristiche mai viste prima, regioni di formazione stellare e filamenti radio. Crediti: Sarao


cioè fino a 275 GBytes al secondo, vengono elaborati in tempo reale. Il costo totale del progetto è stato di quasi 300 milioni di euro. MeerKat non opererà da solo nel deserto sudafricano. Lo scorso maggio, presso il Sutherland Observatory, è stato inaugurato il MeerLicht (in olandese vuol dire “più luce”), un telescopio ottico che fungerà da “occhio” per il network di radio antenne MeerKat. MeerLicht e MeerKat uniranno le forze e scruteranno il cielo meridionale simultaneamente creando una combinazione unica di dati radio e ottici che ci daranno una “visione” più chiara della popolazione stellare nella Via Lattea.

negoziati per la costituzione di una Organizzazione internazionale da trattato che gestirà la costruzione e le operazioni del grande array da installare in Sud Africa e in Australia, la cui firma avverrà a Roma, in autunno, presso il Ministero degli affari esteri e della collaborazione internazionale», ha concluso D’Amico. L’Italia, tramite l’INAF, è una delle prime «Oggi abbiamo partecipato con soddisfazione in nazioni che ha preso parte al progetto per la Sudafrica all’inaugurazione di MeerKat, uno dei più costruzione di Ska. prestigiosi precursori dello Square Kilometre Array, In alto. Le antenne MeerKat nel deserto sudafricano di cui costituirà parte integrante», ha detto Nichi di Karoo. Crediti: Ska South Africa D’Amico, presidente dell’Istituto Nazionale di Sotto. Le 16 antenne di MeerKat hanno catturato nel luglio 2016 ben 1300 galassie nell’Universo Astrofisica. «Il progetto Ska, il più grande remoto. Nelle immagini a destra vediamo galassie radiotelescopio al mondo mai concepito, è frutto di distanti con al centro dei buchi neri. L’immagine in una collaborazione internazionale alla quale basso a sinistra mostra una galassia lontana circa 200 milioni di anni luce dove l’idrogeno viene partecipa l’Italia. Di recente si sono conclusi i utilizzato per formare nuove stelle. Crediti: Ska Africa

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Il passato irrequieto del Sole di Redazione Coelum Astronomia

Il Sole è oggi una stella matura e calma ma cosa possiamo dire della sua prima gioventù? Nato 4,6 miliardi di anni fa in seguito al collasso di una densa nube di gas e polveri, i suoi primi anni rimangono un vero mistero per noi, considerando che la Terra si è formata circa 50 milioni di anni più tardi. Risulta quindi difficile trovare materiali che risalgono ai primi giorni di vita del Sole.

primordiale, ma questi minerali provenienti dalle meteoriti nelle collezioni del Field Museum sono sufficientemente antichi. Probabilmente sono i primi minerali che si sono formati nel Sistema Solare».

I minerali che Heck e i suoi colleghi hanno osservato sono microscopici cristalli blu chiamati hibonite: la loro composizione reca segni distintivi Un nuovo studio, pubblicato su Nature Astronomy, delle reazioni chimiche possibili solo in presenza ha preso in considerazione l’analisi di di un Sole fortemente attivo per ciò che riguarda microscopici cristalli blu intrappolati in antiche l’emissione di particelle energetiche. meteoriti, cristalli così vecchi da poter rivelare com’era il Sole primitivo. E l’immagine che ne «Questi cristalli si sono formati oltre 4,5 miliardi di esce è quella di un Sole piuttosto turbolento e anni fa e conservano la registrazione di alcuni dei irrequieto: «Il Sole era molto attivo durante i suoi primi eventi che hanno avuto luogo nel nostro primi anni di vita, con eruzioni frequenti, ed Sistema Solare. E anche se sono così piccoli – emetteva un flusso più intenso di particelle cariche In alto. Illustrazione raffigurante il disco solare » dice Philipp Heck, professore all’Università di primordiale. Nell’inserto un cristallo di hibonite Chicago e coautore dello studio. «Quasi nulla nel blu, uno dei primi minerali a formarsi nel Sistema Sistema Solare è abbastanza vecchio da solare. Crediti: Field Museum, University of Chicago, Nasa, Esa, and E. Feild (STScl) confermare realmente l’attività del Sole

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molti hanno un diametro di meno di 100 micron – sono in grado di trattenere i gas nobili altamente volatili prodotti dall’irradiazione del giovane Sole», spiega l’autrice principale Levke Kööp, post-doc all’Università di Chicago e affiliata al Field Museum. Nei suoi primi giorni, prima che si formassero i pianeti, il Sistema Solare era costituito da un enorme disco di gas e polvere che spiraleggiava attorno al Sole. La regione più vicina alla nostra stella era molto calda, con temperature che superavano i 1.500 °C. Quando il disco protoplanetario iniziò a raffreddarsi, si formarono i primi minerali, tra cui i cristalli di hibonite blu, che contengono calcio e l’alluminio. Proprio questi atomi, sottoposti al bombardamento di particelle energetiche provenienti dal giovane Sole, si sono divisi in atomi più piccoli, neon ed elio. Questi gas nobili sono rimasti intrappolati all’interno dei cristalli per miliardi di anni. I cristalli di hibonite sono poi stati incorporati in rocce spaziali che alla fine caddero sulla Terra come meteoriti.

Sopra. Un minuscolo cristallo di hibonite blu proveniente dal meteorite Murchison. Crediti: Andy Davis, University of Chicago

Il rilevamento di elio e neon fornisce la prima prova concreta dell’attività precoce del Sole, ma non solo: diversamente da altri indizi della forte attività del giovane Sole rispetto a oggi, la composizione dei cristalli di hibonite non consente altre buone spiegazioni. «È sempre bello vedere un risultato che può essere interpretato chiaramente. Più semplice è una spiegazione, I ricercatori, nel tempo, hanno esaminato più volte maggiore è la fiducia che abbiamo in essa», le meteoriti alla ricerca dei segni di un giovane dichiara Heck, e conclude: «Ciò che ritengo Sole attivo, ma senza trovare nulla. Però Kööp eccitante è che questo ci parla delle condizioni nel osserva: «Se gli scienziati non li hanno visti in Sistema Solare primitivo e, infine, conferma un passato, non significa che non fossero lì! Potrebbe sospetto di vecchia data. Se comprendiamo meglio semplicemente indicare che non avessero strumenti il passato, acquisiremo una migliore comprensione abbastanza sensibili per trovarli». E infatti lo della fisica e della chimica del nostro mondo». strumento utilizzato da Kööp, Heck e colleghi ha fatto la differenza: un enorme spettrometro di massa all’avanguardia, in grado di rilevare l’elio e il neon rilasciati da un grano di hibonite colpito da un laser. «Abbiamo ottenuto un segnale sorprendentemente chiaro, che mostra la presenza di elio e neon: è stato sorprendente» afferma Kööp. A destra. Levke Kööp, l’autrice principale, in laboratorio. Crediti: Field Museum www.coelum.com

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Parker Solar Probe: è partita la sonda che toccherà il Sole di Eleonora Ferroni e Stefano Parisini - Media INAF

Dopo 8 lunghi anni di duro lavoro, per ingegneri e scienziati della NASA il grande momento è finalmente arrivato: il lancio della Parker Solar Probe, la sonda che per i prossimi 7 anni promette di raccontarci il Sole come nessun’altra missione prima. La partenza, inizialmente fissata per sabato 11 agosto 2018 alle 9:33 ora italiana, è infine slittata di 24 ore circa, a causa di un problema tecnico che ha impedito le operazioni di lancio, bloccando il countodwn. La sonda è correttamente decollata il 12 agosto alle 9:31 ora italiana. «Here we go», ci siamo! Alle 3:31 di domenica 12 agosto, ora locale, le parole di Eugene Parker risuonano chiare in mezzo al crepitio lontano dei razzi e alle grida di entusiasmo dei responsabili della missione Parker Solar Probe, mentre la fiammata potente della loro creatura rischiara la notte attorno allo Space Launch Complex-37 nella base aeronautica di Cape Canaveral, in Florida. Pesante poco più di 600 chilogrammi (più o meno quanto una piccola automobile), la Parker Solar Probe è partita a bordo di uno dei razzi più potenti

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mai creati, lo United Launch Alliance Delta IV Heavy, in grado di sprigionare al momento del decollo un’energia 55 volte superiore a quella necessaria per raggiungere il pianeta Marte. Classe 1927, Eugene Parker è il fisico che per primo teorizzò l’esistenza del vento solare nel 1958. Ora, a sessant’anni di distanza, è stato il primo a vedere partire una missione spaziale che porta il proprio nome. Durante la prima settimana di crociera, la navicella spaziale dispiegherà l’antenna ad alto guadagno e l’asta del magnetometro. Inoltre eseguirà la prima parte del dispiegamento delle antenne per le misure di campo elettrico. La verifica degli strumenti inizierà ai primi di settembre e durerà circa quattro settimane, prima di entrare nella fase operativa scientifica vera e propria.

In alto. Una rappresentazione artistica della sonda Parker Solar Probe. Crediti: NASA


Nei prossimi due mesi la Parker Solar Probe volerà verso Venere, dove è previsto che esegua la prima manovra di spinta assistita dalla gravità all’inizio di ottobre: un giro attorno al pianeta che produrrà un effetto fionda sulla sonda, dirigendola in un’orbita più stretta intorno al Sole. Questo primo flyby di Venere permetterà alla Parker Solar Probe di volare a circa 24 milioni di chilometri dal Sole (ai primi di novembre). Sembra lontano, ma in realtà è un punto già dentro l’ardente atmosfera solare, la corona, là dove nessuna sonda si è spinta finora.

scudo termico da 2,4 metri di diametro, rivolto verso il Sole, proteggerà gli strumenti di bordo, mantenendoli sul lato “al fresco” della sonda a una temperatura attorno ai 30 °C. Le pareti esterne dello scudo termico sono realizzate in fogli di fibra di carbonio, un materiale leggero con proprietà meccaniche eccellenti, particolarmente adatte alle alte temperature (e “alte” qui è un eufemismo da terrestri). Spessi circa 2,5 millimetri, i due fogli sono separati da 11 centimetri di schiuma di carbonio, materiale in genere utilizzato nel settore medico per la sostituzione delle ossa. Questo design “a sandwich” rinforza la struttura e allo Parker Solar Probe è una sonda progettata per stesso tempo alleggerisce il peso dello scudo “toccare il Sole”… Ma cosa significa? Con le sue 24 termico: solo 72 chilogrammi. orbite, si avvicinerà fino a 6,1 milioni di chilometri di distanza dalla fotosfera del Sole – davvero Insieme a tutti i suoi tecnologici strumenti molto vicino, dunque – e studierà lo strato esterno scientifici, la sonda porterà attorno alla stella dell’atmosfera solare, cioè la corona. 1.137.202 nomi di persone e una placca dedicata Arriverà a destinazione con un’orbita ellittica proprio a Eugene Parker, a cui è dedicata la toccando i 692.000 chilometri orari: quanto basta missione. Nella memory card ci sono anche alcune per coprire la distanza Roma-Napoli in un sue fotografie e una copia di un suo articolo secondo! E si tratta di un record: sarà la sonda più scientifico sul vento solare risalente al 1958. veloce ad aver mai viaggiato attraverso il Sistema Solare nella storia dell’esplorazione spaziale. La sonda studierà il violento flusso di particelle cariche che dal Sole arriva sulla Terra, cioè il vento Ma come farà la sonda a rallentare in prossimità solare emesso dalla corona, dove vengono del Sole? Gli ingegneri hanno pensato a tutto: la registrate temperature di quasi 2 milioni di gradi. gravità, come sempre, viene in aiuto e fungerà da Gli scienziati vogliono capire come avviene il “freno” per la sonda. Quando sarà vicina al riscaldamento della corona e l’accelerazione del pianeta Venere, la sonda sfrutterà l’attrazione vento solare, e sono interessati anche gravitazionale del pianeta per frenare e nell’identificazione delle regioni di origine dei raddrizzare la traiettoria finale, ma saranno differenti tipi di vento solare. Un altro obiettivo è necessarie ben 7 orbite per effettuare questa capire come vengono accelerati i raggi cosmici di delicata manovra. Il rischio è di mandare “in origine solare. cenere” la sonda… nel vero senso del termine! Con questa storica missione, fisici e astrofisici «La Nasa ha pensato per decenni all’invio di una riusciranno a risolvere alcuni dei più grandi missione per lo studio della corona solare, ma non misteri sul nostro Sole. I dati potrebbero anche c’era la tecnologia necessaria per proteggere la migliorare le previsioni delle principali eruzioni sonda e gli strumenti dal calore solare», spiega sul Sole e dei conseguenti eventi meteorologici Adam Szabo, del team scientifico della missione spaziali che hanno un importante impatto sulla per il Goddard Space Flight Center. Gli anni vita sulla Terra, così come sul funzionamento dei successivi hanno portato a ritrovati tecnologici in satelliti geostazionari e sul lavoro degli astronauti grado di garantire – si spera – la sopravvivenza nello spazio. della sonda per ben 7 anni a oltre 1.300 °C. Lo www.coelum.com

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NOTIZIARIO DI ASTRONAUTICA a cura di Luigi Morielli

Stazione Spaziale Internazionale La Expedition 56 è in corso. L’equipaggio è composto da Oleg Artemyev, Andrew Feustel, Richard Arnold, Sergej Prokopyev, Serena AuñónChancellor e l’europeo Alexander Gerst.

Il 20 giugno, è stato lanciato dal braccio robotico Canadarm 2, con il manipolatore Dextre, il satellite RemoveDebris dell’Università del Surrey, dimostratore per il recupero e la distruzione di detriti orbitali. Il 14 giugno gli astronauti Arnold e Feustel hanno Il 23 giugno, è stato effettuato un reboost della eseguito la US EVA-51, cinquantunesima Stazione usando la Progress MS-08 che ha passeggiata spaziale americana a bordo della sollevato l’apogeo orbitale di circa 2 km. Stazione. Le attività eseguite durante le sei ore e Il 29 giugno, è stato lanciato da Cape Canaveral il 49 minuti di lavoro hanno compreso cargo Dragon CRS-15 utilizzando un Falcon 9. La l’installazione di telecamere e sistemi di capsula era al suo secondo volo ed è arrivata comunicazione wireless nei pressi del molo di all’appuntamento con la ISS il 2 luglio, venendo attracco PMA-2/IDA-2, posto sul modulo Harmony, così agganciata al molo Harmony utilizzando il che verrà utilizzato per l’attracco delle capsule braccio robotico della Stazione. abitate Dragon e Starliner. Hanno inoltre sostituito Il 9 luglio, è stata lanciata da Baikonur la Progress una telecamera sul traliccio principale e chiuso MS-09 che ha raggiunto la Stazione con la rotta più l’osservatorio dell’esperimento CATS, utilizzato veloce di sempre attraccando dopo solo 3 ore, 39 per il monitoraggio atmosferico che si è guastato minuti e 13 secondi dal lancio. tempo fa. Un ultimo lavoro è stato il bloccaggio di una copertura del sistema di dispiegamento dei Il 10 luglio, il cargo Cygnus OA-9E ha eseguito un pannelli e la relativa eliminazione di uno dei reboost della Stazione. Benché di valore molto “legacci” in tessuto che non servivano più: è ora modesto è stata la prima volta dai tempi dello un nuovo detrito orbitale catalogato con la sigla 43498, 1998-067NS.

Crediti: NASA.

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Space Shuttle che un veicolo americano eseguiva un’operazione di questo tipo sulla ISS, operazione riuscita perfettamente. Il 13 luglio, sono stati lanciati 9 cubesat estratti dal modulo Kibo con il proprio braccio robotico e immessi in orbita per mezzo del Nanoracks NRCSD-14. Il 15 luglio, La capsula Cygnus ha mollato gli ormeggi aiutata dal Braccio Canadarm 2 e, dopo aver rilasciato 6 Cubesat, ha eseguito il 30 luglio un rientro distruttivo in atmosfera, portando con sé oltre 3.000 kg di spazzatura. Il 26 luglio, la Progress MS-08 ha eseguito un’accensione dei motori per una modifica orbitale della ISS in modo da preparare la Stazione per la partenza della Soyuz MS-08. Il 3 agosto, la Dragon CRS-15 è stata sganciata dal molo Harmony per mezzo del Braccio Canadarm 2 e rilasciata in orbita per eseguire il rientro nel Pacifico e il relativo recupero per il suo possibile riutilizzo. Il 10 agosto, altri tre Cubesat sono stati lanciati per mezzo del braccio robotico del modulo giapponese Kibo. Il 15 agosto, è stata eseguita l’attività extraveicolare VKD-45, quarantacinquesima EVA russa che ha visto Prokopyev e Artemyev lavorare

all’esterno per oltre otto ore. Fra le operazioni più importanti c’è stata la “liberazione” a mano di 4 Cubesat direttamente da parte degli astronauti e l’installazione dell’antenna tedesca ICARUS in grado di monitorare i flussi migratori dei volatili per mezzo dei segnalatori di cui sono stati dotati gli uccelli.

Prossimi eventi per la ISS: - 23 agosto – Progress MS-08 molla gli ormeggi e rientra - 11 settembre – Lancio HTV-07 – Cargo giapponese Kounotori 7 - 14 settembre – Attracco HTV-07 – Cargo giapponese Kounotori 7 - 20 settembre – EVA americana numero 52 Andrew Feustel e Alexander Gerst Sulla Stazione Spaziale, oltre al modulo BEAM, sono attualmente ormeggiate la Progress MS-08 (69), la Progress MS-09 (70), la Soyuz MS-09 (54) e la Soyuz MS-08 (53).

Mars Exploration Rover Opportunity – Marte, Sol 5181 (21 agosto 2018). Opportunity. L’odometria totale è ferma a 45,16 Il MER-B si trova nella “Perseverance Valley” posta km percorsi sulla superficie di Marte. sul bordo occidentale del cratere Endeavour. Attualmente Oppy ha certamente subito uno spegnimento totale a causa della grande tempesta di sabbia che ha ricoperto quasi tutto il Pianeta Rosso. Stime date dalle rilevazioni orbitali riportavano un’opacità atmosferica in diminuzione a circa 2,1, ma che è nuovamente e improvvisamente aumentata ad oltre 2,5. Tre volte a settimana viene inviato un comando di risveglio, ma il team scientifico non si attende alcuna risposta dal Rover finché l’opacità non torna su valori tali da riattivare i pannelli solari di

Crediti: NASA/JPL. www.coelum.com

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Mars Science Laboratory Curiosity – Marte, Sol 2148 (21 agosto 2018). Il grande rover sta salendo lungo le pendici del Monte Sharp, una formazione rocciosa alta 4.800 metri posta al centro del cratere Gale, dove è atterrato oltre sei anni fa. Il lavoro di Curiosity si sta concentrando sulle trivellazioni, dato che la tempesta di sabbia che dura da oltre due mesi non dà tregua. È decisamente più leggera rispetto alla zona in cui si trova Opportunity, ma MSL ha dalla sua anche il fatto di avere un generatore di energia indipendente dalla luce solare, diversamente dal MER-B, che è invece rimasto bloccato. Intorno a Curiosity la visibilità è accettabile, anche se il pulviscolo atmosferico impedisce di vedere in lontananza. Di fatto il rover può dedicarsi alle varie analisi del terreno grazie ai suoi strumenti. MSL è ormai fermo da diversi Sol e quindi le immagini riprese a distanza di tempo delle stesse

zone permettono anche di apprezzare le modifiche che il clima provoca sul terreno, aggiungendo così ulteriori informazioni sull’erosione e sugli spostamenti di masse di polveri causate dai venti. Intanto il lavoro prosegue.

SpaceX L’azienda di Elon Musk ha ottenuto il nulla osta dalla NASA per le procedure di lancio con equipaggio. È un grande annuncio in quanto stravolge sostanzialmente le “abitudini” relative alla sicurezza degli astronauti: le due cose più “curiose” sono il caricamento dei propellenti sul razzo vettore quando l’equipaggio è già a bordo della capsula e una procedura completamente automatica per il volo, escludendo così la possibilità di intervento attivo da parte dell’equipaggio. Sono due scelte che fanno discutere molto gli addetti ai lavori e alcuni astronauti hanno già esposto le loro perplessità, soprattutto sul fatto di non poter agire

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dall’interno in caso di problemi. In ogni caso, sul launch pad 39A del Kennedy Space Center hanno installato in questi giorni la passerella per l’accesso degli astronauti sulla Dragon, montata sul Falcon 9, e il demo flight 1 (senza equipaggio) è previsto per novembre, mentre ad aprile 2019 è previsto il demo flight 2, il primo volo abitato per la capsula Dragon. A bordo saranno presenti due astronauti NASA, Doug Hurley e Bob Behnken, che raggiungeranno la ISS dove resteranno per alcune settimane, rientrando poi con la loro Dragon nelle acque dell’oceano Pacifico.


Boeing Starliner Anche la Boeing con il suo Starliner ha ottenuto il nulla osta finale al lancio dei primi astronauti verso la ISS. Verrà utilizzato un vettore Atlas 5 certificato e i lanci avverranno dal Complex 41 di Cape Canaveral, dove sono già stati effettuati diversi test di fuga dalla rampa già attrezzata per i lanci con equipaggio. Il primo lancio ufficiale della Boeing CST-100

Starliner, il Crew Test Flight, avverrà a maggio 2019 e porterà tre astronauti, Chris Ferguson, Eric Boe e Nicole Mann. Il secondo volo, quello post certificazione e il primo delle missioni “regolari”, vedrà a bordo Sunita Williams e Josh Cassada in una data però non ancora comunicata ufficialmente.

Parker Solar Probe La missione Solar Probe Plus, con il nome corretto in onore dello scopritore del vento solare Eugene Parker, è stata lanciata il 12 agosto con un Delta 4 Heavy dallo Space Launch Complex 37 di Cape Canaveral, sotto lo sguardo attento dell’anziano scienziato a cui è stata dedicata. Il terzo stadio e la sonda hanno abbandonato la Hill Sphere terrestre (la zona di influenza gravitazionale) il 13 agosto alle 17:31 TU, con una velocità geocentrica di circa 16 km/s e inserendosi in un’orbita eliocentrica di 0,21 x 1,01 UA x 5,6°. In base agli

attuali dati di traiettoria disponibili, Parker entrerà nella sfera di influenza di Venere intorno alle 2103 TU del 2 ottobre e, dopo un sorvolo a 8415 km di quota, la sua orbita passerà a 0,18 x 0,96 UA x 4,9°, portando Parker al primo perielio, posto a 38 raggi solari, il 6 novembre. Futuri flyby nei prossimi 6 anni ridurranno il perielio a soli 0,05 UA (10 raggi solari). La sonda solare Parker ha una massa di 685 kg – inclusi 80 kg di propellente (idrazina) –

Crediti: NASA/Johns Hopkins APL/Steve Gribben www.coelum.com

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e trasporta la fotocamera grandangolare WISPR, la suite di rivelatori di particelle ISIS, l'esperimento FIELDS per misurare i campi elettrici e magnetici e lo strumento SWEAP per misure in situ del vento solare. Si ripara dietro uno scudo di carboniocarbonio da 73 kg, largo 2,4 metri. Alla fine della missione, quando il propellente si sarà esaurito e lo scudo termico non potrà più essere puntato con verso il Sole, il resto della sonda brucerà, lasciando presumibilmente il solo scudo termico in orbita attorno alla nostra stella.

Parker Solar Probe sarà il più veloce oggetto artificiale di sempre. Il record di velocità attuale è stato stabilito il 16 aprile 1976 dalla sonda spaziale tedesca/statunitense Helios 2 ed è di 68,6 km/s. Parker supererà questo record intorno al 30 ottobre. I calcoli però dicono che la sua velocità massima sarà raggiunta quando passerà a soli 6,1 milioni di chilometri dalla nostra stella raggiungendo l’incredibile velocità di oltre 192 km/s.

TESS e Kepler Il 30 maggio l’Osservatorio planetario extrasolare Transiting Exoplanet Survey Satellite (TESS) ha eseguito la sua accensione finale di inserimento nell’orbita definitiva passando da 99.036 km x 435.600 km x 36,6° a 99.037 x 366.905 km x 36,6°. Si tratta di un’orbita geocentrica in risonanza lunare con periodo P/2 (la metà di quella lunare) e in quadratura con essa in modo da sfruttare l’effetto stabilizzante del nostro satellite naturale restandone sempre a debita distanza. Lo scopo è minimizzare gli interventi propulsivi e allungare così il più possibile la vita della sonda. Attualmente ha già intrapreso la fase operativa della missione iniziando la ricerca di pianeti extrasolari con il metodo dei transiti stellari. Le sue 4 fotocamere scientifiche sono dotate di 4

CCD infrarossi da 16,8 megapixel ciascuno e possono vedere circa 20 milioni di stelle nel firmamento, 200.000 delle quali sono già schedate e bersagli preselezionati. Kepler, il predecessore di TESS, sta per terminare il propellente ed entro fine anno dovrà interrompere definitivamente le osservazioni per l’incapacità di mantenere l’assetto a causa del guasto ai giroscopi. In TESS avrà un degno erede, posto molto più vicino a “casa” (attualmente Kepler è a circa 160 milioni di chilometri dalla Terra su un’orbita eliocentrica) in grado quindi di inviare al centro controllo una mole molto più vasta di dati grazie ad una connessione molto più veloce. Kepler ha scoperto 2650 esopianeti e ne ha almeno altrettanti in attesa di conferma.

Sopra. In questa illustrazione TESS mentre sorvola la Luna, un passaggio che le ha fornito una spinta gravitazionale per entrare in rotta per la sua orbita operativa finale. Crediti: Goddard Space Flight Center/NASA

Hayabusa 2 Il 18 giugno, la sonda giapponese si trovava a meno di 180 km dalla sua destinazione, l’asteroide Ryugu (162173 – circa 900 m di

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diametro), da cui eseguirà la raccolta dei campioni che verranno riportati sulla Terra. Stava eseguendo correzioni di rotta ogni due giorni per


avvicinarsi gradualmente ed è entrata in “stationkeeping” (mantenere la distanza con un volo in formazione) a 20 km il 27 luglio dopo essere passata a soli 6 km dal suo obiettivo. Lo Stationkeeping è stato utilizzato per la misurazione precisa del campo gravitazionale dell’oggetto, permettendone l’azione in modo continuo, lasciando Hayabusa in “caduta libera” fino ad arrivare il 6 agosto a una altezza di soli 850 metri, momento in cui sono stati riaccesi i motori della sonda con una potenza prestabilita. I dati raccolti saranno utilizzati dai tecnici di astrodinamica della sede JAXA di Sagamihara per i

calcoli precisi di navigazione da utilizzare per il resto della missione. Fra gli esperimenti presenti a bordo della sonda vi è anche un piccolo lander europeo chiamato MASCOT, che a ottobre verrà inviato su Ryugu con un sistema a molla e che, nelle 16 ore di funzionamento a batteria, gli permetterà di effettuare rilevamenti scientifici e scattare immagini della superficie da almeno un paio di luoghi diversi, grazie a un sistema a catapulta che gli consentirà di eseguire almeno un salto sulla superficie dell'asteroide. Vedi la notizia a pagina 10.

InSight E sul suolo marziano è in arrivo un nuovo abitante marchiato NASA, anche se con una significativa partecipazione europea. Si appresta ad arrivare la sonda InSight, che si trova già oltre la metà del suo viaggio. Ad oggi, ha percorso 277 milioni di chilometri e gliene mancano all’incirca 208 per toccare il suolo marziano sulla Elysium Planitia, dove inizierà la sua missione sullo studio dell’interno del Pianeta Rosso. Il suo acronimo deriva infatti da Interior Exploration using Seismic Investigations, Geodesy and Heat Transport, ovvero studio dell’interno del pianeta attraverso analisi sismiche, di geodesia e del trasporto del calore. Il suo arrivo è previsto per il prossimo 6 novembre, tutti gli strumenti sono stati testati con successo e tutto procede nominalmente. Nel frattempo, le telecamere del lander hanno ripreso un “selfie interno” della backshell. Tom

Hoffman, project manager di InSight, spiega: «Se sei un ingegnere della missione InSight, il primo sguardo alla calotta di protezione termica, al cablaggio e ai bulloni di copertura è uno spettacolo davvero rassicurante in quanto ci dice che la nostra Instrument Context Camera sta funzionando perfettamente. La prossima foto in programma con questa camera sarà della superficie di Marte». Se tutto va come previsto la ICC scatterà la prima immagine della Elysium Planitia pochi minuti dopo l’atterraggio di InSight sul suolo marziano.

A destra. Un "selfie" interno di Insight, che la navicella ha inviato per dare prova che tutto funziona alla perfezione. L'immagine è stata presa dalla Instrument Context Camera (ICC) del lander e mostra le strutture interne che lo incapsulano all'interno della navicella spaziale. La backshell è la struttura che contiene il paracadute e tutto ciò che servirà al lander durante le fasi di ingresso in atmosfera, discesa e atterraggio, proteggendolo dalle forti temperature dell'impatto con l'atmosfera e accompagnandolo fino al suolo. Crediti: NASA/JPLCaltech www.coelum.com

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L’ACQUA LIQUIDA SU MARTE La storia di una scoperta di Roberto Orosei

Crediti: ESA/ATG medialab; Mars: ESA/DLR/FU Berlin; Coelum Astronomia

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È del 25 luglio di quest'anno la pubblicazione sulla rivista Science di un articolo, scritto da un gruppo di ricercatori italiani, in cui si dà notizia della scoperta di acqua liquida a 1,5 km di profondità sotto la calotta polare meridionale di Marte. Questo risultato è stato ottenuto mediante i dati del radar italo-americano MARSIS (Mars Advance Radar for Subsurface and Ionosferic Sounding) a bordo della sonda europea Mars Express. MARSIS è stato concepito per cercare il ghiaccio e l'acqua al di sotto della superficie di Marte. e lavora in modo simile ai radar che sulla Terra vengono usati per identificare e studiare la presenza di acqua liquida al di sotto delle calotte polari, come nel caso del lago Vostok in Antartide. Così come il segnale dei nostri cellulari è in grado di attraversare i muri degli edifici, l’impulso radar emesso da MARSIS si riflette in parte sulla superficie e in parte penetra all’interno del ghiaccio, dove viene ulteriormente riflesso quando incontra un materiale diverso. Il segno caratteristico della presenza di acqua è la forte intensità degli echi radar, poiché l'acqua è il materiale naturale che meglio riflette le onde radio. Sulla Terra, quindi, la ricerca di acqua sotterranea consiste nella ricerca di echi radar particolarmente forti provenienti dal sottosuolo. Gli echi provenienti da 1,5 km di profondità nell'area osservata da MARSIS sono addirittura più forti di quelli prodotti dalla superficie. La dimostrazione che questo fenomeno sia dovuto alla presenza di acqua liquida ha richiesto però ben più che una semplice analogia con misure simili fatte sulla Terra. Su Marte, MARSIS aveva registrato echi con caratteristiche simili già nel 2007, a una profondità di più di tre chilometri e mezzo sotto la parte più brillante della calotta polare sud, detta calotta residua, costituita da anidride carbonica congelata. In quel caso, però, fu dimostrato che la ragione di echi così intensi non era la presenza di un forte riflettore alla base del ghiaccio, ma piuttosto quella del ghiaccio di CO2 in superficie. Esso infatti è molto più trasparente www.coelum.com

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del ghiaccio d'acqua per le onde radio e, in particolari condizioni, permette il passaggio di una frazione molto grande dell’impulso radar. La maggiore intensità degli echi provenienti dalla base della calotta fu spiegata perciò con la debole riflessione alla superficie e il basso assorbimento dell’impulso radar all'interno del ghiaccio. Sulla Terra questo fenomeno non si verifica perché la temperatura non è mai così bassa da causare il congelamento dell’anidride carbonica. Queste conclusioni furono, per molti degli scienziati del progetto MARSIS, un duro colpo alla speranza di poter identificare l'acqua liquida nel sottosuolo. Per alcuni però, e in particolare per l'allora responsabile scientifico dello strumento, il professor Giovanni Picardi dell'Università di Roma "La Sapienza", la ricerca continuò. Nel corso degli anni furono osservate altre zone in cui erano presenti forti echi sottosuperficiali, ma per anni la loro identificazione fu resa dubbia per l’impossibilità di replicare le misure su una data zona in momenti diversi: un punto in cui comparivano riflessioni subglaciali brillanti in un’osservazione risultava poi privo di

caratteristiche particolari in quella successiva. Ci vollero alcuni anni per capire che la ragione di questo strano comportamento era l'elaborazione dei dati all'interno del radar, che sommava gli echi a centinaia per volta e trasmetteva a terra soltanto il risultato finale: elaborazione resa necessaria dalla limitata larghezza di banda disponibile nella comunicazione, tra il radar e il computer centrale della sonda, dovuta al fatto che la tecnologia su cui è basata la realizzazione di Mars Express risale alla metà degli anni novanta del secolo scorso. Questa elaborazione finiva così per cancellare gli echi forti, se questi erano presenti solo in alcune delle tracce radar che venivano sommate a bordo. Grazie però alla dedizione e all’impegno del team di ingegneri che ha realizzato e gestito lo strumento, è stato possibile compiere una modifica del software di bordo, che ha permesso di trasmettere a terra un numero limitato di echi senza che venissero elaborati all’interno dello strumento. Fu così dimostrato che, in almeno una delle aree che erano state studiate fino ad allora, gli echi forti comparivano in ogni singola

Sopra. L’immagine mostra l’area della Calotta Polare sud di Marte, oggetto di indagine della ricerca condotta con il radar Marsis (a destra, i tracciati dei rilevamenti condotti durante numerosi passaggi della sonda sull’area in questione). Crediti: ESA

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La Notizia: Marte, c’è un lago sotterraneo di acqua liquida di Redazione Media INAF

Acqua su Marte: liquida e salata. Sono queste le prime conclusioni delle indagini compiute con il radar italiano Marsis (Mars Advanced Radar for Subsurface and Ionosphere Sounding), a bordo della sonda europea Mars Express, pubblicate lo scorso 25 luglio su Science. Allo studio, guidato da Roberto Orosei dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), hanno partecipato scienziati e scienziate appartenenti all’INAF e ad altri centri di ricerca e università italiane: l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), l’Università degli studi Roma Tre, l’Università D’Annunzio Chieti-Pescara, il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e Sapienza Università di Roma. I risultati, per la prima volta, confermano che sotto la superficie di Marte c’è acqua allo stato liquido. Probabilmente acqua è salata, visto che Marsis ha individuato il

bacino a 1,5 km di profondità, dove la temperatura è sicuramente ben al di sotto di 0 °C. I sali, probabilmente simili quelli che la sonda NASA Phoenix ha trovato nel ghiaccio della zona circumpolare nord, agiscono da “antigelo”, aiutando a mantenere l’acqua allo stato liquido nonostante la temperatura. Acqua, sali, rocce e protezione dalla radiazione cosmica sono ingredienti che potrebbero far pensare anche a una nicchia biologica. I ricercatori sono convinti che potrebbero esserci altre zone con condizioni favorevoli alla presenza di acqua in profondità su Marte e ora, messo a punto il metodo di analisi, potranno continuare a investigare. Grazie alla sonda Viking della NASA, dal 1976 è diventato evidente il fatto che la superficie di

Sopra. Impressione artistica del veicolo spaziale Mars Express che sonda l’emisfero sud di Marte, sovrapposto a una sezione radar dei depositi stratificati polari meridionali. La linea bianca più in alto è l’eco del radar di superficie, mentre le macchie blu chiaro lungo l’eco radar basale evidenziano aree di riflettività molto alta, interpretate come dovute alla presenza di acqua. Crediti: ESA, INAF. Elaborazione grafica di Davide Coero Borga – Media INAF www.coelum.com

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Marte fosse un tempo coperta da mari, laghi e fiumi e le successive missioni hanno confermato sempre più tale presenza. «Il grande dilemma era quindi quello di stabilire dove fosse finita tutta quell’acqua», dice Roberto Orosei, primo autore dell’articolo. «Buona parte di questa è stata portata via dal vento solare, che spazzò quella che mano a mano si vaporizzava dalla superficie degli specchi d’acqua. Un’altra significativa porzione è depositata sotto forma di ghiaccio nelle calotte, soprattutto quella nord, e negli strati prossimi alla superficie o è legata al terreno nel permafrost. Ma una parte doveva essere rimasta intrappolata nelle profondità e potrebbe ancora trovarsi allo stato liquido». Questo era ciò che si ipotizzava a metà degli anni ’90, quando la missione Mars Express fu annunciata dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA), e l’ASI propose di adottare un radar a A destra. Impressione artistica del veicolo spaziale Mars Express che sonda l’emisfero sud di Marte, sovrapposto a un mosaico di colori di una porzione di Planum Australe. L’area di studio è evidenziata utilizzando un mosaico di immagini THEMIS IR. La potenza del segnale dell’eco proveniente dal sottosuolo è codificata per colore e il blu intenso corrisponde ai riflessi più forti, che sono interpretati come causati dalla presenza di acqua. Crediti: USGS Astrogeology Science Center, Arizona State University, Esa, Inaf. Elaborazione grafica di Davide Coero Borga – Media INAF

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Sopra. Roberto Orosei (INAF), primo autore dello studio. Crediti: Stefano Parisini – Media Inaf


bassa frequenza per investigare il sottosuolo a grande profondità. Il radar fu ideato e proposto da Giovanni Picardi di Sapienza Università di Roma, la sua realizzazione fu gestita dall’ASI e affidata alla Thales Alenia Space – Italia e il lancio avvenne il 2 giugno 2003.

determinare la costante dielettrica dello strato riflettente e identificarne, quindi, la natura. Questa parte del lavoro è durata quasi 4 anni, ma il gruppo è riuscito a determinare che la permittività dielettrica dell’area altamente riflettente è maggiore di 15, perfettamente in accordo con la presenza di materiali che contengono notevoli Il gruppo di scienziati che firma l’articolo quantità di acqua liquida. «Questi risultati pubblicato su Science, ha studiato per alcuni anni indicano che ci troviamo probabilmente in la regione del Planum Australe con Marsis. In presenza di un lago subglaciale», conclude Elena particolare, i ricercatori hanno elaborato e Pettinelli dell’Università Roma Tre, «simile ai laghi analizzato i dati acquisiti su questa regione tra il presenti al di sotto dei ghiacci antartici, maggio 2012 ed il dicembre 2015. I profili radar, relativamente esteso e con una profondità ottenuti da orbite diverse, che talvolta si certamente superiore alla possibilità di incrociavano tra di loro, ed acquisite in diversi penetrazione delle frequenze usate da Marsis. In periodi dell’anno marziano quando nelle regioni alternativa potrebbe trattarsi di un acquifero polari sud si depositano sottili strati di ghiaccio di profondo nel quale l’acqua liquida riempie i pori e anidride carbonica, hanno mostrato le fratture della roccia. Non siamo attualmente in caratteristiche peculiari e hanno permesso di grado di stimare con precisione la profondità del identificare una area di circa 20 km quadrati lago, ovvero dove si trova il fondo del lago o la (centrata a 193°E e 81°S) nella quale la base dell’acquifero, ma possiamo senza dubbio sottosuperficie è molto riflettente, al contrario affermare che sia come minimo dell’ordine di delle aree circostanti. qualche metro». La parte più complessa del lavoro è stata l’analisi quantitativa dei segnali radar per arrivare a

osservazione. Occorsero però altri tre anni e mezzo perché fosse possibile acquisire un numero di osservazioni di quell’area da permettere un’analisi approfondita delle sue proprietà. L’ultima di queste venne compiuta il 27 dicembre del 2015, pochi mesi dopo la scomparsa del professor Picardi. Da quel momento il gruppo di ricercatori italiani del team scientifico di MARSIS ebbe a disposizione tutti i dati che occorrevano per studiare l’origine degli echi forti. Nonostante disponessimo finalmente di osservazioni chiare e coerenti, dovemmo presto ricrederci sul fatto che il più fosse stato fatto. Ci accorgemmo che i dati di osservazioni diverse sulla stessa zona, pur esibendo sempre echi subglaciali più forti di quelli superficiali, non potevano essere confrontati fra loro in maniera

quantitativa. Il problema nasceva dal fatto che l’antenna di MARSIS era troppo lunga (ben 40 metri) perché le sue caratteristiche elettromagnetiche potessero venire misurate in un laboratorio prima del lancio. Era un po' come avere a disposizione una radio senza la possibilità di controllarne il volume e dover misurare la potenza del suono senza una scala di riferimento. Era evidente che vi fossero echi provenienti da sotto il ghiaccio più forti di quelli superficiali, ma non era facile dimostrare che la potenza di questi echi rimanesse la stessa in osservazioni diverse. La soluzione mi venne in treno, mentre mi dirigevo a una riunione in cui avremmo tentato una volta di più di venire a capo di questo nuovo problema. Mi venne da pensare che, al di là delle www.coelum.com

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Il Radar MARSIS Marsis è un radar sounder, ovvero un radar che opera a frequenze tra 1,5 e 5 MHz in grado di penetrare nel terreno marziano fino a 4 o 5 km di profondità, a seconda delle caratteristiche geofisiche degli strati profondi, ma anche di misurare con accuratezza lo stato e le variazioni della ionosfera marziana. «Era uno strumento di concezione innovativa, completamente diverso dall’unico lontano precursore volato un quarto di secolo prima sull’ultima missione Apollo, estremamente promettente di cui si doveva non solo sviluppare l’elettronica, ma anche il modo di elaborarne i dati. Un contributo importante venne dai colleghi del JPL della Nasa e dell’Università dell’Iowa», ricorda Enrico Flamini, chief scientist di ASI. Questi ultimi erano principalmente interessati alla misura della ionosfera marziana,

mentre il JPL curò lo sviluppo presso l’industria americana dell’antenna, due leggerissimi tubi di kevlar lunghi 20 metri ognuno che, per poter essere montati a bordo ed essere lanciati con il satellite, dovevano essere ripiegati in una scatola di poco più di un metro di lunghezza. Marsis, grazie alla sua capacità di penetrare all’interno della crosta marziana, è l’unico strumento in grado di risolvere il dilemma e trovare l’acqua liquida in profondità. Per più di 12 anni il radar ha sondato le calotte polari del Pianeta Rosso in cerca di indizi di acqua liquida. Qualche eco radar insolitamente forte era già stata osservata dai ricercatori del team di Marsis nel corso degli anni, ma senza ottenere mai una evidenza sperimentale certa della presenza di acqua allo stato liquido.

Sopra. Un rendering della sonda Mars Express dell’ESA, in orbita attorno a Marte. Si notano le lunghe antenne del radar italo-americano Marsis, che ha permesso i rilevamenti che hanno portato alla scoperta dei depositi di acqua liquida nel sottosuolo marziano. Crediti: ESA

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Sopra. L’immagine mostra il tracciato radar rivelato da Marsis: si notano i numerosi strati che compongono il sottosuolo della calotta polare marziana, strati composti da ghiaccio e polveri alternati. In blu sono riportati gli echi più forti, che hanno portato alla scoperta della presenza di sacche di acqua liquida. Crediti: ESA

fluttuazioni della potenza dell’eco superficiale – dovute a irregolarità del terreno, disturbi della ionosfera e altri possibili fattori – la potenza media degli echi di superficie avrebbe dovuto essere costante su tutta la zona analizzata, poiché la composizione superficiale di tale zona era omogenea. Calcolai allora la potenza media degli echi di superficie per ogni orbita, e divisi la potenza degli echi provenienti da sotto il ghiaccio per questo valore. Non senza esitazione, confrontai il risultato per tutte le orbite che avevamo a disposizione e vidi che, in ogni punto in cui più orbite si sovrapponevano, i valori così normalizzati erano gli stessi, indipendentemente dall’orbita scelta.

una misura certa e riproducibile della potenza riflessa dal materiale alla base del ghiaccio, che non poteva essere spiegata da effetti casuali come una particolare geometria di osservazione o un qualche tipo di fenomeno stagionale.

Per dimostrare in maniera rigorosa questa intuizione occorse però una estesa analisi quantitativa dei fattori che influenzano la propagazione del segnale radar, a partire da misure di laboratorio su materiali analoghi a quelli marziani a bassissima temperatura, passando per la simulazione numerica della propagazione di un segnale radar attraverso la calotta polare marziana. La conclusione, dopo due anni di lavoro, fu che Per la prima volta allora sentii che ce l'avremmo nessuno tra i fattori che potevano giustificare una fatta. Non solo esistevano echi forti provenienti forte intensità degli echi subglaciali in assenza di da sotto il ghiaccio, ma la loro potenza era acqua liquida poteva spiegare tutte le costante indipendentemente dalla geometria e caratteristiche dei dati, e che la potenza delle dall’epoca dell’osservazione. Finalmente avevamo riflessioni era tale da richiedere non solo la

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presenza di acqua liquida, ma anche che l'acqua fosse a temperature molto inferiori a 0 gradi centigradi. Questo è possibile solo se essa contiene una quantità di sali molto superiore a quella degli oceani terrestri, la cui concentrazione e composizione chimica non può però essere determinata in maniera accurata a partire dai dati radar. Questa scoperta si distingue dai passati ritrovamenti di acqua liquida sulla superficie di Marte, nelle quali essa costituisce una presenza temporanea dovuta allo scioglimento del permafrost marziano. In questo caso si tratta invece di acqua che è isolata dalle variazioni stagionali di temperatura e dalle radiazioni cosmiche che bombardano e sterilizzano la superficie di Marte, un ambiente stabile che probabilmente persiste per tempi di centinaia di migliaia o addirittura milioni di anni. L'acqua è uno dei requisiti fondamentali per la vita come noi la conosciamo, e la sua scoperta

identifica un potenziale habitat per la vita. Ci sono segni incontrovertibili della presenza di acqua liquida sulla superficie di Marte nel suo lontano passato, ma la sua minore gravità ha causato la progressiva perdita dell'atmosfera che contribuiva a mantenere un clima relativamente mite grazie all'effetto serra. Marte è così diventato l'arido deserto gelato di oggi, ma si ritiene che abbia mantenuto condizioni simili a quelle della Terra dei primordi per un tempo simile a quello entro il quale la vita si è sviluppata sul nostro pianeta. La domanda fondamentale è quindi questa: la vita si è sviluppata anche su Marte, dato che a quanto sappiamo ve ne erano le condizioni? Al momento nessuno è in grado di creare la vita in laboratorio a partire dalle sostanze chimiche presenti sulla Terra quattro miliardi di anni fa, e resta ancora molto da scoprire sui processi che hanno portato all'emergere della vita sul nostro pianeta. Non sappiamo quindi se essa si manifesti spontaneamente non appena ve ne siano le condizioni, o se, al contrario, sia un processo raro

Sopra. Roberto Orosei, INAF Bologna, co-responsabile scientifico di Marsis e primo autore dello studio pubblicato su Science. Crediti: INAF. www.coelum.com

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che richiede condizioni particolari che ancora non conosciamo. Sapere se la vita è esistita su Marte è quindi l'inizio della ricerca di una risposta alla domanda se la vita sia un processo comune, e quindi, in ultima analisi, se non siamo soli

nell'Universo. Se la vita è nata su Marte, l’acqua subglaciale scoperta da MARSIS è il luogo più plausibile, a quanto sappiamo, dove sperare di ritrovarla ancora oggi.

C'è acqua su Marte di Gianni Comoretto - Query Online - CICAP

L’acqua è essenziale per la vita, e quindi c’è un grosso interesse a ricercarla in corpi celesti al di fuori della nostra Terra. In particolare diverse missioni spaziali hanno indagato sulla presenza di ghiaccio ed acqua su Marte. Sappiamo che in passato Marte ha ospitato acqua liquida, l’erosione visibile in molte strutture geologiche marziane è spiegabile solo con la presenza di fiumi, ma oggi la quasi totalità di quell’acqua non è più presente. Marte ha calotte polari di ghiaccio, simili ma molto più piccole di quelle terrestri. Sotto la superficie marziana è

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presente del ghiaccio: la sonda Phoenix, nel 2008, ne ha trovato a soli 15 cm di profondità. Nell’atmosfera marziana si rilevano tracce di vapore acqueo, che produce brina e neve, e talvolta anche goccioline di acqua liquida, sia pure in quantità minime. Acqua liquida può talvolta essere presente quando questo ghiaccio viene sciolto da sali presenti nel terreno, e si sono visti smottamenti recenti spiegabili solo con la presenza di acqua di fusione. Ma nessuno aveva visto acqua liquida in forma stabile sul pianeta rosso prima della scoperta di MARSIS.


Sopra. Un’impressione artistica di Marte parzialmente coperto di acqua. Oggi Marte è un pianeta arido e secco ma in un lontano passato l’acqua liquida poteva essere presente con facilità sulla sua superficie.

Mars Express è una missione dell’ESA, l’agenzia spaziale europea. La sonda, in orbita intorno a Marte dal 2004, è dotata di diversi strumenti per lo studio dell’atmosfera e del suolo marziano. Tra questi in particolare il radar MARSIS, contributo principalmente italiano, è in grado di individuare ghiaccio ed acqua liquida sotto la superficie del pianeta, fino a circa 3 km di profondità. Il ghiaccio e in misura molto maggiore l’acqua liquida infatti riflettono molto bene le onde radio, molto di più di quanto faccia qualsiasi tipo di roccia. Già nel 2009 i primi dati di MARSIS avevano evidenziato la presenza di diversi strati ghiacciati sepolti sotto la superficie del pianeta, ed alcuni echi particolarmente intensi suggerivano la presenza di acqua sotto i ghiacci polari, ma la possibilità che si trattasse di un falso segnale

rimaneva alta. Per escluderlo ci sono voluti tre anni di osservazioni ripetute, tra il 2012 e il 2015, ed altri due di paziente analisi dei dati raccolti da parte del team guidato da Roberto Orosei. Al di là delle implicazioni per la possibile presenza di vita (comunque difficile a quelle temperature e concentrazioni di sali), la presenza di acqua liquida sotto la calotta polare marziana è importante per ricostruire la storia del clima del pianeta. Come sulla Terra, i ghiacci polari conservano informazioni importanti sul clima passato, ma la loro conformazione, e storia, cambia se questi possono scivolare su uno strato di acqua liquida. Questa scoperta quindi ci aiuterà a conoscere meglio il passato di Marte.

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La Luna che cammina… e il bolide del sabato sera di Pietro Francesco Nicolai

Molte sono le testimonianze di chi ha potuto osservare il grande bolide la sera del 18 agosto ma purtroppo poche sono le immagini disponibili. Questa immagine è una rappresentazione di fantasia che ben riproduce la scena che si è presentata agli occhi di molti italiani, proprio come è capitato all'autore dell'articolo, Pietro Francesco Nicolai.

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Sabato 18 agosto, intorno alle ore 21, un intenso bolide è stato avvistato sui cieli italiani, offrendo ai molti spettatori uno spettacolo davvero affascinante. Di tanto in tanto penso al tempo che passa, ai tanti amici, agli anni della nostra gioventù, alle notti insonni trascorse a osservare il cielo, la Luna, le stelle, alla spensieratezza di quegli anni e all’immenso spazio della nostra fantasia. Ricordo quei momenti: la smania di diventare adulti, i sabato sera in giro per le strade, nei pub e nelle discoteche, chiusi dentro le automobili per le strade illuminate delle nostre città. Quel tempo è oggi passato. Dall’alto della nostra fantasia un grande scivolo ci ha riportati sulla terra; siamo diventati adulti, con lo sguardo rivolto all’orizzonte e il cielo sempre lì, immutabile e silenzioso, come un velo gigante ai limiti della realtà. Oggi è il tempo della “concretezza”, delle cose chiare e tangibili; tutto ha un nome, una logica, una misura. Pervaso da un’aura nostalgica, vi racconto una storia recente. Lo scorso sabato 18 agosto, dopo aver cenato, io e mia figlia Eva, una bambina di tre anni e mezzo, siamo usciti fuori casa per la consueta passeggiata estiva. Nel pomeriggio c’era stato un temporale e, alla sera, il cielo era tornato limpido. La mia compagna è rimasta in casa a leggere un libro. Siamo andati lungo una strada che costeggia un fiume, camminando nel bordo della strada, tra i lampioni accesi, mia figlia, osservando il “Quarto” di Luna passare tra un lampione e l’altro, ha esclamato sorridendo: «la Luna cammina!». Le ho spiegato che non era la Luna a camminare, bensì eravamo noi a muoverci lungo la strada mentre la Luna e i lampioni restavano immobili. Le ho spiegato anche che, nella realtà, la Luna si muove anch’essa, che per noi quel movimento è istantaneamente impercettibile e che comunque nei prossimi giorni l’avremmo vista, sempre immobile, da un’altra parte. www.coelum.com

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Il bolide del 18 agosto di Marco Malaspina - Media INAF

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L’hanno vista in tanti, tantissimi, dal nord al sud del Paese: era la “super stella cadente” che ha solcato i cieli della Penisola alle 20:55:32 del 18 agosto. Era una lacrima di San Lorenzo, una stella cadente dello sciame delle Perseidi – ma una di quelle memorabili, di quelle per cui un solo desiderio non basta – quella che ha solcato i cieli sopra la Romagna e le Marche lo scorso sabato 18 agosto. Un bolide come raramente capita di vederne. Questa volta, invece, complici l’intensa luminosità, l’orario che più comodo non si potrebbe (attorno alle 21) e il fatto che fosse un sabato estivo, a vederlo sono stati in tantissimi, come si intuisce dalle numerose segnalazioni che sono prontamente fioccate in rete. E c’è anche chi è riuscito a immortalarlo, malgrado fosse molto basso sull’orizzonte. Si tratta di due delle circa cinquanta stazioni della rete del Progetto Prisma, la Prima rete per la sorveglianza sistematica di meteore e atmosfera: quella di Trieste e quella di Capua, di cui vediamo le immagini qui a lato.

Sopra. Le due immagini del bolide riprese dalle stazioni Prisma di Trieste (in alto) e di Capua (in basso). Crediti: Progetto Prisma

Per farle capire meglio il concetto abbiamo smesso di camminare e ci siamo fermati a osservare la Luna e i lampioni. Tutto era in quiete. Le ho spiegato: «Ora è tutto fermo perché noi stiamo fermi; dunque non è la Luna che cammina! ». E le ho chiesto anche: «Perché hai la certezza che i lampioni stanno fermi mentre la Luna per te cammina?». Lei mi ha risposto: «Perché i lampioni stanno in terra e la Luna sta nel cielo!». Penso che abbia voluto dirmi che qualsiasi cosa che non ha piedi, che non ha radici, che fluttua nel cielo, non può essere ferma, e io ho pensato: «La mente libera di una bambina può riuscire, più di noi adulti, a comprendere la natura e le sue leggi; noi adulti dovremmo tornare un po’ bambini per continuare a scoprire i limiti del nostro pensiero e i confini dell’universo».

Tornando a casa, continuando a osservare la Luna nel vasto orizzonte del cielo, abbiamo visto un bagliore, una palla di fuoco che lasciava dietro di sé una scia luminosa. Abbiamo rivolto velocemente lo sguardo verso quella luce che sovrastava la collina, al disopra della nostra casa. La sfera luminosa è spuntata all’improvviso, dirigendosi da nordest verso sudovest, veloce come un lampo. La luce è durata circa tre secondi descrivendo una traiettoria pressoché rettilinea con andamento radente il profilo della collina e con un limitato angolo di incidenza sul piano orizzontale. La sfera luminosa emetteva una luce prevalentemente bianca, con un contorno giallo intenso-arancione lungo il semiperimetro anteriore della sfera, nel verso del moto; sia il corpo della sfera che la coda emettevano luce

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bianca. Si è poi dissolta nell’oscurità senza provocare alcun rumore – almeno questa è stata la mia percezione – e senza lasciare alcuna traccia. Pieni di stupore e di curiosità, io e mia figlia siamo tornati a casa. Il nostro racconto si è incrociato con quello della mia compagna che, con la finestra spalancata, stava anch’essa guardando il cielo e ha visto anche lei quello spettacolo della natura. Qualche sera prima, nella notte di San Lorenzo, io e mia figlia ci eravamo fermati a osservare il cielo, sdraiati per terra sopra una coperta, vicino a una grande quercia. Vedemmo due stelle cadenti, esprimemmo i nostri desideri, con la promessa che sarebbero rimasti segreti affinché potessero avverarsi. Facevo questo anch’io quando ero un bambino e lo faccio un po’ meno oggi da adulto. Quel sabato sera fu tutto diverso. Non avevo mai osservato un fenomeno di quel tipo. Quel sabato sera, io e la mia compagna, sotto quel cielo generoso, siamo tornati per un attimo bambini insieme alla nostra figlia, per comprendere anche noi che la Luna veramente cammina, che lo spazio

va oltre il nostro tempo, che le emozioni non hanno età, che forse siamo veramente figli delle stelle e qualche volta il cielo ce lo ricorda: un invito a pensare, a rimanere eternamente bambini.

Ho visto il bolide di Paolo Bacci - UAI

Alle ore 20:55 del 18 agosto, quando il cielo ancora si tingeva di azzurro scuro e la Luna al Primo Quarto oltre il meridiano la faceva da padrona, improvvisamente a est una palla di fuoco è comparsa nel cielo, splendente forse quanto la Luna stessa, e in pochi secondi è scomparsa. Alcuni fortunati visitatori che stavano entrando all'Osservatorio Astronomico della Montagna Pistoiese hanno assistito a questo insolito evento rimanendo esterrefatti. La luminosa meteora secondo le testimonianze è esplosa frantumandosi e qualcuno assicura di aver sentito anche un boato. La nostra telecamera ITTO01 è riuscita a fotografarla, che purtroppo era molto basso sull'orizzonte est, il che renderà particolarmente difficile l'analisi dell'immagine. IL GAMP – Gruppo Astrofili Montagna Pistoiese – che ha in gestione l’Osservatorio, struttura pubblica del comune di San Marcello Piteglio, è

stato uno dei primi ad aver installato una camera All-Sky del progetto PRISMA (Prima Rete Italiana per la Sorveglianza di Meteore e Atmosfera) dell’INAF. Questo tipo di telecamera ha una visione a 360° della sfera celeste ed è attiva 24 ore su 24. Lo scopo del progetto è quello di individuare bolidi molto luminosi da più telecamere sparse sul territorio nazionale, al fine di determinare, tramite la triangolazione, la traiettoria del meteoroide con l'intento di trovare al suolo eventuali frammenti.

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JUNO. MISSIONE PRIMARIA SCIENTIFICA CONFERMATA tra lampi, fulmini e saette… di Paola De Gobbi

Leggi anche Speciale Missione JUNO

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Un Giove tutto nuovo


Consueto aggiornamento sulle principali scoperte e le immagini più significative degli ultimi mesi di missione.

Buone notizie per la missione Juno: come si sperava e ci si aspettava, a giugno la NASA ha approvato l'aggiornamento delle operazioni scientifiche della sonda che continuerà quindi a sorvolare il pianeta fino al luglio 2021. Alla sonda sono stati garantiti dunque altri 41 mesi in orbita attorno a Giove che le consentiranno di raggiungere i suoi obiettivi scientifici primari. Ricordiamo infatti che il team di Juno ha dovuto riprogrammare la missione a causa di un problema alle valvole di alimentazione, che ha obbligato la sonda a rimanere su orbite "larghe" di 53 giorni anziché avvicinarsi al pianeta in orbite più ravvicinate della durata di soli 14 giorni, come inizialmente era stato programmato. Questa decisione ha significato però un allungamento dei tempi previsti per la raccolta dei dati, motivo per cui si è resa necessaria un’estensione della missione (sia dal punto di vista della copertura economica per il controllo missione, ma anche del tempo, e quindi del personale, necessario all'analisi dei dati raccolti). In precedenza, una giuria indipendente di esperti aveva già confermato che Juno era sulla buona strada per raggiungere i suoi obiettivi scientifici. Visti i risultati spettacolari restituiti da Juno, la NASA ha quindi confermato i finanziamenti almeno fino al 2022. La fine della missione primaria è ora prevista nel luglio 2021, con l'analisi dei dati e le attività di chiusura della missione che proseguiranno nel 2022.

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Sopra. Una delle tantissime immagini di Giove provenienti dalle elaborazioni delle immagini della JunoCam da parte della comunità di cittadini scienziati che seguono la missione. In questa vengono evidenziate le tempeste gioviane, che si sono rivelate anche, sotto certe condizioni, popolate da numerosi lampi, fulmini e saette! In pieno stile... gioviano. Crediti: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS/Kevin M. Gill

«È una grande notizia per l'esplorazione planetaria e per il team di Juno» sottolinea Scott Bolton, PI della missione. «Questa estensione consentirà a Juno di completare i suoi obiettivi scientifici primari e, come bonus, le orbite più grandi ci permettono di studiare ulteriormente la più lontana magnetosfera di Giove – la regione dello spazio dominata dal campo magnetico di Giove – comprese le lontane

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code magnetiche, la magnetosfera meridionale e la regione limite chiamata magnetopausa. Abbiamo anche scoperto che l'ambiente di radiazione di Giove in questa orbita è meno estremo del previsto, il che è un vantaggio non solo per la sonda, ma anche per i nostri strumenti e la continua qualità dei dati scientifici raccolti».


Sopra. Durante la sua missione, finalmente approvata fino a conclusione, Juno manterrà la sua orbita polare di 53 giorni attorno a Giove. Nella sua posizione più vicina, una volta per orbita, la sonda passa entro i 5.000 chilometri dalle nubi di Giove. All'estremità più lontana di ogni orbita, apogiovio, Juno si trova a circa 8 milioni di chilometri dal pianeta – appena al di là dell'orbita della luna di Giove Themisto. Crediti: NASA / JPLCaltech

I Fulmini di Giove E negli stessi giorni sono stati pubblicati due nuovi studi grazie proprio ai dati ricavati dalla sonda, su Nature e su Nature Astronomy. Gli scienziati del team Juno infatti hanno svelato alcune particolarità della dinamica dei fulmini su Giove, un mistero sul quale i ricercatori si interrogano sin da quando la navicella Voyager 1 della NASA passò accanto al pianeta nel marzo del 1979. Quell'incontro confermò infatti l'esistenza di fulmini su Giove, sotto forma di emissioni radio a bassa frequenza, poi soprannominate whistler perché simili al suono di un fischio. Questi fenomeni sono stati teorizzati per secoli ma vennero osservati per la prima volta solo da quella prima sonda di passaggio nei pressi del pianeta

gassoso. I dati raccolti mostrarono che i segnali radio associati ai fulmini gioviani non corrispondevano però nei dettagli ai segnali radio prodotti dai fulmini qui sulla Terra (il primo passo nello studio di un fenomeno è infatti confrontarlo con il fenomeno più simile conosciuto). «A prescindere dal pianeta in cui ti trovi, i fulmini si comportano come trasmettitori radio – emettono onde radio quando attraversano il cielo», spiega Shannon Brown del Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA, del team Juno e autore principale dello studio. I fulmini terrestri infatti si propagano in due modi fondamentali: sotto forma di onde a bassa frequenza (da pochi chilohertz a decine di

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chilohertz) lungo le linee di campo geomagnetico, o come onde ad alta frequenza (più di 10 megaherz) che non interagiscono con la magnetosfera.

successive missioni, fino a quando Juno arrivò nell’orbita gioviana, il 4 luglio 2016. Nella sua suite di strumenti altamente sensibili c'è infatti anche il Microwave Radiometer Instrument (MWR), che registra le emissioni del gigante gassoso «Ma tutti i segnali dei fulmini registrati dalle sonde lungo un ampio spettro di frequenze. [Voyager 1 e 2, Galileo, Cassini] erano limitati a rilevamenti visuali o nelle lunghezze d’onda radio Sotto. I fulmini su Giove sono particolarmente numerosi e raccolti nei poli del pianeta, e per lo più dell’ordine dei chilohertz, nonostante la ricerca di nel polo nord. Nell'immagine non vediamo i veri segnali nell'intervallo dei megahertz. Molte teorie fulmini, ma solo una rappresentazione artistica per hanno provato a spiegare la cosa, ma nessuna ha descrivere il fenomeno, sono stati aggiunti in grafica sullo sfondo di un Giove invece reale ripreso dalla dimostrato poi di funzionare». JunoCam durante una delle sue orbite. Crediti: NASA / Un mistero che rimase tale, nonostante le JPL-Caltech / SwRI / JunoCam

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Sopra. Lampi sul lato notturno di Giove ripresi dalla sonda Galileo nel 1997. Crediti: NASA

«Nei dati dei nostri primi otto flyby, l'MWR di Juno ha rilevato 377 scariche», spiega sempre Brown. « Sono stati registrati sia nei megahertz che nei gigahertz, che è quello che accade anche nei fulmini terrestri. Il motivo per cui siamo gli unici ad averlo rilevato è perché Juno sta volando più vicino ai fulmini che mai, e stiamo cercando a radiofrequenze che attraversino facilmente la ionosfera di Giove».

della luce solare, l'aria umida e calda sale (attraverso moti convettivi) più liberamente in quella zona, alimentando temporali che producono fulmini.

L'orbita di Giove è cinque volte più lontana dal Sole dell'orbita terrestre, il che significa che il pianeta gigante riceve 25 volte meno luce solare della Terra. Ma anche se l'atmosfera di Giove ricava la maggior parte del suo calore dall'interno Nonostante i dati si mostrino quindi molto simili a del pianeta stesso, questo non rende irrilevante la quelli rilevabili da fulmini terretstri, lo studio ci minore entità di irradiazione solare che gli arriva. I indica anche in cosa, invece, sono estremamente raggi solari riescono comunque a fornire un po' di diversi. calore, riscaldando l'equatore di Giove più dei poli – proprio come riscaldano la Terra. Si tratta «La distribuzione dei fulmini di Giove è inversa però di un riscaldamento appena sufficiente a rispetto a quella terrestre», afferma Brown. «C'è creare stabilità nell'atmosfera superiore, inibendo maggiore attività vicino ai poli di Giove e nessuna i moti di aria calda dall'interno. I poli, che non vicino all'equatore». Mentre sappiamo che hanno questo calore proveniente dall'esterno e temporali con tuoni e fulmini, sulla Terra, sono quindi minore, o nessuna, stabilità atmosferica, numerosi anche a quelle latitudini, anzi... Come permettono ai gas caldi provenienti dall'interno di mai allora i fulmini si riuniscono vicino Giove di salire, guidando il moto di convezione e all'equatore sulla Terra e vicino ai poli su Giove? quindi creando l’ambiente adatto alla produzione di fulmini. La risposta è... la differenza di temperatura. La Terra, infatti, ricava la maggior parte del suo «Sono risultati che potrebbero aiutare a migliorare calore dall’esterno, dalla radiazione solare. Poiché la nostra comprensione della composizione e della il nostro equatore sopporta maggiormente il peso circolazione dei flussi di energia su Giove», ha www.coelum.com

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detto Brown. Ma un'altra domanda subito incombe. «Anche se vediamo lampi in entrambe le zone polari, come mai ne registriamo di più in particolare al polo nord?». Questa domanda resta – per ora – senza risposta, ma è dall'analisi dei dati individuati nel secondo articolo pubblicato su Nature Astronomy, nel quale Ivana Kolmašová della Czech Academy of Sciences (Praga) e colleghi presentano il più grande database di emissioni radio a bassa frequenza generate dai fulmini su Giove fino ad oggi. Il set di dati è di oltre 1.600 segnali, raccolti dallo strumento Juno's Waves, quasi 10 volte il numero registrato dalla Voyager 1. Secondo questi dati, Juno ha rilevato picchi di quattro fulmini al secondo (simili ai tassi osservati nei

I vortici di Giove al naturale di Barbara Bubbi - UniversoAstronomia

Questa fantastica ripresa della sonda Juno immortala una gigantesca tempesta che impazza nella banda equatoriale meridionale di Giove. La turbolenta formazione, da non confondersi con la Grande Macchia Rossa, è accompagnata da vari vortici rossastri più piccoli. La visione in colori naturali offre un esempio di come il gigante del Sistema Solare potrebbe apparire all’occhio umano se osservato dalla posizione privilegiata di Juno. L’aspetto incantevole di Giove è dovuto alla sua atmosfera, arricchita da colorate bande nuvolose e macchie, più o meno grandi, che adornano il pianeta come tante perle. L’immagine è stata ripresa dalla sonda il 15 luglio 2018 durante il 14° passaggio ravvicinato a Giove (13° scientifico), quando Juno si trovava a circa 8000 chilometri dalla coltre nuvolosa del gigante gassoso. Crediti: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS/ Björn Jónsson

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temporali sulla Terra) addirittura sei volte superiore ai valori di picco rilevati da Voyager 1. Scott Bolton, PI di Juno (Southwest Research Institute di San Antonio), conferma il privilegiato punto di vista di Juno, senza la quale queste scoperte non sarebbero potute avvenire: «La nostra orbita unica consente alla sonda di volare più vicino a Giove di qualsiasi altro veicolo spaziale della storia, quindi la potenza del segnale di ciò che il pianeta sta irradiando arriva ad essere mille volte più forte. Inoltre, i nostri strumenti a microonde e plasma sono all'avanguardia, e ci permettono di individuare anche i deboli segnali luminosi provenienti dalla cacofonia delle emissioni radio di Giove».


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Nubi, Bande e Correnti a Getto E dove ci sono fulmini e saette ci sono anche, proprio come accade sul nostro pianeta, forti tempeste, cicloni e anticicloni, che disegnano nell’atmosfera del pianeta quelle volute che conosciamo bene. Le nuvole di Giove, tuttavia, risultano affascinanti per numerosi motivi: le forme e i disegni che assumono assomigliano alle linee ipnotizzanti dell'arte astratta e formano colossali tempeste che possono durare oltre un secolo. Per comprendere meglio la ricca struttura delle bande, dei festoni e, più in generale, delle formazioni dell’atmosfera gioviana, alcuni ricercatori della Australian National University (ANU) si sono spinti in profondità a scrutare all'interno delle nuvole e il risultato della ricerca è stato pubblicato lo scorso 9 agosto su The Astrophysical Journal. Proprio come la Terra, Giove presenta delle correnti ad alta quota dette "a getto" che

attraversano l'intero globo del gigante gassoso, trasportando nubi di ammoniaca lungo tutta la circonferenza del pianeta, donando all’atmosfera sfumature di colore arancione, rosso, giallo, marrone e bianco. «Sappiamo molto sulle correnti a getto dell'atmosfera terrestre e sul ruolo chiave che svolgono sul clima», ha dichiarato Navid Constantinou, ricercatore della ANU Research School of Earth Sciences che ha lavorato al nuovo studio «ma abbiamo ancora molto da imparare sull'atmosfera di Giove». Grazie alla missione Juno i ricercatori hanno scoperto che i flussi a getto raggiungono una profondità di 3.000 chilometri e che Giove si comporterebbe come un corpo rigido, senza alcun segno di correnti a getto a profondità maggiori. I ricercatori hanno sfruttato dei modelli matematici

Sopra. Questa immagine, scattata da JunoCam ritrae una corrente a getto, chiamata Jet N6, situata all'estrema destra dell’immagine nell’area settentrionale del pianeta. Accanto è possibile osservare una macchia ovale di colore bianco – un vortice anticiclonico – molto luminoso. Anche la Piccola Macchia Rossa è visibile in questa vista. Questo nuovo "scatto d’autore", è stato acquisito dalla sonda il 16 luglio 2018 alle 07:11 ora italiana, durante il quattordicesimo sorvolo ravvicinato intorno al pianeta. In quel momento Juno si trovava a circa 17.000 chilometri di distanza dalle nubi del gigante gassoso. Rielaborata dai citizen-scientist Brian Swift e Seán Doran, l'mmagine è stata ruotata in senso orario in modo che il nord si trovi sulla destra.

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Sopra. Una formazione di nuvole ad alta quota circondata da vortici nell'atmosfera della Cintura Temperata Nord di Giove, una delle tante bande di colorate e vorticose nubi del pianeta. Gli scienziati si sono chiesti per decenni quanto queste bande si estendessero in profondità. I dati raccolti da Juno durante i suoi voli ravvicinati hanno permesso di scoprire che queste bande penetrano effettivamente fino a circa 3.000 chilometri in profondità nel pianeta. Crediti: NASA

per determinare l'instabilità che crea i flussi a getto quando sono presenti i potenti campi magnetici come quelli che caratterizzano l'ambiente gioviano. La teoria, sostiene Jeffrey Parker del Livermore National Laboratory in California, suggerisce che il forte campo magnetico di Giove mantiene i suoi flussi a getto ben dritti e rigidi, e proprio da questo fenomeno dipende la formazione delle strisce di nubi che caratterizzano le bande del pianeta gassoso.

spiegare perché i flussi a getto scendano a quella profondità, ma non oltre», ha detto Parker. «Non ci sono continenti o montagne, sotto l'atmosfera di Giove, che possano ostacolare il percorso di tali flussi: questo li rende più semplici rispetto a quelli terrestri. Studiando Giove, quindi, non solo sveliamo i misteri all'interno del gigante gassoso, ma possiamo anche usare il grande pianeta come un laboratorio per studiare come funzionano i flussi atmosferici in generale».

«Il gas all'interno di Giove è magnetizzato e per questo motivo pensiamo che la nostra teoria possa

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Ancora vortici, ipnotici vortici... Mosaico dopo mosaico, ecco un montaggio che ci mostra, in questo breve video, il movimento della burrascosa atmosfera gioviana. Gli ormai noti Gerald Eichstädt e Seán Doran hanno dato vita a una serie di immagini, applicando le loro conoscenze in modelli computazionali, in questa strabiliante animazione, che ci mostra l’evoluzione degli innumerevoli vortici che rimescolano le nubi di Giove. Spiega Gerald Eichstädt, matematico e membro della Planetary Society oltre che della JunoCam community: «Questa animazione rappresenta un “test di fattibilità”. Basandoci su questo lavoro iniziale, potremo aggiungere ulteriori variabili che ci daranno una più dettagliata descrizione, e una maggior comprensione della fisica, dell’atmosfera di Giove». Utilizzando le immagini della camera a bordo della sonda, i due scienziati cittadini sono stati in grado di modellare i movimenti sottili all'interno dell'atmosfera del gigante gassoso e di estrapolare l'evoluzione vorticosa delle nuvole. Usando poi le stesse immagini hanno anche ricreato un'immagine composita che offre una

vista migliorata dell'intero pianeta. Le immagini utilizzate sono state acquisite dalla JunoCam subito dopo il perigiovio del 1 aprile scorso, da una distanza di poco meno di 25 mila chilometri dal polo sud del pianeta.

Sopra. L’immagine ricostruita con più riprese dalla JunoCam, acquisite da diversi punti di vista, durante l’allontanamento dal perigiovio del 1 aprile 2018. Le varie immagini sono state normalizzate e riproiettate per avere un mosaico uniforme come se fosse ripreso a più grande campo dallo stesso punto di vista. Credit: NASA / SwRI / MSSS / Gerald Eichstädt / Seán Doran.

Sopra. L’animazione creata dall’estrapolazione del movimento delle nubi dalle immagini del passaggio PJ12. Crediti: NASA / JPL / SwRI / MSSS / Gerald Eichstädt.

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Impronte di luna sull’aurora gioviana E sempre protagonista, anche perché alla fine è lui uno dei principali target di questa missione, il potente campo magnetico che circonda il sistema gioviano. Un’altra scoperta compiuta grazie sempre ai dati della sonda Juno, rivela come le lune del grande pianeta gassoso riescano a interferire con la formazione delle aurore gioviane (di cui vi abbiamo già parlato a pag. 40 del precedente report) Lo studio (“Juno observations of spot structures and a split tail in Io-induced aurorae on Jupiter“) pubblicato sulla rivista Science, è stato condotto dall’italiano Alessandro Mura dell'INAF e ha incluso membri dell'Agenzia Spaziale Italiana (ASI), del Goddard Space Flight Center e del JPL della NASA, del Southwest Research Institute (SwRI) e del Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory, oltre a numerose Università.

Grazie allo strumento italiano JIRAM (ovvero Jovian InfraRed Auroral Mapper, uno degli otto strumenti a bordo di Juno – finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana, realizzato da Leonardo-Finmeccanica, e con la responsabilità scientifica dell’Istituto Nazionale di Astrofisica), si sono osservati attorno agli ovali aurorali, sia nel polo settentrionale che in quello meridionale, piccole caratteristiche tipiche associate alle lune galileiane, ma nettamente diverse a seconda della luna che le avrebbe causate.

Nel caso di Io, invece di una singola ombra si è osservata, nell’infrarosso, un modello vorticoso di tracce altalenanti: «hanno la forma di un fenomeno idrodinamico noto come “Scia di von Kármán”» spiega Mura in una intervista a Media INAF, «prodotta da un fluido in movimento che impatta su un corpo, come ad esempio avviene per la corrente di un fiume che scorre attorno ai piloni Proprio come le aurore qui sulla Terra, le aurore di di un ponte. A valle dello spot principale, infatti, Giove sono prodotte nella sua atmosfera sono visibili una serie di spot secondari, con la superiore quando gli elettroni ad alta energia caratteristica disposizione alternata. Tale struttura interagiscono con il potente campo magnetico del è visibile sia nell’emisfero Nord che in quello Sud. Si pianeta. Tuttavia, come la sonda Juno ha può solo ipotizzare che l’interazione tra Io e il recentemente dimostrato utilizzando i dati plasma circostante, che è alla base della raccolti dallo spettrografo nell’ultravioletto (UVS) precipitazione di particelle che causano i footprint, e dal Jovian Energetic Detector Detector sia molto diversa da come l’abbiamo immaginata Instrument (JEDI) a bordo, il campo magnetico di finora». Giove è significativamente più potente di qualsiasi cosa vediamo sulla Terra. Per quanto riguarda Ganimede invece «la traccia lasciata ha una duplice struttura fine che non era Oltre a raggiungere livelli di potenza da 10 a 30 mai stata osservata in precedenza. Quello che volte superiori a quella che si sperimenta qui sembrava essere un footprint singolo (con sulla Terra (fino a 400.000 elettronvolt), le eventualmente una controparte “specchiata” a tempeste aurororali di Giove hanno anche delle qualche migliaio di chilometri dal primo) si rivela anomalie di forma ovale che appaiono ogni volta ora come una coppia di spot vicinissimi tra loro che le grandi lune Io e Ganimede passano vicino (circa 100 chilometri)». L’ipotesi è che questo al pianeta. La presenza di spot luminosi appena al sdoppiamento sia dovuto alla particolare di fuori dell’ovale aurorale in realtà erano già stati interazione tra la mini-magnetosfera di Ganimede individuati e sono visibili da terra (o attraverso il e il plasma gioviano. Ganimede, infatti, è l’unico Telescopio Spaziale Hubble), ma Juno ce li ha satellite del Sistema Solare ad avere un suo finalmente mostrati in dettaglio. campo magnetico e quindi una propria

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magnetosfera. «In sostanza, stiamo osservando la magnetosfera di Ganimede, riflessa su Giove». Queste caratteristiche, conclude quindi lo studio, suggeriscono che le interazioni magnetiche tra Giove e Ganimede sono più complesse di quanto

si pensasse in precedenza e indicano anche che nessuna delle impronte era dove ci si aspettava di trovarle. I modelli delle interazioni magnetiche del pianeta con le sue lune potrebbero quindi aver bisogno di essere rivisti.

Juno: un nuovo vulcano su Io… and counting Sempre riguardo a Io e sempre grazie allo strumento italiano JIRAM, è stato individuato quello che sembra essere un nuovo vulcano sulla superattiva luna di Giove. O meglio… più uno al conteggio dei tanti vulcani disseminati sulla superficie di questo mondo. Io è senz’altro la luna vulcanicamente più attiva dell’intero Sistema Solare, ed è uno dei motivi per cui è anche uno dei mondi su cui è maggiormente puntata l’attenzione dei ricercatori. L’attività geologica è stata per la prima volta rivelata dalle due sonde Voyager, nel 1979. Da quell’anno a oggi, attraverso le missioni Galileo, Cassini-

Huygens e New Horizons, senza dimenticare l’ausilio di telescopi a terra e del Telescopio Spaziale Hubble, si è arrivati a individuare ben 150 vulcani sulla superficie della piccola luna, ma si pensa che ce ne siano almeno il doppio se non di più, ancora da individuare e mappare. E Juno si appresta ad aumentare questo conteggio. Il nuovo studio si basa sui dati raccolti il 16 dicembre 2017 dalla sonda grazie allo strumento JIRAM: tali dati indicano la presenza di una nuova fonte di calore (hot spot) vicino al polo sud di Io che potrebbe essere la traccia di un vulcano ancora sconosciuto.

Questa immagine in infrarosso dell'emisfero sud della luna di Giove Io è stata ottenuta dai dati raccolti dallo strumento Jovian Auronic Mapper (JIRAM) a bordo della sonda Juno, e ci mostra un probabile nuovo vulcano sulla superfice della luna di Giove, il corpo vulcanicamente più attivo di tutto il Sistema solare. Crediti: NASA / JPL-Caltech / SwRI / ASI / INAF / JIRAM

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«Il nuovo hotspot individuato da JIRAM si trova a circa 300 chilometri da quello più vicino precedentemente mappato», spiega Alessandro Mura, vice responsabile dello strumento Jiram dell’Istituto Nazionale di Astrofisica a Roma. «Non escludiamo movimenti o modifiche di un hot spot scoperto in precedenza, ma è difficile immaginare che possa aver percorso una tale distanza e di poter continuare a considerarlo la stessa formazione».

risonanza con quella di Europa e Ganimede) e dall’altro dissipa energia che si esprime in attività geologica che porta alla formazione di vulcani e patere. Il lavoro non è certo terminato e il team di Juno continuerà ad analizzare i dati raccolti per confermare e individuare nuovi hot spot e quindi i tanti vulcani attivi che i ricercatori si aspettano di trovare.

Mura spiega anche che «altri hot spot presenti nell’immagine di Jiram, seppure forse già identificati in precedenza, mostrano dei significativi mutamenti. I dati mostrano la complessità e dinamicità della superficie di Io».

Non ci resta che aspettare il prossimo passaggio ravvicinato (Juno si avvicina fino a circa 5.000 chilometri dalle nubi del pianeta a ogni orbita) per vedere quali altre meraviglie del Re dei pianeti del nostro Sistema Solare ci saranno svelate. Juno effettuerà il suo 14° avvicinamento scientifico (PJ15) alle nubi di Giove il prossimo 7 settembre. Continuate a seguirci, non mancheremo di darvi tutti gli aggiornamenti.

Il motivo di questa attività è da ricercarsi nella vicinanza con Giove e con le altre lune Europa e Ganimede. L’interazione gravitazionale tra questi corpi induce una fortissima attività mareale che, da un lato blocca l’orbita di Io (che è infatti in

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12 nuove lune per Giove! Giove lo sappiamo, è il re del Sistema Solare, il pianeta più grande e massiccio. Alla sua corte troviamo una numerosa schiera di satelliti: attorno a lui orbitano infatti non solo le più grandi lune del nostro sistema planetario, ma anche il numero di questi satelliti è il più alto di qualsiasi altro pianeta.

queste 12 lune. Giove si è infatti trovato a transitare nel campo di cielo dove si svolgeva la loro ricerca, e pur cercando nuovi oggetti ai margini del Sistema Solare, i ricercatori hanno potuto ampliare la loro ricerca nel più “vicino” sistema gioviano. La ricerca è stata resa possibile grazie all'assistenza di più Osservatori, tra cui il Discovery Channel Telescope di 4 metri al Una nuova indagine (questa volta condotta però Lowell Observatory Arizona, il Subaru Telescope di non grazie ai dati di Juno) di Scott S. Sheppard del 8 metri, il telescopio da 2,2 metri dell'Università Carnegie Institution of Science, ha portato a 79 il delle Hawaii e il Gemini Telescope di 8 metri numero totale delle lune di Giove: 12 sono le sempre alle Hawaii. nuove lune. Dopo le prime scoperte devono averci preso Del team fanno parte anche Dave Tholen gusto… Nell'immagine sotto, vediamo che due di (Università delle Hawaii) e Chad Trujillo (Northern queste nuove lune (indicate in blu) fanno parte del Arizona University), overo lo stesso team che ha gruppo interno che ha orbite prograde (ovvero ipotizzato, nel 2014, l’esistenza del Pianeta X (o orbitano nella stessa direzione della rotazione del Pianeta 9), basandosi sul comportamento insolito pianeta): completano una singola orbita in poco di alcune popolazioni di oggetti transnettuniani meno di un anno e hanno distanze orbitali e angoli estremi (eTNO). di inclinazione simili, motivo che porta a pensare che possano essere parte di una luna più grande Proprio cercando lo sfuggente pianeta, Sheppard che si è frammentata in seguito a una collisione. e colleghi hanno trovato, nel 2017, la prima di

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Nove lune invece (indicate in rosso) fanno parte del gruppo esterno con orbite retrograde (quindi nella direzione opposta alla rotazione di Giove). Impiegano circa due anni per completare una singola orbita e sono raggruppate in tre gruppi orbitali che hanno distanze e inclinazioni simili. Come per quelle interne, si pensa quindi che anche queste siano i resti di tre lune più grandi frammentate a causa di collisioni passate.

piccola luna di Giove, con meno di un chilometro di diametro, e si trova in una situazione non stabile: una collisione frontale potrebbe distruggerla da un momento all’altro e ridurla in polvere». La strana luna ha già un nome: Valetudo, pronipote di Giove, dea della salute e dell'igiene nel pantheon romano.

Ma la scoperta di nuove lune non è fine a sé Vi è poi un'ultima luna che non appartiene a stessa: il fatto che le lune più piccole nei vari nessuno dei due gruppi: è più distante e più gruppi orbitali di Giove (prograde e retrograde) inclinata delle lune interne, impiega circa un anno siano ancora in gran numero suggerisce che le e mezzo a compiere la sua orbita e quindi deve, in collisioni che le hanno create si siano verificate qualche momento attraversare quelle delle lune dopo l'era della formazione dei pianeti, quando esterne, con il rischio probabile di uno scontro era ancora presente un disco protoplanetario frontale con una delle lune che, in quella zona, attorno al Sole le cui polveri e gas possono aver viaggiano in senso inverso. influenzato il moto delle lune attorno al pianeta (e la distanza da esso). L'orbita di questa strana luna è stata confermata anche da Bob Jacobson e Marina Brozovic al JPL Da questo punto di vista avremmo a che fare con della NASA nel 2017, proprio per evitare di dover una sorta di capsule temporali, o formazioni attendere un anno e mezzo per il successivo geologiche, che preservano informazioni sulla passaggio e rischiare che non esistesse più. storia e sulla formazione di Giove e del Sistema Spiega Sheppard: «Questa altra scoperta era Solare stesso. davvero curiosa, ha un'orbita come nessun'altra nota luna gioviana. È probabilmente anche la più

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NEUTRINI EXTRAGALATTICI da dove provengono? Cronaca di un importante evento di Simona Paiano e Renato Falomo - Osservatorio Astronomico di Padova - INAF

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Negli ultimi decenni abbiamo assistito a uno sviluppo di tecnologie davvero eccezionale che ha trasformato completamente la nostra capacità di osservare i fenomeni celesti. Questo sviluppo non solo ha consentito di costruire telescopi sempre più grandi ed efficienti ma anche di inviare in orbita altri telescopi per poter osservare il cielo senza la contaminazione dell'atmosfera terreste. Un esempio fra tutti è rappresentato dal Telescopio Spaziale Hubble (HST) che ha contribuito notevolmente all’esplorazione, con una precisione mai raggiunta prima, di una grande varietà di fenomeni e di sorgenti cosmiche, dai pianeti attorno a stelle vicine allo studio delle galassie più lontane del nostro Universo esplorabile. Ma forse ancora più rivoluzionario è stato l’avanzamento di tecnologia che ha permesso di estendere le osservazioni, che fino a pochi decenni fa erano limitate alla banda visibile e alle frequenze radio, a molte altre bande dello spettro elettromagnetico: dall’ultravioletto all'infrarosso e poi alle bande energetiche dei raggi X e per finire ai più recenti sistemi di rivelazione di sorgenti che emettono alle altissime energie nella banda gamma. Tutto questo grazie allo sviluppo delle tecniche strumentali e all’uso di grandi strutture sia a Terra che nello spazio a bordo di satelliti artificiali. In questo contesto si colloca il recente evento che ha permesso di identificare e classificare una sorgente extragalattica responsabile della emissione di neutrini, oltre che nelle altre bande spettrali (vedi news nel box a pagina 64). Era il 22 settembre del 2017, una data che non potrà essere dimenticata nel campo dell’astrofisica moderna, quando è stato rivelato un neutrino molto energetico, denominato dagli scienziati con la sigla EHE170922A e proveniente da un oggetto ben al di fuori della Via Lattea. L’annuncio ufficiale è stato dato durante la conferenza stampa tenuta dalla National Science Foundation (NSF) a Washington www.coelum.com

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Inizia l’era dell’astronomia dei neutrini di Redazione Media Inaf

Per la prima volta, gli scienziati sono riusciti a individuare la possibile sorgente di un neutrino cosmico grazie all’associazione con una sorgente di raggi gamma, cioè fotoni di alta e altissima energia. Si tratta di un blazar, ossia una galassia attiva con un buco nero supermassiccio al centro, distante 4,5 miliardi di anni luce, in direzione della costellazione di Orione. A questo straordinario risultato, pubblicato lo scorso 12 luglio su Science, i ricercatori sono arrivati combinando i dati del rivelatore di neutrini IceCube, che opera tra i ghiacci del Polo Sud, e altri 15 esperimenti per la rivelazione dei fotoni da terra e nello spazio. L’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e varie Università italiane hanno dato contributi determinanti attraverso la partecipazione dei propri ricercatori a molti degli esperimenti e osservatori coinvolti nella scoperta. Questa osservazione senza precedenti, frutto del lavoro “corale” dell’astronomia multimessaggero, ha fornito anche un solido indizio verso la

spiegazione di uno dei maggiori misteri ancora irrisolti: l’origine dei raggi cosmici di altissima energia. I raggi cosmici sono, infatti, composti prevalentemente da protoni, particelle elettricamente cariche che sono quindi deviate dai campi magnetici che permeano lo spazio, impedendoci di risalire alla loro origine. Un aiuto per chiarire questo mistero, che dura da oltre 100 anni, arriva dai neutrini che sono prodotti proprio dai protoni di alta energia. Essendo particelle neutre e con massa piccolissima, i neutrini non vengono deviati dai campi magnetici e interagiscono pochissimo con la materia, dimostrandosi dunque perfetti messaggeri, in grado di portarci diritti alla loro origine. Una osservazione, molti messaggeri. Era il 22 settembre 2017 quando il rivelatore di neutrini IceCube osservava un interessante neutrino, battezzato poi IC-170922A. Interessante perché la sua energia molto elevata indicava che era stato originato da un lontano oggetto celeste molto “attivo”. Poiché la produzione di neutrini cosmici è sempre accompagnata da raggi gamma, quando

Sopra. Dal neutrino all’osservazione spaziale e terrestre. Crediti: National Science Foundation

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lo scorso 12 luglio 2018 occasione in cui sono anche apparsi due lavori pubblicati sulla rivista Science e la rivista Astrophysical Journal (vedi riferimenti in fondo all’articolo). Il protagonista di questa eccitante storia è un neutrino, una particella priva di carica che è estremamente difficile da studiare perché interagisce pochissimo con altra materia. I neutrini sono particelle subatomiche di massa piccolissima (molto più piccola di quella dell'elettrone) che vengono prodotti da varie reazioni nucleari. Alcune di queste reazioni avvengono continuamente all’interno del Sole che emette costantemente un flusso di neutrini. Ogni secondo noi tutti siamo continuamente bombardati da un flusso di neutrini (principalmente che arrivano dal Sole) e che attraversano il nostro corpo senza che noi ce ne accorgiamo proprio grazie alla scarsissima capacità di interagire con la materia ordinaria e con il campo elettromagnetico.

Per poter rivelare i neutrini provenienti da oggetti a distanze cosmiche servono quindi appositi Osservatori: costituiti da rivelatori che coprono un’ampia superficie di raccolta per aumentare la probabilità di catturare queste particelle sfuggenti e costruiti in luoghi sotterranei per isolarli dalle interferenze provocate da altre particelle, come i raggi cosmici o altre fonti di rumore. Tra i principali ci sono i rivelatori ad acqua, come il giapponese Super-Kamiokande collocato a circa 1 km sotto la miniera Kamioka e il canadese Sudbury Neutrino Observatory (SNO) costruito nella miniera di Creighton a circa 2 km sotto la superficie terrestre, l’esperimento sottomarino ANTARES situato nel mar Mediterraneo al largo delle coste francesi e l’Osservatorio Icecube posto sotto i ghiacci dell’ Antartide.

Proprio quest’ultimo osservatorio (IceCube) è riuscito a catturare il neutrino EHE170922A che con un’energia estremamente elevata, dell’ordine di 300 TeV (Tera elettronvolt) non poteva avere un’origine solare o provenire da oggetti posti Con queste premesse si capisce subito che nella Via Lattea. Subito dopo la rivelazione di riuscire a “catturare” dei neutrini che provengono questo neutrino, la collaborazione IceCube ha dal cosmo è un'impresa estremamente difficile e emanato un’“allerta neutrino” rivolto a diversi complicata. Tuttavia i neutrini contengono Osservatori sparsi in tutto il mondo, soprattutto a importanti informazioni sui processi fisici di alta quelli che osservano nei raggi gamma e X, allo energia che avvengono in varie sorgenti cosmiche scopo di tentare l’individuazione della e che altrimenti non sarebbero derivabili.

IceCube ha visto IC-170922A ha subito lanciato un’“allerta neutrino” a tutti i telescopi, disseminati nello spazio e sulla Terra, nella speranza che le loro osservazioni potessero aiutare a individuarne con precisione la sorgente. E così è stato. Grazie alla combinazione di tutte le diverse osservazioni è stato così possibile individuare proprio nel blazar TXS 0506+056, che si trova al cuore di una galassia a una distanza di 4,5 miliardi di anni luce dalla Terra, la probabile sorgente del neutrino. La distanza di tale galassia ospite è stata misurata da un team di ricercatori dell’INAF di Padova.

Nichi D’Amico, presidente dell’INAF, ha commentato entusiasta: «Anche in questa scoperta, come nel caso dell’emissione di onde gravitazionali da parte del primo merger di due stelle di neutroni mai osservato, la potenza di fuoco di cui dispone l’INAF, a tutte le lunghezze d’onda e con strumentazione di avanguardia da terra e dallo spazio, si è dimostrata determinante per rispondere ad alcune delle domande fondamentali per la comprensione dell’universo».

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IceCube: l’Osservatorio di Neutrini al Polo Sud L’esperimento IceCube è un rilevatore di neutrini, situato sotto i ghiacci dell’ Antartide presso la stazione Amundsen-Scott, che coinvolge un team internazionale di circa 300 ricercatori appartenenti a 49 istituti di ricerca. Tale rivelatore è costituito da 5.000 sensori di circa 25 cm di diametro, posti a una profondità compresa tra 1.400 e 2.500 metri sotto il ghiaccio e occupano in totale un volume di circa un chilometro cubo. La struttura è in funzione a pieno regime dal 2010. Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, IceCube è dedicato alla rivelazione dei neutrini che provengono dal cielo dell’emisfero nord, sfruttando quindi l’intero globo terrestre come schermo per minimizzare il contributo da parte di altre sorgenti, come i raggi cosmici, che possono interagire con i sensori di neutrini inducendo delle false misure. Dall’inizio delle operazioni, Icecube ha rivelato moltissimi neutrini (qualche centinaio al giorno), ma solo un centinaio di neutrini (in vari anni) altamente energetici tra i 100 TeV and 10

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PeV, che sono quelli di probabile origine extragalattica. La rivelazione dei neutrini si basa sull’effetto Cherenkov: quando un neutrino di adeguata energia interagisce con le molecole del ghiaccio, dà origine a una cascata di particelle secondarie cariche (principalmente elettroni, muoni, etc.) che viaggiando a una velocità maggiore di quella della luce (nel ghiaccio!), emettono una debole emissione nel visibile (detta luce Cherenkov) che viene poi rilevata da sensibili fotomoltiplicatori. Grazie a questo innovativo osservatorio, realizzato al Polo Sud, è stato possibile rivelare un neutrino di origine extragalattica e poi, grazie a immediate osservazioni in altre bande dello spettro elettromagnetico, associare questo neutrino a un preciso oggetto astrofisico: il blazar TXS0506+056 Per maggiori informazioni: IceCube Observatory Website: https://icecube.wisc.edu/

Leggi anche "Tutti i Numeri di IceCube" a pagina 78


controparte elettromagnetica ad alte frequenze. Sulla base delle correnti teorie di produzione di neutrini, la loro emissione è accompagnata da fotoni di altissima energia quindi osservabili in particolare nelle bande X e gamma. Così, prontamente, il telescopio spaziale Fermi (un satellite della NASA, ma che ha anche una forte componente italiana di ASI, INAF e INFN, dedicato

proprio allo studio del cielo nei raggi gamma) ha subito puntato i suoi rivelatori verso la regione di cielo interessata dall’evento (una regione di circa mezzo grado, quindi grande quanto la Luna in cielo). Questa osservazione tempestiva ha permesso ai ricercatori di individuare con buona precisione la posizione di una sorgente con emissione significativa ed aumentata nei raggi X e

Blazar Un blazar è una galassia con un nucleo attivo con al centro un buco nero di grande massa (almeno 1 miliardo di masse solari), simile quindi a un quasar, ma con la peculiarità di avere un potente jet estremamente collimato proveniente dal nucleo. Il jet emette anche particelle relativistiche perpendicolari all’asse del disco di accrescimento del buco nero e la sua radiazione è di natura non termica (tipicamente emissione di sincrotrone e Compton inverso). Da questo jet viene proviene una forte emissione

sia nelle radio frequenze sia alle alte energie (raggi X e gamma). Ma oltre a queste caratteristiche, vi è anche l’ulteriore peculiarità che la direzione del jet è quasi allineata lungo la linea di vista dell’osservatore. Tutto ciò rende questo tipo di oggetti (noti anche come oggetti di tipo BL Lacertae) estremamente esotici e, per certi versi, difficili da studiare. La forte emissione proveniente dal jet infatti è così intensa da nascondere quella proveniente dalla galassia che ospita il buco nero.

Sopra. Illustrazione artistica della regione centrale di un nucleo galattico attivo: il buco nero supermassiccio centrale, tipicamente trovato al centro delle galassie, è circondato da un disco di accrescimento caldo e da un toro di polvere. Perpendicolarmente, dai poli del buco nero, emergono dei jet di particelle relativistiche che si estendono a grandi distanze. Quando un jet punta la direzione della terra, il nucleo galattico attivo viene detto blazar. Crediti: ESO/L. Calçada www.coelum.com

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gamma e ha quindi associato l’emissione di neutrino ad un preciso oggetto extragalattico. In questo modo il telescopio Fermi è riuscito a fornire il nome della controparte astrofisica: l’oggetto in questione è catalogato con la sigla TXS 0506+056. Si tratta di una radiosorgente, situata nella direzione della costellazione di Orione, cui corrisponde un oggetto di magnitudine V = +15,4 e di cui si conosceva poco. Sulla base dei dati disponibili l’oggetto era stato classificato come galassia attiva o più precisamente come un blazar. Ma torniamo al momento della scoperta della controparte della emissione di neutrino. Il collaudato sistema di allerta ha coinvolto molti altri telescopi anche a Terra. In particolare l’array di due telescopi Cherenkov MAGIC (Major Atmospheric Gamma-ray Imaging Cherenkov), situato sull’isola di La Palma (Canarie), che consente di rivelare un’emissione alle altissime energie nella banda TeV e che ha confermato lo stato eccitato di questa sorgente. A questo si sono poi aggiunti il satellite tutto italiano AGILE, l’Osservatorio INTEGRAL e infine i satelliti Swift e Nustar nei raggi X. A questo punto sembrava che fosse stato fatto tutto il necessario per uno studio dettagliato della sorgente. Ma non era così,

perché non era ancora nota la distanza (e quindi il redshift) di questo oggetto. La mancanza di questo fondamentale parametro impediva quindi di determinare le proprietà fisiche della sorgente e di costruire appropriati modelli. È a questo punto che devono intervenire i telescopi ottici, in grado di ottenere spettri di alta qualità. Molti ricercatori si sono quindi attivati per osservare l’oggetto con vari grandi telescopi. Anche noi, in collaborazione con Riccardo Scarpa e Aldo Treves, che da diversi anni stiamo conducendo un esteso programma proprio per determinare il redshift di questo tipo di oggetti (i blazars), abbiamo utilizzato uno dei telescopi più grandi disponibili al mondo, il Gran Telescopio Canarias (GTC) di ben 10,4 metri di diametro e situato sull’isola canaria di La Palma, per osservare nell’ottico TXS 0506+056. Lo scopo quindi era quello di ottenere uno spettro ottico di grandissima qualità, in modo da poter misurare eventuali righe molto deboli che non erano state rivelate da osservazioni precedenti, ottenute con minore qualità. La misura di queste righe spettrali è estremamente difficile per questi oggetti (tant'è che per molti di essi non conosciamo ancora la

A sinistra, il telescopio ottico-infrarosso GTC (Gran Telescopio CANARIAS) installato presso l’osservatorio astronomico Roque de Los Muchachos sull’isola canaria di La Palma. Con i suoi 10,4 metri di diametro è uno dei telescopi più grandi al mondo ed è il frutto di una collaborazione tra Spagna, Messico e l’Università della Florida. A destra, dettaglio del telescopio GTC da dentro la cupola. Crediti: GTC

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Sopra. Spettro ottico del blazar TXS 0506+056, controparte dell’evento neutrino EHE170922, ottenuto al Gran Telescopio Canarias con lo spettrografo OSIRIS. Nei tre riquadri, l’ingrandimento sulle tre deboli righe di emissione trovate, attribuite all’ossigeno e all’azoto, che permettono di derivare la distanza della sorgente. Il redshift e’ z=0,3365.

distanza) poiché l’emissione non termica dal jet “nasconde” le caratteristiche righe di emissione e/ o assorbimento che consentono di misurare il redshift in tutti gli oggetti extragalattici. Per farlo abbiamo impiegato ben 15 ore di tempo osservativo di questo grande telescopio, utilizzando varie combinazioni dello strumento OSIRIS, e dopo un lungo e accurato lavoro siamo riusciti a scovare e misurare alcune debolissime righe di emissione! Queste righe, che sono caratteristiche di vari tipi di galassie attive, ci hanno consentito di determinare in modo inequivocabile il redshift, e

quindi la distanza, del nostro oggetto. Il redshift misurato è z = 0,3365 che corrisponde a una distanza di luminosità di circa 5 miliardi di anni luce assumendo i più moderni parametri cosmologici. È stata una misura particolarmente difficile da compiere, data la bassissima intensità di queste righe che, oltre a un significativo impiego di tempo al telescopio, ha richiesto anche una particolare analisi dei dati. La conoscenza del redshift, e quindi della distanza, ha consentito agli astrofisici teorici interessati a questa sorgente di formulare modelli realistici per poter tener conto della produzione di neutrini, introducendo un nuovo protagonista: il protone. La

Astronomia Multimessaggero Coelum Astronomia 216 di novembre 2017 è dedicato alla nascita dell'Astronomia Multimessaggero, in occasione della prima individuazione visuale di una sorgente di onde gravitazionali. Ora è stata individuata per la prima volta la probabile sorgente di un neutrino: un nuovo esempio di Astronomia Multimessaggero che coinvolge i neutrini. Clicca per leggere i contenuti. www.coelum.com

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maggior parte dell'emissione da parte di oggetti di tipo BL Lac (una sottoclasse dei blazars) viene spiegata tramite i cosiddetti modelli leptonici, che coinvolgono quindi principalmente elettroni, escludendo i protoni e la produzione di neutrini. Tutto questo fino ad ora! Infatti, considerando anche il contributo all’emissione da parte di protoni, che interagiscono con i fotoni prodotti nel jet, si riesce a spiegare contemporaneamente sia l’emissione gamma che quella dei neutrini. In conclusione possiamo affermare che, grazie a questa scoperta, si è potuto far luce su un importante aspetto dell’astrofisica astroparticellare, ovvero da dove provengono i raggi

cosmici di altissima energia. La maggior parte di questi sono costituiti da protoni che, essendo carichi, vengono deviati dai campi magnetici presenti lungo la loro traiettoria (sorgente-osservatore). Questo effetto impedisce di determinare la direzione da cui essi provengono. Al contrario, i neutrini, essendo particelle prive di carica, non vengono deviati dai campi magnetici e viaggiano indisturbati lungo tutto il loro percorso. Questo consente di risalire ai loro progenitori e di conseguenza alla sorgente astrofisica che origina i protoni. Questo evento quindi, insieme ai fotoni e alle recenti onde gravitazionali, entra a fare parte di quello che viene chiamata “astrofisica multi-messenger”.

Sopra. Simona Paiano e Renato Falomo, astronomi all’Inaf di Padova, autori assieme ad Aldo Treves e a Riccardo Scarpa della misura della distanza della sorgente del neutrino cosmico. Crediti: INAF

Articoli e Riferimenti

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Multimessenger observations of a flaring blazar coincident with high-energy neutrino IceCube-170922Alert

The blazar TXS 0506+056 associated with a highenergy neutrino: insights into extragalactic jets and cosmic ray acceleration

Neutrino emission from the direction of the blazar TXS 0506+056 prior to the IceCube-170922A alert

The Redshift of the BL Lac Object TXS 0506+056

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Alla Ricerca dei

NEUTRINI di Giuliana Galati

Crediti: Jamie Yang/IceCube Collaboration

Se da un lato si dice sempre che nella scienza non ci sono dogmi e certezze, dall’altro ci sono delle leggi, ben dimostrate sperimentalmente, che è proprio difficile non considerare tali. Perciò, quando all’inizio del 1900 i risultati di alcuni esperimenti sembravano violare il principio della conservazione dell’energia, che afferma che l’energia totale di un sistema isolato non varia, i fisici non sapevano come risolvere il problema. Nel 1896, Antoine Henri Becquerel aveva scoperto la radioattività naturale dell’uranio, un processo che fa sì che un nucleo instabile tenda spontaneamente a raggiungere uno stato stabile grazie all’emissione di una o più particelle, processo che i fisici chiamano “decadimento”. Il problema della violazione del principio di conservazione dell’energia si presentò negli anni successivi, studiando il decadimento β, il tipo di decadimento in cui, all’interno di un nucleo, un neutrone si trasforma in un protone emettendo un elettrone. Ci si aspettava che l’energia dell’elettrone emesso dovesse essere pari alla differenza tra le masse del nucleo iniziale e finale.

Gli esperimenti, invece, mostravano che l’energia dell’elettrone poteva assumere tutti i valori compresi all’incirca tra zero e il valore che si sarebbero aspettati: l’energia totale non si conservava. Inoltre, tanto per rendere le cose ancora più gravi, anche un’altra quantità che avrebbe dovuto rimanere costante sembrava non esserlo: il momento angolare.

Antoine Henri Becquerel nel suo laboratorio. www.coelum.com

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Siamo in un’epoca in cui non si è ancora arrivati a capire l’esatta struttura dell’atomo e alcuni aspetti della “fisica classica” sono appena stati messi in discussione dalla nascente meccanica quantistica, ma rinunciare a quei principi fondamentali che fino ad allora avevano sempre governato tutti i fenomeni noti senza eccezioni era difficile da accettare. Il 4 dicembre 1930 il fisico austriaco Wolfgang Pauli ha qualcosa di più importante da fare che raggiungere i suoi colleghi a Tubinga per un congresso (doveva andare a una festa da ballo), perciò manda loro una lettera per condividere un’idea che non si sente abbastanza sicuro di poter pubblicare, perché in fondo non ci crede molto neppure lui. «Cari signore e signori radioattivi, […] – scrive – ho escogitato un rimedio disperato per salvare […] il teorema dell'energia».

qualunque soluzione. Pauli, infatti, conclude la sua lettera scrivendo: «solo chi scommette può vincere, e la gravità della situazione dello spettro β continuo può essere resa in modo chiaro con il detto […]: “è meglio non pensarci affatto, come per le nuove tasse”». L’ipotesi di Pauli viene accolta da alcuni con scetticismo, da altri con entusiasmo. Enrico Fermi, nel 1934, pubblica un articolo dal titolo “Tentativo di una teoria dei raggi beta”, in cui ipotizza l’esistenza di una forza, che definisce “debole”, capace di trasformare nel nucleo il neutrone in protone e viceversa, e chiama neutrino la nuova particella proposta da Pauli, per indicare la piccolezza della sua massa e l’assenza di carica elettrica.

Il neutrino rimase un trucco per far quadrare i conti fino al 1956 quando, ben 25 anni dopo la lettera in cui Pauli l’aveva ipotizzato per la prima In sostanza Pauli aveva ipotizzato che a “rubare” volta, i fisici Clyde Cowan e Fred Reines riuscirono l’energia mancante fosse una “particella a fornire la prima prova della sua esistenza, nel fantasma”, con carica elettrica neutra e di massa corso di un esperimento eseguito al reattore a molto piccola: fissione di Savannah River, nel Sud Carolina. «ho fatto una cosa terribile – pare abbia detto – ho L’esperimento faceva parte di quello che era stato inventato una particella che non si può rivelare». battezzato “Progetto Poltergeist”, visto che Ma la situazione era così critica da ammettere l’impalpabilità del neutrino lo rendeva simile a un fantasma (il termine Poltergeist, dal A sinistra. Questa fotografia tedesco, significa appunto giovanile del fisico italiano Enrico “spiritello rumoroso”). Fermi risale agli anni in cui organizzò il Primo Congresso Internazionale di Fisica Nucleare, che si tenne a Roma dall’11 al 17 ottobre del 1931. Il congresso fu tra l’altro l’occasione per mettere ordine nella terminologia: si usava il nome neutrone in modo ambiguo, sia per indicare la particella nucleare con la stessa massa del protone, ma senza carica elettrica, sia per indicare la particella neutra appena ipotizzata da Wolfgang Pauli per render conto dell’energia mancante nel processo di decadimento del neutrone. Fu proprio Fermi a suggerire di usare il diminutivo italiano neutrino per indicare la particella di Pauli, riservando il termine neutrone alla più pesante.

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I neutrini, infatti, interagiscono molto raramente a causa delle loro proprietà: hanno massa estremamente piccola, interagiscono solo secondo quella forza che Fermi aveva definito, non a caso, debole e sono elettromagneticamente neutri. Tutti i rivelatori di particelle, cioè gli strumenti utilizzati per registrare il passaggio delle particelle, funzionano esclusivamente per le particelle


Sopra. Clyde Cowan mentre conduce l’esperimento sui netrini nel 1956 circa.

elettromagneticamente cariche. Non c’è modo di vedere una particella neutra, a meno che non interagisca dando origine a particelle cariche, studiando le quali si possono ricavare informazioni sulla particella neutra che le ha prodotte. I neutrini però interagiscono così poco da essere in grado di attraversare indisturbate il nostro pianeta (e non solo!) da un lato all’altro, senza mai interagire. Ecco spiegato lo scetticismo della maggior parte della comunità scientifica. Per esempio, Hans Bethe, premio Nobel per la fisica nel 1964, aveva dichiarato che non potesse esistere alcun modo di osservare un neutrino. Cowan e Reines, più ottimisti, avevano posto un rivelatore vicino a un reattore nucleare proprio per massimizzare il numero di neutrini che lo avrebbe attraversato, pari a circa 10.000 miliardi al secondo per centimetro quadrato: in questo modo la probabilità che qualcuno interagisse dando origine a qualcosa di rivelabile aumentava. Per questa scoperta Reines ricevette il premio Nobel per la Fisica nel 1995. Cowan, purtroppo, non visse abbastanza per condividerlo con lui. Oggi sappiamo che esistono tre tipi (i fisici li

chiamano “sapori”) di neutrini: il neutrino elettronico, muonico e tauonico, con i rispettivi anti-neutrini (quelli osservati da Cowan e Reines erano in realtà anti-neutrini). I tre tipi di neutrini sono associati rispettivamente all’elettrone, al muone e al tau, particelle cariche ben più massicce, e tutti insieme sono raggruppati nella famiglia dei leptoni. Quando interagiscono, i neutrini si trasformano nel leptone carico associato. Furono Melvin Schwartz, Leon Max Lederman e Jack Steinberger, nel 1962, a dimostrare che esistevano almeno due tipi di neutrini, con un esperimento condotto all’acceleratore di Brookhaven in cui videro che da un fascio di neutrini muonici venivano prodotti solo muoni e mai elettroni. Questo risultato valse il premio Nobel per la Fisica nel 1988. Nel 1991, con un esperimento all’acceleratore LEP del CERN, si ottenne la prova indiretta che esistono solo tre tipi di neutrino, ma è solo nel 2000 che l’ultimo, il neutrino tauonico, viene scoperto, grazie all’esperimento DONUT, presso il Fermilab di Chicago. Dopo 70 anni di pazienza, sforzi e incredibili sviluppi tecnologici per riuscire a rivelare queste inafferrabili particelle, l’epopea era tutt’altro che conclusa, perché i neutrini avevano in serbo altri rompicapi per i fisici che li studiano. Oltre a essere prodotti dai reattori nucleari, i neutrini vengono anche dallo Spazio. Tutte le stelle ne producono, in particolar modo durante l’esplosione delle Supernovae. Per esempio, il 23 febbraio 1987, coloro di voi che erano già nati furono attraversati, senza accorgersene, da circa 10.000 miliardi di neutrini prodotti nell’esplosione della supernova SN1987A (per saperne di più, leggi l’articolo su Coelum Astronomia 208)! Anche il Sole, essendo una stella, ne produce moltissimi durante le reazioni di fusione termonucleare che avvengono al suo interno: circa 100 miliardi di miliardi di miliardi di miliardi al secondo… molti dei quali ci attraversano continuamente. Se volete vedere da www.coelum.com

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vicino una sorgente di neutrini cercate una banana: le banane, infatti, contengono potassio, il cui isotopo potassio-40, contenuto in piccolissima parte, è radioattivo e, decadendo, produce neutrini. Ma anche noi tutti ne produciamo, sempre per via del potassio-40 contenuto dentro di noi, all’incirca 340 milioni al giorno!

Nel 1998, i risultati dell’esperimento SuperKamiokande dimostrarono che i neutrini che arrivavano dall’atmosfera avevano in parte cambiato il loro sapore prima di giungere al rivelatore. Il rivelatore di questo esperimento è stato costruito 1 km sotto la superficie terrestre, nella miniera di Kamioka, in Giappone, ed è costituito da una enorme tanica cilindrica (41,4 Il numero di neutrini creato nelle reazioni nucleari metri di altezza per 39,3 metri di diametro) del Sole era stato calcolato già negli anni ‘60, riempita con 50.000 tonnellate di acqua ultrapura. tuttavia gli esperimenti non confermavano i Sulle sue pareti oltre 11.000 tubi risultati teorici: circa 2/3 dei neutrini attesi fotomoltiplicatori – un tipo di rivelatore in grado mancavano all’appello. I fisici si trovavano di di rivelare debolissimi “flash” di luce – segnalano nuovo davanti a un altro enigma da risolvere: quando un neutrino, attraversando la tanica, forse il modello teorico delle reazioni nucleari del interagisce con uno degli atomi dell’acqua Sole era sbagliato? Lo erano i risultati creando il leptone carico a esso associato. In dell’esperimento? O c’era qualche particolare, questo rivelatore può distinguere comportamento bizzarro, ancora non conosciuto, neutrini elettronici e muonici dai deboli “flash” di per cui i neutrini sparivano? luce blu, detta luce Cherenkov, originati con diversa forma e intensità dal passaggio degli Bruno Pontecorvo, fisico italiano, fu il primo a elettroni e muoni prodotti, e può anche capire la ipotizzare che i neutrini potessero cambiare direzione di provenienza del neutrino. periodicamente sapore durante il loro percorso, Il gruppo di ricerca guidato da Takaaki Kajita si trasformandosi uno nell’altro secondo un rese conto che i neutrini muonici provenienti fenomeno quantomeccanico chiamato dall’alto del rivelatore erano più numerosi di “oscillazione”. quelli provenienti dal basso, che prima di

Sopra. L’osservatorio per neutrini Super-Kamiokande. Crediti: ICRR (Institute for Cosmic Ray Research), The University of Tokyo.

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La caratteristica luce azzurra visibile nei reattori nucleari dovuta all'effetto Cherenkov

raggiungere il rivelatore avevano attraversato l’intero globo terrestre. In assenza di oscillazione, invece, le due quantità avrebbero dovuto essere uguali: era una chiara indicazione che i neutrini si trasformavano durante la loro propagazione, ma in cosa? Forse in neutrini tauonici, che SuperKamiokande non poteva rivelare e all’epoca non erano ancora stati osservati, o forse in neutrini di tipo sconosciuto, detti “sterili” perché non interagenti?

Anche altri esperimenti confermavano l’oscillazione dei neutrini, ma sempre in modo indiretto, e mancava la prova definitiva: l’osservazione diretta dell’apparizione, all’interno di un fascio di neutrini di tipo noto, di neutrini di tipo diverso. Per questa ragione venne costruito l’esperimento OPERA (Oscillation Project with Emulsion-tRacking Apparatus), il cui rivelatore era posto nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso, sotto 1.400 metri di roccia.

Un altro grande esperimento, anche questo posto sottoterra, a 2 km di profondità, aggiunse un altro tassello nel puzzle. Si tratta dell’esperimento SNO (Sudbury Neutrino Observatory), in Canada, che misurava neutrini provenienti dal Sole e dimostrò che il flusso totale che arrivava sulla Terra era quello atteso: i neutrini, quindi, non scomparivano prima di arrivare alla Terra, ma si trasformavano uno nell’altro.

Come forse avrete notato, gli esperimenti che cercano di catturare neutrini hanno alcune caratteristiche in comune: spesso sono posti sottoterra, in modo da essere schermati dal flusso di raggi cosmici, che accecherebbe i rivelatori e non permetterebbe di osservare le rarissime interazioni dei neutrini, e sono estremamente grandi per massimizzare la probabilità che uno di questi interagisca e possa quindi essere rivelato.

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Sopra. L’esperimento SNO (Sudbury Neutrino Observatory). Crediti: SNO

OPERA non fa eccezione, col suo rivelatore di circa 4.000 tonnellate, ma ha una peculiarità: è costituito da 9 milioni di speciali lastre fotografiche, chiamate emulsioni nucleari, intervallate da lastre di piombo, materiale molto denso, e rivelatori elettronici. Quando una particella carica attraversa una di queste speciali lastre fotografiche si creano delle reazioni chimiche locali che, dopo lo sviluppo, anche questo simile a quello delle vecchie pellicole fotografiche, ne evidenziano il passaggio creando tracce visibili al microscopio ottico. Le emulsioni nucleari sono l’unico tipo di rivelatore che permette di vedere anche tracce cortissime, come quella del leptone tau, la cui vita media è dell’ordine di 10-13 secondi. Neutrini muonici, quindi tutti dello stesso tipo, venivano prodotti al CERN, in Svizzera, e, dopo aver percorso 730 km sotto terra in 2,4 millisecondi, giungevano sul rivelatore. Dall’analisi certosina delle particelle prodotte da quei neutrini che interagivano si poteva risalire

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alla loro identità. Tra oltre 10.000 interazioni di neutrino completamente ricostruite in 5 anni di esperimento, sono stati trovati alcuni neutrini tauonici: appena dieci, che però, considerando la bassa probabilità di scambiare qualcos’altro per neutrino tau e la sofisticata analisi condotta considerando tutte le caratteristiche di ogni singola interazione, hanno consentito di dichiarare ufficialmente che i neutrini muonici oscillano in neutrini tauonici, confermando i risultati degli esperimenti precedenti. Il risultato è di grande importanza perché se i neutrini possono oscillare significa che hanno massa, contrariamente a quanto previsto dalla teoria in cui erano stati inizialmente inquadrati. Per questa scoperta Takaaki Kajita, dell’esperimento Super-Kamiokande, e Arthur B. McDonald, che guidava l’esperimento SNO, hanno ricevuto il premio Nobel per la Fisica nel 2015. Ancora oggi sono molti gli interrogativi aperti. Per esempio, anche se sappiamo che la massa dei neutrini è diversa da zero, nessuno è ancora


Sopra. Il grande rivelatore dell’esperimento OPERA, nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso, in Abruzzo, sotto 1.400 metri di roccia. Crediti: INFN

riuscito a misurarla: gli esperimenti condotti finora, infatti, hanno permesso solo di porre dei limiti superiori, perché nessuno strumento e nessun rivelatore è in grado di misurare un valore così piccolo: il neutrino elettronico, ad esempio, ha una massa almeno un milione di volte inferiore a quella dell’elettrone, che, dopo i neutrini, è la particella più leggera che conosciamo. Non si conosce ancora la vera natura dei neutrini,

tra due modelli proposti (particelle “di Dirac” o “di Majorana”), anche se molti esperimenti sono in corso per capirlo, ed è ancora aperta l’ipotesi che esistano dei neutrini sterili, che non interagiscono con la materia. Conoscere i segreti di queste sfuggenti particelle darà risposta anche ad alcuni grandi interrogativi, come per esempio l’origine dell’asimmetria tra

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materia e antimateria nell’Universo, ragione per cui oggi noi e tutto quello che vediamo siamo fatti di materia e non del suo opposto. Inoltre, i neutrini possono darci informazioni sulle zone più remote dell’Universo, irraggiungibili

altrimenti, perché sono le uniche particelle in grado di attraversare indisturbate intere galassie, facendoci viaggiare indietro nel tempo addirittura fino al Big Bang.

Tutti i Numeri di IceCube Il rivelatore di neutrini IceCube è immerso nei ghiacci del Polo Sud, presso la stazione Amundsen–Scott, in Antartica. È stato costruito per osservare neutrini provenienti dal cosmo e studiare, attraverso queste particelle, l’esplosione di stelle, i gamma-ray burst, i buchi neri e le stelle di neutroni. L’esperimento ha come obiettivo quello di dare risposta a grandi domande ancora aperte come la natura della materia oscura, le proprietà dei neutrini e quelle dei raggi cosmici che interagiscono con l’atmosfera terrestre. Il rivelatore è formato da una parte in superficie, chiamata IceTop, e una parte immersa nei ghiacci, tra 1.450 e 2.450 metri di profondità, per un volume totale di un chilometro cubo.

in grado di rivelare anche singoli fotoni. Questi sensori sferici, chiamati Digital Optical Modules (DOM), sono disposti in pozzi verticali, attaccati a delle “stringhe”, ognuna con 60 sfere, distanziate 17 metri una dall’altra. Le stringhe sono disposte su una griglia esagonale. Tra una stringa e l’altra c’è uno spazio di 125 metri. Nella zona centrale, chiamata DeepCore, i sensori sono posti in una configurazione più densa, con soli 7 metri di distanza tra un DOM e l’altro su una stringa e una separazione orizzontale di 70 metri tra una stringa e l’altra. DeepCore è sensibile anche a neutrini di più bassa energia.

IceTop, la parte in superficie, consiste di una stazione per ogni stringa sommersa. Ogni stazione è formata da due taniche, ciascuna equipaggiata La parte immersa è costituita da una serie di sfere con due DOM. IceTop ha una funzione di veto e contenenti fotomoltiplicatori, rivelatori elettronici calibrazione, e serve anche per lo studio dei raggi

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cosmici, in particolare può misurare le direzioni di arrivo dei raggi cosmici nell’emisfero sud, il flusso e la loro composizione. I raggi cosmici sono principalmente protoni di altissima energia, milioni di volte più alta delle energie che si possono attualmente raggiungere con gli acceleratori di particelle (vedi Coelum Astronomia 211 dedicato all’argomento). I neutrini non possono essere osservati direttamente, in quanto elettricamente neutri. Quando uno di loro interagisce con il ghiaccio, produce particelle elettricamente cariche che, viaggiando a velocità superiori a quelle della luce nel ghiaccio, emettono un cono di luce bluastra, detta luce Cherenkov, che viene raccolta dai DOM e convertita in segnali digitali dai quali si può capire la direzione di provenienza, il tipo di particella, il neutrino che l’ha prodotta e la sua

energia. La costruzione di IceCube è iniziata nel 2005 e terminata nel 2010. Per inserire le stringhe con i DOM all’interno del ghiaccio sono stati creati dei pozzi usando un "trapano" a forma di cono che spruzzava acqua calda. La collaborazione comprende oggi circa 300 scienziati provenienti da quasi 50 istituzioni in 12 Stati. Come postulato dalla teoria della relatività, nessuna particella può viaggiare a una velocità superiore a quella della luce nel vuoto (c = 299792,458 km/s), ma all’interno di un mezzo la luce si propaga con velocità inferiore, dipendente dall’indice di rifrazione del mezzo.

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L'eredità di Planck di Redazione Media INAF

Crediti: ESA - C. Carreau

Era il 21 marzo 2013. Scienziati e giornalisti scientifici da tutto il mondo si erano riuniti nella sede parigina dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) per assistere al momento in cui la missione Planck dell’ESA avrebbe svelato la sua “immagine” del cosmo. Un’immagine ottenuta non con la luce visibile ma con le microonde: quella che Planck stava rilevando era una radiazione emessa quando l’universo ebbe inizio. L’espressione che si usa per indicare questa radiazione nel suo complesso è fondo cosmico a microonde, o CMB (dall’inglese cosmic microwave background). Misurando le differenze quasi impercettibili che questa radiazione presenta da una regione all’altra del cielo, era possibile leggere nell’immagine ottenuta da Planck l’età,

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l’espansione, la storia e il contenuto dell’universo. Niente di meno che il progetto del cosmo! Le attese degli astronomi erano ben note. Già due missioni della NASA, Cobe nei primi anni Novanta e WMAP nel decennio successivo, avevano effettuato analoghe ricognizioni del cielo, ottenendo come risultato immagini simili. Immagini, però, che non avevano la precisione e la nitidezza di quelle prodotte da Planck. Grazie alla sua visione avremmo potuto cogliere l’impronta dell’universo primordiale a un livello di dettaglio mai ottenuto prima. Se il nostro modello dell’universo fosse risultato corretto, Planck lo avrebbe confermato con un’accuratezza senza precedenti. Se invece fosse risultato sbagliato, gli scienziati sarebbero dovuti ripartire da zero.


Di cosa è fatto quel che c'è? di Marco Castellani

L’astronomia ci ha abituato da tempo a splendide immagini: stelle, pianeti, lontani quasar… Eppure, raramente troviamo un’immagine così densa come quella che ci ha fornito il satellite Planck e che racchiude, conchiude – quasi come una icona – la nostra attuale concezione di Universo. Di cosa è fatto insomma il nostro Universo? Di cosa è fatto tutto quel che c’è? Scoprirlo, è il compito della sonda Planck (un grande progetto della nostra Europa) che ha realizzato – dal 2009 al 2013 – una mappa puntigliosissima delle differenze in temperatura della superficie ottica più “antica” che si conosca in assoluto, ovvero il fondo cielo che si creò quando il nostro Universo divenne, finalmente, trasparente alla luce (prima era così denso che non c’era verso, nemmeno i fotoni potevano fluire tranquilli). La radiazione cosmica di fondo è una complessa intelaiatura che è anche un formidabile campo di prova per le varie teorie cosmologiche, per le nostre prove di comprensione della struttura del mondo. Le teorie dunque sono chiamate ad accordarsi con quanto oggi “vediamo” tramite satelliti come Planck, e questo pone fortissime

“costrizioni”, che sono a loro volta cogenti indicazioni. Di quel che c’è, e quel che non c’è. Soprattutto, di quanto sia sorprendente questo Universo, in cui viviamo. La più recente analisi di questi dati, infatti, conferma ora e ancora che la maggior parte dell’Universo è fatta di qualcosa che non conosciamo, la elusiva “energia oscura”. E non è tutto: anche la maggior parte della materia, è materia che non conosciamo, anch’essa detta “oscura”, appunto. Insomma l’Universo, questo Universo – nato, e lo sappiamo proprio da questi dati, 13,8 miliardi di anni fa – continua a stupirci con la sua formidabile carica di mistero. È così davvero affascinante, guardarlo, esplorarlo, cercare di capirlo. Perché quel poco che sappiamo (ed è già moltissimo) si immerge in un mare magnum di cose che ancora non sappiamo. Ma che siamo invitati a esplorare, ogni giorno di più. E le sorprese – questo sì, lo sappiamo – non mancheranno.

Crediti: ESA. www.coelum.com

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Un universo quasi perfetto: le release del 2013 e del 2015 Quando l’immagine venne rivelata, i dati confermarono il modello. Combaciavano così bene con le nostre attese da non lasciarci che una sola conclusione possibile: quello che Planck ci aveva mostrato era “un universo quasi perfetto”. Perché quasi perfetto? Perché rimanevano comunque alcune anomalie, sulle quali si sarebbero concentrate le ricerche successive. Trascorsi cinque anni, il consorzio di Planck ha recentemente reso pubblica la cosiddetta legacy data release, ossia l’ultima – definitiva – versione dei dati. Il messaggio rimane lo stesso di allora, ed è ancora più forte. «È questo il principale lascito di Planck», dice Jan Tauber, Planck project scientist dell’ESA. «Il modello standard della cosmologia ha superato, a oggi, tutti i test. E le misurazioni che lo dimostrano le ha compiute Planck». Lanciato nel 2009, Planck ha raccolto dati fino al 2013. La sua prima release – quella all’origine dell’universo quasi perfetto – risale alla primavera di quell’anno. Si basava

esclusivamente sulla temperatura della radiazione cosmica di fondo a microonde, e utilizzava solo le prime due survey a tutto cielo della missione. Erano dati che fornivano anche un’ulteriore prova dell’inflazione, la primissima fase di espansione accelerata del cosmo, avvenuta nelle frazioni di secondo iniziali della storia dell’universo, durante le quali vennero sparsi i semi di tutte le future strutture cosmiche. Oltre a produrre la mappa in temperatura del fondo cosmico a microonde con un’accuratezza senza precedenti, Planck ha misurato la polarizzazione di quella radiazione: una caratteristica che indica se le onde di luce vibrano in una direzione preferenziale. La polarizzazione del fondo cosmico a microonde contiene l’impronta dell’ultima interazione avvenuta tra la radiazione e le particelle di materia presenti nell’universo primordiale e potrebbe contenere informazioni sui primissimi istanti del nostro universo, offrendoci dunque indizi per comprenderne la nascita. La seconda release, prodotta nel 2015,

Sopra. Sequenza di mappe a tutto cielo prodotte dalla missione Planck dell’Esa a frequenze crescenti, da 30 a 857 GHz. Per ogni frequenza, l’animazione mostra la mappa delle fluttuazioni di temperatura nello sfondo a microonde cosmico, o Cmb, e tre misure della polarizzazione della Cmb. Nel caso dei due canali con la più alta frequenza (545 e 857 GHz), non sensibili alla polarizzazione, vengono mostrate solo le fluttuazioni della temperatura. Crediti: Esa/Planck Collaboration

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Una significativa presenza italiana Lanciato il 14 maggio 2009 dall'Agenzia Spaziale Europea (ESA), il telescopio spaziale Planck è il frutto di una collaborazione internazionale che vede coinvolti oltre cento istituti di ricerca fra Europa, Stati Uniti e Canada. L’Italia ha partecipato in maniera significativa alla missione con un finanziamento dell'Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e con i contributi scientifici dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). Italiani sono la progettazione e la realizzazione dello strumento LFI, uno strumento in grado di rilevare

segnali dell'ordine del milionesimo di grado, e lo sviluppo del sottosistema di pre-amplificazione criogenica per il secondo strumento HFI. Un italiano è anche il principal investigator (PI) di LFI, Reno Mandolesi, dell’Università di Ferrara e associato INAF mentre il responsabile per la parte italiana è l'astrofisico Paolo de Bernardis dell'Università “La Sapienza” di Roma. per la partecipazione allo strumento HFI, e ha finanziato l’industria italiana per lo sviluppo della strumentazione scientifica.

raccoglieva tutti i dati raccolti durante l’intera durata della missione, dunque in totale otto survey dell’intero cielo. Oltre ai dati in temperatura, conteneva anche i dati in polarizzazione, ma erano accompagnati da un’avvertenza. «Sentivamo che la qualità di alcuni dei dati di polarizzazione non era buona al punto da poterli impiegare per la cosmologia», ricorda Tauber. Ovviamente ciò non ha impedito di usarli per tale scopo, aggiunge, ma alcune delle conclusioni alle quali si poteva giungere all’epoca avrebbero richiesto ulteriori conferme, ed erano dunque da maneggiare con cautela. Proprio in questo consiste la grande novità della release finale del 2018. Ora che il consorzio di Planck ha completato una nuova elaborazione dei dati, gli scienziati hanno adesso la certezza che sia la temperatura sia la polarizzazione sono determinate in modo accurato. «Finalmente possiamo elaborare un modello cosmologico basato esclusivamente sulla temperatura, o esclusivamente sulla polarizzazione, o infine sia sulla temperatura che sulla polarizzazione. E tutti e tre corrispondono», afferma Reno Mandolesi. «Dal 2015 a oggi, altri esperimenti hanno raccolto ulteriori dati astrofisici, e nuove analisi cosmologiche sono state condotte, combinando le osservazioni della CMB a piccole scale con quelle di galassie, ammassi di galassie e supernove. Nella maggior parte dei casi hanno rafforzato i risultati di Planck e il modello cosmologico sostenuto da

Planck», spiega Jean-Loup Puget dell’Istituto di astrofisica spaziale di Orsay (Francia), PI dello strumento HFI (High Frequency Instrument) di Planck. «Si conclude una missione di grande successo, che, fra i tanti obiettivi raggiunti, ha principalmente contribuito alla validazione del modello standard della cosmologia», commenta Barbara Negri, responsabile dell’Unità esplorazione e osservazione dell’universo dell’ASI. Sotto. Una rappresentazione artistica del satellite Planck. Crediti: ESA.

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Premio Gruber per la Cosmologia a Reno Mandolesi Lo scorso 20 agosto è stato consegnato al team del telescopio spaziale Planck e ai suoi due principal investigator, Nazzareno Mandolesi e Jean-Loup Puget, il Gruber Cosmology Prize 2018: un premio da 500.000 dollari per aver raccolto dati che hanno fornito alla cosmologia una descrizione definitiva dell’universo alle scale più grandi e più piccole. «Misure che hanno portato», si legge nella motivazione dell’importante riconoscimento internazionale, «alla determinazione dei parametri cosmologici (contenuto di materia, geometria ed evoluzione dell’universo) con una precisione senza precedenti ». La cerimonia di consegna si è svolta a Vienna, in Austria, durante la giornata di apertura della 30esima Assemblea Generale dell’IAU, l’International Astronomical Union, fra gli sponsor del Premio. Nel corso della cerimonia, a Mandolesi e Puget è stata anche conferita una medaglia d’oro. «Il patrimonio e l’eredità dei risultati di Planck», dice Mandolesi, «rimarranno per decenni un punto

Da sinistra: il Presidente dell’Inaf Nichi D’Amico, Reno Mandolesi e il Segretario generale dell’IAU Piero Benvenuti. Crediti: Iau/T.Heenatigala

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di riferimento per futuri, ambiziosi, esperimenti sulla polarizzazione della CMB. Le mappe di anisotropia della CMB in temperatura di Planck sono “definitive” per tutte le scale angolari di interesse cosmologico, e quelle di polarizzazione su tutto il cielo sono al momento le migliori esistenti. Personalmente io credo di non aver fatto niente di eccezionale se non il lavoro per cui ero stipendiato. Ma l’ho fatto con amore, dedizione e, credo, anche con energia». «È con grande soddisfazione che ho assistito alla consegna del Premio Gruber, uno dei più prestigiosi riconoscimenti internazionali per la cosmologia», afferma il presidente dell’INAF Nichi D’Amico, «un riconoscimento che vede l’INAF alla ribalta sulla scena internazionale, e che conferma l’eccellenza delle nostre ricercatrici e dei nostri ricercatori. Reno Mandolesi è stato ed è ancora una figura di spicco del nostro ente nazionale, e ha creato una scuola di eccellenza che vede oggi l’Inaf proiettato nelle grandi sfide globali dell’astrofisica e delle scienze spaziali».


Un enigma irrisolto: il valore della costante di Hubble La conseguenza, davvero impressionante, che emerge è che i cosmologi possono essere certi che la loro descrizione dell’universo come un luogo fatto di materia ordinaria, materia oscura fredda ed energia oscura, popolato da strutture il cui seme è stato gettato durante una fase iniziale di espansione inflazionaria, è in gran parte corretta. Rimangono però alcune stranezze che richiedono una spiegazione. Una in particolare è legato all’espansione dell’universo. Un’espansione il cui il tasso è dato dalla cosiddetta costante di Hubble. Per calcolare la costante di Hubble, gli astronomi hanno tradizionalmente fatto affidamento a distanze calibrate presenti nel cosmo. Una tecnica possibile solo per l’universo relativamente locale: si misura la luminosità apparente di particolari tipi di stelle variabili a noi vicine e di particolari stelle che esplodono, la cui luminosità effettiva può essere stimata in modo indipendente. È una tecnica ben collaudata, sviluppata nel corso del secolo scorso a partire dal lavoro pionieristico di Henrietta Leavitt successivamente applicata, alla fine degli anni Venti, da Edwin Hubble e dai suoi collaboratori, che avvalendosi di stelle variabili in galassie distanti e altre osservazioni riuscirono a dimostrare come l’universo stesse espandendosi. Il valore per la costante di Hubble ottenuto dagli astronomi – facendo ricorso a un’ampia varietà di

Leggi anche "Legge di Hubble o Legge di Lemaître?"

Sopra. Il pomo della discordia: in questo grafico, la cronologia delle principali stime della costante di Hubble, comprensive di barre d’errore. Come si può osservare, da qualche anno i valori ottenuti da misurazioni astrofisiche (in blu) e quelli derivati dalle misure cosmologiche di Planck (in rosso) non presentano più zone di sovrapposizione

Leggi anche "L’universo in espansione e la legge di Hubble" osservazioni all’avanguardia, fra le quali anche quelle dell’Osservatorio che proprio da Hubble ha preso il nome, il telescopio spaziale Hubble della NASA e dell’ESA – è 73,5 km/s/Mpc, con un’incertezza di appena il due per cento. L’esoterica unità di misura esprime la velocità dell’espansione in km/s per ogni milione di parsec (Mpc) di separazione nello spazio, dove un parsec equivale a 3,26 anni luce. Un secondo metodo per ottenere una stima della costante di Hubble si avvale invece del modello cosmologico che meglio si adatta all’immagine del fondo cosmico a microonde cosmica – dunque a www.coelum.com

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una rappresentazione dell’universo quand’era molto giovane – per fornire una previsione del valore che la costante di Hubble dovrebbe avere oggi. Ebbene, applicato ai dati di Planck questo metodo fornisce un valore più basso: 67,4 km/s/ Mpc. E con un margine d’incertezza assai ridotto, inferiore all’uno per cento. Ora, se da una parte è straordinario che due metodi radicalmente diversi per derivare la costante di Hubble – uno che si basa sull’universo locale e già maturo, l’altro sull’universo distante e ancora in fasce – arrivino a valori così simili, occorre d’altra parte ricordare che, in linea di principio, questi due valori, tenendo conto dei rispettivi margini di errore, dovrebbero corrispondere. Ma così non sembra essere. Da qui la “tensione”, l’anomalia. E la domanda diventa: come conciliare questi due risultati? Entrambe le parti in causa sono convinte che eventuali errori residui presenti nei loro

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metodi di misurazione siano ormai troppo ridotti per spiegare la discrepanza. È dunque possibile che ci sia qualcosa di un po’ particolare nel nostro ambiente cosmico locale, qualcosa che renda la misurazione nell’ambiente vicino in qualche modo anomala? Per esempio, sappiamo che la nostra galassia si trova in una regione dell’universo la cui densità è lievemente inferiore alla media, e questo potrebbe avere qualche effetto sul valore locale della costante di Hubble. Ma sfortunatamente la maggior parte degli astronomi ritiene che simili peculiarità non siano grandi a sufficienza per risolvere il problema. «Non esiste un’unica soluzione astrofisica soddisfacente in grado di spiegare la discrepanza. Dunque c’è forse una nuova fisica ancora


da scoprire», dice Marco Bersanelli dell’Università di Milano, vice PI dello strumento LFI. Per “Nuova fisica” s’intende che particelle o forze esotiche potrebbero influenzare i risultati. Tuttavia, per quanto si tratti di una prospettiva emozionante, gli stessi risultati di Planck pongono forti vincoli a questa linea di pensiero, proprio perché si adattano così bene alla maggior parte delle osservazioni. «È molto difficile includere una nuova fisica che allevi la tensione riuscendo, al tempo stesso, a mantenere la descrizione precisa offerta dal modello standard per tutto il resto, che già corrisponde», spiega François Bouchet dell’Istituto di astrofisica spaziale di Orsay, vice PIdello strumento HFI.

Di conseguenza, nessuno è al momento in grado di fornire una spiegazione soddisfacente per le differenze tra le due misurazioni, e il punto interrogativo rimane. «Meglio, per ora, non entusiasmarci troppo alla possibilità di nuova fisica: potrebbe benissimo essere che la discrepanza, relativamente piccola, possa essere spiegata da una combinazione di piccoli errori ed effetti locali. Dobbiamo comunque continuare a migliorare le nostre misurazioni e pensare a modi migliori per spiegarla», conclude Tauber. Questa è dunque l’eredità di Planck: con il suo universo quasi perfetto, la missione ha offerto ai ricercatori una conferma dei loro modelli, lasciando al tempo stesso alcuni dettagli irrisolti sui quali cimentarsi. In altre parole: il meglio di entrambi i mondi.

Crediti: ESA/Planck Collaboration www.coelum.com

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C'è VITA tra le nuvole di

VENERE? di Michele Diodati

Venere, il secondo pianeta del Sistema Solare, è molto simile alla Terra per dimensione e si trova praticamente “dietro l’angolo”... Eppure rimane ancora un luogo misterioso e poco esplorato. Il manto di nubi che avvolge il pianeta è denso e non lascia trasparire nulla della sua superficie. Da decenni gli scienziati planetari sanno che l’atmosfera di Venere è pervasa da misteriosi composti che assorbono la luce ultravioletta del Sole. Ora un nuovo studio prova a ipotizzare che tale assorbimento potrebbe essere dovuto all’azione di organismi unicellulari che popolano le fitte nuvole venusiane.

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Quello della ricerca della vita oltre la Terra è uno dei temi più caldi e intriganti che la comunità scientifica sta affrontando con sempre maggior attenzione e vigore negli ultimi decenni. La creazione di nuovi grandi telescopi, come il futuro E-ELT e il nuovo telescopio spaziale James Webb, così come l’affinamento delle tecniche di rilevamento e analisi, permettono di spingere l’occhio indagatore sempre più lontano. Se negli ultimi decenni la ricerca di tracce di vita extraterrestre ha interessato quella branca dell’astronomia che si dedica ai pianeti extrasolari, restando nel Sistema Solare i target di maggior interesse sono oggi costituiti dalle lune ghiacciate dei grandi pianeti gassosi, Giove e Saturno: Europa ed Encelado, per i loro oceani sotterranei, e Titano, per la sua densa atmosfera ricca di composti organici. Oltre a queste lune, però, non vi è dubbio che uno degli obiettivi primari e prioritari per la ricerca di vita extraterrestre sia Marte, che ha focalizzato l’attenzione delle maggiori agenzie spaziali mondiali, che hanno diretto proprio verso il Pianeta Rosso

numerose missioni di ricerca (e altre sono in preparazione), senza contare la recente scoperta di acqua liquida salmastra sotto il polo sud ghiacciato del pianeta. Eppure, forse si è trascurato di guardare con sufficiente attenzione nell’altra direzione, nel Sistema Solare interno, ossia verso Venere. Il pianeta gemello della Terra, appena più piccolo del nostro per diametro e massa, potrebbe essere infatti un candidato molto interessante per la vita, certo più di quanto farebbe supporre la sua incandescente temperatura superficiale, che, con oltre 450 °C, supera abbondantemente il punto di fusione del piombo (327,5 °C).

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Venere in breve Venere, il secondo pianeta del Sistema Solare, è per dimensioni, massa e densità, molto simile alla Terra. Venere è circa 1,1 volte più piccolo del nostro pianeta, e si trova leggermente più vicino al Sole (0,7 UA contro 1 UA). Il nostro cosiddetto pianeta gemello è però un luogo davvero ostile e spietato, dove persino la nostra sonda più robusta non è stata in grado di resistere per più di qualche ora sulla superficie prima di essere irrimediabilmente compromessa. Venere è avvolto da una densa atmosfera composta prevalentemente di anidride carbonica. Al di sotto delle fitte nubi di acido solforico, il pianeta soffre di un tremendo "effetto serra", con temperature superficiali che superano i 470 °C. La superficie risulta cupa e nebbiosa, perennemente avvolta dal densissimo gas atmosferico che, al livello del suolo, presenta una pressione simile a quella che potremmo sperimentare a circa 1,6 chilometri sotto il livello di un oceano terrestre.

Sopra. Una bella immagine di Venere scattata dalla sonda Akatsuki della giapponese JAXA. Crediti: JAXA / ISAS / DARTS / Damia Bouic

ma servono ben 243 giorni al pianeta per compiere una sola rotazione attorno al suo asse. Venere presenta anche alcune differenze Sulla base delle osservazioni effettuate da diverse particolari rispetto agli altri pianeti del Sistema sonde spaziali a distanza di un decennio, gli Solare: il suo moto di rotazione avviene in senso astronomi hanno determinato che il moto di retrogrado (come Urano). Ancora più stranamente, rotazione di Venere sta rallentando: nel corso di l'anno su Venere risulta più breve del suo giorno: 16 anni, la sua giornata si è allungata di circa un anno venusiano dura circa 225 giorni terrestri, 6 minuti e mezzo.

Sopra. Una delle poche immagini della superficie di Venere, scattata dalla sonda sovietica Venera-13 (1981) elaborata dalla NASA. Crediti: NASA.

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Fortunatamente, l’interesse per Venere è stato appena rinfocolato da un recente studio pubblicato sulla rivista Astrobiology, lo scorso 30 marzo, con lo scienziato planetario Sanjay Limaye come primo autore. Lo scienziato ipotizza che la vita potrebbe essersi sviluppata proprio tra le dense nubi di Venere. A ben guardare, non si tratta di un’ipotesi nuova: lo studio rilancia infatti, sulla base di nuovi e più precisi dati, un’idea che era già stata proposta da Harold Morowitz e Carl Sagan nel lontano 1967, in un articolo pubblicato su Nature (Life in the Clouds of Venus?, “Vita tra le nuvole di Venere?”).

A sinistra. Sanjay S. Limaye, scienziato planetario presso lo Space Science and Engineering Center dell’Università del Wisconsin a Madison

La ricerca di Limaye e dei cinque colleghi si sofferma con ricchezza di dettagli sulla possibilità che le nuvole di Venere ospitino forme di vita microbiche. Per quanto, infatti, possa apparire sorprendente, a non molti chilometri dall’infuocata superficie del pianeta la sua densa atmosfera offre condizioni di temperatura e pressione molto simili a quelle terrestri. In particolare, lo strato inferiore della spessa copertura nuvolosa, a un’altezza compresa tra 48 e 50 km dal suolo, presenta una temperatura media intorno ai 60 °C e una pressione di 1000 mbar, cioè 1 atmosfera: il valore della pressione terrestre al livello del mare.

nostra atmosfera è composta principalmente di azoto (78%) e ossigeno (21%), l’atmosfera di Venere contiene quasi esclusivamente anidride carbonica (96%), un po’ di azoto (3,5%) e piccole quantità di monossido di carbonio, argon, acido solforico e vapore acqueo. Le eventuali forme di vita microbiche sospese nelle nuvole di Venere si troverebbero disperse in un aerosol composto da particelle contenenti acido solforico e vapore acqueo, in un ambiente totalmente privo di ossigeno.

Un ambiente troppo estremo per ospitare forme di vita? Molto probabilmente no! E la risposta la troviamo guardando come la vita si è adattata qui, C’è sicuramente una grande differenza tra sul nostro pianeta. l’atmosfera di Venere e quella terrestre. Mentre la Esistono infatti, qui sulla Terra, non solo

Sopra. Variazioni di pressione (a sinistra) e temperatura (a destra) nell’atmosfera di Venere. La temperatura di 60 °C, che si raggiunge intorno ai 50 km di altitudine, è associata a una pressione di 1000 mbar (Limaye Sanjay S. et al., Astrobiology, http://doi.org/10.1089/ast.2017.1783).

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microorganismi che, trasportati dalle correnti, sopravvivono nell’atmosfera a decine di chilometri dal suolo, ma anche batteri che prosperano in condizioni estreme di temperatura e pressione, in assenza di ossigeno, in ambienti fortemente acidi o alcalini. La vita, insomma, almeno sul nostro pianeta, ha saputo adattarsi anche alle condizioni apparentemente più avverse. Non è impossibile, quindi, che anche su Venere la vita abbia trovato una sua strada, basata magari su una biologia diversa da quella sviluppatasi sul nostro pianeta.

divenuta inabitabile la superficie, si possono essere trasferite nell’atmosfera grazie alle correnti ascensionali, trovando nello strato inferiore delle nuvole venusiane un habitat adatto a garantire la sopravvivenza.

Il secondo indizio deriva da osservazioni nell’ultravioletto che risalgono indietro nel tempo fino al 1928. Se si osserva Venere nella luce visibile, si vede un mondo completamente ricoperto da una spessa e indistinta coltre nuvolosa, che non lascia trapelare alcuna caratteristica distintiva, né dell’atmosfera né della Ma quali indizi abbiamo che l’ipotesi proposta da superficie. Le cose cambiano, invece, se si osserva Limaye e colleghi non sia pura e semplice il pianeta nell’ultravioletto e nell’infrarosso, come speculazione? In verità, almeno due. ha fatto di recente la sonda Akatsuki dell’agenzia spaziale giapponese JAXA, producendo una serie In primo luogo è molto probabile che Venere, di spettacolari immagini. all’inizio della sua storia, abbia avuto un clima più In queste lunghezze d’onda, l’atmosfera di Venere ospitale rispetto a quello attuale e favorevole alla vita per almeno 750 milioni di anni, con la presenza di acqua liquida in superficie per circa 2 miliardi di anni. Questo passato “liquido” è supportato dal raffronto tra il rapporto deuterio/idrogeno nell’atmosfera di Venere e quello dell’atmosfera terrestre: dal confronto emerge che, così come c’è acqua sulla Terra, in passato deve esserci stata acqua liquida anche sulla superficie di Venere. Se dunque il nostro pianeta gemello è probabilmente risultato abitabile per centinaia di milioni di anni, è possibile che si siano evolute semplici forme di vita primitive, le quali, una volta A destra. Un dettaglio sui misteriosi filamenti osservati sul lato notturno di Venere grazie allo strumento VIRTIS installato sulla sonda Venus Express dell'ESA. Crediti: ESA, S. Naito, R. Hueso e J. Peralta www.coelum.com

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appare ricchissima di dettagli molto fini: le immagini mostrano un vasto, frastagliatissimo e variabile intreccio di filamenti scuri, diffusi soprattutto alle basse latitudini, che percorrono le nuvole per migliaia di chilometri.

Cosa sono quei filamenti? Ancora non lo si sa con certezza. Decenni di osservazioni indicano che le zone scure sono prodotte dall’assorbimento della luce solare nelle lunghezze d’onda tra 270 e 500 nanometri, da parte di composti che si trovano in sospensione nelle nuvole di Venere. L’analisi spettroscopica suggerisce che queste particelle

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assorbenti potrebbero contenere composti dello zolfo (acido solforico, anidride solforosa) e cloruro ferrico (FeCl₃), ma i pareri degli studiosi al riguardo sono molti e discordanti.

Sotto. Un’immagine diurna di Venere ripresa dalla sonda Akatsuki nell’ultravioletto. Sono ben visibili le formazioni filamentose che fluttuano nell’atmosfera intorno alle latitudini equatoriali. Le strisce scure tradiscono la presenza di un aerosol contenente zolfo e un composto di natura ignota che assorbe la radiazione ultravioletta del Sole (JAXA / ISAS / DARTS / Damia Bouic)


Proprio nel dibattito sulla natura degli ignoti composti assorbenti si inserisce lo studio di Limaye e colleghi. L’ipotesi proposta da questi autori è che l’assorbimento della luce solare in quelle lunghezze d’onda sia determinato da miliardi e miliardi di organismi viventi unicellulari, che fluttuano tra le nuvole di Venere. Se le cose stessero così, allora i composti assorbenti osservati da satelliti e telescopi potrebbero essere pigmenti fotosintetici, come la clorofilla e la ficocianina qui sulla Terra, che gli organismi unicellulari venusiani usano per il loro metabolismo, per trasformare cioè la luce solare in energia.

biologia, allora questi materiali biotici potrebbero esibire potenzialmente firme spettrali che combaciano con quelle delle nuvole di Venere. Per esempio, i contrasti osservati a 270, 283, 365, 410 e 430 nm (Pioneer, Akatsuki, Galileo e MESSENGER) sono simili in modo allettante alle proprietà di assorbimento di molecole biologiche terrestri, che hanno picchi di assorbimento a lunghezze d’onda che attraversano le regioni dello spettro elettromagnetico dall’ultravioletto al visibile».

C’è in particolare un microorganismo terrestre che sembra fatto apposta per vivere tra le nuvole di Venere, non solo per la sua firma spettrale, ma anche per il suo metabolismo. È l’Acidithiobacillus Pare infatti che diverse molecole biologiche ferrooxidans, un proteobatterio che appartiene terrestri abbiano firme spettrali sovrapponibili a allo stesso phylum di patogeni piuttosto quelle dei composti assorbenti trovati famigerati come Escherichia coli, Salmonella typhi, nell’atmosfera di Venere. Scrivono a tal proposito Vibrio cholerae ed Helicobacter pylori. Limaye e colleghi: «Se le nuvole di Venere ospitano davvero una

Sopra. Lo schema illustra l’ipotesi presentata dagli autori dello studio: sfruttando le correnti ascensionali create dalle cosiddette onde di gravità in presenza di rilievi montuosi, vaste colonie di batteri hanno raggiunto gli strati inferiori delle nuvole di Venere, sopravvivendo in un ambiente molto acido e privo di ossigeno, ricco di composti dello zolfo e del ferro (Limaye Sanjay S. et al., Astrobiology, http://doi.org/10.1089/ast.2017.1783). www.coelum.com

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L’Acidithiobacillus prospera in ambienti acidi e ricchi di zolfo: «In termini di sopravvivenza in ambienti ricchi di zolfo e con basso pH, A. ferrooxidans rappresenta un analogo terrestre esemplare per la vita tra le nuvole di Venere: questo batterio infatti prospera a valori di pH estremamente bassi (pH 1 o 2), fissa sia la CO2 sia l’idrogeno gassoso direttamente dall’atmosfera e ottiene l’energia per la sua crescita dall’ossidazione di idrogeno, ossido ferroso, zolfo elementare o composti dello zolfo parzialmente ossidati». Questa è in sintesi la teoria proposta dagli autori dello studio pubblicato su Astrobiology. L’idea che le nuvole di Venere possano ospitare immense colonie di microorganismi è a dir poco stuzzicante e, ovviamente, sarebbe interessantissimo poter inviare una sonda sul posto per verificare con dati scientifici quanto ipotizzato. Tuttavia, guardando al passato, le spedizioni su Venere sono sempre

state molto problematiche a causa delle avverse condizioni di temperatura, pressione e visibilità che caratterizzano il secondo pianeta del Sistema Solare. Le sonde che lo hanno esplorato dalla sua orbita, come la Venus Express dell’ESA e la Magellano della NASA, hanno studiato l’atmosfera e la superficie del pianeta, ma non disponevano di strumenti adatti a scoprire eventuali tracce di vita in un livello ben preciso dell’atmosfera venusiana. Altrettanto inadatte allo scopo erano le sonde discese fino al suolo di Venere e sopravvissute solo poche ore, come quelle del programma sovietico Venera. Per esplorare la composizione delle nuvole intorno a 50–60 km di altitudine non serve né una sonda che osservi il pianeta dall’alto né una che plani fino alla superficie, fermandosi lì. Occorre invece un velivolo progettato appositamente per esplorare l’atmosfera di Venere, volando attraverso di essa. La Northrop Grumman ha

Un rendering 3D del concept sviluppato dalla Northrop Grumman a partire dal 2012 di VAMP, acronimo di Venus Atmospheric Maneuverable Platform. Crediti: Northrop Grumman Corp

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sviluppato a partire dal 2012 il concept di un aeromobile pensato proprio per un simile compito: il suo nome è VAMP, acronimo di Venus Atmospheric Maneuverable Platform. VAMP fa parte di una nuova classe di sonde da usare come “rover” atmosferici, velivoli nati cioè per esplorare pianeti e lune dotati di atmosfera, come appunto Venere. La tecnologia proposta da Northrop Grumman per questo progetto si chiama LEAF (cioè “foglia” in inglese), ennesimo acronimo che sta per Lifting Entry/Atmospheric Flight. In sostanza VAMP sarà un incrocio tra un aeroplano e un dirigibile, progettato per entrare nell’atmosfera di Venere planando come una

foglia caduta da un albero. Il design ricorda quello di aerei a tutta ala che sono il fiore all’occhiello della Northrop: il bombardiere B-2 Spirit e l’X-47B, un aereo da combattimento senza pilota. Fortunatamente VAMP, anche se nasce da questo filone di aerei da guerra, perseguirà solo scopi scientifici. L’apertura alare prevista è di 55 metri per 20 di lunghezza. Ovviamente un simile colosso non potrebbe essere lanciato in orbita da nessun razzo vettore. Lo studio di fattibilità prevede perciò che il velivolo parta dalla Terra completamente ripiegato a fisarmonica e chiuso in un alloggiamento trasportato dall’orbiter.

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Una nuova mappa di Venere grazie a EnVision? L’ESA sceglierà nei prossimi tre o quattro anni quella che diventerà la quinta missione scientifica di taglia M del programma Cosmic Vision, con lancio previsto nel 2032. Della rosa di candidate fa parte EnVision, con destinazione Venere. Raccogliendo l’eredità di Venus Express, EnVision – che prevede anche la partecipazione della Nasa – si propone di realizzare una mappatura della superficie di Venere e di ottenere immagini radar dettagliate del pianeta. «EnVision contribuirà a rispondere a una domanda fondamentale legata alla comprensione delle motivazioni per cui Venere, che per le sue dimensioni e la sua posizione nel Sistema solare può essere considerato un pianeta gemello al nostro, abbia avuto

La mappa topografica di Venere elaborata dal JPL della NASA grazie alle osservazioni radar della sonda Magellano. Crediti: NASA.

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un’evoluzione così diversa dalla Terra», spiega a Media Inaf Lorenzo Bruzzone dell’Università di Trento, membro del core team di EnVision e responsabile di uno dei quattro strumenti della missione, il subsurface radar sounder (un radar capace di penetrare la superficie per studiare il sottosuolo di Venere). «Sappiamo molto su Marte, ma abbiamo ancora una conoscenza limitata su Venere che questa missione arricchirà in maniera sostanziale. Tra gli altri obiettivi scientifici specifici, EnVision permetterà di determinare la natura e lo stato attuale dell’attività geologica su Venere – inclusa l’attività vulcanica – e di comprendere la sua relazione con l’atmosfera venusiana».


Sopra. La struttura interna delle ali di VAMP e la direzione di espansione (Kristen Griffin, Venus Atmospheric Maneuverable Platform (VAMP)).

L’idea alla base di questa ipotetica missione consiste infatti nel lancio di due elementi collegati, che si separeranno solo dopo l’inserzione nell’orbita di Venere: VAMP, che planerà verso la copertura nuvolosa del pianeta, e un orbiter, che avrà il compito di sorvegliare la missione dall’alto, fungendo da ponte di comunicazione tra l’aereo e la Terra.

Una volta penetrato nell’atmosfera, VAMP, rallentato enormemente dall’attrito, planerà fino alla quota operativa, alla quale avverrà la transizione alla fase di volo attivo. L’aereo disporrà infatti di due eliche anteriori movimentate da motori elettrici alimentati dall’energia fornita da una griglia di celle solari che dovrebbero essere in grado di fornire più di 8 kW di potenza. Grazie alla presenza di timone e A causa del coefficiente balistico volutamente alettoni, il velivolo sarà completamente molto basso, VAMP non avrà bisogno di uno scudo manovrabile nelle tre direzioni spaziali, termico per sopravvivere all’ingresso permettendo così la massima libertà di nell’atmosfera di Venere. Le sezioni anteriori movimento. rinforzate saranno più che sufficienti a resistere al calore generato dall’attrito con l’aria, che, Il piano operativo della sonda prevede due tipi di distribuito sull’ampia metratura della superficie funzionamento: uno passivo, in cui VAMP planerà d’ingresso, non supererà mai i 1.000 °C. fino a una quota minima di 50–52 km dal suolo

Sopra. Dopo l’inserzione nell’orbita di Venere, l’orbiter rilascerà VAMP, che dovrà aprirsi come una sorta di ventaglio (Kristen Griffin, Venus Atmospheric Maneuverable Platform (VAMP)) www.coelum.com

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Droni su Venere Servizio a cura di ASITv. Crediti: ASI

Studiare il passato di Venere attraverso l’utilizzo di un drone, capace di sopravvivere ai forti venti che imperversano nell’atmosfera del pianeta. È questo l’ambizioso piano della Nasa che intende portare avanti insieme a Black Swift Technologies, società specializzata in sistemi aerei senza equipaggio, alla quale l’agenzia ha assegnato un contratto iniziale di sei mesi per lo sviluppo del progetto. Grazie ai modelli climatici molto simili a quelli di Marte, Venere in passato potrebbe aver avuto un ambiente più ospitale alla vita, in cui, forse, scorreva acqua sotto la sua superficie. Recenti studi inoltre indicano la presenza di vita

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microbica nelle nuvole del pianeta, il che avrebbe motivato ancora di più l’agenzia americana a portare avanti nuovi programmi di esplorazione per indagare il suo passato acquoso e per cercare tracce di vita organica nella sua atmosfera. Secondo i piani della Black Swift, il drone sfrutterà i forti venti di Venere per rimanere nella sua atmosfera, riducendo così la quantità di energia di cui ha bisogno. Se la Nasa approverà il progetto, la società darà il via alla costruzione dei primi prototipi che andranno ad unirsi alle future missioni verso Venere.


Le ali piegate a fisarmonica si dispiegheranno grazie alla pressione esercitata dal gas immesso da una pompa all’interno del rivestimento a tenuta stagna di VAMP (Kristen Griffin, Venus Atmospheric Maneuverable Platform (VAMP)).

alla quale galleggerà nell’atmosfera di Venere grazie al gas di idrogeno di cui sarà riempito; e uno attivo, in cui userà i motori a elica per esplorare l’ambiente in ogni direzione, portandosi fino a un’altitudine massima di 65–68 km. Il ciclo di variazione tra le due modalità di funzionamento dipenderà dall’alternanza giorno-notte: quando la radiazione solare non sarà disponibile, VAMP galleggerà nell’atmosfera; con la luce del Sole, viceversa, volerà attivamente non appena avrà accumulato energia sufficiente.

velocità di salita e di caduta sarà invece di 0,4 m/s o 1,5 km/h, il che vuol dire che VAMP seguirà per lo più traiettorie quasi orizzontali o comunque con bassa inclinazione. Il galleggiamento nell’atmosfera di Venere sarà garantito da un sistema che pompa idrogeno nel velivolo, più leggero dell’aria, il che permetterà a VAMP di funzionare per lungo tempo come un dirigibile.

La velocità massima, dipendente dalla massa da spostare e dall’energia disponibile, è stimata intorno ai 30 m/s, cioè 108 km/h. La massima

A destra. Il ciclo di attività di VAMP: galleggiamento alla quota minima di notte; volo attivo di giorno (Kristen Griffin, Venus Atmospheric Maneuverable Platform (VAMP)) www.coelum.com

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Il sistema di galleggiamento è anche il fattore principale che inciderà sulla durata della missione. I progettisti della Northrop Grumman stimano che VAMP potrà rimanere in volo tra le nuvole di Venere per almeno un anno, forse più. Tutto dipenderà dalla tenuta sigillante del rivestimento esterno: eventuali perdite di idrogeno finiranno infatti per penalizzare

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inevitabilmente la capacità di galleggiamento dell’aeromobile, che non è strutturato per resistere a lungo alle infernali temperature e alla pressione che incontrerebbe se fosse costretto a scendere a quote inferiori ai 50 km. La massa prevista del velivolo è di 900 kg circa. Di questi, più di 50 kg potranno essere ripartiti tra i


vari strumenti scientifici che serviranno per esplorare l’ambiente delle nuvole venusiane. VAMP sarà dotato di fotocamere, di un anemometro per misurare l’intensità dei venti, di sensori per i campi elettrici e per le condizioni meteo, di gascromatografo e spettrometro di massa per analizzare la composizione chimica delle particelle di aerosol in cui si troverà a

volare, ma soprattutto di un microscopio ottico, grazie al quale potrà inviare a Terra immagini che serviranno per dirimere il grande interrogativo sollevato dallo studio di Limaye e colleghi: c’è vita tra le nuvole di Venere?

Rappresentazione artistica di VAMP in volo tra le nuvole di Venere. Sono visibili le due eliche anteriori, le celle solari sul dorso e i timoni verticali in basso (Northrop Grumman Corp.)

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La Spettroscopia astronomica amatoriale

Gli strumenti per la spettroscopia: prismi e reticoli Terza parte di Fulvio Mete

Leggi la prima parte: storia e introduzione alla spettroscopia. Leggi la seconda parte: Principali Informazioni ottenibili dagli spettri Dopo aver visto la storia e le scoperte compiute grazie alla spettroscopia e quali informazioni si possono ricavare analizzando uno spettro, vediamo ora gli strumenti necessari per fare spettroscopia e come utilizzarla a livello amatoriale, con risultati che possano contribuire alla ricerca scientifica professionale. La luce del Sole (e di molte altre stelle stelle) è luce bianca e per ottenerne lo spettro abbiamo visto che va scomposta in tutte le sue componenti monocromatiche dal violetto al rosso. Due sono i principali fenomeni fisici per scomporre la luce nel suo spettro, la dispersione attraverso un prisma e la diffrazione attraverso una fenditura (o un insieme di fenditure come sono i reticoli, appunto, di diffrazione).

La dispersione attraverso un prisma La dispersione della luce è la separazione di un’onda incidente in componenti spettrali di diversa lunghezza d’onda. Il modo più semplice e più usato in passato per ottenere ciò è quello di usare un prisma, sfruttando il principio della rifrazione: quando la

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luce passa attraverso un prisma le sue componenti vengono rifratte in maniera diversa a seconda della propria lunghezza d’onda. In particolare lunghezze d’onda più lunghe (parte rossa dello spettro) subiscono una deviazione con un angolo inferiore di quelle più corte (blu-violetto).


Ciascuno di noi ha potuto, almeno una volta, ammirare la bellezza dell’arcobaleno: i colori della luce solare scomposta nei suoi colori fondamentali da un oggetto di vetro presente in casa. Il prisma ideale per ottenere una buona dispersione è un prisma di vetro flint equilatero, con angoli di 60°, ma anche altri prismi di diversa angolazione possono essere adattati. Un prisma può anche essere anteposto a un obiettivo fotografico per la registrazione di spettri stellari. Sopra. Nella figura è mostrato un esempio di spettro solare ottenibile con un prisma a 60° opportunamente orientato, proiettato su un foglio di carta bianco.

La diffrazione con reticolo La diffrazione è un fenomeno basato sulla natura ondulatoria della luce e consiste nella deviazione, rispetto alla propagazione in linea retta, che un’onda presenta quando incontra un ostacolo o un’apertura di dimensioni paragonabili alla sua lunghezza d’onda. Il suo effetto è quello di allargare il fascio di luce originario dando origine ad una serie alternata di bande chiare e scure: una serie di massimi di intensità decrescente, dal centro verso i bordi, con un picco centrale più luminoso, che si alternano con una serie di minimi scuri. Definendo di ordine m = 0 il picco centrale del raggio non deviato, man mano che la deviazione aumenta m assume i valori interi 1, 2, …, n (positivi e

negativi se a destra o a sinistra del picco centrale) indicando i diversi ordini di massimo dei picchi in cui il raggio originario viene scomposto.

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Se osserviamo cosa accade facendo passare un fascio di luce attraverso due fenditure, notiamo che le due diverse figure di diffrazione che si formano si sovrappongono, formando regioni dove si crea un’interferenza “costruttiva” (dove le intensità si sommano dando origine a una intensità maggiore), e regioni dove si crea un'interferenza “distruttiva” (in cui invece intensità opposte si elidono o riducono a vicenda, dando origine a una intensità inferiore o nulla). Sopra. Nell’immagine la classica figura di diffrazione che si

La posizione dei massimi di ottiene facendo passare la luce di un laser rosso attraverso una interferenza dipende dalla fenditura molto stretta. lunghezza d’onda della radiazione, quindi l’interferenza costruttiva avviene ad angoli diversi a seconda delle diverse lunghezze d’onda (colori), da qui la formazione dello spettro, anzi di più spettri in corrispondenza dei vari massimi dall’1 in poi, che prendono quindi nome di ordini spettrali. Tale concetto può essere generalizzato per n fenditure, che definiranno sempre più la risoluzione dell’immagine finale. In un reticolo di diffrazione, le linee, o scanalature, possono essere assimilate a delle fenditure: maggiore quindi sarà il numero delle linee per millimetro nel reticolo e maggiore sarà la risoluzione che esso, a parità di altre condizioni, potrà fornire. Un reticolo di diffrazione agisce per trasmissione quando lascia passare il raggio diffratto dalle fenditure proiettandolo su uno schermo dalla parte opposta della sorgente, ma può essere costruito per agire anche per riflessione, ad esempio una superficie riflettente attraversata da tante piccole strisce o solchi non riflettenti. L’effetto di un reticolo di diffrazione per riflessione, ad esempio, lo vediamo nei colori dell’arcobaleno prodotti dalla luce riflessa da un compact disc.

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Vantaggi e svantaggi dei due metodi Dal punto di vista dell’indagine spettroscopica, il prisma presenta il vantaggio che la luce non viene dispersa in ordini spettrali e quindi è più concentrata, ma ha tuttavia seri inconvenienti: la dispersione spettrale è piuttosto limitata, come si può osservare nella figura che segue. Inoltre, cosa ancora più importante, la dispersione è non lineare, in quanto proporzionalmente minore nella parte rossa dello spettro rispetto a quella blu-violetto: la banda di spettro nel blu-violetto

avrà quindi un’estensione maggiore di quella nel rosso. Questo, e altri motivi connessi alla netta maggior efficienza dei reticoli di diffrazione, che vedremo a breve, hanno fatto sì che i prismi venissero quasi del tutto abbandonati in campo professionale, sopravvivendo esclusivamente in strumentazioni spettroscopiche “composite” – come le configurazioni chiamate Echelle e Grism, nelle quali vengono usati insieme ai reticoli.

Sopra. Lo spettro ottenuto con reticolo ha minore intensità, ma maggior ampiezza, mentre quello ottenuto con il prisma è sicuramente più intenso ma anche meno “allargato".

I reticoli "blazed" I reticoli oggi più usati negli strumenti professionali sono quelli a riflessione, e ciò per semplici considerazioni tecniche e di efficienza.

massimo dei picchi di energia luminosa diffratta). L’ordine 1 è, normalmente, quello nel quale il fascio diffratto presenta la maggiore energia relativa, mentre negli altri man mano questa Nei reticoli a trasmissione il numero di incisioni decresce. Quello nell’ordine 1 è quindi lo spettro per millimetro è inferiore a quello dei reticoli a più luminoso, dove l’energia è maggiore, ma anche riflessione, a causa della massa vetrosa che la luce quello dove l’ampiezza dello spettro è minore deve attraversare, e che diminuisce rapidamente rispetto agli ordini inferiori, nei quali gli spettri la resa oltre le 600 linee/mm. I reticoli a sono più elongati. riflessione invece possono raggiungere un elevato numero di righe/mm – fino a 2400 nel visibile e La maggior parte dell’energia luminosa però è 3600 nell’UV – senza perdita di resa. convogliata verso l’ordine 0, ovvero l’immagine dell’oggetto, e solo la restante divisa tra i vari Ma c’è un altro fatto ben più importante. ordini. Come abbiamo visto, il fascio di luce incidente su un reticolo è in parte trasmesso (o riflesso) e in parte diffratto più volte sia a destra che a sinistra, secondo i vari ordini di diffrazione (gli ordini di

Questo è quanto accade nei normali reticoli a trasmissione in vendita, nei reticoli a riflessione è invece possibile, effettuando le incisioni sul reticolo secondo un certo angolo detto angolo di www.coelum.com

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“blaze”, convogliare il massimo dell’energia luminosa sino anche al 90% su di un solo ordine (in genere il primo). Non solo, all’interno del singolo ordine è possibile concentrare l’energia luminosa anche su una data lunghezza d'onda, con ovvie conseguenze positive sull’incisione dell’immagine spettrale.

Si dirà quindi che il reticolo X è "blazed" per 500 nm nell'ordine 1 quando la maggior parte dell'energia luminosa diffratta verrà diretta verso tale ordine e su tale lunghezza d’onda, in questo caso nella zona blu-verde dello spettro di ordine 1.

Sopra. Nell’immagine un reticolo a riflessione di proprietà dell’autore da 1800 l/mm blazed per 500 nm.

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Gli Spettroscopi Spettroscopio a reticolo di diffrazione Il tipo più semplice di spettroscopio stellare è costituito da un reticolo di diffrazione a trasmissione da 100 o 200 l/mm con angoli di diffrazione modesti, che non necessita di montaggi particolari. Tali reticoli possono essere montati direttamente lungo l’asse ottico, a date distanze dall’occhio o dal sensore, tenendo conto che maggiore sarà la distanza, minore sarà la dispersione lineare reciproca (A/pixel del sensore) e maggiore la risoluzione, intesa come la capacità di distinguere come separate due righe vicine, ovvero, più tecnicamente, di osservare distinte due lunghezze d’onda separate da un ammontare ∆λ.

avanti), a parità di setup e condizioni; 3. di costituire un valido aiuto, come abbiamo visto, per l'individuazione della classe spettrale di una stella e delle sue caratteristiche principali, che potranno poi essere eventualmente approfondite con uno strumento a risoluzione più elevata; 4. di individuare le caratteristiche essenziali di Novae e Supernovae nel momento della scoperta.

Un inconveniente serio di tali reticoli oltre alla risoluzione limitata dal basso numero di linee/ mm, è dato dal fatto che questa (a parità di distanza dal sensore) dipende essenzialmente dal Essi vengono in genere usati come filtri e inseriti seeing. Un’ulteriore difficoltà è quella di operare nei cassetti o ruote portafiltri. I reticoli a basso senza aberrazioni la sottrazione del fondo cielo, numero di linee/mm (100/200) da applicare a una necessaria per depurare lo spettro dai componenti camera CCD sono una vera risorsa per la spuri dell’inquinamento luminoso specie in campi spettroscopia amatoriale in quanto permettono: stellari affollati. Ciononostante, tali reticoli, commercializzati da 1. di riprendere nello stesso campo, anche a focali una ditta inglese col nome di “Star Analyser” e elevate, l'immagine di ordine 0 di una stella e il montati nella cella di un normale filtro da 31,8 suo spettro di ordine 1, con la possibilità, specie mm hanno avuto e hanno tuttora una grande con le camere a doppio sensore, di inseguire diffusione tra gli appassionati per l'estrema direttamente sulla stella; praticità e facilità d’uso, oltre che per il costo 2. di avere un miglior rapporto S/R e raggiungere contenuto. magnitudini più elevate rispetto a uno spettroscopio a fenditura (lo vediamo più

Qui sopra il profilo spettrale della stella simbiotica binaria AG Pegasi ripreso dall’autore con un reticolo a trasmissione Star Analyser 200 (a destra) applicato ad un telescopio rifrattore apocromatico TMB LZO 115/800 f 7 ed una camera Atik 16 HR (Sony ICX 285 AL), dispersione 5. 9 A/Pixel . www.coelum.com

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Lo spettroscopio a fenditura Se si vuole, tuttavia, andare oltre entrando nel campo della spettroscopia stellare e degli oggetti del cielo profondo a risoluzione medio-alta, l’unica strada è uno spettroscopio a fenditura. Ma qui si entra in un territorio che presenta luci e ombre, perlomeno a livello amatoriale. Cerchiamo quindi di vedere in modo sintetico e obiettivo quali sono i vantaggi e quali gli svantaggi di una strumentazione spettroscopica più sofisticata e performante. Nello spettroscopio a fenditura un elemento ottico positivo (lente o specchio), detto collimatore, viene messo a fuoco su una singola fenditura – che altro non è che un’apertura molto sottile, non abbastanza da innescare la diffrazione ma a sufficienza da incanalare la luce in un fascio

parallelo (collimato, appunto) al reticolo. In uscita da questo si ottiene un fascio diffratto (spettro) che viene ingrandito da una seconda ottica detta “di visualizzazione” o “della camera”. Il collimatore deve avere lo stesso rapporto F/D del telescopio cui è applicato lo spettroscopio. A sua volta la fenditura è posta sul punto focale del telescopio, e ha due principali funzioni: di isolare la regione d’interesse nel cielo e, ancora più importante, quella di rendere stabile la risoluzione, che non dipenderà più, o quanto meno dipenderà in piccolissima parte, dal seeing. Il vantaggio, oltre alla stabilità, è anche la maggior risoluzione ottenibile usando fenditure più strette. Non è un vantaggio da poco, in quanto talvolta decisivo nella determinazione delle

Sopra. Nell’immagine il layout di uno spettroscopio stellare costruito dall’autore, con un reticolo da 600 l/ mm, a bassa risoluzione, che fornisce buone prestazioni e presenta peso e dimensioni più che accettabili. In quella successiva, un ottimo e leggero spettroscopio professionale di concezione simile al precedente: l’Alpy (fonte Shelyak instruments).

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caratteristiche spettrali di un dato oggetto – negli spettri a bassa risoluzione, infatti, alcune righe appaiono “blended” ovverosia unite con quelle di altri elementi ad esse vicine e quindi non individuabili. Per non parlare poi del vantaggio nella determinazione delle velocità radiali, tanto più precise quanto maggiore è la risoluzione ottenuta.

A proposito di risoluzione spettrale R, definita come λ /∆λ, si intendono a bassa risoluzione gli spettroscopi con R < 1.000; a risoluzione media quelli con R > 1.000 e < 10.000 e alta risoluzione quelli con R > 10.000.

Ma, quali sono gli svantaggi in questo caso allora? Gli inconvenienti, può sembrare strano, non sono connessi tanto allo spettroscopio, ma alla strumentazione – telescopio e montatura ai quali viene applicato – e sono gli stessi problemi meccanici e strutturali conseguenti all’applicazione di qualsiasi accessorio di peso elevato al fuoco di telescopi amatoriali. Le configurazioni sono molteplici, e alcune alla portata di progetti di autocostruzione. Purtroppo, infatti, i costi degli strumenti costruiti in modo professionale sono elevati, cosa che spinge molti ad affidarsi all’autocostruzione, spesso con buoni risultati.

Spettroscopi a elevata risoluzione per spettroeliografia Fin qui per le stelle e il cielo profondo. Per il Sole, a meno che non si voglia dare una semplice occhiata al suo bellissimo spettro, occorrono strumenti di risoluzione elevata, in particolar modo se si vuole tentare l’approccio della spettroeliografia digitale (R > 30000). Per tali strumenti dedicati, non in commercio, l’unica strada è attualmente l’autocostruzione. Ne abbiamo parlato diffusamente nell’articolo pubblicato su Coelum Astronomia 222 dedicato a Spettrografia e Effetto Zeeman per la misurazione amatoriale dei campi magnetici umbrali nelle macchie solari.

Sopra. Nella figura lo spettroscopio-spettroelioscopio digitale VHIRSS (acronimo di Very High Resolution Solar Spectroscope) auto costruito dall’autore. www.coelum.com

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Possibili punti di collaborazione tra professionisti ed amatori Per coloro che già si occupano di spettroscopia, o che intendono occuparsene in futuro in modo più

impegnativo, riassumo i possibili punti di convergenza tra attività amatoriali e professionali:

Spettroscopia stellare Eventi transienti. Oggetti relativamente brillanti (mag. < +9) per i quali è critica l’acquisizione tempestiva di spettri con campionamento temporale (ad esempio Nova Eridani 2009, Nova Delphini 2013, etc.). Tenuto conto che non sempre gli Osservatori professionali hanno la possibilità di osservare al momento giusto e con la cadenza necessaria, le osservazioni amatoriali potrebbero colmare i vuoti nelle osservazioni. Monitoraggi di stelle variabili note, regolari, semiregolari o irregolari. Tali oggetti non sono in genere seguiti dai professionisti, in quanto il

Spettroscopia solare Un discorso a parte riguarda la spettroscopia solare, per la quale, come detto, il livello di sofisticazione della strumentazione (gli spettrografi solari professionali utilizzano risoluzioni ben oltre R = 100.000) e delle procedure tecniche è elevato e la possibilità di un concreto aiuto al campo professionale alquanto limitata. Uno dei settori di intervento è appunto la misura dei campi magnetici delle macchie solari, oggi effettuato dai grandi Osservatori basati a terra e dalle strumentazioni satellitari. In ogni caso, attività del genere vanno oltre le usuali motivazioni dell’amatore e richiedono un impegno, un livello di conoscenza tecnica ed un coinvolgimento ben superiore a quello medio. Un altro settore potrebbe essere il monitoraggio A destra. La Torre Solare dell'Osservatorio Astronomico di Roma a Monte Mario, incastonata nel verde del parco. Crediti: INAF

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tempo telescopio è prezioso (e costoso) e la possibilità di scoprire qualcosa è bassa. In questo settore la misura più facile da effettuare amatorialmente è la larghezza equivalente (EW) delle righe in emissione, che si può ottenere anche con un semplice reticolo a trasmissione posto nel fascio convergente del telescopio – che può essere anche uno dei diffusissimi SchmidtCassegrain da 20 cm a f/10 per magnitudini intorno alla +9-10. Possibili monitoraggi: stelle variabili, stelle di tipo BE, stelle di tipo Wolf Rayet e stelle binarie.


della riga (Ca II K), indice dell’attività solare, attualmente effettuato dall’NSO di Tucson, in Arizona, ma anche qui la strumentazione e le procedure di acquisizione ed estrazione dei dati sono complesse.

spettroeliografia digitale, dato che in Italia e in genere in Europa, gran parte delle torri solari adibite in passato anche a tale attività è attualmente dismessa, e tradurre righe spettrali in immagini è un’attività stimolante e di grande fascino.

Un campo di intervento a mio avviso utile, e alla portata di amatori evoluti e dotati di strumentazioni adeguate, è quello della

Riflessioni e Conclusione Nelle pagine di questo articolo ho inteso fornire una panoramica generale di quella che, ormai da oltre vent’anni, è stata ed è la mia grande passione di astrofilo: la spettroscopia astronomica. Naturalmente il riassunto è stato notevole e la compressione di una materia di così grande importanza ed estensione elevata, ma il fine di dare un’informazione di massima anche a chi non ha mai avuto modo di approcciarsi a questo settore e di far venire la voglia di approfondirlo, spero sia stato raggiunto. Molti potrebbero interrogarsi sui motivi per farsi coinvolgere sempre più intensamente in questa branca dell’astrofisica, a prima vista ostica, navigando tra righe e righine che somigliano molto ai codici a barre dei prodotti dei supermercati dove siamo soliti fare la spesa. In effetti qualcuno mi ha chiesto: “ma che ci trovi di tanto interessante?”.

quanto bella e appagante possa essere, per cercare di capire, di sperimentare e percorrere nuove strade. In ogni caso la passione per la spettroscopia non solo non esclude quella per l’imaging, ma ne costituisce un valido complemento, direi un necessario completamento. Appassionato di astronomia dall’età di otto anni, il mio primo approccio alla spettroscopia, come spesso capita, è stato casuale ed ebbe inizio alla fine del 1997, quando un amico astrofilo mi regalò un reticolo di diffrazione da 600 l/mm piuttosto rovinato, che riteneva non utilizzabile. Allora per me la spettroscopia era qualcosa di lontano, complesso e inavvicinabile, e tuttavia, la curiosità ebbe il sopravvento e cominciai ad armeggiare con lenti, lentine e il reticolo in questione, cercando di costruirmi uno spettroscopio. Ovviamente attingevo i riferimenti non da internet, come oggi è possibile con un semplice click di mouse, ma dalle pochissime riviste cartacee che trattavano la spettroscopia astronomica.

La risposta è immediata, ma non semplice: come i codici a barre individuano in modo univoco un prodotto, la scadenza e il suo prezzo, così le righe dello spettro danno un nome e ci fanno conoscere I componenti dello strumento erano di rigorosa le caratteristiche degli oggetti che amiamo tanto provenienza… idraulica, ovvero tubi e tubetti in osservare e riprendere. PVC, il tutto su una montatura tipo Dobson in legno. Un accrocchio del genere oggi mi farebbe Ma ci sono anche altre motivazioni: la curiosità, il sorridere, ma allora era per me il non plus ultra senso della sfida e, diciamolo pure, l’intento di della tecnologia, anche perché, applicandovi una superare il momento della mera osservazione, per telecamerina analogica Vixen riuscii a riprendere www.coelum.com

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buona parte dello spettro solare con le sue numerose righe. Non solo, ma una nota rivista del settore pubblicò un articolo su questa mia prima realizzazione spettroscopica. Il ghiaccio era rotto, e da allora la ricerca di libri e componenti per la spettroscopia divenne sempre più intensa e affannosa e, dopo qualche anno, passai dal solare al cielo profondo, ottenendo i primi spettri stellari, e incontrando le prime difficoltà nell'estrazione dei profili e nella calibrazione. Ma le difficoltà non solo non mi fermarono, ma ebbero l’effetto di intensificare ancora di più il mio attivismo nella materia, che si sviluppò sia nella parte teorica che in quella pratica. Fu un crescendo di progettazione e costruzione di strumenti per la spettroscopia, stavolta attingendo anche alle risorse del web, diventato nel frattempo molto più denso di notizie anche in tale settore sino ad allora misconosciuto dagli astrofili del nostro paese. Nonostante il mio successivo coinvolgimento sempre più serrato nella spettroscopia stellare, il mio primo amore restò tuttavia quella solare: la percezione e la visualizzazione degli splendidi e reali colori della natura mi affascinava e mi affascina tuttora, mentre le righe chiare e incise

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dello spettro solare sembravano parlare in modo evidente ed esplicito il linguaggio della natura, del suo infinitamente piccolo: la riga H-alfa dell’idrogeno sottende 1 Angstrom circa, vale a dire 1 decimilionesimo di mm, e vederla grande e ben definita sullo schermo del PC mi faceva, e mi fa tuttora, una notevole impressione. Per non parlare della spettroeliografia, che converte le righe dello spettro in immagini della nostra stella in quella data lunghezza d’onda. Tutto merito, ovviamente, dell’enorme quantità di luce della nostra stella, che permette di sfruttare a fondo le potenzialità anche dei telescopi di piccola apertura diffusi tra gli astrofili. La possibilità di osservare di giorno e gli elevati livelli di risoluzione spettrale (personalmente ho raggiunto R 100.000) costituiscono fattori attrattivi non secondari, mentre il cattivo seeing diurno e l’obbligo di usare spettroscopi a fenditura costituiscono, per contro, i maggiori fattori limitativi. La spettroscopia stellare e del cielo profondo rappresenta per me il mistero, la ricerca dei dati e delle connessioni, e anche le difficoltà di


interpretazione di righe sottili e indefinite data la scarsa luce in arrivo. Essa ha un fascino tutto suo, ma enorme: quello della scoperta dei segreti dell’Universo.

- incentivare ancora di più la mia motivazione per l’autocostruzione di strumenti per l’astronomia, e non solo spettroscopi: il terrazzino del mio appartamento a Roma è quindi divenuto una piccola officina meccanica con tutti gli attrezzi Il suo grosso fattore limitativo, per noi astrofili necessari, compreso un piccolo tornio per spettroscopisti, è dato dalla esigua quantità di hobbistica. Il lavoro è assicurato anche in luce che giunge sul piano focale, che ci permette periodi, come l’inizio del 2018, risoluzioni modeste. In spettroscopia stellare con meteorologicamente infausti per l’osservazione risoluzioni tra R 100 e 10.000, quindi bassa e diretta degli oggetti celesti. media risoluzione, sono senz’altro alla portata - Rendere più pressante l’esigenza di degli amatori, in rapporto ovviamente, a parità di approfondire le mie conoscenze nel campo non altri fattori, al tipo di spettroscopio e all’apertura solo della fisica, ma anche dell’informatica, della del telescopio. Dette risoluzioni sono tuttavia più matematica e della meccanica. che sufficienti per indagini e ricerche, come quelle In una parola mi ha arricchito, sul piano culturale specificate in precedenza. generale, su quello scientifico e perché no, anche su quello umano. La spettroscopia a bassa risoluzione in fascio Con questo breve richiamo di natura personale convergente, impossibile in campo solare, qui vorrei quindi esortare gli amici astrofili a tentare diviene una realtà che costituisce un potentissimo l’approccio al mondo della spettroscopia con elemento di attrazione, data la relativa facilità di costanza e tenacia senza lasciarsi fermare dalle acquisizione degli spettri stellari con un modesto inevitabili difficoltà iniziali, percorrendo la stessa setup, o addirittura con una semplice reflex strada che mi ha permesso, dopo anni di digitale col suo obiettivo. Il campo di indagine si coinvolgimento sempre più profondo, di estende inoltre molto di più di quello solare, data apprezzare la bellezza intrinseca, e non solo la grande quantità di oggetti osservabili. estetica, degli oggetti del cielo che da sempre Ma la spettroscopia ha avuto per me anche altri osserviamo, per parafrasare Kant, con l’animo effetti…collaterali: colmo di stupore e riverenza.

"CENNI DI SPETTROSCOPIA di Fulvio Mete prodotto in proprio, 2016 Formato A4, 377 pagine. PDF scaricabile gratuitamente QUI Un testo completo ed esaustivo, scritto da un amatore per astronomi amatori, sulla spettroscopia astronomica amatoriale. L’autore si è impegnato in questa non facile impresa non tanto per motivi economici (il testo infatti è scaricabile gratuitamente in formato pdf al link indicato nella scheda) ma per la volontà di allargare quanto più possibile la platea degli interessati a questa fondamentale branca dell’astronomia. Nel testo l’autore porta la propria esperienza pratica e teorica acquisita in vent’anni di lavoro sulla spettroscopia astronomica, descrivendola in modo chiaro e colloquiale, anche le formule necessarie sono corredate da esempi e alla portata di tutti. «Chi vorrà lasciare un feedback sulla pagina Facebook dedicata è benvenuto.Spero che la lettura vi sia utile e contribuisca ad arricchire il vostro bagaglio conoscitivo, così come , nel corso della stesura, ha arricchito il mio». Fulvio Mete Il testo è per uso personale e non è consentito in nessun caso cederlo a terzi, a titolo gratuito o a pagamento: eventuali eccezioni e casi particolari dovranno recare il consenso esplicito dell’autore. www.coelum.com

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PHOTOCOELUM NOTIZIARIO La Gallery di Immagini Astronomiche Di Autori Vari

Regione di Antares di Maurizio Cabibbo Regione di Antares ripresa con Takahashi FSQ106EDXIII f/3,6 e camera ccd Sbig STL11000 su montatura Losmandy G11. Autoguida Orion SSAG su Orion Short Tube 80/400. Elaborazione LRGB. Filtri Astronomik CLS CCD e Astronomik DeepSky RGB. Esposizioni 180:70:70:70. Software MxDL, PI 1.8 e PS CS5. Località Osservatorio Montarrenti – Sovicille – Siena. Immagine del 17 giugno 2018 alle 03:00.

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Le migliori immagini caricate dagli utenti in luglio e agosto. Carica le tue foto in PhotoCoelum!

Nebulose ed ammassi nel Sagittario di Alessandro Bares Cipolat La regione dominata dalla Laguna (M 8) e Trifida (M 20) nel Sagittario. Ripresa effettuata con due diverse camere, una Canon 60CdS per il colore (1 ora di posa totale a 800 ISO) ed un CCD QSI583 per l’H-Alfa (90 minuti totali di posa), obiettivo Samyang 135 mm aperto a f/3. Immagine del 12 luglio 2018 alle ore 00:15 da Aosta.

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Iris Nebula di Franco Sgueglia e Francesco Sferlazza Una bella immagine della Iris Nebula (NGC 7023) nel Cefeo realizzata dal parco astronomico del Brallo con una Camera Moravian 16200 su montatura equatoriale EQ8 e un telescopio rifrattore apocromatico TS100 con focale da 580 mm. L’immagine è stata realizzata componendo 26 pose da 10 minuti ciascuna per la luminanza e 6 pose da 10 minuti per ciascun canale RGB. Le pose sono state realizzate a cavallo di una lunazione, non tutte, quindi, con cielo buio. Elaborazione successiva con Pixinsight e Photoshop. Immagine finita il 10 luglio 2018.

Mosaico Via Lattea dalla Laguna alla Nord America di Giuseppe Columbo L’immagine rappresenta la conclusione di un progetto che prevedeva l’acquisizione di porzioni di Via Lattea con un obiettivo Canon a lunghezza focale fissa di 50mm montato su fotocamera Canon 100D con modifica Baader, il tutto su montatura equatoriale HEQ5 pro. L’immagine è dunque composta da 5 pannelli ciascuno. 30 pose da 180 secondi a 200 ISO più 10 dark. Il mosaico è stato assemblato tramite Photoshop.

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Il Signore degli Anelli e i gioielli del Sagittario di Alessio Beltrame Una rara occasione di includere nello stesso campo Saturno e le principali nebulose della costellazione del Sagittario (M 8 Laguna e M 20 Trifida). Immagine del 12 agosto 2018 alle ore 23:00 realizzata con un rifrattore apocromatico Takahashi FSQ85EDX da 80 mm di diametro e focale di 328 mm. Filtri utilizzati Astronomik Ha 6 nm, Astronomik DeepSky RGB.

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IC 1396: The Elephant’s Trunk Nebula di Filippo Nori Bellissima nebulosa della costellazione del Cefeo. La sua forma allungata ricorda la proboscide di un elefante. Ripresa effettuata in più notti. Immagine ripresa in HaRGB da cielo suburbano con una camera CCD e telescopio Rifrattore Skywatcher 80ED black diamond con focale di acquisizione 480 mm.

Congiunzione Luna e Marte sulla città di Carlo Rocchi La congiunzione tra la Luna e Marte (alla minima distanza dalla Terra) domina sulle luci cittadine. Immagine ripresa il 30 giugno 2018 dai Piani del Tivano (CO). Ripresa effettuata con reflex Canon 600D e obiettivo Canon 50 mm a f/3,5. Composizione di tre scatti: Luna: 1/500 s a 200 ISO; Marte: 0,6 s a 400 ISO e Sfondo: 1/5 s a 800 ISO.

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"Geological Window" di Cristian Fattinnanzi Quest’immagine, scattata presso Pieia, in provincia di Pesaro e Urbino alle pendici del monte Nerone a 650 metri di quota fa pensare ad una finestra sul tempo, che parte dalle caverne che ci circondavano fino ad arrivare alle esplorazioni spaziali che il progresso permette nell'epoca in cui viviamo. In mezzo c'è lui, l'arco: uno Stargate naturale che separa o unisce nello stesso momento epoche storiche distanti milioni di anni e che gli uomini possono apprezzare solo per un piccolo istante. www.coelum.com

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Eclisse Totale di Luna del 27 Luglio 2018 Eclisse HDR di Cristian Fattinnanzi Si tratta di un HDR "estremo", realizzato con 13 pose con tempi dai 20" a 3.200 ISO fino ad 1/25" a 200 ISO, per una differenza di luminosità di ben 8.000 volte! Il risultato non è proprio quello che mi aspettavo, nonostante l'impegno durante l'elaborazione. Ho voluto mostrare la Luna in fase parziale che fluttua su un tappeto di stelle… Avrei voluto realizzarlo durante la totalità, ma le nuvole non sono state sufficientemente collaborative… Rifrattore APO FS102 F8 con riduttore F6 su Vixen GP, Canon 5d3.

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Uscita dal cono d’ombra di Andrea Alessandrini Fase finale dell’eclisse in cui è visibile l’alone blu dovuto alla dispersione provocata dallo strato di ozono presente nell’alta atmosfera. Immagine del 27 luglio alle ore 22:30 con una camera reflex digitale e un telescopio Celestron SC da 5’’ e focale di acquisizione 1.250 mm.

Eclisse totale di Luna di Alessandro Carrozzi Fasi finali della totalità dell’eclisse di Luna del 27 luglio 2018 alle 22:50. Media di 4 scatti da 4 s a 1.600 ISO. Immagine acquisita con una camera reflex digitale Canon EOS 6D e un telescopio SkyWatcher Newton 200/1000mm.

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Eclisse Totale di Luna del 27 Luglio 2018

"Together" di Cristian Fattinnanzi Normalmente si afferma che la Luna impedisca di osservare la nostra Galassia, ma un'eclisse rende tutto possibile! Durante la totalità si potevano osservare la Via Lattea, la Luna e ben 3 pianeti del Sistema Solare, tutti insieme. Ed insieme alla mia famiglia durante l’eclisse siamo andati a cercare questo scatto: senza la loro presenza non sarebbe stato nemmeno immaginabile. Canon 6d Baader, Sigma 14.-24 2,8. Media di 4 esposizioni (2 seguite con Minitrack LX per il cielo e due per il terreno) da 4 minuti ad 800 iso F2,8. Località "Statte" (MC - Italy).

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Eclisse Totale di Luna del 27 Luglio 2018

Eclisse totale di Luna di Antonio Magni La più lunga eclisse totale di Luna del secolo! Ripresa da casa e nonostante le previsioni indicassero temporali (a nord c’erano lampi e tuoni) l’evento è stato seguito interamente senza una nuvola. L’immagine è composta di 64 foto da 2 s a 3.200 ISO intervallate da 3 min e 30 s con diaframma a f/9. Fotocamera Canon 1100d su telescopio Newton Skywatcher 200/1000 e montatura equatoriale NEq6 pro.

Eclisse totale di Luna: sequenza di uscita di Alfonso Giglione Viste le condizioni meteo ottimali mi sono dedicato anche alla ripresa della sequenza di uscita della Luna dal cono d’ombra. Immagine realizzata con una reflex digitale e un telescopio Rifrattore Skywatcher 80ED Pro con focale di 500 mm. Filtri utilizzati: IDAS LPS-D1 clip eos.

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Eclisse totale di Luna di Mauro Muscas Sequenza di 22 immagini montate con il software Startrails. La prima foto è stata scattata alle ore 21:10, l’ultima, quasi prossima alla totalità, alle ore 22:04. Canon EOS 7D, con teleobiettivo SIGMA 18-300, focale di acquisizione 80 mm, a ISO 1.600. Tempi di esposizione che variano da 1/10 s per la prima immagine a 5 s per l’ultima, apertura diaframma f/6,3 per la prima immagine e f/5,6 per l’ultima. Piccola elaborazione con Photoshop.

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Eclisse Totale di Luna del 27 Luglio 2018

L'Eclisse di Luna e Marte in Opposizione di Giorgia Hofer La magia dell'eclissi di Luna in congiunzione con Marte in opposizione... una raritĂ ripresa da un posto straordinario, i laghi d'Olbe a Sappada. Passione pura...

Sequenza Eclisse Totale di Luna di Michele Girardi Straordinaria serata in compagnia di alcuni amici astrofili e di tantissimi curiosi, che hanno praticamente invaso la cima del monte Pizzoc. Immagine acquisita con una reflex digitale e telescopio Riflettore Newton Vixen R200ss con diametro 203 mm e focale di 780 mm.

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Congiunzione Luna-Marte durante l’eclisse di Andrea Rapposelli Singolo scatto con Reflex Pentax K5 su cavalletto fotografico. Teleobiettivo Pentax 135mm f/3,5 a tutta apertura. 1.600 ISO. Posa di 2 s.

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Marte in Opposizione Marte di Alessandro Carovana Marte ripreso due giorni dopo l’opposizione, il 29 luglio 2018 alle 01:20 con telescopio Meade 10" ACF con diametro 250 mm e focale di 6.000 mm, CCD QHY5 L II Mono e filtri IR, RGB.

Marte il 31 luglio di Alessandro Bianconi Ripresa delle ore 22.30 TU quando il pianeta si trovava ad una elevazione di 24°. Telescopio Celestron C14HD edge e camera ASI178M cooled, filtri RGB Astrodon filter e IR675

Marte il 6 agosto di Damian Peach Una bella ripresa di Marte, effettuata alle ore 6:27 UTC, durante una notte di buon seeing, dal Cile. Si notano chiaramente Solis Lacus, Aurorae Sinus e le zone dei dintorni. Sono presenti anche alcune nubi sulla Valles Marineris. I vulcani Tharsis sono sulla sinissta e appaiono come macchie più scure.

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Tutta l’opposizione di Marte di Francesco Badalotti Una curiosa elaborazione che comprende le riprese del Pianeta Rosso effettuate nel periodo della Grande Opposizione. L’autore ha composto in un’unica immagine tutte le riprese da lui effettuate in un periodo che va complessivamente dal 10 giugno al 7 agosto. Ne riportiamo qui solo una parte, quella del periodo dell’opposizione. l’osservazione e l’acquisizione di immagini delle note strutture superficiali è stata resa problematica a causa di una tempesta di sabbia estesa a gran parte del pianeta e protrattasi per oltre due mesi, anche se ora sembra molto meno intensa. In ogni caso, a prescindere dalla modestia del risultato finale, si è trattato di un interessante fenomeno atmosferico marziano. Per i dettagli "fini" l’appuntamento col Pianeta Rosso è per la prossima Opposizione. Telescopio Mak Rumak 255mm f20 + Barlow 2x + camere DBK41 o ZWO ASI 224mc con filtri TS IR Blocking o Baader IR Pass 685nm. Acquisizione con ASICAP o SharpCap, elaborazione video Autostakkert, elaborazione immagini MaxIm, Photoshop, Piccure, Iris. www.coelum.com

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Marte in Opposizione

Marte al perielio di Tommaso Stella Marte ripreso il 1 agosto 2018 alle 1:24. La tempesta comincia ad avere effetti minori sulla visibilità dei dettagli ma anche questa volta, per ottenerli, ho dovuto fotografare nell’infrarosso oltre gli 830nm. Immagine realizzata con camera CCD e telescopio Newton GSO con diametro 250 mm e focale di acquisizione 4.000. Filtri: Baader L + IR Pass Lolli 830 nm.

Marte di Marco Lorenzi Immagini di Marte realizzate con telescopio Celestron C14 XLT e camera CCD ASI224MC.

Marte il 10 giugno. Focale di acquisizione di 8.900 mm.

Marte il 20 luglio a pochi giorni dall’opposione in RGB e con filtro IR da 850 nm. La tempesta che ha compromesso la visibilità della superficie inizia ad affievolirsi e qualche dettaglio è visibile, soprattutto usando filtri in IR. Focale di acquisizione di 8.900 mm.

Marte il 5 agosto. Le polveri iniziano a calare e finalmente qualche dettaglio ad emergere. Filtri utilizzati: IR850. Focale di acquisizione 9.000 mm.

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Marte di Pietro De Gregorio Immagini realizzate con telescopio Schmidt-Cassegrain Celestron C9.25 e camera CCD.

Marte il 30 luglio alle 00:14. Immagine ricavata dalla quadricromia IR-RGB usando il filtro IR807 per luminanza. Come si vede dall’immagine, la tempesta è ancora in atto sulla superficie del Pianeta Rosso. Focale di acquisizione di 7.800 mm.

Marte l’11 agosto alle 00:51. Si nota la Grande Sirte ripresa con buon seeing: la tempesta di polvere in questa zona della superficie marziana sembra si stia placando anche se le migliori immagini si ottengono con il filtro infrarosso. Focale di acquisizione di 7.200 mm.

Marte di Yuri Puzzoli Immagine del 12 agosto 2018 alle ore 00:20 realizzata con una camera CCD e telescopio Schmidt-Cassegrain Celestron C11 e focale di acquisizione di 6.000 mm.

Marte in Opposizione di Giuseppe Conzo La grande opposizione di Marte: immagine realizzata il 1 agosto 2018 alle ore 23:45 da Amedeo Lulli, Chiara Tronci e Giuseppe Conzo del Gruppo Astrofili Palidoro. Ripresa effettuata con una camera CCD e telescopio Schmidt-Cassegrain Celestron C6 con diametro di 150 mm e focale di acquisizione 2.000 mm. Filtri utilizzati IR-Cut.

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Le Meraviglie del Cosmo

Un'apparizione spettrale in Cefeo di Barbara Bubbi - Universo Astronomia

Questa misteriosa apparizione nelle profondità dello spazio è un oscuro addensamento di gas e polveri interstellari in cui risplende la luce di giovani stelle annidate nel fitto manto di materiale interstellare. La suggestiva immagine immortala un globulo di Bok, Barnard 175, sulla cui sommità si nota la fioca nebulosa a riflessione bluastra, VdB 152. Il complesso si estende per circa 7 anni luce e si trova a 1.400 anni luce di distanza dalla Terra, nei fertili campi stellari della Costellazione di Cefeo, una regione ricca di nubi oscure. Nello spazio interstellare gli addensamenti di polveri rivestono una particolare importanza poiché costituiscono la culla per le nuove stelle. I globuli di Bok, densi e opachi accumuli in cui le polveri e i gas sono altamente concentrati, prendono il nome dall’astronomo Bart Bok, che ipotizzò la loro esistenza negli anni ‘40. I globuli possono aggregarsi e accumulare materiali dalla zona circostante, raggiungendo in alcuni casi una massa tale da far nascere nuove stelle.

solo per caso, dal momento che la velocità del suo moto nello spazio è molto differente da quella della nube. Annidato nella parte superiore destra del globulo spettrale, è visibile l’oggetto di Herbig-Haro HH 450, un getto emesso da una stella neonata. Molte stelle “bambine” sono circondate da dischi di gas e polveri che si formano quando viene attratto gravitazionalmente il materiale che compone la nube circostante, materiale che precipita gradualmente verso la stella, accrescendo la sua massa. Parte del gas, tuttavia, viene espulsa perpendicolarmente al disco e forma due getti in opposte direzioni che colpiscono il materiale interstellare producendo violente onde d’urto in grado di riscaldare il gas e renderlo brillante. Questi sono i tratti distintivi degli oggetti Herbig-Haro, interessantissimi per gli astronomi che studiano la nascita delle stelle.

La strepitosa e ricca immagine ci permette anche di ammirare un sottile filamento rossastro in alto a destra: è un vasto resto di La polvere interstellare che compone Barnard supernova, SNR 110.3+11.3, che si avvicina a 175 blocca gran parte della luce stellare di vdB 152 e in futuro potrebbe collidere con la fondo, mentre riflette la luce di una stella misteriosa nube. bianco-azzurra avvolta nelle polveri, donando a parte della nube un delicato colore bluastro. La radiazione ultravioletta della stella genera inoltre una tenebrosa luminescenza rossastra. Anche se le stelle nascono in nubi molecolari Crediti: T.A. Rector (University of Alaska come questa, gli astronomi ipotizzano che Anchorage) and H. Schweiker (WIYN and NOAO/AURA/NSF) questa stella massiccia si trovi nella regione

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UNO SCATTO AL MESE di Giorgia Hofer

Riprendiamo la Via Lattea con l'inseguitore Siamo verso la fine dell’estate, ma ancora possiamo inseguire (letteralmente) il soggetto principale da riprendere per gli amanti della fotografia notturna di paesaggio: il nucleo della Via Lattea. Questa volta però con l’utilizzo di uno strumento utilissimo: l’astroinseguitore. La regione centrale della nostra galassia si trova

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nella direzione della costellazione del Sagittario. Siamo ancora in una stagione che ci permette passare le nottate all’aria aperta, le ore di buio sono aumentate, le temperature sono ancora gradevoli e si può tranquillamente raggiungere una postazione interessante, anche dopo aver finto di lavorare. Purtroppo, per le latitudini più


elevate come quelle da dove riprendo personalmente, la zona del nucleo galattico è prossima all’orizzonte. Gli abitanti del Sud Italia sono più fortunati per due motivi: non avendo degli ostacoli naturali come le alte montagne di 3.000 m (tipiche delle mie zone), che possono arrivare a coprire anche 5-10 gradi di visibilità e si trovano a una latitudine inferiore, da cui possono godere di una vista del nucleo galattico più alta e più estesa. Il vantaggio di averlo basso sull’orizzonte, però, è che questo aspetto facilita notevolmente la ripresa della Via Lattea assieme a un soggetto terrestre. quindi possiamo dire che non tutto il male vien per nuocere... In ogni caso, per riuscire a riprendere nel modo più soddisfacente il nostro soggetto astronomico, abbiamo necessariamente bisogno di rispettare alcuni parametri: - dovremo raggiungere un luogo pressoché privo di inquinamento luminoso; - scattare in serate senza Luna; - attendere due ore dopo il tramonto del Sole e scattare entro due ore prima dell’alba.

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Solo in questo modo riusciremo ad avere dei risultati soddisfacenti e il nucleo della Via Lattea si imprimerà sul sensore della nostra reflex in tutto il suo splendore.

Leggi anche:

Il cielo stellato delle Dolomiti

Riprendiamo la Via Lattea parte 1: il Nucleo parte 2: l'Arco Riprendiamo la Via Lattea e il Triangolo Estivo www.coelum.com

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L’attrezzatura minima da avere per questo tipo di fotografie è: una reflex con tempi di esposizione di almeno 30 secondi, che sopporti bene gli ISO alti; un obiettivo grandangolare, che abbia almeno una lunghezza focale di 18 mm; un treppiede stabile; un telecomando per lo scatto in remoto e, naturalmente, l’astroinseguitore. Ci sono tanti inseguitori in commercio oggigiorno, dai più semplici (talvolta solo meccanici) ai più complessi e completi, spesso dotati di funzioni elettroniche aggiuntive (come il timelapse)... Io ho preferito un apparecchio compatto, facile da utilizzare e leggero da trasportare. In genere, l’allineamento dell’astroinseguitore è semplicissimo e avviene in pochi minuti: è sufficiente allinearlo al polo celeste e quindi bloccare la testina in questa posizione. Dopo di che si potrà accendere l'astroinseguitore e questo inseguirà automaticamente le stelle, i pianeti, la Luna, il Sole e sarà possibile quindi riprendere meravigliosi panorami stellari e riprese a grande campo.

chilometri da casa mia, nel Comune di Auronzo Cadore. Questo luogo può vantare uno dei cieli più Per la buona riuscita di queste riprese è necessario bui di tutto il triveneto, perché è abbastanza disporre di un cielo molto pulito e privo di distante dai paesi del centro Cadore, di per sé già inquinamento luminoso, cosa che si può trovare poco inquinati. Lo scatto che vi presento questo allontanandosi dai centri cittadini, spostandosi in mese è stato fatto proprio da questo luogo magico. aperta campagna oppure su delle alture. Ci sono tante zone interessanti sulle Dolomiti per Una sera in cui non avrei mai detto che sarei riprendere la nostra galassia, la mia preferita è la riuscita a riprendere la Via Lattea (perché il mio zona delle Tre Cime di Lavaredo: si trova a pochi paese era immerso nella nebbia) ho voluto

Il file raw Per la fotografia notturna è molto importante non scattare esclusivamente in formato JPG, perché avendo la caratteristica di ottimizzare lo spazio occupato dal file immagine, pur mantenendo una buona qualità non conserva tutte le informazioni che la fotocamera registra al momento dello scatto. Esso viene compresso ed elaborato dalla reflex immediatamente, facendo perdere buona parte del segnale acquisito. Il file RAW invece è un file grezzo, molto più pesante del JPG – in genere

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sono 25 MB contro 8 MB – e contiene molte più informazioni. Una volta elaborato con i programmi adatti, Adobe Photoshop è uno dei tanti, in fase di post-produzione possiamo agire liberamente sul bilanciamento del bianco e su tanti altri parametri. Per chi non possiede Photoshop, le case madri delle fotocamere forniscono sempre un software per sviluppare i propri file RAW, fornito assieme alla fotocamera al momento dell’acquisto o scaricandolo dal sito web della casa madre.


raggiungere comunque i 2.400 metri di quota del rifugio Locatelli. Bene... inutile dire che mi sono trovata davanti uno spettacolo mozzafiato! La luminosità della Via Lattea era incredibile, si stagliava nel cielo in un modo impetuoso. Il consiglio che posso dare, quindi, è di non seguire sempre alla lettera le previsioni meteorologiche perché alcune volte si sbagliano, soprattutto quando si tratta di raggiungere determinate altitudini. In paese può esserci nebbia, o una cappa di nuvole basse, ma raggiungendo una certa quota queste si diradano, lasciando spazio a un cielo limpido e pieno di stelle. Dopo aver trovato il posto migliore per poter

fotografare la Via Lattea – un posto che mi permettesse di includere nella mia inquadratura le fantastiche Tre Cime e il Paterno, alcune tra le più belle montagne delle Dolomiti – ho iniziato a fare le mie prove. Innanzitutto, dopo aver montato la reflex sull’inseguitore, ho impostato la macchina fotografica in modalità manuale, in modo da avere la possibilità di scegliere i settaggi migliori. Una cosa importantissima per le fotografie notturne, è l’utilizzo del file RAW (al posto del comune Jpeg), impostazione che si trova ormai su tutte le reflex oggi in commercio.

Ora scattiamo Per questo tipo di immagini consiglio di utilizzare l’obiettivo grandangolare più esteso che si possiede: io ho sfruttato il mio 11 mm, apertura 2,8, che su formato APS-C diventa un 16 mm effettivo. Importantissimo è poi l’utilizzo del telecomando per lo scatto remoto, in modo da

evitare il micro-mosso dovuto alla pressione del tasto di scatto. Ho cercato di inquadrare e posizionare la Via Lattea al centro del fotogramma, in modo che il soggetto principale fosse proprio il nucleo della nostra galassia.

La posa per il paesaggio ripresa all’imbrunire, posa di 20 secondi, ISO 600, f/2,8. www.coelum.com

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Sopra. La Via Lattea inseguita, Si nota bene come, con l’inseguitore, sia ovviamente il paesaggio a muoversi e non le stelle. Posa di 180 secondi, ISO 1600, f/2,8.

Con una semplice posa di 120 secondi il gioco è fatto. Utilizzando valori di sensibilità ISO abbastanza alti, in questo caso 1.600, e l’apertura massima che consente l'obiettivo, il risultato è stato incredibile: il nucleo della Via Lattea è ben evidente e riempie perfettamente il fotogramma. L’immagine regala, a chi osserva, l’impressione di essere uno spettatore della scena, e l’emozione che si prova, rendendosi conto che non è poi così difficile riuscire a catturare la luce proveniente dalla nostra galassia, è fantastica. Un tempo con la pellicola era molto più difficile, ma la sensibilità dei sensori moderni permette davvero di ottenere dei risultati incredibili. Utilizzando l’inseguitore però ci accorgiamo di una cosa: se, grazie al moto di inseguimento, otteniamo delle bellissime stelle puntiformi, sarà il paesaggio “a muoversi”, apparendo di conseguenza mosso e poco definito. Possiamo facilmente aggirare questo ostacolo sfruttando la tecnica della doppia esposizione, ossia effettuare una posa lunga a inseguitore spento per il paesaggio, oppure se ci troviamo nel luogo della ripresa all’imbrunire, possiamo eseguire lo scatto del paesaggio quando ancora non è del tutto buio. Basterà poi non spostare la macchina fotografica e aspettare il momento in cui la via Lattea sarà nella posizione che desideriamo. Avremmo un lavoro di post produzione

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da fare in più una volta a casa, ma il risultato sarà strabiliante.

Da quando Galileo, nel 1610, puntò il proprio cannocchiale verso di essa, siamo consapevoli che è formata da una miriade di stelle, quasi La Via Lattea regala sempre e comunque emozioni impossibili da contare. Ma nonostante ciò, il suo uniche, tutti i popoli della terra ne sono sempre fascino non ha perso valore e anzi, se proprio rimasti affascinati, creandole tutt’intorno una vogliamo ne ha acquistato. Oggi abbiamo la miriade di leggende straordinarie, che spesso fortuna di poter viaggiare, spostarci sul globo potete trovare tra le pagine della rubrica di terrestre e, grazie alla tecnologia, portaci tutti a Stefano Schirinzi. Gli Egizi la consideravano come casa un pezzettino di cielo, da contemplare ogni una controparte celeste del Nilo: un fiume chiaro volta che ne abbiamo voglia. che attraversava il cielo notturno esattamente come il Nilo attraversava le loro terre. I Babilonesi invece credevano che la Via Lattea fosse ottenuta dalla metamorfosi della coda della dea-drago Sotto. La somma dei due scatti, il risultato è Tiāmat, dopo che questa venne catturata dal dio stupefacente. Marduk.

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IL CIELO DI SETTEMBRE di Redazione Coelum Astronomia.

Verso le 23:00 del 15 settembre, potremo vedere ancora molto alto in cielo l’asterismo del “Triangolo Estivo”, formato dalle stelle Altair, (mag. +0,75), Deneb (mag. +1,25) e Vega (mag. 0) delle costellazioni di Aquila, Cigno e Lira rispettivamente, anche se ormai le costellazioni estive di maggiore declinazione cominceranno a cedere il passo a quelle tipiche del periodo autunnale, Andromeda e Pegaso per primi. Guardando verso occidente, saranno ancora visibili, declinanti e prossime al tramonto, le estese costellazioni della tarda primavera: il Boote con la brillante Arturo (mag. +0,15), Ofiuco, Ercole e il Serpente, mentre verso sudovest starà già tramontando il Sagittario portando con sé Saturno, seguito dal Capricorno, a sud, con Marte, ancora brillante dopo la grande opposizione del luglio scorso. Con il passare del tempo il cielo muterà completamente aspetto: prima della mezzanotte saranno già visibili le Pleiadi (M 45) sull’orizzonte nordest e nella seconda parte della notte si potrà godere della presenza contemporanea della nebulosa M 42 in Orione e della Nebulosa Velo nel Cigno. In mezzo, solo spazi silenti e rarefatti, ma anche imponenti visioni, come quelle della grande galassia M 31 in Andromeda e del Doppio Ammasso nel Perseo.

IL SOLE L’evento più importante del mese per la nostra stella sarà ovviamente il passaggio al nodo discendente sull’equatore celeste il giorno 23, quando in pratica il Sole avrà declinazione pari a zero e si verificherà l’Equinozio d’Autunno, ovvero l’istante in cui inizia l’autunno astronomico (la primavera per l’emisfero Sud). Il punto d’intersezione tra l’eclittica, nel suo ramo discendente (il percorso apparente del Sole sulla volta

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Aspetto del cielo per una località posta a Lat. 42°N - Long. 12°E La cartina mostra l’aspetto del cielo alle ore (TMEC): 1 Set > 23:00 15 Set > 22:00 30 Set > 21:00


Le effemeridi complete sono disponibili cliccando qui oppure cliccando sui nomi dei pianeti alle pagine successive.

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celeste), e l’equatore celeste prende anche il nome di punto omega, o “Primo punto della Bilancia” (così chiamato perché un tempo si proiettava in quella costellazione, mentre ora – a causa dei moti di precessione – si trova nella regione occidentale della Vergine, tra le stelle eta e beta Virginis). Per quanto possa sembrare strano, la data “classica” del 21 settembre è proprio quella in cui l’equinozio d’autunno non si verifica mai (con due piccolissime eccezioni nel 2092 e 2096, calcolando però l’orario in Tempo Universale). Per il resto, le date canoniche dell’equinozio autunnale sono quelle del 22 e 23 settembre, anche se può sporadicamente accadere che l’autunno inizi addirittura il 24 settembre! L’ultima volta è successo da noi nel 1935 (equinozio alle 0:30 del 24), e per la prossima bisognerà aspettare addirittura il 2303. Contrariamente a quanto si potrebbe supporre, la data dell’equinozio non è quella in cui le ore di luce e di buio sono equamente divise… Per questioni principalmente legate alla rifrazione atmosferica – che all’alba anticipa il sorgere del

Sole e al tramonto lo ritarda – alle nostre latitudini la parità (detta “equilux”) viene infatti raggiunta solo due o tre giorni dopo l’equinozio di autunno (e prima di quello di primavera): quest’anno cade il 25 settembre. La durata della notte astronomica salirà mediamente a quasi 8,5 ore (7,6 ore a inizio mese, 9 ore alla fine). In sostanza, dopo le ore 21:00 il Sole sarà già sceso a –18° sotto l’orizzonte, segnando la fine del crepuscolo astronomico e consentendo di compiere osservazioni deep-sky fino alle 5:00 del mattino.

PIANETI Di seguito vengono fornite alcune indicazioni sulle condizioni di osservabilità dei pianeti per settembre 2018.

Mercurio Mag. da –0,8 a –1; Diam. da 6,4" a 4,8" Osservabile all'alba nella prima metà del mese L'osservazione del primo pianeta del Sistema Solare in settembre sarà limitata alla prima metà del mese. Il 2 settembre raggiungerà il perielio e

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lo vedremo nel chiarore del crepuscolo mattutino, guardando a est, tra le stelle della costellazione del Leone. Il 18 settembre passerà nella costellazione della Vergine, ma a questo punto risulterà già praticamente invisibile, perso nella luce del mattino, diretto rapidamente verso la congiunzione eliaca superiore del 21 settembre, risultando totalmente invisibile per il resto del mese.


Sotto. Il grafico mostra l’aspetto dei pianeti durante il mese, con indicati i relativi diametri angolari e, per quelli interni, anche la fase. Il diametro di Saturno è riferito all’intero sistema (anelli inclusi).

Venere

Marte

Mag. da –4,6 a –4,8; Diam. da 29,1" a 45,4"; Fase da 40,4% a 18,2% Osservabile tutto il mese, al tramonto Settembre è un mese di deciso peggioramento delle condizioni di osservabilità di Venere. Il pianeta, che ci ha regalato un lungo periodo di ottima osservabilità serale, ora tramonta sempre prima, alle 21:11 a inizio mese, anticipando alle 19:38 a fine mese: una quarantina di minuti appena dopo il Sole. Il 5 settembre si troverà all'afelio, il punto più distante dalla nostra stella. Potremo comunque scorgerlo, molto luminoso (mag. –4,7) nel chiarore del tramonto, nella costellazione della Vergine e dedicarci all’osservazione delle sue fasi, come spiegato da Claudio Prà nel suo articolo su Coelum Astronomia 224.

Mag. da –2,1 a –1,3; Diam. da 20,9’’ a 16,0’’ Osservabile nella prima parte della notte Dopo il grande spettacolo offertoci la scorsa fine di luglio, il Pianeta Rosso si sta già allontanando rapidamente dalla Terra. Nonostante i valori ben più ridotti di diametro apparente e luminosità (rispettivamente di 18,4‘’ e mag. –1,7 a metà mese) rispetto al periodo della Grande Opposizione, però Marte è sempre in grado di focalizzare l’interesse degli osservatori e sarà un piacere continuare la sua osservazione e ripresa. Lo troveremo nel Capricorno, mentre si sposta, giorno per giorno, di moto diretto (iniziato lo scorso 28 agosto) in direzione della regione centrale della costellazione. Non sarà mai molto alto sull’orizzonte: a metà mese culmina alle 21:51 a un’altezza di 23,4°.

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Giove

Urano

Mag. da –1,9 a –1,8; Diam. da 34,8’’ 32,7’’ Osservabile nella prima parte della notte In settembre Giove risulterà una compagnia solo serale e lo potremo scorgere non appena il cielo sarà sufficientemente scuro, nella costellazione della Bilancia. Il grande pianeta è diretto verso la congiunzione con il Sole, ormai sempre più vicina, del prossimo novembre e, pertanto, le sue condizioni di osservabilità si stanno facendo rapidamente sempre più sfavorevoli. A inizio mese tramonterà alle 22:30 circa, orario che sarà anticipato alle 20:51 a fine mese: non avremo molto tempo per osservarlo e sarà comunque molto basso sull’orizzonte di sudovest.

Mag. +5,7; Diam. 3,7’’ Osservabile tutta la notte Il remoto pianeta, in settembre, si renderà disponibile alle osservazioni già nella prima serata, sorgendo alle 21:44 a inizio mese, orario anticipato alle 19:48 a fine mese. Il pianeta è molto tenue (mag. +5,9), ma le condizioni di osservabilità sono in netto miglioramento, con un diametro angolare apparente pari a 3,7": si sta avvicinando l’opposizione, per la quale però dovremo attendere la fine di ottobre. Per vedere Urano ci servirà un buon binocolo o, meglio, un telescopio: lo troveremo nella costellazione dei Pesci, a circa 4° a ovest di Omicron Piscium (mag. +4,25), nella regione di confine con l’Ariete e la Balena.

Saturno Mag. +0,4 a +0,5; Diam. da 39,4’’ a 37,6’’ Osservabile nella prima parte della notte In settembre potremo trovare Saturno ancora tra le bellissime stelle del Sagittario: il 6 settembre sarà stazionario, per riprendere poi il suo moto diretto. Con il passare dei giorni lo vedremo quindi ritornare sui suoi passi e riavvicinarsi alla stella Mu Sgr (mag. +3,8). Anche se sarà possibile osservare il grande pianeta per buona parte della notte, le sue condizioni di osservabilità sono in progressivo peggioramento. A metà mese, Saturno culmina alle ore 19:45, con il cielo ancora illuminato dal Sole, raggiungendo i 25,3° per tramontare poi alle 0:23, orario che viene anticipato di circa un’ora a fine mese. Il giorno 17 sarà in congiunzione con la Luna (fase 58,2%).

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Nettuno Mag. +7,8; Diam. 2,4’’ In opposizione, osservabile tutta la notte Servirà un buon telescopio per vedere Nettuno, che apparirà comunque come un debole disco azzurrino: la sua magnitudine è davvero ridotta (+7,8) e il diametro apparente toccherà il valore di appena 2,4’’. Nonostante i valori così scarsi, è un ottimo periodo per l’osservazione del remoto pianeta, che il giorno 8 settembre sarà in opposizione con il Sole. Lo troveremo nell’Acquario, a circa 3° a sudovest della stella Lambda della costellazione (mag. +3,7). A metà mese culminerà alle 00:43, a una altezza di poco più di 41° sull’orizzonte, per anticipare alle 23:38 a fine mese: troveremo quindi Nettuno sempre più alto già in prima serata, osservabile al meglio in orari comodi.


Asteroidi in settembre Per gli amanti dei "sassi volanti", settembre offrirà alcuni spunti piuttosto facili, se paragonati alle sfide dei mesi scorsi. Ben tre degli asteroidi che proponiamo, tra quelli in opposizione in settembre, raggiungeranno una magnitudine inferiore alla +10! Iniziamo subito il 2 settembre con (115) Thyra che, a una distanza di 1,124 UA dalla Terra, raggiungerà la magnitudine +9,9. Lo troveremo nella costellazione di Pegaso. L'asteroide, di circa 80 km di diametro, è così chiamato in onore della regina Thyra di Danimarca, ed è stato scoperto al Detroit Observatory dell'Università del Michigan (USA) il 6 agosto 1871 da James Craig Watson. Passiamo ora al 6 settembre quando sarà (27) Euterpe a raggiungere l'opposizione. L'asteroide, di circa 96 km di diametro, si troverà tra le stelle dell'Acquario e, con la sua distanza di circa 1,398 UA dalla Terra, avrà magnitudine pari a +9,8. Scoperto da John Russell Hind l'8 novembre 1853 con il telescopio dell'Osservatorio privato di George Bishop a Londra, venne battezzato in onore della musa della poesia lirica e della musica nella mitologia greca. Il 19 settembre toccherà a (30) Urania raggiungere l'opposizione e, del gruppo, è quello

che risulterà più luminoso: brillerà (si fa per dire) di magnitudine +9,6, ponendosi a una distanza di 1,113 UA dalla Terra. Lo potremo rintracciare nella costellazione dei Pesci. Si tratta di un asteroide di fascia principale, di 93 km di diametro, l'ultimo scoperto da John Russell Hind (il 22 luglio 1854) con il telescopio dell'Osservatorio privato di George Bishop. È stato battezzato in onore di Urania, la Musa greca dell'astronomia e della geometria. Concludiamo il mese, il 24 settembre, con l'opposizione di (10) Hygiea: è un grande asteroide della fascia principale, il quarto in ordine di grandezza, con un diametro medio superiore ai 400 km. Lo troveremo tra le stelle dei Pesci e la sua magnitudine all'opposizione (2,317 UA dalla Terra) sarà pari a +10,1. Nonostante la ragguardevole dimensione, come indica il numero di catalogo, è stato il decimo asteroide ad essere scoperto (a opera di Annibale De Gasparis il 12 aprile 1849, dall'Osservatorio di Capodimonte a Napoli) per via della sua superficie scura, composta di materiale carbonioso, che rende l'asteroide meno visibile di quanto le sue dimensioni

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FENOMENI E CONGIUNZIONI DI SETTEMBRE 1 e 2 settembre, ore 20:15: Congiunzione Venere e Spica Iniziamo settembre con un bell’incontro, da osservare per ben due sere consecutive, tra il brillante pianeta Venere (mag. –4,6) e la stella alfa della costellazione della Vergine, Spica (mag. +1,0). Dovremo guardare verso ovestsudovest e, non appena il cielo si sarà fatto sufficientemente scuro (anche se ancora rischiarato dalle luci del tramonto) potremo scorgere la coppia di astri, molto bassi sull’orizzonte (circa 9°). La distanza che li separa sarà di circa 1° e mezzo, con Venere posto a

sudovest della stella dal colore spiccatamente azzurrino. Sarà una bella occasione per scattare delle fotografie di paesaggio che comprendano questo incontro astrale, anche se non avremo molto tempo: Venere tramonterà infatti alle 21:08 circa. Per uno spunto in più: si può seguire nelle sere seguenti l'allontanamento di Venere da Spica, per creare un'immagine incastonata nel paesaggio come suggerito in "La danza dei pianeti" di Giorgia Hofer.

Hai compiuto un’osservazione? Condividi le tue esperienze e impressioni, mandaci i tuoi report osservativi o un breve commento sui fenomeni osservati: puoi scriverci a segreteria@coelum.com. Inoltre, se hai scattato qualche fotografia agli eventi segnalati, carica le tue foto in PhotoCoelum!

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LA NOTTE ASTRONOMICA DATA

Set

Ott

01 06 11 16 21 26 01

DURATA FINE NOTTE CREPUSCOLO ASTRONOMICA SERALE

21:24 21:14 21:04 20:55 20:45 20:36 20:27

07:34 07:51 08:08 08:23 08:39 08:54 09:09

INIZIO CREPUSCOLO MATTUTINO

04:58 05:05 05:12 05:18 05:24 05:30 05:36

I tempi, in TMEC, sono calcolati per una località a 12° Est e 42° Nord. Il crepuscolo astronomico inizia, o termina, nel momento in cui il Sole si trova 18° sotto l’orizzonte (vedi l’articolo all’indirizzo www.coelum.com/articoli/risorse/il-crepuscolo).

Il crepuscolo astronomico è definito come l’intervallo di tempo dopo il tramonto o prima del sorgere del Sole, in cui vi siano ancora in cielo delle tracce di luce. Il crepuscolo astronomico termina quando spariscono anche le ultime tracce di luce ed inizia la notte astronomicamente intesa, il che capita quando il Sole raggiunge i 18° sotto l’orizzonte. Come istante (all’alba o al tramonto) è definito dall’istante in cui il Sole ha l’altezza –18° sull’orizzonte. Come intervallo di tempo (all’alba o al tramonto) è definito dall’intervallo di tempo che il Sole impiega a passare da 0° a –18° sull’orizzonte.

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3 settembre 2018, ore 2:20: Congiunzione Luna e Aldebaran Alle prime ore del 3 settembre, volgendo il nostro sguardo verso est-nordest, potremo ammirare una stretta congiunzione tra la Luna (fase 51%) e la stella alfa del Toro, la bella Aldebaran (mag. +0,9). Il teatro dell’incontro è quello magnifico dell’ammasso aperto delle Iadi. Guardando più a nord, potremo scorgere anche le Pleiadi (M 45). Gli astri, all’ora indicata, saranno a un’altezza di

circa 26° e distanti solo 32’. Nell’immagine, all’orario indicato, mancheranno ancora un paio d’ore al momento del massimo avvicinamento ma gli astri saranno sorti da poco e sarà pertanto possibile fotografarli nel contesto del paesaggio naturale, ma anche in una immagine a campo stretto che evidenzi la vicinanza.

7 settembre 2018, ore 4:30: Congiunzione Luna e Presepe La mattina del 7 settembre, se avremo voglia di alzarci presto, guardando verso est-nordest, potremo ammirare una particolare congiunzione tra una sottile falce di Luna (fase 9%) che si avvicinerà ad appena 1°40’ dal centro dell’ammasso del Presepe (M 44, Beehive Cluster). Il luogo del rendez-vous è ovviamente quello

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della costellazione del Cancro, che ospita l’ammasso nel suo cuore. All’orario indicato, gli oggetti saranno ancora piuttosto bassi, circa 8°, ma basterà attendere qualche minuto perché guadagnino rapidamente altezza. Se desideriamo


includere alcuni elementi naturali o architettonici nei nostri scatti allora non dovremo attendere troppo! Da notare che nel periodo tra le 4:40 e le 5:30 circa si verificherà anche l’occultazione della stella Asellus Australis (Delta Cnc, mag.+3,9) da

parte della Luna e sarà quindi possibile seguire visualmente o fotograficamente anche questo interessante fenomeno (l’occultazione avviene dal lembo illuminato del nostro satellite naturale). Le occultazioni di nota le trovate ogni mese all’interno della guida giorno per giorno.

Osserviamo la Luna in luce cinerea In settembre, le giornate migliori per osservare e fotografare la Luna in luce cinerea saranno il 6 e il 7 settembre, appena prima dell’alba e il 13 e 14 del mese, quando si avrà la migliore visibilità subito dopo il tramonto. Il fenomeno è dovuto alla luce del Sole riflessa dalla Terra che illumina la parte in ombra della Luna. Per questo, la parte non illuminata della Luna apparirà tenuemente brillante divenendo così vagamente visibile. Per maggiori informazioni sul fenomeno e su come riprenderlo, leggi l’articolo di Giorgia Hofer su Coelum Astronomia 207.

Immagine di Mauro Muscas - PhotoCoelum

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8 settembre, ore 6:10: Congiunzione Luna, Mercurio e Regolo La mattina dell’8 settembre, guardando verso est, potremo scorgere, con un po’ di difficoltà, una sottilissima falce di Luna (fase del 3%) a circa 13° sull’orizzonte, mentre passa a 5,6° a nordovest della stella Regolo (alfa Leonis; mag. +1,4) e 9,2° a nordovest del pianeta Mercurio (mag. –1,2), posto ad appena 3° di altezza. L’osservazione e la

ripresa saranno alquanto difficili, non solo per via dell’esigua altezza degli oggetti sull’orizzonte (cosa che richiede un ottimo seeing e un orizzonte libero da ostacoli) ma anche per il chiarore del cielo, illuminato dal crepuscolo mattutino. Per chi desidera provare la ripresa, PhotoCoelum attende i vostri lavori!

12-14 settembre, ore 19:50: Ampia congiunzione Luna, Venere e Giove Nelle serate dal 12 al 14 settembre, alle ore 19:50 circa, guardando verso ovest-sudovest potremo ammirare una bella congiunzione ad ampio campo. La spettacolarità non sarà data dalla vicinanza dei soggetti coinvolti ma piuttosto dalla luminosità di questi e dalla particolare coreografia geometrica che creeranno nell’arco di pochi giorni. Stiamo parlando della Luna, di Venere (mag. –4,7) e di Giove (mag. –1,9). La sera del 12 settembre, i tre astri formano un bel triangolo, quasi isoscele, con Venere posto nella Vergine a 9°20’ a sudovest della Luna, e

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Giove, nella Bilancia, a 19°45’ a ovest-nordovest da essa, a formare il vertice del triangolo. La sera successiva, il giorno 13, la Luna (fase 19%) si troverà invece più vicina a Giove, a 7° circa a est di esso. Il 14 settembre la Luna (fase 28%) avrà ormai superato Giove, ponendosi a 7° e mezzo a nordovest di esso, formando un suggestivo allineamento con Giove e Venere.


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17 settembre, ore 20:00: Ampia congiunzione Luna e Saturno La sera del 17 settembre, volgendo lo sguardo verso sud, a 26° circa di altezza potremo osservare la Luna (fase 57%) ad appena 1°20’ circa (dal centro lunare) a nord-nordovest di Saturno (mag. +0,4). Il luogo dell’incontro è quello ricchissimo di gemme celesti della costellazione Sagittario, di cui sarà facile riconoscere la tipica

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figura a “teiera”. Potremo seguire la coppia per diverse ore, man mano che si dirigono verso il loro tramonto, che avverrà alle ore 0:12. Alle ore 23:00 Saturno sarà alto circa 10° sull’orizzonte sudovest, consentendo di scattare delle belle fotografie che comprendano elementi del paesaggio.


19 settembre, ore 23:00: Congiunzione Luna e Marte Il 19 settembre, alle ore 23:00, sarà la volta del pianeta Marte di ricevere la visita da parte della Luna (fase 76%). La congiunzione, non molto stretta (separazione di 5°43’), avverrà nella regione di confine tra le costellazioni del Capricorno e del Sagittario. Sarà facile individuare la coppia, posta a circa 23° di altezza sull’orizzonte sud-sudovest. Li potremo seguire

poi fino a circa le 2, osservando Marte “aggirare” la Luna per vederli tramontare assieme quasi perfettamente allineati all’orizzonte. Con uno sguardo più ampio, alla stessa ora, potremo osservare Saturno a sudovest ormai prossimo al tramonto.

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STAZIONE SPAZIALE A cura di Giuseppe Petricca

Dove e quando osservare la Stazione Spaziale La ISS – Stazione Spaziale Internazionale durante il mese di settembre sarà rintracciabile nei nostri cieli, per lo più a orari mattutini che diventeranno serali nell’ultima decade del mese. Avremo molti transiti notevoli con magnitudini elevate durante il primo mese d’autunno, auspicando come sempre in cieli sereni. Si inizierà il giorno 1 settembre, quando potremo vedere la ISS transitare dalle 05:48 verso ovestsudovest alle 05:57 verso nordest. Visibilità perfetta da tutta la nazione, con magnitudine di picco a –3,5. Osservabile senza problemi, meteo permettendo. Si replica il 2 settembre, dalle 04:59 alle 05:04, osservando da sudovest a est-nordest. La ISS sarà ben visibile, ancora una volta, da tutta Italia, con una magnitudine massima che si attesterà su un valore di –3,9, in uno dei migliori transiti del mese. Passiamo al giorno 4 settembre, dalle 04:51 in direzione nord-nordovest alle 04:57 in direzione nordest. Questo sarà un transito ottimale per tutto il Centro Nord, seppur parziale. La magnitudine massima sarà pari a –3,3. Saltando di circa dieci giorni, arriviamo al 14 settembre, quando la ISS transiterà nei nostri cieli dalle 05:46 alle 05:55, da nordovest a est-sudest, con una magnitudine massima di –3,0. Il transito sarà osservabile da tutto il paese. Il 16 settembre la Stazione Spaziale transiterà dalle 05:40 alle 05:47, da ovest-nordovest a sudest. Un transito ottimale per tutto il paese, con magnitudine massima a –3,9. Se osservata dal Centro transiterà nel mezzo della costellazione di Orione, sfiorando anche le Pleiadi nel Toro.

magnitudine massima sarà di –3,5. Se osservata dal Centro Italia, la ISS transiterà vicina al pianeta Saturno. L’ultimo transito notevole del mese si avrà il 24 settembre, osservabile da tutto il paese, dalle 20:06 alle 20:14, da ovest-sudovest a nordest. La ISS, con magnitudine massima a –3,7, transiterà vicina al pianeta Giove, al tramonto, se osservata dal Centro.

I TRANSITI DELLA ISS IN SETTEMBRE Giorno

22 01 02 04 14 16 22 24

Ora Direz. Ora inizio fine 21:45 05:48 04:59 04:51 05:46 05:40 20:15 20:06

OSO OSO SO NNO NO ONO SO OSO

21:55 05:57 05:04 04:57 05:55 05:47 20:21 20:14

Direz.

NE NE ENE NE ESE SE E NE

Mag. max –3,3 –3,5 –3,9 –3,3 –3,0 –3,9 –3,5 –3,7

N.B. Le direzioni visibili per ogni transito sono riferite a un punto centrato sulla penisola, nel Centro Italia, costa tirrenica. Considerate uno scarto ± 1-5 minuti dagli orari sopra scritti, a causa del grande anticipo con il quale sono stati calcolati. Si consiglia di controllare le corrette circostanze con l’uso dei software online, come http://transit-finder.com/ o https://www.calsky.com/cs.cgi/Satellites/4

DOVE SI TROVA LA ISS ORA? http://iss.astroviewer.net/

Live stream dalla ISS http://www.ustream.tv/channel/live-iss-stream

Alcuni giorni dopo, il 22 settembre, dalle 20:15 alle 20:21, da sudovest a est, avremo un transito apprezzabile da tutto il Centro Sud. La

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Clicca qui per ottenere una previsione di massima del passaggio dei satelliti più luminosi. È sufficiente impostare data, ora e luogo di osservazione.


COMETE di Claudio Pra

Incontri Deep-Sky per la 21P/Giacobini-Zinner Settembre, pur portandosi via l’estate, è solitamente uno dei mesi più favorevoli per osservare il cielo, presentando spesso giornate limpide e temperature ancora favorevoli. In questo contesto – che speriamo sia confermato anche in un anno come quello che stiamo vivendo, finora meteorologicamente pessimo per gran parte degli amanti della volta celeste italica – potremo goderci il discreto spettacolino messo in scena dalla cometa 21P/Giacobini-Zinner, che transiterà al perielio il giorno 10 di questo mese raggiungendo il suo picco luminoso stimabile in una più che discreta settima magnitudine. La sua

posizione cricumpolare rispetto l’emisfero nord, al contrario della maggiorparte delle comete che si perdono nella luce del Sole al perielio, ci permette di continuare a seguirla e osservarla nel momento in cui si mostra al massimo della sua attività, anche se l’orario in cui cercarla si sposterà man mano sempre più dalla tarda serata verso l’alba. La cometa, partendo dall’Auriga, terminerà la sua corsa nell’Unicorno, facendo delle brevi irruzioni anche in Orione e nei Gemelli. Farà anche molti interessanti incontri nel corso del suo cammino mensile, a cominciare dal giorno 10, quando la La mappa mostra il percorso della cometa 21P/Giacobini-Zinner nel periodo di settembre, con i suoi numerosi incontri deepsky lungo il suo cammino. Le condizioni del cielo sono quelle del 15 settembre alle ore 2:30 per una località media italiana.

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Una splendida immagine della cometa 21P/Giacobini-Zinner ripresa da Rolando Ligustri dal Nuovo Messico lo scorso 23 luglio.. Si nota la cometa transitare nella regione dominata dal complesso nebulare LBN527.

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troveremo a ridosso dell’ammasso aperto dell’Auriga M 37. Tra il 14 e il 15 sarà invece vicinissima a M 35, altro celebre ammasso aperto dei Gemelli. Purtroppo non potremo assistere al suo passaggio tra le stelle dell’ammasso che avverrà in orario diurno, ma potremo contare sulle immagini di chi la seguirà con telescopi in remoto, posti in posizioni più favorevoli. Il 24 settembre incontrerà poi un terzo ammasso aperto, NGC 2264, avvolto da una tenue nebulosità nella quale fa capolino la Nebulosa Cono. In questo caso l’incontro sarà meno ravvicinato dei precedenti, passando la cometa a oltre un grado dall’oggetto deep sky. Ammonterà infine a poco meno di tre gradi la distanza tra la Giacobini-Zinner e la Nebulosa Rosetta il 26 settembre, momento sicuramente da immortalare con una foto a grande campo.

Insomma, una cometa, per l’osservazione e la ripresa sempre tramite uno strumento, di questi tempi da non perdere: attendiamo le vostre fotografie nella nostra gallery PhotoCoelum!

Un motivo in più per osservare a settembre il passaggio di questa cometa? Si tratta del passaggio più vicino alla Terra dal 14 settembre del 1946! E non solo, verrà superato solo dal perielio del 18 settembre 2058. Dopo di che, un ciclo con passaggi al di sotto del decimo di unità astronomica (0,1 UA) avverranno non prima degli anni 2119 e 2195.

Congiunzioni notevoli Tanti gli incontri e le configurazioni che possono dare un tocco in più alle vostre immagini della Giacobini-Zinner nel mese di settembre, qui una lista sintetica dei suoi spostamenti e degli oggetti che incontrerà nel suo cammino.

13.09 Taglia l’angolo della costellazione del Toro. 14.09 Entra nella costellazione dei Gemelli. 15.09 Passa di fronte all’ammasso aperto M35. 16.09 Attraversa l’Eclittica verso Sud passando vicino alla stella Propus (Eta Geminorum; m = +3,3). 02.09 Passa a circa un grado dalla brillante 17.09 Entra in Orione. Capella (Alfa Aurigae; m = +0,1). 21.09 Torna nei Gemelli. 07/08.09 Si sposta, a distanze comprese tra gli 1 23.09 Entra nel Monocero. e i 2 gradi circa, tra gli ammassi aperti M38 e M36. 24.09 Avvicina l’ammasso aperto Albero di 10.09 Avvicina, sempre circa a 1 grado, Natale (NGC 2264) con la sua suggestiva Nebulosa l’ammasso aperto M37. È anche il giorno del Cono. perielio (m = +7 circa). 26.09 La distanza è di 3° circa ma l’oggetto 11.09 Minima distanza dalla Terra (0.392 UA). notevole: avvicina la Nebulosa Rosetta.

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LUNA

di Francesco Badalotti

La Luna di Settembre Alle 00:00 del 1 settembre la Luna in fase Calante avrà un’età di 20,50 giorni ad un’altezza di +13° sopra l’orizzonte orientale fra le stelle della Balena raggiungendo l’Ultimo Quarto alle 04:37 del 3 settembre quando si troverà a +47° 38’ sopra l’orizzonte. La Fase calante culminerà col Novilunio alle 20:01 del giorno 9, da cui ripartirà il nuovo ciclo lunare col nostro satellite in Fase Crescente. Il Primo Quarto sarà raggiunto alle 01:15 del 17 settembre con la Luna a -14° 57’ sotto l’orizzonte ovest, mentre alle 04:53 del 25 settembre avremo il Plenilunio col nostro

satellite in fase di 15,37 giorni fra le costellazioni dei Pesci e della Balena, ad un’altezza di +21° nel cielo occidentale. Gli ultimi giorni di settembre vedranno il nostro satellite nuovamente in Fase Calante fino a chiudere il mese alle 23:59 del giorno 30 con età della Luna di 21,16 giorni ad un’altezza di +14° nella costellazione del Toro.

Sopra. Le fasi della Luna in settembre, calcolate per le ore 00:00 in TMEC. La visione è diritta (Nord in alto, Est dell’osservatore a sinistra). Nella tavola sono riportate anche le massime librazioni topocentriche del mese, con il circoletto azzurro che indica la regione del bordo più favorita dalla librazione. A destra. La tabella riporta gli orari di sorgere, culminazione, altezza (in gradi raggiunta all’istante della culminazione) e del tramonto, oltre alla costellazione di transito. Gli istanti e i dati degli eventi riportati, calcolati per le ore 00:00 in TMEC (TU+1), sono topocentrici, ovvero riferiti alla posizione geografica di un osservatore posto a Long. 12° E; Lat. 42° N. Gli altri valori relativi al nostro satellite sono disponibili qui.

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Le Falci Lunari di settembre Per chi va a caccia di sottili falci lunari il primo appuntamento è per la notte del 7 settembre quando alle 03:36 fra le stelle del Cancro sorgerà un falce lunare in fase di 26,65 giorni, osservazione abbastanza agevole in quanto avremo a disposizione circa due ore, dovremo solo attendere che il nostro satellite si alzi di una manciata di gradi sopra l’orizzonte. La notte successiva, 8 settembre, una bella falce di 27,65 giorni sorgerà alle 04:51 seguita un’ora più tardi dal pianeta Mercurio (separazione di 7°). Qualcuno cerca la proposta "quasi impossibile"? Eccola: Il 9 settembre alle 06:07 sorgerà una sottilissima falce lunare con età di 28,76 giorni (notare che il Novilunio sarà raggiunto alle 20:01, solo 14 ore più tardi!) preceduta dal pianeta Mercurio (separazione intorno ai 2/2,4° dalla Luna). È importante ribadire la notevole esiguità del brevissimo margine temporale a nostra disposizione prima che tutto venga cancellato dal sorgere del Sole, inoltre questo "tentativo estremo" potrà essere effettuato esclusivamente con la totale consapevolezza di operare in condizioni estremamente critiche sia per l’osservabilità della sottilissima falce lunare sia

per la sicurezza della propria vista. Passando ora alla Luna Crescente, il primo appuntamento è per la sera dell’11 settembre quando una falce con età di 2,01 giorni tramonterà alle 20:57 e sarà disponibile dopo le 20:15 circa per le nostre osservazioni quando ormai si troverà ad un’altezza inferiore ai 7°, in contemporanea col pianeta Venere dal quale sarà separata da circa 16° e dal più lontano Giove separato dalla Luna da 31°. La sera successiva, il 12 settembre, una falce di 3 giorni tramonterà alle 21:26 pertanto avremo poco più di un’ora per osservare ed, eventualmente, riprendere qualche immagine. In questo caso 7° 40’ circa separeranno la Luna dal pianeta Venere e 17° 50’ dal pianeta Giove. Inoltre per chi vorrà estendere ulteriormente questo tipo di osservazioni anche alla serata del 13 settembre potrà ammirare la falce lunare di 4 giorni (tramonterà alle 21:56) che si troverà a 5° dal pianeta Giove e 12° dal pianeta Venere. Come sempre per questa tipologia di osservazioni lunari, oltre agli ormai noti parametri osservativi, sarà determinante disporre di un orizzonte libero da ostacoli.

Questo mese osserviamo Il Sinus Asperitatis Come prima e principale proposta questo mese il target riguarda l’osservazione del Sinus Asperitatis nella serata del 15 settembre, la tormentata ed estremamente interessante regione lunare situata nel settore sudorientale del nostro satellite, fra il mare Nectaris e il margine meridionale del mare Tranquillitatis. Vedi più sotto la Guida all’osservazione di Sinus Asperitatis a pagina 165.

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I massicci montuosi Mons La Hire, Mons Vinogradov e Mons Delisle La seconda proposta di questo mese è per il 20 settembre dalle 20:00 circa quando concentreremo l’attenzione su una ristretta area posta fra i mari Imbrium e Procellarum e precisamente visiteremo Mons La Hire, Mons Vinogradov e Mons Delisle, eccezionali massicci montuosi che si innalzano più o meno isolati in questa enorme distesa pianeggiante. Il nostro satellite sarà in fase di 11 giorni (Colong. 41,4°; frazione illuminata 83,1%) e dopo essere sorto alle 17:22 culminerà in meridiano alle 22:12 a un’altezza di +22° visibile pertanto fino alle prime ore della notte successiva quando tramonterà. Molto semplice l’individuazione della regione lunare oggetto delle nostre osservazioni, basterà inquadrare la grande area circolare del mare Imbrium con le sue scure rocce basaltiche spostandoci in prossimità del terminatore.

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Iniziando da Mons La Hire, situato a nordovest del cratere Lambert (diametro 31 km), si tratta di un rilievo con dimensioni di 20 km e 2.700 metri di altezza la cui origine viene ricondotta al Periodo Geologico Imbriano collocato da 3,8 a 3,2 miliardi di anni fa. All’osservazione telescopica noteremo come il versante sudovest di questo rilievo montuoso si presenti relativamente uniforme mentre sul lato esposto a nord-nordest vi si possono osservare linee di cresta e numerose strette valli. Il lato verso est-sudest è dominato da una sorta di breve anfiteatro e da un piccolo craterino in diretta comunicazione con la pianura circostante. Passiamo ora al Mons Delisle situato immediatamente a ovest-sudovest dell’omonimo cratere di 26 km di diametro. Si tratta di un rilievo


montuoso dalla curiosa forma allungata in senso nord-sud per 51 km e altezza di circa 1000 metri, con l’estremità meridionale che si allarga mentre a nord termina molto più stretta. Questa struttura vide la sua formazione nel Periodo Geologico Imbriano collocato da 3,8 a 3,2 miliardi di anni fa. Un’osservazione estremamente critica è quella della Rima Diophantus, un sottile solco notevolmente sinuoso e molto stretto che per circa 150/170 km si estende a sud-sudest di Mons Delisle orientato in senso est-ovest e formatosi nel Periodo Geologico Imbriano collocato da 3,8 a 3,2 miliardi di anni fa. Struttura spettacolare anche se purtroppo snobbata, probabilmente perché per la sua osservazione viene indicato uno strumento riflettore di "oltre 500 mm" ma il modesto parere di chi scrive è di tentarne comunque l’individuazione anche con telescopi di diametro ben inferiore: non costa nulla e si rischia di togliersi anche qualche soddisfazione… Personalmente nelle immagini del 19 marzo del 2016 – ottenute col mio Mak Rumak 255mm f20 + camera Imaging Source DBK41 – si notano vari segmenti di questo sottilissimo solco, per cui… Photocoelum attende i vostri lavori.

Mons DELISLE

Rima Diophantus

Sempre in questa immensa pianura proprio sul confine tra Imbrium e Procellarum andiamo a osservare Mons Vinogradov (noto precedentemente come Mons Euler e poi monte Eulero Beta), un massiccio montuoso isolato con una larghezza alla base di 26 km e tre picchi principali alti 1100/1400 metri, situato fra i crateri Euler (diametro 29 km) e Brayley (diametro 15 km). La sua formazione risale al Periodo Geologico Eratosteniano collocato da 3,2 a non meno di 1 miliardo di anni fa. All’osservazione

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telescopica si nota chiaramente come si tratti di un gruppo montuoso con vari rilievi intervallati da brevi tratti di pianura e strette valli. Tutt’intorno vari piccoli craterini oltre a Euler-J, un cratere quasi completamente sepolto con diametro di 4 km.

Il cratere Reiner Gamma e la sua anomalia magnetica La terza proposta è per la serata del 22 settembre quando alle 18:27 sorgerà la Luna in fase di 12,93 giorni e alle 20:00 circa si troverà a un’altezza Mons Vinogradov iniziale di +13° (Colong. 65,9°; frazione illuminata 94,7%), con transito in meridiano alle 23:43 a nord-nordest per oltre un centinaio di chilometri, +31° e a nostra disposizione fino al suo tramonto in direzione del cratere Marius, dopo avere previsto per la notte successiva. attraversato la regione ricca di domi vulcanici nota come "Colline di Marius". Ci troviamo pochi chilometri a ovest del cratere L’origine di questa particolare struttura lunare Reiner di 31 km di diametro e il target della serata viene fatta risalire presumibilmente a non oltre è Reiner Gamma, una struttura lunare dalla forma vagamente ovalizzata e circondata da depositi di materiali individuabili come strie biancastre molto irregolari a più elevata albedo rispetto alle scure rocce basaltiche dell’oceanus Procellarum. Per orientarsi col telescopio sarà sufficiente inquadrare l’inconfondibile Copernicus con la sua elevata albedo procedendo poi verso ovest fino all’analoga area di Kepler, da qui sempre in direzione ovest ci troveremo su Reiner Gamma in prossimità del terminatore lunare. Estese con andamento serpentiforme in direzione dell’omonimo cratere Reiner, deviano poi nettamente verso

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1,1 miliardi di anni fa nel Periodo Geologico Copernicano. Reiner Gamma ha un diametro di 41 km e, almeno apparentemente, sembra appartenere alla variegata categoria dei cosiddetti crateri fantasma, cioè quasi completamente sepolti sotto lo strato di regolite che ricopre (in modo non uniforme) la superficie del nostro satellite. Rilevazioni strumentali effettuate dalle sonde rilevarono che Reiner Gamma sarebbe sede di una notevole anomalia magnetica. Per comprendere la causa dell’anomala colorazione più chiara rispetto alla regione immediatamente circostante venne ipotizzato che il conseguente scudo magnetico avrebbe agito come protezione

rispetto alle particelle elettricamente cariche del vento solare, mantenendo invariato nel tempo l’aspetto brillante e l’elevata albedo limitatamente alla zona interessata dalla citata anomalia. All’osservazione telescopica si noterà la chiara colorazione del fondo di Reiner Gamma (ad eccezione del contorno interno del cratere), più intensa nel settore est della platea, elevata albedo che si estende anche in numerose aree all’esterno della struttura. Si consiglia il monitoraggio di Reiner Gamma anche in corrispondenza del Plenilunio al fine di individuare eventuali e significative variazioni di albedo.

Guida all'osservazione Il Sinus Asperitatis Come principale proposta andiamo a osservare il Sinus Asperitatis nella serata del 15 settembre quando, dalle 20:00 circa, con la Luna che tramonta alle 23:04 in fase di 6 giorni (Colong. 340,3°; frazione illuminata 38,2%), concentreremo l’attenzione sulla limitata regione lunare che dal cratere Theophilus si estende verso nord, fino all’estremità meridionale del mare Tranquillitatis. La sera del 15 settembre il margine occidentale del Sinus Asperitatis verrà a trovarsi in prossimità del terminatore lunare, pertanto per le strutture a ovest potrà rendersi necessario estendere l’osservazione anche alla serata successiva. Per l’individuazione della regione oggetto di questa proposta osservativa basterà orientare il telescopio a circa metà della frazione illuminata del disco lunare a breve distanza dal terminatore, concentrando poi l’attenzione sulla limitata area

scura fa i mari Nectaris e Tranquillitatis. Le dimensioni del Sinus Asperitatis, non dalla consueta forma circolare, sono di 180 x 180 km e la sua origine viene fatta risalire al Periodo Geologico Pre Imbriano collocato da 4,5 a 3,8 miliardi di anni fa. Questa interessantissima regione lunare è delimitata a sud dai crateri Cyrillus e Theophilus (diametro di 100 e 104 km, già visti in dettaglio in un precedente articolo) e da una zona relativamente pianeggiante in cui si trova Madler, un cratere di 29 km di diametro con pareti alte 2670 metri, che viene a costituire un accesso diretto con l’estremità settentrionale dell’adiacente mare Nectaris. Volendo iniziare le nostre osservazioni dal lato ovest del Sinus Asperitatis non perderemo certamente il mons Penck (circa 80 km a nordovest di Theophilus), un notevole massiccio montuoso alto 400 metri e con diametro di 30 km la cui struttura ricorda quella di un promontorio che si innalza fra Kant-C di 20 km (a nordest) e un cratere di 34 km (a sudovest) privo di denominazione ufficiale. L’origine di mons Penck è la medesima del Sinus Asperitatis, risalendo pertanto al Periodo Geologico Pre Imbriano www.coelum.com

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collocato da 4,5 a 3,8 miliardi di anni fa. Fra mons Penck e Cyrillus merita un’osservazione anche Ibn Rusdh di 34 km di diametro e pareti alte 1.400 m (ex Cyrillus-B), un cratere notevolmente danneggiato la cui origine risale al Periodo Geologico Imbriano collocato da 3,8 a 3,2 miliardi di anni fa. Proseguendo lungo il margine occidentale del Sinus Asperitatis potremo osservare una lunga sequenza di crateri di vario diametro, intervallati da numerosi rilievi montuosi e da basse colline, in una regione lunare estremamente tormentata in cui sarà possibile scandagliare anche piccoli craterini utilizzando i poteri di ingrandimento compatibili con le condizioni osservative della serata, in un paesaggio lunare estremamente vario e anche interessante. In prossimità dei crateri Zollner-F (diametro 27 km) e Hypatia-A (diametro 16 km), un differente orientamento dei rilievi e delle linee di cresta viene a formare come una sorta di ampio collegamento che si estende verso nordovest, fino al cratere Delambre (diametro 54 km e pareti di 3.500 metri, che vedremo più in dettaglio in un prossimo articolo).

collinari. Da Hypatia sarà molto interessante l’osservazione di un lungo gruppo montuoso che si estende verso nord per circa 90 km, in direzione del mare Tranquillitatis, quasi una sorta di terrapieno con la sommità relativamente appiattita. Non è ufficialmente nota l’altezza di questa struttura geologica, sulla quale potremo osservare numerosi crateri di vario diametro di cui il maggiore è Torricelli-L di 4 km, oltre a ripide scarpate rivolte verso il Sinus Asperitatis e allineamenti di crateri orientati in senso nordovest-sudest.

Giunti ormai in vista del mare Tranquillitatis, passiamo ora alle strutture che delimitano il Sinus Asperitatis lungo il suo bordo orientale. Da una semplice osservazione, anche a bassi ingrandimenti, noteremo Sempre sul bordo occidentale di Asperitatis, come le formazioni lunari immediatamente a nord di Hypatia-A, osserviamo in questo caso non il cratere Hypatia, diametro di 43 km la cui costituiscano una vera e formazione risale al Periodo Geologico Imbriano propria netta collocato da 3,8 a 3,2 miliardi di anni fa. La forma delimitazione, ma una vagamente triangolare di questa struttura continuità molto geologica appare subito particolarmente distrutta irregolare. Infatti, se e allungata in senso sudest-nordovest. partiamo dall’angolo sudest, noteremo Osservando attentamente Hypatia, e le strutture numerose creste costituite immediatamente adiacenti, sembrerebbe che da basse colline, questo cratere sia la risultante di una fusione allineamenti di piccoli multipla fra vari crateri, logica conseguenza di una craterini e strutture serie di impatti che sconvolsero anche questa crateriformi di vario tormentata regione del nostro satellite. diametro contornate da modeste pareti poco All’osservazione telescopica, in Hypatia si nota elevate e con una forma in una linea di cresta sul lato ovest-sudovest, mentre nella platea vi sono piccoli craterini e rilievi

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In Kant-C è interessante scandagliare anche a elevati ingrandimenti la platea dove attirerĂ l’attenzione un piccolo craterino in posizione quasi

centrale, fra i rilievi collinari, molto piccolo ma probabilmente ben visibile essendo isolato. Qualche problema a individuarlo?

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irregolare. A prescindere dal fatto che purtroppo diversi crateri sono privi di denominazione ufficiale, procedendo verso nord incontreremo Madler-A di 5 km, Isidorus-V di 4 km, Isidorus-U di 6 km, Isidorus-G di 7 km, Isidorus-C di 9 km, Torricelli-M di 14 km con l’adiacente CensorinusT di 5 km. Ancora più a nord con Censorinus-B di 8 km saremo ormai in prossimità del mare Tranquillitatis.

sono Theophilus-E di 21 km e Hypatia-M di 28 km. Sempre sul fondo del Sinus Asperitatis, procedendo verso nord, possiamo tranquillamente constatare come la struttura dominante sia l’inconfondibile Torricelli, un cratere dall’insolita conformazione a pera di 24 km di diametro e con pareti alte 2100 metri, la cui origine risale al Periodo Geologico Imbriano collocato da 3,8 a 3,2 miliardi di anni fa. Molto probabilmente si tratta della fusione di due crateri adiacenti inseriti a loro Per quanto riguarda il fondo del Sinus Asperitatis volta in Torricelli-R in posizione notevolmente si tratta di una regione relativamente decentrata verso nordest, praticamente quel poco pianeggiante e con una innumerevole quantità di che rimane di un vasto cratere di 87 km di dettagli, che certamente attireranno l’attenzione diametro oggi quasi completamente distrutto e di molti appassionati di osservazioni lunari. Infatti, sommerso dai detriti che ricoprono questa regione partendo dal lato meridionale, noteremo come lunare, e di cui emergono solamente le parti alla base esterna della parete settentrionale di sommitali delle linee di cresta più elevate alte in Theophilus si estenda una vasta area in cui ogni caso non più di alcune centinaia di metri. Ma potremo osservare le medesime caratteristiche se ci spostiamo all’esterno dell’area di Torricelli-R morfologiche già precedentemente riscontrate a nord-nordest potremo osservare Torricelli-B, un nella platea del citato cratere, cioè la presenza di cratere di 7 km di diametro che in passato fu sede materiali di frantumazione che furono soggetti a di presunti fenomeni lunari transienti (TLP) fusione in seguito all’impatto con la loro divenendo oggetto di frequente monitoraggio contestuale espulsione intorno al cratere in durante le campagne osservative a cui aderirono formazione. varie associazioni italiane nell’ambito di programmi di ricerca promossi da British Terminata la zona occupata dai materiali fusi, la Astronomical Association. vasta area a nord del quasi completamente distrutto Theophilus-F, di 13 km di diametro, è In corrispondenza di una coppia di piccoli crateri disseminata da innumerevoli e lunghi senza nome, di cui il maggiore ha un diametro di 4 allineamenti di piccolissimi craterini formatisi km, situati a est-sudest di Torricelli-C (diametro anch’essi con l’enorme quantità di detriti espulsi 11 km), inizia una dorsale che con andamento in seguito all’evento di Theophilus, infatti curvilineo si estende verso nord per almeno 100 noteremo come queste strutture siano disposte km, con una larghezza molto variabile e comunque radialmente rispetto al punto di impatto. Altri non superiore ai 4,5-5 km la cui estremità crateri praticamente distrutti probabilmente dai settentrionale va a terminare in pieno mare detriti di Theophilus e anche parzialmente sepolti Tranquillitatis.

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Molto interessanti all’osservazione telescopica anche i brevi ma numerosi allineamenti di piccoli crateri presenti sia a est che a ovest di Torricelli-B, così come le ancor più spettacolari, analoghe e profonde strutture che sarà possibile osservare fra Torricelli-R e il lato occidentale del Sinus Asperitatis. Per chi finora si fosse annoiato, proponiamo l’osservazione di un sottile e lungo solco che dal cratere Censorinus-K (diametro 4 km) si estende

per circa 90 km, con andamento sinuoso fino al cratere Maskelyne-X (diametro 4 km) in pieno mare Tranquillitatis. Da qui inizia un solco ancora più spettacolare, ma di questo tratteremo in un prossimo articolo. Chi invece volesse dedicarsi anche ad alcuni crateri perfettamente circolari e ben conservati, potrà orientare il telescopio su Torricelli-C di 11 km, Torricelli-H di 7 km, Torricelli-K di 7 km.

Riferimenti storici Sinus Asperitatis: "Golfo delle Asperità", il "Sinus Batavicus" secondo Langrenus e "Sinus Atheniensis" secondo Hevelius. Cratere Madler: Nome assegnato da Schmidt nel 1878 e dedicato all’astronomo tedesco Johann Heinrich Madler (1794-1874). Mons Penck: nome dedicato al geografo tedesco Albrecht Penck (1858-1945), fu professore presso le università di Vienna e Berlino e Direttore dell’istituto di Oceanografia di Berlino. Nel 1909 fu autore della teoria delle 4 grandi glaciazioni.

Evangelista Torricelli (1608-1647). Mons La Hire: nome assegnato nel 1802 da Schroter e dedicato al matematico e astronomo francese Philippe de la Hire (1640-1718), promotore del primo cerchio meridiano dell’Osservatorio di Parigi, nel 1678 fu anche membro dell’Accademia Francese delle Scienze. Mons Vinogradov: dedicato al chimico sovietico Alexander P. Vinogradov (1895-1975), specialista di cosmochimica.

Mons Delisle: dedicato all’astronomo francese Joseph Nicolas Delisle (1688-1768). Nel 1714 fu Cratere Ibn Rusdh: (ex Cyrillus-B) denominazione membro dell’Accademia Francese delle Scienze. dedicata al filosofo e medico arabo Abu al-Walid Studiando i transiti dei pianeti Mercurio e Venere, ibn Rusdh (1126-1198), autore di varie opere di fu ideatore del calcolo della distanza del Sole. medicina e filosofia fu sostenitore di Aristoteles e Realizzò inoltre l’Osservatorio di San Pietroburgo. Galieno. Rima Diophantus: dedicato al matematico greco Cratere Hypatia: nome dedicato a Ipazia, del 3° secolo d.C. Diofanto (325-410). matematica greca del 4° secolo d.C. (370-415). Cratere Reiner Gamma: denominazione dedicata Cratere Torricelli: nome assegnato da Madler nel al matematico italiano Vincentio Reinieri (morto 1837 e dedicato al fisico e matematico nel 1648), fu discepolo di Galileo.

Tutte le immagini presenti nella rubrica, salvo diversa indicazione, sono state realizzate dall’autore, Francesco Badalotti con un Maksutov Cassegrain in configurazione Rumak diametro 255mm F20 (Tubo ottico con 7 diaframmi interni, Ottica Zen) a fuoco diretto e senza filtri + camera Imaging Source DBK41AU02.AS raw colori con risoluzione di 1280 x 960. Formato video/codec Y800/RGB24. Montatura SW NEQ6/Pro potenziata con barra, contrappesi e piastra Geoptik. Elaborazione video in Autostakkert.2.6.8, elaborazione immagini in Registax6 e Photoshop. Ad eccezione di condizioni meteo particolarmente sfavorevoli, il telescopio staziona sul balcone pronto per l’uso e ricoperto da uno specifico telo Geoptik.

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Uno Sguardo al Cielo di settembre

Tra le galassie del Triangolo Impariamo a osservare il cielo con la UAI - Unione Astrofili Italiani e i telescopi remoti ASTRA di Giorgio Bianciardi - Vicepresidente UAI

Emisfero Est Guardando a Est

Guardando il cielo di settembre alle ore 22:00, volgendoci verso sud, ecco che un’unica stella risulta ben evidente in prossimità dell’orizzonte: si tratta della splendente Fomalhaut (mag. +1,15), che regna in una zona in cui numerose deboli stelle disegnano la figura celeste del Pesce Australe. Più in alto vedremo l’Acquario e, più a est, i Pesci. Guardando verso est, rasenti l’orizzonte troviamo la Balena e (verso nordest) l’Auriga, dove Capella (mag. +0,05), la stella alfa della costellazione, già brilla inconfondibile. In questo quadrante dominano le costellazioni del mito di Andromeda:

Visualizza la Mappa del Cielo dell'Emisfero Est (15 settembre, 22:00)

ancora molto basso, vediamo la figura di Perseo, con Mirfak (mag. +1,75) e, salendo sull’orizzonte, Cassiopea e Cefeo, che sfiora lo zenit. Infine, sopra la sagoma dei Pesci, troviamo il grande quadrilatero di Pegaso e la lunga coda di Andromeda, dove, nel numero dello scorso settembre, abbiamo ammirato la splendida M 31, la grande galassia di Andromeda, e la bellissima spirale vista di profilo NGC 891, fotografate con i telescopi remoti ASTRA. Questo mese vogliamo scrutare le galassie raccolte in quella manciata di gradi quadrati di

I Telescopi Remoti ASTRA e il Telescopio remoto UAI Utilizzando Internet non ci sono limiti geografici e chiunque, da qualsiasi parte del mondo, può controllare in remoto i telescopi ASTRA e ottenere le immagini digitali da utilizzare per i propri scopi di ricerca o di semplice diletto. Accesso gratuito. Per maggiori informazioni visita il sito WEB del Telescopio Remoto UAI (http://www.uai.it/risorse/telescopio-remoto-new.html), naviga nel sito di ASTRA con il quale potrai navigare tra stelle e galassie con i telescopi remoti (dopo aver richiesto la pw gratuita): www.astratelescope.org/newastra/ e iscriviti al gruppo Facebook: https://www.facebook.com/groups/127716650039/. Con una piccola sottoscrizione potrai usare in piena autonomia i telescopi remoti ASTRA e fare le tue foto per un intero anno!

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Sopra. La bella M 33 nel Triangolo. Si disegna molto bene la struttura a spirale, braccia azzurrine per le innumerevoli giovanissime stelle azzurre che vi si disseminano. Grande 50.000 anni luce, si trova a 2,9 milioni di anni luce dalla Terra. Telescopio Remoto UAI (ASTRA #2, Newton, 750 mm/5 & SBIG ST8XME su Avalon M uno, Castiglione del Lago, PG). Giorgio Bianciardi.

cielo che costituiscono il Triangolo, la piccola costellazione posta ai piedi di Andromeda. E non possiamo non cominciare parlando della stupenda M 33, una bella galassia di piccola taglia che, con le giganti M 31 e la nostra Via Lattea, è componente del Gruppo Locale di galassie, una sfera di circa 10 milioni di anni luce che comprende diverse decine di galassie. M 33 risulta visibile già con un piccolo binocolo sotto un cielo buio come quello della campagna. Ecco qui una vista a grande campo di M 33, una spirale di decine di miliardi di soli proiettata tra le stelle

della nostra galassia, come appare al telescopio remoto UAI (ASTRA #2). L’immagine permette di apprezzare la sfumatura azzurrina lungo le braccia dovuta alla presenza di numerosissimi caldi soli azzurri lungo la spirale. Prepariamoci ora ad avvicinarci a M 33 zoomando con il telescopio remoto ASTRA #1. Questa volta in RGB e H-alfa, per evidenziare le rosse nebulose gassose in emissione disseminate lungo le braccia, culle di giovani soli.

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Sopra. Ci siamo avvicinati a M 33. Con il filtro in H-alfa, lungo le braccia azzurre di M 33 si disegnano numerose regioni rosse per l’idrogeno in emissione, eccitato dalla luce di stelle appena nate. Telescopio Remoto ASTRA #1 (Ritchey-Chrétien, 1354 mm/5.4 & SBIG ST8XME su GM2000, Vidor, TV). Massimo Tatarelli. In basso. NGC 925 galassia a spirale barrata nel Triangolo. 31 milioni di anni luce dalla Terra. Telescopio Remoto ASTRA #1(Ritchey-Chrétien, 1354 mm/5.4 & SBIG ST8XME su GM2000, Vidor, TV). Massimo Orgiazzi.

Andando più lontano, centinaia di galassie si disegnano in questa piccola area di cielo (132 gradi quadrati). Già visibile con un piccolo

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telescopio da 15 cm di diametro, ecco NGC 925 al telescopio remoto ASTRA #1.


Emisfero Ovest Guardando a Ovest Guardando il cielo a ovest, possiamo vedere nel loro moto di discesa verso l’orizzonte occidentale le 3 stelle del triangolo estivo, Deneb, Altair e Vega, ovvero le stelle alfa delle costellazioni del Cigno, dell’Aquila e della Lira, che dimorano lungo il nastro bianco della Via Lattea. Bellissime sono le stelle azzurre della Lira, la piccola cetra di Orfeo, soprattutto se osservate

Visualizza la Mappa del Cielo dell'Emisfero Ovest (15 settembre, 22:00) con un piccolo binocolo. Ecco qui sotto, come appare al telescopio remoto UAI (ASTRA#2), Vega, la stella alfa della Lira. Ed ecco nella prossima pagina, deliziose al binocolo, la doppia Epsilon 1 e Epsilon 2 Lyrae, due soli bianco-azzurri posti a 162 anni luce dalla Terra, fotografate al telescopio remoto UAI (ASTRA #2).

Sopra. Vega, alfa della Lira. Un caldo sole azzurro, 40 volte più luminoso del Sole. 25 anni luce dalla Terra. Telescopio Remoto UAI (ASTRA #2, Newton, 750 mm/5 & SBIG ST8XME su Avalon M uno, Castiglione del Lago, PG). Giorgio Bianciardi.

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Sopra. Epsilon 1 e Epsilon 2 Lyrae, 2 soli bianco-azzurri, distanti tra loro 1/6 di anno luce, 162 anni luce dalla Terra. Centinaia di migliaia di anni il loro periodo di rivoluzione. Telescopio Remoto UAI (ASTRA #2, Newton, 750 mm/5 & SBIG ST8XME su Avalon M uno, Castiglione del Lago, PG). Giorgio Bianciardi.

Continuando il nostro tour del cielo, più in basso rispetto alla Lira troviamo la grande figura di Ercole, poi l’Ofiuco con il Serpente e il Boote (Bifolco), accompagnato dalla piccola Corona Boreale. Più verso sud, il Capricorno si riconoscerà facilmente grazie alla presenza

Immagini dal Sistema Solare

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dell’ancora luminoso Marte e, rasente l’orizzonte sudest, il Sagittario con Saturno. Verso nord, le due orse continuano il loro perpetuo giro intorno al Polo Nord, insieme al lungo Dragone e alla piccola Giraffa.


In alto. L’eclissi di Luna del 27 luglio durante la sua totalità. Maurizio Cecchini, Sezione Luna UAI. Sopra. L’atmosfera di Marte nel mese di luglio è stata avvolta da una pesante tempesta di polvere che ha quasi completamente cancellato i suoi dettagli superficiali. Vincenzo della Vecchia, Sezione Pianeti UAI. Nella pagina precedente. Il 4 luglio Saturno ha mostrato un tenue ovale bianco nella regione polare (in realtà, una gigantesca tempesta). Luigi Morrone, AstroHiRes UAI. www.coelum.com

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GUIDA OSSERVATIVA

SETTEMBRE 1 settembre 2018 01:13 - Massima librazione lunare ovest (9,2°; AP = 320°): favorita l'osservazione del cratere Grimaldi. 02:35 - L'asteroide (816) Juliana (m = +15,9) occulta la stella UCAC4-448-003951 (m = +12,2). Si prevede una caduta di luminosità di 3,8 magnitudini per una durata di 7,3 secondi. La linea teorica attraversa il Sud Italia (www. asteroidoccultation.com). 14:00 - L’Equazione del Tempo è nulla. 17:40 - L’asteroide (115) Thyra in opposizione in Pegaso (dist. Terra = 1,125 UA; m = +9,7; el. = 167°). 20:15 - Venere (h = 9°; m = –4,6) passa 1,3° a sudovest di Spica (alfa Virginis; m = +1,0).

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04:04 - Luna all'Ultimo Quarto. 05:00 - La Luna (h = 46°; fase = 38%) passa 1,7° a sud di zeta Tauri (m = +3,0). 21:40 - L’asteroide (28) Bellona in opposizione nell’Acquario (dist. Terra = 2,101 UA; m = +11,4; el. = 176°).

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2 settembre 2018

4 settembre 2018

02:20 - La Luna (h = 26°; fase = 51%) passa 32’ a nord di Aldebaran (alfa Tauri; m = +1,0). 09:24 - Inizia la rotazione di Carrington n. 2208 10:00 - L’asteroide (37) Fides in opposizione nell’Acquario (dist. Terra = 1,878 UA; m = +11,0; el. = 172°). 11:42 - Mercurio al perielio: minima distanza dal Sole (0,307 UA; m = –0.9; el. = 16°; Leone). 22:00 - Saturno (h = 22°; m = +0,4) passa 2,2° a nordest della Nebulosa Laguna (M8; m = +6,0).

20:06 - L’asteroide (431) Nephele in opposizione nell’Acquario (dist. Terra = 1,601 UA; m = +12,0; el. = 178°).

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3 settembre 2018

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ELEGANZA ELLITTICA Ad agosto, l’ESO ha rilasciato questa immagine profonda dell'area di cielo intorno alla galassia ellittica NGC 5018, offrendoci una veduta spettacolare delle tenui scie di gas e stelle. Strutture delicate, segni distintivi dell'interazione tra galassie, che forniscono indizi fondamentali per comprendere la struttura e la dinamica della galassie. Pur studiando le più minute caratteristiche di queste galassie, distanti milioni di anni luce dalla Terra, Il VST (VLT Survey Telescope) dell’ESO ha catturato anche i ritratti di stelle più vicine, a qualche centinaio di anni luce da noi, e persino la traccia di asteroidi a soli pochi minuti luce di distanza, nel nostro stesso Sistema Solare. Crediti: ESO/Spavone et al.


7 settembre 2018 01:18 - Nettuno alla minima distanza dalla Terra (28,933 UA; m = +7,8; diam. = 2.3"; el. = 179°; Acquario). 03:50 - La Luna (fase = 10%) sorge 1,7° a sudovest dell’ammasso aperto del Presepe (M44; m = +3,1). 04:54 - La Luna (h = 12°; fase = 10%) occulta (immersione lembo illuminato) la stella Asellus Australis (delta Cancri; m = +3,9) con AP = 35°. L’occultazione termina alle 05:22 (h = 17°; AP = 335°). 06:48 - La Luna al nodo ascendente, 09:35 - Librazione lunare al minimo. 20:30 - Nettuno in opposizione nell’Acquario (m = +7,8; dist. Terra = 28,933 UA).

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5 settembre 2018 05:30 - La luminosità di Marte è in calo, la magnitudine diventa < –2,0 09:04 - La Luna alla massima declinazione nord (+20° 30’). 10:10 - Venere all'afelio: massima distanza dal Sole (0,728 UA; dist. Terra = 0,539 UA; m = –4,7; el. = 44°; Vergine). 20:54 - La cometa C/2018 EF9 Lemmon alla minima distanza dalla Terra (1,578 UA; m = +12.2 (?); el. = 107°; Cefeo). 23:35 - L'asteroide 1505 Koranna (m = +15,4) occulta la stella TYC 1696-00132-1 (m = +9,6). Si prevede una caduta di luminosità di 5,8 magnitudini per una durata di 1,8 secondi. La linea teorica attraversa il Centro Italia e la Sardegna (www. asteroidoccultation.com).

8 settembre 2018 06:10 - Una sottilissima falce di Luna (h = 13°; fase = 3%) passa 5,6° a nordovest di Regolo (alfa Leonis; m = +1,4) e 9,2° a nordovest di Mercurio (h = 3°; m = –1,2) che occulterà a partire dalla mezzanotte del 9 settembre (non osservabile). 12:00 - La Luna al perigeo: minima distanza dalla Terra (355 810 km; diam. = 33' 34").

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8 6 settembre 2018 00:20 - Il diametro apparente di Marte scende sotto i 20 secondi d’arco. 01:40 - L’asteroide (27) Euterpe in opposizione nell’Acquario (dist. Terra = 1,398 UA; m = +9,8; el. = 177°). 02:20 - Saturno stazionario in ascensione retta: il moto da retrogrado diventa diretto. 05:50 - Nelle luci del crepuscolo Mercurio (m = –1,1) sorge 1° a est di Regolo (alfa Leonis; m = +1,4).

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12 settembre 2018

9 settembre 2018 01:49 - La cometa 29P Schwassmann-Wachmann alla minima distanza dalla Terra (4.771 UA; m = +14,0; el = 174°; Pesci). 20:23 - Luna Nuova.

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10 settembre 2018 08:40 - La cometa 21P Giacobini-Zinner al perielio: minima distanza dal Sole (1,013 UA; dist. Terra = 0,392 UA; m = +7,8 (?); el. = 80°). 09:40 - La cometa 21P Giacobini-Zinner alla minima distanza dalla Terra (0,392 UA; m = +7,8 (?); el. = 80°).

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12h - Mercurio (m = –2,0) in transito nel campo del coronografo LASCO C3 fino al 1° ottobre. 19:50 - La Luna (h = 15°; fase = 12%) passa 9,4° a nordest di Venere (h = 8°; m = –4,5) e 8,3° a nordest di Spica (alfa Virginis; m = +1,1). 22:25 - L'asteroide 1315 Bronislawa (m = +15,7) occulta la stella UCAC4-360-083520 (m = +11,7). Si prevede una caduta di luminosità di 4,0 magnitudini per una durata di 1,8 secondi. La linea teorica attraversa il Centronord Italia (www. asteroidoccultation.com).


13 settembre 2018 04:11 - Massima librazione lunare sud (9,3°; AP = 130°). 20:50 - La Luna (h = 10°; fase = 20%) passa 6,6° a ovest di Giove (m = –1,9) e 4,4° a nordovest di Zuben el Genubi (alfa2 Librae; m = +2,8).

13 14 15 16 16 settembre 2018 14:52 - Marte al perielio: minima distanza dal Sole (1,381 UA; m = –1,7; diam. = 18,1”; el. = 127°; Capricorno).

ELEGANZA ELLITTICA Ad agosto, l’ESO ha rilasciato questa immagine profonda dell'area di cielo intorno alla galassia ellittica NGC 5018, offrendoci una veduta spettacolare delle tenui scie di gas e stelle. Strutture delicate, segni distintivi dell'interazione tra galassie, che forniscono indizi fondamentali per comprendere la struttura e la dinamica della galassie. Pur studiando le più minute caratteristiche di queste galassie, distanti milioni di anni luce dalla Terra, Il VST (VLT Survey Telescope) dell’ESO ha catturato anche i ritratti di stelle più vicine, a qualche centinaio di anni luce da noi, e persino la traccia di asteroidi a soli pochi minuti luce di distanza, nel nostro stesso Sistema Solare. Crediti: ESO/Spavone et al. www.coelum.com

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18 settembre 2018 17 settembre 2018 02:16 - Luna al Primo Quarto. 03:30 - L’asteroide (173) Ino in opposizione nella Balena (dist. Terra = 1,204 UA; m = +10,3; el. = 168°). 19:10 - La Luna (h = 26°; fase = 56%) passa 1,3° a nordest di Saturno (m = +0,4) 21:12 - Luna alla massima declinazione sud (-21° 32”).

06:60 - L’asteroide (69) Hesperia in opposizione nella Balena (dist. Terra = 1,204 UA; m = +10,3; el. = 178°). 21:50 - L’asteroide (5) Astraea in opposizione nei Pesci (dist. Terra = 2,149 UA; m = +11,3; el. = 175°).

17 18 19 20 19 settembre 2018 03:08 - L’asteroide (30) Urania in opposizione nei Pesci (dist. Terra = 1,113 UA; m = +9,6; el. = 177°). 17:34 - Luna al nodo discendente.

20 settembre 2018 01:00 - La Luna (h = 10°; fase = 77%) passa 5,5° a ovest di Marte (m = –1,6) 09:38 - Luna all'apogeo: massima distanza dalla Terra (410 753 km; diam. = 29' 05"). 17:52 - Librazione lunare al minimo.

ELEGANZA ELLITTICA Ad agosto, l’ESO ha rilasciato questa immagine profonda dell'area di cielo intorno alla galassia ellittica NGC 5018, offrendoci una veduta spettacolare delle tenui scie di gas e stelle. Strutture delicate, segni distintivi dell'interazione tra galassie, che forniscono indizi fondamentali per comprendere la struttura e la dinamica della galassie. Pur studiando le più minute caratteristiche di queste galassie, distanti milioni di anni luce dalla Terra, Il VST (VLT Survey Telescope) dell’ESO ha catturato anche i ritratti di stelle più vicine, a qualche centinaio di anni luce da noi, e persino la traccia di asteroidi a soli pochi minuti luce di distanza, nel nostro stesso Sistema Solare. Crediti: ESO/Spavone et al.

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COELUM ASTRONOMIA


24 settembre 2018 21 settembre 2018 07:20 - Mercurio in congiunzione eliaca superiore (el. = 1,5° dal centro del Sole; dist Terra = 1,387 UA).

00:01 - La Luna (h = 39°; fase = 98%) occulta (immersione lembo oscuro) la stella psi2 Aquarii (SAO 146598; m = +4,4) con AP = 108°. L’occultazione termina alle 00:59 (h = 38°; AP = 194°). 02:00 - L’asteroide (10) Hygiea in opposizione nei Pesci (dist. Terra = 2,316 UA; m = +10,1; el. = 175°).

21 22 23 24 22 settembre 2018 08:30 - L’asteroide (511) Davida in opposizione nella Balena (dist. Terra = 2,052 UA; m = +10,7 el. = 157°). 22h - Venere alla massima luminosità (m = –4,78; dist. Terra = 0,419 UA; el. = 39°; Vergine).

23 settembre 2018 03:54 - Equinozio d’autunno: inizia l’autunno astronomico. 20:30 - La Luna (h = 17°; fase = 98%) passa 3,3° a sud di Nettuno (m = +7,8). 22:48 - La Luna (h = 35°; fase = 98%) occulta (immersione lembo oscuro) la stella psi1 Aquarii (SAO 146598; m = +4,2) con AP = 30°. L’occultazione termina alle 00:00 del 24.09 (h = 39°; AP = 274°).

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27 settembre 2018 17:41 - Massima librazione lunare ovest (8,6°; AP = 325°): favorita l'osservazione del cratere Grimaldi. 18:00 - L’asteroide (172) Baucis in opposizione nel Pegaso (dist. Terra = 1,051 UA; m = +11,2 el. = 170°). 22:04 - La Luna (h = 15°; fase = 92%) occulta (immersione lembo illuminato) la stella xi 2 Ceti (SAO 110543; m = +4,3) con AP = 72°. L’occultazione termina alle 23:06 (h = 26°; AP = 240°).

28 settembre 2018 05:00 - L’asteroide (387) Aquitania in opposizione nella Balena (dist. Terra = 1,556 UA; m = +11,0 el. = 155°). 12h - Cerere (m = +8,5) in transito nel campo del coronografo LASCO C3 fino al 16 ottobre.

25 26 27 28 25 settembre 2018 06:36 - Luna Piena

ELEGANZA ELLITTICA Ad agosto, l’ESO ha rilasciato questa immagine profonda dell'area di cielo intorno alla galassia ellittica NGC 5018, offrendoci una veduta spettacolare delle tenui scie di gas e stelle. Strutture delicate, segni distintivi dell'interazione tra galassie, che forniscono indizi fondamentali per comprendere la struttura e la dinamica della galassie. Pur studiando le più minute caratteristiche di queste galassie, distanti milioni di anni luce dalla Terra, Il VST (VLT Survey Telescope) dell’ESO ha catturato anche i ritratti di stelle più vicine, a qualche centinaio di anni luce da noi, e persino la traccia di asteroidi a soli pochi minuti luce di distanza, nel nostro stesso Sistema Solare. Crediti: ESO/Spavone et al.

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29 settembre 2018 04:11 - L'asteroide (3036) Krat (m = +15,4) occulta la stella TYC 1809-00776-1 (m = +9,6). Si prevede una caduta di luminosità di 6,2 magnitudini per una durata di 4,3 secondi. La linea teorica attraversa la penisola italiana longitudinalmente (www.asteroidoccultation. com). 15:50 - Inizia la rotazione di Carrington n. 2209. 22:00 - Saturno (h = 11°; m = +0,5) passa 56’ a nordovest di 11 Sagittarii (SAO 186437; m = +5,0).

30 settembre 2018 08:56 - L’asteroide (93) Minerva in opposizione nei Pesci (dist. Terra = 1,688 UA; m = +11,3 el. = 179°).

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Note all’utilizzo del calendario degli eventi: nella tabella vengono fornite data e ora (in TMEC = Tempo Medio dell’Europa Centrale) dei principali fenomeni celesti del mese, nonché le ricorrenze di avvenimenti storici correlati all’astronomia e all’esplorazione spaziale. Dove non diversamente specificato, gli orari e i dati degli eventi riportati sono da intendersi topocentrici, ovvero riferiti alla posizione geografica di un osservatore posto a Long. 12° est; Lat. 42° nord; inoltre, le congiunzioni sono in riferimento altazimutale. Si prenda nota del fatto che gli istanti relativi a fenomeni quali le occultazioni asteroidali e lunari, possono variare di qualche minuto per un osservatore la cui posizione si discosti da quella indicata. Le distanze angolari degli oggetti celesti sono da intendersi calcolate da centro a centro. Sono riportate le opposizioni di tutti gli asteroidi la cui luminosità apparente risulti inferiore alla mag. +12; per dist. si intende la distanza dalla Terra. Dove si riporta l’Angolo di Posizione AP di un oggetto rispetto ad un altro si deve intendere contato a partire da nord, in senso antiorario.

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MOSTRE E APPUNTAMENTI Associazione Astrofili Centesi L’Osservatorio Astronomico di Cento (FE) è aperto il primo e l’ultimo venerdì di tutti i mesi dalle ore 21:00 alle 23:30. Ingresso gratuito. 31.08: Gli Esopianeti: quanti sono, dove sono, li possiamo raggiungere? Al telescopio: i pianeti Marte e Saturno, l’ammasso stellare M13 in Ercole e la Galassia di Andromeda. 07.09: I Magnifici Sette… pianeti. Al telescopio: i pianeti Marte e Saturno e la Galassia di Andromeda 23.09: Osservazione del Sole. Per l’Equinozio di Autunno, un pomeriggio dedicato all’osservazione del Sole, attraverso i telescopi filtrati. 28.09: Il Calendario: dalle origini ad oggi. Al telescopio: il pianeta Marte e la galassia di Andromeda (M31). Per info: cell. 346 8699254 astrofilicentesi@gmail.com www.astrofilicentesi.it

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osservative ogni secondo e quarto venerdì del mese. In occasione di Osservatorio Astronomico “Bright! La notte dei ricercatori” si Provinciale di Montarrenti, SS. 73 terranno anche due conferenze a Ponente, Sovicille (SI). cura di Giorgio Bianciardi, direttore 01.09, 21.30: Il Cielo del mese. dell’Osservatorio e vice presidente L’appuntamento per il pubblico UAI. Prenotazione obbligatoria. In presso Porta Laterina a Siena da caso di tempo incerto telefonare dove raggiungeremo a piedi la specola ”Palmiero Capannoli” per per conferma. osservare il cielo di fine estate. Per 28.09, ore 21:30: Bright! La notte dei ricercatori: Osservazione da il pubblico è obbligatoria la prenotazione a Davide Scutumella Piazza del Campo. Nell’ambito di “Bright! La notte dei ricercatori”, la 3388861549. In caso di tempo nostra associazione parteciperà incerto telefonare per conferma. all'osservazione pubblica da Piazza 14.09, ore 21:30: Il cielo al del Campo a Siena. In castello di Montarrenti. Serate osservative ogni secondo e quarto collaborazione con l’Università di Siena. Info su www.bright-toscana. venerdì del mese. Prenotazione it. obbligatoria. Protagonisti gli ammassi stellari (sia globulari che Per le prenotazioni: tramite il sito aperti), i pianeti Saturno e Marte e oppure inviando un messaggio WhatsApp al 3472874176 la Luna, quasi al primo quarto. Prenotazione obbligatoria. In caso (Patrizio) o un sms al 3482650891 (Giorgio). Seguiteci su www. di tempo incerto telefonare per astrofilisenesi.it e sulla nostra conferma. pagina facebook Unione Astrofili 28.09, ore 21:30: Bright! La notte Senesi dei ricercatori. Astronomia al castello di Montarrenti. Serate

Unione Astrofili Senesi


posizioni di Marte e Saturno, l'asterismo del triangolo estivo oltre a la Luna in fase calante dal Conferenze e serate osservative quarto giorno. organizzate dalla S.A.F. ONLUS 03.09, ore 22:00: Il cielo presso (ove non indicato all'Anconella luogo e diversamente) l’IIS “Enriques organizzazione Circolo Ricreativo Agnoletti”, Via Attilio Ragionieri Vie Nuove - Viale Giannotti n.47 Sesto Fiorentino, Firenze. Firenze Ingresso libero, inizio ore 21:15: 27.09, ore 21:15: Oggetti celesti 04.09: Lampi Gamma - le nel cielo osservabili saranno : esplosioni più potenti Marte, e Saturno e le costellazioni dell'Universo a cura del Prof. del Cigno incluso il triangolo estivo Lorenzo Brandi. Da dove arrivano, cosa è che li provoca: a che punto è e la Luna al secondo giorno, decrescente. In caso di maltempo la ricerca la serata si svolgerà all'interno 11.09: Apertura della Biblioteca e della BiblioteCanova con Serata Osservativa 18.09: Apertura della Sede e serata proiezioni del cielo del mese Per info: cell. 377.1273573 a disposizione dei Soci 20.09: Moti millenari della Terra a astrosaf@astrosaf.it www.astrosaf.it cura di Leonardo Malentacchi. Variazioni dei movimenti della Associazione Romana Terra dovuti principalmente Astrofili all'azione gravitazionale del Sole e i pianeti del Sistema Solare. Presso Aperture Pubbliche dell’Osservatorio astronomico di il Punto Lettura L.Gori, Via degli Frasso Sabino: venite con noi ad Abeti 3 - Isolotto Firenze. 25.09: Apertura della Sede - Serata osservar le stelle! Durante le aperture pubbliche, si a disposizione dei Soci. possono effettuare visite gratuite e Serate Osservative senza prenotazione. L’osservatorio 30.08, ore 21:15: Venere e Giove di norma viene aperto al pubblico quasi al tramonto, ideali le

Società Astronomica Fiorentina

anche in caso di meteo incerta o avversa. Le prossime aperture: 15 settembre. Consultare il sito per orari e strutturazione delle visite. Per maggiori informazioni: Fabio Anzellini 339-7900809 www.ara.roma.it

Gruppo Astrofili Massesi (G.A.M.) Gli incontri si tengono, salvo indicazione contraria, al venerdì ore 21,15 presso il Planetario comunale "A. Masani", che è ospitato presso la scuola primaria del Paradiso, in via Bassagrande a Marina di Carrara. Ogni incontro si articola in conferenza, proiezione del cielo stellato nella cupola del planetario e osservazioni (a occhio nudo e con telescopi) all'aperto. 31.08: L'astronomia delle antiche civiltà 02.09: Apertura pomeridiana ore 17 07.09: Le atmosfere dei pianeti 14.09: Le Supernovae 21.09: Le stelle variabili 28.09: Il cielo degli africani Controllare sui siti eventuali

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appuntamenti successivi. È gradita la prenotazione inviando un sms o telefonando al 333/1731533 o via mail a planetario@comune.carrara.ms.it www.astrofilimassesi.it www.planetariocarrara.it

Planetario Civico di Milano Associazione LOfficina Situato nei Giardini Pubblici "Indro Montanelli" presso Porta Venezia. Le conferenze domenicali e gran parte di quelle del sabato sono dedicate all'osservazione e alla conoscenza della volta stellata (vedi programma nel sito). Il martedì e il giovedì sera, incontri a tema con astronomi ed esperti. Le attività pubbliche sono a cura dell’Associazione LOfficina. Per i successivi appuntamenti controllare il sito. Conferenze a tema, inizio ore 21:00: 06.09: ALBERT EINSTEIN: l’uomo, il genio, il mito, di Andrea Castelli Staff LOfficina 13.09: FOTONI, NEUTRINI E PROTONI: LA TERRA IN VIAGGIO NEL COSMO di Marco Giammarchi Università degli Studi di Milano 19.09: PIANETI IN FORMAZIONE VISTI DAL RADIOTELESCOPIO ALMA di Cesare Guaita 20.09: L’EVOLUZIONE STELLARE di Davide Cenadelli, Osservatorio Astronomico della Valle d’Aosta 25.09: MARTECHEF: COSA MANGEREMO SUL PIANETA ROSSO? Luca Perri, Silvia Kuna Ballero 27.09: DALL’ACQUA LIQUIDA SU MARTE ALLA SCOPERTA DI UNA GALASSIA GEMELLA DELLA VIA LATTEA. News dallo Spazio di Luigi Bignami In occasione del MEETmeTONIGHT Faccia a Faccia con la ricerca (www. meetmetonight.it). Ingresso gratuito fino esaurimento dei 375 posti disponibili 28.09, ore 16.30: UN GIORNO, UNA NOTTE: 10 MINUTI DI SPAZIO, a cura di Associazione LOfficina 29.09, ore 17.30: “LA FISICA DI STAR TREK” Motore a curvatura, teletrasporto, viaggi nel tempo... di Fabio Peri Manifestazioni speciali, inizio ore 21:00

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21.09, ore 21.00: STELLE E MUSICA RIVOLUZIONI PLANETARIE. Gustav Holst: The Planets, Suite op.32 per due pianoforti, Duo OM (Osaka/Milano), Aki Kuroda: pianoforte, Luca Schieppati: pianoforte, Introduce: Riccardo Vittorietti - Staff LOfficina. Con il patrocinio del Consolato Generale del Giappone a Milano 28.09, ore 19.30: NOTTURNO Dialogo tra Musica e Astronomia. Con Marco Mauro Moruzzi: violoncello, Denis Malakhov: pianoforte, Fabio Peri: planetario 29.09, ore 19.30: IMPRESSIONI DELLA SERA Dialogo tra Musica e Astronomia. Con Mariachiara Cavinato: soprano, Sinyeol Ryu: pianoforte, Fabio Peri: planetario Per informazioni: Tel. 02 88463340 - c.planetario@comune. milano.it www.comune.milano.it/planetario - LOfficina.eu

22:00. Per una migliore riuscita della serata, si prega di essere puntuali. 14.09: M31 Galassia di Andromeda e il Doppio Ammasso del Perseo 28.09: La Luna e Marte 12.09: M45 Le Pleiadi e-mail: info@associazioneastrofilibolognesi. it Seguici su Facebook - Programma 2018 www. associazioneastrofilibolognesi.it

I Giovedì dell'Astronomia

Ciclo di conferenze pubbliche a Padova Osservatorio Astronomico, Vicolo dell’Osservatorio 5, Padova, Aula Japelli. Ritornano alla Specola di Padova "I Giovedì dell'Astronomia", un ciclo di conferenze pubbliche e gratuite, nel corso delle quali le astronome e gli astronomi padovani racconteranno le ultime novità provenienti dalla Terra e dallo spazio. Prima di ogni Circolo Astrofili Veronesi conferenza sarà possibile, per chi lo desidera, una visita al Museo La “Antonio Cagnoli” Specola, con le stesse modalità Sede: Sale della III Circoscrizione, via Filippo Brunelleschi,12 Verona delle visite dei weekend. La visita inizierà alle 17:30 e avrà durata di (zona Stadio). Inizio ore 21:00. un’ora. Al termine di questa chi 14.09, ore 21:00: Uscita Osservativa con Telescopi al Passo vuole potrà assistere alla conferenza programmata, che è Fittanze 21.09: “L’astronomia tra scienza e gratuita per tutti. I biglietti per la visita al museo si acquistano dalle fantascienza” ore 17:15 in loco. Info: www. 22.09 ore 21:00: Incontri culturali beniculturali.inaf.it/eventi/iin Hotel: Corpi minori del sistema solare., presso Hotel Corte Ongaro, giovedi-dell-astronomia/ Via Scuderlando, 40, 37135 Verona 06.09, 18:30 "Le prime immagini di ExoMars Trace Gas Orbiter", VR. 28.09: “Determinazione dell’unità Gabriele Cremonese 20.09, 18:30 "Come nascono le astronomica” - metodo delle binarie di buchi neri?", Michela Cefeidi La Luna in Piazza Bra Osservazione Mapelli Le conferenze sono GRATUITE. gratuita con i telescopi della Luna Tel. 049 829 3449 - museo. al primo quarto e dei pianeti. laspecola@oapd.inaf.it 16.09: dalle 20:00 alle 23:00 www.beniculturali.inaf.it/musei/ Per info: tel. 3347313710 padova/ info@astrofiliveronesi.it www.astrofiliveronesi.it

Gruppo Astrofili Vicentini Associazione Astrofili Bolognesi

Tutti i martedì sera, dalle 21:00 alle 23:00, presso l’Osservatorio Astronomico “G. Beltrame” in Via S. Sede: via Serlio 25/2 - Bologna Le serate pubbliche in Osservatorio Giustina 127 ad Arcugnano (VI): (loc. Montepastore - via Varsellane Osservazione pubblica del cielo. - BO) iniziano alle 21:30. La sbarra L’osservatorio sarà aperto al pubblico. La partecipazione è di accesso sarà chiusa alle ore


ASTROINIZIATIVE UAI Unione Astrofili Italiani www.uai.it

I CONVEGNI E LE INIZIATIVE UAI 22-23 settembre 2° Meeting nazionale Sistema Solare Il Organizzato dalle Sezioni Sole, Luna e Pianeti, ad Acqui Terme, in collaborazione con l’Associazione Studi Astronomici http://pianeti.uai.it http://sole.uai.it http://luna.uai.it

gratuita e non è necessario prenotare. www.astrofilivicentini.it

Ogni venerdì, ore 21, apertura della Specola Cidnea del Castello di Brescia. Da maggio a settembre, ore 21, ogni sabato escluso l'ultimo sabato del mese, serate astronomiche all’Osservatorio Serafino Zani, colle san Bernardo, Lumezzane (Brescia). 20.09, ore 17.00: FONTE DI MOMPIANO, Via Fontane 48, Visita guidata (anche con pioggia). Presentazione del programma didattico per le scuole “La via dell’acqua”. Ingresso libero. Per tutte le attività in corso di aggiornamento consultare i siti. Per informazioni: Tel. 3485648190. e-mail: osservatorio@serafinozani. it - segnala@astrofilibresciani.it www.astrofilibresciani.it www.scienzagiovanissimi.it

Civico Planetario “F. Martino“ di Modena

La nostra Sede si trova in Salita Superiore della Noce 27/cancello, per le altre località vedi: http:// www.astropolaris.it/nfo_luoghi. shtml Le conferenze si tengono presso la sede, ove non diversamente specificato, inizio ore 21:30: 14.09, ore 21:30: OPEN NIGHT Presentazione programma attività annuali - serata aperta al pubblico. 28.09, ore 21:30: Corso da Sky watcher - il cielo autunnale/ invernale di Caterina Avanzino Eventi inizio ore 21:00: 21.09: Osservazione della Luna in Corso Italia, , davanti alla Chiesa di Boccadasse. Volantino: Luna in Corso Italia Per info: Tel. 346/2402066 Facebook: www.facebook.com/ astropolarisgenova www.astropolaris.it

gestito dal CeSDA Centro Sperimentale per la didattica dell’astronomia, si trova in Viale Jacopo Barozzi, 31 a Modena. Pomeriggi per le famiglie, per bambini dai 5 agli 11 anni, tutte le domeniche (due turni alle 15:30 e 16:30). 13.09, ore 21.00 - Mitologia del cielo stellato Una terrazza sul cielo con la dott.ssa Elena Ternelli 15.09, ore 20.30 - Osservo il cielo con il mio telescopio. Montare e mettere a punto il proprio strumento con Michele Donà 20.09, ore 21.00 - Costellazioni e miti d'autunno. Il cielo dell'equinozio con la Prof.ssa Ester Cantini 27.09, ore 21.00 - Esplorazione del cosmo Un viaggio nell'Universo con il dott. Michele Cifalinò Per ulteriori informazioni: e-mail: info@planetariodimodena.it Tel. 059 224726 (martedì e giovedì ore 10.30 - 12.30) www.planetariodimodena.it

Unione Astrofili Bresciani Centro Studi e Ricerche Serafino Zani

ATA - Associazione Tuscolana di Astronomia “Livio Gratton”

Associazione Ligure Astrofili Polaris

Nel Bresciano hanno luogo numerose serate astronomiche pubbliche.

L’ATA vuole rendere la scoperta dell’Universo una esperienza condivisa, mettendo in

connessione Associazioni, Scuole, Istituzioni, Enti culturali e di Ricerca, per far sì che… l’astronomia e la scienza siano patrimonio di tutti. L’ATA dispone di varie strutture e sedi per le sue attività, prima fra tutte l’Osservatorio Astronomico F. Fuligni, ospitato presso il Comune di Rocca di Papa (frazione Vivaro). Programma AstroIncontri c/o Osservatorio “Fuligni” – Ore 21:00 07.09: Il James Webb Telescope: un degno successore per l’Hubble 21.09: L’Astronomia a Roma tra XVIII e XX Secolo Per tutte le serate è OBBLIGATORIA la prenotazione (richiesta anche ai Soci ATA), da effettuarsi ENTRO il giorno precedente l’attività, anche solo via mail. Per informazioni : segreteria@ataonweb. it - tel 06.94436469 www.ataonweb.it

Al Planetario di Ravenna Attività del Planetario di Ravenna (V.le Santi Baldini 4/a) in collaborazione con l’Associazione Ravennate Astrofili Rheyta. Le osservazioni si tengono presso i Giardini Pubblici con ingresso libero, meteo permettendo. Inizio ore 21:00, prenotazione consigliata. Tutti i lunedì mattina, ore 10:30: Il cielo per i più piccoli: le costellazioni estive, spettacolo in cupola adatto ai bambini a partire da 6 anni. 04.09: L’altra parte della Luna di Agostino Galegatti 11.09: Scusi, vado bene per Orione? Un giro tra le poesie, pensieri notturni e storie matte di Livia Santini e Oriano Spazzoli 18.09: La Luna, le sue curiosità e l’eclissi di Luna di Claudio Ballella 21.09: Osservazione pubblica della volta stellata 25.09: L’Equinozio d’Autunno di Massimo Berretti 30.09 ore 10:30: Osservazione pubblica del Sole Per info: tel. 0544.62534 info@arar.it www.racine.ra.it/planet - www. arar.it www.coelum.com

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stellato attraverso un viaggio virtuale nel Planetario digitale e visitare una cupola dell’Osservatorio, osservando con il telescopio rifrattore più grande Infini.to si trova sulla cima di una d’Italia. In caso di maltempo collina nel comune di Pino Torinese, a una distanza di circa 10 l’osservazione diretta del cielo km dal centro della città di Torino e sarà sostituita da una visita storica alla cupola dell’Osservatorio. di circa 6 km dal centro della 23.09, ore 16:00: Spazio robot, cittadina di Chieri, in Via programma il tuo veicolo spaziale. Osservatorio 30. Per adulti e ragazzi da 11 anni. Cinema sotto le stelle Tutti i N.B. Verificare sul sito del venerdì sera fino al 14 settembre planetario programmi, requisiti, una rassegna di film proiettati all’aperto sulla splendida terrazza costi, prenotazione e altre del Museo. In caso di brutto tempo indicazioni per ogni attività. INFO/ Tel. 011.8118740 il film verrà proiettato all’interno info@planetarioditorino.it del Planetario. Il tema della rassegna 2018 sono i Grandi della www.planetarioditorino.it Scienza. Planetario di Padova 21.09: Un cielo di stelle al Parco Astronomico. Serata speciale in cui presso il parco “Ex macello” in Via Alvise Cornaro 1, Padova sarà possibile esplorare il cielo

Infini.to Planetario di Torino Museo dell’Astronomia e dello Spazio

ESTATE 2018 AL PLANETARIO Quest'anno il Planetario di Padova propone un'offerta ricca e diversificata per l'estate. Ogni venerdì sera (escluse le serate impegnate da eventi speciali), ore 21.30: impariamo a riconoscere la Stella polare, l'Orsa Maggiore, ammassi di stelle e nebulose con la spiegazione in cupola e a seguire osservazione del cielo ai telescopi (in caso di meteo sfavorevole dopo la spiegazione verrà proiettato il filmato “Stars”). 13.09, ore 21.00: PAROLE NOTE: i brani più belli della letteratura legati alle stelle in un readingshow accompagnato da un dj set sorprendente ed immagini evocative. Maurizio Rossato: dj audio e video, Giancarlo Cattaneo (Radio Capital), reader. Luca Nobili:

La mostra “Viaggiatori del Cosmo – meteoriti & Co.” ci traghetta verso la commemorazione nel 2019 dei cinquant’anni dalla conquista della Luna, offrendo ai visitatori un campione di messaggeri celesti che portano il richiamo misterioso dello spazio profondo, studiato da astronomi, fisici e chimici e dipinto quale nuova frontiera per l’uomo nei film e romanzi di fantascienza. Pezzi di roccia e metallo non sono più fiaccole appese a sfere celesti che eternamente girano sopra al mondo mortale, bensì luci degli infiniti mondi sognati. La mostra ci racconta la storia dell'universo e della vita sulla terra attraverso una serie di postazioni interattive. Protagoniste assolute, le meteoriti, di cui è presente una vasta collezione. Prendendo spunto da importanti eventi astronomici (nel 2018 la NASA metterà in orbita il satellite Sentinel per scoprire asteroidi potenzialmente pericolosi per la vita sulla Terra; il 2018 e il 2019 vedranno delle eccezionali eclissi lunari totali) e anniversari significativi (il 20 luglio 2019 si celebrano i 50 anni dallo sbarco sulla Luna), la mostra presenta le caratteristiche di questi corpi celesti minori, veri e propri viaggiatori del cosmo, dalla grande valenza scientifica, spesso legati all’immaginario collettivo in quanto protagonisti di eventi storici, di film catastrofici e di leggende. L’esposizione accosta a questi aspetti antropologici, informazioni scientifiche generali e di dettaglio. Da martedì a venerdì: 10.00-12.00 e 14.30-17.30 Sabato e domenica: orario continuato 10.00-18.00 Lunedì aperto solo per le scolaresche

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Per maggiori info: 0423 300465 – info@museomontebelluna.it

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regia video della cupola. Prenotazioni, costi e informazioni: sul sito del planetario oppure: segreteria@planetariopadova.it tel. 049773677 www.planetariopadova.it

7-9.09: 27° Star Party a SaintBarthélemy tre giornate di osservazioni, seminari, fotografia astronomica

Informazioni e prenotazioni: Tel. +39 0165 770050 - Cell. 333 6574963 Gruppo Astrofili Lariani Sede operativa: Via Patrizi, c/o Villa e-mail: info@oavda.it www.oavda.it Giamminola, Via Cavour, 13 Albavilla (Como). La Sede Sociale è aperta tutti i venerdì sera, dalle ore Planetario e Osservatorio 21.00 alle ore 23.00: venite a Astronomico Cà del Monte trovarci! Vieni a conoscerci e scopri le Il 15 settembre apertura pubblica attività dell’Osservatorio. presso l'Osservatorio sociale, Osservazioni del Sole domenica 2 e situato sul monte Calbiga. La serata 15.09 dalle 16:00. sarà dedicata all'osservazione di Conferenze, inizio ore 21:30: Giove al tramonto e della Luna al primo quarto. L'osservazione è 01.09: “Pianeti: ultima chiamata” e libera e gratuita per tutti: per osservazione guidata notturna al partecipare sarà sufficiente telescopio presentarsi presso l'Osservatorio 07.09: “Tribù stellari: ammassi alle ore 21.30, orario di inizio della globulari e aperti di fine estate” e serata. osservazione guidata notturna al Per informazioni: Tel 347 telescopio 6301088 - info@astrofililariani.org 08.09: Urano e Nettuno, i giganti Facebook https://www.facebook. gassosi ai confini del Sistema com/gal.gruppoastrofililariani Solare” e osservazione guidata al Twitter @astrofilicomo telescopio www.astrofililariani.org 14.09: “Miti e Costellazioni d’autunno” e osservazione guidata notturna al telescopio Fondazione Clément 15.09: “Viaggi Interstellari” e Fillietroz-ONLUS osservazione guidata notturna al Osservatorio Astronomico della telescopio Regione Autonoma Valle d'Aosta, sito nella valle di Saint-Barthélemy. 21.09: “Equinozio d’autunno: equilibrio tra luce e buio” e Tutto l’anno ogni sabato: visite osservazione guidata notturna al guidate diurne e notturne in telescopio Osservatorio Astronomico e 22.09: “Alla conquista di Marte” e proiezioni al Planetario. Tutti gli osservazione guidata notturna al eventi e le visite richiedono la telescopio prenotazione. 28.09: “Il Cielo e le costellazioni di Ottobre” e osservazione guidata 1 e 2. 09: 5° Astronomical Science notturna al telescopio & Technology Expo la fiera 29.09 ore 11:00 INAUGURAZIONE nazionale dell’astronoma a DEL SENTIERO DEI PIANETI Questa Volandia, Parco e Museo del Volo

attività rientra nell’ambito di AttivAree, un programma intersettoriale di Fondazione Cariplo - Progetto Oltrepo’ BioDiverso 29.09 ore 21:30: PASSEGGIATA NOTTURNA “Notte da lupi” e osservazione guidata notturna al telescopio 30.09 ore 15:30 PASSEGGIATA “Uomo e Natura, chi sopravviverà?” e osservazione guidata del Sole al telescopio. Locandina con il programma completo www.osservatoriocadelmonte.it

Gruppo Astrofili DEEP SPACE Il Planetario di Lecco, Corso Matteotti 6, è aperto il venerdì alle ore 21:00 e la domenica alle ore 16:30, il primo sabato del mese è dedicato ai bambini (fascia d’età dai 3 ai 7 anni). Conferenze e osservazioni pubbliche, Inizio ore 21:00: 14.09: Serata di osservazione astronomica dal piazzale di partenza della funivia dei Piani d’Erna (la partecipazione è gratuita). 21.09: “La visione dell'Universo da Talete all'energia oscura” di Loris Lazzati. 28.09: “Vivere nello spazio: utopia o realtà possibile?” di Laura Proserpio , Ingegnere aerospaziale e astrofisica. Per aggiornamenti, informazioni e dettagli, consultate sempre il nostro sito internet e i nostri social negli appositi spazi! Per info: Tel. 0341.367584 www.deepspace.it

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Eventi al Gal Hassin 8 e 9 settembre 8 settembre ore 10:00: “Il Sole e dintorni” Osservazioni con i telescopi del GAL Hassin Astronomia in Planetario “L’altra metà del Cielo” ore 17:00: Paolo Nespoli si racconta: la mia VITA sulla Stazione Spaziale Internazionale interviene Roberto Battiston Presidente Agenzia Spaziale Italiana Assegnazione PREMIO GAL HASSIN 2018 ore 21:00 STARLIGHT – settemillimetridiuniverso Spettacolo teatrale di e con Filippo Tognazzo Zelda Compagnia teatrale 9 settembre ore 10:00: “La nostra stella: il Sole” Osservazioni del Sole con i telescopi del GAL Hassin Le ombre del Tempo: Gli orologi del GAL Hassin ore 17:00 Meteoriti: testimoni di ciò che fu quando tutto era in divenire Conferenza di Giovanni Pratesi ore 18:00 Storia sentimentale con l’Astronomia Sabrina Masiero intervista Piero Bianucci ore 19:00 Sotto il cielo di Primo Levi Conferenza di Piero Bianucci

Sarzana Festival della Mente 31 agosto - 1/2 settembre Tre giornate in cui relatori italiani e internazionali propongono incontri, letture, spettacoli, laboratori e momenti di approfondimento culturale, indagando i cambiamenti, le energie e le speranze della società di oggi, rivolgendosi con un linguaggio accessibile al pubblico ampio e intergenerazionale. Segnaliamo il 1 settembre alle 12:00 al Canale Lunense a Sarzana: “Gli Argonauti alla ricerca della materia oscura”. Cristiano Galbiati, parlerà di comunità, in particolare della sua: un’intera comunità di fisici alle prese con la costruzione di strumenti di precisione per catturare i segnali della materia oscura nei laboratori del Gran Sasso dove nascerà DarkSide, uno dei programmi più avanzati al mondo per la ricerca della materia oscura.

Spazio cosmico e immaginario poetico dal 16 maggio In occasione della Prima giornata mondiale della luce, apre a Torino, nei locali del Museo di Infini.To, la mostra delle migliori immagini selezionate dalla giuria del concorso “2015: Anno della Luce Cosmografie: spazio cosmico ed immaginario poetico” La mostra è esposta all’interno del Museo di Infini.to. È visitabile liberamente dal 16 maggio 2018 durante gli orari di apertura standard e straordinari. Per poter accedere allo spazio mostra è necessario essere muniti del biglietto di ingresso al Museo o del biglietto evento in caso di aperture straordinarie. Per informazioni: http://www.planetarioditorino.it/infinito/

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di Giorgia Burzachechi

Mancano ormai pochi giorni alla Notte Europea dei Ricercatori, la notte dell’ultimo venerdì di settembre promossa fin dal 2005 dalla Commissione Europea, in cui la scienza e i ricercatori si riversano nelle strade delle città e le porte dei laboratori si aprono al pubblico per diffondere la cultura scientifica e promuovere tra i più giovani le carriere scientifiche. Sono 27 i Paesi che aderiscono all’iniziativa, circa 350 le città europee, oltre 20.000 i ricercatori e le ricercatrici coinvolti e più di un milione di persone partecipanti. Frascati Scienza è uno dei nove progetti italiani della call Horizon 2020 nell’ambito delle azioni Marie Skłodowska–Curie finanziati dalla Commissione Europea, e anche il più anziano del

gruppo. È stata la prima associazione italiana, infatti, ad aderire al progetto europeo e quest’anno sta per tornare con la 13° edizione che coinvolge numerosissimi enti, associazioni e istituti di ricerca dell’area tuscolana, della Capitale e di tante altre città sparse da Nord a Sud della Penisola.

L’evento clou si avrà venerdì 28 settembre, data della Notte Europea dei Ricercatori, ma attività sono previste dal 22 al 29 settembre, all’interno della ormai tradizionale Settimana della Scienza.

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BEES Il tema per il biennio 2018/2019 è BE a citizEn Scientist, abbreviato in BEES, dedicato alla citizen science e ai numerosi effetti positivi che il coinvolgimento del pubblico offre ai processi scientifici e viceversa. L’acronimo stesso vuole sottolineare la similitudine con la società organizzata delle api in cui ogni singolo componente è importante e funzionale al benessere della comunità tutta. Negli anni, Frascati Scienza, con la costante attività di divulgazione scientifica, ha sdoganato la figura del ricercatore, portando prima il pubblico all’interno dei laboratori dei principali enti di ricerca presenti alle porte di Roma nell’Area Tuscolana, sede di uno dei poli scientifici più grandi d’Europa, dove sorge Frascati, la cittadina dei Castelli Romani divenuta centro del cuore pulsante del progetto. Poi sono state le ricercatrici e i ricercatori a “invadere” le strade e le piazze con esperimenti hands-on, conferenze a tema, presentazioni di libri, quiz, aperitivi scientifici. Fino ad arrivare, come nella scorsa edizione, allo “scienziato di

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strada”: i lavoratori del mondo della ricerca si sono messi a disposizione dei cittadini per rispondere, ognuno con le proprie competenze, alle curiosità delle persone che incontravano lungo il proprio cammino nelle città. L’edizione di quest’anno vuole cambiare ancora una volta paradigma e accorciare di più le distanze tra il mondo della ricerca e il pubblico: con la citizen science si possono concretizzare scoperte scientifiche di cui tutti possono godere e sentirsi reali protagonisti, in un processo di condivisione di un bene comune, qual è la ricerca. I cittadini, in particolare i più giovani e gli studenti, verranno coinvolti nella raccolta e nell’utilizzo dei dati scientifici, acquisendo nuove conoscenze in diversi ambiti e discipline. Questa edizione, inoltre, si inserisce nell’ambito delle celebrazioni dell’Anno Europeo del Patrimonio Culturale, valorizzando i luoghi della cultura e, in particolare, quella scientifica, importante patrimonio della collettività.


Un po’ di storia della citizen science Esempi di citizen science nella storia sono stati numerosi, ma forse il più iconico è quello che prese vita agli inizi del secolo scorso e che ancora oggi persiste, attraverso l’iniziativa della National Audubon Society, un’associazione statunitense da sempre impegnata nella preservazione della biodiversità. L’associazione oggi, così come allora, ogni Natale incoraggia volontari birdwatcher a contribuire al Christmas Bird Count, il conteggio degli uccelli, con un coinvolgimento alla partecipazione sul campo. Ma è soprattutto a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso, con la diffusione di Internet su larga scala, che la scienza partecipata si diffonde, grazie ai contributi online. Numerosi e particolarmente rappresentativi, sono gli esempi di citizen science applicati all’astronomia. Nel 2001 fu la celebre Università di Harvard a lanciare un progetto collettivo, il Digital Access to a Sky Century @ Harvard (DASCH). Sono centinaia di migliaia le galassie fotografate su lastre tra il 1885 e il 1995 appartenenti all’Harvard College Observatory, una risorsa inestimabile per la conoscenza dell’Universo. L’università di Harvard sta provvedendo alla digitalizzazione di tutte queste informazioni, ma per quanto riguarda i dati relativi le lastre, presenti nei registri, ad oggi non

esiste macchina migliore dell’occhio (e della mente) umana per la trascrizione dei dati scritti negli anni a mano. I cittadini sono invitati su base volontaria, ad aderire al progetto trascrivendo, revisionando o validando il lavoro di altri colleghi volontari. Del 2007 è Galaxy Zoo 1, un progetto di scienza partecipata che fin dalla prima edizione ha potuto contare su una vasta comunità di collaboratori. Un gruppo di astronomi decise di lanciare in internet una call per visionare le immagini della banca dati del telescopio Sloan Digital Sky Survey e classificare un campione di oltre 1 milione di galassie. Il progetto si rivela un successo e, nel solo primo anno, sono circa 150.000 i volontari. Le modalità di partecipazione sono semplicissime: basta superare un breve test online d’ingresso e si può iniziare il lavoro di catalogazione. Ovviamente sono previsti semplici ma funzionali sistemi di controllo e verifica delle informazioni inserite dai numerosi collaboratori. Alla prima sono seguite altre due fasi di progetto, una del 2009, Galaxy Zoo 2 e l’altra del 2010, Galaxy Zoo Hubble dedicata alla catalogazione dei i dati del telescopio spaziale Hubble. Numerosissime sono le pubblicazioni prodotte grazie al contributo di tutti i volontari.

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Da questo progetto, nel 2009, è nato Zoouniverse il portale di scienza partecipata che oltre ad ospitare Galaxy Zoo presenta moltissimi altri progetti di ricerca aperti al pubblico generico, dedicati non solo all’astronomia ma anche all’arte, alla biologia, al clima, alla storia, alle traduzione delle lingue antiche e molto altro, che possono contare ad oggi su una comunità di oltre 650.000 collaboratori. Zoouniverse nasce da un progetto della Citizen Science Alliance, alleanza costituita dall’unione di

numerose istituzioni tra cui University of Nottingham, ETH Zurich, Oxford University, Adler Planetarium, University of Minnesota, Johns Hopkins University, Vizzuality, Academia Sinica Institute of Astronomy and Astrophysics e University of Portsmouth. Ma tantissime altre sono le associazioni e gli enti che continuano a lanciare progetti di ricerca partecipata nei più disparati campi della conoscenza.

Obiettivi condivisi È evidente che la ricerca non potrà mai, per definizione, prescindere dalla figura del ricercatore, ma un sistema di coinvolgimento dal basso contribuisce la diffusione della cultura scientifica. In particolare diviene per i più giovani un ottimo strumento per assimilare competenze scientifiche direttamente sul campo e fa sì che possano trarre soddisfazione dall’aver contribuito attivamente alla realizzazione di una ricerca. I progetti di citizen science hanno, infatti, il triplice obiettivo di supportare lo sviluppo della ricerca scientifica, stimolare la curiosità nel grande pubblico e allo stesso tempo assolvere a una funzione educativa per i cittadini.

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Obiettivi pienamente condivisi da Frascati Scienza, da tutti i suoi soci e dal corposo partenariato che anche quest’anno l’accompagna, così come hanno dimostrato in tutti questi anni di attività. Non rimane, quindi, che aspettare la Settimana della Scienza e il suo evento principale, la Notte Europea dei Ricercatori, per assistere a tutte le attività che l’associazione ha in serbo per questa edizione.

Per il programma, consultare il sito web www.frascatiscienza.it


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