Contadini, l’eredità della transizione corpi e fantasmi nella spagna contemporanea

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L’eredità della Transizione: Corpi e fantasmi nella Spagna contemporanea Luigi Contadini

1. Una scelta obbligata La Transizione costituisce un avvenimento unico nella storia della Spagna contemporanea, crocevia fondamentale per ciò che concerne non solo la politica, ma anche la letteratura, l’arte, la cultura 1. Evento divenuto sempre più emblematico delle speranze ma anche delle delusioni della nazione spagnola, la Transizione, che ha tentato di chiudere i conti col franchismo e con la Guerra Civile, è un lascito pesante intorno al quale, specialmente nell’ultimo decennio, si è scritto e dibattuto moltissimo, ma che presenta tuttora lati oscuri o sconosciuti. Più che mai riguardo i periodi di crisi e di forti cambiamenti, nei discorsi letterari si rif lettono le tracce dei discorsi sociali e le ideologie soggiacenti. La letteratura in questi casi assume anche un ruolo testimoniale diventando cronaca del tempo e cercando allo stesso tempo di trascenderne i limiti 2.

La Transizione indica generalmente quella serie di passaggi politico-istituzionali, iniziati con la morte di Francisco Franco il 20 novembre del 1975, che hanno portato la Spagna dalla dittatura alla democrazia, sancita con l’approvazione della nuova Costituzione nel dicembre del 1978. Sono molti gli studiosi che, però, suggeriscono di ampliarne i limiti temporali. Varie le soluzioni proposte che spostano la fine della Transizione per lo meno al fallito golpe del colonnello Tejero del 23 febbraio del 1981 o alla vittoria dei socialisti di Felipe González alle elezioni del 1982 o al compiuto processo di europeizzazione e occidentalizzazione avvenuto nel 1986 con l’ingresso della Spagna nella Cee e nella Nato. 2 J. Gómez-Montero, Crónica parcial de la memoria literaria de la Transición española, in Id. (a cura di), Memoria literaria de la Transición española, Iberoamericana Vervuert, Madrid-Frankfurt 2007, p. 8. «Ciertamente la literatura cumple mejor el cometido del recuerdo que la historia […]. La literatura, sus palabras y sus construcciones, nos hablan no sólo de lo que pudo ocurrir, sino de lo que podría ocurrir en el futuro si prestáramos debida atención a sus elaboraciones. La relación literaria es de empatía con quien no tiene voz, con el desaparecido o con el largo tiempo muerto […]. Lo literario vadea esta distancia infranqueable entre nuestra presencia en el hoy y la ausencia de los muertos, recuperando simbólicamente un diálogo con el pasado de otro modo imposible» (T. Aguado, Modelos emocionales de memoria, in P. Álvarez-Blanco e T. Dorca (a cura di), Contornos de la narrativa española actual (2000-2010), Iberoamericana Vervuert, Madrid-Frankfurt 2011, p. 47). 1

1


Opportuno è il suggerimento di alcuni s tudiosi di anticipare il limite d’inizio

della

Transizione ,

coinvolgendo

anche

l’epoca

del

tardo

franchismo 3 , poiché, sebbene sia ancora intatta la struttura dittatoriale sorta in seguito alla guerra civile, dal punto di vista sociale, culturale e dei linguaggi letterari già fin dagli inizi degli anni Settanta si notano suggestive variazioni 4 , anticipazioni e visioni premonitrici in opere che tendono a rappresentare simbolicamente e profeticamente ciò che di lì a poco sarebbe accaduto: il silenzio e la dime nticanza in cui i traumi della guerra e della repressione sarebbero stati r elegati in cambio di una nuova convivenza pacifica della Spagna nell’ambito delle nazioni evolute dell’occidente europeo. Ne nascono opere che, con Franco ancora in vita, rivelano l’intuizione che la morte del dittatore non sarebbe bastata a fare luce sul passato 5, e alludono più o meno esplicitamente a una disputa (oggigiorno ancora in atto) tra amnesia volontaria o imposta e l’inquieta necessità di raccontare un passato traumatico che pulsa nascosto sotto la falsa retorica della riconciliazione e del perdono. Nell’ottobre del 1977 il governo di Adolfo Suárez promulgava la Legge

di

Amnistia

(dichiarata

oggi

incompatibile

con

il

Diritto

Internazionale, ma ancora saldamente in vigore) che, se da un lato liberava gli oppositori del regime franchista da qualsiasi tipo di accusa, dall’altro vietava tassativamente di indagare sui crimini perpetrati da quello stesso

«El dictator murió en la cama (de un hospital), pero su legado había empezado a descomponerse en vida. El mayo del 68 se produjo en las universidades españolas en 1966 y continuó celebrándose hasta la desaparición de la dictadura» (E. Bou e E. Pittarello, Introducción: las claves de la Transición, in E. Bou e E. Pittarello [a cura di], (En)claves de la Transición. Una visión de los novísimos. Prosa, poesía, ensayo, Iberoamericana Vervuert, MadridFrankfurt 2009, p. 9). Alcuni storici parlano di «pretransizione», indicando il 1969 come anno decisivo: viene alla luce il «caso Matesa» (uno scandalo politico economico di enormi dimensioni), si dichiara lo stato di emergenza, avviene un cambio di governo e, con la legge di successione, il futuro re Juan Carlos è proclamato erede dello stato spagnolo da parte del dittatore. Sarebbe così iniziato il tramonto del regime (ivi, p. 22). 4 Ne è un esempio la nota antologia di M. Castellet, Nueve poetas novísimos españoles, del 1970, che a detta di molti costituisce uno degli snodi fondamentali per il nuovo corso della letteratura spagnola: la antologia «implicaba una roptura a partir de nuevas tendencias expresivas, de referencialización y de subjetivación (postvanguardismo, culturalismo, medialización, constructivismo imaginativo, etc.)» (J. Gómez-Montero, Crónica parcial de la memoria literaria de la Transición española, cit., p. 12). Si veda anche E. Bou e E. Pittarello, Introducción, cit., pp. 8-10. 5 «La proclividad al olvido que condicionó la metamorfosis del régimen de Franco se había anunciado durante un largo período de tiempo» (J.R. Resina, Faltos de memoria, in J. Gómez-Montero [a cura di], Memoria literaria de la Transición española, cit., p. 26). Resina, inoltre, indica l’economia quale vero traino della Transizione (ivi, p. 27). 3

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regime (compresi omicidi, torture, sevizie, ricatti, sparizioni, ecc.). Ciò per favorire la riconciliazione nazionale e la creazione di un nuovo clima di concordia su cui fondare un sistema politico in linea con le democrazie occidentali. Questa scelta diede luogo ad un atteggiamento oltre che politico anche culturale chiamato pacto del olvido, con l’ovvio riferimento alla necessità di dimenticare tutti i crimini del franchismo. Ma, come avverte Ranzato, durante la Transizione le forze spiegate nel campo politico,

i

dialoganti

dell’una

e

dell’altra

parte

che

puntavano

al

superamento necessario del franchismo, non erano equilibrate perché tra loro c’era chi controllava le risorse dello Stato, comprese le sue forze armate, e chi no. E tutti sapevano che la struttura dello Stato, specialmente amministrativa e militare , non era favorevole ad una democrazia che prevedesse un’indagine sul passato (il franchismo governò generalmente secondo il modello dei vincitori che dominano sui vinti), per ottenere la quale sarebbe stato necessario pagare un prezzo forse troppo alto. Questo dato fondamentale , continua Ranzato, confuta l’immagine edulcorata della presunta maturità civile e politica degli spagnoli che per saggia e libera scelta avrebbero preferito dimenticare i torti subiti con lo scopo di edificare insieme un nuovo sistema di convivenza democr atica 6. Molte vicende occorse in quegli anni mostrano come l’atmosfera che si viveva fosse satura di minacce che rendevano accidentato il cammino verso la democrazia. Ciò costituiva un vero e proprio ricatto oggettivo e sanciva la sostanziale impossibilit à di respingere le condizioni imposte dagli eredi di Franco per il passaggio al dopo Franco. Si diffuse, così, la chiara consapevolezza tra gli spagnoli che la strada dell’amnistia voluta da Adolfo Suárez era l’unica possibile e che qualsiasi alternativa p oteva portare il paese sull’orlo del baratro, come era successo nel 1936 7 . La Transizione, dunque, non fu un processo armonioso e consensuale. La

G. Ranzato, Il passato di bronzo. L’eredità della guerra civile nella Spagna democratica, Laterza, Roma-Bari 2006, pp. 12-18. Ranzato motiva ampiamente la sua tesi analizzando attentamente i risultati delle elezioni politiche del 1977, i sondaggi sulla riconciliazione eseguiti in quell’epoca, gli svariati tentativi di golpe che si succedettero negli anni della Transizione e, infine, le manifestazioni di insubordinazione e di intolleranza esibite frequentemente dall’esercito (ivi, pp. 19-40). 7 Cfr. ivi, pp. 23-24. 6

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paura di un nuovo intervento dell’esercito era molto concreta e palpabile. Questo clima si è protratto anche d urante i governi socialisti di Felipe González che si è guardato bene dal mettere le mani sul passato poiché, come ha dichiarato egli stesso in più di un’occasione, avrebbe rischiato di perdere il consenso dell’elettorato moderato che vedeva nel nuovo part ito socialista un’occasione per condurre la Spagna sul sentiero europeo della modernità, ma che non ne voleva sapere di crimini e di traumi e non aveva alcuna intenzione di andare a «rivangare un passato» che doveva essere definitivamente messo da parte pe r poter guardare con ottimismo al futuro 8. Ciò che i detentori del potere hanno esortato a fare, dunque, è stato di ignorare intenzionalmente quegli aspetti del passato che avrebbero potuto mettere in pericolo la convivenza tra gli eredi dei vincitori e gl i eredi dei vinti della Guerra Civile. Non si è trattato, quindi, di dimenticanza, ma, piuttosto, di memoria invasiva, troppo intensa e vivida con il suo carico di lutti e sofferenze, la quale, rischiando di debordare, doveva rimanere silenziosa e invisibi le 9. Un esempio di ciò lo troviamo in quel romanzo straordinario che è El cuarto de atrás (1978) di Carmen Martín Gaite (1925-2000), opera in cui si incontrano generi narrativi molto diversi. La scrittrice inizia la stesura nel 1975 proprio all’indomani d ella

morte

di Franco e quindi la

sua

elaborazione coincide proprio con le fasi più salienti della Transizione. L’autrice racconta di essersi resa conto, guardando in televisione i solenni funerali del dittatore, che la fine del franchismo coincideva propri o con il compimento dei suoi cinquant’anni, un’età in cui si fanno bilanci. La scomparsa di Franco, quindi, significava la chiusura di un’epoca della storia e la chiusura di un’epoca della propria vita: «Franco había parado el tiempo, y precisamente el día que iban a enterrarlo me desperté pen sando eso con una particular intensidad […], estaba a punto de cerrarse un ciclo de

Alcuni commentatori, non senza malizia, sottolineano come il Partito Socialista si sia «ricordato» del passato solo in seguito alla sconfitta nelle elezioni del 1996 (dopo quattordici anni di governo ininterrotto), vinte dal Partito Popolare di José María Aznar, e abbia così iniziato ad incamerare nei suoi progetti politici la questione della memoria storica, fino a quel momento totalmente trascurata. 9 Cfr. ivi, p. 45. 8

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cincuenta años […]. Fue cuando me di cuenta de que yo, de esa época, lo sabía todo, subí a casa y me puse a tomar notas en un cuaderno » 10. La storia viene inglobata, pertanto, nell’ambito dei ricordi privati: la storia, narrata in forma autobiografica, si fa piccola, non supera i limiti della «stanza sul retro». È lì, infatti, che si mantiene la memoria, in quella specie di ripostiglio, r ifugio simbolico degli spagnoli dell’epoca. E i ricordi personali, in questa fase delicatissima, non possono essere stimolati o provocati, non servono a fare luce sul passato. Possono solo affiorare spontaneamente

attraverso

associazioni

libere

manifestand o

fenomenologicamente l’aspetto intermittente e precario della memoria individuale. Ed è emblematico che per parlar e di sé e della storia del suo paese, Carmen Martín Gaite scriva un romanzo che mescola il genere autobiografico con quello fantastico. Ma se la memoria rimane confinata in un ambito ristretto, privato, senza essere elaborata e confrontata con la storia, oltre a un senso di ingiustizia e di deprivazione, restituisce corpi smembrati e provoca fantasmi che escono dai confini delle mura domestic he e si aggirano per le strade delle città mantenendo una nazione sotto un perenne incantesimo.

2. Le ombre di Cerbero Un testo emblematico, se non addirittura profetico, riguardo il periodo e gli effetti della Transizione è il primo romanzo di Juan José Millás (1946), Cerbero son las sombras , pubblicato proprio nel 1975, pochi mesi prima della morte di Franco. In linea co n le caratteristiche dell’autore, quest’opera rappresenta l’aspetto più sinistro, torbido e insondabile del processo che vede la Spagna tardofranchista avviarsi verso un cambiamento epocale. Rappresenta ciò che non appare nelle dichiarazioni ufficiali e se mbra stridere con l’idea ottimista e fiduc iosa del nuovo percorso che il p aese sta per intraprendere. È la parte in ombra , minacciosa e terribile, che rimane

10

C. Martín Gaite, El cuarto de atrás, Destino, Barcelona 1994, pp. 133, 136 e 138.

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in agguato non negli spazi pubblici dove si celebra il cambiamento, ma nell’intimità delle case e nella memoria personale nelle quali regna, paradossalmente, un’atmosfera di sconfitta e di rassegnazione. Il romanzo si sviluppa come una lunga lettera che il protagonista narratore senza nome rivolge al padre, nella quale racconta il passato della propria famiglia, un passato di fughe e di persecuzioni (chiaramente allusive alla storia recente della Spagna, sebbene non esplicitamente menzionate), di paura e di solitudine. Uno dei fatti più significativi di tale articolato racconto, che non segue l’ordine c ronologico, riguarda la decisione di Jacinto, il fratello minore del protagonista narratore, ancora adolescente, di fuggire e abbandonare la famiglia, nonostante una malattia che lo affligge, per cercare di sottrarsi al destino tragico che la attende. Ma dopo

alcuni

giorni

il

protagonista

scopre

casualmente,

guardando

attraverso uno specchio, il corpo del fratello nascosto sotto il letto, svelando così la sua falsa fuga. Tale scoperta infrange un tabù poiché costringe il protagonista, quale moderno Perseo, ad orientare lo specchio verso una zona proibita, quel rettangolo nero dove si nasconde la paura più profonda, dove Cerbero è sempre in agguato, lo spazio vuoto tra la rete del letto e il pavimento. Il protagonista, che per alcune notti aveva dormito proprio

su

quel

letto

credendo

di

essere

solo,

rabbrividisce

retrospettivamente al pensiero di aver dormito, ignaro, a pochi centimetri dal fratello. A pochi centimetri, dunque, dall’angoscia e dalla malattia, da ciò che è impossibile guardare direttamente, con tenuto in quella zona sempre latente dove la ragione cessa e inizia il mistero insondabile: «Fue entonces cuando oí con toda claridad un ruido no clasificado, que me hizo girar el espejo hacia el borde de la cama, y en seguida un poco más abajo, hacia el rectángulo negro del miedo más vulgar: el espacio libre entre el somier y el suelo» 11. Svelata la finta fuga, la madre decide di curare e accudire Jacinto, la cui malattia va peggiorando, chiudendolo in una stanza e impedendo a tutti i componenti della famiglia di entrarvi, riservando l’accesso solo a se stessa.

11

J.J. Millás, Cerbero son las sombras, Alfaguara, Madrid 1989, p. 29.

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La porta chiusa assume così l a funzione di nuovo limite del mondo al di là del quale è impossibile accedere e dove Cerbero vigila minaccioso 12. Ma il protagonista compie un’altra decisiva trasgressione. Dopo aver sottratto di nascosto la chiave alla madre, penetra nella stanza proibita alla ricerca del fratello trovandolo, però, non sul letto a riposare, come si aspettava, ma dentro l’armadio, deceduto da tempo e ormai quasi decomposto nonostante l’estremo pietoso tentativo della madre di preservarne le sembianze e scacciarne l’odore di morte: «Tenía las manos colocadas sobre el pecho, tal como las estampas cristianas nos muestran a los que mueren en gracias de Dios […] su boca estaba enormemente abierta y llena hasta rebosar de trapos empapados

en colonia, que

luchaban contra

el

olor de

la

decomposición» 13. L’armadio, così come la zona oscura sotto al letto, costituisce per Millás un ambito assai speciale, riproposto insistentemente nelle sue opere successive e in questo primo romanzo introdotto sapientemente. È l’altra parte della realtà, il punto di vista ribaltato, zona liminare in cui la ragione si diluisce e acquistano forma le emozioni più improvvise, inaspettate e, a volte, devastanti, come in questo caso la paura, la malattia o la visione della morte. L’occultamento del cadavere di Jacinto diventa emblematico della coscienza collettiva della società spagnola costretta a nascondere le proprie tragedie e a fingere che nulla sia successo. Ma soprattutto è emblematica la figura ideale di Cerbero, rappresentato attraverso le ombre oscu re della paura, il tabù che protegge e impedisce la rivelazione, che favorisce l’occultamento e nasconde la morte. Infrangere il tabù significa pagare un prezzo altissimo, quello della colpa, una colpa intima e privata, fardello personale che non è possibi le condividere neanche con i propri familiari. La memoria, pertanto, è una trappola, ingombrante e ingestibile, impedisce ogni movimento vitale ed evoca un passato di dolore che diventa minaccia per il futuro e dal quale è impossibile distanziarsi per pote r storicizzare gli

Cfr. M.A. Giovannini, La realidad y su “doble”: el espacio en la obra de Juan José Millás, in «Cuadernos de Narrativa», 2000, n. 5, p. 248. 13 J.J. Millás, Cerbero son las sombras, cit., p. 130. 12

7


eventi. Straordinaria metafora, questa, sull’esito e le conseguenze della Transizione, che a posteriori è facile ricondurre al desencanto e al noto pacto del olvido che solo negli ultimi anni è stato parzialmente infranto permettendo in tal modo di iniziare a riformulare la storia che il processo democratico aveva preteso di scrivere (e di omettere) per sempre. Le allusioni inevitabili a un’epoca di persecuzioni e di paura, dunque, rimandano profeticamente a questioni ancora irrisolte di un passato che è impossibile dimenticare.

3. Autopsia di un’epoca In quegli anni troviamo un’altra opera emblematica di un altro grande scrittore, Juan Marsé (1933), che nel 1973 pubblica in Messico (per timore della censura spagnola) un romanzo il cui titolo è tratto ironicamente dall’inno della Falange: Si te dicen que caí . Questo romanzo nasce non solo da un’acredine furiosa nei confronti di una dittatura che sembr ava durare in eterno ma anche, come ha dichiarato più volte l’autore, da un segreto e nostalgico addio alla propria tormentata infanzia di cui la sua opera conserva tratti autobiografici. Si tratta dell’esperimento narrativo più truculento e poetico di Mar sé, un affresco visionario e rabbioso della Barcellona degli anni Quaranta raccontato da un gruppo di bambini adolescenti dei bassifondi 14 . Nei corpi dei figli della violenza (che sono i figli della guerra), così come nel paesaggio urbano, emerge in maniera sconvolgente l’eredità della Guerra Civile e della repressione. A questo proposito, Marsé non è scontato perché mette a fuoco i conflitti non attraverso l’ethos ma attraverso l’eros, il quale non mina solo la condotta degli oppressori ma anche la morale d egli oppressi provocando frequenti ribaltamenti di ruolo tra aguzzini e vittime 15. Ma il romanzo, che esibisce complesse strategie narrative, inizia in un’epoca in cui gli antichi

Cfr. E. Pittarello, Il romanzo, in M.G. Profeti (a cura di), L’età contemporanea della letteratura spagnola. Il Novecento, La Nuova Italia, Milano 2001, p. 634. 15 Cfr. ivi, p. 632. 14

8


adolescenti, protagonisti di tante vicissitudini, sono ormai adulti e uno di questi ricorda gli eventi del passato. Ñito, diventato assistente di un obitorio, alza il lenzuolo che copre alcuni cadaveri appena giunti e inizia a ricordare: Cuenta que al levantar el borde de la sábana que cubría el rostro del ahogado, en la cenagosa profundidad de pantano de sus ojos abiertos, revivió un barrio de s olares ruinosos y tronchados ger anios atravesado de punta a punta por s ilbido de afilador , un aullido azul. Y que a pesar de las elegantes sienes plateada, la piel bronceada y los dientes d e oro que lucía el cadáver, le reconoció; que todo habían sido espejismos, dijo, en aquel tiempo y en aquellas calles, incluido este tr apero que al cabo de treinta años alcanzaba su corr upción final enmas car ado de dignidad y diner o 16.

Si scopre fin dall’inizio, dunque, il meccanismo di produzione del racconto: la visione dei cadaveri stimola la memoria di Ñito e mette in moto la sua narrazione 17. Quei corpi inerti, infatti, altri non sono che il suo vecchio amico d’infanzia Java (Marcos Javaloyes), uno degli adolescenti protagonisti del romanzo, la moglie e i suoi figli, affogati nel mare in seguito a un incidente stradale. Morte violenta, dunque, che evoca un destino segnato fin dall’infanzia. All’osservazione dei cadaveri segue l’autopsia del corpo di Java, ma la dissezione del suo antico amico assume una funzione rituale: è un gesto di apertura e di profanazione di un’intimità che amplifica il racconto, già iniziato con lo sguardo, in maniera centrifuga provocando un vero e proprio smem bramento delle sue parti, non solo in senso metaforico

18

. Il corpo di Java, dunque, diventa contenitore del

racconto della sua stessa vita e di quella dei ragazzi che sono cresciuti con lui in un ambiente dove

la

miseria

materiale e

morale dominava

incontra stata. L’autopsia, più che un’operazione per conoscere le cause della morte, diventa un tentativo da parte di Ñito di comprendere la vita di Java e quindi la propria. Non a caso , il termine “autopsia” indica, etimologicamente, l’azione di vedere con i prop ri occhi. Il corpo di Java si

J. Marsé, Si te dicen que caí, Plaza y Janés, Barcelona 1998, p. 11. Cfr. M.S. Persino, La escena voyeurista como matriz en «Si te dicen que caí», in «España Contemporánea», 1999, n. 1, tomo XII, pp. 64-65. 18 Cfr. ivi, p. 73. 16 17

9


trasforma così in una fonte inesauribile di ricordi e di storie da raccontare. Storie squallide, per la maggior parte, di miseria e di violenza, di prostituzione e di sopraffazione. Al di là della pelle del suo amico, attraverso i tagli del corpo, Ñito può «vedere» le lesioni morali che soggiacciono al mondo della sua infanzia e del dopoguerra 19: «Alzando con el dedo los párpados yertos y amoratados, podía ver, podía leer: en todos los ojos de los muertos había aquella cenagosa profundidad de pantano, aquel paraíso infantil anegado por las aguas» 20. Il racconto che si sviluppa nell’arco del romanzo è principalmente incentrato sulla vita di quel gruppo di bambini -adolescenti che, per passare il tempo e senza altre risorse, immagina no delle avventure (le aventis), a volte

ingenue

a

volte

violente

e

crudeli,

per

poi

raccontarle

e

rappresentarle sullo sfondo della strada e del quartiere lacerato (il Guinardò) dove sono cresciuti, delineando così mondi allucinati, ma allo stesso tempo spietatamente realistici. Alla fine, come in una sorta di gesto vendicativo, un truculento atto di rivalsa nei confronti dell’amico che era riuscito, unico tra quelli del suo quartiere, a riscattare la propria condizione

di

straccivendolo

e

orfano

di

guerra

e

ad

arricchirsi,

trasformandosi da vittima in aguzzino, Ñito scompone l’unità fisica di Java e della sua famiglia. Regala i vestiti contenuti in una valigia trovata nella macchina, offre le ossa agli studenti di medicina e, fingendo un incidente, permette che alcuni cani divorino le viscere dei morti: «Y entonces los perros se lanzaron a sus pies, casi le hicieron caer, y volcaron el capazo con los frascos de formol conteniendo las disecciones» 21. Mai come in questo caso nel corpo è iscritta la memoria di un’epoca tra le più difficili della Spagna. Una memoria, anche in questo caso, torbida e scomoda, che non allevia le ferite, non alimenta gesti di comprensione o di solidarietà,

ma

rimane

intrappolata

nel risentimento,

dispersa

e

allontanata come un peso t roppo grande e troppo doloroso per poter essere preservato o condiviso.

Cfr. ivi, pp. 67-69. J. Marsé, Si te dicen que caí, cit., p. 119. 21 Ivi, p. 289. 19 20

10


4. La dimora dei fantasmi Il 1992 è un anno decisivo per la Spagna, l’anno in cui definitivamente il paese è in grado di celebrare non solo la consolidata democrazia, ma anche la sua ormai piena appartenenza alla comunità occidentale dimostrando la necessaria capacità di assumere a l suo interno un ruolo rilevante. Proprio nel 1992 ci celebrano, infatti, eventi di portata internazionale: Giochi Olimpici di Barcellona, Expo di Siviglia, Madrid capitale europea della cultura, quinto centenario della scoperta dell’America. Ma nonostante gli sfarzi ostentati, uno scrittore ci ricorda che la Spagna è un paese che vive ancora sotto l’influsso di un pesante incantesimo. Proprio nel 1992 Javier Marías pubblica il romanzo Corazón tan blanco che lo consacra definitivamente come autore enormemen te apprezzato sia dalla critica internazionale sia dal pubblico dei lettori, cui fa seguito, nel 1994, un altro grande successo narrativo , Mañana en la batalla piensa en mí , che tratta temi in parte simili al romanzo precedente. Con queste due opere Marías dà inizio a quell’avvicinamento graduale ai temi della storia di Spagna dopo aver scritto opere sostanzialmente estranee alle questioni nazionali. L’argomento comune è quello del presente falsamente riconciliato con il passato: la tensione tra l’oblio imp osto e il passato scomodo che non può scomparire si traduce in esperienze di estraniamento e di spettralità 22. In

Corazón

tan

blanco,

Juan,

il

protagonista

narratore,

vive

costantemente sotto l’influsso di un presentimento funesto, la minaccia di qualcosa c he proviene dal passato, specialmente dal passato del padre, ex consulente artistico del museo del Prado e mercante d’arte arricchitosi con loschi traffici durante il franchismo. Solo verso la fine del libro il lettore comprende quale sia l’origine di tale ineffabile minaccia: l’omicidio

22

Cfr. I. Cuñado, El espectro de la herencia. La narrativa de Javier Marías, Rodopi, Amsterdam-New York 2004, p.

9.

11


compiuto dal padre, non riconosciuto e rimasto impunito, nei confronti della sua prima moglie e il conseguente suicidio della seconda, incapace di sopportare il peso del delitto attuato dal marito (così come succede a Lady Macbeth le cui parole danno il titolo al libro 23). Lo spettro della morta, di cui non si sanno con esattezza neanche le generalità, ma che Juan battezza con il nome di Gloria, aleggia in tutta la narrazione gettando un’ombra scura sul recente matrimonio del protagonista che, nonostante l’amore per la sua sposa, teme il ritorno del fantasma del crimine del padre e teme che il passato possa ripetersi. Anche Víctor Francés, il protagonista narratore di Mañana en la batalla piensa en mí , è testimone, suo malgrad o, di un fatto che lo mantiene in uno stato di profondo turbamento: Marta Téllez, la donna che l’aveva accolto in casa, in assenza del marito, e con cui era in procinto di inaugurare una relazione amorosa segreta, muore per un malore improvviso. Víctor, spettatore diretto di un evento drammatico e inaspettato, viene rapito in una sorta di incantesimo che lo trasforma in un sottile filo di continuità tra il mondo della defunta e il mondo dei vivi, i suoi familiari e parenti che ignorano le circostanze della morte della loro congiunta. Egli è l’unico a sapere, e sotto l’influsso dell’incantesimo è costretto a ricordare e quindi a raccontare 24 . Il protagonista, per descrivere questo suo stato, sceglie una parola anglosassone dal signifi cato suggestivo poiché all ude a un ambito dell’esperienza che le regole della ragione non riescono a spiegare: Hay un verbo inglés , to haunt, hay un verbo fr ancés, hanter , muy empar entados y más bien intr aducibles, que denominan lo que los fantasmas hacen con los lugares y las pe rsonas que fr ecuentan o acechan, o revisitan […]. Tal vez el vínculo s e limitara a eso, a una especie de encantamiento o haunting, que si bien se mira no es otra cosa que la condenación del recuerdo, de que los hechos y las personas recurr an y se apar ezcan indef inidamente y no cesen del todo ni pas en del todo ni nos abandonen del todo nunca, y a partir de un momento mor en o habiten en nuestra cabeza, en la vigilia o el sueño, se queden allí alojados a falta de lugares más confortables, debatiéndose contra s u disolución y queriendo encarnars e en lo único que les resta par a cons ervar la vigencia y el tr ato, la

«My hands are of your color, but I shame / To wear a heart so white» (Macbeth, atto II, scena 2, vv. 64-65). Cfr. L. Contadini, «Mañana en la batalla piensa en mí». Un romanzo in dissolvenza, Panozzo, Rimini 2007, pp. 1516. 23 24

12


repetición o reverberación infinita de lo que una vez hicieron o de lo que tuvo lugar un día 25.

Marías, dunque, ribalta la prospettiva della memoria: è il fantasma ad aggrapparsi disperatamente a quello che gli resta: il ricordo dei vivi. Pe r questo li abita, si installa in loro, a volte definitivamente. Essere incantati, dunque, significa essere “abitati” e condannati al ricordo. Ma ricordare diventa una maledizione. E l’intero romanzo, anche in questo caso tramite un procedimento intertestuale, ruota intorno a una maledizione: si tratta di una citazione del Riccardo III di Shakespeare che viene ripetuta più volte, fa da sfondo agli avvenimenti narrati e dà anche il titolo all’opera. Re Riccardo, la notte prima della battaglia, viene visitato da fantasmi di uomini, donne e bambini, congiunti, amici e rivali, che egli stes so ha ucciso o

fatto

uccidere,

apparsi

per

rimproverarlo

delle

proprie

morti

e

maledicendo il suo prossimo futuro: « “Mañana en la batalla piensa en mí ”, le decían los hombres y la mujer y los niños, uno tras otro, “y caiga tu espada sin filo: desespera y m uere”. “Pese yo mañana sobre tu alma, sea yo plomo en el interior de tu pecho y acaben tus días en sangrienta batalla: caiga tu lanza”. “Piensa en mí cuando fui mortal: desespera y muere ”» 26. Il narratore fa un uso simbolico del testo inglese assimilando la propria condizione a quella del re poiché pensa che anche il protagonista shakespeariano sia “abitato” dai suoi morti e condannato al ricordo. Il dramma storico di Shakespeare è interamente pervaso da un’atmosfera cupa dovuta a lutti orr ibili, visioni e profezie nefaste. L’apparizione degli spettri, nell’ultimo atto dell’opera, visualizza e intensifica le maledizioni formulate già durante il corso del dramma. Ed è qui che il re, per la prima volta, rimane turbato e rapito da foschi presag i, poiché avverte la presenza di un passato di morte che continua ad accadere. In quel momento comprende che le proprie azioni nefande, come vaticinato dalla stessa madre, peseranno sulla sua anima più di tutta l’armatura che porta indosso

27

.

J. Marías, Mañana en la batalla piensa en mí, Anagrama, Barcelona 1994, pp. 81-82. Ivi, p. 246 (per i riferimenti shakespeariani, cfr. Richard III, atto V, scena 3, vv. 160-164). 27 «Therefore, take with thee my most grievous curse, / Which in the day of battle tire thee more / Than all the complete armour that thou wear’st» (Richard III, atto IV, scena 4, vv. 188-190). 25 26

13


Anche il narratore, che ha visto Marta spegnersi, patisce il peso della sua morte e, nel modo di una gravosa armatura, vive lo stato di incantesimo come una condizione permanente da cui non riesce a liberarsi, neanche attraverso il racconto stesso che viene facendo. I f antasmi che appaiono al re impongono la memoria di un passato che minaccia di ripeters i. Il ricordo di persone uccise collega la vita alla morte, il presente al passato, e allude alla sua imminente disfatta. Allo stesso modo agisce il ricordo di Marta: è un fantasma che mette il narratore in relazione col mondo delle persone scomparse, replica incessantemente un passato che diventa quindi vivo e attuale e che continua ad influire nel presente. Marta abita, dimora, in Víctor e il suo “non essere ”, il suo sta to fantasmale, è determinato dal fatto che la presenza della morta invade interamente la sua vita

28

. Il

fantasma, elemento fondamentale nella narrativa di Marías, acquista la funzione simbolica di limite, quella soglia che favorisce il transito tra il noto e il non noto, tra la morte e la vita, tra il passato e il presente, aprendo una finestra su ciò che è indefinito 29. Ma questa ossessione per il passato e per il suo ritorno ha, in realtà, anche radici storiche e sociali e si manifesta in molte opere dello scrittore in esperienze sinistre (spettri, fantasmi, incantesimi, presentimenti funesti), spesso in forma allusiva, coinvolgendo una dimensione intima e familiare che finisce per implicare, per ò, anche il passato nazionale. Il fantasma fa emergere l’invisibile e mette in evidenza la disgiunzione tra l’oblio e la persistente voce dei morti, tra ciò che si sa collettivamente e ciò che si percepisce individualmente 30. Secondo questa prospettiva, anc he lo stato di incantesimo che la morte di Marta provoca nel protagonista ha un riflesso inquietante nella storia spagnola. Diventano significativi a tale proposito i molteplici riferimenti alla Guerra Civile che appaiono nel romanzo e che sono associati a dei luoghi precisi 31:

Cfr. L. Contadini, Mañana en la batalla piensa en mí, cit., pp. 19-20. Cfr. E. Trías, Lógica del límite, Destino, Barcelona 1991, pp. 293-94. 30 Cfr. I. Cuñado, El espectro de la herencia, cit., pp. 23 e 26. 31 Cfr. A. Grohmann, Coming into one’s Own. The Novelistic Development of Javier Marías, Rodopi, Amsterdam-New York 2002, pp. 252-53. 28 29

14


un Mig Rata, como s e llamó a este avión ruso durante la Guerr a Civil de esta tierra […]; ese bar que ya existía en los años treinta y vio por lo tanto caer las bombas y caer a los transeúntes que no escaparon en la desolada Madrid hace medio siglo y más tiempo […]; como los hombres y mujeres y niños de los años treinta en esta misma ciudad entonces sitiada, que corrían buscando refugio par a protegerse también de lo que venía del cielo y de los cañonazos que venían de las afuer as [... ] y las balas de los cañones tenían más probabilidades de alcanzar una o otra acera según el cerro desde el que disparar an los sitiador es, dos años y medio de la vida de todos sitiando y siendo sitiados […]; Stukas y Junkers bombardearon M adrid durante nuestra guerr a [...] con sus cargas devastadoras por este mismo cielo que veía desde mi ventana […]; en Rosales estuvo el Cuartel de la Montaña donde se combatió f erozmente el tercer día de nuestr a guerra, hace ya tantos años, ahor a hay allí un templo egipcio […]; antes de nuestr a guerra [los billetes] se fabricaban en Inglaterra [...]; antes de nuestra guerra el hipódromo estaba en la Castellana, no fuer a de la ciudad como ahora 32.

Ogni spazio che il protagonista si trova a frequentare condensa il presente e il passato della guerra. Lo spazio dunque funge da connettore temporale di epoche diverse. Ciò che in prima istanza sembra una questione privata ed esclusiva di Víctor acquista un senso ulteriore andando a coinvolgere pienamente l’ambito storico. L’atmosfe ra spettrale del romanzo allude a un passato censurato che si manifesta attraverso il fantasma, l’altro lato della memoria, metafora del ritorno degli avvenimenti della Guerra Civile e della repressione franchista, trauma collettivo ancora irrisolto, passato dimenticato che si ripresenta nella memoria dei vivi che hanno voluto, dovuto, fingere di non ricordare 33. Essere incantati diventa una condizione di vita permanente. Accogliere i fantasmi e riconoscerli come eredità è l’unico modo possibile per vivere. Ma non per vivere in pace o per sentirsi innocenti: per quanto dolorosa e perturbante (come le terribili maledizioni che tormentano Riccardo III la notte prima della battaglia), la condizione fantasmale è semplicemente ineluttabile, destinata a diventare u n sintomo collettivo che rivela l’incantesimo a cui è sottomessa la realtà quotidiana 34.

J. Marías, Mañana en la batalla piensa en mí, cit., pp. 22, 132, 174-175, 247, 254 e 312. Cfr. I. Cuñado, El espectro de la herencia, cit., pp. 15-16. 34 Cfr. ivi, p. 24. 32 33

15


5. Il riconoscimento Il 20 novembre

2002 (proprio il giorno esatto del ventisettesimo

anniversario della morte di Franco) accade un avvenimento di importanza straordinaria, anche

se

sminuito dalla

mancanza di coerenti azioni

successive: il parlamento spagnolo, all’unanimità, c ondanna ufficialmente il franchismo e i suoi crimini, riabilitando, almeno formalmente, la memoria delle vittime della guerra e della repressione. Nel 2004 il governo di Rodríguez Zapatero costituisce una Commissione sulla Memoria Storica e nel 2007 promulga la nota Legge sulla Memoria Storica, uno dei provvedimenti più controversi ma, forse, nonostante la sua incompletezza e le sue ambiguità, tra i più importanti degli ultimi anni, visto da molti come una sorta di completamento, o di risarcimento, della Le gge di Amnistia del 1977, avvenuta in piena Transizione. Tali eventi straordinari costituiscono il culmine e il consolidamento di un sentire comune, ormai quasi totalmente libero da minacce interne ed esterne, da autocensure o altre paure. In questa nuova

fase

storica, che

si riallaccia all’epoca

della

Transizione e tenta di completarla, o di compensarne la rigidità, ecco che i corpi vengono allo scoperto, ma non sono più oggetto di rabbia, paura o vendetta: ora sono cercati ed esibiti per f avorire consapevolmente il loro riconoscimento. Ma sul piano giuridico la battaglia è durissima anche per la ricaduta che tali questioni hanno sulla politica. Nonostante ci siano stati progressi nel campo legislativo, l’azione della giustizia si scontra sp esso con mentalità antiquate, con paure, con resistenze di ogni genere e con un apparato giudiziario forse non all’altezza di eventi così importanti e contundenti. Fortunatamente i vuoti giudiziari, dovuti sia alle carenze della legge del 2007 sia alla ref rattarietà dei tribunali spagnoli (anche a causa della legge del 1977) ad affrontare questioni legate a episodi accaduti prima della morte di Franco, sono stati in parte compensati da svariate ricostruzioni letterarie e studi accademici, riferiti alla Guerra Civile, al periodo più duro della repressione franchista e anche a epoche più recenti. 16


Come afferma Gómez -Montero, «la memoria se decanta una vez más como un eficaz instrumento de fabulación y figuración novelísticas, así que en ese sentido lo que hubie ra podido considerarse una página dejada casi en blanco

durante

la

Transición

emerge

veinticinco

años

después

del

subconsciente colectivo, entonces reprimido, adquiriendo ahora inusitada actualidad» 35. Tra i provvedimenti più significativi ed eclatanti dell a Legge sulla Memoria Storica vi è quello riguardante le fosse comuni. Dopo anni di silenzio vengono permesse e finanziate le aperture delle fosse (la cui mappatura non è era mai stata rimossa dalla memoria popolare e tramandata nel ristretto ambito famili are) e il riconoscimento dei cadaveri da parte dei familiari delle vittime , che possono così offrire al loro congiunto una sepoltura dignitosa e in linea con la tradizione religiosa e civile 36. Sulla sepoltura si addensano simboli e significati che sono pro prio quelli che intenzionalmente la fossa comune vuole cancellare. Ed è proprio la tomba ad evitare che il morto si annulli «nel tempo geologico per restituirlo al tempo umano, che traduce la materia in significato» 37 . Una sepoltura riconoscibile rappresent a quindi una sorta di reintegrazione sociale

post

mortem,

territorializza

il

lutto,

rende

possibile

la

sopravvivenza del gruppo comunitario ancorandola alla propria terra 38. Il tempo è passato e finalmente la memoria può uscire allo scoperto orientando la politica e la cultura. Oggi, il lavoro della memoria e il lavoro

J. Gómez-Montero, Crónica parcial de la memoria literaria de la Transición española, cit., p. 15. È stata accertata la presenza di circa duemilacinquecento fosse comuni sparse in tutta la Spagna, che nascondono ancora più di centotrentamila corpi (i desaparecidos spagnoli, di cui così poco si parla). Finora ne sono state aperte circa il dieci per cento. Negli ultimi anni, però, questo processo si è pressoché interrotto per difficoltà burocratiche, per mancanza di finanziamenti e per la forte connotazione politica che tale gesto assume. Una risoluzione dell’Onu del 2009 ha chiesto alla Spagna di iniziare a indagare sui crimini del franchismo così come sui desaparecidos della repressione, essendo la Spagna l’unica democrazia occidentale che non ha realizzato alcuna indagine sui crimini di Stato una volta terminata la dittatura. Si veda a questo proposito E. Silva, Las fosas de Franco. Crónica de un desagravio, Temas de hoy, Madrid 2003. Emilio Silva, fondatore, nel dicembre del 2000, della Armh (Asociación para la Recuperación de la Memoria Histórica), è stato l’artefice della prima riesumazione dei cadaveri di una fossa comune nei pressi di Priaranza del Berzo (León) nel marzo del 2000. 37 G. De Luna, Il corpo del nemico ucciso. Violenza e morte nella guerra contemporanea, Einaudi, Torino 2006, pp. 24243. 38 Cfr. ivi, p. 242. Aggiunge De Luna: «Restituire una tomba a un corpo e un nome a una tomba è un atto di rifondazione di una comunità, il primo passo perché la pacificazione individuale che segue all’elaborazione del lutto diventi una vera “pace sociale”» (ivi, p. 247). 35 36

17


del lutto permettono di raccontare il trauma senza collera 39 , così come fanno diverse opere pubblicate negli ultimi quindici anni (nonostante le prevedibili dosi di retorica e le esigenze edito riali). È il caso di un romanzo di una brava e sfortunata scrittrice, Dulce Chacón (1954 -2003), scomparsa improvvisamente

a

soli

quarantanove

anni,

pochi

mesi

dopo

aver

pubblicato la sua opera più importante, La voz dormida (2002), che ha avuto un grande successo di critica e di pubblico. Quest’opera segue a ruota Soldados de Salamina (2001) di Javier Cercas che dà inizio a quella che è stata chiamata la «letteratura della memoria storica», tra postmodernità e nuove tendenze neomod erne

40

. La memoria, dunque può finalmente

incontrarsi con la storia 41 , sotto l’egida, come affermano alcuni studiosi, delle esigenze del mercato che ha individuato in questa nuova tendenza all’indagine del passato, non solo in Spagna, la possibilità di otten ere forti profitti. Ma è anche vero che la differenza tra le opere pubblicate dopo il 2000 e i romanzi storici precedenti sulla Guerra Civile e la repressione consiste nel diverso contesto sociale, culturale e politico che favorisce un recupero della memoria molto più consapevole e condiviso, benché il rischio di mode e di mitizzazioni sia sempre in agguato. Testi di questo tipo sono scritti affinché l ’amnistia della Transizione non diventi amnesia istituzionale che dura nel tempo, ma trattenga esclusivamen te quel valore di urgenza e di utilità che l’ha caratterizzata in quegli anni 42. La voz dormida è un romanzo ambientato principalmente nel carcere femminile di Ventas di Madrid durante i primi duri anni della repressione franchista, redatto attraverso la rielaborazione di testimonianze già scritte da altri e in parte ascoltate direttamente da testimoni dei sopravvissuti della guerra e, in particolare, del carcere di Ventas e con la menzione precisa

di

documenti

ufficiali.

Ciò

crea

un

tessuto

referenziale

Cfr. P. Ricoeur, La memoria, la storia, l’oblio, Raffaello Cortina, Milano 2003, pp. 126-27. Cfr. L. Hutcheon, The Politics of Postmodernism, Routledge, London-New York 1989, pp. 59 ss.; M. Juliá, Las ruinas del pasado. Aproximaciones a la novela histórica posmoderna, Ediciones de la Torres, Madrid 2006, p. 60. Si veda anche R. Luperini, La fine del postmoderno, Guida, Napoli 2005. 41 La memoria è la matrice della storia, la memoria non è oggetto o uno degli oggetti della storia, né è in opposizione o in alternativa alla storia (cfr. P. Ricoeur, La memoria, la storia, l’oblio, cit., p. 125). 42 Cfr. ivi, p. 643. 39 40

18


riconoscibile che è allo stesso tempo funzionale allo sviluppo di una trama fittizia. Lo scopo del romanzo non è solo quello di stabilire come sono andati i fatti di un’epoca del passato, ma anche quello di valorizzare la propria performatività ricordando e rappresentando vicende trascorse in virtù di una responsabilità etico -politica che in questo caso include l’urgenza

del

“riconoscimento ”.

Il

racconto

diventa

un’esperienza

terapeutica fondamentale, orientata alla trasmissione intergenerazionale di tutti quei materiali indispensabili per la costruzione della postmemoria 43. Si rompe così la barriera del silenzio, dell’oblio e della costrizione e si attiva finalmente quella voce per troppo tempo sopita: «La voz dormida al lado de la boca. La voz que no quiso co ntar que todos habían muerto» 44. Chacón, in tal modo, esprime la c onsapevolezza di appartenere a una generazione figlia del silenzio che si sente responsabile del silenzio dei genitori. A proposito dell’importanza di conferire degna sepoltura ai cadaveri in un gesto rituale che coinvolga i familiari della vittima, è significativo un episodio dell’opera della scrittrice. Celia (una donna che ha perso la figlia, fucilata dai franchisti, e non sa dov ’è sepolta) e sua nipote Isabel si recano ogni mattina prima d ell’alba al cimitero dell’Este di Madrid (l’attuale cimitero dell’Almudena), dove un addetto le fa entrare in cambio di razioni di cibo (in un’epoca in cui si litigavano e si vendevano anche le briciole di pane). Le due donne, nascoste in una cappella del cimitero, ascoltano le scariche dei fucili delle esecuzioni, dopodiché si avvicinano ai cadaveri che rimangono per un po’ di tempo non vigilati prima di essere gettati nelle fosse comuni e, armate di forbici, ritagliano un brandello di stoffa da ciascun ve stito delle vittime. Alle porte del cimitero c’è una lunga fila composta principalmente da donne che attendono di sapere se il proprio congiunto condannato a morte e trattenuto in una delle prigioni di Madrid sia stato fucilato quella notte. Nei primi anni del dopoguerra, solitamente, le famiglie non venivano avvisate dell’imminente fucilazione del loro congiunto e i corpi non venivano restituiti. Celia e Isabel, dunque,

43 44

Cfr. D. Bidussa, Dopo l’ultimo testimone, Einaudi, Torino 2009, p. 40. D. Chacón, La voz dormida, Alfaguara, Madrid 2002, p. 215.

19


permettono ai familiari il riconoscimento della morte del proprio caro per mezzo dell’i dentificazione di quella piccola parte del vestito indossato negli ultimi istanti di vita. Successivamente, le due donne favoriscono l’ingresso nel cimitero dei parenti dei morti affinché lavino il viso del cadavere sporco di fango e di sangue e gli chiuda no gli occhi prima che sia consegnato alla terra: por eso [Celia] va todas las mañanas al cementerio del Este, y se esconde con su sobrina Isabel en un panteón hasta que dejan de oírse las descargas . Por eso corre después hacia los muertos, y corta con un as tijeras un trocito de tela de sus ropas y se lo muestra a las mujeres que esperan en la puerta, las que han sabido a tiempo el día de sus muer tos, par a que algunas de ellas los reconozcan en aquellos retales pequeños, y entren al cementerio. Y puedan cerrar les los ojos. Y les laven la car a 45.

In questo modo si certifica la morte sopraggiunta e allo stesso tempo si dà un nome a quel brandello di stof fa che tragicamente riconduce a un corpo non più vivo, ma sentito come parte del proprio ambito affettivo e sociale. In quelle mani, che toccano ogni mattina all’alba decine di corpi, si iscrive l’identità e la memoria del cadavere che viene in seguito lavato e ricomposto in un gesto ch e assume l’importanza del rito. Attraverso il contatto si dà luogo ad un travaso simbolico tra il corpo ormai privo di vita e le mani delle due donne che immediatamente si offrono ai familiari e ai parenti dei morti per riconsegnare alla comunità dei vivi quell’identità e quella memoria. Si riesce così ad attivare, in forma clandestina, quella pratica che è uno dei fondamenti della nostra civiltà: il riconoscimento del cadavere. Questo atto permette ai vivi di evitare il tormento insopportabile del non sape re il destino del proprio congiunto, perché altrimenti non ci sarebbe memoria su cui fondare un futuro. I gesti che Celia e la nipote compiono uniscono simbolicamente tutte quelle donne e quegli uomini uccisi

nel

dopoguerra

che

non

hanno

potuto

raccontare

la

loro

testimonianza e che sono rimasti senza volto, senza nome, e che non hanno ricevuto, neanche dopo morti, un semplice gesto di conforto. E chiamano a

45

Ivi, p. 97.

20


sé anche tutti quei sopravvissuti alla guerra e alla repressione che si sono ritrovati dalla parte d egli sconfitti e si sono visti costretti ad affrontare la morte dei propri cari senza la possibilità del riconoscimento 46. L’emergenza dei corpi martoriati e l’impalpabilità del fantasma evocano i traumi non riconosciuti di uno dei periodi più tragici della Spagna. Corpi e fantasmi, dunque, lottano per non essere dimenticati. La scrittura fortemente simbolica e reticente, però, dei primi anni d ella democrazia, grazie anche a un dibattito pubblico avvenuto a vari livelli, ha lasciato spazio recentemente a un fiorire di opere eticamente orientate nelle quali l’esigenza di una memoria condivisa appare ineludibile.

Cfr. L. Contadini, Voci dal carcere in Dulce Chacón e Marcos Ana, in A. Cassol, D. Crivellari, F. Gherardi, P. Taravacci (a cura di), Frontiere: soglie e interazioni. I linguaggi ispanici nella tradizione e nella contemporaneità, Università degli Studi di Trento, Trento 2013, 1 Letteratura, p. 96. 46

21


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