De leva, la guerra sulla carta pirandello allo scoppio del primo conflitto mondiale

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La guerra sulla carta: Pirandello allo scoppio del primo conflitto mondiale 1 Giovanni de Leva

Rileggendo le novelle Berecche e la guerra , Frammento di cronaca di Marco Leccio e Colloquii coi personaggi nell‟ordine di pubblicazione e non, come si è generalmente fatto, di raccolta in volume, si vede come tra la stagione dell‟interventismo e l‟ entrata dell‟Italia nella Grande Guerra Pirandello sia impegnato in un confronto serrato col presente, che coinvolge l‟uomo non meno dell‟artista . Non solo Pirandello racconta infatti le ripercussioni dell‟evento sul dibattito pubblico, sul confronto tra le generazioni e sulla vita dei civili, ma interviene in prima persona sul carattere industriale e massificante del conflitto, senza nascondersi il dubbio sull‟opportu nità della letteratura in un frangente così drammatico . Oltre che nei suoi fattori di discontinuità, Pirandello guarda alla guerra in rapporto alla Storia, passata – nazionale e familiare – e futura, tra la «grande storia» del conflitto che si sarebbe tramandato e le «storie dei piccoli» combattenti a rischio invece d‟oblio. All‟indomani dell‟apertura delle ostilità , nei giorni in cui in Italia monta l‟astio contro l‟Austria e la Germania, lo scrittore comincia col dedicare una novella proprio ad un persona ggio innamorato della cultura tedesca: Un’altra vita, prima versione di Berecche e la guerra , pubblicata nel settembre 1914 sulla «Rassegna contemporanea» 2 . Il protagonista, assiduo frequentatore della birreria romana d‟un «buon tedescone spatriato» 3, vi è noto per l‟orgoglio con cui vanta l‟origine teutonica, «tutti i benefizii […] derivati all‟Italia dalla […] alleanza con […] gl‟imperi centrali» nonché «le virtù […] della gente germanica, che lui da tant‟anni si sforzava d‟attuare Anticipo qui alcune pagine del mio libro Il racconto della Grande Guerra, di prossima pubblicazione per Carocci, Roma. 2 Cfr. S. Costa, Introduzione a Luigi Pirandello, Novelle per un anno, vol. IV, a cura di Ead., Mondadori, Milano 2011, pp. V-LXXVII. 3 L. Pirandello, Novelle per un anno, a cura di M. Costanzo, Mondadori, Milano 2007, p. 573. 1

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[…] in sé e nell‟ordina mento della sua […] casa; sopra tutto il metodo» 4. È così radicata la convinzione del personaggio che gli avventori della birreria ne hanno inciso la caricatura su un tavolo: «una scacchiera, e Berecche che vi passeggia sopra con la gamba levata a modo dei fantaccini tedeschi», «per dire che […] vede il mondo […] a scacchi, e vi cammina alla tedesca con mosse ponderate e regolari, da onesta pedina appoggiata al re» 5. La dichiarazione di neutralità del governo italiano provoca u n «fremito d‟ira» in Berecche, per il presunto tradimento della Triplice Alleanza, senza contare che, secondo l‟immagine usata da

Gaetano

Salvemini 6 all‟inizio di agosto , non «è tempo questo di stare affacciati alla finestra» 7. Prima che il personaggio finisca d‟esprimere il suo sdegno , però, «un coro di fierissime proteste […] lo assale da ogni parte» e nello spazio d‟una birreria si scatena la pole mica che domina la nazione. Due «considerazioni generali» colpiscono allora Berecche. Dalla prima prende titolo il racconto: «Tutto sommato », riflette un astante, «per quanto funesti saranno gli eventi, tremende le conseguenze, possiamo esser lieti almeno di questo: che ci sia toccato in sorte d‟assistere all‟alba di un‟altra vita» 8 . Come aveva scritto Giuseppe Prezzolini sulla «Voce» alla fine di agosto , i «rivi mostruosi di sangue» e i «gemiti» di guerra annuncerebbero la «generazione di un nuovo mondo europeo» 9 . Giunge a questo punto la seconda «considerazione», l‟ipotesi opposta secondo cui «non vincerà nessuno e si distruggerà tutto, ricc hezze, industrie, civiltà» 10 e l‟Europa si approssima alla fine. Sulla

strada

di casa, sperduta

in una

«traversa

remota»

della

Nomentana dove «ci si sta come in campagna» e l‟unica luce è il «lampadino innanzi alla Madonnina di porcellana» 11 , Berecche ripensa alle Ivi, p. 574. Ibid. 6 Cfr. G. Salvemini, La neutralità «assoluta», in F. Golzio e A. Guerra (a cura di), La cultura italiana del ‘900 attraverso le riviste, vol. V: L’Unità, La Voce politica, Einaudi, Torino 1979, p. 417. 7 L. Pirandello, Novelle per un anno, cit., p. 575. 8 Ivi, p. 577. 9 G. Prezzolini, Facciamo la guerra, in A. Romano (a cura di), La cultura italiana del ‘900 attraverso le riviste, vol. III: La Voce (1908-1914), Einaudi, Torino 1971, p. 703. 10 L. Pirandello, Novelle per un anno, cit., p. 577. 11 Ivi, p. 579. 4 5

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considerazioni degli amici; allora «l‟incubo della distruzione generale, che spegnerà ogni lume di scienza e di civiltà nella vecchia Europa, gli si fa su l‟anima più grave […] quanto più […] s‟affonda nel bujo della via» 12 . A spaventarlo è poi l‟idea di restare escluso dall‟eventuale «nuova vita» che seguirà al conflitto. «Vincano i Francesi» o «i Tedeschi», «sia o no l‟Italia trascinata anch‟essa alla guerra, venga la miseria […] della sconfitta o tripudii […] la vittoria», ammette Berecche, «non ca ngerà» per questo «il chiuso rancore di sua moglie […]. E nessuna potenza […] potrà ridar la luce degli occhi alla sua più piccola figliuola, da sei anni cieca» 13. Emerge così l‟infelice situazione familiare del personaggio, contrapposta al dramma collettivo della guerra come lo sono la strada di campagna e la birreria di città in cui vengono rispettivamente evocati. Pubblico e privato tornano a mescolarsi però quando Berecche si rende conto che «un‟altra vita» si sta effettivamente profilando in casa sua. La figlia maggiore è fidanzata con un o studente trentino, Gino Viesi, la cui situazione si è fatta particolarmente difficile . I suoi fratelli «non han potuto […] sottrarsi all‟obbligo odioso di combattere per l‟Austria e chi sa, […] fors‟anche contro l‟Ita lia, domani. Che orrore! »; Gino invece «non s‟è presentato all‟appello, e addio dunque Valle di Non, […] addio vecchi genitori: disertore di guerra, domani, se preso, sarebbe im piccato o fucilato» 14. Berecche deve riconoscere dunque che la guerra non rispar mia affatto il contesto familiare ma al contrario vi irrompe, strappando in termini manzoniani gli individui dal loro ambiente, separando i figli dai genitori e i fratelli tra di loro. Un‟ipotesi quest‟ultima tanto più concreta nel caso delle terre irreden te, in quanto l‟intervento contro l‟Austria costringerebbe i sudditi italiani a scegliere tra la diserzione e gli scontri fratricidi. Gino Viesi si dice tuttavia pronto a farsi volontario insieme a Faustino, il figlio di Berecche, «il suo unico maschio, il suo prediletto» 15. Al pensiero che quest‟ultimo parta per il fronte, il protagonista si sente disposto a qualunque sproposito: Ibid. Ivi, p. 580. 14 Ivi, p. 581. 15 Ivi, p. 582. 12 13

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ma perdio […] con tutti i suoi cinquantatré anni suonati, con tutta quella carnaccia che gli si è appesantita addosso, andrebbe ad arruolarsi anche lui, […] per non las ciare andare solo Faustino […]: sissignori, anche lui Berecche andrebbe, volontario col pancione, anche…anche contro i Tedeschi, sissignori! Eccola…eh, eccola subito già, l‟altra vita! La guerr a, col figliuolo giovin etto da un lato e, dall‟altro lato, l‟altro figliuolo nuovo, alla conquista delle ter re irredente. Chi sa? Forse domani… 16

Come Mauro Mortara dei Vecchi e i giovani (1913), Berecche saprebbe vincere

l‟impaccio

dell‟età

per

unirsi

all‟esercito.

“I

vecchi”

si

ritroverebbero così nella stessa battaglia dei “giovani”, non perché ne condividano le ragioni ma in quanto il dramma dei padri consiste nel sapere i figli al fronte. Più che l‟accesso ad un‟«altra vita», in ogni caso, l‟immagine di Berecche volontario s embra realizzare la caricatura incisa sul tavolo della birreria, in un registro umoristico anziché comico, ossia tragico e ridicolo insieme. Qualora vestisse davvero la divisa, Berecche risulterebbe buffo perché appesantito dagli anni e non certo per la vi sione del mondo «a scacchi» da «pedina appoggiata al re», trovandosi al contrario nella drammatica situazione di dover combattere contro le proprie convinzioni e in difesa dei suoi affetti: un dilemma in cui, come si vedrà, si dibattono tutti i personaggi pirandelliani coinvolti nella guerra. I veri «miracoli dell‟altra vita» avvengono comunque lì dove si conclude la novella nella sua prima versione, quando Berecche, imboccata la traversa di casa, si ferma e «si scopre […] per dire qualcosa a quella Madonni na». Nel timore che il conflitto spenga il lume della civiltà, anche al più quadrato e rigoroso degli uomini non resta che rivolgersi al «lumino» d‟un tabernacolo di campagna, per quanto tutt‟intorno si faccia sempre più violenta la voce di chi invoca la g uerra: «e abbaino, abbaino pure, furibondi, dietro i cancelli, i cani» 17. Contro il conflitto in cui l‟Italia rischia di precipitare , Pirandello interviene di nuovo il primo aprile 1915 in un‟intervista del periodico «Noi e il mondo» dal titolo inequivocabile: «Previsioni sulla fine e sugli effetti di 16 17

Ibid. Ibid.

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questa guerra, che è la massima catastrofe sinora inflitta all’umanità » 18. Agli occhi dello scrittore, infatti, il conflitto ha ormai ha svela to la sua natura: Assistevamo prima, nei serr agli, al pasto delle b elve. Assistiamo or a a un pasto più mostruoso: al pasto delle macchine impazzite. Io vedo cos ì questa immane guerra, sotto questa specie. Guerra di macchine, guerra di mercato. L‟uomo che prima, poeta, deificava i suoi s entimenti e li adorava, buttati via i sentimenti, come ingombro non s olo inutile ma anche dannoso, e divenuto s aggio e industre, doveva fabbricarsi di ferro, d‟acciaio le sue nuove divinità e divenir servo e schiavo di ess e. 19

La citazione risulta tanto più significativa considerando che l‟u ltimo periodo anticipa alla lettera un brano di Si gira… 20 , la cui prima versione compare a puntate sulla «Nuova Antologia» tra il giugno e l‟agosto di quell‟anno. Nel romanzo, la tesi di un‟involuzione dalla civiltà della poesia e del sentimento a quella d ella “saggezza ” «industre» serve a Serafino per spiegare come la sua riduzione a « mano che gira una manovella » non dipenda tanto dal lavoro di operatore cinematografico quanto da lla condizione storica della «Macchina che meccanizza la vita » 21. Nell‟immagine del «pasto delle macchine» seguito al «pasto delle belve» si può leggere invece una chiara prefigurazione dell‟episodio culminante di Si gira…, che così Serafino riassume : «Ah, che dovesse toccarmi di dare in pasto anche materialmente la vita d‟un uomo a una delle tante macchine dall‟uomo inventate per sua delizia, non avrei supposto» 22. Per Pirandello, il conflitto ha insomma realizzato su scala collettiva l‟esperienza di Serafino : Ma non basta f abbricarle, le macchine: per ché agiscano e si muovano debbono per forza ingoiarsi la nostra anima, divorarsi la nostr a vita. Ed ecco, non più soltanto idealmente, ma ora anche materialmente, se la divorano. Sette uomini – dicono – al minuto: per il trionfo dei prodotti

L. Pirandello, Previsioni sulla fine e sugli effetti di questa guerra, in Id., Interviste a Pirandello, a cura di I. Pupo, Rubbettino, Soveria Mannelli 2002, p. 113; cfr. G. Capecchi, Lo straniero nemico e fratello. Letteratura italiana e Grande Guerra, Clueb, Bologna 2013, pp. 16-7. 19 L. Pirandello, Previsioni sulla fine e sugli effetti di questa guerra, cit., p. 113. 20 Cfr. le note di I. Pupo alle pp. 114-5. 21 L. Pirandello, Quaderni di Serafino Gubbio operatore, in Id., Tutti i romanzi, a cura di M. Costanzo, Mondadori, Milano 2005, p. 523. 22 Ivi, p. 734. 18

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industriali d‟una nazione diventata, non pur n ei cantieri, anche negli animi e negli ordini, metallica, un immenso macchinario. 23

«Idealmente», i congegni di pace «ingoiano» l‟anim a dell‟individuo fino a

ridurlo

al «silenzio di cosa»

24

, come succede a

Serafino;

«materialmente», le macchine di guerra «d ivorano» i corpi dei soldati ad un ritmo industriale e per scopi meramente economici, secondo un tipo di produzione che viene a coincidere con un sistema di distruzione di massa. La scrittura del romanzo non distoglie dunque lo sguardo di Pirandello dalla guerra, che da diretto si fa mediato, non perdendo perciò in forza d‟analisi. Un anno dopo, quando l‟Italia è ormai nel pieno del conflitto, un giornalista della «Tribuna» riconosce perciò che Si gira…, a dispetto delle apparenze e «sebbene anteriore alla guerra, ne trabocca in tutta la sua sostanza la profetica sensazione» 25. All‟indomani

della

dichiarazione

di

guerra

italiana,

Pirandello

intensifica gli interventi narrativi sul conflitto: tra l‟agosto e il settembre 1915, pubblica a puntate due racconti sulle pagine dei giornali , licenziando lo stesso anno la raccolta L’erba del nostro orto (1915), dove Un’altra vita ricompare in una forma ampliata col titolo Berecche e la guerra . Punto di partenza è La guerra su la carta , versione originale del Frammento di cronaca di Marco Leccio (1919), le cui cinque parti appaiono sul «Messaggero» dal 2 agosto 1915. Si tratta dunque d‟una «cronaca», se non proprio d‟un diario del fronte interno sotto forma di novella; similmente a Berecche e la guerra , La guerra su la carta costituisce cioè una registrazione degli immediati riflessi del l‟intervento, con l‟aggiunta per di più d‟una precisa contestualizzazione te mporale. La puntata d‟esordio s‟intitola infatti Il ventun luglio, con riferimento all‟anniversario della battag lia di Bezzecca nel «primo anno della nostra guerra» 26 . Si tratta della simbolica data di nascita dell a famiglia Leccio, che «dalla battaglia di Bezzecca ha

L. Pirandello, Previsioni sulla fine e sugli effetti di questa guerra, cit., p. 113. L. Pirandello, Quaderni di Serafino Gubbio operatore, cit., p. 734. 25 L. Pirandello, Interviste a Pirandello, cit., p. 116. 26 L. Pirandello, Novelle per un anno, cit., p. 1161. 23 24

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tratto l‟origine» 27 e perciò non manca mai di commemorarla. Come Mortara dei Vecchi e i giovani , Marco Leccio è un reduce garibaldino, veterano della Terza Guerra d‟Indipendenza, a cui prende parte da giovane con il padre Defendente e l‟amico Casimiro, caduti entrambi «nella famosa carica alla baionetta». In punto di morte, Casimiro gli raccomanda la sore lla Marianna e Leccio promette di sposarla a guerra conclusa, non immaginando che «quattro giorni dopo […] Garibaldi sarebbe stato costretto a rispondere all‟ordine del La Marmora il suo: Obbedisco» 28. Leccio tiene fede tuttavia alla parola,

la

impone

anzi

«quasi

per

forza»,

senza

preoccuparsi

di

comprendere i sentimenti della ragazza: «Amore? […] Sciocchezze! Dovere. […]. Non aveva lui, repubblicano, seguito Garibaldi che combatteva in nome del re d‟Italia? […] Là, sposare! E sposò» 29. La contrapposizione t ra affetti e convinzioni ricorre con tutt‟altra durezza all‟entrata dell‟Italia in guerra, impedendo al protagonista di celebrare l‟anniversario proprio «quest‟anno, […] coi nostri soldatini già quasi in vista di Trento», quando cioè «la festa avrebbe dovu to essere più che mai solenne» 30 . Tornando a raccontare la guerra, Pirandello sceglie dunque ancora un volta una prospettiva interventistica , in questo caso però di matrice irredentistica e quindi diametralmente opposta a quella del germanofilo Berecche. La festa che in qualche modo dovrebbe ratificare la continuità tra la campagna del ‟66 e la Prima guerra mondiale , e dunque la giustificazione di quest‟ultima come quarta guerra d‟indipendenza , salta per «due dolorosissime ragioni. Prima: il genero signor Tr uppel, oriundo svizzero tedesco» e non a causa di un‟eventuale ammirazione per la Germania ma semplicemente per «il suo cognome» 31 . Si tratta infatti di «un‟anima pacifica», un «candido» interamente consa crato al mestiere di orologiaio, che rimane perciò «come uno che caschi dalle nuvole» allor ché nei giorni di torbida agonia che pr ecedettero la dichiar azione della nostra guerra all‟Austr ia, una grossa frotta di dimostr anti s‟avventò […] Ivi, p. 1167. Ibid. 29 Ivi, p. 1168. 30 Ivi, p. 1161. 31 Ibid. 27 28

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contro la sua bottega d‟orologiaio e gli fr acassò in un batter d‟occhi o insegna, sporti, vetrine, ogni cos a. […] Tondo tondo, biondo biondo, il signor Truppel si buttò avanti, par ando con le manine bianche gr assocce, con gli occhi pieni di lagrime, […] a gridar e a quei dimostr anti ch‟egli er a svizzero e non tedesco […]; da p iù di venticinque anni in Italia, e genero di un veter ano garibaldino, reduce di Bezzecca […]. Ma sì, a chi lo gr idò? […] I dimostranti, f atto il danno, s‟er ano già allontanati da un pezzo, sicurissimi d‟aver compiuto un atto, s e non proprio eroico, certo molto patriottico. 32

A poco più di due mesi dall‟entrata in guerra dell‟Italia , Pirandello restituisce un‟immagine violenta dell‟interventismo, tanto più riprovevole considerando l‟innocenza dell‟obiettivo contro cui si scaglia. Non è però coi dimostranti che se la prende Leccio bensì proprio «col genero per quella – come disse – sua porcheria di cognome tedesco», che propone di italianizzare in «Truppa»; ne deriva la rottura col fratello dell‟orologiaio e l‟impossibilità di quest‟ultimo a partecipare alla festa del ventun luglio. L‟«altra e più grave e più dolorosa ragione»

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che impedisce la

celebrazione dell‟anniversario emerge nella seconda puntata della novella, pubblicata l‟11 agosto 1915 ed intitolata Quello che non si vede . La mattina del 21 luglio, i ndossate «camicia rossa e medaglie», Marco Leccio si avvia in caserma con l‟intenzione di «arruolarsi a sessantasette anni volontario per una guerra che dev‟essere prosecuzione e compimento di quella del 1866» 34 . Si tratta dunque di realizzare il proposito di Berecche e che stavolta è in pieno accordo con le convinzioni del personaggio. Anche Leccio è padre poi d‟un aspirante volontario , l‟ultimogenito Giacomino, insieme al quale è stabilito che si arruoli. Giunto a cospetto del colonnello a capo della commi ssione, Leccio si lascia andare ad una «mezza concione»: Questa guerr a, signor colonnello, avremmo dovuto combatterla soltanto noi! Noi. Per ché è la nostra guerra. Quella che ci costrinsero a troncare nel bel meglio, il 1866! L ‟onta, il r ibrezzo di più ch e trent‟anni per un‟alleanza odiosa col nemico nostro […] hanno dovuto r odere il freno d‟una dis umana pazienza. E or a che questo fr eno finalmente s‟è rotto […] ecco come ci ritroviamo noi […], quanti siamo di questa sciagurata gener azione nostra […]. Vecchi ci ritroviamo, quasi finiti, e dobbiamo mandare avanti i nostri figli […]! Ma noi, no, signor colonnello! noi, così vecchi come siamo, Ivi, pp. 1163-4. Ivi, p. 1166. 34 Ivi, p. 1171. 32 33

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dobbiamo esser messi avanti a tutti! come avanti a me, a Bezzecca, fu messo mio padr e! I figli ci devono veder cadere, noi vecchi, perché cos ì l‟odio, il furor e della vendetta divampi in loro uguale al nostro e uguagli quelle for ze che a noi vecchi mancano! 35

Il colonnello, pur «ammirato» dalla tempra del garibaldino, gli fa intendere che è disposto ad arruolarlo ma in nes sun caso ad inviarlo al fronte. Leccio rifiuta categoricamente la proposta: « –Vestire per comparsa, no, signor colonnello! […] star qui a scrivere sulla carta? Carta per carta, […] la farò a casa la guerra su la carta» 36 . Così, mentre il figlio viene reclutato, il padre esce dalla caserma «con tale cupezza di misantropia scolpita nel volto, che non poteva dipendere dalla sola disperazione di quel disinganno» 37. Si scopre infatti che Leccio aveva perfettamente previsto il rifiuto della commissione; per quanto sincero il desiderio di «andare a morire bene lassù», «un‟altra ragione lo aveva spinto, che non voleva dare a vedere nemmeno a se stesso: Giacomino» 38. È dunque la partenza del figlio la vera «ragione» per cui salta la celebrazione del ventun luglio ed è l ‟amore d‟un padre Quello che non si vede sotto la fierezza del garibaldino. Questi assomiglia allora al germanofilo Berecche molto più di quanto possa risultare a prima vista; al di là delle opposte convinzioni politiche, i due sono ugualmente disposti ad esporsi al ridicolo pur di proteggere i loro figli; di conseguenza, l‟unico vero dramma dei “vecchi” allo scoppio del conflitto, qualunque senso diano alla guerra, parteggino per l‟uno o per l‟altro schieramento, è il pericolo che correranno i loro “giovani”. Dietro l‟apparenza comica del l‟atteggiamento di Leccio, come già del proposito di Berecche, si rivela allora il fondo tragico proprio dell‟umorismo: «Ora, non soffriva per altro. A chi non lo sapeva (e non lo sapeva nessuno) poteva parer ridicola tutta quella disperazione per non esser stato arruolato volontario a 67 anni» 39. Il 17 e il 18 agosto, n el breve intervallo tra la seconda e la terza puntata della Guerra su la carta , sul «Giornale di Sicilia» compare la prima Ivi, p. 1176. Ivi, p. 1178. 37 Ivi, pp. 1178-9. 38 Ibid. 39 Ibid. 35 36

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parte dei Colloquii coi personaggi , dove trova conferma la posizione di Marco Leccio. Cambia invece quella di Pirandello, che con l‟entrata in guerra dell‟Italia rappresenta se stesso come un fautore dell‟intervento , dopo aver raccontato in Berecche la vicenda d‟un interventista ravveduto e d avere espresso su «Noi e il mondo» una dura condanna del conflitto . La «mezza concione» del garibaldino ricorre infatti quasi alla lettera nei Colloqui per bocca della figura dello scrittore. Si tratta in questo caso dello sfogo d‟una «cocente passione», di cui stavolta viene premesso il dramma privato: «Mio figlio doveva partire in quei giorni per la frontiera. […] Lo guardavo avvilito e quasi mortificato» 40. Seguono gli argomenti utilizzati da Leccio, con l‟aggravante per lo scrittore di non avere partec ipato al Risorgimento: «Prima i nostri padri, e non noi! ora, i nostri figli, e non noi!» 41. La confessione è provocata dalla celebre visita del «personaggio», benché un avviso affisso sulla porta del lo studio dichiari «sospese […] le udienze» e inviti a ri tirare le domande d‟ammissione « in qualche romanzo o novella» coloro che, «non vergognandosi d’esporre in un momento come questo la miseria dei loro casi […], vorranno rivolgersi ad altri scrittori » 42 . Il racconto affronta dunque il dubbio sull‟opportunità della letteratura in un frangente storico così angoscioso e la soluzione consiste inizialmente nel rigetto di qualunque forma d‟ispirazione. Per contro, in quanto «creatura chiusa nella sua realtà ideale», il «personaggio» non sa «in quale orrendo e misera ndo scompiglio si trov i […] l‟Europa» e non comprende perciò l‟espressione « in un momento come questo ». Lo scrittore gli sbatte in ogni caso la porta in faccia per correre a leggere sui giornali «se finalmente la dichiarazione di guerra era avvenuta […]. N ulla! ancora nulla! E fremevo» 43: non è tempo dunque di letteratura ma di cronaca, né la situazione del figlio impedisce allo scrittore d‟attendere con impazienza l‟entrata dell‟Italia in guerra. A questo punto il personaggio s‟intrufola però nello studio e si ferma ad ammirare il paesaggio primaverile alla finestra , da cui ricava gli argomenti per smontare il furore dell‟interventista. Il suo errore consisterebbe nel credere Ivi, p. 1143. Ibid. 42 Ivi, p. 1138. 43 Ibid. 40 41

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che tutto, per il f atto della guerra, debba cambiare. Che vuole che cambi? Che contano i f atti? […] Passano. […] La vita resta, con gli stessi bisogni, con le stesse passioni, per gli stessi istinti […]: ostinazione bruta e quas i cieca, che f a pena. […] Un cataclisma, una catastrofe, guerre, terr emoti la scacciano da un punto; vi r itor na poco dopo uguale, come se nulla fosse stato. 44

Che la guerra non cambi nulla di sostanziale, consistendo in un «fatto» «enorme» eppure insignificante rispetto al passaggio delle stagioni o alla forza «animalesca» della vita, sono tutte tesi esposte ad aprile da Renato Serra nel suo Esame di coscienza di un letterato 45 , da cui Pirandello sembra riprendere anche singole espressioni. Diversa è però la conclusione del personaggio:

se,

come

sostenuto

da

Serra,

la

guerra

non

incide

necessariamente sul corso del la Storia, «ciò che realmente importa è qualche cosa d‟infinitamente più piccolo o d‟infinitamente più grande: un pianto, un riso, a cui lei, o se non lei qualche altro, avrà saputo dar vita fuori del tempo» 46 . Una volta riconosciuto il peso relativo della guerra, bisogna insomma tornare alla letteratura, per superare nella creazione artistica la «passione d‟oggi» e «la realtà transitoria». Rimasto solo, lo scrittore ricade tuttavia nella «cocente passione» di cui è preda ogniqualvolta pensi al figlio. Gradualmente però lo studio si popola di spettri: «ombre nell‟ombra, che seguivano commiseranti la mia ansia, […] da cui forse eran nate o cominciavano ora a nascere»

47

. A

differenza del primo, i personaggi che adesso visitano lo scrittore non contrastano ma compatiscono la sua «ansia» né lo invitano a superare la sua «passione»,

di

cui

sono

anzi

il

prodotto.

l‟atteggiamento

nei

loro

confronti:

«Con

Cambia

chi

di

potevo

conseguenza io

veramente

comunicare, se non con loro, in un momento come quello? E […] mi forzai a discernerle a una a una, quelle ombre nate dalla mia passione, per mettermi a parlare […] con esse» 48. La conclusione della novella ne ribalta Ivi, p. 1141. Cfr. R. Serra, Esame di coscienza di un letterato, a cura di M. Biondi e R. Greggi, con un saggio critico di E. Raimondi, Il Ponte Vecchio, Cesena 2001, p. 98. 46 L. Pirandello, Novelle per un anno, cit., p. 1143. 47 Ivi, p. 1144. 48 Ibid. 44 45

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dunque l‟assunto iniziale: è proprio «in un momento come questo» che uno scrittore non ha altra scelta se no n rivolgersi alle forme d‟ispirazione derivate dal dramma collettivo e individuale. L‟intento, però, stando a ciò che Pirandello andava pubblicando, non consiste affatto nel superare la «realtà transitoria» e la «passione d‟oggi» ma al contrario nel raccon tare l‟una e nell‟esprimere l‟altra attraverso i personaggi e le loro vicende. Un procedimento seguìto allo scoppio del conflitto con la prima versione di Berecche e la guerra , confermato al momento dell‟intervento con La guerra su la carta e infine chiarito nei suoi aspetti biografici con i metaletterari Colloquii coi personaggi. Sul «Messaggero» del 22 agosto La guerra su la carta entra intanto nel vivo con la puntata La baionetta. Nello studio tappezzato di ricordi del Risorgimento, sotto il «vecchio sch ioppettone d‟ordinanza» 49 , Leccio ha allestito le carte geografiche dei principali fronti del conflitto , per seguirne l‟andamento con l‟aiuto di apposite bandierine. Non manca ovviamente la mappa del Trentino, che consiste anzi in «una plastica i n rilievo di cartapesta colorata» così realistica che a «uno che ci sia stato e conosca i luoghi come Marco Leccio» può sembrare di «poterci vivere in mezzo» 50. Il garibaldino vi «passa su nottate intere», figurandosi con apprensione gli scontri «nei passi più diffici li, in mezzo alla neve, sui ghiacciai» , proprio dove si trova il figlio maggiore, capitano d‟artiglieria . Osservando sulle mappe le evoluzioni degli eserciti, cresce invece lo sdegno del protagonista per il concetto della «strategia moderna», per cui hanno avuto l‟ardire di dirgli «che a petto di questa guerra tutte le altre combattute finora […], non parliamo delle battaglie garibaldine, […] diventano cose da ridere» 51. A riprova gli è stato fatto presente il numero di caduti: «tutti quanti i combattimenti degli eserciti regolari e dei volontarii nel periodo del nostro risorgimento, sommati insieme» non avrebbero provocato tanti «morti e feriti» «quanto in questa guerra ne danno certe

Ivi, p. 1180. Ibid. 51 Ivi, p. 1186. 49 50

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scaramucce giornaliere» 52. Leccio se la prende con il suo antico attendente , Tiralli, cui attribuisce il ruolo di «difensore della strategia moderna» per rinfacciargli il discorso in termini ribaltati: non sono i «pochi morti» e i «pochi feriti» di ieri a sminuire l‟importanza delle Guerre d‟Indipendenza bensì «i tanti morti d‟og gi, i tanti feriti d‟oggi, a milioni» a dimostrare l‟insensatezza del conflitto in atto. «Non vedi che sono l‟effetto di questa macchina stupida e mostruosa della tua strategia moderna, che mangia vite, strazia carni, e non conclude nulla?» 53. - La strategia, imbecilli! L‟arte di far durar e un secolo una battaglia, che prima con l‟impeto dei soldati e il genio dei capitani si risolveva in quattro e quattr ‟otto […]! Gli studi tecnici, il materiale bellico, si dice così? […] v‟empite la bocca, mor taj da 305 e 420, fucili a tiro rapido, mitragliatrici, dirigibili, aeroplani, gr anate a mano, «shr apnells», gas asfissianti, bombe incendiarie, trattor i meccanici, tanks, tr incee scavate a macchina, blindate, mine terrestri, fogate, reticolati, fili di ferr o, cavall i di frisia, bocche di lupo, proiettor i, razzi e bombe illuminanti, […] e la guerra dov‟è? nessuno la vede! Prima gli uomini combattevano in piedi, come Dio li aveva messi! Nossignori, adesso, non basta in ginocchio, pancia a terra, come le serpi e rintanati, chi sappia resistervi; noi, no, i nostri no, per la M adonna! balzano in piedi, irrompono, si avventano a petto, bajonetta in canna, «Savoja!». Questo ci vuole! Altro che i tuoi meccanici e i tuoi farmacisti! 54

Nello

scagliarsi contro

la

strategia,

Lecc io

ottiene

un

quadro

impressionante della guerra in corso, dove emergono in primo luogo i profondi mutamenti avvenuti nello spazio d‟una generazione. Non contano più l‟«impeto» o il «genio», che ai tempi del garibaldino decidevano in modo fulmineo l‟esito d‟una battaglia, ma la tecnica e il «materiale», con la conseguenza di un‟infin ita dilatazione della durata dei combattimenti. È tuttavia la moltiplicazione di armi e mezzi a costituire il discrimine principale tra la Grande Guerra e quelle del passato. La profusione del «materiale bellico» è tale da seppellire paradossalmente lo stesso conflitto, che scompare quale scontro tra uomini e diventa una gara d‟accumulazione di strumenti di morte. Neppure i soldati hanno modo di vedere la guerra, costretti come sono a combattere in posizioni indegne e innaturali. Giunto

Ibid. Ibid. 54 Ivi, pp. 1187-88. 52 53

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a questo punto, però, Leccio si ribella al quadro che lui stesso sta tracciando; identificandosi nei militari italiani, attribuisce loro un tipo di combattimento in contrasto con le condizioni che ha appena descritto e simile invece alle campagne di cui è reduce. In un ultimo impeto di rabbia urla di sapere cosa ci vorrebbe a finirla una volta per tutte e , afferrato il «trofeo della parete», «cava dallo schioppettone d‟ordinanza la bajonetta […] e fa l‟atto di cacciarla nella pancia a Tiralli. – Va‟ a dirlo a Joffre, va‟ a dirlo a French, va‟ a dirlo a Cadorna! questa ci vorrebbe!» 55. Il maggiore rammarico del garibaldino , stando alla puntata del 6 settembre, Il leone e l’agnello, resta tuttavia quello di non trovarsi al fianco di Giacomino. Sulla tradotta che porta il figlio al fronte, Leccio scorge un «volontario in divisa da fantaccino, […] più vecchio di lui, con la barba bianca e le antiche medaglie al petto» 56 e come al solito si sfoga sul povero Tiralli: non ti ver gogni leggendo ogni ser a sui giornali quanti giovani muojono a vent‟anni, lassù, e quanti vecchi a s essanta, a settanta, fino a settantas ei anni partono volontarii […]? […] Hai visto […] quel vecchio sul treno? […] pens a come va a mori re quel vecchio […]! con un grido in gola: « Viv a l’Italia, fig liuoli! Avanti sempre! ». Capis ci? Come Lavezzari! La morte del leone! Sull‟alba, l‟assalto: tutta la linea, un balzo e s ‟avventa alla baionetta: Savoja! Innanzi a tutti, lui, Lavezzari, che ha g iurato di morir e lassù! Corre, giunge fino all‟ultima trincea nemica! ritto in piedi lassù, si sbottona la giubba e mostra la sua camicia rossa per mor ir e così, da garibaldino! 57

Tra i casi di “vecchi e giovani” volontari che nei primi giorni della guerra italiana vengono riportati dai giornali, Pirandello cita non a caso la figura storica di Giuseppe Giulio Lavezzari. Coetaneo di Marco Leccio, anch‟egli garibaldino decorato al valore e reduce di Bezzecca, all‟entrata dell‟Italia in guerra Lavezzari si pres enta all‟ufficio reclutamento in camicia rossa e medaglie al petto; a differenza del personaggio di Pirandello, supera la visita, viene arruolato e inviato sul Podgora, dove il 15 luglio 1915, mentre guida i compagni all‟assalto, trova la morte proprio com e descritto da Leccio: sbottonando la giubba grigioverde per mostrare ai nemici la Ivi, p. 1189. Ibid. 57 Ivi, pp. 1191-92. 55 56

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camicia rossa. Considerato che la prima puntata della Guerra su la carta esce il 2 agosto, è lecito pensare che Pirandello abbia tratto spunto proprio da Lavezzari, il che d imostrerebbe ancora una volta la rapidità con cui l‟autore reinterpreta letterariamente la «realtà transitoria» della guerra. Fuor di dubbio è che Pirandello invita a confrontare l‟eroica vicenda del reduce di Bezzecca caduto sul Podgora con l‟umoristico c aso d‟un veterano che avrebbe

desiderato

combattere

e

morire

in

prima

linea

ma

deve

accontentarsi di fare la guerra sulla carta. Sono insomma altri i personaggi rappresentativi del momento e diverse le prove che devono affrontare: Leccio «non ha finito di commemorare» il «vecchio leone Lavezzari, che un grido, seguito dal pianto di tre donne, gli giunge dall‟attigua saletta da pranzo» 58 . È arrivata infatti la notizia della morte del nipote Marchetto, caporale di sanità. Suo padre, Giuseppe, «è come impazzito », e Leccio lo trova «spettorato, strappato, trattenuto da tante braccia, furibondo», «in atto di scagliarsi» all‟urlo di «Assassini di mio figlio! Via di qua!» 59; quando tenta di riportarlo alla ragione, Giuseppe giunge al punto di urlargli contro: «Io la maledico, la patria!»

60

. A dispetto dello spettacolo straziante,

ripensando alle ultime parole del nipote, Leccio conclude più tardi tra sé: «questa

è

veramente

una

guerra

santa,

se

possono

morirvi

così,

benedicendola, un leone come il vecchio romagnolo Lav ezzari e un povero agnellino come quel suo piccolo nipote Marchetto» 61. Al fronte, l‟incontro tra “vecchi” e “giovani” auspicato dal garibaldino e messo in risalto dai giornali sembra

dunque realizzarsi. In patria, invece, i primi lutti

dimostrano come il d olore d‟un genitore possa oltrepassare qualunque capacità di elaborazione, sfociando in veri e propri raptus; la guer ra, la patria e il re, seppure “ benedetti” in punto di morte dai figli, vengono allora senz‟altro “maledetti” dai padri. Al rischio che l‟a pprensione per i “giovani” faccia perdere ai “vecchi” la fede patriottica se non addirittura la ragione risponde idealmente la seconda parte dei Colloquii coi personaggi , pubblicata tra l‟11 e il 12 Ibid. Ivi, p. 1195. 60 Ivi, p. 1196. 61 Ibid. 58 59

15


settembre sul «Giornale di Sicilia». Questa volta tra le ombre nate dalla «cocente passione» lo scrittore scopre la madre defunta, che lo esorta ad «esser forte […] in quest‟ansia angosciosa per il […] figliuolo che combatte lassù» 62. A questo scopo, la donna ripercorre la propria vita dall‟infanzia, che si svolge nello stesso contesto da cui prendono avvio le avventure di Mortara dei Vecchi e i giovani : a Malta, dove il padre ha condotto la famiglia a causa della repressione borbonica dei moti del „48. Come il Generale Laurentano del romanzo , l‟uomo non regge al l‟esilio e in punto di morte raccomanda ai suoi cari di votarsi alla liberazione della patria. Tornati in Sicilia, allo sbarco d i Garibaldi due fratelli della donna si uniscono alle rivolte in sostegno dei Mille ; nella battaglia d‟Aspromonte, dove due altri fratelli si ritrovano a combattere su fronti opposti, in qualche modo si realizza invece il dramma degli scontri fratricidi temuto da Berecche . Proprio tra i reduci garibaldini la donna incontra poi il futuro marito, che la prende in moglie non molto dive rsamente da come fa Marco Leccio con Marianna: «non volevo più sposare; mi toccò sposare perché lui lo volle, lui che poteva imporsi al mio cuore con la bella persona e più [..] con l‟animo che voi figliuoli gli conoscete» 63 , ossia inte ramente consacrato al la patria. In definitiva, la madre dello scrittore può dire di comprenderne l‟angoscia: la tua pena, figlio, […] forse è la stessa che a me, donna, mi br uciò tanto […]: di non poter f are e di veder fare agli altr i quello che avr emmo voluto far noi e che p er noi s arebbe stato niente, mentre ci par tanto e tanto ci fa soffrire, che lo f acciano gli altri…Ma ecco, […] io sono venuta […], per dirti questo, che tu l‟hai voluta questa guerra, contro tanti che non la volevano e lo s apevi che se poco ti sarebbe cos tato s acrificare in essa la tu a vita, tanto, troppo invece ti sar ebbe costato il solo rischio di quella del tuo figliuolo. E l‟hai voluta. Tu paghi, dunque, di soffer enze più che se fossi andato…Ti basti. E Dio risparmi il tuo figliuolo! 64

Lo situazione de llo scrittore non è diversa dunque da quelle di Berecche e di Leccio . Tutti e tre i personaggi, pur essendo consapevoli del dolore a cui si esponevano e contro il volere dei «tanti» neutralisti, hanno desiderato ugualmente l‟intervento dell‟Italia e si rit rovano ad affrontare Ivi, p. 1146. Ivi, p. 1151. 64 Ibid. 62 63

16


una battaglia nel campo degli affetti ritenuta peggiore di quella combattuta al fronte. Può alleviarne parzialmente il peso, nei casi dello scrittore e di Marco Leccio, la consapevolezza che si tratta d‟una tappa nel processo di costruzione che è insieme della patria e della famiglia. Dalle parole della donna, risulta infatti un‟unica vicenda storico -familiare, trasposta in modo discontinuo da Pirandello in romanzi e novelle, che comincia con la rivoluzione del ‟48 degli avi, passa attr averso la Spedizione dei Mille e l‟Aspromonte dei padri per riallacciarsi infine, saltata una generazione, alla Grande Guerra dei figli. Agli anelli deboli di questa catena, impossibilitati a prendere parte agli eventi perché donne o vecchi o nati nel mome nto sbagliato, non resta che assicurare la prosecuzione dell‟identità familiare e nazionale, in cui risiede peraltro l‟unica consolazione all‟angoscia per i figli. Di qui i due temi che accomunano I vecchi e i giovani , Berecche e la guerra, La guerra su la carta e i Colloquiii coi personaggi : la trasmissione dei valori tra le generazioni e la contrapposizione, ora comica ora drammatica, tra affetti e doveri. Perché quest‟ultima non volga al tragico, come succede nel caso di Giuseppe Leccio, bisogna rammenta rsi della prima, come fanno Marco Leccio e, a beneficio dello scrittore, l‟ombra di sua madre. Sul «Messaggero» del 22 settembre si conclude La guerra su la carta , con un‟ultima puntata che, come la prima, porta nell‟intestazione un preciso

riferimento

cro nologico,

stavolta

coincidente

col

mese

di

pubblicazione: Mosche di settembre. L‟apprensione di Leccio per i figli raggiunge qui il culmine e il protagonista rilegge senza posa la lettera dal fronte di Giacomino. Il giovane vi annuncia la partenza per la p rima linea, dove un capitano «spiegherà le azioni che vi si sono svolte, quelle che vi si svolgono, quelle che vi svolgeremo noi. Svolgere…un tema, una volta…» 65. È dunque lo stesso volontario a rilevare il salto drammatico che la sua generazione deve compi ere dai banchi di scuola alle trincee di guerra; né si tratta di un‟osservazione dell‟autore, in quanto le parole di Giacomino ricalcano fedelmente la lettera ai familiari che Stefano Pirandello scrive dal

65

Ivi, p. 1200.

17


fronte il 18 agosto 66 e che, a giro di posta, il pa dre Luigi inserisce nella puntata del 22 settembre. A causa degli insetti del titolo, infine, a Leccio è negata anche la consolazione della guerra sulla carta: una mosca maledetta […] viene ostinatamente a posarsi su la carta plastica del Tr entino, mentre lui, Dio s a con quanta pena, […] s i cr ea l‟illusione della lontananza, di cui ha bisogno per veder innanzi a s é quella carta come una viva r ealtà. Eccola là, maledetta! viene all‟improvviso a rompergli questa illus ione, mettendosi come niente a passeggiar e su per le vette di quelle montagne […]. Centomila volte l‟ha cacciata e centomila volte quella porca mosca tignosa, tedesca, tirolese, eccola lì daccapo! 67

Svanisce

così

definitivamente

la

speranza

del

protagonista

di

comprendere il corso del conflitto e di seguire la sorte dei suoi cari , nell‟impossibilità di rivivere in prima persona l‟eredità garibaldina sul fronte della Grande Guerra . Per Pirandello, come per tutti i “vecchi” costretti a restare in patria, non sembra esserci d‟altronde alternativa all a guerra sulla carta , ossia sulle mappe geografiche, sui giornali o sulle lettere dei soldati. Una prospettiva a cui l‟autore non reagisce come farà invece nel finale del racconto Marco Leccio, che «sdegnato, diede un calcio a tutte quelle carte nel suo st udio, e non volle più saperne» 68. Alla carta, cioè alla scrittura, Pirandello continua ad affidarsi, se è vero che in quello stesso anno riprende e sviluppa Un’altra vita per la raccolta L’erba del nostro orto (1915). Le vicende del personaggio innamorato d ella cultura tedesca si riallacciano anzi direttamente a quelle di Marco Leccio, tanto che il primo capitolo aggiunto al racconto originale s‟intitolerà nella sua versione definitiva proprio La guerra sulla carta . Nel caso di Berecche, si tratta d‟un ricordo d‟infanzia, quando su una mappa dell‟Europa gioca va alla guerra franco-prussiana; il dramma è che «come nel giuoco avrebbe fatto lui ragazzetto di nove anni, hanno pensato sul serio di poter fare i Tedeschi,

Cfr. L. Pirandello, Il figlio prigioniero. Carteggio tra Luigi e Stefano Pirandello durante la guerra 1915-1918, a cura di A. Pirandello, Mondadori, Milano 2005, pp. 51-53. 67 L. Pirandello, Novelle per un anno, cit., p. 1197. 68 Ivi, p. 1207. 66

18


ora, dopo quarantaquattro anni di preparazion e militare!» 69. Il protagonista comincia a rivedere perciò le sue antiche convinzioni, a causa delle quali gli viene dichiarata tuttavia La guerra in famiglia , per riprendere il titolo del capitolo successivo. Com‟era successo a Leccio, la casa di Berecche è sconvolta da un lutto, che colpisce stavolta il fratello di Gino Viesi, il genero triestino. Questi sfoga il proprio dolore su l protagonista, a cui rinfaccia l‟indifferenza all‟irredentismo, proprio come gli interventisti visti manifestare per le strade di Roma, più sensibili alle sorti de i Belgi che non a quelle dei Trentini. Berecche viene a sapere così che tra i dimostranti c‟è il figlio Faustino e sopraffatto dalla rabbia si chiude nello studio. «La ragione filosofica » però «riprende […] il predominio » 70 nell‟animo di Berecche, che «s‟appressa alla finestra più vicina […] e si mette a guardare le stelle» 71 , vi si trasferisce anzi idealmente per contemplare il mondo dalla prospettiva degli «spazii senza fine». Di lì la Terra gli appare un «granellino infi mo» e tanto più insignificanti risultano gli uomini con le loro «stolide guerre». Anche a cospetto dello scorrere del tempo , «questa guerra ch‟ora ci sembra immane e formidabile» e «riempie d‟orrore il mondo intero» si rivela invece irrilevante: «tra mille anni – pensa Berecche – […] sarà in poche righe ristretta nella grande storia»

72

. A fronte di

quest‟ultima, il personaggio rivendica la dignità di «tutte le piccole storie di […] migliaja e migliaja di essere oscuri, che ora scompaiono travolti» 73. Agli occhi di molti tra costoro la guerra deve aver perduto ogni senso: Quanti, f eriti non raccolti, morenti su la neve, nel fango, si ricompongono in attesa della morte e […] più non s anno veder e la ragione della feroci a che ha spezzato sul meglio, d‟un tr atto, la loro giovinezza, i loro affetti , tutto per sempr e […]! Nessuno saprà. Chi le sa, anche adesso, tutte le piccole, innumer evoli storie, una in ogni anima dei milioni e milioni d‟uomini di fronte gli uni agli altri per uccidersi? Anche adesso, poche righe nei bollettini degli Stati Maggiori: - s’è progredito , s’è indietreggiato ; tre, quattro mila tra morti, feriti e scomparsi . E basta. Che r ester à domani dei diarii

Ivi, p. 584. Ivi, p. 595. 71 Ibid. 72 Ivi, p. 597. 73 Ibid. 69 70

19


della guerr a su per i giornali, ove una minima parte di queste piccole innumer evoli storie s ono appena, in brevi tr atti, accennate? 74

Anziché continuare a raccontare la guerra attraverso le notizie degli Stati Maggiori, tragicamente sproporzionate rispetto al destino dei singoli , come mostrerà il finale di Niente di nuovo sul fronte occidentale (1929) di E.M. Remarque, e piuttosto che tramandare il ricordo del conflitto secondo la «grande storia» degli imperi, delle nazioni e dei loro interessi, per Pirandello bisognerebbe rifarsi alle «piccole storie» dei soldati , costretti a misurare le ragioni del conflitto sulla propria pelle. È ciò che peraltro lo scrittore aveva fatto inserendo la lettera dal fronte del figlio nella Guerra su la carta, ed è ciò che ai nostri giorni è divenuto possibile grazie al recupero dei diari e delle lettere dei soldati semplici 75. Per Berecche assume in ogni caso tutt‟altro aspetto il conflitto ripensato su uno sfondo universale per spazio, tempo e protagonisti: «No: questa non è una grande guerra; sarà un macello grande; una grande guerra non è perché nessuna grande idea lità la muove […]. Questa è guerra di mercato: guerra d‟un popolo bestione […] che ha voluto aggredire per imporre […] la sua merce» 76 . La «guerra di macchine, guerra di mercato» condannata nell‟interv ista di «Noi e il mondo» trova infine la principale resp onsabile nella nazione tedesca , contro cui diventa lecito combattere . La consapevolezza dell‟insensata ferocia della guerra non conduce infatti Berecche su posizioni neutraliste ma lo spinge a cambiare schieramento, ossia ad appoggiare in segreto la posizione di Faustino. La situazione tuttavia precipita: il genero e il figlio fuggono in Francia per unirsi alla Legione Garibaldina. La moglie di Berecche, come Giuseppe nella Guerra su la carta , perde letteralmente la ragione e addossa al marito la responsabilità della partenza del figlio, che sarebbe scappato «per fare una giusta vendetta dei sentimenti […] oppressi fin dall‟infanzia» «col metodo tedesco» 77 . Berecche ne spiega i termini ad un amico: «vuol dire frenare, […] soffocare, se occorre, i sentimenti n aturali, di padre, di figlio, tutti i Ibid. Cfr. A. Gibelli, La guerra grande. Storie di gente comune, Laterza, Roma-Bari 2014. 76 L. Pirandello, Novelle per un anno, cit., p. 598. 77 Ivi, p. 607. 74 75

20


sentimenti naturali, che non vogliono aver legge! […] Frenare la natura che insorge contro la ragione» 78. Quando però gli viene mostrata una lettera di Faustino, Berecche si scioglie in lacrime con la moglie tra le brac cia. Il figlio scrive da Nizza, dove dichiara di volersi arruolare non tanto in difesa della Francia quanto piuttosto per dimostrare che «tra tanta prudenza […] c’è pure in Italia… niente, un po’ di gioventù sprecata, […] che non sa fare i conti e non sa essere accorta e prudente, un po’ di gioventù, ecco » 79 . Più che per le ragioni dell‟interventismo o per l‟idea di destino e di formazione che Renato Serra attribuiva al conflitto,

Faustino prende le armi per una questione

generazionale, perché “giovane”, insofferente cioè alla «disciplina» che caratterizza i “vecchi” ed impaziente di fare dono di sé. È tuttavia proprio l‟idea della «gioventù sprecata» a portare all‟ultimo stadio la crisi d‟un maturo sostenitore del metodo come Berecche. Con l‟idea di arruolar si nel «Corpo guide volontarii a cavallo »

80

, il

protagonista si presenta infatti ad un maneggio, dove convince il maestro d‟equitazione a passare subito alla pratica. Si lancia al galoppo e prima di venire sbalzato vive «una gran gioja », pensando «alla guerra, a Faustino che si lanciava alla bajonetta contro i Tedeschi, e […] via di galoppo con lui, […] nella mischia» 81. Risale allora in sella, strappa il frustino dalle mani del maestro e si lancia di nuovo a briglia sciolta, «rituffandosi nella violenta visione dei garibaldini alla carica, con Faustino alla testa. E più il suo ragazzo gli corre davanti con la camicia rossa […], e più lui frusta il cavallo; avanti! […] Viva l‟Italia! […] un po‟ di gioventù sprecata!» 82. In un «delirio» non diverso da quello per cui Mauro Mortara credeva di unirsi all‟esercito in lotta per l‟Unità anziché contro i Fasci dei lavoratori, Berecche immagina di prendere parte ad un assalto garibaldino sul fronte della Grande Guerra: il proposito di Marco Leccio diventa una vera e propria allucinazione. Come prevedibile, arriva in ogni cas o la caduta rovinosa e Berecche si rompe la testa. Quando torna a casa con un a Ivi, pp. 609-10. Ivi, p. 613. 80 Ivi, p. 616. 81 Ivi, p. 619. 82 Ivi, p. 620. 78 79

21


fasciatura che gli copre gli occhi , si fa condurre nello studio insieme alla figlia Ghetina. A Berecche sembra allora di c ondividerne la cecità, impossibilitato com‟è a scorgere finanche il lume della Madonnina su cui si concludeva la prima versione del racconto. In una simile oscurità immagina di sprofondare definitivamente nel caso Faustino cada in combattimento. All‟idea di sopravvivere al figlio, Berecche si stringe al petto Ghetina: « - E di questo, figliola mia, di tutto questo, siano rese grazie alla Germania!» 83. Il racconto si chiude così con l‟espressione di riconoscenza di Berecche alla nazione tedesca, da cui è stato in qualche modo costretto a rovesciare le proprie po sizioni. Convinto inizialmente d el «lume della ragione» e della civiltà, che già nella prima versione del racconto s‟era ridotto al «lumino» d‟un tabernacolo di campagna, il personaggio si ritrova ad un passo dalla follia, sprofondato nel «bujo» dell‟intelletto accecato; l‟iniziale fede nel «metodo» inteso come «disciplina» del sentimento si risolve invece nella conclusiva capitolazione alla forza degli affetti. Sotto questo aspetto, Berecche non è divers o da Leccio e dallo scrittore di Colloqui; si tratta infatti di tre campioni d‟una generazione che sulla base dei propri princìpi e dei valori tramandati ha auspicato l‟intervento dell‟Italia in guerra, per poi sperimentarvi una drammatica inadeguatezza d‟ordine personale e culturale. Il risultato sembra proprio quel «sentimento del contrario» con cui Pirandello definiva l‟umorismo e di cui si serve perciò per raccontare il disinganno dei suoi personaggi, che è poi lo stesso suo e di un‟intera epoca. Posti alla prova d‟un conflitto che va assumendo forme inaspettate, si rivelano in ogni caso inutilizzabili tanto le aspirazioni che gli schemi interpretativi del passato, sia che derivino dal modello tedesco a cui guarda Berecche, dalla tradizione garibaldina d i Leccio o patriottico liberale dello scrittore dei Colloquii; neanche la storiografia classica, fondata su categorie esclusivamente politiche e concentrata sui vertici del potere, pare avere peraltro gli strumenti per affrontare un simile evento di massa. Risulta

di

conseguenza

sconvolto,

specialmente

dal

tempo

del

romanzo omonimo, il rapporto tra “i vecchi e i giovani ”, avendo perduto i 83

Ivi, p. 622.

22


primi la presa sul presente, che getta invece i secondi alla ribalta: in altre parole, la guerra ha fatto saltare «l‟ol tracotante oppressione» di cui parlava Lando Laurentano. Guardandosi indietro alla luce del conflitto, i padri devono riconoscere quindi che nel tentativo d‟inculcare i propri princìpi hanno finito soltanto per soffocare la vitalità dei figli; questi ultim i individuano la loro strada proprio in un volontarismo di tipo sentimentale prima che politico. Può succedere allora che s‟inverta la consueta trasmissione dei valori e paradossalmente siano i “vecchi” a prendere dai “giovani”, come nel caso dello “spreco di sé”. Al di là della follia di precedere i figli al fronte o della velleità di seguirne la sorte da lontano, Pirandello raffigura gli uomini della sua generazione schiacciati tra un grande passato e un presente tumultuoso, difficilmente decifrabile e in cui in ogni modo non possono fare altro che aspettare il ritorno dei propri cari. Camera in attesa (1916) s‟intitola appunto la novella che l‟autore pubblica qualche mese dopo: un limbo angosciante, considerando che agli occhi più avvertiti la guerra lasc ia ormai intravedere la sua natura industriale, dove di sicuro non attecchiscono più gli ideali dei „vecchi‟ né quelli dei „giovani‟ sembrano adatti a dare frutti.

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24


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