Sabrina Martina, Lutto e melanconia nella corrispondenza proustiana degli anni di Guerra (1914-1918)

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Lutto e melanconia nella corrispondenza proustiana degli anni di Guerra (1914-1918) Sabrina Martina

1. Proust e la storia Il legame fra letteratura e storia nell’opera di Proust è rimasto per lungo tempo misconosciuto. Il carattere intimo e rapsodico delle illuminazioni analogiche che sono alla base dell’immensa costruzione che è la Recherche du temps perdu e ne costituiscono, per ammissione dello stesso autore, la sostanza poetica, hanno fatto credere per molto tempo che la grande cattedrale proustiana fosse solo un’opera dell’«impossibile oblio » 1. Essa procederebbe su di una «coazione a ricordare » tale da far pensare più all’effetto di una malattia della memoria come quelle studiate da Bergson 2 (amnesia e ipermnesia avendo la stessa base, q uella di una flagrante, intermittente, incoercibile e spossessante presenza dell’oblio) che alla volontà dello scrittore, se non di produrre un romanzo storico - ipotesi, questa, da escludere in partenza 3 -, almeno di tentare di riallacciare i suoi vissuti personali ai grandi eventi storici ch e caratterizzarono la sua epoca: in primo luogo la Grande Guerra. Secondo il giudizio di Léon Pierre -Quint (1895-1958),

direttore

della

casa

editrice

Le

Sagittaire

e

lettore

appartenente alla stessa generazione di Proust, quest’ultimo sarebbe privo di qualsiasi senso storico e poco si sarebbe curato del grande conflitto mondiale: «Malgré les déclarations contraires qu’il a faites dans ses lettres

Cfr. S. Beckett, Proust, in The Collected Works of Samuel Beckett (1970); trad. it. Proust, Sugarco, Milano 1978. Cfr. S. Poggi, Gli istanti del ricordo. Memoria e afasia in Proust e Bergson, il Mulino, Bologna 1991. 3 Sulla questione del romanzo storico, cfr. fra gli altri A. Beretta Anguissola, Sull’utilità e il danno della storia per il romanzo: Guerra, cronaca e costume nella «Recherche» di Proust, in M. Columni Camerino (a cura di), La storia nel romanzo (1800-2000), Atti del convegno della Fondazione Sigismondo Malatesta, svoltosi a Sant’Arcangelo di Romagna il 2004, Bulzoni, Roma 2008, pp. 105-133, disponibile su: http://dspace.unitus.it/handle/2067/796; P. Zagorin, Proust for Historians, in «New Literary History», 2006, n. 2, pp. 389-423. L’articolo è disponibile su: http://muse.jhu.edu/journals/nlh/summary/v037/37.2zagorin.html. 1 2

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pour rester un “honnête homme”, elle (la guerre) ne l’intéresse pas: elle ne compte pas à ses yeux d’artiste» 4. Da giudizi come questo si è andata formando, durante e oltre i decenni del “purgatorio” proustiano, l’immagine poco allettante di Proust come

un

écrivain

embusqué .

Pierre

Edmond-Robert,

in

un

saggio

recentissimo, ne fornisce diversi esempi : Paul Souday (1869 -1929), critico letterario su «Le Temps» dal 1912, Henri Ghéon (1875 -1944), drammaturgo cattolico, e Jean de Pierrefeu (1881 -1940), critico e memorialista di gue rra, sono uniti e coerenti nel presentarci la Recherche come una raccolta di ricordi d’infanzia di tonalità affettiva esclusivamente personale, e nel fondare e corroborare il cliché di un Proust che «se cloître dans sa vie intime et mourra de s’être trop c ontemplé dans l’eau transparente de la mémoire» 5. Le generazioni successive di critici letterari e di storici che si sono occupati della Recherche a partire dal periodo fra le due guerre hanno gradualmente contraddetto questo luogo comune. L’articolo di Perez Zagorin Proust for Historians fornisce una succinta ma succosa rassegna bibliografica degli autori che si sono occupati della Recherche come documento storico oltre che letterario. Prima della Seconda Guerra mondiale, nel periodo della Grande Depressione, il critico e storico statunitense Edmund Wilson interpretò la Recherche come il ritratto di una società in decadenza , e concluse a proposito dell’acuta sensibilità storica di Proust che questi fu «the last great historian of the loves, the society, the intelligence, the diplomacy, the litterature, and the art of the Heartbreak House of capitalist culture» 6. L’interpretazione

della

Recherche

come

rappresentazione di una società in decadenza ebbe larga fortuna e fu ripresa, dopo il second o conflitto mondiale, dallo storico inglese Alfred Cobban, il quale suggerì che Proust nella sua opera avesse voluto L. Pierre-Quint, Marcel Proust, sa vie, son œuvre, éd. augm. de plusieurs études et de Proust et la jeunesse d’aujourd’hui, Le Sagittaire, Paris 1946, p. 123, cit. da M. Rieuneau, Guerre et révolution dans le roman français de 1919 à 1939, Slatkine Reprints, Genève 2000 (1a ed. 1974), par. 7 del cap. La littérature de démobilisation: La guerre dans «Le Temps retrouvé» (1927), pp. 112-33. 5 J. de Pierrefeu, «L’Opinion», 24 janvier 1914, cit. da P.-E. Robert, Le Temps retrouvé: Roman, chronique et discours de la guerre, in Ph. Chardin e N. Mauriac-Dyer (a cura di), Proust écrivain de la Première Guerre mondiale, Éditions Universitaires de Dijon (EUD), Dijon 2014, pp. 13-24. 6 E. Wilson, Axel’s Castle, Charles Scribner’s Sons, New York 1959 (1a ed. 1931), pp. 189-190. 4

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prefigurare il declino della Terza Repubblica – che si sarebbe poi puntualmente verificato, con il collasso finale nel 1940 –, svolgendo in ciò un compito analogo a quello di uno storico 7. H. Stuart Hughes utilizzò Proust accanto ad altri scrittori come Thomas Mann e Herma nn Hesse per fornire una vasta ricostruzione dei cambiamenti intervenuti nel pensiero e nella coscienza sociali europei fr a il 1890 e il 1930 8. La storia della Francia contemporanea di Theodore Zeldin dal titolo A History of French Passions menziona Proust più volte, e gli consacra un intero capitolo sul tema dell’individualismo e dell’analisi degli individui 9. Eugen Weber, un altro storico della Francia contemporanea, si riferisce alla Recherche come a una «fin de siècle history» 10. Lo storico della sessualità Peter Gay ha attinto dalla Recherche un’ampia messe di materiali 11. Una recente lettura marxista interpreta la Recherche come cronaca della lotta di classe fra aristocrazia e borghesia durante gli ultimi tre nt’anni della Terza Repubblica 12. Fra le opere che a vario titolo hanno riconosciuto alla Recherche una valenza storica spiccano alcuni lavori che, tra gli anni Sessanta e Novanta del secolo appena trascorso , hanno ridefinito il concetto di storiografia e quello di racconto di finzione traendo spunto dall’esperienza romanzesca di Proust. L’importanza di questi lavori si riallaccia al fatto che vi si affrontano e ridefiniscono, con esiti spesso rivoluzionari, questioni di metodo, concernenti tanto la critica letteraria qu anto la storiografia. Anche qui ci limiteremo solo ad alcuni spunti. Nel 1969 apparve un libro di teoria della storiografia in cui l’autore, il filosofo

ebreo-tedesco

Siegfried

Kracauer

(1889 -1966),

affermava

lo

statuto autonomo della storiografia rispetto ai tentativi, che si erano susseguiti nel corso dei secoli, di inglobarla e di farne l’espressione di una teologia, di una filoso fia della storia o anche di una concezione rigidamente

Cfr. A. Cobban, The Historical Significance of Marcel Proust, in «The Cambridge Journal», 1948, n. 1, pp. 613623. 8 Cfr. H. Stuart Hughes, Consciousness and Society, Knopf, New York 1958. 9 Cfr. Th. Zeldin, A History of French Passions, Oxford University Press, Oxford 1973-1977. 10 Cfr. E. Weber, France, Fin de Siècle, Harvard University Press, Cambridge (Ma.) 1986. 11 Cfr. P. Gay, The Bourgeois Experience: Victoria to Freud, Oxford University Press and Norton, New York 19841998, vol. II: The Tender Passion, pp. 198-201. 12 Cfr. M. Sprinker, History and Ideology in Proust: «À la recherche du temps perdu» and The Third French Republic, Cambridge University Press, Cambridge 1994. 7

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scientista della realtà 13. Kracauer enuncia le seguenti tesi: 1) l’essere umano che crea la storia è relativamente libero; 2) la storia deve essere esposizione di un racconto ( story); 3) il racconto sto rico deve mantenere una qualità epica; 4) malgrado ciò, il racconto storico deve tenere conto di tutto ciò che la scienza naturale può offrirgli, e dunque tendere alla formulazione di leggi, ma non di lunga durata – che risentirebbero di un impianto teleologico –, bensì che esprimano scoperte particolari . Il filo rosso che attraversa queste tesi, e ne definisce la novità metodologica, è l’analogia stabilita dall’autore fra storiografia e fotografia, un’analogia che viene intesa come strumento euristico 14. Questo è (anche) il punto di partenza per una lettura nuova di Proust. L’ autore stabilisce una pregnante analogia fra l’occhio del fotografo e l’occhio del narratore proustia no nell’episodio della prima scoperta della malattia di grand-mère: è lo sguardo dell’estraneo, dell’esule, del viaggiatore, che funziona come un mero strumento fotografico e permette di cogliere realtà nuove, insospettate e allo stato nascente decostruendo i fantasmi morali dell’immaginazione, la postura in cui abitualmente ci si pone nel guardare a un essere amato 15. Con questo esempio – e con i molti riferimenti a Proust disseminati nel suo libro – Kracauer mostra che l’atteggiamento del narratore proustiano, almeno in certi suoi aspetti, è simpatetico con quello del “vero” storico. Sul crinale tra storia e narrazione si muove anche la grande impresa di Temps et récit di Paul Ricœur (1913-2005). 16 Anche nella trilogia di Ricœur la S. Kracauer, History. The Last Things Before the Last (1969); trad. it. Prima delle cose ultime, Marietti, Casale Monferrato 1985, p. 13: «Il mio scopo è di stabilire l’area intermedia della storia come un’area in sé autonoma, quella dello sguardo provvisorio sulle ultime cose che vengono prima delle cose ultime». 14 Ivi, p. 45: «Il vero fotografo fa appello al proprio essere non per farlo sfogare in creazioni autonome, ma per dissolverlo nelle sostanze dei fenomeni della vita reale che si presentano davanti alle sue lenti, in modo da lasciarli intatti e insieme da renderli trasparenti. Se la fotografia è un’arte, essa è un’arte che ha una caratteristica peculiare: diversamente dalle arti tradizionali, si vanta di non consumare completamente la sua materia prima». Una più ampia trattazione di questo punto si trova in S. Martina, La notte della storia e le rappresentazioni proustiane della Grande Guerra, in «Quaderni Proustiani», 2014, pp. 181-196, cui ci permettiamo di rinviare. 15 Cfr. M. Proust, Le Côté des Guermantes, in À la recherche du temps perdu, édition publiée sous la direction de J.Y. Tadié, Gallimard, Paris 1987-1989, vol. II, p. 440. Ogni riferimento successivo alla Recherche sarà tratto da questa edizione in quattro volumi e userà la sigla RTP per il titolo generale e le sigle date qui di seguito per i singoli romanzi: Du côté de chez Swann (CS), À l’ombre des jeunes filles en fleurs (JF), Le Côté des Guermantes (CG), Sodome et Gomorrhe (SG), La Prisonnière (P), Albertine disparue (AD), Le Temps retrouvé (TR), in quest’ordine: sigla del romanzo, sigla del titolo generale, numero del volume, numero di pagina. Cfr. S. Kracauer, cit., pp. 66-67. 16 Cfr. P. Ricœur, Temps et récit. Tome I (1983); trad. it. Tempo e racconto, vol. I, Jaca Book, Milano 1983; Temps et récit II. La configuration dans le récit de fiction (1984); trad. it. Tempo e racconto, vol. II: La configurazione nel racconto di 13

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Recherche occupa un posto privilegiato, come esempio di quel «temps raconté» destinato a sanare il dissidi o tra storia e finzione. Emerge un arsenale di concetti, di metodi, di punti di vista e di strumenti che accomunano la narrazione proustiana a un nuovo progetto di storiografia, basato sulle «tracce». Ciò riporta al tema, trattato dalla critica proustiana 17, della quête come decifrazione indiziaria. Chi rifiuta recisamente i pericoli dello scivolamento della storia nella finzione (rischio che non si trova nei due autori citati in precedenza, ma che nacque da un’interpretazione estremistica delle loro opere) è Carlo Ginzburg, un decennio dopo Temps et récit . Nel concludere in favore dello «straniamento »

(che

corrisponde

allo

sguardo

dello

straniero,

del

contadino, dell’esule) non solo come procedimento letterario, ma anche come possibilità offerta allo storico , Ginzburg fa sue le implicazion i antipositivistiche dell’uso di «metafore », simili a quelle usate dal pittore Elstir nella Recherche, nel dipingere la storia. Ciò non porta a sovrapporre storia e finzione, ma a rilevare l’adozione comune – da parte dello storico prefigurato da Ginzburg e del narratore proustiano – delle metafore come strumenti cognitivi, che servono a «spazzolare alla rovescia » i fatti e a mostrare l’ordito della storia. Scrive Ginzburg: «Per descrivere i l progetto storiografico in cui personalmente mi riconosco utilizzerei, con un piccolo cambiamento, una frase di Proust tratta dal passo che ho citato poco fa: “E se volessimo supporre che la storia fosse scientifica, bisognerebbe dipingerla come Elstir di pingeva il mare, alla rovescia”» 18. Tutti

questi

autori

prendono

le

distanze

da

una

concezione

strettamente positivistica della storiografia, pur scandendo con misure e prospettive diverse lo iato che s epara la storia dalla finzione. Tutti prendono esempio da Proust: sguardo del narratore -fotografo, invenzione di un’identità narrativa dei personaggi e di un procedimento di decifrazione indiziaria, sguardo straniante del pittore Elstir e di Mme de Sévigné , tutti questi concetti sono evocati – con molti altri – a mostrare la grande finzione, Jaca Book, Milano 1985; Temps et récit III. Le temps raconté (1985); trad. it. Tempo e racconto, vol. III: Il tempo raccontato, Jaca Book, Milano 1988. 17 Cfr. M. Bongiovanni Bertini, Proust e la teoria del romanzo, Bollati Boringhieri, Torino 1996. 18 C. Ginzburg, Straniamento. Preistoria di un procedimento letterario, in Occhiacci di legno. Nove riflessioni sulla distanza, Feltrinelli, Milano 1998, p. 34.

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importanza della letteratura – e di Proust in particolare – come serbatoio di strumenti di metodo, di archetipi, di miti e di procedimenti intellettuali che permettono di cogliere la verità storica e quindi, in senso ampio, “scientifici”. Ciò non contraddice anzi esalta la formazione positivistica e l’ampia cultura storica di Proust, mostrando la maturazione del nesso letteratura-storia nella sua ricezione. Questo travaglio di molti decenni è culminato nel bellissimo articolo di Antoi ne Compagnon dedicato alla Recherche come «lieu de mémoire», all’interno della raccolta omonima coordinata dallo storico Pierre Nora 19: la Recherche è un vero monumento della cultura e della memoria stori ca del paese -Francia, con i suoi luoghi – anche fisici – dove recarsi sulle tracce di Proust, e con la percezione che l’opera è un «grand cimetière» 20, un memoriale dove rendere omaggio ai morti. È in questo contesto che si è fatta strada una nuova questione della critica proustiana: l’interpretazione delle pagine del Temps retrouvé dedicate al racconto della Grande Guerra 21, un interesse che si è potuto schiudere solo tardivamente. Come abbiamo cercato di mostrare, l’apporto della Recherche alla conoscenza e alla comprensione di un evento di dimensioni colossali come la Grande Guerra è rimasto per molto tempo estraneo alle ricerche degli studiosi , concentrati su altre dimensioni dell’est etica e della poetica proustiane e a volte risoluti nel negare qualsiasi dimensione storica a questo capolavoro letterario. Ma con il riconoscimento progressivo del nesso letteratura -storia nella ricezione di Proust, e con il riaccendersi dell’interesse del pubblico e della critica d’oltralpe per quegli scrittori che per primi hanno raccontato la Grande Guerra, come Barbusse, Dorgelès, Genevoix, e altri, ripubblicati in edizioni tascabili; soprattutto, poi, con la nuova ondata di lavori storici ch e hanno illustrato un modo diverso di trattare i traumatismi delle guerre (in particolar modo per ciò ch e concerne la Shoah); finalmente, negli anni Ottanta, e sempre più nei due decenni successivi, si sono mol tiplicati i contributi sul tema bellico in Proust , A. Compagnon, La «Recherche du temps perdu» de Marcel Proust, in P. Nora (a cura di), Les Lieux de mémoire, Gallimard, Paris 1997, vol. III : Les France Singularités, pp. 3835-69. 20 TR, RTP, IV, p. 482. 21 TR, RTP, IV, pp. 301-433. 19

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coinvolgendo le neonate scienze del p aratesto proustiano – aventi il loro centro presso l’”équipe Proust” dell’Institut des Textes et Manuscrits Modernes (ITEM) di Parigi – e i cultural studies 22. Nell’anno accademico 2010-2011 sono state consacrate a questo tema alcune giornate di studio organizzate dall’ITEM i cui contributi, scaricabili dapprima in versione audio 23, sono poi confluiti nel volume collettivo , uscito nel 2014, Proust écrivain de la Première Guerre mondiale . Sempre nel 2014 è stata pubblicata presso Champion la prima monografia interamente dedicata

all’argomento .

interdisciplinare

dei

Questo

cultural

studio

studies

in

risente

dell’impostazione

particolare

statunitensi

nell’affrontare il tema di un Proust «écrivain de l’arrière» e decostruttore, nella

Recherche,

dei

luoghi

comuni

del

cosiddetto

«fronte

interno »

(propaganda, bourrage de crâne da parte dei media): un tema di grande attualità che trova riscontro nella maggioranza dei contributi più recenti 24. In concomitanza con il centenario dello scoppio della Prima guerra mondiale, le iniziative proustiane si sono moltiplicate e sono tuttora in corso 25. D’altro lato, libri storici che hanno segnato una nuova percezione della Grande Guerra come quelli di Fussell 26 e Winter 27 stanno conoscendo nuova popolarità, aiutati in questo dall’interesse editoriale e commerciale che accompagna il centenario.

La bibliografia di questi contributi, elaborata da Mme Pyra Wise dell’ITEM, è disponibile alla pagina: www.item.ens.fr/upload/Proust/Bibliogr_Proust_Guerre.pdf, e in una versione più recente in Ph. Chardin e N. Mauriac-Dyer (a cura di), Proust écrivain de la Première Guerre mondiale, cit., pp. 176-185. Cfr. anche la Notice posposta all’edizione Pléiade (1987-1989) del Temps retrouvé: P.-L. Rey, B. Rogers, Notice. Le Temps retrouvé, RTP, IV, pp. 1146-75 ; la voce «Guerre de 14-18» redatta da P.-E. Robert in A. Bouillaguet e B. G. Rogers (a cura di), Dictionnaire Marcel Proust, Champion, Paris 2004, pp. 453-55 ; la voce «Guerre» in P. Newman-Gordon (a cura di), Dictionnaire des idées dans l’œuvre de Marcel Proust, Mouton, The Hague-Paris 1968, pp. 241-242. 23 Cfr. www.item.ens.fr/index.php?id=577710. 24 B. Mahuzier, Proust et la guerre, Champion, Paris 2014. 25 Cfr. il programma del Séminaire de recherche Proust II: Fin d’un monde, fin d’une œuvre: «Le Temps retrouvé», previsto all’ITEM per l’anno accademico 2014-2015 e consultabile alla pagina: www.item.ens.fr/index.php?id=13700, e gli indici delle più recenti riviste specializzate: «Bulletin Marcel Proust» (BMP), «Bulletin d’Informations Proustiennes» (BIP), «Quaderni Proustiani». Segnalo anche il recentissimo convegno internazionale del 25-27 Giugno 2015, Marcel Proust et la Grande Guerre, organizzato a Köln da Wolfram Nitsch e Jürgen Ritte, http://phil-fak.unikoeln.de/19472.html?&tx_ttnews[tt_news]=2020&cHash=a50e1853bd9f22a080bbb923460fa004. 26 P. Fussell, The Great War and Modern Memory (1975); trad. it. La Grande Guerra e la memoria moderna, il Mulino, Bologna 1984. 27 J. Winter, Sites of Memory, Sites of Mourning. The Great War in European Cultural History (1995); trad. it. Il lutto e la memoria. La Grande Guerra nella storia culturale europea, il Mulino, Bologna 1998. 22

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2. Le lettere di condoglianza proustiane e la cultura di guerra Nel filone storiografico della microstoria o storia del costume che ha come oggetto la Grande Guerra , un tema caratteristico è costituito dall’indagine sulle immagini memoriali del lutto, che è stata fissata in modo molto interessante

per

mezzo

di

un

lavoro

comparatistico

di

taglio

pluridisciplinare da Jay Winter. Solo in pochi contributi questo tema del lutto è stato posto in correlazione con la corrispondenza proustiana degli anni di guerra, che pure ha cominciato a essere larg amente utilizzata negli articoli più recenti 28. In particolare, fra i testi recenti già citati, l ’indagine del lutto come fenomeno culturale e segnatamente vestimentario di Anna Magdalena Elsner fa riferimento soltanto all’interesse manifestato da Proust nel Temps retrouvé per le sfumature cromatiche che esprimono il lutto o “mezzo-lutto” delle mode femminili del periodo bellico 29. Manca invece uno studio sulle lettere di condoglianze nella corrispondenza proustiana di questi anni, che pure ne abbonda. Alcune spie del tema del lutto sono rinvenibili nel testo monografico di Mahuzier 30 e negli studi di Carine Trevisan 31, ma in generale , per ciò che riguarda le lettere di condoglianze , bisogna fare riferimento al testo , già datato di alcuni decenni , di Luc Fraisse sulla corrispondenza proustiana 32. In un paragrafo dedicato a questo tema, Fraisse mette in evidenza il carattere “seriale” delle lettere di condoglianza proustiane, generalmente tripartite in tre nodi argomentativi: 1) il pensiero del corrispondente va senza posa alla notizia della morte d el congiunto del destinatario; 2) segue evocazione di ricordi correlati a quest’ultimo; 3) la conclusione si può in genere parafrasare così: «per ora tutto questo è penoso da ricordare, ma verrà il momento in cui i ricordi da dolorosi si trasformeranno in una

Cfr. M. Naturel, Les Temps de l’histoire, in « Bulletin Marcel Proust », 2012, n. 62, pp. 7-17 ; P. Ifri, La Première Guerre mondiale dans la Recherche e la correspondance: Un parallèle, in « Bulletin Marcel Proust », 2012, n. 62, pp. 1830. 29 A.M. Elsner, La Sociologie du deuil dans l’épisode de la guerre: Entre éthique et esthétique, in Ph. Chardin e N. Mauriac-Dyer (a cura di), Proust écrivain de la Première Guerre mondiale, cit., pp. 37-49. 30 B. Mahuzier, Proust et la guerre, cit. 31 C. Trevisan, Des «rivages de la mort» au front intérieur: Proust survivant de la Grande Guerre, in Ph. Chardin e N. Mauriac-Dyer (a cura di), Proust écrivain de la Première Guerre mondiale, cit., pp. 25-35. 32 L. Fraisse, Proust au miroir de sa correspondance, SEDES, Paris 1996, pp. 235-237. 28

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forma di consolazione e ricordare sarà dolce ecc. ». Le citazioni che Fraisse fornisce, esemplificative di questa sempre uguale struttura argomentativa, sono – forse non casualmente – tratte proprio dall’arco temporale bellico. Accanto a queste lettere che rientrano strettamente nella cornice del genere o micro-genere epistolare, vi sono poi i riferimenti al lutto, disseminati per tutta la corrispondenza degli anni di guerra, dei quali non si può non tenere conto. Il carattere “seriale” di queste lettere messo in evidenza da Frais se non deve naturalmente far pensare che Proust fosse insensibile alle sofferenze dei des tinatari. Come Fraisse mette in luce, Proust era dotato in modo quasi soprannaturale del dono di com-patire, conosceva bene le persone alle quali si rivolgeva, e aveva inoltre, prezioso retaggio materno, la caratteristica di usare una « gentillesse motivée » nei confronti del suo destinatario, in parole povere riusciva a essere lieve e a non far pesare le démarches, a volte fati cose, che intraprendeva nel fare una cortesia, per non suscitare uno spiacevole senso di inferiorità e di debito in colui per il quale si spendeva. A maggior ragione ciò accadeva per un dono puramente spirituale, trattandosi di consolare il dolore di una p erdita. Inoltre, non bisogna sottovalutare la stessa struttura semp re uguale di queste lettere, significativa nella sua semplicità , che riflette uno dei temi maggiori della Recherche: la redenzione del passato attraverso i ricordi, e la necessità della memoria come mandato di rico noscenza per i morti, in assenza di una visione religiosa che garantisca un’immortalità personale . Un tema che è stato messo in risalto dall’esegesi proustiana di Benjamin 33 per poi diventare uno dei fi li conduttori della cultura del XX secolo e di quella attuale. A questo riguardo, il primo documento che vorremmo fornire, tratto dalla corrispondenza proustiana 34, è una lettera a Mme Catusse del 10

W. Benjamin, Schriften (1955); trad. it. Angelus Novus. Saggi e frammenti, a cura di R. Solmi, Einaudi, Torino 1962. Su Proust e Benjamin cfr. M. Piazza, Redimere Proust. Walter Benjamin e il suo segnavia, Le Càriti, Firenze 2009. 34 Il testo della corrispondenza di Proust al quale facciamo riferimento è quello, ormai classico, dell’edizione di Philip Kolb in 21 volumi: M. Proust, Correspondance de Marcel Proust (1880-1922), texte établi, présenté et annoté par Ph. Kolb, Plon, Paris 1976-1993. D’ora in avanti per ogni citazione sarà abbreviato in Corr., seguito dall’indicazione del numero del volume e dell’anno e dalle pagine. 33

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ottobre 1915, dove Proust parla di un piccolo libro, una plaquette fatta stampare dalla famiglia Bénac in una ventina di esemplari , come ricordo della morte al fronte del loro figlio Jean. Si tratta delle lettere dal fronte di Jean Bénac. Proust aveva apprezzato il libro e si era informato sulla possibilità di farne un’edizione meno limitata, rivolta a un vasto pubblico , che l’attualità dell’argomento avrebbe sicuramente attratto , e si era offerto di farlo leggere a Maurice Barrès e Abel Hermant . Ma la famiglia Bénac non aveva voluto dare pubblicità a quest’opera trincerandosi dietro il pudore di non voler diffondere carte private. In questo pudore Proust scorse una forma di tradimento della memoria del figlio, che meritava un omaggio pubblico e non semplicemente priv ato: Oui, les Bénac m’avaient donné le livre de leur fils. Puis ils me l’ont repris en me demandant de ne pas dire que j e l’avais eu. Donc ceci r este entr e vous et moi. J’ajoute que je n’ai pas été d’accord avec eux sur leur manière de sentir et de faire (tr op long à expliquer par lettr e). Ces lettres du petit Bénac étaient délicieuses de cœur, de dons , de courage, de délicatesse, l’intérêt d’événements sur lesquels le flot de la littér atur e d’apr ès guerre n’a pas encor e passé, soutenait, voilait, les déf aillances ou les banalités (très rares d’ailleurs) de la f orme. On devait à ce jeune et charmant brave, que je n’ai pas connu et que j’aime depuis que j’ai lu (et tout le monde eût fait de même), on lui devait de le dresser , de le dévoiler, de le faire viv r e dans son geste, dans son r ayon. Il fallait laisser parler celui qui n’a pas assez vécu pour être écouté et dont le nom associé à des jours impérissables eût été préservé. 35

Nelle ultime parole si scorge il gesto di consacrazione col quale si disvela un monumento funebre , un elemento caratteristico della cultura di guerra 36. La letteratura in questo caso assolve, chiaramente, a un mandato della memoria: far sì che si parli del defunto e delle sue azioni. Una lettura critica di questo tema del mandato del la memoria è stata fornita recentemente da Alessandro Piperno, il quale insiste al contrario sul

Corr., t. XIV: 1915, p. 242. Sulla «cultura di guerra» in Proust cfr. in particolare gli scritti di H. Sakamoto, La Guerre et l’allusion littéraire dans «Le Temps retrouvé», in J.-B. Amadieu (a cura di), Proust, la mémoire et la littérature, Séminaire 2006-2007 au Collège de France sous la direction de A. Compagnon, Odile Jacob, Paris 2009, pp. 199-218 ; La Guerre, l’art et le patriotisme, in A. Watt (a cura di) «Le Temps retrouvé» Eighty Years After / 80 ans après. Critical Essays /Essais critiques, Peter Lang, Oxford 2009, pp. 141-153. La definizione di «cultura di guerra» come «l’insieme di rappresentazioni, atteggiamenti, pratiche, produzioni letterarie e artistiche che sono servite da quadro all’investimento delle popolazioni europee nel conflitto» è di S. Audouin-Rouzeau, L’Enfant de l’ennemi, 19141918, Aubier, Paris 1995, p. 10. 35 36

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tema della profanazione dei ricordi e della sconsacrazione -sostituzione dei legami di parentela, evocando alcuni personaggi proustiani caratterizzati dal disinteresse e dalla negazione del rapporto che li legava ai loro congiunti o amici morti (è il caso di Mme de Guermantes o di Gilberte versus Swann) 37. È il caso, anche, dei Bénac (con tutte le giustificazioni dovute al pudore privato, alla censura militare, ecc.). Contro i pericoli della banalizzazione della memoria ci mette in guardia per primo Proust stesso, con la sua tecnica, adottata nelle pagine del Temps retrouvé, di mostrare non la guerra, ma alcuni suoi episodi, da una pluralità parziale di punti di vista critici. Su questo tema ha insistito tutta la critica recente. La critica del nazionalismo della terra e del sangue alla Barrès spunta, ad esempio, in queste osservazioni che Proust confida all’amico Robert de Billy il 3 maggio 1915: «Les sources de l’héroïsme ne sont pas du tout celles que croit Barrès. Il en est qui ne sont pas très pures. Notre philosophie aura ample matière à disserter, si nous nous revoyons à l’occasion de certaines morts que je n’en admire pas moins mais qui diffèrent singulièrement de l’image d’Épinal qu’on en répand » 38. Il

riferimento

polemico

alle

images

d’Épinal,

cioè

alle

stampe

celebrative di eroi, martiri e personaggi storici che fiorirono in modo particolare con la cultura di guerra , ci mostra che Proust non intende assolutamente

la

funzione

della

letteratura

anche

minore,

anche

consolatoria, com’è appunto il caso delle lettere di condoglianza – come un mandato banalmente celebrativo. C’è sempre un equilibrio e un pudore nelle lette re di Proust, anche quando quest’ultimo sembra consapevolmente assumere e importare nei suoi scritti certi stereotipi della cultura di guerra. Abbiamo citato la statuaria commemorativa, le images d’Épinal. Vi è un terzo elemento che appartiene a questo si stema di rappresentazioni culturali e che Proust fa suo: un vago misticismo. Sull’importanza di que sta sacralizzazione dei caduti e di una chiave di lettura apertamente religiosa come mezzo di riscatto – non solo commemorativo – delle sofferenze 37 38

A. Piperno, Contro la memoria, Fandango, Roma 2012. Corr., t. XIV: 1915, p. 119.

11


patite hanno insistito Fussell e Winter, mostrando che quanto avvenne dopo la Prima guerra mondiale – quella matrice religiosa e quell a sacralizzazione generalmente mistica che ricoprì il territorio europeo di chiese e memoriali – non poté più avere luogo dopo la Seconda guerra mondiale e in particolare dopo gli orrori perpetrati dal nazismo. La chiave del riscatto oltremondano sembrò essere andata definitivamente perduta. Quella che vissero Proust e i suoi contemporanei fu invece ancora una stagione mistica, credente, religiosa e irrazionalistica. Quel «rayon», il raggio di luce – quasi un’aureola – che circonda l’immagine di Jean Bénac nelle parole della lettera prima citata ricompaiono a proposito di un altro eroe di guerra molto importante della biograf ia proustiana: Robert d’Humières. In una lettera a Mme de Madrazo del 15 o 16 maggio 1915, Proust scrive: Je suppose que vous connaissiez Robert d’Humièr es. Sa mort me cause un grand chagrin. Et c elle de Fénelon paraît certaine ! D’Humières si ar dent à tout appr endre, à tout vivre, cette flamme qui couronnait toutes choses, comment croir e qu’elle est éteinte. Faut - il espérer que … plus tard un ange entr’ouvrant les portes Viendra ranimer fidèle et joyeux Les miroirs ternis et les flammes mortes. Mais, et je ne le dis pas seulement pour lui, je ne le dis même pas autant pour lui que pour d’autres, les morts vivent tellement en moi que ne pouvoir les trouver sur la terre me semble une espèce de non -sens et que je suis un peu dans l’état d’esprit d’un fou . 39

La citazione dell’ultima terzina del sonetto di Baudelaire La Mort des amants (Les Fleurs du Mal, CXXI) introduce, in un modo assai vago e misterioso

per

la

v erità,

il

tema

di

una

possibile

sopravvivenza

oltremondana del defunto. Ma, come sempre accade in Proust, ogni scivolamento nel misticismo è controbilanciato da un senso critico che lo spinge piuttosto a scorgere nella morte un fenomeno terribilmente positivo. La stessa cosa accade per un altro lutto fondamentale di questi an ni, la morte in guerra dell’amico Bertrand de Fénelon 40.

Corr., t. XIV: 1915, p. 132. Robert d’Humières (1868-1915), romanziere, saggista, autore drammatico, traduttore di Kipling e Conrad, era stato ucciso nel maggio 1915 durante una battaglia, mentre guidava una truppa di zuavi (cfr. la voce 39 40

12


Se il lutto per la morte di Fénelon sembra caratterizzato dalla mancanza di credenze oltremondane e di speranza ultraterrena, t alvolta Proust sembra cedere però alla tentazione del misticismo. Un esempio è tratto dalla corrispondenza

del 1916: la

sua

destinataria, Mme de

Pierrebourg, aveva pubblicato sulla «Revue de Paris» del primo novembre 1916 un articolo commemorativo del suo antico amante e amico, lo scrittore Paul Hervieu, di cui aveva partecipato una copia a Proust. Come nel caso dei Bénac, è uno scritto che adempie il mandato della commemorazione: Quelle émotion de lir e ces pages où vous avez dit à v otre Douleur comme le Poète : «Sois sage» et aussi « Soit sagace, so it clairvoyance et résurrection». Vous ne montrez que le tombeau, mais notre pensée apitoyée aper çoit la femme déchirée qui nous le découvre et qui se cache dans un effacement suprême. Vous ne le peignez pas seulement avec la plus poignante vérité, avec ce tr ansport des forces du cœur à l’intelligence, le momen t où la chaleur se fait lumièr e; on dir ait qu’il se peint lu i-même par vous, qu’il y a eu «entrance» comme on dit en langage spirite, qu’il a conduit, crispé votre main, il y a des phras es de vous qui ont l’air d’êtr e de lui, qui diffèr ent de vos phrases habituelles par quelque chos e de strict, de singulier, qui lui était propr e. I l arrive parfois qu’on se met soudain à r essembler à ceux qu’on pleure, et peut ’être r ecueillez-vous en ce moment un mys térieux héritage de pensée. I l est de ces avènements dans l’ordr e spirituel comme dans la suite des r ègnes. D’ailleurs je généralise sans doute trop à cause des quelques phr ases où la présence réelle m’a paru évidente, troublant e. Où d’ailleurs pourrait - il mieux se plair e d’habiter s’il reste quelque chose de l’esprit en dehors des demeur es intellectuelles que lui -même construis it. 41

Qui il riferimento di Proust va addirittura alla trance spiritica, che è un elemento della cultura di guerra: lo spiritismo conobbe l’ultima grande fiammata di diffusione popolare proprio per via degli avvenimenti bellici. Anche se in questi scritti il contatto col mistero è sempre circondato di «Humières» di D. Leonard in A. Bouillaguet e B.G. Rogers (a cura di), Dictionnaire Marcel Proust, cit., p. 485). Insieme con Bertrand de Fénelon, aristocratico e amico di Proust, fu l’ispiratore del personaggio di SaintLoup e della sua morte eroica in guerra. Bertrand de Salignac-Fénelon (1878-1914) era stato ucciso il 17 dicembre 1914 a Mametz. Quest’ultimo è citato, in un commosso omaggio, direttamente nel testo della Recherche: «l’être le plus intelligent, bon et brave, inoubliable à tous ceux qui l’ont connu» (SG, RTP, III, p. 168). La ricerca affannosa di notizie sulla sua morte occupa molte lettere della corrispondenza. (Cfr. Lettera a Charles D’Alton del 12 maggio 1915, Corr., t. XIV: 1915, p. 130: «Deux amis tendrement aimés dont le premier était pour moi un véritable frère, Bertrand de Fénelon et Robert d’Humières sont morts de la façon la plus affreuse»). È ancora al fenomeno, assolutamente positivo, della perdita di un essere caro che fa riferimento un lungo paragrafo di una lettera di Proust del 1916, a proposito della morte di Fénelon (cfr. Lettera a René Blum del 30 maggio 1916, Corr., t. XV: 1916, p. 147. Cfr. anche ivi, pp. 141 e 204). 41 Lettera a Mme de Pierrebourg dei primi giorni di novembre 1916, Corr., t. XV:1916, p. 318.

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cautela, e in un altro passo della corrispondenza Proust riferisce la sua delusione dop o aver assistito a una seduta spiritica 42, resta il fatto che in questa lettera fa riferimento a una misteriosa legge di corrispondenze nell’ordine spirituale, che gli appare mediata, come già nel caso di D’Humières, da una citazione di Baudelaire 43, ulteriormente rielaborata con riferimento a concetti tratti dal dogma cattolico , come resurrezione, presenza reale. Inoltre, l’inizio della lettera ci rimanda ancora una volta l’immagine del disvelamento di un monumento funebre, forse l’elemento più affine alla scrittura proustiana di tutta la cultura di guerra. Già nel 1900, nell’articolo intitolato John Ruskin, Proust aveva rappresentato se stesso occupato, «comme la Vierge Thébaine, à rest aurer un tombeau» 44. In una lettera successiva di pochi giorni a quella appena citata e alla stessa corrispondente, Proust la esorta alla lettura delle pagine, da lui già scritte, sul tema del lutto nella Recherche che sarebbero state pubblicate dopo la guerra, dove emerge il fenomeno contraddittorio che è la morte di un essere amato, quella «contradiction si étrange de la survivance et du néant entrecroisés en moi» 45 – che riassume con queste parole: Un être n’exis te-t-il vr aiment plus, qui excite une si brûlante douleur ? Non, votre cr i est la plus puissante affirmation de vie, la plus puissante protestation contre la mort. Si plus tard vous pouviez lire mon troisième volume vous y verriez sur la mort ou plutôt sur cette dis corde entr e la survivance de l’être que nous ne trouvons plus auprès de nous et sa radiation appar ente de l’univers, des pages qui vous feront peut’êtr e de la peine et du bien. Et je n’ose ici parler «livr es » que par ce que il peut y avoir telle li ttér ature qui n’est que la scr utation plus profonde de la vie et de la mort, et qui par là convient aux affligés. 46

Questa seconda lettera dissipa l’aura mistica che circonda le parole della lettera precedente: come sarà poi chiaro al lettore della Recherche, il compito di risuscitare i morti (in senso mondanizzato) tocca soltanto alla Corr., t. XVI: 1917, p. 196. Primo verso della poesia di Baudelaire intitolata Recueillement (Nouvelles Fleurs du Mal, XIII). 44 M. Proust, John Ruskin, in Contre Sainte-Beuve précédé de Pastiches et mélanges et suivi de Essais et articles, Édition établie par P. Clarac avec la collaboration d’Y. Sandre, Gallimard, Paris 1971. 45 SG, RTP, III, p. 156. 46 Lettera a Mme de Pierrebourg della prima settimana di novembre 1916, Corr., t. XV: 1916, pp. 319-320. 42 43

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letteratura, è verso la sua opera che convergono tutte le riflessioni e le preoccupazioni di Proust, e anche quegli elementi apparentemente mistici che egli convoglia qua e l à, ma per essere definitivamente contraddetti. Ciò accade perché , secondo Proust, esiste un ’unica direzione giusta in questo rapporto: quella che va dalla vita verso la letteratura. Non c’è ritorno indietro, il processo creativo è una distillazione della vita: «La vraie vie, la vie enfin découverte et éclaircie, la seule vie par conséquent pleinement vécue, c’est la littérature» 47 – da qui, ad esempio, discendono le varie

condanne

dell’estetismo e

dell’idolatria

di un Ruskin, di un

Montesquiou, e, nella Recherche, di Swann e Charlus, “colpevoli” di cercare di realizzare la letteratura nella vita. Se questa è una posizione dogmatica in Proust, bisogna dare ragione a Piperno e a tutti quegli interpreti “nichilisti” che in luogo della celebrazione del ricordo h anno scorto nell’opera proustiana – quali suoi temi maggiori – la profanazione e l’oblio 48. Ma una seconda verità emerge da questo passaggio della lettera a Mme de Pierrebourg: che la letteratura può, anzi deve avere una funzione consolatoria, non solo la l etteratura minore e privata come quella delle lettere

di

condoglianza,

ma

anche

quella

che

appartiene

all’opera

maggiore 49. La letteratura del libro che Proust sta componendo deve e vuole essere anche una «scrutation plus profonde de la vie et de la mort», andare oltre il suo fine artistico per consolare gli afflitti. È un modo, anche questo, di infiltrare la letteratura minore in quella maggiore , secondo alcune note tesi ? 50 Forse, ma con la rassicurazione preliminare che per Proust la parte di verità che c’è nell’opera maggiore supera quella degli

TR, RTP, IV, p. 474. Cfr. fra questi F. Rella, Scritture estreme. Proust e Kafka, Feltrinelli, Milano 2005. 49 Sulla consolazione ad uso “privato” cfr. Lettera a Mme de Pierrebourg del 3 giugno 1915, Corr., t. XIV: 1915, pp. 143-144: «Je sais qu’on regrette jusqu’à la fin ceux qu’on a connu dès le commencement tant le souvenir est une ombre proportionnée à la tendresse. Je ne suis pas de ceux qui pensent qu’en ce moment où tant de vingtièmes années sont anéanties, on prend moins de garde à la disparition d’êtres plus âgés. En eux reposaient moins d’espérances que dans les jeunes, mais plus de souvenirs. […] Le regret de ne pas vous 47 48

voir est plus grand quand je pense que nous pourrions causer si doucement de vos pensées, et particulièrement de ce qui fit le fond de ma vie, le chagrin si bien qu’il me semble que l’expérience quotidienne que j’en ai pourrait fournir à des âmes amies des consolations dont je ne sais pas faire usage pour moi-même». 50

Secondo la tesi di G. Deleuze e F. Guattari, Capitalisme et schizophrénie. Mille plateaux, Minuit, Paris 1980.

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scritti e dei documenti privati, o semplicemente biografici, o appartenenti a un micro-genere epistolare. Vi è una gerarchia precisa in questo senso, e che la lettera di condoglianza appartenga a un genere appare c onfermato da queste parole scritte poco dopo lo scoppio delle ostilità all’amico Reynaldo Hahn: Les condoléances plus que tout autr e genre épistolaire relèvent du vers que je me rappelle mal : Pour que je sois ému il faut que vous pleuriez. Mais à leur […] tour les condoléances glaciales peuvent r etourner ce vers aux personnes qui n’ont pas su inspirer mieux par ce qu’on ne les sentait pas sincèrement tristes. 51

Appare evidente da quest’osservazione che la componente di finzione melodrammatica ha una cert a importanza esclusivamente tecnica per la “riuscita” di una lettera di condoglianza. C’è uno schermo ineliminabile che si frappone fra mittente e destinatario nel caso di uno scritto privato, è lo schermo della grammatica sociale o della sociologia del lu tto, che vogliono che il mittente conformi il suo atteggiamento a quello del destinatario. È in un certo senso per questo motivo che alcune formulazioni, da noi richiamate

sopra,

delle

lettere

proustiane

contengono

un’ambiguità

superficiale che potrebbe ri nviare a un’adesione partecipativa ai cliché della cultura di guerra. Questo accade per via di una forma di autocensura 52, che non è tuttavia sempre presente , ma ancor più per la legge del genere che impone di rispettare la forma che il dolore ha preso (o non ha preso, nel caso della freddezza) nel desti natario, quindi anche i suoi conformismi più o meno grandi, le sue inclinazioni mistiche se ne ha, ecc. Ma c’è anche la possibilità di diversi livelli di lettura quando Proust rimanda all’opera maggiore. Nel laboratorio della corrispondenza, è possibile seguire il farsi di queste multi-letture possibili.

Lettera a Reynaldo Hahn del 30 agosto 1914, Corr., t. XIII: 1914, pp. 296-297. La citazione di Proust è una libera rielaborazione dei seguenti versi di Boileau, Art poétique, canto III, vv. 141-142: «Il faut dans la douleur que vous vous abaissiez. / Pour me tirer des pleurs il faut que vous pleuriez». 52 Sull’autocensura ha insistito in particolare M. Schmid, Ideology and Discourse in Proust: The Making of «M. de Charlus pendant la Guerre», in «The Modern Language Review», 1999, vol. 94, n. 4, pp. 961-77; Id., Understanding Ideology in Proust: The Case for Socio-Genetic Criticism, in «L’Esprit Créateur», 2001, n. 2, pp. 79-89. 51

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3. Lutto e melanconia L’anno 1914 inaugura una serie di lutti con la morte del segretario e amico di Proust, Alfred Agostinelli, che giustifica l’affermazione proustiana di un’esperienza quotidiana del dolore. È anche l’occasione per determinare le diverse caratterizzazioni del lutto, poiché a questa prima morte si aggiungeranno

quelle

di

Bertrand

de

Fén elon,

Robert

d’Humières ,

Emmanuel Bibesco, per cit are solo gli amici più stretti. Il lutto per la morte di Agostinelli, scomparso in volo nel mare di Nizza nel maggio 19 14, ha segnato Proust per la restante breve parte della sua vita. Scrivendo alla madre di Agostinelli il 27 maggio 19 15, Proust unisce nel ricordo que sta morte a quella degli altri amici caduti in guerra: Cette affreus e guerre qui m’a enlevé presque tous mes amis, tués à la fleur de l’âge, et deux cousins, le s inquiétudes que j’ai pour mon frèr e et d’autr es parents qui sont sur le front, rien de tout cela n’affaiblit en moi le souvenir si triste et si tendre que je garde d’Alfred. Je pense constamment à lui, mon amitié et mon regret ne font que devenir de plus en plus profonds. Certes sa prés ence me manque infiniment, j’aim ais tant son aspect et son cœur ! Mais si s ans le voir jamais, je le savais du moins vivant, heureux quelque part, pouvant obtenir de la vie tout ce que ses beaux dons méritaient, je me consoler ais ais ément de cette sépar ation. Mais penser qu’il n’est plu, qu’une mort si injuste et stupide a anéanti de si belles espérances , c’est à cela que je ne peux m’habituer, que je ne m’habituerai jamais. 53

In realtà, scri vendo a Reynaldo Hahn sette mesi prima, Proust aveva affermato che il viaggio a Cabourg dell’estate precedente, invece di essergli penoso per il ricordo di Alfred, « a plutôt marqué une première étape de détachement» 54 dal ricordo dello scomparso . Che questa lettera sia in parte un documento metaletterario , lo dimostra il fatto che Proust accenna alla possibilità di utilizzare le osservazioni ivi formulate «sous le pseudonyme de Swann» 55 – vale a dire nel testo dell’opera che si accinge a pubblicare –, e ne vieta la diffusione sotto forma di scritto privato . Il lutto per la morte di Agostinelli, come, nella Recherche, quello per Albertine, ha una scansione

Lettera a Mme Jean Vittoré del 27 maggio 1915, Corr., t. XVI: 1915, p. 140. Lettera a Reynaldo Hahn del 24 ottobre 1914, Corr., t. XV: 1914, p. 357. 55 Ivi, p. 358. 53 54

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cronologica naturale – addirittura stagionale –, malgrado le complicazioni apportate dalla gelosia post mortem. J’aimais vraiment Alfred. Ce n’est pas assez de dire que je l’aimais, je l’adorais . Et je ne sais pas pourquoi j’écris cela au passé car je l’aime toujours. Mais malgré tout, dans les regrets, il y a une part d’involontaire et une part de devoir qui fixe l’involontair e et en assure la durée. Or ce devoir n’existe pas envers Alf red qui avait très mal agi avec moi, je lui donne les regrets que je ne peux faire autrement de lui donner, je ne me sens pas tenu envers lui à un devoir comme celui qui me lie à vous, qui me lier ait à vous, même si je vous devais mille fois moins, si je vous aimais mille fois moins. Si donc j’ai eu à Cabourg quelques semaines de relative inconstance, ne me jugez pas inconstant et n’en accusez que celui qui ne pouvait pas mériter de fidélité. D’ailleur s j’ai eu une gr ande joie à voir que m es souffrances étaient revenues; mais par moments elles sont assez vives pour que je regrette un peu l’apais ement d’il y a un mois. Mais j’ai aussi la tr istesse de sentir que même vives elles sont pourtant peut’être mo ins obsédantes qu’il y a un mois et demi ou deux mois. Ce n’est pas par ce que les autr es sont morts que le chagrin diminue, mais parce qu’on meurt soi -même. Et il faut une bien grande vitalité pour maintenir et fair e vivr e intact le «moi » d’il y a quelques semaines. Son ami ne l’a pas oublié, le pauvre Alfred. M ais il l’a rejoint dans la mort et son héritier, le «moi » d’aujourd’hui aime Alfred mais ne l’a connu que par les récits de l’autr e. C’est une tendresse de seconde main. 56

Questa lettera permette di cogliere sul vivo il lavoro del lutto, la lenta disgregazione del ricordo dell’amato o piuttosto dell’ ”io” che lo ricorda, mancando in questo caso un elemento molto importante alla perpetuazione del lutto stesso: il sentimento del dovere e della gratitudi ne che fissano il ricordo e ne impediscono la naturale degradazione. Questo elemento non è altro che quel culto che in svariate forme caratterizzerà la coscienza individuale e collettiva nel

ricordo dei caduti in guerra : l’oggetto

dell’indagine di Winter . Pertanto, nonostante la superficiale assimilazione della morte di Alfred a quella collettiva in guerra nella lettera a Mme Vittoré – che è di tono più formale e meno confidenziale, essendo indirizzata a una persona che non faceva parte della cerchia degli intimi –, possiamo formulare l’ipotesi che due tipi di lutto caratterizzino e scandisca no in modo differente l’epoca bellica vissuta da Proust e corrisponda no ai due principali innesti o aggiunte sul testo della Recherche che hanno luogo in 56

Ibid.

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quest’epoca. Da una parte starebbe il drammatico scioglimento del roman d’Albertine; dall’altra, il capitolo dedicato alla Guerra . Sarebbe senz’altro errato assimilare il lutto ind ividuale e quello collettivo, tipico d ei memoriali, alla cel ebre distinzione tra Lutto e Melanconia che Freud introduce nell’articolo così intitolato . Sarebbe più giusto piuttosto – se si volesse istituire un parallelismo con Freud – invertire i termini: il lutto individuale, benché provvisto di precisi limiti cronologici e di un ritorno app arente alla normalità (come il lutto in senso freudiano) si avvicina di più alla definizione della melanconia per un tratto tipicamente proustiano 57: non è il ricordo dell’estinto a morire, ma l’”io” del ricordante: «L’analogia con il lutto – scrive Freud a proposito del melanconico – ci induce a concludere che il melanconico ha subito una perdita che riguarda l’oggetto; da ciò che egli dichiara risulta invece una perdita che riguarda il suo Io» 58. Sono proprio le ambivalenze affettive nei confronti dell’ogge tto che il melanconico proietta sul proprio Io sotto forma

di

autorimproveri

fino

all’implosione

di

quest’ultimo.

La

drammaticità di questo stato d’animo nasce, secondo Freud, da una scelta oggettuale di tipo narcisistico. Nella Recherche, il narratore si rimprovera di essere stato la causa della morte della nonna e di Albertine, e si augura di poter espiare tra le sofferenze la colpa della s ua indifferenza alla loro morte 59. Ma la chiave di questi molteplici autorimproveri è che essi, come dice Freud, «sono in realtà rimproveri rivolti a un oggetto d’amore – e da questo poi distolti e riversati sull’Io del malato» 60. Sembrerebbe apparentemente che due tipi diversi di lutto spartiscano le lettere di condoglianze e in generale la corrispondenza in due tonalità diverse: da una parte il lento lavoro del lutto e la descrizione del melanconico disgregarsi dell’ Io, dall’altra il culto della memoria dei morti come Istituzione. In quest’ultima forma compare l’elemento del dovere, del debito riservato ai defunti, che c ontribuisce a rendere partecipato e Cfr. E. Sparvoli, Proust verso la «Recherche»: dalla melanconia all’architettura, in «Quaderni Proustiani», 2014, pp. 197-210. 58 S. Freud, Gesammelte Werke (1940-1950); trad. it. Opere, Bollati Boringhieri, Torino 1976-1980, vol. 8: 19151917. Introduzione alla psicoanalisi e altri scritti, p. 106. 59 TR, RTP, p. 481. 60 S. Freud, Opere, cit., p. 107. 57

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accettabile il lutto all’interno di un quadro sociale costituito. Viceversa, il lutto per la morte di Agostinelli prende la forma melanconica di uno svuotarsi progressivo dell’Io da ogni attaccamento del desiderio, incapace di rivolgersi ad altri oggetti per un tempo molto lungo . Ma potrebbe essere vero anche che queste due forme si sovrappongano e si determini no a vicenda. La temperie bellica può , infatti, avere contribuito a fissare e stabilizzare

q uegli

autorimproveri

che

Proust

sembra

rivolgere

continuamente a se stesso nella corrispondenza di questo periodo: diffuso senso di inutilità e di culpabilité 61 rispetto a coloro che fanno il proprio dovere al fronte, in primo luogo il fratello Robert, ango scia e senso di precarietà continuo, lagnanze sul proprio stato di salute, preoccupazioni riguardo

alla

propria

dell’impoverimento,

precaria

dice

Freud,

situazione è

una

economica lamentela

(e

il

timore

caratteristica

del

melanconico), attesa della morte c ome avvenimento prossimo. Ciò che caratterizza la corrispondenza di questo periodo è proprio il sentimento costante della catastrofe in corso – che peraltro non impedì a Proust di avere una vita sociale e di scrivere anche lettere spiritosissime, come quel le a Lucien Daudet e a Lionel Hauser.

4. «Un sens que nous a ajouté la guerre: celui qui fait souffrir pour des inconnus» Il sentimento della fine di un mondo è segnalato nella corrispondenza da alcune immagini ricorrenti. In primo luogo, Proust associa sempre al pensiero delle vittime che conosce personalmente l’angoscia per la sorte degli sconosciuti, fino ad affermare che «c ’est un sens que nous a ajouté la guerre, par l’exercice effroyable de l’angoisse quotidienne, celui qui fait souffrir pour des inconnus» 62. Ringrazio l’amico e studioso proustiano Mirko Francioni della seguente osservazione, che faccio mia: la culpabilité proustiana nei confronti dei caduti al fronte è paragonabile al sentimento che avrebbe caratterizzato i sopravvissuti ai campi di sterminio nazista dopo la Seconda guerra mondiale, quei «salvati», per usare l’espressione di Primo Levi, che avrebbero continuato a chiedersi perché non abbiano fatto parte dei «sommersi». 62 Lettera a Mme Soutzo del 29 o 30 ottobre 1917, Corr., t. XVI: 1917, p. 272. 61

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Un’immagine costante in Proust, in particolare nelle lettere di condoglianza, è quella del movimento ripetuto del malato che sollecita continuamente l’organo che gli fa più male, meta fora dell’impossibilità di distogliere il pensiero da un evento luttuoso che ha causato un senso di sproporzione e di vuoto nel destinatario e poi nel mittente della lettera. Così, a Louisa de Mornand, che aveva perduto un fratello in battaglia, Proust scrive: «vous savez dans ces cas-là on pense d’autant plus aux êtres qu’on aime[,] bien que cette pensée vous fasse mal, comme quand on est malade on fait justement les mouvements qui font souffrir et qu’on ne devrait pas faire» 63. Ancora più chiaramente la metafora si precisa in una lettera dello stesso anno a un’altra corrispondente , dove Proust parla del cuore come di «cette place où l’on revient toujours parce que c’est celle qui fait mal» 64 e del movimento ripetuto del pensiero che si può comprendere grazie a «l’analogie physique du rhumatisme, de la rage des dents, du mouvement qu’on fait à chaque minute parce qu’il fait souffrir» 65. Nella Prisonnière, il motivo doloroso che si contrappone all’appello gioioso dell’inizio del Septuor di Vinteuil è richiamat o con l’analogia del mal di testa, come «une phrase d’un caractère douloureux […] mais si profonde, si vague, si interne, si viscérale qu’on ne savait pas, à chacune de ses reprises, si c’était celles d’un thème ou d’une névralgie» 66. Quest’immagine trova applicazione al campo semantico della guerra nella corrispondenza del 1918: Princesse je ne vous parle pas de la guerre. Je l’ai hélas assimilée si complètement que je ne peux pas l’isoler, je ne peux pas plus parler des espérances et des craintes qu’elle m’inspir e qu’on ne peut parler des espérances et des craintes qu’on éprouve si profondément qu’on ne les distingue pas de soi - même. Elle est moins pour moi un objet (au sens philosophique du mot) qu’une substance interposée entr e moi -même et les objets. C omme on aimait en Dieu, je vois dans la guerre. (Vous savez ces névralgies qu’on ne cesse pas de sentir pendant qu’on parle d’autr e chose, même pendant qu’on dort ). 67 Lettera a Louisa de Mornand del giugno 1917, Corr., t. XVI: 1917, p. 162. Lettera a Mme de Chevigné del novembre 1917, Corr., t. XVI: 1917, p. 285. 65 Ibid. 66 LP, RTP, III, p. 764. 67 Lettera a Mme Soutzo del 9 aprile 1918, Corr., t. XVII: 1918, pp. 176-177. Philip Kolb ha corretto «je vois dans la guerre» in «je vis dans la guerre», pensando a un lapsus di Proust. La lezione originaria è stata ristabilita 63 64

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Questo passo, forse il più significativo di tutto l’arco temporale bellico, con al centro il piccolo rebus filologico della lezione «je vois» inizialmente incompresa e corretta arbitrariamente in «je vis» dall’editore Kolb, pone degli interrogativi che hanno al centro proprio il problema della visione degli oggetti (secondo l a dottrina filosofica di Malebranche , qui richiamata). Ci pare utile domandarci se questa sostanza che Proust dice di avere avvertito come interposta, come uno schermo frapposto fra sé e gli oggetti, con l’analogia di un dolore alla testa intimo e viscerale, fasciante come la frase di Vinteuil, non sia per caso anche un luogo fisico, un punto di vista sulle cose dal quale poterle scorgere in una luce atemporale , un orizzonte, una prospettiva. Questo luogo fisico , provvisto o no, a seconda dei casi, di finestra sul mondo, è, naturalmente, in primo luogo la chambre proustiana, in secondo luogo un ricordo biblico: l’Arca di Noè 68. Il primo testo pubblicato da Proust in volume è la dedica di Les Plaisirs et les J ours (1895), che tocca da vicino il nostro tema del lutto : è infatti un ricordo dell’amico morto Willie Heath. Qui è possibile leggere le seguenti parole: Quand j’étais tout enf ant, le sort d’aucun des personnages de l’histoire sainte ne me semblait aussi misér able que celui de Noé, à caus e du déluge qui le tint enf ermé dans l’ar che pendant quarante jours. Plus tard, je fus souvent malade, et pendant de long s jours je dus rester aussi dans l’«arche» . Je compris alors que jamais Noé ne put si bien voir le monde que de l’ar che, malgr é qu’elle fût clos e et qu’il fît nuit sur la terr e. 69

L’Arca di Noè è una delle immagini bibliche che Proust frequentò nel suo percorso di scrittura. La corrispondenza del 1918 ne attesta due occorrenze, di cui una riferita alla guerra: la G uerra è il Diluvio, la condizione dello scrittore e degli altri sopravvissuti coin cide con quella di con buone ragioni da Mauriac-Dyer. Cfr. Ph. Chardin e N. Mauriac Dyer (a cura di), Proust écrivain de la Première Guerre mondiale, cit. 68 Cfr. la voce «Bible» di J. Hassine in A. Bouillaguet e B. G. Rogers (a cura di), Dictionnaire Marcel Proust, cit., pp. 143-145. 69 M. Proust, À mon ami Willie Heath, in Les Plaisirs et les Jours suivi de L’Indifférent et autres textes, édition présentée, établie et annotée par Th. Laget, Gallimard, Paris 1993, p. 41. Su questo testo di dedica cfr. Mario Lavagetto, La dedica e il sacrificio, in M.A. Terzoli (a cura di), I margini del libro. Indagine teorica e storica sui testi di dedica, Atti del convegno internazionale di studi (Basilea, 21-23 novembre 2002), Antenore, Roma-Padova 2004, pp. 345-64.

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Noè e dei suoi abitanti 70. In particolare, come si evince da queste citazioni, l’Arca è la «souffrance commune» che racchiude nel suo grembo tutti quanti ne sono compartecipi. L’Arca, che nel testo giovanile dei Plaisirs et les Jours era la malattia, qui è il lutto stesso, che diventa strumento di conoscenza e di visione, poiché, come Proust annota nello scritto giovanile, la sofferenza condivisa è strumento di conoscenza, e come poi ribadirà nella Recherche: «le bonheur seul est salutaire pour le corps; mais c’est le chagrin qui développe les forces de l’esprit» 71. Nessuno poté vedere meglio di Noè quanto accadeva nel mondo deva stato dal diluvio, malgrado l’arca fosse chiusa e fosse notte sulla terra. La notte è metaforicamente connessa all’universo umbratile della storia e d ei suoi doppi 72, mentre l’Arca, secondo le note interpretazioni archetipali di Bachelard e Durand 73, rimanda all’immagine della morte come Primo navigatore, è quindi essenzialmente una bara, un’immagine del lutto. Culla o bara, essa rimanda a uno stato di «antecedenza d’essere » intermedio fra i vivi e i morti. È singolare che proprio questo stato così prossimo al silenzio sia stato scelto da Proust come suo punto di vista privilegiato. Ma l’Arca di Noè rimanda anche, nella scrittura proustiana, a un’altra immag ine fondamentale: la cattedrale 74. Già nell’articolo del 1904, La Mort des cathédrales, poi incluso in Pastiches et mélanges (1919), Proust contemplava le statue dei buoi poste sul tetto della facciata della cattedrale di Laon la cui vista spaziava sulla campagna francese, «sortant comme d’une arche de Noë gigantesque qui se serait arrêtée sur ce mont Ararat, au milieu du déluge de sang» 75. Lo stesso riferimento appare

anche

nella

Recherche 76.

Qui l’immagine

è

quella

Cfr. Lettera a Mme Soutzo del primo gennaio 1918, Corr., t. XVII: 1918, p. 29: «Avec quelle douce émotion je reçois ce mot, petit brin d’olivier de la Colombe de l’Arche qui annonce que l’affreux Déluge prend fin, qui m’éclaire du premier rayon»; Lettera a Walter Berry del 4 gennaio 1918, ivi, pp. 42-43 : «En attendant puisque la souffrance commune nous tient enfermés dans la même Arche, et que le déluge n’est pas encore fini […]». 71 TR, RTP, IV, p. 484. 72 Cfr. il nostro art., S. Martina, La notte della storia e le rappresentazioni proustiane della Grande Guerra, cit. 73 Cfr. in particolare G. Bachelard, L’Eau et les rêves. Essai sur l’imagination de la matière, Corti, Paris 1942. 74 Cfr. G. Girimonti Greco, Cattedrali moribonde e «monumenti quasi persiani». La riscrittura di un archetipo giovanile, in A. Dolfi (a cura di), Non dimenticarsi di Proust. Declinazioni di un mito nella cultura moderna, Firenze University Press, Firenze 2014, pp. 565-82. Per il tema delle cattedrali si veda la ricca bibliografia di quest’ultimo saggio. Cfr. anche E. Sparvoli, Proust verso la «Recherche»: dalla melanconia all’architettura, cit. 75 M. Proust, La Mort des cathédrales, in Contre Sainte-Beuve, cit., p. 149. 76 CG, RTP, II, pp. 313-314. 70

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dell’«Arche du Déluge» piena di Patriarchi e di Giusti «anxieusement penchés aux fenêtres pour voir si la colère de Dieu s’est apaisée» 77. Secondo quanto si legge nelle note all’edizione italiana della Recherche a cura di Alberto Beret ta Anguissola e Daria Galateria 78, la testimonianza di un amico di Proust, Paul Morand, ci rende noto che anche durante la guerra Proust si ricordava dei buoi della cattedrale di Laon e temeva che i bombardamenti nemici li distruggessero. Inoltre, sulle finest re della sua facciata rivolta a sud è possibile vedere le statue dei Patriarchi e dei Giusti incorniciate dalle finestre e dai portali, quindi l’immagine proustiana che li vede “sporgersi” dalle finestre è letteralmente vera. In Proust, la visione dall’al to corrisponde sì a una prospettiva di eternità, che trascura la storia in favore della conquista di essenze atemporali; ma può anche corrispondere alla ricerca della verità poetica o ideale della storia stessa, a un nucleo mitico che preesi ste a tutte le storie possibili 79. In questo caso, la verità che i buoi contemplano dall’alto della cattedrale di Laon è che la storia è un perenne – anche se intermittente – Diluvio universale. Gli spargimenti di sangue sono tutto ciò che si può contemplare. La cattedral e-Arca, figura del Tempo e dell’opera, diviene allora anche lo strumento di salvezza designato da Proust. Ecco dunque che, accanto ai deleuzeani « segni dell’arte » come il Septuor di Vinteuil, portatori di un messaggio di salvezza universale e di essenze a temporali, anche la storia viene sussunta in questa dimensione che la contempla dall’alto, dal ponte dell’Arca o da una cattedrale, come legge poetica o storica contenuta nel mito . Anzi, è forse propriamente la storia, una di quelle Muse che, come Proust scrive nella Recherche, si incontrano in tarda età, a diventare por tatrice di nuovi segni, di messaggi da decifrare da una prospettiva atemporale , come dimostra anche l’analogia fra le parole usate per descrivere il Septuor di Vinteuil e quelle della citazione del 1918 riguardante la Guerra nella lettera a Mme Soutzo , dove si legge: «je vois». Dunque, in questa prospettiva di allargamento dell’orizzonte dai segni dell’arte a quelli della storia (potremmo dire in una battuta che la Storia è Ivi, p. 313. M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, Mondadori, Milano 1983-1998, vol. II, nota 1 alla p. 11, pp. 958-61. 79 S. Martina, La notte della storia e le rappresentazioni proustiane della Grande Guerra, cit. 77 78

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l’ultima Musa di Proust ), è possibile dire che lutto e melanconia si equivalgono, tutte le morti essendo paragonabili a quelle dei caduti in guerra, perché tutti i morti sono morti per l’opera, per costruire la cattedrale, e tutti meritano di esservi ugualm ente ricordati: «Tous ces êtres qui m’avaient révélé des vérités et qui n’étaient plus, m’apparaissaient comme ayant vécu une vie qui n’avait profité qu’à moi, et comme s’ils étaient morts pour moi» 80. Svanisce, da questa prospettiva “ecumenica”, unicamente incentrata sull’opera, la distinzione fra il lutto doveroso e istituzionale verso i caduti e il lutto personale. Anche in questo passaggio la lettera di condoglianze ha un ruolo importante: convogliare il pass aggio dalle verità individuali del lutto alle verità universali che saranno accolte nel testo dell’opera finale. Prima di confluire nell’architettura della Recherche, la descrizione del lavoro del lutto per la morte del l’amato Agostinelli da cui ha tratto vita – almeno in parte – il romanzo di Albertine è stata trasformata, da nudo dato biografico, in verità i mpersonale e utilizzata da Proust in funzione consolatoria in una lettera di condoglianze . Il 2 o 3 novembre 1915, Proust indirizza a Mme Schei kévitch una lettera in cui le annuncia che, per consolare il suo dolore della morte del fratello Victor, ha intrapreso a riassumere tutto l’arco del suo romanzo non ancora pubblicato nei fogli di guardia di un esemplare di Swann a lei destinato 81. In partic olare, si tratta proprio di una versione estremamente abbreviata (e preziosa) dell’episodio di Albertine 82. Nella Recherche, Proust scrive che «l’œuvre est un signe heureux de consolation» 83 in quanto ci insegna che «dans tout amour le général gît à côté du particulier, et à passer du second au premier par une gymnastique qui fortifie contre le chagrin» 84, e che l’operazione che porta lo scrittore a rivivere la propria sofferenza lo obbliga però nello stesso tempo a pensarla in forma generale: al posto del dolore personale subentra allora un sentimento che gli permette in una certa misura di evadere dalla stretta del TR, RTP, IV, p. 481. Cfr. Corr., t. XIV: 1915, p. 273. 82 Cfr. ivi, pp. 282-285. 83 TR, RTP, IV, p. 482. 84 Ivi, p. 483. 80 81

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dolore, compartecipandolo con quello di tutti gli a ltri, quasi con una certa gioia 85. È in una forma di estrema rinuncia al carattere narcisistico della scelta dell’oggetto che l’opera permette di sfuggire alla disgregazione melanconica. Inoltre, nella lettera di condoglianze -dedica a Mme Scheikévitch , Proust utilizza la letteratura, il suo romanzo, come forma di consolazione nella vita. Assistiamo pertanto a quel ripiegamento dell’opera sulla vita che sembra caratterizzare una nuova fase dell’esistenza di Proust. Dopo essersi isolata dalla vita come distillazione di quest’ultima sotto forma di verità generali, la letteratura ritorna così a confluire nel mare della vita, e permette addirittura

di anticiparla e di prevederla. L’opera è così

contemporaneamente «signe heureux de consolation» 86 e «signe néfaste de souffrance» 87 a seconda che ci si ponga alternativamente dal punto di vista del passaggio dalla vita alla letteratura e dal pa rticolare al generale, o del loro opposto. Il passaggio dalla letteratura alla vita, il ritorno indietro o ripiegamento di quella su questa, fa dell’opera un’immagine anticipatrice, una Figura di ciò che verrà : «l’œuvre doit être considérée seulement comme un amour malheureux qui en présage fatalement d’autres et qui fera que la vie ressemblera à l’œuvre, que le poète n’aura presque plus besoin d’écrire, tant il pourra trouver dans ce qu’il a écrit la figure anticipée de ce qui arrivera» 88. Questa

sottolineatura

del

valore

profetico

della

letteratura,

rintracciabile, a livello macro e microtestuale, nel fe nomeno delle prolessi analizzate da Genette sul testo della Recherche 89, rappresenta l’inverso esatto dell’estetismo: in quest’ultimo, infatti, colui che vive cerca di travasare la letteratura

nella

vita

attraverso

un

procedimen to

puramente

intellettualistico e astratto; invece, il creatore che ha trascurato la vita in favore dell’opera

che rappresenta

un approfondimento delle

sue

Ivi, p. 484. Su questo aspetto della rinuncia al carattere narcisistico delle scelte oggettuali è stato molto importante il contributo di Bertini, Proust e la teoria del romanzo, cit. 86 TR, RTP, p. 482. 87 Ibid. 88 Ivi, p. 483. 89 G. Genette, Figures III. Discours du récit (1972); trad. it. Figure III. Discorso del racconto, Einaudi, Torino 1976, pp. 67-316. 85

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impressioni interiori rimaste non illuminate, al fine di fornirne un «équivalent spirituel » –, vede, a partire almeno da una certa età, la sua vita come se ricadesse o si conformasse spontaneamente a quelle verità o leggi che aveva già formulato nell’opera. Perciò l’opera acquista un valore profetico, e, in quanto frutto di un travaglio intellettuale e morale, è da non confondere con l’irrazionalismo dei presentimenti, che pure sono largamente presenti nella Recherche. È il fenomeno delle «réminiscences anticipées» della sua opera , che Proust si compiaceva di ritrovare in quelle del passato, solo che in questo caso la reminiscenza anticipata è applicata a se

stessa:

l’opera

presagisce

continuamente

se

stessa,

annuncia

continuamente se stessa, e la curva di ripiegamento di questa monade che è l’opera circolare la fa continuamente assomigliare a s e stessa, e per questa via, alla vita che continua a scorrere. Antoine Compagnon ha sottolineato, sulla scorta di Barthes, che, almeno a partire da un certo momento nella vita di Proust, «ce n’est pas la vie qui informe l’œuvre, c’est l’œuvre qui irradie, explose dans la vie» 90. «Il arrive un temps […] où “les jours sont comptés”» 91 –, scrive ancora Barthes. A partire da questo momento, che per Proust coincise con la morte di sua madre (1905) 92, è la vita che sempre più si conforma all’opera. E la generalizzazione del lutto che avviene nel clima bellico porta Proust a rendersi conto in maniera più ampia di questo fenomeno: «on est rattrapé par la vie» 93. I romanzi in evoluzione disegnano una via di fuga che continuamente ingaggia una lotta contro la loro stessa capacità di predire l’avvenire, e il presente, e di diventare “attuali”: «C’est la déchéance des livres de devenir, si spontanément qu’ils aient été conçus, des romans à clefs, après coup. Et ce double emploi avec la plus banale existence, écœure» 94. Come avviene per l’intuizione bergsoniana, è solo risalendo a ritroso la corrente della vita che si possono trovare delle verità comunicabili e perciò degne di entrare R. Barthes, Les Vies parallèles, in «Quinzaine littéraire», 15 marzo 1966, cit. da A. Compagnon, La «Recherche du temps perdu» de Marcel Proust, cit., p. 3852. 91 R. Barthes, «Longtemps, je me suis couché de bonne heure», in Le bruissement de la langue. Essais critiques IV, Seuil, Paris 1984, p. 341. 92 Sul lutto per la morte dei genitori fondamentale è l’analisi di M. Lavagetto, Quel Marcel! Frammenti dalla biografia di Proust, Einaudi, Torino 2011. 93 Lettera a Jacques de Lacretelle di venerdì 14 dicembre 1917, Corr., t. XVI: 1917, p. 357. 94 Ivi, p. 358. 90

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nell’opera

cattedrale.

Q uesto

significa

anche

che ,

per

ragioni

profondamente inerenti alla sua estetic a e alla sua poetica, il discorso proustiano sulla Guerra rifiuta di essere “d’attualità”, non solo nella forma della critica spesso tranchante dei luoghi comuni della politica e della stampa, ma in nome di una considerazione “inattuale” della storia stessa , che ne ricerca per contro il nucleo poetico o mitico . Ciò accresce il valore e il peso degli avvenimenti storici nel romanzo e fa di Proust un interprete unico del suo tempo.

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