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Questo volume, sprovvisto del talloncino a lato, è da considerarsi copia di saggio-campione gratuito, fuori commercio (vendita e altri atti di disposizione vietati: art. 17, c. 2 L. 633/1941). Esente da I.V.A. (D.P.R. 2610-1972, n. 633, art. 2, lett. d). Esente da Documento di Trasporto (D.P.R. 14-08-1996, n. 472).
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Unità 2
Unità 2 La novella
La novella 1 La novella La narrazione può riguardare anche la realtà: in questo caso essa può assumere la forma della novella.
NOVELLA
È un componimento narrativo di medie dimensioni (al massimo una decina di pagine) che racconta episodi e vicende realistici o verosimili Questa definizione è decisamente generica, ma ciò è una conseguenza del fatto che la novella ha avuto nella sua lunga storia (ed ha ancora!) una straordinaria varietà di contenuti e di forme, che rende impossibili ulteriori precisazioni. La novella, infatti, come dice il suo nome, che deriva dal latino, racconta una “cosa nuova”, una “notizia” su qualsiasi argomento che si desidera far conoscere agli altri. Le novelle possono essere distinte, per comodità didattica e sulla base del loro contenuto, in tre tipologie: • novelle d’azione ? sono le novelle in cui il racconto dei fatti prevale sul ritratto dei personaggi • novelle di carattere e d’ambiente ? sono le novelle in cui la vicenda costituisce solo un pretesto per delineare la fisionomia di un personaggio o del contesto sociale, economico o culturale in cui egli vive e opera. Questo tipo di novella si avvale spesso della focalizzazione esterna e del discorso diretto • novelle d’analisi ? sono le novelle in cui la vicenda costituisce solo un pretesto per analizzare e descrivere la realtà interiore di un personaggio o dell’ambiente in cui egli vive e opera. Questo tipo di novella si avvale spesso della focalizzazione interna, del discorso diretto e indiretto libero. 185
odulo 2
Le forme della narrazione
2 Breve storia del genere e dei suoi principali esponenti La storia della novella è molto antica e discontinua: dallo schema proposto è infatti possibile notare che essa alterna momenti di grande fortuna ad altri di completo abbandono. NOVELLA ORIENTALE
NOVELLA GRECA E LATINA
La novella nasce in Oriente, e precisamente in India, nel IV secolo a.C. Essa fu diffusa in Europa da mercanti e viaggiatori e conosciuta grazie alle traduzioni dall’arabo che furono fatte in Spagna intorno al XII secolo
La novella compare all’interno di altri generi letterari (per esempio il romanzo) come una digressione che ha l’intento di offrire un momento di divertimento; la più famosa è intitolata La matrona di Efeso ed è stata scritta dal romano Petronio (I secolo d.C.)
GIOVANNI BOCCACCIO (1313-1375) Può essere considerato il padre della novella, poiché ne fissò le caratteristiche fondamentali, rendendola un vero e proprio genere letterario. Il suo lavoro ha condizionato tutta la produzione successiva, italiana e straniera: il suo influsso è evidente, per esempio, nell’opera dell’inglese Geoffrey Chaucer (1340-1400), autore di ventiquattro novelle in versi raccolte nei Canterbury Tales (I racconti di Canterbury), che tracciano un affresco della società inglese trecentesca all’interno di un racconto-cornice (un pellegrinaggio a Canterbury)
1400-1500 La novella continua ad avere fortuna, ma in molti casi i testi sono eccessivamente debitori a Boccaccio nei temi e nei contenuti; tra gli autori più originali ricordiamo Matteo Bandello (1485-1561), che scrisse più di duecento Novelle, riunite in 14 libri e caratterizzate da intrecci complessi e da personaggi inediti. Verso la fine del ‘500 il pesante clima religioso determinato dalla Controriforma indirizzò le novelle verso l’insegnamento moraleggiante, con la presentazione di esempi di virtù da contrapporre a esempi di vizio
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1800 Dopo un periodo di dimenticanza, dovuto al fatto che la cultura del Settecento impose altre forme di narrazione più in linea con il razionalismo tipico dell’epoca (per esempio il saggio o il romanzo filosofico), la novella torna ad avere successo, intesa come un bozzetto che descrive ambienti sociali urbani o di provincia, nell’Abruzzo del giovane Gabriele D’Annunzio, nella Sicilia di Giovanni Verga o nel Friuli di Ippolito Nievo
1900 La novella ha una discreta fortuna, ma cambia profondamente la sua natura: essa, infatti, tratteggia ancora uno spaccato di vita vera, ma per riflettere sulla vita e sull’uomo. Tale intenzione è particolarmente evidente nella produzione di Federico Tozzi (per cui la campagna toscana costituisce solo uno sfondo per presentare personaggi deformati, spesso vicini alla follia o caratterizzati da comportamenti psicopatologici), Luigi Pirandello (per cui le novelle costituiscono un’inesauribile miniera di casi e situazioni umane volti a illustrare la sua concezione dell’esistenza e dell’uomo) e Corrado Alvaro (per cui una Calabria aspra e selvaggia si rispecchia nel carattere e nelle difficoltà della vita dei personaggi)
Unità 2 La novella
3 Le caratteristiche del genere Le principali caratteristiche della novella, che si possono individuare nell’enorme varietà dei contenuti e delle forme, sono: • è in prosa la novella è solitamente in prosa; nell’Ottocento, però, essa è stata scritta anche in versi (è il caso della produzione di Prati e Grossi in Italia e di Byron in Inghilterra) • racconta per il puro piacere di raccontare l’intento principale di chi scrive novelle è divertirsi e divertire con il puro piacere del raccontare: questo non esclude la possibilità che un autore di novelle decida di nascondere, dietro una piacevole narrazione, un messaggio di carattere educativo o morale • racconta un’unica azione la novella presenta una narrazione semplice e in sé conclusa, che si articola intorno a un nucleo centrale ben individuato, poiché, date le sue dimensioni, presenta soltanto i momenti essenziali di una vicenda o un personaggio colto in un determinato momento della sua esistenza. Sempre per questo stesso motivo anche il ritmo narrativo è, di solito, piuttosto veloce • affronta argomenti realistici o verosimili l’argomento privilegiato della novella è la realtà contemporanea all’autore: Boccaccio, per esempio, descrive e racconta la realtà della società mercantile del Trecento e D’Annunzio quella della Pescara dell’Ottocento. A volte, invece, l’argomento della novella è il verosimile, così curato nei dettagli da sembrare realtà • tratta molti temi proprio come la realtà, i temi delle novelle sono vari e diversificati: realistici (un proposito da realizzare, una beffa, un abile stratagemma, un motto arguto, un inganno…), sentimentali (l’amore casto, la passione, il tradimento…), avventurosi (viaggi in paesi lontani, fughe, vicende rocambolesche…)… • non ha una struttura fissa la scelta di rappresentare la realtà e di trattare diversi temi ha un’ovvia conseguenza: sia lo sviluppo che la conclusione della vicenda narrata non seguono schemi fissi, perché le potenzialità della realtà sono infinite. Nulla è dunque scontato o prevedibile: può verificarsi il classico “lieto fine”, ma non mancano scioglimenti tragici o addirittura aperti 187
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Le forme della narrazione
• rappresenta spazi reali la novella ha un’ambientazione realistica: il luogo scelto con maggior frequenza è la città (a volte descritta persino nei minimi dettagli) con i suoi abitanti, presentati in modo da creare uno spaccato dai contorni veri (o perlomeno verosimili) • rappresenta un tempo reale il tempo in cui si svolge la vicenda narrata è determinato da indicazioni chiare e precise; a volte il narratore è addirittura un testimone diretto di ciò che racconta • ha per protagonista l’uomo il 1300 vede la riscoperta dell’uomo e delle sue potenzialità: il Medioevo, infatti, con il suo forte senso religioso, aveva concentrato l’attenzione solo su Dio, a scapito delle sue creature. Ora, invece, la nuova società mercantile ammira ed esalta l’ingegno dell’uomo, ne apprezza le altre qualità e ne critica i difetti: così la laboriosità, il senso pratico, l’intraprendenza, l’astuzia e la determinazione sono ritenuti indubbie garanzie di successo, mentre sono biasimati l’attaccamento al denaro, la maleducazione, l’ignoranza e l’egoismo. L’uomo continua a essere il protagonista indiscusso anche delle novelle delle epoche successive: cambiano i tempi e le circostanze, ma non viene meno il desiderio di ritrarre l’uomo e di riflettere sull’esistenza • presenta pochi personaggi ben delineati la novella presenta, in genere, pochi personaggi (poiché riguardano un’unica azione) tratteggiati con grande attenzione e precisione: essi, infatti, sono perlopiù figure a tutto tondo, caratterizzate da sottili sfumature psicologiche e comportamentali (che possono cambiare nel corso della novella, per adeguarsi alle nuove realtà che si vengono a creare) e perfettamente inserite nel contesto storico, sociale e culturale a cui appartengono (anche per quanto concerne il modo di presentarsi: mentalità, atteggiamenti, abbigliamento…). La novella presenta, insomma, personaggi complessi e dinamici, che incarnano i molteplici aspetti, positivi o negativi, dell’umanità. Proprio perché i personaggi sono figure reali, nella novella manca l’eroe: l’uomo, si sa, è una creatura imperfetta, che anche quando si presenta come un personaggio positivo ha sempre qualche piccolo neo • ha uno stile vario lo stile della novella è molto diversificato: esso, infatti, cambia secondo l’argomento affrontato e le intenzioni comunicative dell’autore. Di conseguenza, il lessico può essere basso o alto (anche nell’ambito della stessa novella, se il narratore presenta personaggi che appartengono a classi sociali diverse), la sintassi può essere paratattica (soprattutto nei dialoghi, per riprodurre il parlato) o ipotattica (soprattutto nelle parti narrative e descrittive), le figure retoriche numerose o scarse, semplici o complesse. 188
Unità 2 La novella
Verifica sulla teoria 1
Completa questo schema riassuntivo sulla novella: Novella ? è un componimento narrativo di medie .................................................................. , che racconta ............................. ..............................................................................
o verosimili
Può essere • d’ ..................................................... ? il ..................................................... dei fatti prevale sul ritratto dei personaggi • di ..................................................... o d’ambiente ? la vicenda è un pretesto per delineare la ............................................... di un personaggio o di un ........................................................................................................ • d’analisi ? la vicenda è un pretesto per analizzare la ................................................................. di un personaggio o di un ......................................................................................
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Indica se queste affermazioni sulla novella sono vere o false; correggi quelle errate sul tuo quaderno. V
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La novella ha sempre un chiaro intento didattico La novella è preferibilmente in prosa La novella racconta vicende complesse e articolate La novella è nata in Oriente La novella predilige sfondi naturali e campestri
John William Waterhouse, A tale From Decameron, (“Una novella dal Decamerone”), 1916, Liverpool, Lady Lever Art Gallery.
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Le forme della narrazione
Per saperne di più Il periodo di maggior fortuna della novella è stato indubbiamente il 1300. Fino a questo momento il genere non aveva ancora un’identità precisa: i religiosi inserivano spesso nelle loro prediche brevi racconti, gli exempla, che avevano lo scopo di fornire modelli di comportamento, ma tra la gente comune erano diffusi anche racconti di tutt’altro tipo che presentavano battute di spirito, fatti avventurosi, storie d’amore… Alcuni di loro furono raccolti, tra il 1280 e il 1300, probabilmente da un anonimo fiorentino, in un’opera, il Novellino, che presenta un centinaio di racconti di argomento diverso (beffe, risposte argute, amori contrastati, nobili imprese…) e di varia origine (testi francesi, orientali, greci, latini…) destinati a coloro che non sanno e desiderano di sapere. Il Decamerone di Giovanni Boccaccio nacque proprio sulla scia di questo esperimento narrativo e finì col diventare un modello irrinunciabile (per la struttura, i contenuti e lo stile) per tutti coloro che scelsero, in seguito, di dedicarsi alla novella. Esso, scritto tra il 1349 e il 1351, si apre con un ritratto della Firenze del 1348, in preda a una violenta epidemia di peste. Boccaccio, in questa cornice narrativa, immagina che proprio per sfuggire alla peste sette ragazze e tre ragazzi si allontanino dalla città per rifugiarsi in una villa di campagna; per ingannare il tempo ognuno di loro racconta una novella al giorno su un argomento scelto da colui (o da colei) che è stato eletto re (o regina) della giornata. Nei dieci giorni in cui si divertono con questo passatempo (Decamerone significa proprio “(libro) delle dieci giornate”) i giovani raccontano cento novelle, ognuna perfettamente autonoma e compiuta, ma da mettere sempre in rapporto con la cornice in cui si trova inserita.
Quest’ultima presenta, infatti, una città sconvolta, in preda alla violenza e all’egoismo, perché ognuno pensa solo a se stesso e alla propria salvezza: i giovani, dunque, non fuggono soltanto la peste, ma anche (e soprattutto) il male che essa ha portato con sé, proponendo ai lettori un modello di vita alternativo, una piccola società che difende l’ordine e il rispetto degli altri, la vita disciplinata da leggi e da regole valide per tutti. Questi giovani mantengono ed esaltano i modi e i valori della nobiltà (gentilezza, generosità, amore per la bellezza…), ma li integrano con quelli più pratici e concreti (intelligenza, intraprendenza, capacità di togliersi dai guai e di sfruttare a proprio vantaggio le situazioni sfavorevoli…) del ceto mercantile: per questo motivo essi possono essere considerati dei modelli di comportamento per la nascente classe borghese, lontana sia dalla mentalità della Chiesa sia da quella della vecchia aristocrazia. Il contenuto delle novelle ha, in questa prospettiva, un compito molto importante: far riflettere sui diversi aspetti della natura umana e della società. La vita terrena, infatti, non è più avvertita (come nel Medioevo) come un semplice passaggio sulla terra in attesa della vera vita, quella celeste, ma come la Vita, che merita tutte le attenzioni del caso. È questo il motivo per cui i protagonisti delle novelle sono nobiluomini e nobildonne, mercanti, notai, frati, giovani scapestrati, cuochi, servi… figure assai diverse tra loro, ma che offrono, con i loro comportamenti e le loro azioni, un campionario di varia umanità che illustra virtù e difetti, bene e male, grandi gesti e vili meschinità: intelligenza, stupidità, amore passionale e amore spirituale, beffa e inganno, commedia e tragedia… hanno, nelle novelle, pari peso e pari dignità, perché tutte manifestazioni della Vita e dell’Uomo. Su tutto si erge, secondo Boccaccio, la Fortuna, intesa nel senso neutro latino di “caso”, “destino”: essa si diverte a giocare con l’uomo, che ha però a disposizione un’arma importante per contrastarla, l’intelligenza, nelle sue multiformi manifestazioni (arguzia, risposta pronta, intraprendenza...). Un’ultima osservazione riguarda le donne che soffrono per amore, cui Boccaccio dedica l’opera, che si augura possa alleviare il loro dolore. Questa dedica sottolinea l’intento d’intrattenimento e di divertimento che la letteratura ha recuperato dopo gli anni bui del Medioevo, in cui essa aveva solo il compito di educare ai valori religiosi e di fornire modelli di comportamento e di virtù.
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Unità 2 La novella
GIOVANNI BOCCACCIO - ALDO BUSI
LANDOLFO RUFOLO E LA CASSA CHE NON VOLLE
i G. Boccaccio Chichibío e la gru L. Pirandello Distrazione L. Pirandello Tu ridi! G. Verga Cos’è il re?
Autore Giovanni Boccaccio nacque nel 1313 a Certaldo, vicino a Firenze, da un ricco mercante; a quattordici anni fu portato dal padre a Napoli a far pratica di mercatura, ma il giovane trascurò gli affari per dedicarsi alla frequentazione della corte di Roberto d’Angiò e agli studi letterari, da cui trassero ispirazione i suoi primi lavori, dei poemetti di argomento amoroso (Filostrato, del 1335 e Filocolo, del 1338). Nel 1340 Boccaccio lasciò Napoli in seguito al tracollo economico del padre; dopo alcuni anni trascorsi a Ravenna e a Forlì, tornò a Firenze, dove svolse importanti incarichi politici e diplomatici al servizio del Comune. Tra il 1349 e il 1351 compose il suo capolavoro, il Decamerone, una raccolta di cento novelle di diverso argomento che ritraggono la società tardo medioevale e inducono a riflettere sull’uomo e sulla vita. Nel 1362 attraversò una forte crisi religiosa, risolta grazie all’aiuto dell’amico Francesco Petrarca (1304-1374), che gli impedì di distruggere i suoi scritti, giudicati immorali dalla Chiesa del tempo; morì nel 1375 a Certaldo. Traduttore Aldo Busi è nato a Montichiari, in provincia di Brescia, nel 1948, in una famiglia di modeste condizioni economiche. A quattordici anni decide di visitare l’Europa, lavorando come cameriere in ristoranti e alberghi. Rientrato in Italia, si laurea (nel 1981) e pubblica il suo primo romanzo, Seminario sulla gioventù (1984), che ottiene un discreto successo di pubblico e di critica. Da questo momento escono molti altri romanzi, tra cui ricordiamo Vita standard di un venditore provvisorio di collant (1985), Vendita galline km 2 (1993), Manuale della perfetta mamma (2000), Manuale del perfetto papà (2001). Di pregio e molto apprezzata è anche la sua attività di traduttore, dal tedesco, dall’inglese e dall’italiano antico. Opera
Il Decamerone comprende cento novelle raccontate in dieci giorni da dieci giovani: la cornice in cui esse si inquadrano – la pestilenza scoppiata a Firenze nel 1348 – crea un interessante gioco d’incastri, per cui un narratore di primo grado racconta lo scoppio della peste e la decisione dei ragazzi di ritirarsi in campagna (storia-cornice); i ragazzi diventano narratori di secondo grado (esterni e onniscienti) delle cento novelle, alcune delle quali hanno, a loro volta, un narratore (di terzo grado) costituito da uno dei personaggi.
Brano
Quando la Fortuna decide di metterci lo zampino, i piani dell’uomo vengono sconvolti: eppure egli ha sempre la possibilità di sfruttare a proprio favore ogni situazione, anche la più avversa, con la sua intelligenza… Presentiamo questa novella di Boccaccio nella versione in italiano corrente realizzata da Aldo Busi, che ha voluto in questo modo rendere più facile la lettura del capolavoro di Boccaccio soprattutto al pubblico giovane, a volte disorientato o ostacolato dalla difficoltà del fiorentino del Trecento.
È
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luogo comune che la marina1 da Reggio a Gaeta sia forse la più piacevole d’Italia: in questo tratto c’è una costa vicinissima a Salerno affacciata sul mare che gli abitanti chiamano Costa amalfitana, piena di piccole città, di giardini e di fontane, di uomini ricchi e di procacciatori d’affari, tutti commercianti abili come pochi. Tra queste cittadelle ce n’è una
? PERSONAGGI ? TEMPO ? SPAZIO ? LINGUA e STILE
1. La marina: la costa.
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Le forme della narrazione
chiamata Ravello nella quale, benché anche oggi sia piena di gente ricca, ci fu un uomo straricco, di nome Landolfo Rufolo. Siccome la sua ricchezza non gli bastava mai e desiderava raddoppiarla, successe che quasi ci rimette la pelle. Questo qua dunque, com’è abitudine dei mercanti, fatti bene i suoi conti, comperò una grandissima nave, la stipò2, senza soci tra i piedi, di varie merci e salpò per Cipro. Una volta giunto, scoprì che erano molte le navi a avervi attraccato piene delle stesse merci, per cui non solo gli convenne vendere sottoprezzo ma quasi, se voleva liberarsene, ci avrebbe guadagnato di più a gettarle via, cosa che quasi lo manda in rovina. Provato dal tipico disagio di chi ci rimette, non sapendo che fare e vedendosi dall’oggi al domani poverissimo da ricchissimo che era, pensò o di farla finita o di recuperare i danni subiti con la rapina, per non tornare in brache di tela là da dove era venuto tutto in passamaneria3. Trovò così un acquirente per la sua nave e con quei soldi e quelli messi insieme dalla vendita delle sue merci comperò una piccola imbarcazione per esercitare la pirateria, la armò di tutto punto e si mise a appropriarsi della roba altrui, meglio se turca. La fortuna fu molto più benevola con le sue ruberie di quanto non lo fosse stata con le sue mercanzie. In meno di un anno depredò e prese tante di quelle navi ai turchi che si ritrovò non solamente padrone di quanto aveva perso ma l’aveva addirittura raddoppiato. Per cui, ammonito dal primo dispiacere provato per la perdita, consapevole di aver ammassato ben di che4 e non volendo incappare in un secondo dispiacere e seconda perdita, si convinse che quello che aveva doveva bastargli senza esagerare oltre, e si preparò a fare ritorno a casa sua. Scettico ormai nei confronti di ogni merce, non si diede pena di investire i suoi soldi ma, messi i remi in mare, con lo stesso vascello con cui li aveva guadagnati si mise sulla rotta del ritorno. Era già arrivato nell’Egeo, quando la sera si levò uno scirocco che non solo spirava contrario alla sua rotta ma ingrossava il mare in modo così spaventoso che la sua nave non era in grado di affrontarlo e perciò riparò in un golfo che l’avrebbe isolata da quel fortunale5 in attesa di venti più favorevoli. Poco dopo pervennero nello stesso golfo due grandi cocche6 genovesi, in arrivo da Costantinopoli, per sfuggire come Landolfo gli stessi pericoli. Gli equipaggi delle navi, vista la piccola consorella7 e chiusale la via d’accesso al largo, quando vennero a sapere chi vi era a bordo e che razza di milionario era, come tutti gli uomini naturalmente rapaci e bramosi di pecunia8, si prepararono a dargli il benservito. Fecero sbarcare a terra parte della ciurma armata di balestre fino ai denti e fecero in modo che nessuno potesse più discendere dalla navicella senza essere centrato in pieno. I marinai, rimorchiati dalle scialuppe e aiutati dal mare, si accostarono alla piccola nave di Landolfo e se ne impossessarono in quattro e quattrotto senza perdere un solo uomo e senza colpo ferire: Landolfo fu trasportato su una delle cocche e, spogliata la navicella di ogni
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2. Stipò: riempì.
4. Ben di che: molto.
7. Consorella: imbarcazione.
3. Per non… passamaneria: per non tornare povero nel posto da cui era partito ricco.
5. Fortunale: tempesta.
8. Pecunia: denaro.
6. Cocche: navi mercantili.
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cosa, la affondarono, trattenendo Landolfo prigioniero senz’altro indosso che una misera canottiera. Il giorno seguente il vento mutò, le cocche alzarono la vela verso Occidente e tennero la rotta tutto il giorno filando da dio. Ma verso il tramonto si levò un vento di tempesta che, sollevando marosi altissimi, divise le due cocche. Quella su cui si trovava il misero e povero Landolfo andò a conficcarsi con impeto in una secca dell’isola di Cefalonia e come un vetro sbattuto contro un muro prima si aprì in due poi si sfracellò completamente. I poveri marinai annaspando, in quella notte di pece9 e in quell’inferno di mercanzie, casse e tavolacci, tentavano – quelli che sapevano nuotare – di aggrapparsi a tutto quello che si parava davanti. Landolfo, che il giorno prima aveva invocato la morte mille volte piuttosto di ritornare a casa così a mani vuote, quando se la vide addosso, sai che strizza; sicché, alla prima tavola che gli capitò a tiro, vi si avvinghiò con tutte le forze sperando che Dio, se lui ci si metteva d’impegno a non affogare, gli inviasse qualche aiuto per salvarlo da morte sicura. Mantenendosi alla bell’e meglio in groppa alla tavola squassata dal mare e dal vento, Landolfo tenne duro fino allo spuntar del giorno. A luce fatta, si guardò intorno: nient’altro che nuvoloni e mare a perdita d’occhio e una cassa, sballottata dalle onde, che di quando in quando gli si accostava minacciosamente. Landolfo temeva di esserne colpito e forse tramortito, e ogni volta che se la vedeva vicino, con quel poco di forza rimastagli, la spingeva via con la mano. Malgrado i suoi sforzi, al brusco sfrenarsi di un groppo di vento10 che staffilò11 il mare, andò a sbatterci contro in pieno, tavola e tutto, con tale violenza che fu disarcionato e finì a capofitto sott’acqua. Quando, annaspando, ritornò su, con la forza del terrore e della disperazione, la tavola era già troppo lontana: a raggiungerla non c’era neanche da sperarci, perciò nuotò verso la cassa che era molto più vicina e vi si mise a pancia in giù contro il coperchio, reggendola dritta fra le braccia alla sperindio12. In questo modo, spintonato dal mare a casaccio, senza mangiare, va da sé, bevendo più di quello che avrebbe voluto, senza sapere dove era né vedere altro che mare, trascorse tutta la giornata e la notte seguente. Il giorno dopo, a Dio piacendo o forse piacendo di più al vento, Landolfo, ridotto ormai a poco meno di una spugna, sempre tenendosi forte con entrambe le mani agli orli della cassa come fanno coloro in procinto di annegare quando
9. Notte di pece: notte nera. 10. Al brusco… vento: a causa dell’improvviso liberarsi nell’aria di una raffica di vento.
Adam Willaerts, Shipwrech off a rocky coast (“Naufragio”), 1614, Amsterdam, Rijksmuseum.
11. Staffilò: percosse. 12. Alla sperindio: sperando nell’aiuto di Dio.
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Le forme della narrazione
si aggrappano alla prima cosa che galleggi, arrivò all’isola di Corfú, dove una donnetta stava lavando le sue stoviglie con la rena e l’acqua salsa13 per farle belle. La donnetta, come vide questo coso avvicinarsi, non distinguendo in lui alcuna forma familiare, si ritrasse piena di spavento gridando a squarciagola. Landolfo non poteva parlare e ci vedeva anche poco, perciò non le disse niente, ma poiché il mare lo spingeva verso riva, lei riuscì a vedere i contorni della cassa e poi, mettendo a fuoco lo sguardo, riconobbe dapprima due braccia umane stese sopra la cassa, quindi distinse una faccia e, nel suo insieme, si immaginò di che cosa si trattava. Mossa da compassione, si inoltrò alquanto14 in mare, che era tranquillo, prese l’uomo per i capelli e lo tirò a riva con cassa e tutto e qui, a tutta forza, gli divincolò15 le mani dalla cassa, che mise in testa a una sua figlioletta che era lì con lei, e lui, come fosse un ragazzino, lo trascinò nell’entroterra. Lo mise quindi in un bel bagno caldo e lo strofinò tanto con l’acqua da fargli recuperare la cera smarrita e buona parte delle forze perdute, e quando ritenne venuto il momento di tirarlo fuori, lo riconfortò con del buon vino e cibo in abbondanza e per alcuni giorni lo curò senza fargli mancare niente, tanto che lui, rinvigorito, ritornò in sé e capì dove si trovava. La buona donnetta si sentì in dovere di rendergli la sua cassa che aveva ripescato con lui e di dirgli che adesso se ne andasse per la sua strada. Così fece. Lui, che non si ricordava di che cassa stesse parlando, la prese comunque, visto che la donna gliela metteva davanti; doveva valere abbastanza da trarlo d’impiccio almeno per un paio di giorni: ma la trovò leggera e buona parte della speranza gli venne meno. Tuttavia, essendo la donna fuori casa, la schiodò per vedere cosa ci fosse dentro e vi trovò molte pietre preziose, sia montate che sciolte, di cui era fine intenditore. A quella vista, e consideratone il valore enorme, lodando Iddio che ancora non lo aveva abbandonato, si ringalluzzì in un fiat16. Ma dato che era già stato messo due volte a tappeto dalla sorte, pensò che era meglio usare tutta la cautela possibile se voleva rientrare a casa sua con quelle gioie17: le avvolse in alcuni stracci e disse alla donna che la cassa non gli serviva più, che bastava un sacco, se glielo voleva dare, e che in cambio se la tenesse pure. La buona donna accettò volentieri il baratto e lui, ringraziandola a più non posso per l’assistenza ricevuta, si mise il sacco in spalla e se ne andò; monta-
13. La rena… salsa: la sabbia e l’acqua salata (salsa) del mare. 14. Alquanto: un po’.
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15. Divincolò: staccò. 16. Si ringalluzzì… fiat: si rimise subito in forma (in un fiat è un modo di dire di origine latina).
17. Gioie: pietre preziose.
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to su una barca, sbarcò a Brindisi e da qui, costeggiando, arrivò sino a Trani, dove trovò alcuni suoi concittadini mercanti di stoffe che per carità di Dio lo rivestirono, mentre lui andava raccontando di tutti i suoi accidenti, cassa esclusa. Gli prestarono un cavallo, gli fecero compagnia e lui, col loro aiuto, ritornò a Ravello. Una volta qui, gli sembrò di essere al sicuro e, ringraziando Dio di avercelo fatto arrivare, aprì il suo involto e si mise a esaminare ogni pietra con più attenzione di prima: scoprì che aveva tante di quelle pietre e di tale pregio che vendendole a un giusto prezzo, e anche per meno, si ritrovava ricco il doppio di quando era partito. Trovato modo di convertire le sue pietre in contanti, fece avere un bel gruzzolo alla buona donnetta di Corfù che l’aveva ripescato dal mare e la stessa cosa fece a Trani con quelli che l’avevano rivestito. Col rimanente, senza più volere commerciare, si mise il cuore e il portafoglio in pace e visse in modo sopraffino18 fino alla fine. Da G. Boccaccio, A. Busi, Decamerone da un italiano all’altro, Rizzoli, Milano
18. In modo sopraffino: nel lusso.
nalisi del testo Una novella d’azione e di analisi Questa novella racconta le peripezie di Landolfo Rufolo, ma lascia anche molto spazio alla presentazione
delle sue riflessioni: essa può dunque essere ritenuta una novella d’azione e d’analisi.
Le caratteristiche del genere
Questa novella presenta molte caratteristiche tipiche del genere: ■
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racconta un’unica azione, cioè il tentativo di Landolfo Rufolo, un mercante senza scrupoli, di raddoppiare le proprie ricchezze; tale tentativo è composto, in realtà, da diversi episodi, che sono adeguatamente riassunti e accorciati, perché la novella, per le sue dimensioni ridotte, può presentare solo i momenti salienti di una vicenda l’argomento è realistico o verosimile, perché nella novella non sono presenti elementi (magici, irreali o di fantasia) che rendono poco credibile quanto raccontato
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il tema, tipico del genere della novella, è la lotta tra l’uomo e il destino: essa è infatti raccontata nella seconda giornata, dedicata alle storie di chi, ostacolato dalla sorte, riesce comunque, e contro ogni prospettiva, a essere vincente la novella è ambientata in luoghi reali: Ravello, il paese d’origine di Landolfo, si trova nella costiera amalfitana; il viaggio in cerca di fortuna porta Landolfo a Cipro; il naufragio avviene nel mar Egeo; la salvezza arriva a Corfù; Landolfo sbarca poi a Brindisi e da lì si reca a Trani anche il tempo della narrazione è reale, perché la vicenda si svolge in un passato (ci fu) che, per quanto non definito, non è così lontano dal tempo della scrit-
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tura (lo si desume, per esempio, dal riferimento alla realtà mercantile del 1300: questo qua, dunque, come è abitudine dei mercanti…) lo stile con cui Busi rende la scrittura di Boccaccio è
Il protagonista
La novella ha un solo protagonista, Landolfo Rufolo, un rappresentante della borghesia cittadina fiorentina del 1300, una nuova classe sociale formata da mercanti, giudici, notai, banchieri…, tutte categorie dall’animo intraprendente, concreto, tendenzialmente innovatore e dinamico, che rifiutano le idee e le convenzioni religiose del periodo precedente e che si danno da fare, anche in modo spregiudicato, per migliorare il proprio destino. Questa novella, come tutte le altre del Decamerone, è destinata proprio agli esponenti di questa nuova classe sociale: per questo nel Decamerone è costante l’esaltazione dell’intelligenza dell’uomo nelle varie forme in cui essa si manifesta (dalla beffa al motto arguto, dalla prova di abilità a quella di coraggio…), perché è l’uomo, come dimostrano queste nuove categorie sociali, a determinare il suo destino, con le sue scelte e i suoi comportamenti. La sorte o il caso,
molto fedele all’originale: esso, infatti, è caratterizzato da un lessico colloquiale e vivace e da una sintassi piuttosto elaborata, ricca di proposizioni subordinate.
infatti, che si sostituiscono, da questo secolo, alla Provvidenza cristiana, possono dare il via, ma in ultima analisi è sempre l’uomo a determinare gli eventi che lo vedono come vittima o come protagonista. Landolfo Rufolo ne è la prova vivente: egli diventa povero, quando è ormai ricco, per colpa del caso (la tempesta che lo spinge nel golfo in cui sarà derubato) e, viceversa, riceve dal mare un tesoro quando è ormai convinto di morire. Ma proprio nella gestione di questo tesoro egli dimostra la sua saggezza e accortezza, divenendo artefice della propria fortuna: quando scopre che nella cassa ci sono delle pietre preziose, le avvolge in stracci e non dice niente né alla donna che lo ha salvato né agli amici che lo rivestono; quando arriva sano e salvo in patria decide di mettersi a riposo e di godere in pace le sue ricchezze.
sercizi sul testo
Comprensione 1 Perché Landolfo Rufolo s’imbarca su una nave? 2 Come mai decide di diventare un pirata? 3 Perché sceglie d’interrompere quest’attività così redditizia?
4 Come si dimostra nei confronti di coloro che l’hanno aiutato?
Analisi 1 Il testo della novella può essere diviso in nove macrosequenze: 1 – viaggio a Cipro dall’esito infelice 2 – decisione di intraprendere l’attività di pirata 3 – decisione di ritornare in patria
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4 – scoppia una tempesta 5 – assalto delle navi genovesi 6 – naufragio e sue conseguenze 7 – arrivo a Corfù 8 – scoperta delle pietre preziose e ritorno a casa 9 – lieto fine. Individua, nel testo, il punto esatto d’inizio e di fine di ognuna di loro.
2 Il narratore di questa novella è interno esterno; egli usa la focalizzazione interna esterna zero, come dimostra il fatto che
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3 Elenca, nella tabella che segue, le riflessioni e le conseguenti azioni di Landolfo Rufolo. L’esercizio è avviato. RIFLESSIONI Siccome la sua ricchezza non gli bastava mai e desiderava raddoppiarla…
4 Landolfo può essere considerato un personaggio a tutto tondo? Egli è una figura statica o dinamica? Motiva adeguatamente le tue risposte, facendo ampi riferimenti ai contenuti della novella.
5 Chi ha, nella novella, la funzione di aiutante del protagonista?
AZIONI ?
… fatti bene i suoi conti, comperò una grandissima nave, la stipò… di varie merci e salpò per Cipro
6 Qual è l’oggetto del desiderio? Come lo si cerca? 7 Tempo del racconto e tempo della storia non sono sempre coincidenti: nella parte iniziale della novella, infatti, gli avvenimenti di molti anni sono riassunti in poche righe. In quali altri punti del testo sono presenti sommari o ellissi? Perché?
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8 Nella novella sono citati molti luoghi: completa le prime due colonne di questa tabella con ampi riferimenti al testo e trai poi le conclusioni sull’argomento nell’ultima. LUOGHI REALI (con precisi riferimenti geografici)
VEROSIMILI (senza precisi riferimenti geografici)
RIFLESSIONI CONCLUSIVE I luoghi citati nella novella di Boccaccio sono
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9 In questa novella (e nella novella d’azione in generale) non sono molto frequenti i discorsi diretti perché distraggono il lettore dall’incalzare degli eventi sono considerati inutili per illustrare l’incalzare degli eventi rallentano il ritmo narrativo, che nei racconti d’azione è, di solito, incalzante.
la mentalità pratica e affaristica tipica dei mercanti dell’epoca?
2 La Fortuna appare, in questa novella, padrona assoluta del destino degli uomini, che devono sottostare ai suoi capricci una sorta di strada segnata che i personaggi possono decidere se imboccare o meno
10 Sottolinea tutte le espressioni popolari o vicine al
un grande burattinaio che scombina i piani dell’uomo, che può però cercare di porvi rimedio.
parlato con cui Aldo Busi ha cercato di mantenere le caratteristiche della scrittura di Boccaccio.
Motiva l’opzione che hai scelto con adeguati riferimenti alla novella.
3 Tuttavia, essendo la donna fuori casa, la schiodò
Riflessione e produzione 1 Quali azioni compiute da Landolfo Rufolo sono spiegabili e comprensibili solo se messe in rapporto con
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per vedere cosa ci fosse dentro e vi trovò … Che cosa? Inventa tu una nuova conclusione per la novella, facendo in modo che il nuovo finale si adegui perfettamente, per contenuti e forma, alla parte precedente.
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DALFINO
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GABRIELE D’ANNUNZIO
G. Boccaccio Frate Cipolla
Autore Gabriele D’Annunzio nacque a Pescara nel 1863; dopo aver studiato nel prestigioso liceo Cicognini di Prato, all’inizio degli anni Ottanta si trasferì a Roma e cominciò a frequentarne la società mondana e intellettuale, tra amori scandalosi, duelli e sperperi finanziari. Nel 1897, nominato deputato, fu protagonista di un clamoroso voltafaccia, passando dai banchi dell’estrema destra a quelli dell’estrema sinistra. Abitò poi per alcuni anni vicino a Firenze, nella villa detta “La Capponcina”, dove visse tra il lusso e gli scandali (celebre la sua tormentata relazione con la famosa attrice Eleonora Duse). Quando, nel 1910, la villa fu sequestrata per i debiti accumulati, D’Annunzio fuggì in Francia; rientrato in Italia allo scoppio della prima guerra mondiale, fu un acceso nazionalista e interventista, indimenticato protagonista della beffa di Buccari, del volo su Vienna, della marcia su Fiume (per protestare per la sua mancata annessione all’Italia). Dal 1920 si trasferì a Gardone, sul lago di Garda, nella villa che chiamò “Vittoriale degli Italiani”: fino alla morte, avvenuta nel 1938, si dedicò alla sistemazione e alla cura di questa villa, che trasformò in un museo delle proprie gesta. La produzione di D’Annunzio è vastissima: essa comprende raccolte di versi (Primo vere, 1879, Canto novo, 1882, Poema paradisiaco, 1893), romanzi (Il piacere, 1889, L’innocente, 1892, Il trionfo della morte, 1894, Il fuoco, 1900), racconti (Le novelle della Pescara, 1902), prose (Notturno, 1921) e testi teatrali (Francesca da Rimini, 1902, La figlia di Jorio, 1904), tutti accomunati dall’ideale del superuomo e del vivere inimitabile (la vita intesa come un’opera d’arte). Opera
Le novelle della Pescara (1902) hanno come sfondo la terra d’Abruzzo, presentata come un luogo mitico, arcaico, selvaggio, abitato da contadini e da pescatori che sono depositari d’istinti e di passioni primitivi, forti, quasi barbari.
Brano
Il protagonista di questa novella è un ragazzo, Dalfino, vittima della solitudine e della sofferenza: egli, infatti, sembra predestinato alla violenza fin dalla nascita, perché vive in un contesto sociale in cui dominano la brutalità e le forti passioni. Non stupisce, pertanto, la sua scelta di uccidere e di uccidersi nel momento in cui perde l’unico motivo di felicità che abbia mai avuto durante la sua breve vita.
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ella spiaggia lo chiamavano Dalfino; e il nomignolo gli stava a cappello1, perché dentro l’acqua pareva proprio un delfino, con quella schiena curvata dal remo e annerita dalla canicola, con quella grossa testa lanosa2, con quel vigore sovrumano di gambe e di braccia che gli facea far guizzi e salti e tonfi da raccapricciare. Bisognava vederlo buttarsi giù con un urlo dallo scoglio de’ Forroni, come un aquilastro3 ferito all’ala, e poi ricomparire venti braccia più in là, fuor dell’acqua verde, con tanto d’occhiacci aperti contro il sole: bisognava vederlo! Ma forse era più bello su la paranza4, aggrappato all’albero, mentre lo scirocco scibilava5 a traverso le funi e la vela
1. A cappello: a pennello.
3. Aquilastro: aquilotto.
2. Lanosa: piena di capelli.
4. Paranza: grossa barca a vela usata per la pesca.
5. Scibilava: sibilava.
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rossa stava lì lì per stracciarsi e la tempesta mugghiava6 sotto che pareva se lo volesse ingoiare. Non aveva né babbo né mamma: la mamma anzi l’aveva ammazzata lui, nascendo, in una notte d’autunno, vent’anni addietro; il babbo se l’era mangiato il mare; se l’era mangiato una sera che il libeccio urlava come cento lupi e il cielo a ponente sembrava sangue. Da allora quella immensa distesa d’acqua ebbe per lui un fascino strano; ascoltava il fiotto7 come se c’intendesse qualche cosa, e gli parlava come un giorno parlava al padre, con impeti d’amore, con tenerezza infantile che si espandevano in canzoni selvagge gridate a squarciagola o in lunghe cantilene piene di malinconia. – Lui è là giù a dormire – disse una volta alla Zarra – e ci vo’8 andare anch’io. Mi aspetta: lo so che m’aspetta, l’ho visto ieri... – L’hai visto? – disse la Zarra sgranando que’ due occhioni neri come la chiglia9 della paranza. – Sì, là dietro la punta delle Seppie, che il mare pareva olio: e m’ha guardato, m’ha. La ragazza ebbe un brivido di paura giù per le reni.
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*** Ma che superba fiera era quella Zarra! Alta e diritta come un albero di trinchetto10, con certe flessuosità da pantera, certi denti viperini, due labbra scarlatte, un petto che ficcava nel sangue la smania de’ morsi e faceva increspar la pelle delle dita, per San Francesco protettore! Lei e Dalfino s’eran sempre voluti bene, fin da quando giocavan con la rena o davan noia a’ granchi o sguazzavan nell’acqua turchina; s’eran baciati mille volte in faccia al sole e al mare; e al sole e al mare avevan gittata mille volte la canzone della loro giovinezza... Oh bella forte audace giovinezza temprata nell’acqua salsa, come una lama di acciaro11!
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*** La Zarra aspettava lui che tornasse, tutte le sere quando il cielo dietro la Majella si avvinazzava12 e l’acqua prendeva dei riflessi violetti qua e là. Le paranze apparivano a frotte, come uccellacci, alla punta delle Seppie, lontane lontane; ma quella di Dalfino filava innanzi, giù diritta, snella, con la vela rossa piena di vento, ch’era un amore: e Dalfino stava a prua fermo come una colonna di granito. – Ohe! – gridava la Zarra. – Buona pesca? Lui le rimandava la voce; i gabbiani si alzavano a stormi su dalle scogliere
6. Mugghiava: rumoreggiava cupamente. 7. Il fiotto: le onde. 8. Vo’: voglio.
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9. La chiglia: la parte immersa dello scafo di una barca. 10. Come un albero… trinchetto: come il primo albero di un veliero.
11. Temprata… acciaro!: resa forte dall’acqua del mare, come una lama d’acciaio! 12. Si avvinazzava: diventava color del vino.
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gridando; e da per tutta la spiaggia si spandeva il rumorio dei pescatori e l’odore del mare. Ma l’odore del mare li ubriacava quei due. A volte stavano a guardarsi dentro gli occhi lungamente, come ammaliati, lei seduta su l’orlo della barca, lui disteso su le tavole del fondo, a’ suoi piedi; mentre il flutto li cullava e cantava per loro, il flutto verde come un immenso prato a maggio mosso dal vento. – O che ci hai negli occhi, Zarra, stasera? – sussurrava Dalfino. – Lo giurerei, guarda; tu devi essere una di quelle maghe che stanno in alto mare, lontano, lontano, e sono metà femmina e metà pesce, devi essere, che quando cantano si resta lì di sasso, e hanno i capelli vivi come le serpi, hanno. Qualche giorno tu ridiventi maga, e salti nell’acqua, e mi lasci qui incantato... – Pazzo! – diceva lei co’ denti stretti e le labbra aperte, cacciandogli le mani dentro a’ capelli e tenendolo lì prostrato e fremente come un leopardo in catene. Il fiotto odorava più che mai. ***
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Un’alba di giugno ci andò anche la Zarra alla pesca. Nell’aria bianca alitava una freschezza che metteva de’ brividi piacevoli nel sangue; tutta la spiaggia era nascosta da’ vapori. Ad un tratto un raggio forò la nebbia, come una saetta d’oro di un dio, poi altri raggi, un fascio di luce; e là filoni13 di scarlatto, chiazze di viola, falde14 tremolanti di roseo, sfiocchi15 scialbi di arancio, svolazzi di azzurro si fondevano in una stupenda sinfonia di colore. I vapori, come spazzati da una folata di vento sparirono; e il sole folgorò, pari ad un grande occhio sanguigno, su ’l mare paonazzo da’ larghi e placidi ondeggia-
13. Filoni: linee.
14. Falde: strati.
15. Sfiocchi: fiocchi.
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menti. Folate di gabbiani gittavano gridi che parevano scrosci di risa umane, radendo l’acqua co ’l cenerino chiaro del loro volo. La paranza andava bordeggiando16, a spira-pesce, con delle guizzate improvvise, come fosse viva; a Levante, verso lo scoglio de’ Forroni, c’erano ancora de’ cirri17 color di carmino18 che parevano triglie. – Guarda – disse la Zarra a Dalfino che stava alla manovra con Ciatté guercio e col figliuolo di Pachiò, due ragazzacci neri e forti come il ferro – guarda le case lì piccole piccole su lo spiaggione; somiglian quelle del presepio di comare «Gnese» a Natale. – Già! – mormorò il guercio ridendo. Ma lui stette zitto: guardava i sugheri tondi sopra l’acqua turchina: si movevano appena. – Che bel figliuolo ci ha comare «Gnese» eh? Zarra – disse finalmente con una leggera inflessione ironica nella voce, piantandole in viso que’ due occhiacci da pescecane. La ragazza sostenne impavidamente lo sguardo arroventato, ma si morse il labbro disotto. – Sarà – disse con l’aria sbadata, volgendosi a guardare una frotta di gabbiani in cielo. – È, via, è. E poi, che bel vestito da finanziere, con le strisce gialle e la penna al cappello e la daga19!... Sì me... La Zarra s’era arrovesciata all’indietro voluttuosamente con erto il petto e le labbra semichiuse, mentre i capelli le svolazzavano al maestrale. – San Francesco protettore! – mormorò fra i denti il povero Dalfino sentendosi rimescolare. – Vira, guercio, vira!
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*** Ma quel finanziere voleva proprio buscarsi una coltellata alla gola. Quando passava la Zarra, le diceva sempre una parolina galante arricciandosi i piccoli baffi biondi e mettendo il pugno su l’elsa20 della daga. Lei rideva; una volta si rivoltò indietro, anche. – Il sangue è rosso! – diceva Dalfino con un’aria cupa di mistero, quando il figliolo di comare «Gnese» passeggiava superbamente con lo schioppo dietro la schiena, dinanzi alle paranze ancorate in fila. E una sera, proprio l’ultima di luglio, una sera si vide davvero se il sangue era rosso, si vide. Tramontava il sole in un incendio di nuvoli; e l’afa stava sopra alla spiaggia come una cappa di metallo rovente; e venivano buffate di scirocco sul viso a tratti come lingue di foco, mentre la marea picchiava, su le scogliere spumeggiando e sonando che pareva bestemmiasse. Lì di faccia alla Dogana plasmavano21 la barca nova di padrone Cardillo: l’odore del catrame si propagava per tutta la sponda.
16. Bordeggiando: navigando a zig zag (a spira-pesce). 17. Cirri: piccole nubi.
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18. Carminio: rosso vivo.
20. Elsa: impugnatura.
19. Daga: spada corta.
21. Plasmavano: rivestivano di catrame.
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– L’ho rivisto, sai? Zarra – diceva Dalfino amaramente, seduto sotto il fianco della paranza che giaceva lì in secco come un capodoglio sventrato. – M’ha detto un’altra volta che aspetta; e io ci andrò. Tanto qui che ci faccio? Contrasse la bocca ad un brutto sorriso; poi si ficcò la mano dentro a’ capelli e ripeté: – Tanto qui che ci faccio? Nel cuore ci aveva la burrasca, povero Dalfino; in quel suo cuore forte come il granito degli scogli e largo quanto il mare. Era un misto di superstizione, d’odio, d’amore; l’onda paonazza l’attirava irresistibilmente, fatalmente, ma gli pareva che anche là sotto non avrebbe avuto pace senza la vendetta. Oh Zarra, Zarra, anche Zarra gli avevano rubato!... ***
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Stettero in silenzio ad ascoltare il fiotto e a fiutar l’odore del catrame; lei non aveva coraggio di dir una parola: era lì con l’occhio fosco22, avvilita, immobile come una statua. – Povera paranzella mia! – mormorò Dalfino palpando al legno23 il nero fianco che aveva sfidate con lui cento tempeste senza rompersi mai. E negli occhi gli luccicavano le lacrime come un bambino. – Addio, Zarra; vado. La baciò su la bocca; poi si diede a correre per la rena verso la Dogana, e il sangue gli s’era inferocito. Incontrò il finanziere proprio sotto la lanterna; gli si fece addosso come una tigre e lo sgozzò d’un colpo senza fargli dire neppur Gesummaria. Poi mentre la gente accorreva, si gittò in mare contro i cavalloni furibondi, sparì, ricomparve lottante con quel suo vigore sovrumano; e lo videro ancora su la cima bianca de’ marosi, come un delfino, ricomparire, sparire, perdersi per sempre nel crepuscolo incerto, tra i fischi dello scirocco e le grida disperate di comare «Gnese». Da G. D’Annunzio, Le novelle della Pescara, in Tutte le opere, Mondadori, Milano
22. Fosco: triste.
23. Al legno: alla barca.
sercizi sul testo
Comprensione 1 Da dove deriva il soprannome del protagonista? 2 Zarra è la ............................................. del protagonista; il figlio di comare Gnese, invece, il suo ............................................. in amore. 3 Perché il protagonista è orfano? 4 Come si chiude la novella? 203
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Analisi 1 La novella è stata divisa dall’autore in sei macrosequenze per creare un effetto suspense motivi estetici scandire il tempo che passa.
2 Il narratore è esterno interno ed usa focalizzazione esterna interna zero, come si comprende dal fatto che
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3 Egli può essere considerato palese, perché fa capire i sentimenti che prova nei confronti del protagonista: in quali punti del testo? E quali sentimenti prova?
4 Traccia il ritratto di Dalfino facendo riferimento alle informazioni sparse nel testo; se credi, puoi sostituire la descrizione con un disegno (che rispetti, ovviamente, le indicazioni fornite).
5 Il narratore si è soffermato più a lungo sul suo aspetto fisico o sul carattere? Perché? 6 Rileggi con attenzione il ritratto fisico di Zarra: ti pare quello di un’umile popolana o di una donna piena di fascino? Perché?
7 Evidenzia sul testo tutti gli elementi cromatici e sensoriali usati per la descrizione del mare: ti pare che esso possa essere considerato un vero e proprio personaggio? Quale immagine ne dà il narratore?
8 Sottolinea le numerose similitudini presenti nel testo e trascrivi sul tuo quaderno gli elementi che costituiscono i termini di paragone: quali sono i più usati? Per quale motivo?
9 Indica quali figure retoriche sono state usate in queste due espressioni: Folate di gabbiani:
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co ’l cenerino chiaro del loro volo:
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Spiega ora come sono nate entrambe.
Riflessione e produzione 1 Perché Dalfino sembra essere predestinato alla violenza fin dalla nascita? 2 La tragedia finale è preannunciata anche dai frequenti rimandi al sangue sparsi per il testo: evidenziali con un colore a tua scelta.
3 Questa novella non è solo un bozzetto, ma anche la presentazione (implicita) di un modo di intendere la vita, che appare dominata da istinti e da passioni molto forti. Elenca i punti del testo che possono dimostrare questa affermazione.
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Unità 2 La novella
DALFINO
aboratorio INVALSI
1 Nelle righe 2-10 viene presentato il protagonista: le espressioni che lo descrivono sottolineano (per ogni affermazione segna se è vera o falsa) VERO
FALSO
il fisico plasmato dal lavoro
la forza dei muscoli
il sorriso accattivante
A.
l’abbronzatura della pelle
B. C. D.
2 Nella descrizione della morte del padre di Dalfino (righe 14-15) il narratore usa con insistenza una figura retorica:
A. l’iperbole B. la metafora C. la similitudine D. la metonimia
3 Fin dalla prima macrosequenza Dalfino dimostra chiaramente il suo desiderio di
A. poter parlare ancora con la madre e il padre B. portare via Zara da un luogo che le fa paura C. imbarcarsi per viaggiare per il mare, che lo affascina D. raggiungere il padre sul fondo del mare
4 La seconda macrosequenza ha lo scopo di
A. presentare la protagonista femminile e il rapporto che ha con Dalfino B. presentare la protagonista femminile C. presentare la protagonista femminile e contestualizzare il racconto D. presentare la protagonista femminile ed esaltare la giovinezza
5 L’aggettivo ammaliati (riga 47) potrebbe essere sostituito con
A. ammalati B. imbambolati C. stregati D. affascinati
6 Di quali creature parla Dalfino nelle righe 51-54? .........................................................................................................................................................................................................................................................................
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Le forme della narrazione
7 Nella riga 81 Dalfino ha lo sguardo arroventato: i suoi occhi, infatti, esprimono
A. passione B. amore C. rabbia D. gelosia
8 Il gesto del finanziere di mettere il pugno sull’elsa della daga quando passa Zarra (riga 93) si spiega
A. con l’istinto di protezione nei confronti di una donna B. con la volontà di sottolineare la propria autorità, legata alla professione, che legittima l’uso delle armi C. come un gesto di puro esibizionismo D. come un gesto di sfida indiretta nei confronti di Dalfino
9 Il paragone tra il fianco della paranza e il capodoglio sventrato (riga 107) è suggerito
A. dal colore nero B. dalla forma C. dalla forma e dalla posizione D. dalla grandezza
10 Nelle prime righe dell’ultima macrosequenza l’atteggiamento silenzioso di Zarra dice a Dalfino molto più delle parole. Con il suo silenzio, infatti, Zarra gli fa capire A. di non voler opporsi al suo proposito di suicidio B. di non voler opporsi alla sua vendetta sul finanziere C. di essere innamorata dell’altro D. di non voler avere più nulla a che fare con lui
11 Anche nei suoi ultimi gesti Dalfino è paragonato a degli animali. Questi continui paragoni vogliono sottolineare
A. la sua forza fisica B. la sua brutalità C. la sua irrazionalità D. il suo modo di agire istintivo
12 In tutto il testo si fa riferimento, in modo diretto o indiretto, a un colore: quale?
A. Giallo B. Rosso C. Verde D. Azzurro
13 Se dovessi definire il lessico di questa novella useresti gli aggettivi
A. spontaneo e immediato B. semplice e poco curato C. semplice ma molto curato D. elegante e raffinato
14 La sintassi di questa novella può essere definita
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A. prevalentemente nominale B. prevalentemente paratattica C. prevalentemente ipotattica D. ricca di anacoluti