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Esposizione agli antiblastici

Rischi sulla sicurezza e misure di protezione La battaglia alle innumerevoli patologie neoplastiche comprende ancora oggi, come nel passato, l’impiego di terapie altamente tossiche, come i chemioterapici antiblastici, che rappresentano un elevato rischio non solo per i pazienti a cui vengono somministrati, ma anche per il personale addetto alla loro manipolazione. Pertanto, questi farmaci devono essere adoperati nel pieno rispetto delle norme di sicurezza e da personale altamente qualificato, informato dei rischi e ben addestrato all’utilizzo dei DPI e dei DPC, a garanzia della propria e dell’altrui salute.

SICUREZZA IN LABORATORIO

a cura di Angelo Taronna

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I chemioterapici antiblastici rappresentano una categoria di preparati farmaceutici con caratteristiche di tossicità acuta e cronica per l’uomo, che possono tradursi in azione irritante, vescicante o allergizzante sulle mucose e sull’epidermide, mentre gli effetti sistemici sono sia a carico del sistema emopoietico che di alcuni organi, quali l’apparato uditivo, il sistema nervoso periferico, l’apparato riproduttivo, il fegato, il pancreas e i reni. Inoltre, è ampiamente dimostrato che molti di questi farmaci presentano proprietà mutagene, cancerogene e teratogene, dovute alla capacità di inibire la crescita del DNA e la divisione cellulare. I lavoratori esposti alla manipolazione di queste sostanze, in ambiente ospedaliero, sono i farmacisti, i tecnici di laboratorio, i medici e gli infermieri. Negli ultimi decenni, a seguito delle considerevoli acquisizioni in materia, gli operatori sanitari sono diventati più consapevoli dei potenziali effetti dannosi derivanti dalla manipolazione di tali sostanze. Ciò ha contribuito ad aumentare il livello di attenzione per le problematiche di sicurezza e di salute.L’esposizione professionale a chemioterapici antiblastici può verificarsi durante le fasi lavorative, che espongono il lavoratore a una possibile contaminazione. Le principali vie di penetrazione sono rappresentate dall’inalazione ambientale dei contaminanti dispersi e dall’assorbimento cutaneo, per contatto diretto con i farmaci o con le superfici inquinate (piani di lavoro, lavandini, pavimenti, indumenti, ecc.). La contaminazione ambientale si realizza in condizioni di gravi carenze strutturali e/o organizzative, nonché in assenza di adeguate precauzioni nella manipolazione; invece, la contaminazione per contatto si realizza a seguito di procedure non adeguate degli operatori: spostamenti non corretti di materiale contaminato all’interno della cappa, scarsa attenzione del personale addetto alla preparazione, al trasporto, alla somministrazione e allo smaltimento. La contaminazione del personale è stata documentata a seguito del riscontro di modeste quantità di antiblastici e/o metaboliti nelle urine degli operatori. Tuttavia, l’importanza di sorvegliare le contaminazioni, anche se esigue, è sostenuta dall’ipotesi che basse dosi protratte nel tempo, possano causare fenomeni di accumulo e indurre, quindi, nel lungo periodo, un effetto tossico di non poco conto. Al fine di realizzare un’opportuna prevenzione del rischio di contaminazione, è utile lavorare in specifiche strutture (Unità Farmaci Antitumorali, UFA) e seguire scrupolosamente le linee guida internazionali, mettendo in atto tutti i dispositivi (DPC e DPI) e le procedure per la salvaguardia della salute.

LAB IL MONDO DEL LABORATORIO

Maggio-Giugno 2013

Le misure di protezione - Nel 1986 l’Occupational Safety and Health Administration ha emesso linee guida per la corretta manipolazione di chemioterapici antiblastici in strutture sanitarie. In seguito molti Paesi europei ed extraeuropei ne hanno regolamentato l’uso professionale. In Italia, la Conferenza Stato-Regioni ha emanato il Provvedimento del 5 agosto 1999 “Documento di linee guida per la sicurezza e la salute dei lavoratori esposti a chemioterapici antiblastici in ambiente sanitario” (repertorio atti n. 376; GU n. 236 del 07/10/1999). Nel maggio 2010 il Dipartimento di Igiene del Lavoro dell’ISPESL (ora INAIL) ha pubblicato un documento di aggiornamento in materia, sulla base di quello precedente emesso nel 2000. Il nuovo documento “Le indicazioni per la tutela dell’operatore sanitario per il rischio di esposizione ad antiblastici” (disponibile sul sito www.ispesl.it) indica le misure di sicurezza e gli interventi di prevenzione e protezione, rappresentando uno strumento essenziale per gli operatori del settore. Il nuovo documento tecnico tratta dei dispositivi di protezione collettiva (DPC) e dei dispositivi di protezione individuale (DPI).


www.sicurezzalaboratorio.it Dispositivi di protezione collettiva - Per prevenire o ridurre al minimo il rischio di esposizione, durante la preparazione dei farmaci antiblastici, si mettono in atto varie precauzioni. Di fondamentale importanza è l’utilizzo di una cabina di sicurezza biologica per citostatici Classe II di tipo H (secondo la classificazione DIN 12980) dotata di tre filtri assoluti di cui il primario posto immediatamente al di sotto del piano di lavoro per ridurre la zona contaminata dagli aerosol. Le cappe per citostatici sono in grado di garantire la protezione dell’operatore, dell’ambiente e la sterilità dei farmaci, se utilizzate correttamente da personale adeguatamente formato e all’interno di locali a contaminazione controllata. è anche possibile adottare cappe dedicate, definite CACI (compounding aseptic containment isolators), veri e propri isolatori dotati però di flusso unidirezionale sterile a protezione del prodotto. In quest’ultimo caso la classe di pulizia ambientale del locale in cui è inserito il CACI è meno critica rispetto ai sistemi aperti, quali le cappe per citostatici.

Dispositivi di protezione individuale - Oltre ai dispositivi di protezione collettiva (DPC), sono necessari diversi dispositivi di protezione individuale (DPI), come camici, guanti e facciali filtranti, a maggior garanzia dell’operatore. Tali dispositivi devono necessariamente rispondere a direttive europee (89/656/CEE e 89/686/CEE) e italiane (D.Lgs 475/92 e D.Lgs 81/08). In particolare, il D.Lgs 475/92 regolamenta i requisiti essenziali di sicurezza che devono essere rispettate dalle aziende produttrici durante la produzione e prima dell’immissione in commercio. Camici. Per garantire un’adeguata protezione del corpo sono preferibili i camici con tessuti a bassa permeabilità, che non rilasciano particelle, come ad esempio i camici chirurgici monouso di tipo idrorepellente in tessuto non tessuto (TNT). Questi camici sono sempre provvisti di allacciatura posteriore e polsini di elastico o maglia, rinforzati anteriormente e sulle braccia con materiale barriera che offra una limitata penetrabilità ai farmaci antiblastici. I polsini devono essere sempre sormontati dai guanti. I camici non devono assolutamente essere utilizzati fuori dalle aree di esposizione. Guanti. Per la protezione delle mani è necessario indossare guanti monouso in lattice pesante (spessore 0,35 - 0,5 mm), privi di polvere lubrificante, in quanto i residui sulle mani possono favorire l’assorbimento dei farmaci antiblastici e sporcare i filtri della cappa. Dal momento che non esistono, allo stato attuale, guanti capaci di garantire una totale impermeabilità, è necessario sostituirli ogni 30 minuti, in quanto la sudorazione facilita la permeabilità, o non appena presentino abrasioni o tagli. In alternativa al lattice pesante, è possibile utilizzare doppi guanti in lattice da laboratorio, con la particolarità di sostituirli ogni 20-30 minuti. Data la scarsa elasticità, è sconsigliabile l’uso di guanti in PVC per l’elevata permeabilità, ad eccezione per la manipolazione del metotrexate. È buona abitudine, prima di indossare i guanti e dopo averli rimossi, lavare accuratamente le mani con sapone; infatti, una minima quantità di farmaco può comunque penetrare. Al fine di minimizzare la contaminazione all’esterno della cappa, causando così dispersione del materiale tossico, i guanti andranno riposti in una busta di plastica e smaltiti nell’apposito contenitore per rifiuti speciali. I guanti devono avere la marcatura CE, in conformità alle norme tecniche EN 420 e la EN 374. Questi dispositivi devono essere muniti di documentazione tecnica, concessa da un Organismo Notificato, che ne accerti l’adeguatezza rispetto ai rischi di esposizione.

Per tale documentazione si dovranno eseguire dei test, utilizzando 4 o 5 composti, selezionati dall’elenco riportato nel documento tecnico ISPESL (2010), comprendente i principali composti utilizzati in terapia (metotrexate, ciclofosfammide, fluoro uracile, vincristina solfato, daunorubicina, adriamicina cloridrato, doxorubicina). Maschere per la protezione delle vie respiratorie. Si raccomandano semimaschere con filtri di classe P3 o facciale filtrante di classe FFP3, utile per coprire naso e bocca. Le comuni mascherine chirurgiche, di carta e/o tessuto, non offrono nessuna protezione alla penetrazione di polveri e aerosol di chemioterapici antiblastici, e, quindi, rappresentano una falsa protezione per l’operatore. Anche questi DPI devono assolutamente possedere la marcatura CE. Maschere per la protezione degli occhi e del volto. Per la difesa degli occhi e del volto da spruzzi, gli operatori devono utilizzare occhiali a mascherina o visiera trasparente, con marcatura CE conformi alla norma tecnica EN 166, che andranno opportunamente lavati, dopo l’uso, con un detergente non aggressivo. Cuffie, sovrascarpe e pantaloni. Questi dispositivi, in tessuto idrorepellente o in TNT, sono molto utili per proteggere il capo e gli arti inferiori da spruzzi, schizzi o gocce. Accanto ai DPC e DPI, assolutamente necessari per garantire la sicurezza ambientale e dei lavoratori, è fondamentale un’elevata professionalità, una formazione continua e soprattutto buon senso, a garanzie della incolumità personale e di quella del paziente.

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