L’oro bianco in Italia Parte 1a: Nord Italia Curiosità , notizie storiche ed artistiche sulle principali e antiche Fabbriche di Maioliche e Manifatture di Porcellana in 33 località dell'Italia del Nord
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Indice generale Proemio.....................................................................................................5 Cenni su le origini della porcellana in Europa...................................................7 CuriositĂ e notizie storiche ed artistiche su le principali antiche Fabbriche di Maioliche e Manifatture di Porcellana in Italia per Regione e per LocalitĂ ............11 Piemonte.................................................................................................12 MondovĂŹ...............................................................................................13 Torino..................................................................................................15 Vinovo..................................................................................................18 Liguria.....................................................................................................21 Albissola...............................................................................................23 Genova................................................................................................25 Savona.................................................................................................27 Lombardia................................................................................................28 Bergamo...............................................................................................29 Brescia.................................................................................................29 Lodi.....................................................................................................30 Mantova...............................................................................................32 Milano..................................................................................................34 Pavia....................................................................................................43 Veneto.....................................................................................................45 Angarano (frazione di Bassano)................................................................46 Bassano...............................................................................................48 Candiana..............................................................................................53 Este.....................................................................................................54 Nove di Bassano....................................................................................56 Padova.................................................................................................58 Treviso.................................................................................................60 Venezia................................................................................................62 Verona.................................................................................................65 Vicenza................................................................................................65 Emilia Romagna........................................................................................66 Bologna................................................................................................67 Busseto................................................................................................73 Faenza.................................................................................................74 Ferrara.................................................................................................79 Finale Emilia..........................................................................................82 Fornovo................................................................................................82 Imola...................................................................................................83 Parma..................................................................................................84 Ravenna...............................................................................................86 Rimini..................................................................................................87 Sassuolo...............................................................................................88 Della Porcellana........................................................................................90 La terracotta......................................................................................90 La ceramica a freddo...........................................................................90 La terraglia........................................................................................90
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La maiolica........................................................................................90 Il grès...............................................................................................91 La Porcellana......................................................................................91 Le varietà della Porcellana.......................................................................92 Bone China........................................................................................92 Il "Jasper".........................................................................................92 La porcellana Bisquit...........................................................................92 La porcellana avorio............................................................................92 La porcellana da fuoco ........................................................................93
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Proemio
La Porcellana è il più importante e pregiato prodotto della famiglia della ceramica: La base per la sua composizione è il caolino conosciuto in Cina fino dall'antichità e i cui componenti principali per ottenerne l'impasto sono il Caolino al 50%, il Quarzo ed il Feldspato al 25%. Le caratteristiche principali della porcellana sono la durezza ( nonostante la sua fragilità la porcellana è più dura di un normale acciaio) e la trasparenza (traslucentezza). Questi due risultati si ottengono dopo aver effettuato la prima cottura dell'impasto a 980 gradi centigradi e la seconda cottura a 1400 gradi centigradi. Lo smalto che viene applicato sul biscotto e quindi prima della seconda cottura è di uguale composizione dell'impasto stesso, ma con differenti proporzioni di elementi. Uno dei grandi pregi di questo prodotto è la mancanza di "invecchiamento".
La porcellana richiede una lavorazione accurata, precisa, prolungata. Cento mani intervengono nella produzione di un pezzo di porcellana. Essa è il risultato di un molteplice e difficile processo di produzione: le sue materie prime, tutte estratte dal suolo, vengono accuratamente pulite, macinate e mescolate secondo regole di provata esperienza; la modellatura delle forme avviene prevalentemente con lavorazione a mano; nel corso della sua produzione è più volte sottoposta a cottura; la vernice viene cotta all'elevata temperatura di circa 1.400°C.
Gli oggetti di porcellana già formati, per le caratteristiche delle materie prime componenti e in conseguenza delle varie cotture subite, nel corso della loro finitura sono già esposti a molti elementi imponderabili; pertanto dipende da caratteristiche tecniche di produzione se non esiste una porcellana di perfezione assoluta: lievi differenze di colore, di forma o di spessore, come pure imperfezioni anche visibili devono essere considerate normali.
La scoperta e l'uso della ceramica risalgono agli albori della storia e sono il frutto della terra fissata nella sua forma dal fuoco. Già nel 5000 a.C. in Medio Oriente si producevano oggetti realizzati con un impasto di acqua e terra che veniva cotto in appositi forni (Lenzi V., 2003). Si tratta di una delle maggiori conquiste dell'età neolitica, la cui scoperta è stata del tutto casuale: una volta che l'argilla, impastata e lavorata, sotto l'azione del fuoco si consolidava, si capì che era comodo foggiarla prima
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della cottura per poi poterla sfruttare come recipiente e contenitore. L'introduzione della verniciatura vetrosa, in uso dal II millennio a.C. In Mesopotamia, migliorò ulteriormente la resistenza all'usura e le caratteristiche estetiche.
Le continue sperimentazioni, la ricerca di materiali dotati di caratteristiche specifiche, volte a soddisfare le svariate esigenze, sia d’uso che estetiche, la scoperta e il perfezionamento delle tecniche produttive, il controllo delle temperature di cottura, la realizzazione di colori diversi, hanno dato vita ad una moltitudine di produzioni ceramiche, differenti per tipologia, tecniche produttive e materiali, localizzate in diversi paesi, e divenute, con vario successo, patrimonio degli stessi.
Una vera rivoluzione si ebbe, tuttavia, con la scoperta della lavorazione della porcellana, che si fa risalire all'VIII secolo d.c. In Cina. Il caolino, materia prima essenziale nella composizione della porcellana, prende il suo nome dal giacimento di Kaulin, in Cina.
Prime porcellane si individuano sotto la dinastia Han, (202 a.C., 220 d.C.), ma la vera e propria porcellana bianca si può trovare solo a partire dall’Epoca T’ang (618 – 907), con decorazioni in blu e verde. Gli esemplari più belli, con ricca decorazione policroma, si svilupparono nelle Epoche Yuan (1280 – 1368) e Ming (1368 – 1644). Con le varie dinastie sono stati introdotti colori e forme che hanno dato origine a stili diversi e ben definiti, come lo "stile dei 3 colori", "stile dei 5 colori", "familia verde", "familia rosa" ecc. Motivi ricorrenti nelle produzioni cinesi sono: draghi, pesci, uccelli, fiori e paesaggi. Il Giappone imitò l’arte cinese e arrivò ad una produzione propria solo nel XVII secolo, grazie alla scoperta locale di giacimenti di caolino.
Ma fino alla fine del 1600, in Europa, la porcellana era un materiale ancora sconosciuto nella sua composizione chimica.
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Cenni su le origini della porcellana in Europa
Il mito della porcellana nasce in Europa durante il XIII secolo quando i primi intraprendenti mercanti europei, fra i quali va ricordato il veneziano Marco Polo, decidono di tentare l'avventuroso viaggio verso le terre lontane della Cina e al loro ritorno, insieme a sete pregiate e spezie, portano anche alcuni esempi di vasellame eseguito in questo misterioso materiale. La messa a punto di questo straordinario prodotto artificiale cinese così come noi lo conosciamo, è il risultato della fusione fra le diverse esperienze dei ceramisti del vicino e del lontano oriente avvenuto nel Duecento a seguito della conquista dei Mongoli. Fu grazie a questi contatti con la Persia e la Mesopotamia che giunse in Cina l'arte di decorare il vasellame con il bleu di cobalto, tecnica che, realizzata sul più raffinato impasto caolinico cinese, doveva dare l'avvio a quella spettacolare produzione di porcellane dette in "bianco e bleu" che tanto a lungo avrebbe condizionato il gusto dell'Europa.
L’ Europa ammira attonita questi rari e preziosi oggetti che tra il XV e il XVI secolo iniziano ad essere importati prima limitatamente dai portoghesi e, successivamente al 1602, anno in cui venne costituita la "Compagnia delle Indie", sempre più numerosi per soddisfare la crescente richiesta dei raffinati aristocratici europei che morbosamente se li contendevano per le loro eteroclite collezioni racchiuse nei "cabinets de curiositées" o "wunderkammer". Il successo delle porcellane cinesi trasformò automaticamente il raro materiale di importazione nella maggior fonte d'ispirazione per i ceramisti sia europei che del vicino e medio oriente. Tutta l'arte vasaria a partire dal Rinascimento fino a tutta la prima metà del secolo XVIII, da un lato sembra volta a riprodurre su altro materiale decori e forme che ricalcano quelli più tipici della lontana Cina, e dall'altro con rinnovati esperimenti mostra tenacemente di non volersi arrendere di fronte al nascosto mistero del bianco impasto della porcellana, duro come una pietra semipreziosa bianco e translucido, che continua a rivelarsi inspiegabilmente irriproducibile con le terre dei paesi europei.
Le difficoltà tecniche e chimiche che ne hanno bloccato in Europa fino ai primi anni dei Settecento la realizzazione, hanno come conseguenza trasformato la porcellana in un materiale mitico intorno al
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quale sono fiorite favolistiche leggende e coloriti aneddoti che hanno contribuito non poco all'aura di mistero e di preziosità di cui tanto a lungo ha beneficiato la produzione sia cinese che giapponese, tanto che il Barone von Tschirnhaus, un aristocratico sassone, critico nei confronti della dispendiosa passione per la porcellana orientale di Augusto il Forte, non esitò a definire la Cina una "sanguisuga della Sassonia" mentre nel contempo indirizzava l'Elettore verso i più proficui esperimenti per produrla in loco.
Tutto ciò avveniva durante l'ultimo decennio del Seicento quando il problema della fabbricazione della porcellana era divenuto oggetto di studio da parte di quella particolare nuova categoria di studiosi naturalisti, che operavano i più disparati esperimenti sotto l'egida delle "Accademie", in particolare la "Academie des Sciences" di Parigi e la "Royal Society" di Londra. Il Barone von Tschirnhaus puntava sullo sviluppo delle manifatture reali per la completa auto-sufficienza dello stato. Subito dopo l'ascensione al trono di Augusto il Forte - avvenuta nel 1694 - venne incaricato dal nuovo Elettore di esaminare le potenzialità minerarie della Sassonia con la finalità di utilizzarle per impiantare nuove fabbriche.
In questa atmosfera di ricerche scientifiche e di relazioni accademiche, trovò largo spazio anche una nuova categoria di geniali avventurieri, gli alchimisti, che lasciavano intendere di poter trasformare in laboratorio dei vili metalli in oro. Fra questi personaggi riscosse particolare attendibilità proprio con il miraggio di riuscire a tramutare qualsiasi metallo in oro, un giovane sassone, Johann Friedrich Bóttger, che nel 1701, appena diciannovenne, venne letteralmente rapito da Augusto il Forte e sostenuto per qualche anno ad esercitare dispendiosamente le sue discusse capacità alchemiche.
Tuttavia quando nel 1707, una volta accertata l'inutilità dei suoi esperimenti, gli venne imposto di lavorare sotto la sorveglianza del Barone von Tschirnhans, le sue conoscenze di tecnico di laboratorio gli permisero di scoprire finalmente - già nel 1708 - il mitico segreto della composizione della porcellana individuando i due componenti basilari dell'impasto, il caolino o il feldspato: il primo inattaccabile anche ad altissime temperature e il secondo fusibile durante la cottura e quindi con l'essenziale funzione di legante per gli infinitesimali granuli caolinici.
Johann Friedrich Boettger Nato a Schleiz in Turingia il 4 Febbraio 1682, morto a Dresda il 13 Marzo 1719 a soli 37 anni. Fu avviato allo studio per diventare un medico, come allievo della Farmacia di Acquista porcellana italiana dipinta a mano la bellezza autentica del Made in Italy solo su www.porcellanaitaliana.com pag. 8
Berlino, ma presto si lasciò affascinare dai metalli anche perché, essendo stato suo padre un "maestro della zecca", sin dall'infanzia aveva visto ed apprezzato le tecniche di lavorazione per fabbricare le monete e iniziò ad essere affascinato dal problema della "pietra filosofale" cioè della trasmutazione dei metalli in oro. Nel laboratorio della Farmacia condusse degli esperimenti con monete di 2 Groschen d'argento, ottenendone una trasmutazione (amalgama?) da farle ritenere effettivamente trasformate in oro. La sua fama divenne pericolosa per lui, perché il Re di Prussia Federico I° con l'idea dell'oro a disposizione, stava per requisirlo alla Zecca dello stato, in condizione di prigioniero. Perciò, nel 1701 per sfuggire a questa prospettiva si allontanò in incognito da Berlino per entrare a servizio del principe elettore di Sassonia, Augusto il Forte, che lo accolse per affidargli a sua volta lo stesso compito: realizzare un laboratorio per la trasmutazione dei metalli, di fatto rendendolo prigioniero.
In queste condizioni, Boettger entrò in contatto con altri "filosofi naturali", anch'essi al servizio del principe, tra i quali Ehrenfried Walther von Tschirnhaus (1651-1708), un fisico esperto nella costruzione di forni riscaldati con la radiazione solare concentrata da grandi lenti, e Gottfried Pabst von Ohain (1656-1729) minerologo e metallurgista. Nel loro lavoro non raggiunsero la trasmutazione dei metalli ma scoprirono le condizioni per realizzare due diversi tipi di materiale ceramico: nel 1708 il grés detto "di Delft" (un ceramica rosso-bruna già nota in Olanda) e nel 1709 la porcellana bianca di tipo cinese (biscuit). Questi materiali, il cui commercio di importazione produceva grande profitto, avevano un elevato valore perché erano molto ricercati. Per produrre la porcellana bianca in quantità tale da soddisfare le esigenze della corte e del mercato, il 23 Gennaio 1710 fu avviata la costruzione dello stabilimento della Manifattura di MeissenAlbreschtsburg che Boettger diresse fino alla sua morte nel 1719.
Ma la fabbrica di Meissen, entrata in attività nel 1710 non riuscì a mantenere a lungo segreta la formula della composizione della porcellana caolinica, ossia di quel tipo di porcellana comunemente detta "La pasta dura".
Le prime informazioni vitali trapelarono già nel 1717, quando Bóttger sotto l'effetto dell'alcool si fece circuire dal doratore C. K Hunger, un collaboratore esterno della fabbrica. Hunger, ottenute le notizie essenziali, si spostò subito a Vienna dove Claudius Innocent Du Paquier desiderava aprire una fabbrica in concorrenza con quella di Meissen. Tuttavia ben presto ci si rese conto che per produrre la porcellana Acquista porcellana italiana dipinta a mano la bellezza autentica del Made in Italy solo su www.porcellanaitaliana.com pag. 9
non era sufficiente conoscerne la composizione chimica, ma perché il processo di fusione e di agglomeraggio potesse verificarsi, era essenziale procedere alla cottura in fornaci che consentissero il raggiungimento di temperature altissime, molto superiori a quelle necessarie per le maioliche. Così, grazie proprio al "ciarlatano Bóttger, anche l'Europa intera scoprì di cosa erano costituite le "ossa" e la "carne" dello scheletro della porcellana secondo la felice definizione usata dai cinesi per designare il caolino e il feldspato. In pochi anni, la tecnica della porcellana, malgrado fosse stata tenuta segreta, si diffuse in Europa per dare vita alle varie manifatture nazionali : Sèvres (Francia), Wedgewood (Inghilterra), Ginori e Capodimonte (Italia) e molte altre ancora. Du Paquier quindi per riuscire nel suo intento, dovette attendere fino al 1719 quando anche Stólzel, un tecnico dì Meissen decidette di spostarsi a Vienna-, portando con se i disegni del forno speciale da porcellana.
La terza fabbrica europea fu quella del veneziano Francesco Vezzi, un ricco orafo che approfittando di uno dei tanti litigi fra Du Paquier e Hunger convinse quest'ultimo nel 1720 a spostarsi a Venezia. Oltre a portare con se il segreto alchemico della composizione della pasta e della tecnica di cottura Hunger era certamente in grado di far giungere di contrabbando a Venezia il caolino sassone dalle miniere di Aue. Quando nel 1727 Hunger abbandonò Francesco Vezzi che si trovava in gravi difficoltà finanziarie, rientrando a Meissen svelò alle autorità questo traffico clandestino. Le autorità Sassoni intervennero con severissimi controlli e misure punitive e bloccando da quel momento le esportazioni non autorizzate, segnarono di fatto la fine dei nuovi imprenditori della porcellana .
Fra le prime manifatture europee apertisi nella "seconda ondata" troviamo ancora una fabbrica italiana, fondata a Doccia dal Marchese Carlo Ginori, grazie ad un privilegio che egli riuscì a ottenere dal Granduca di Toscana Francesco III nel 1737, privilegio che gli consentì inizialmente di importare il prezioso caolino e di avviare una produzione sistematica a partire dal 1740. Nel 1743 apriva anche la fabbrica borbonica di Capodimonte dove, tuttavia, per aggirare l'ostacolo dell'assenza di caolino bisognerà attendere la fine del Settecento per individuarne una cava - si trovò il sistema di mettere a punto un impasto diverso basato sulla riuscita unione di varie argille più o meno tutte fusibili ossia una cosiddetta "pasta tenera". in Italia, comunque erano già fiorenti le ceramiche di Deruta , Savona , Nove e Faenza, dalla quale il nome “ Faiences” dato dai francesi a tutti i prodotti ceramici.
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CuriositĂ e notizie storiche ed artistiche su le principali antiche Fabbriche di Maioliche e Manifatture di Porcellana in Italia per Regione e per LocalitĂ
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Piemonte MondovĂŹ Torino Vinovo
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Mondovì
Una prima fabbrica di maioliche fu aperta alla fine del sec. XVII. Nel 1808 il medico Francesco Pedrotti fece sorgere una fornace di stoviglie. Ebbe vita breve (1808-1812) riuscendo tuttavia a produrre pezzi preziosi impiegando argilla locale rossa e grossolana fatta amalgamare con argilla di grana più fine e di colore diverso: il risultato, una produzione di maioliche singolari, imitanti nel disegno e nei colori venature di radica di legni pregiati. Subito dopo, nel 1810, iniziò l'attività di produzione di buona maiolica Benedetto Musso di Savona in località di Carassone. Si può ritenere che l'industria della terraglia di Mondovì rappresenti la continuazione della fabbricazione di stoviglie liguri, comuni, d'un tempo. Negli abitanti del luogo, a quel tempo, la lavorazione della ceramica era una tradizione, fatto che rendeva agevole il reclutamento del personale necessario.
Nella fabbrica di Carassone, passata poi al fratello Felice Musso, impiantato un grande forno circolare, nel 1883 si producevano oltre 2 milioni di pezzi con un centinaio di addetti: la qualità era migliorata, i disegni più vari ed allegri con raffinati decori all'uso inglese. Sul finire del secolo le condizioni del mercato però peggiorarono e Felice Musso fu costretto a cedere il "Follone" (1897) alla più potente Ceramica Richard-Ginori. L'altra fabbrica di Carassone di Benedetto Musso (1879) fu acquistata da Edoardo Barberis (1898) che la rilanciò con una produzione di stoviglie comuni e di terraglia sommariamente ma vivacemente decorata. I successivi proprietari Giorgis e Maniera la cedettero nel 1919 alla società La Vittoria, che con dinamismo (i dipendenti erano 104 nel 1927) sostenne la concorrenza della Richard-Ginori. Nel 1935, in seguito alla stasi del mercato, fu acquistata dalle altre società ceramiche di Mondovì che la smantellarono. La Richard-Ginori, acquisito lo stabilimento di Carassone, lo ristrutturò, i macchinari furono rinnovati ed alimentati con energia elettrica, furono installati sette forni circolari, nel 1914 i dipendenti erano 400. Pur risentendo la crisi del settore la Richard-Ginori solo nel secondo dopoguerra abbandonò la produzione di terraglia dolce calcarea per quella dura feldspastica, cercando di mantenere però le caratteristiche della "Vecchia Mondovì".
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Dopo la grave crisi della seconda metà del secolo scorso, oggi alla ceramica di Mondovì è riconosciuta la denominazione di origine "Ceramica Artistica e Tradizionale di Mondovì", una vera e propria Doc di cui si possono fregiare, stampigliandola sulle loro creazioni, solo i ceramisti iscritti nel Registro dei produttori di ceramica artistica e tradizionale depositato presso la Commissione Provinciale per l'Artigianato di Cuneo. Infine il 12 dicembre 2010 è stato inaugurato, all’interno del prestigioso Palazzo Fauzone di Germagnano, nel rione Piazza a Mondovi, il Museo della Ceramica diretto dall’esperta Christiana Fissore, autrice de “La ceramica a Mondovì nell’Ottocento”.
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Torino
Che sia vero o no che Antonio Nani da Urbino ed Orazio Fontana siano stati chiamati a Torino dal Duca Emanuele Filiberto per impiantare o dirigere una fabbrica di maiolica cosa nota è che grazie a questo principe l'arte della ceramica era a Torino, nel 1500, piuttosto fiorente.
Nel 1640, nei dintorni di Torino, località Regio Parco, Giovanni Giacomo Bianchi Genovese, con alcuni soci, avviò una fabbrica di maiolica che, nel 1649, ottenne da Carlo Emanuele II molti privilegi. A capo operaio fu nominato un tal Nicola Corrado da Albissola. Al giorno d’oggi non ci è possibile distinguere questi prodotti con certezza, essendo essi privi di marche ma forse appartengono alla fabbrica del Parco alcune altre maioliche le quali sono caratterizzate da una decorazione in azzurro assai simile a quella delle opere di Savona, a personaggi in costume dell’epoca di Luigi XIII e dalla marca rappresentante uno scudo inquartato con la croce tradizionale di Savoia, sormontato da una corona chiusa. Esse appartengono al regno di Vittorio Amedeo II primo re di Sardegna nel 1675.
Nel 1725 certo Giorgio Rossetti di Marcello, ottenendo speciali privilegi, fondava in Torino, una fabbrica di maiolica fine e comune. La condusse da solo per un dato tempo, quindi si associò un nipote Gio. Batt. Rossetti, e nel 1728 Si rendeva rilevatario della medesima il banchiere Pietro Bistorto ; ma di questi prodotti pochissimo si conosce. Forse a questo primo periodo della fabbrica Torinese appartiene il piatto già del marchese d’Azeglio, ora posseduto dal Museo Civico di Torino, del diametro di cm 40, con contorno a festoni trilobati, rappresentante Susanna al bagno ed i vecchioni. I colori in esso dominanti sono l’azzurro, il giallo, il verde, il bruno e loro gradazioni.
Nel 1737, Giorgio Giacinto Rossetti di Pinerolo, nipote del Giorgio Rossetti di Macello, e fratello di Gio. Batt. Rosserri su nominato, fonda in Torino una fabbrica perfetta e manifattura di porcellane fine trasparenti, e sin dal principio Vittorio Emanuele ne nota l’abilità e gli concede oltre ai soliti privilegi anche un sussidio di L. 3000, ed, in seguito, un prestito di 15 mila lire. Nel Museo Civico di Torino si può ammirare un largo piatto a fiorami, stile Rouen, a dorso del quale, nel bordo, vi è la marca 6 R, e nel centro la marca T R combinate a monogramma. La marca T R è della fabbrica dei Rossetti, ed il monogramma G R significa Giorgio, e forse Giorgio Giacinto. Rossetti.
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I Rossetti tennero la manifattura della maiolica e della porcellana fino alla fine del secolo XVIII ed anche durante i primi anni del secolo XIX ; però i più bei tempi della fabbricazione loro risalgono al secolo XVIII. A quell’epoca appartengono i graziosissimi piatti, imitazione di Moustiers, dei quali il Museo Civico di Torino possiede un’abbondante raccolta. Ornati a rabeschi, a chimere, a piccole griglie, stile Bérain, rappresentano nel centro amorini, tempietti, busti, soggetti mitologici ed allegorici, soggetti Cinesi, a piccole figure, benissimo disegnati, in verde, giallo, azzurro, quasi sempre su fondo bianco. Essi talvolta portano la marca T R combinata a monogramma: molti, però, sono senza marca. I Rossetti decorarono pure le loro maioliche alla maniera di Lombardia : fiorami fatti a capriccio, coloriti a larghi tratti in azzurro, in verde, in giallo, in rossiccio ; e fecero pure piatti monocromi, azzurro su fondo bianco. Nel 1794 troviamo ancora ricordato un Pietro Maria Rossetti dedito specialmente alla fabbricazione di vasellami simili alla terraglia inglese.
Nel 1765 una nuova fabbrica di maiolica si apriva in Torino, nel borgo del Rubatto da Gio. Antonio Ardizzone di Bra; ma l’Ardizzone non durò molto, infatti nel 1771 troviamo già la sua fabbrica condotta da Lorenzo Longarini e Gio. Batt. Ravotti, i quali pure dovettero cessare ben presto, come si può dedurre da una supplica a S. M. del novembre 1772 di certi Giacomo Barberis, da 30 anni attendente alla fabbrica delle maioliche, e Antonio Grossi, i quali si dimostrano pronti a rilevare la fabbrica dei signori Longarini e Ravotti. Le domande del Barberis e del Grossi furono accolte, ma non si sa quanto tempo dopo sia avvenuto. Non si conoscono maioliche che si possano in modo certo attribuire a questa fabbrica. Molte maioliche Torinesi portano sul rovescio la semplice lettera T e talvolta anche le lettere T. 6. le quali, se non ai Rossetti, potrebbero benissimo appartenere a questi fabbricanti.
Nel 1807 e 1808 un certo Feriù impiantò altra fabbrica fuori Porta Susa. Cominciò con le maioliche ordinarie, ma dopo il 1812 lavorava pure la terra di pipa alla maniera inglese. Non sono rari certi piatti tondi, ovali ed altri generi di stoviglia in terra di pipa, marcati a dorso con la lettera T, dipinti a fiori stile Pompadour ; forse sono prodotti di tale fabbrica.
Nel 1817 morto il Feriù, la fabbrica fu acquisita da un Borgano di Torino in Società con tale Bonani genovese. Nel 1823 il Borgano divenne solo proprietario di tal fabbrica, la quale cessò fra il 1830 e il 1832. Segnava le sue stoviglie con un’impronta in incavo Borgano. Nel 1824 Dortù, Richard e Prelaz, che già tenevano fabbrica di vasellame a Carouge, impiantarono una fabbrica di maioliche e porcellane
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oltre Po, nello stesso locale dei Rossetti, dai quali rilevarono tutto l’antico materiale. I prodotti di questa manifattura portano il nome dei fabbricanti in incavo sul rovescio, ma non le porcellane che non furono mai contrassegnate.
L’esito di questa fabbrica non corrispose alle speranze dei fondatori, che camminarono a stento, finché nel 1846 una nuova ditta subentrò all’antica, sotto la denominazione Luigi Richard e C. Nella nuova combinazione prende una parte principale Carlo Imola, apportandovi gli occorrenti fondi in denaro. In quest’epoca la maiolica, tanto comune quanto alla foggia Inglese, porta l’impronta Luigi Richard e C., e la porcellana si continua a fabbricare senza marca. Carlo Imola nel 1847 muore ; gli succedono i figli, i quali cinque o sei anni dopo consolidano in loro esclusivo capo la fabbrica, e segnano la maiolica Eredi Imola ; ma questa fabbrica era destinata ad avere una vita breve ; nel 1863 spegneva del tutto i suoi forni.
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Vinovo
Siamo intorno al 1776. Giovanni Vittorio Brodel, che era stato già socio e maggior azionista del marchese Birago nella fabbrica di Vische, ottiene dal giovane re Vittorio Amedeo III, lusingandone le ambizioni europee, la concessione di locali del castello di Vinovo per potervi fare degli esperimenti sulle porcellane. Vinovo era un proprietà regia non lontano dal castello di Stupinigi. Brodel vi si trasferì con il consenso del tribunale ,materiali e attrezzature pignorate dal Vische. I prodotti di questa fabbrica vanno divisi in tre periodi fra loro distinti, rispettivamente: 1. 26 ottobre 1776 – gennaio 1780 Giovanni Vittorio Brodel e Pietro Antonio Hannong di Strasburgo 2. aprile 1780-novembre 1815 Dott. Gioannetti 3. 1815 – 1820 Giovanni Lomello
26 ottobre 1776 – gennaio 1780 Giovanni Vittorio Brodel e Pietro Antonio Hannong di Strasburgo Giovanni Vittorio Brodel, torinese, nel 1765 in società con il marchese Lorenzo Birago San Martino, conte di Vische, fondava in Vische stessa una fabbrica di porcellana ed in virtùdi regie Patenti in data 2 agosto 1765 otteneva la privativa per 20 anni e l'esenzione da ogni gravame di tasse. Ma tale fabbrica, della quale non ci sono noti i prodotti,non ebbe fortuna e durò pochi anni perchè i soci litigarono spesso. Il Brodel fece trasportare i forni in Vinovo, nel castello dei Della Rovere, allora di proprietà regia. E come si diceva, ottiene dal re la facoltà di compiere esperiementi con l'aiuto di Pietro Antonio Hannong di Strasburgo, da lui chiamato a proprie spese. I loro esperimenti furono soddisfacienti e fecero ottenere loro le regie Patenti in data 24 settembre 1776 e il conseguente rinnovo dei priviligi concessi perima per Vische, ed altri maggiori, per la durata di 20 anni. La fabbrica di Vinovo gode dunque della protezione regia per cui..” S.M. Vuole che tutti i pezzi di porcellana si apponga la lettera V ed una ¥ di colore turchino, con numero per distinguere le diverse qualità dei pezzi.Questa fabbrica è per porcellana d'ogni sorta, dipinta o no, dorata o non dorata, mista o di rilievo, in scultura o a fiori.”
Gli operai erano obbligati ad un giuramentoinnanzi al presiente del Consolato per l'osservanza fedele delle operazioni e segreti tutti riguardanti detta manifattura ed il divieto a coloro che venivano ammessi Acquista porcellana italiana dipinta a mano la bellezza autentica del Made in Italy solo su www.porcellanaitaliana.com pag. 18
alle diverse composizioni e segreti di lasciare il servizio senza un permesso del re. Molti artisti collaborarono alal creazione delle opere, fra cui: Giorgio Balbo, Barberis, Michele Carasso, Furere Carlo Hecseanch, Giorgio Hornung. Costituita una società con atto legale del 26 ottobre 1776, ben presto fra il Brodel e l'Hannong iniziarono discordie e litgi con conseguente rapido declino degli affari e risoluzione della società in carico all'Hannong. Che ne assunse l'onere dei debiti e l'obbligo di rerstituire gradatamente al Brodel la sua quota sociale. Hannong, uomo di molto ingegno non era nato per gestire una fabbrica. Fra l'altro, decise di privelagiare la produzione della maiolica a ascapito della porcellana. Infausta decisione, che di fatto segnò la sua rovina. La fabbrica fu chiusa nel mese di gennaio 1780 per ordine dle re e tutte le merci ed i mobili furono venduti a pubblico incanto.
aprile 1780-novembre 1815 Dott. Gioannetti La fabbrica di Vinovo rimase chiusa solo per un breve tempo perchè il medico Vittorio Amedeo Gioanetti, grazie ai suoi studi sulle terre di Sua Maestà, ottiene le regie Patenti il 28 aprile 1780, con facoltà di servirsi del real castello di Vinovo. Non solo, ma gli furono rinnovati in capo suo tutti i privilegi di cui erano stati favoriti il Brodel e l'Hannong. Il dottor Gioanetti fu un vero scienziato. Tutte le località da cui si traeva no le materie prime erano situate in Piemonte e la produzione era di porcellana dura. Caratteristici nella decorazione della porcellana del periodo Gioannetti sono due colori: un bellissimo turchino ed un bellissimo rosso. Così coem caratteristici furono due fiori: la rosa e il giglio dei campi (bluet) ora associati in mazzetti sparsi ora usati soli in decorazione monocroma. Di questo periodo, bellissima ed assai ricca è la collezione del Museo Civico di Torino. Sezione Arte Antica£ , proveniente per la maggior parte dal Marchese D'Azeglio. Le marche sono V + oppure .V+. oppure V+ D.G. Oppure V+ accompagnata dal nome dell'artista. Essa sono in colore azzurro sotto vernice. Il V indica Vinovo, le lettere D.G. Dottor Gioanetti e la croce è di Savoia.
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1815 – 1820 Giovanni Lomello Tuttavia l'attività riprese più tardi con altri proprietari Gioanetti. Alla morte del Gioanetti, il 30 novembre 1815, subentrò nella direzione della fabbrica Giovanni Lomello, che la resse fino al 1820. Ma con la dipartita dei principali artisti la produzione non resse il confronto con gli splendori del periodo Gioanetti e pertanto fu chiusa nel 1820.
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Liguria Albissola Genova Savona
La lavorazione della ceramica ligure ha origini antiche : nasce per la presenza nel territorio ligure di bacini argillosi, materia prima grazie alla quale si sviluppa l’arte figulina a partire dalla seconda metà del XII secolo a Savona per poi raggiungere nel ‘ 400’ Albisola ed anche Genova.
In cinque secoli di storia la ceramica ligure mantiene e rafforza la sua immagine raffinata e di pregio anche grazie alla sua collocazione geografica ed i collegamenti con le regioni limitrofe ( via mare con la Francia e via terra con il Piemonte). Tra il ‘500 e il ‘600 la ceramica ligure vive un momento di splendore grazie alla diffusione dell’arte della maiolica, con un’ornamentazione inizialmente blu cobalto e poi in policromia con vari motivi sia orientali ( piante lacustri, insetti, uccelli,pagode,animali da cortile) che occidentali ( castelli turriti, soggetti religiosi,mitologici). I decori più famosi diffusisi allora e prodotti ancora oggi, sono ad esempio: Il decoro Antico Savona o Bianco Blu : fu introdotto dalla famiglia Guidobono al cui capostipite Giovanni Antonio (1631-1685) si fa risalire la definizione a chiaro scuro del monocromo turchino. E' costituito fondamentalmente dalla rappresentazione della figura umana collocata in un paesaggio quasi sempre costituito da un primo piano con cespi vegetali e con piccole rocce e da un secondo piano con prati, alberi, qualche casa o castello e da un piano di fondo con montagne e nuvole. La "scena" è la rappresentazione di qualche episodio biblico, mitologico, letterario raffigurato in stampe, in illustrazioni di libri o è costituita dalla raffigurazione di qualche putto o paesaggio
8 maggio – 13 giugno si è tenuto il Festival internazionale dedicato alla maiolica, le sedi principali delle antiche manifatture di ceramica di questa regione: Albissola Marina, Albisola Superiore, Savona e Genova. La manifestazione si è sviluppata con una serie di eventi tutti incentrati sulla ceramica: mostre di carattere storico, mostre-mercato, concorsi e rassegne, convegni, laboratori, presentazioni, itinerari e spettacoli.
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Un’occasione unica per riscoprire un’affascinante produzione artistica che offre ancora oggi prodotti di altissimo livello e anche per visitare ville, palazzi, collezioni e musei solitamente chiusi al pubblico: veri e propri tesori nella cornice di panorami mozzafiato. Il tema prescelto per questa edizione sono le piastrelle da rivestimento in ceramica, in Liguria laggioni, che evocano le suggestioni dei palazzi della Spagna moresca. http://www.festivaldellamaiolica.it/index.html
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Albissola
Documenti di archivio concordano, per ora, nel fissare nell'ultimo quarto del XV secolo l'inizio della produzione ceramica ad Albisola, favorita dalla presenza di depositi di argilla rossa e di cave di terra bianca presenti in vari punti della pianura e sui fianchi delle colline ; dall'esistenza di boschi molto estesi nelle vallate limitrofe; dalla posizione lungo la spiaggia del mare, che facilita l'imbarco dei prodotti finiti ed offre vasti spazi utilizzabili per l'essicazione degli oggetti appena foggiati.
Le fornaci ceramiche risultanti dal catasto più antico, databile al 1569, sono quattordici, delle quali tredici in Albisola Marina ed uno soltanto a Superiore. Nel successivo catasto nel 1612 compare anche una fornace nella frazione Capo e compare il primo mulino da colore (cioè adibito a macinare vernici e colori ed ogni altro materiale destinato alle fabbriche di ceramiche) lungo il torrente Sansobbia, nella zona di Ellera. E' ancora sconosciuto il momento preciso della decorazione più tipica e conosciuta della ceramica di Albisola e di Savona , quella in monocromia azzurra, collocabile genericamente nella prima metà del Seicento.
Nel 1640/41 le fornaci sono ventitre' ad Albisola Marina (che nel 1615 si è staccata da Superiore formando un comune indipendente), una a Superiore, una ancora a Capo, i mulini da colore ad Ellera sono due. Siamo quindi in un momento di grande fioritura della produzione. Evidentemente la ceramica deorata in monocromia azzurra sta ottenendo grandi successi.
Nella produzione albisolese sono interessanti i marchi di fabbrica. Ciascuna famiglia possedeva il suo : i Grosso una riproduzione della Lanterna di Genova autorizzata dal Senato della Repubblica nel 1641; i Pescio un pesciolino, o in qualche caso tre pesci; i Conrado una corona. Altre marche, non ancora attribuibili con sicurezza sono lo scudo crociato, la chiesina o santuario, la stella a cinque punte e singole lettere come la G o la S. A Savona tutti i pezzi sono invece contrassegnati con un piccolo stemma della cittá molto stilizzato.
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La produzione di maioliche con i vari decori in monocromia azzurra continua ad Albisola sino alla metá del Settecento. Nell'ultimo periodo il gusto per il colore azzurro intenso va scemando e gli oggetti in maiolica sono in gran parte bianchi con decori in azzurro limitati ai bordi ed al cavetto. La produzione delle maioliche, interrotta all'inizio dell'Ottocento, riprende in Albisola all'inizio del secolo, grazie ad alcune nuove fabbriche.
Ancora nel secondo dopoguerra Tullio d'Albisola é il polo attorno al quale gravitano negli anni Cinquanta le piú personalitá del panorama artistico nazionale e internazionale. Albisola é riconosciuta capitale della ceramica. Si organizzano gli Incontri Internazionali della Ceramica e accanto ad essi mostre, concorsi e premi di varia natura . Di questo periodo e dei numerosi concorsi che l'hanno caratterizzato, su iniziativa degli enti preposti alla promozione turistica, restano molte interessanti opere che sono entrate recentemente a far parte delle collezioni del Civico Museo della Ceramica Manlio Trucco di Albisola Superiore.
Oggi molti artisti dichiara fama frequentano ancora Albisola, appoggiandosi ad una rete composta da una trentina di fabbriche in gran parte di piccole dimensioni e spesso a carattere familiare, e da poche unitá di maggiori proporzioni che mantengono, tra l'altro, rapporti commerciali su scala mondiale. Dal 1974, anno della sua istituzione, l'Associazione Ceramisti, con il concorso dei diversi enti interessati, organizza, l'annuale esposizione "Rassegna 2000", destinata a far conoscere e valorizzare il lavoro delle manifatture associate. Inoltre il "Premio Piombino", istituito allo scopo di promuovere la tradizionale presepiale, e la "Rassegna Nazionale Biennale "Albisola Città D'arte e di Ceramica". Ad Albisola Capo è presente il Museo della Ceramica " Manlio Trucco", situato nella casa-laboratorio donata dall'Artista (Genova 1884 - Albisola Superiore 1974) al comune di Albisola Superiore.
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Genova
Fin dal XIII secolo protagonista del commercio della ceramica proveniente dai centri di produzione dell'Africa Settentrionale e della Spagna, la città di Genova è anche sede di importanti manifatture ceramiche che hanno il loro periodo di massimo splendore nel XVI secolo. La maiolica, definita nei documenti porcelletta del Bisagno, veniva fabbricata con l'argilla proveniente dal fiume omonimo in botteghe ubicate fuori della cinta urbana, nella zona orientale corrispondente all'attuale via San Vincenzo e a ridosso di Porta d'Archi. Oltre ai numerosi pezzi conservati nei musei, la produzione genovese è testimoniata anche dagli splendidi pannelli in maiolica conservati all'interno della chiesa di Santa Maria di Castello.
Dal 2005 la città è anche una delle più importanti sedi museali per la ceramica ligure: infatti, negli spazi espositivi di Palazzo Tursi, nell'ambito del percorso dei Musei di Strada Nuova, sono esposte le rilevanti raccolte dei Musei Civici, che comprendono anche lo straordinario patrimonio di vasi e suppellettili proveniente dagli antichi ospedali genovesi di Pammatone e degli Incurabili.
Quella del Comune di Genova è la più importante raccolta al mondo di maioliche, porcellane e terraglie liguri di proprietà pubblica, testimonianza veramente unica di una forma d’arte che nei secoli passati ha fatto conoscere il nome di Genova e della Liguria nei paesi più lontani. Questo patrimonio di circa 1500 pezzi, pervenuto ai Musei Civici grazie ad acquisti o a donazioni (tra cui quella compiuta dal console inglese Montagu Yeats Brown nel 1893, quella dell’antiquario Giovanni Battista Villa del 1896 e quella dei Gropallo del 1938), costituisce il nucleo più ragguardevole delle Collezioni Ceramiche, che comprendono anche manufatti di diversa provenienza (porcellane orientali ed europee, terraglie e maioliche italiane ed europee databili tra il XVI e il XX secolo).
L’itinerario attraverso le maioliche liguri inizia con alcune vetrine dedicate alla produzione del XVI secolo e a quella del primo Seicento, in cui è possibile ammirare vasellame da mensa e da farmacia in policromia e nella tipica monocromia bianco-blu con i delicati decori di gusto orientalizzante, ispirati alla porcellana cinese d’epoca Ming. Spiccano in questa sezione alcuni splendidi vasi della manifattura Pescio di Albisola e i piatti realizzati a Savona. Seguono le opere improntate al gusto barocco, dipinte
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con scene a soggetto sacro o mitologico, spesso caratterizzate dalla presenza delle armi araldiche delle famiglie che le avevano commissionate. Sono rappresentate tutte le maggiori manifatture liguri settecentesche: da Giacomo Boselli ai Levantino e ai Veneziano che seppero interpretare con grande finezza tutti i temi dell’arte settecentesca, dal rococò al Neoclassicismo.
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Savona
L'arte ceramica in Savona fu esercitata fin dai tempi remotissimi; i secoli però nei quali rifulse furono sicuramente il XV ed il XVI dove si fabbricarono maioliche non solo per le mense, ma anche per ornamento delle facciate delle case, degli atrii, dei portici, per coprire cupole, campanili e pinnacoli. Inoltre si fabbricarono pure camini e quadri, i quali ultimi erano adorni di fiori, meandri ed arabeschi, per uso dei privati e delle chiese.
La produzione verso la fine del sec. XVI ed il principio del secolo XVII fu grandissima, e la produzione fu essenzialmente commerciale. Nel secolo XVIII le maioliche Savonesi erano ancora rinomatissime. Nelle fabbriche Savonesi si lavoravano ad esempio piatti sbalzati (repousses), piatti a bordi intagliati a giorno, vasi adorni di foglie, fiori, frutti, a mascheroni in rilievo, cornici, vasi da farmacia di forma detta a cannone. Le maioliche migliori e della migliore epoca in generale sono le monocrome, in colore azzurro chiaro e scuro, dipinte con grande libertà di pennello; la loro pasta è giallognola, sottile, sonora e leggera, lo smalto fine, bianco.
Degli antichi fabbricanti sono degni di nota Geronimo Salomoni che fiorì nel 1650 circa e Gian Antonio Guidobono oriundo di Castelnuovo di Lombardia, che fiorì verso la fine del secolo XVII. Altri possiamo ricordare Agostino Ratti e Gian Tommaso Torteroli, Chiodo, Levantino, Rubatto e Boselli fino a Giacomo Boselli ancor vivente all'epoca di Napoleone I e che fu assai reputato. Egli però ebbe il torto di voler imitare le stoviglie inglesi e francesi, per cui si diede alla manifattura della terra o composizione forestiera, abbandonando al vernice e la composizione dle apese. Non disdegnò neppure di utilizzare gli scarti di maioliche e porcellane delle fabbriche francesi e inglesi ritoccate e decorate nella sua fabbrica. Oggi a Savona a sede – nella Fortezza del Priamar presso il Civico Museo Storico Archeologico – ha sede il Centro Ligure per la storia della ceramica . www.storiapatriasavona.it
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Lombardia Bergamo Brescia Lodi Mantova Milano Pavia
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Bergamo
A Bergamo, intorno al 1773, Francesco Bosio iniziava nel Borgo Palazzo una fabbrica di maioliche, alla quale si può attribuire il piatto dipinto a paesi, con colori assai sbiaditi, rinvenuto nel 1875 da R. Erculei, noto autore di notizie storiche sulla ceramica, recante la marca: Bergamo 1773.
Il Bosio lavorò per circa due anni, ma non riuscì a produrre una maiolica simile a quella di Lodi, che in gran quantità si importava a Bergamo. Cedette poi la fornace ad Antonio Aldegani, il quale benché più pratico del Bosio nella tecnica, non continuò il lavoro che nove mesi. La stessa sorte toccò a Giuseppe Abbati bergamasco il quale stabilitosi fin dal 1774 in Borgo Palazzola, chiamando abili operai dall’estero, produsse maioliche e stoviglie tartarugate, ma di poco pregio, non resistenti al calore e ruvide nello smalto, che si stacca molto facilmente, molto inferiori a quelle di Lodi. Fatto che nel 1777 mosse la comunità a provocare l’annullamento delle concessioni fatte all’Abbati. Così finì questa fabbrica. Le qualità stesse dell’argilla del luogo non sono adatte per questi lavori. a
Brescia E' stato rinvenuto, ma circa la fabbrica da cui uscì non se ne hanno notizie, un piatto di maiolica dipinto a paesaggio con figurine in azzurro su fondo bianco, reca, nel rovescio, la marca A. R. Brescia, in azzurro. La vernice è perfetta, propri e ben distribuiti sono i chiaroscuri.
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Lodi
Un artigianato ceramico (statuette, lucernette, ecc.) è documentato fin dall'età romana nell'antica Laus Pompeia. Le vecchie tradizioni riportano che un Lodigiano, Gio. Angelo Cattaneo, intorno al 1465 avesse recata l’arte della maiolica a Savona, e vi si distinguesse ; che un Pietro Pomis acquistasse rinomanza nel dipingere sulle maioliche piccole storielle, divenisse cavaliere e pittore dell’arciduca Leopoldo d’Austria, e morisse in Vienna nel 1680.
Da un documento del 1526 appare come maestro Alberto Catani bochalaro di Lodi, probabilmente della famiglia suddetta, lavorasse alla ricerca delle porcellane per conto del Marchese di Mantova. Trattasi, dunque, di una prova di stoviglie posteriore a quella fatta in Venezia, ma anteriore a quella di Firenze. Da ciò si arguisce quanto dovesse essere in fiore la ceramica Lodigiana nel secolo XVI. Le provvisioni, poi, della comunità di Lodi fanno fede che nel secolo XVI esistesse qui, nella via ora denominata Muzia, una assai accreditata fabbrica di vasi e stoviglie esercitata dalla famiglia Cappellotti. Frattanto, un Pallavicino prendeva a fare vasi di maiolica, alcuni assai grandi, con bei dipinti, singolari per varietà di forme, di colori, di imitazioni negli smalti.
Nel secolo XVII la fabbricazione delle maioliche in Lodi raggiunse una fama veramente straordinaria per tutta Italia, al pari di Faenza. Si trova, infatti, nel 1625 una manifattura di stoviglie di Pietro Giovanni Sordi, e contemporaneamente si parla del Pietro Poinis Lodigiano, su indicato. I prodotti ceramici lodigiani del secolo XVII hanno caratteri quasi simili a quelli usciti dalle fabbriche faentine contemporanee, e che trovavano facile smercio, specialmente nel Veneto.
Nel 1669 i fratelli Manardi introducevano a Bassano la fabbricazione dei lattesini, ad uso di Faenza e di Lodi, e la continuavano fino al 1733. Ma le fornaci del Sordi, passate a Giov. Batt. Dallàri, nel 1725 a Simpliciano Ferretti, rendevano vani quei tentativi di concorrenza. Il figlio di Simpliciano, Antonio, rivolse le sue cure al miglioramento delle produzioni, ed ebbe al suo servizio Antonio Casali, Filippo Antonio Callegari ed Ignazio Cavazzuti, il quale, però, staccatosi dal Ferretti nel 1790, fondava altra fabbrica, chiusa soltanto sulla fine del secolo XVIII. Tennero manifatture di maioliche in Lodi anche i Rossetti nel 1746 ; Francesco Roda avente opificio nel borgo d’Adda, che si distinse specialmente per
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certe chicchere in porporino ; i Crevacci, i Caravaggio nel 1798 i Crociolani; i Mammoli; i Ganzinelli nel 1820. Altra fabbrica esistita nei primi anni del secolo XIX era posseduta dalla famiglia Cerasoli. Il Dottor Lorenzo Dossena, dopo che la manifattura del Ferretti era caduta, tentò di rilevarla, e quando passò nei Pallavicini produsse oggetti artistici di un certo pregio.
Il secolo XVIII segna l'apogeo della maiolica lodigiana. Al nome di Rossetti, noto anche in Piemonte e in Francia, si aggiungono altri nomi di celebri fabbricanti e decoratori, che sanno inserirsi nel contesto europeo. Citiamo a titolo di esempio i Tavazzi, il Morsenchio, il Milani. I più importanti ateliers sono quelli dei discendenti dei Coppellotti e della famiglia Ferretti. Antonio Ferretti si segnala per le sue innovazioni tecnologiche: importa la tecnica del piccolo fuoco e i modelli decorativi tedeschi e francesi, rielaborandoli con squisita raffinatezza. Introduce pure la terraglia come materiale plastico. Le tecniche lodigiane sono esportate a loro volta per esempio nel Veneto, mentre i manufatti raggiungono anche la Germania e i Grigioni.
Dopo la crisi post-napoleonica, la ceramica lodigiana ritornò in auge per opera dei Dossena (seconda metà del secolo XIX). Per loro lavorarono artisti come Carlo e Giano Loretz e Alessandro Degrà. Dopo il declino dei Dossena all'inizio del nostro secolo, la tradizione lodigiana continua con altre fabbriche, come quelle dei Vitali, dei Mamoli, dei Pallavicini, ed è sempre viva ai giorni nostri, nei produttori e nelle istituzioni che oggi ne sono i portatori. Il Museo Civico di Lodi ha una Sezione Ceramica che contiene un'interessante e stimolante raccolta di ceramiche d'arte e di maioliche lodigiane dal XV al XIX secolo., con circa 900 pezzi.
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Mantova
Sotto il marchese Lodovico II (1444-1478), i vasai a Mantova edbbero statuti propri, ed un cronista mantovano dice che intorno alla metà del secolo XV vi esisteva una bottega di majolim tenuta da Giovanni Antonio majolaro. Ma sulla maiolica di questo periodo ben poco si sa se non che gli aristrocratici del luogo facevano arrivare le maioliche da Ferrara, Faenza, Pesaro e Venezia.
Federico Gonzaga, successore di Gian Francesco, tentò nel 1526 di far venire nella sua villa di Marmirolo il boccalaro di Lodi Alberto Catani, affinchè vi fondasse una manifattura di maioliche e di porcellane; ma il Catani rifiuto l'invito, promettendo, però ove il Signore di Mantova lo desiderasse di fornirgli porcellane per uso della mensa.
Ma allorchè giunsero al governo Ercole Gonzaga e Margherita Paleologa, tutori del duca Guglielmo (seconda metà del secolo XVI) sorse nel mantovano una fabbrica di maioliche, la cui produzione ebbe privilegi speciali e fu esente da dazi. Ma per questioni fra i proprietari, questa fabbrica chiuse presto. In un periodo successivo, l'arte del vasaio fu veramente famosa a Mantova, se Guidobono Guidoboni, consigliere del Duca, in una lettera indirizzata a monsignor Petrozani di Roma a nel 1591, si parla di certi uomini di Albissola chiamati al servizio del Duca Vincenzo I, per opera del Marchese del Grana. Furono questi i soli maiolicari che dal 1591 al 1630 lavoravano di stoviglie presso la corte Ducale. Il Duca Ferdinando, poi fece tutti gli sforzi per far rifiorire l'arte ceramica. Egli nel 1616 iniziava una società per tre anni con Giuseppe Casale e Scipione Tamburino, onde aprire una nuova fornace di maiolica, alla quale provvide largamente fornendo la casa, la fornace e le materie prime. Il Duca Ferdinando inviò il Tamburino a Faenza per reclutare cinque vasai: di essi si conosce il nome di uno tal Francesco Nisi.
Nel 1617 le stoviglie del Casale e del Tamburino avevano raggiunto un grado di perfezione notevole e la grida pubblicata in quell'anno dice che essendosi trovato il modo di fabbricare in Mantova la maiolica di ogni sorta...di bellezza e di finezza tale che sta al pari di qualunque altra, si proibiva l'introduzione di prodotti forestieri.
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Nel 1621 si tolse il divieto di importazine e nel 1626 scomparsa la fabbrica ducale si permise a Lazzaro Levi di aprire una manifattura di maiolica della quale non si hanno notixzie certe. Il Camporti ritiene che si possa attribuire alle officine Mantovane le maioliche marcate con un crogiuolo pieno di verghe d'oro, impresa del marchese Francesco Gonzaga dopo la battaglia del Taro nonchĂŠ la produzione di alcuni piatti, dei quali Giulio Romano ne forniva i cartoni. Ed il Campori accenna ad un armadio, parte dell'inventario degli oggetti d'arte del Duca Carlo II nel 1665, contenente piatti e vasi istoriati di mano del Giulio Romano stesso.
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Milano
In linea generale notiamo che le maioliche più antiche di questo luogo non risalgo oltre il secolo XVII. Anche se si fa notare che nel 1594 certi Rocco di Bigli e Guglielmo Sormazio facevano istanza a nome della università dei Bottegai dei vasi de preda affinchè non venisse accordato ai due vasai Prandoni e Mantica il privilegio di fabbricare la maiolica di Milano.
E nel maggio del 1594 Giovanni Pietro Leyna, milanese, chiedeva la privativa per dieci anni onde lavorare in Milano maioliche di colori svariati con oro ed argento oltre a parecchie altre invenzioni non meno importanti; e il tribunale di provvisione accordava il privilegio, riducendolo però a soli sei anni. Mentre nel 1595 un certo Giovanni Maria vasaio teneva una fornace di maioliche in San Carpoforo fuori di porta Comasina.
Una vera e propria fabbrica di stoviglie a Milano sorse soltanto nel 1745 per iniziativa di Felice Clerici, il quale diceva di saper lavorare maiolica superiore molti in qualità a quella di Lodi e di Pavia, quasi all'uso di Sassonia e chiedeva perciò l'esenzione delle tasse ed il privilegio dell'esclusiva della fabbricazione. Ottenuto il privilegio, assunse al suo servizio quali pittori Carlo Giuseppe Negrini, Pasquale Rubati, Paolo Galletti, Francesco ed Alessandro Giovanola, Antonio Martinoli ed Amadio Stailan. Nel 1759 la Giunta urbana del Mercimonio isignì di una benemerenza il Clerici e gli concesse un assegno annuale di mille ducati per un periodo di 20 anni. Il Clerici marcava le sue maioliche con MIL. FEL. CLER. E le sue maioliche sono a smalto bianchissimo con fiori dipinti a colori vivi ed a lumeggi d'oro.
Nel 1762, Pasquale Rubati toltosi dalle dipendenze del Clerici, apriva in San Vittore altra fornace di maiolica, che ebbe notevole successo, e gli diede fama di eccellente fabbricatore anche di perfette maioliche a rilievo. Le maioliche del Rubati sono smaltate in bianco e hanno fiori ed insetti dipinti a rilievo con abilità straordinaria. Pasquale Rubati marcava la sua produzione con F Pasquale Rubati Mil. oppure con F P. R. Mil. Scritto su tre linee, ed anche su di una linea sola, chiudendo questa dicitura con uno scudo. Acquista porcellana italiana dipinta a mano la bellezza autentica del Made in Italy solo su www.porcellanaitaliana.com pag. 34
Nel 1795 , la manifattura Rubati passata al figlio Carlo, a cui si unì poi Emanuele Bonganini, durò fino ai primi anni del secolo XIX, e fornì le più belle produzioni milanesi.
Agli inizi del 1800, l' autonomia cittadina e le stesse "Costituzioni dello Stato Milanese", ufficialmente promulgate da Carlo V, durante il dominio spagnolo, fu quasi del tutto perduta sotto il domino Asburgico, dove i milanesi erano semplici "sudditi" e non "corpo di Stato". Nel Lombardo-Veneto regnava dunque l' ordine, progredivano i commerci, ma non c' era posto né incentivo per iniziative industriali. Un' altro elemento del ritardo lombardo era la mancanza del caolino nelle terre locali: per questo la tradizione milanese era rivolta alla maiolica anziché alla porcellana. Così i primi fondatori delle fabbriche di porcellane nel Milanese, dove la carenza di produzione di queste era assoluta, si decisero proprio poiché ritenevano di aver scoperto in più luoghi della Lombardia le terre caoliniche adatte alla produzione mentre in Europa già da oltre un secolo erano stati scoperti giacimenti del minerale in seguito alle ricerche degli arcanisti.
Nel 1809, pervenne a Vincenzo Banfi, uno stabile che dopo vari proprietari e già trasformata in villa neoclassica, che egli fece modificare a scopo industriale, convinto di poter sfruttare come forza motrice il Naviglio. Nel 1811 lo stabile fu acquistato dai fratelli Orelli che vi attivarono una fabbrica di vetri e cristalli, attiva fino al 1830. Precisamente era situata di fronte alla chiesetta di S.Cristoforo, nei "Corpi Santi" o Suburbi di P.ta Ticinese a circa 2 Km dalla Porta stessa. Gli Orelli avevano acquistato dall' Imperial Regio Demanio una adeguata "ragion d' acqua".
Nel 1830 la villa, annesso campello e ragion d' acqua furono ceduti alla Società per la Fabbricazione delle Porcellane Lombarde, denominata Ditta Gindrad padre e figlio e Comp. con un capitale di 400 azioni da Lire 1000 austriche cadauna, un cifra considerevole. Francesi appena arrivati a Milano che cercavano secondo il loro disegno industriale un fabbricato che si addicesse a officina, dotato di forza motrice per le macine, i miscelatori e i torni, Francesco ed Emilio Gindrad, padre e figlio, provenivano da Parigi insieme al loro socio O.Billet e nella città francese Emilio dirigeva il piccolo atelier ceramico della "rue des Gresillons".
La sede operativa della Fabbrica delle Porcellane Lombarde fu nello stabile di S.Cristoforo ed ebbe altri due depositi in città e una succursale a Treviso (in piazza Maggiore). La porcellana, prodotto di un
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artigianato artistico di lusso ricercato dai grandi signori per la sua rarità, aveva ormai fatto il suo tempo: aveva avuto un' ultima reviviscenza e fulgore nella "Vecchia Parigi" degli ateliers di fine Settecento. Di questa produzione i Gindrad avevano fatto parte. Già con il periodo napoleonico la produzione di porcellana era entrata in crisi: riuscivano a superarla le manifatture statali come in Francia, Germania e Austria oppure quelle in grado di industrializzarsi nel senso valido della parola.
Le nuove fabbriche (come la Dortu-Richard di Torino) riuscirono a sopravvivere affiancando la fabbricazione della maiolica fine, di più facile e sicura lavorazione, di quasi altrettanto bell' aspetto pur essendo vendibile a minor prezzo. Bisogna ricordare che la cottura della porcellana era soggetta a scarti molto ingenti mentre la maiolica fine andava sempre più perfezionandosi.
Così la società Gindrad, che intendeva limitarsi alla sola porcellana, non avendo dietro di sè un sostegno statale ebbe presto bisogno di apporti finanziari e finì per cedere l' impresa nel 1833 a don Luigi Tinelli, un ricco patrizio milanese che era stato il principale finanziatore dei soci francesi.
Il Tinelli apparteneva ad una delle più ricche famiglie patrizie di Milano, e uomo energico e di idee moderne, era un grande amatore di tutto ciò che con l'arte aveva attinenza e inoltre fu anche un patriota sincero e coraggioso. Mentre acquistava la fabbrica di porcellane a S, Cristforo allo stesso tempo congiurava per la redenzione dell'Italia sicchè venne condannato durante il regno di Francesco I; condanna commutata in esilio perpetuo in America dal successore Ferdinando. In America il Tinelli svolse attività sia nell'arte, nell'industria ed anche nell'esercizio della avvocatura e fini con il prendere parte alla guerra di successione sotto la bandiera antischiavista dei Federali del Nord, conseguendo il grado di Generale.
Durante l'esilio, la proprietà e l'industria della porcellana fu concentrata nelle mani di suo fratello Carlo. Carlo Tinelli fu perciò il vero e proprio pioniere della produzione della porcellana in Lombardia, essendoci assoluta carenza di porcellane a firma Gindrad. Egli diresse lo stabilimento per sette anni in forma quasi mecenatizia e si disfece della manifattura solo quando continuare la produzione stava diventando realmente impossibile. Uomo di gusto e sensibile all' arte, condusse la fabbrica in modo raffinato e senza concessioni alla popolarità, procurandosi il favore degli intenditori: poche fabbriche ebbero una così grande varietà... di
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modelli, forme, decori e colori. Fu sensibili anche al gusto orientale: ne sono testimonianza i grandi vasi e le "potiches". Un' altro tipico prodotto della produzione Tinelli furono i grandi vasi per le piante: i "cachepots". La produzione era indirizzata quindi a oggetti poco mercantili e difficili da realizzare: oltre a quelli già citati si producevano lampadari, posaterie e complicate "litofanie". Inoltre la scarsità dei pezzi giunti sino a noi (eccetto la collezione di famiglia) ci fa pensare che quei pezzi fossero degli unici e irripetuti.
Le porcellane che uscivano da S.Cristoforo erano perciò destinate ad abbellire la villa di Laveno o lo splendido palazzo Tinelli a Milano, ridefinito l' Olimpo per la sua sontuosità artistica. Don Carlo si comportava così come un principe ai tempi degli arcanisti settecenteschi, quando le officine di porcellana erano simbolo di alto prestigio e sfornavano pezzi destinati alla sontuosità dei palazzi o come ricchi doni riservati a particolari avvenimenti. La produzione artistico-artigianale Tinelli cessò quando la prestigiosa avventura ceramica di don Carlo cominciava a divenire insostenibile.
Nonostante il titolo di Industria Nazionale, già conferito ai Gindrad, la produzione sotto Carlo Tinelli rimase strettamente locale. Proprio grazie all' insospettabile condotta di don Carlo nei riguardi dell' I.R.Governo, il podestà di Milano lo invitò a partecipare all' esposizione di Vienna nel settembre 1835 "Delle fabbriche, delle manifatture e dell' industria dell' intera Monarchia". Prima di questa esposizione infatti la manifattura Tinelli era stata premiata con la medaglia d' argento dall' I.R. Istituto di Scienze, Lettere ed Arti. Gli oggetti portati alle esposizioni vennero quindi presentati al pubblico nella Galleria De Cristoforis, nel centro di Milano. Troviamo testimonianza di questo nell' invito al pubblico in un annuncio della "Gazzetta Privilegiata". Dopo i tumulti del 1848, ai quali i Tinelli parteciparono attivamente, ed il ritorno di Radetzky dopo la pesante sconfitta di Novara, Carlo Tinelli emigrò in Svizzera con tutta la famiglia.
Per rilanciare la manifattura di S.Cristoforo serviva così un uomo del mestiere, esperto di formule ed impasti, che permettesse di superare i metodi settecenteschi corretti ma antiquati impostati dai Gindrad. Nel 1840 Carlo Tinelli chiamò socio nell'industria l'allora giovane torinese Giulio Richard, che a Torino insieme con il padre aveva una piccola fabbrica di porcellana.
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Nel 1834 J.Francois Richard aveva lasciato l' impresa di Torino al primogenito ed emancipato Luigi; allo stesso tempo consigliava al secondogenito Giulio di fondare un' impresa analoga a Milano, per non fare concorrenza al fratello. I Richard erano ben noti e grazie alle importanti amicizie, non avrebbero avuto difficoltà a trovare un' aiuto economico. Nel 1834 J.Francois Richard aveva lasciato l' impresa di Torino al primogenito ed emancipato Luigi; allo stesso tempo consigliava al secondogenito Giulio di fondare un' impresa analoga a Milano, per non fare concorrenza al fratello. I Richard erano ben noti e grazie alle importanti amicizie, non avrebbero avuto difficoltà a trovare un' aiuto economico per avviare il tutto. Giulio cercava una fabbrica già in attività da rilevare e trovò quanto faceva al caso suo nello stabilimento Tinelli di S.Cristoforo; don Carlo aveva deciso di smettere la produzione e limitarsi allo smercio delle porcellane in magazzino. nel 1840 fu firmato l' atto di vendita, ma siccome non fu possibile la sottoscrizione delle carature della società nei tempi stabiliti nella pattuizione, essa perdette validità.... Giulio ed il suo socio Vittorio de Fernex optarono così per un rapporto di affitto. I due divennero i gerenti dello stabilimento e, in vista degli incrementi della produzione ampliarono i locali, comperarono un terreno ivi adiacente e si preparavano alla produzione della maiolica fine.
Il 23 maggio 1842 Giulio Richard e Vittorio de Fernex divennero i proprietari della fabbrica, con capitale diviso in 60 azioni da Lire 5000 cadauna. Grazie al suo spirito lungimirante il Richard progettava il progresso tecnico, convinto che per realizzarlo bisognasse preparare delle maestranze specializzate, da assistere nella vita di lavoro e nell' elevazione sociale. I primi lavoratori della fabbrica erano principalmente contadini senza istruzione o gente di ventura. Per loro egli fondò una scuola, un asilo, una società di mutuo soccorso, case per operai, la mensa ed il forno comune. Gli operai da 120 nel 1842 diventarono 250 nel 1847.
Non solo lavoravano nella manifattura degli ottimi disegnatori, ma nella scuola di disegno si perfezionavano validi artisti di fama nazionale. Quando poi a Milano cominciarono le rivolte ed i moti per la libertà, la fabbrica rischiò di chiudere i battenti: mancavano gli operai e la merce rimaneva invenduta.
Il de Fernex lasciò la gerenza ma il buon Giulio non volle lasciare morire i vecchi e fanciulli, a cui sarebbe mancato il pane, e continuò a lavorare anche senza speranza e senza vendite.
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Egli aveva portato la sua manifattura a livello nazionale e fu il precursore di tutte quelle provvidenze sociali che divennero obbligatorie 100 anni dopo. Era molto amato dai suoi operai che lo chiamavano papà Richard sebbene fosse ancora molto giovane. Il 1853-54 furono due anni duri per la Società: molte industrie dovettero chiudere, ma Giulio Richard andò avanti a qualunque costo per garantire agli operai pane e lavoro. Nel 1859, con l' abolizione dei dazi doganali, la manifattura ribassò le tariffe e aumentò la produzione per vincere la concorrenza. In quell' anno si contavano 350 operai, tra i quali validi pittori, formatori, modellatori e stampatori. Giulio fece costruire per gli operai un magazzino comune, nuove case e istituì un corpo musicale, nonché un fondo pensioni. Per essere più vicino ai suoi lavoratori fissò la sua dimora nei locali stessi della fabbrica e si intratteneva a mensa con gli operai nelle feste e ricorrenze. E' merito del Richard l'avvio della produzione della terraglia dura uso inglese, per sottrarre il paese dall'importazione di ceramiche estere per uso familiare. Il caolino si acquistava allo stato di pasta in Francia, il quarzo era nazionale ed il feldspato si faceva venire da Varenna.
Nel 1845 la Società di incoraggiamento Arti e mestieri dopo aver sottoposto la terraglia ad uso inglese di S. Cristoforo anche alla prova della punta di acciaio, premiava la Ditta Richard con la medaglia d'oro, perchè rispondente pienamente alal condizione dle concorso e cioè “che la vernice lucida che la copre resiste agli accidenti della temperatura senza screpolarsi”.
La società Richard si limitò tra il 1842 ed il 1845 alla produzione della porcellana e costituiva in realtà la vendita delle scorte di magazzino della produzione Tinelli. Un contratto firmato dal Richard e da Carlo Tinelli stabiliva infatti le modalità di vendita delle rimanenze dei depositi. Per i primi anni quindi la società mise sul mercato quattro tipi di porcellane: 1) porcellane già decorate sotto la gestione Tinelli; 2) porcellane già cotte in bianco sotto Tinelli ma decorate da maestranza Richard; 3) porcellane di produzione Richard ma su modelli Tinelli; 4) porcellane di nuova fabbricazione e di nuovo modello. I modelli duravano generalmente molti anni e venivano affiancati da quelli nuovi: per questo le indagini sulle tipologie stilistiche non sono semplici; la datazione va intesa come labile ed elastica.
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Durante la trentennale attività di Giulio la produzione fu impostata sull' imperante Neobarocco; la produzione di Augusto Richard fu imitativa di quanto di meglio si facesse allora in Europa: la manifattura si rivolse ad artisti di ottimo nome e originalità: il Danielli, il Magni, il Campi, il grande Vincenzo Vela. Il successo della produzione è testimoniato dai successi delle esposizioni ed in particola re quella di Torino nel 1884. Nel decennio seguente la società è in continua espansione e lo dimostra una ricchissima fabbricazione, multiforme e quindi difficile da catalogare. Si era ormai alla fine del secolo e cominciò a diffondersi lo stile Liberty. Gli anni che corsero dal 1859 al 1872 furono particolarmente prosperi per le poche industrie che ebbero vitalità bastante per resistere ai trattati del commercio dell'epoca della costituzione dell'Italai unita. Furono prospere perchè tali industrie si trovarono ad un tratto ampliato il loro campo dia zione a tutat Italia.
Anche gli stranieri cominciano ad avere considerazione pe rl'industria ceramica italiana alal quale in un certo modo rendono omaggio accogliendo Giulio Richard nel 1862 e nel 1873 fra i Commissari del Giurì Internazionale alle Esposizioni di Londra e di Vienna.
La miglior pubblicità, nel 1800, si effettuava partecipando alle Esposizioni. I prodotti Richard non mancavano mai e l' attività della manifattura è scandita dai riconoscimenti che esse vi ebbe. Nel 1844 La casa Richard espose le sue porcellane al "Seminario Maggiore" e ricevette elogi e riconoscimenti sui giornali ufficiali. L' anno seguente le maioliche all' inglese di S.Cristoforo furono sottoposte alla prova della punta di acciaio (per verificare la durezza dello smalto) e furono premiate con la medaglia d' oro alla Mostra della "Società d' Incoraggiamento di Arti e Mestieri" a Milano.
Nel 1847 la Richard ottenne la medaglia d' oro dall' I.R. Istituto Lombardo per le migliorie apportate alla fabbricazione delle porcellane e nel 1855 analogo premio per le maioliche all' inglese. L' attività di Giulio Richard veniva rispettata anche all' estero e come segno di riconoscimento veniva nominato membro delle Giurie Internazionali delle Esposizioni: a Parigi (1855), Bruxelles (1856), Londra (1862), Vienna (1873), Torino (1884). Per motivi tecnici le maioliche a lustro metallico e le stoviglie verniciate senza il piombo (particolarmente dannoso) ricevettero la medaglia d' argento dall' Istituto Regio nel 1863.
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Nel 1878 a Napoli, la Richard dimostrò, pur essendo fuori concorso, che poteva eguagliare e superare le manifatture europee. Nel 1881 all' Esposizione Milanese vennero a contatto i Richard e i Ginori, spartendosi medaglie e riconoscimenti. Nel 1886 morì Giulio Richard dopo una vita di sacrifici e soddisfazioni da illuminato capitano di industria.
Nel 1870 il cav. Richard acquistava tutte le carature dei suoi accomandanti e concentrava su di sé la proprietà della Società intiera, che ormai dava lavoro a circa 600 persone.
Nel 1873 Milano si trovava in piena espansione industriale e sotto proposta del cavalier Cesare Picozzi (titolare di un' altro stabilimento ceramico), insieme a molti altri capitalisti, il Richard dà vita ad un raggruppamento industriale degno dei tempi moderni, con un capitale di 8 milioni di lire divise in azioni da Lire 250 cadauna e che dava lavoro a più di 1100 operai.
Nel febbraio 1873, la fabbrica San Cristoforo – i cui forni erano alimentatoi da 463 operai e amministrati da 43 impiegati, con una produzione annua di L. 500,000 - si fondeva nella Società Ceramica Richard. Mentre Giulio assunse la presidenza del nuovo ente, lo stabilimento di S.Cristoforo fu diretto dal Picozzi prima, da Stefano Ragazzi in seguito, ed infine da Augusto Richard (sesto figlio di Giulio) nel 1883. Sotto la direzione di Augusto la fabbrica divenne la maggiore industria nazionale del genere ed era rispettata anche in campo europeo; il giovane Richard, allora aveva 23 anni e girava le industrie ceramiche d' Europa per aggiornarsi sulla produzione e per tenere la sua manifattura alla pari con le più moderne manifestazioni stilistiche e tecniche.
Il comm. Augusto Richard, succeduto al padre nella direzione di S. Cristoforo, in occasione della Esposizione di Milano del 1881 “signoreggiò” presentando piatti dipinti da De Chirico, dal Favretto, da Michetti, da Tofano, Dalbono; Bassano Danielli aveva modellato il vaso della Musica e Alessandro Magni l'anfora delle Tentazioni di S. Antonio con figure a tutto tondo di difficile esecuzione. Caratteristiche delloo stabilimento di S. Cristoforo sono anche le interpretazioni decorative ispirate dalle belle maioliche settecentesche di Delfi, a fiori turchini e qualche volta anche a figure di Moustier, di Lodi, a belle rose purpuree, di faenza in tutte le sue manifestazioni gaie in cui domina un bel verde, di Milano ricco ornatissimo e vario, fra cui il magnifico servizio della ghirlanda di rose in rilievo.
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Importantissima, anche dal punto di vista artistico, l'aver fatto rivivere la produzione delle mattonelle a scopo ornamentale che nei secoli XV, XVI e XVIII a Genova, Savona, Faenza, Venezia Castelli e in Milano creò dei capolavori d'arte e di buon gusto. Dal 1887 la S.C.R. si espanse notevolmente, inglobando molte altre fabbriche ceramiche, e preparando sempre nuove annessioni: fu rilevante l' annessione della Ginori di Doccia nel 1896 che diede vita al famoso binomio Richard-Ginori.
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Pavia
I dati archeologici e le fonti scritte sembrano concordare nell'indicarci che gli ateliers più antichi di ceramiche con rivestimento vetrificato debbano essere individuati dall'interno dei centri urbani e di nuclei abitati di una certa rilevanza demica. Gli esempi precoci di “maiolica arcaica” sono stati fino ad oggi individuati in poche città: nel nord Italia, ad esempio, solo a Pavia e Bologna.
I piatti, piattelli e le ciotole in terracotta che a tutt’oggi si vedono sulle facciate delle chiese o sui campanili, sono attribuiti alle fabbriche locali del secolo XII. Qui si lavorava in tempi molto antichi la mezza maiolica, e l’Anonimo Ticinese, vissuto all’inizio del secolo XIV, accenna a fornaci in cui oltre i vasi di vetro si facevano vasa fictilia. Nei secoli XIV e XV questa città fu anche famosa per le terrecotte atte ad ornare edifici : e vari monumenti a tutt’oggi ci porgono buoni saggi di decorazioni, opere probabili di Giovanni Antonio Amadeo, Luca de Alamania, Giov. Jacopo Dolcebono e Giacomo Sala.
Lo Jacquemart, intanto, pensò che fosse stato eseguito in quella città dall’Andreoli un piatto sul quale è dipinto l’Ecce Homo, segnato Don Giorgio 1489; e il Demmin attribuisce alle officine Pavesi del XV secolo altro piatto ornato di arabeschi e di un soggetto : il battesimo di Cristo nel Giordano, con un angelo a lato, e sopra nubi il padre eterno, su cui si legge, ai piedi dell’angelo, Joannes Vincenhius Marcellus : ma non esistono prove.
Le opere di ceramica Pavese, eseguite, a quanto pare, anche nei primi anni del secolo XVI, non poterono certamente emulare quelle lavorate nelle altre città italiane. Vere maioliche, però, si incominciarono a fabbricare sulla fine dello stesso secolo da Giovanni de Zavalinis, il quale nel 1596 otteneva privilegi dal Comune onde introdurvi fornaci di maiolica.
Pare che lo Zavatini non potesse continuare a lungo nei suoi lavori, e che anzi ne dimettesse la fabbricazione prima del 1609, quando Antonio Dusi Bergamasco, ed alcuni suoi soci ottennero di venire ad abitare in Pavia, e di aprirvi la fabbrica della maiolica faentina. Ma di queste fornaci, certamente introdotte per prova, non ci rimane alcun saggio. Verso gli ultimi anni del XVII secolo, invece, alcuni
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della famiglia Cuzio lavoravano piatti a stecca, decorati a fogliami, e vi lasciarono scritto il loro nome. Giovanni Antonio Cuzio produceva nel 1676 un piatto esistente nella raccolta Brambilla. Un sacerdote della stessa famiglia Cuzio, a nome Antonio Maria (1635-1694), dipingeva parecchi piatti di maiolica ornati a fregi abbastanza riusciti. Il Cuzio scrisse pure sulle sue maioliche alcuni motti o proverbi. Questi prodotti, male eseguiti, non dovevano, senza dubbio, essere destinati al commercio, ma come regalo ad amici.
Altre fabbriche di qualche importanza si stabilirono a Pavia nel secolo XVIII. Una famiglia Guangiroli teneva prima del 1731, in società con Pio Zerbi, una fornace “pel redame ed un’altra per la maiolica”, passate in mano ad Annunziata Zerbi, e nel 1798 a Giuseppe Maria Guangiroli. In seguito si fondava una fabbrica di maioliche in Pavia, condotta fino al 1735 dai coniugi Carlo Pessina e Rosa Credazzi, ceduta in quell’anno ai fratelli Mauro e Siro Antonio Cantù, nel 1741 a Marco Pellino e ad Agostino Ferri, poi ancora ai Pessina, e nel 1748 a Pietro Baldino e a Siro Antonio Zanardi.
Dal 1774 1809 la fabbrica passò ancora a Francesco Martinelli, e ad Angelo Maria Erba, a Giuseppe Martinelli, a Francesco Marrinelli, e finalmente a Giuseppe Maria Guangiroli. I coniugi Pessina nel 1748, quando vendettero l’esercizio della fornace ai Baldino e Zanardi, attivarono una nuova fabbrica di maioliche. Rimasta vedova la Pessina, e passata in seconde nozze a Giov. Maria Rainoldi, istituì per suo conto una manifattura di stoviglie. Alla morte della Pessina, il Rainoldi cedette la fornace a Saverio Bolzani, venuta poi a Giuseppe Sardi, ad Antonio Ghislanzoni, e finalmente nel 1836 a Pietro Antonio Valvassori e ad Alessandro Farina. Le fabbriche del Guangiroli pervennero a Luigia Guangiroli, la quale continuò a produrre maioliche fino agli ultimi anni. Presso i Guangiroli lavorò pure, intorno al 1773, un pittore della famiglia Africa, ricordato negli inventari della manifattura. Il Brambilla attribuisce ai Cantù la marca formata dalle iniziali F. C. rinvenuta su stoviglie decorate in azzurro a fondo bianco, ed altre col nome Pavia, su piatti a foglie e fiori rossi e azzurri, e con verde lumeggiato in giallo.
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Veneto Angarano Bassano Candiana Este Nove di Bassano Padova Treviso Venezia Verona Vicenza
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Angarano (frazione di Bassano)
Le argille dei colli Bassanesi, già usate in tempi antichi per la fabbricazione delle stoviglie, servirono per primo a Simeone Marinoni di Angarano, per lavorarvi le maioliche. Egli aveva appreso quest’arte a Pesaro, dove si era recato intorno al 1540. A lui vengono attribuiti una lastra in maiolica recante l’iscrizione : 1550-30 ag. , ed un piatto segnato S. M. 1595, che esiste a Nove di Bassano ; ma esso è di un’esecuzione così rozza, che non ci può permettere di credere che la fabbrica del Marinoni riuscisse a lavorare opere di una qualche importanza. Però la famiglia Marinoni non lasciò nulla d’intentato, per produrre una buona maiolica; e Baldassarre, nato verso la fine del secolo XVII, iniziava nel 1674 una lavorazione di stoviglie nello stesso luogo in cui certi Moretti nel secolo XVII avevano già prodotto maioliche di qualche merito artistico. Baldassarre Marinoni, con la moglie Ippolita Meneghini, dopo un dato periodo di tentativi, chiamò, con generosi stipendi, artefici già sperimentati, e nel 1765 la direzione artistica della sua fabbrica è in mano di Damiano Bernardi, già impiegato nella fabbrica di Antonibon di Bassano. Seguirono, poi, Antonio Berton, compositore di colori e preparatore di forme (1773), Pellegrino Bortole, pittore (1774), Carlo Ferrari, lavoratore di forme insieme alla moglie abilissima in quest’arte (1775). Anche questi artefici provenivano dalla fabbrica dell’Antonibon. Morto Baldassarre, sua moglie chiamò a dirigere la fabbrica G. B. Fabris di Bassano, ed al lavoro delle maioliche aggiunse quello delle terraglie, delle cristallerie e delle porcellane. In queste ultime ebbe un buon aiuto in Giovanni Pietro Varion, che, impiegato prima nella fabbrica di Nove, poi ad Este, ed infine a Bologna, le fu utile consigliere. Infatti, quando lei nel 1777 chiese al Senato esenzioni e privilegi, al pari degli altri fabbricatori, i prodotti offerti in esame furono dai periti giudicati «eguali a quelli delle migliori fabbriche, e tali da non poterli distinguere dagli altri, mancando pure di segnale o marca ». In tale epoca operavano sessantaquattro artisti (fra cui dodici pittori e quattro stampatori), alcuni di essi provenienti da Crema, Treviso e Pesaro.
Alla fine del secolo XVIII sembra che la fabbrica di quella famiglia continuasse ancora, trasportata poi in Bassano dall’unica superstite dei Marinoni, che si sposò con un certo Zotesso. La figlia del Zotesso e suo marito Della Valle, lasciarono a Bassano un’importante officina, che aumentò d’importanza col proseguire del tempo. A Venezia, nel 1887, le produzioni di G. B. Della Valle e C. ottennero un successo di viva ammirazione per la varietà delle forme e per la vernice brillante, unita alla buona Acquista porcellana italiana dipinta a mano la bellezza autentica del Made in Italy solo su www.porcellanaitaliana.com pag. 46
intonazione dei colori. Non si conoscono opere certe della fabbrica Marinoni in Angarano, per la mancanza di un tipo speciale da dove classificarle. Un gruppo di figurine, simile, per la pasta della porcellana e la modellazione, alle porcellane lavorate a Venezia, a Bassano ed a Nove, recava la marca: Angaran 1779.
Contemporaneamente alla Marinoni, Giovanni Maria Baccin, già operaio presso gli Antonibon di Bassano, fondava in Angarano nel 1780 una fabbrica di maioliche e porcellane, associandosi nel 1783 a G. B. Viero, anch’egli di Bassano. Ma nel 1786 avendo il Viero fondata in Angarano stesso un’altra fabbrica, la società fu sciolta. Il Baccin, rimanendo alla direzione della sua fabbrica, chiamò a se Domenico Bosello, plasticatore veneziano, che già lavorava nella fabbrica di porcellana in Vienna. Il Bosello, eccellente nella sua arte, eseguì statuine e gruppi di molto buon gusto.
Il Bosello morì nel 1821, lavorando nella manifattura del Baccin. Questi lasciò, quali eredi della fabbrica, i figli di Giovanni Maria Cecchetto, marito di una sua nipote, dal quale passò in affitto nel 1815 ad Andrea Toffanin. Giovanni Maria Cecchetto al finire dell’affittanza, tentò la fabbricazione della maiolica e della porcellana, lasciando poi le fornaci agli eredi, i quali continuarono nella lavorazione di maioliche e terraglie di uso comune. Giuseppe Viero, invece, alla morte del padre Giov. Batt. , scioltosi da Baccin, stabilì una nuova fornace di maioliche in Rivarotta di Angarano; ma poi, nel 1786 ritiratosi dagli affari, affittò la fabbrica a Giov. Maria Baccin, il quale continuò per un solo anno il lavoro, e poi chiamò Giuseppe Viero, Andrea Toffanin, e Giov. Maria Messaggi, i quali furono direttori ed amministratori della fabbrica, ora continuata da G. B. Vieto, il più eccellente dei ceramisti del Veneto, modesto e sapiente produttore di vere maioliche sullo stile del secolo XVIII, che riproducono la bianchezza della porcellana e lo smalto eccellente e brillante.
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Bassano
La vocazione di Bassano del Grappa per la ceramica affonda le proprie radici nella preistoria. Risalgono infatti ad un periodo che va dalla fine dell'età del bronzo all'inizio dell'età del ferro vasi di uso domestico utilizzati a fini funerari, trovati alla fine del secolo scorso nel sepolcreto di San Giorgio di Angarano. Nella stessa località è stato individuato un impianto di epoca romana per la fabbricazione di laterizi e terrecotte architettoniche che riproponevano modelli iconografici già codificati a Roma e diffusi mediante cartoni. Alla tradizione tardo imperiale si sovrappose il fenomeno della produzione longobarda, con testimonianze episodiche.
Non abbiamo dati sufficienti per affermare che a Bassano ci siano state fabbriche in epoca medievale, ma è plausibile pensare che se per le ceramiche "fini" si faceva ricorso alle importazioni da Costantinopoli, da Corinto e da Salonicco, per il vasellame di uso comune le fabbriche esistessero in loco. Si è dibattuto a lungo sull'influenza dei materiali bizantini sulla produzione veneta più antica, ma è probabile che essa sia stata ispirata non tanto dalla loro imitazione, quanto dall'opera di artigiani attivi nell'area balcanica durante i secoli XIII e XIV. La tecnica con cui sono stati eseguiti questi vasellami è quella del graffito, di remota origine cinese e arrivata sulle coste del Mediterraneo grazie alla mediazione persiana.
Nel 1431 esercitava la propria attività in Bassano il vasellarius Victor Pasqualini. Non sappiamo se fabbricasse roba grossa o fine ma si tratta indubbiamente del primo ceramista documentato in città. Un'attività produttiva ininterrotta è invece documentata a Bassano a partire dal Seicento, con la presenza della famiglia Manardi. Francesco Manardi acquista infatti nel 1645 un'azienda avviata in "Contrà di Spezza Pria" o "Campo Marzo", in una zona strategica poco lontano dalle piazze che costituivano il cuore commerciale della città e a pochi passi dal porto sul Brenta. Il fiume, navigabile fino a Venezia, forniva la forza idraulica per azionare i mulini ed era una via importantissima per i trasporti del prodotto ceramico e per la fluitazione del legname tagliato nei boschi della montagne della Valsugana. Con l'individuazione dell'ubicazione della fabbrica dei Manardi all'interno della cinta muraria e con gli scavi condotti a grande profondità è stato possibile accertare che altre manifatture quattro-cinquecentesche erano attive nel sito.
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Dal 1669 i Manardi ottennero dal Senato veneziano l'esclusiva per la produzione dei "latesini" in tutto il territorio della Repubblica per i successivi 25 anni. Questi privilegi verranno rinnovati anche per la produzione "all'uso di Genova" e ancora fino al 1719. Quando i Manardi non ripresentarono più la loro richiesta di privilegi al Governo, il Senato si vide costretto ad emanare un decreto nel quale si promisero privilegi a chiunque avesse prodotto terraglie, porcellane, maioliche. Nessun ceramista del territorio della repubblica era riuscito a emulare la finezza dell'impasto, la ricchezza del decoro, la brillantezza dello smalto delle maioliche bassanesi.
Nel 1744 i Manardi chiusero la loro fabbrica. Fu il momento degli Antonibon di Nove, che diedero inizio ad una nuova produzione inventando tipologie e decori e ottenendo nel 1732 dal Senato veneziano l'esenzione da qualsiasi dazio. Questi privilegi decaddero con la fine della Repubblica di Venezia, quando viene meno quel sistema di protezione che aveva costituito le strutture portanti dell'economia del territorio.
Nel 1735 Gio Antonio Caffo, già direttore della fabbrica dei Manardi, chiese al Senato di poter continuare a produrre in proprio maioliche "ad uso di Lodi, Faenza e Genova". La manifattura Caffo era situata "tra la contrada e il calesello pubblico di Villaraspa". Un'altra fabbrica di maioliche fu attiva in città a partire dal 1749: quella di Gio Maria Salmazzo, nella contrada del Bastion", nella parte bassa vicino al Brenta. Nel 1752 la relazione dei Deputati al Commercio, ai quali Salmazzo chiese l'esenzione dai dazi per la terraferma e la facoltà di aprire la bottega a Venezia, parla di maioliche per nulla inferiori a quelle dell'Antonibon "per la gentilezza, per il lustro, per l'invenzione e per la pittura".
Complesso è invece il caso della manifattura Moretto-Marinoni di Rivarotta, una località all'estremo limite del comune di Angarano, diventato territorio bassanese dal 1810. La fabbrica produceva cristalline già dal 1683. Nel 1742 Ippolito Marinoni chiese gli sgravi fiscali esibendo una campionatura di vasetti, zuccheriere e un gruppo figurato di porcellane. Sappiamo che la manifattura nel 1802 produceva ancora cristalline e che nel 1884, sotto la guida di Gio Batta Dalla Valle, riesce a produrre 400.000 pezzi assortiti all'anno. Verso la fine dell'800 la proprietà Dalla Valle venne acquistata da Luigi Viero e l'attività fu continuata dagli eredi fino al 1948.
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In Angarano, poco lontano da Palazzo Bonaguro, venne fondata da Gio Batta Marcon intorno alla metà dell'800 una manifattura che produceva all'inizio stoviglie in terracotta e poi oggetti assortiti in terraglia. Gaetano Bonato, già pittore degli Antonibon, si stabilì a Bassano, presso il Ponte Vecchio, nel 1883. Dalla sua fabbrica uscirono piatti popolari, vasi ornamentali, gruppi figurati. Partecipò a varie esposizioni e ottenne la medaglia d'oro all'Esposizione di Genova nel 1901.
Antonio Passarin aprì nel 1882 un laboratorio con un forno a legna nella casa paterna in fondo a Via Gamba. Produsse oggetti in terraglia e maiolica, staccandosi dai tipi novesi e inventando nuove decorazioni con grottesche, scenette di vita veneziana, riproduzioni di celebri dipinti. Talvolta usò la terza cottura, ottenendo effetti luminosi di colore. Il figlio Raffaele continuò l'attività paterna fino al 1911 ed entrambi ottennero importanti riconoscimenti alle Esposizioni europee. Luigi Fabris rileva la fabbrica di Passarin nel 1912 continuando la produzione in terraglia e in terracotta e passando, successivamente, alla porcellana, con un campionario che si rifaceva in gran parte alle porcellane europee del Settecento. Luigi Zortea apre un proprio laboratorio in Via Volpato nel 1912, dal quale escono soprattutto i famosi "pezzi bianchi": animali, gruppi di frutta, scatole, cofani in terraglia bianca.
I fratelli Ottaviano, Sforza e Giorgio Manardi, bassanesi, figli di un Francesco, cercarono il modo di imitare le maioliche, che nella seconda metà del sec. XVII si producevano a Faenza e a Lodi, e si appellavano lattesini (latticini), per la tinta speciale dello smalto, dipinto ad ornamenti di soprabianco e a colori assai delicati. Di questi lattesini, infatti, c’era un esteso commercio.
La Repubblica, su domanda dei Manardi, accordava loro un privilegio di 25 anni, durante i quali i soli Manardi potevano fabbricare questo genere di stoviglie. Così ottennero il 18 ottobre 1675 l’uso esclusivo di alcune terre adatte alla fabbricazione; riuscendo anche ad imitare le maioliche genovesi, ottenendo il 4 luglio 1693 una proroga di 12 anni per il privilegio che si riferiva ai lattesini ed ai lavori ad uso Genova. Scoppiata in quei tempi la guerra di Candia, i Manardi lasciarono le loro fornaci e corsero a combattere contro i Turchi.
Rimasta, così, abbandonata la fabbrica, morti i Manardi prima del 1705, nella ceramica bassanese si distingueva la famiglia Moretti, la quale sin dal 1694 aveva posto in Bassano una fabbrica di maioliche con buoni risultati. Dei Manardi rimanevano ancora una sorella di Francesco ed Odoardo, una figliuola
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di essa e quattro figlie di Odoardo. Ridotti in condizioni assai gravi, dovettero recuperare l’antica fabbrica, ottenendo perciò dal Senato un altro privilegio di 12 anni, il 30 aprile 1707.
Fu allora che venne assunto in qualità di direttore Giovanni Antonio Caffo, e si ricercarono gli artisti migliori. Fu proprio allora che una delle sorelle Manardi, Francesca, sposata e residente a Roma, assumendo al proprio servizio Bortolo o Bartolomeo ed Antonio Terchi, li accompagnava a Bassano con una lettera per sua sorella.
I Terchi alla nuova fabbrica seppero dare un grandissimo impulso; e mentre Antonio dipingeva piatti a figure, firmandoli Antonio Terchi in Bassano, con sopra una corona, Bartolomeo decorava i lattesini a paesi dipinti molto finemente. Così l’opera dei Terchi sorreggeva per qualche tempo l’officina Manardi, ma questo periodo fu breve, perchè vediamo apparire uno dei Terchi a Siena nel 1727, e più tardi Bartolomeo in San Quirico presso Siena, come pittore di maioliche. L’abbandono dei Terchi fu certo causato dalle Manardi che non curandosi del privilegio ottenuto dalla Repubblica per i lattesini ed i lavori ad imitazione dei genovesi, ed avendo solo ottenuto dalla Repubblica l’immunità dei dazi nel 3 aprile 1734, lasciarono libero al loro direttore, Giov. Antonio Caffo, di chiedere personalmente i privilegi per i lattesini e le maioliche genovesi, privilegi che il Senato accordava il 3 ottobre 1737.
Sembra che neppure il Caffo si sapesse salvare, al pari della Manardi, dalla concorrenza spietata dell’Antonibon; perchè quando Giovanni Maria Salmazzo, fabbricatore di maioliche, pure in Bassano chiese ed ottenne nel 1756 privilegi per la sua officina, delle fabbriche Manardi e Caffo non si parlava più.
A Bassano si può visitare il Museo della Ceramica che dal 1992 trova sede a Palazzo Sturm, splendida dimora settecentesca che accoglie i visitatori con un pronao ionico e un salone d’onore affrescato nel 1765 dal veronese Giorgio Anselmi. La fitta decorazione di stucchi che orna alcuni ambienti costituisce una delle più rilevanti decorazione rococò del Veneto.
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La raccolta di maioliche, porcellane e terraglie composta di 1200 pezzi circa è esposta cronologicamente: si parte dai frammenti più antichi di ceramica medievale alle maioliche dei Manardi (XVII-XVIII sec.); la testimonianza più consistente è rappresentata dalla produzione degli Antonibon (XVIII-XIX sec.) con la produzione in maiolica, porcellana e terraglia. L’ampia veranda offre una cornice appropriata alla maiolica di gusto eclettico, mentre la vecchia cucina espone le due raccolte Vergani e Mazzotti di ceramica “popolare” del sec. XIX e il piano inferiore raccoglie la produzione contemporanea di opere di artisti di fama internazionale.
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Candiana
La fabbricazione delle maioliche in questo luogo sembra che risalga ad epoca assai remota : queste maioliche sono caratterizzate dalla loro ornamentazione imitante le opere persiane, a mazzi di fiori policromi, fra cui spiccano il tulipano, il giacinto ed il garofano d’India ordinariamente schiusi, nei quali predominano i colori azzurro, giallo e verde, dipinti sulla maiolica di forte spessore, mirabile per la perfetta fusione delle tinte.
Un genere speciale di piatti e vasi a pancia appartengono al secolo XVII. Raramente s’incontrano pezzi portanti marche. Le maioliche conosciute attribuite a Candiana, recano le scritte : MS. DEGA .; PA . CROSA .; CANDIANA 1620; come sul rovescio di un piatto del Museo di Sèvres. Grazie ad alcuni documenti si conoscono i nomi di Antonio Faulo pittore, Lodovico tornitore, Giovanni de Drusin pittore.
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Este
La storia della ceramica di questo luogo fino al 1876 appariva ignota. Qui si produssero mezze maioliche fino dal secolo XIV. Ne forniscono le prove i numerosissimi frammenti che si rinvengono continuamente nel sottosuolo, i quali ci parlano di una lavorazione non interrotta per più secoli. Mancano, però, i documenti per riconoscere i nomi dei vasai Estensi ed i progressi della fabbricazione fino al secolo XVIII, sul principio del quale Giovanni Battista Brunello aveva installata ad Este un’officina di maioliche, certo non molto importante, ma tale da poter in seguito gareggiare con le altre stabilite nei domini della Repubblica Veneta. Il Brunello, dopo una lavorazione non interrotta di parecchi anni, era giunto a togliere nel 1765 all’Antonibon di Nove, alcuni fra i migliori artefici, quali Giovanni Maria Ortolani, certo Reato e Marcantonio Verziera, pittori, scegliendo quest’ultimo quale direttore artistico. In tal modo egli poté fare una forte concorrenza all’Antonibon, e giungere persino a possedere gli spolveri ed i disegni che Giov. Batt. Gregorj preparava per la fabbrica di Nove. Intanto, per iniziativa di Girolamo Franchini orefice ed intagliatore di metalli, in Este sorgeva un’altra fabbrica, limitata, però, solamente alle porcellane. A lavorarvi, il Franchini chiamò Giovanni Pietro Varion, francese, già compositore di paste a Nove, il quale, sperimentata ogni pratica per fondare in altre parti d’Italia manifatture di porcellane, ed avendo trovato soltanto a Bologna chi gli avesse offerto i mezzi per mettere in pratica i risultati delle sue esperienze, lasciata ogni speranza di maggiore fortuna, si recò ad Este intorno al 1780 insieme alla moglie Fiorina Fabris.
Nella fabbrica del Franchini, il Varion modellò busti, statuine, vasi di forme elegantissime, gruppi come quello colossale rappresentante il Parnaso, che ora si trova nella stessa casa dei Franchini. Il Varion, però, abbandonò ben presto il Franchini, perché lo vediamo dopo qualche mese fondare altra fabbrica di porcellane e di stoviglie ad uso inglese per proprio conto. Quando morì, verso la fine del 1780, la sua vedova si associava ad Antonio Costa, ed otteneva, il 19 marzo 1781, dalla Repubblica ampi privilegi, specialmente per la porcellana, alla quale si dedicò poi esclusivamente dal 1785 sino alla fine del secolo XVIII. Morto prima del 1780 Giov. Batt. Brunello, la sua fabbrica passò al figlio Domenico, il quale, oltre alla manifattura delle terraglie ad uso inglese, riuscì anche nelle porcellane, oggetto speciale dei suoi studi. Intanto Girolamo Franchini, rinvenuta nei monti di Este e di Vicenza la terra atta al lavoro delle stoviglie ad uso inglese, otteneva privilegi dalla Repubblica nel 1785, compreso quello per Acquista porcellana italiana dipinta a mano la bellezza autentica del Made in Italy solo su www.porcellanaitaliana.com pag. 54
l’esclusiva fabbricazione di quelle nel Padovano; annullandosi per tal modo le concessioni fatte alla Fabris ed al Costa, e recando un danno gravissimo anche al Brunello. Questi chiese nel 1787 la facoltà di lavorare la mezza porcellana ; riconosciuta, però, la somiglianza di essa con la terraglia ad uso inglese, gli venne negato il privilegio, e la fabbrica lavorò stentatamente fino alla sua morte. Anna Alessi, vedova Brunello, cedette la manifattura nel 1810 a Domenico Apostoli, dal quale passò a Domenico Contiero, poi a Pietro Apostoli, valentissimo anche nella plastica, e autore di maioliche e terraglie ornate con molto buon gusto. Alla morte di Girolamo Franchini, la manifattura della maiolica rimase a suo Domenico, e successivamente a Girolamo padre di Luigi. Quest’ultimo produsse buone maioliche e terraglie, impiegandovi discreto numero di operai. La porcellana di Este ha caratteri speciali, del tutto diversi da quelli delle altre fabbriche. È opaca, e di colore tendente al giallastro, e la vernice, come nelle porcellane Viennesi, guasta spesso la finezza della modellazione. La maiolica, invece, è bianchissima, con vernice forte e brillante. Le porcellane e le maioliche del Franchini portano la marca impressa: Este, oppure 6. F.
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Nove di Bassano
Passato il periodo medievale, o fase «arcaica», le ceramiche di Faenza, specie quelle smaltate (maioliche), si perfezionarono sia nella bianchezza e corposità del rivestimento (smalto), sia nella gamma cromatica, grazie anche alla adozione di nuovi colori quali un giallo intenso ed un turchino Nel XVII secolo la crescente richiesta in Europa delle preziose porcellane cinesi indusse i ceramisti olandesi ad imitarne la lavorazione invadendo anche i mercati della Serenissima; il Senato veneziano perciò, nel 1728, tentò di porvi rimedio stimolando la produzione interna con agevolazioni fiscali per chi fosse riuscito a produrre porcellane e a migliorare le Maioliche.
ll momento era favorevole per Giovanni Battista Antonibon, il quale aprì, nel 1727, nella vecchia casa paterna a Nove quella che sarebbe diventata la più importante fabbrica di ceramiche della Repubblica Veneta, e che nel 1732 ottenne il privilegio dal Senato di essere esente da tutti i dazi per venti anni. Pasquale Antonibon, che successe al padre nel 1738, nel 1762 riuscì in un’altra impresa importante: la produzione della porcellana.
Nel 1770 si diffuse in Italia la terraglia, un impasto ottenuto in Inghilterra fin dal 1725, che per la bianchezza e il basso costo aveva causato un’inaspettata concorrenza alle maioliche e alle porcellane italiane: ancora una volta la fabbrica Antonibon, con Giò Maria Baccin, nel 1786 riuscì ad ottenere un impasto perfettamente imitante quello inglese.
In uno dei sobborghi di Bassano, detto Nove, Giovanni Battista Antonibon pignattaio apriva nel 1689 una fabbrica di stoviglie ordinarie; ed otteneva larghissimi appoggi dalla Repubblica di Venezia, quando nel 1732 si distinse per la lavorazione delle maioliche. Pasquale Antonibon, figlio di Giov. Batt., succedutogli nel 1738, intelligentissimo nell’arte sua, e pieno di attività, accolse nella fabbrica gli artisti migliori del tempo (specialmente il Cecchetto, pittore valentissimo, il quale diede un impulso potente alla manifattura dell’Antonibon, facendola progredire in modo meraviglioso. Così la bottega tenuta in Venezia dall’Antonibon, divenne in breve insufficiente e fu necessario chiedere alla Repubblica la facoltà di aprirne un’altra nel 1741.
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Altre concessioni vennero fatte all’Antonibon dalla Repubblica negli anni 1751 e 1755. Nel 1750 incominciavano anche le prove della porcellana, ad opera di Giovanni Sigismondo Fischer di Dresda, continuate da un francese, poi compiute da Pietro Lorenzi, Cadorino, il quale produsse finalmente una porcellana dura, che ebbe fama grandissima. Intorno al 1770, Giov. Battista Antonibon lasciava le fornaci di Nove, abbandonandole alla madre. Questa ne affidava la direzione a Giovanni Maria Baccin, che nel 1780 si toglieva dalle dipendenze dell’Antonibon per aprire con Giov. Battista Viero da Bassano una fabbrica di maioliche, celebrate specialmente per i lavori in plastica di Domenico Bosello, già modellatore in Angarano. Giov. Battista Antonibon, quando il Baccin si tolse dalla manifattura, ne affidava la direzione a Francesco Parolin di Bassano.
La fabbrica ottenne nel 1783 la rinnovazione dei privilegi, e dopo la caduta della Repubblica passò (1802) in affitto a Giovanni Baroni, il quale, assieme al figlio Paolo, la mantenne con l’aiuto di pittori e modellatori tedeschi e francesi fino al 1824, anno in cui cessò l’affittanza, e fu allora che l’Antonibon riprese il lavoro con febbrile attività. Le riproduzioni del bel settecento formarono le cure speciali degli Antonibon, e ne resero la manifattura assai reputata, così da meritare premi e larghe commissioni. Morto Giovanni Batt. Antonibon, carico di anni e di gloria, assunse la direzione dei lavori il Commendatore Pasquale Antonibon; ma questi occupato negli affari e nell’incremento di quella scuola ceramica, che per opera sua rimase aperta fino dal 1879, lasciò a Giovanni Battista suo figlio la direzione artistica della fabbrica, che produsse oggetti di lusso e stoviglie di uso comune. In Nove, i Viero, al termine dell’affittanza col Baccin, diedero principio alla fabbricazione delle stoviglie ordinarie, ma poi nel 1832 iniziarono quella delle maioliche artistiche. Ottenuti eccellenti risultati nello smalto, nel colore e nelle forme, Giovanni Batt. Viero proseguì verso il meglio. I prodotti di Nove sia in maiolica che in porcellana sono pregevoli per forma e per decorazione ; essi consistono specialmente in servizi da tavola, quali tondi, piatti, scodelle, zuppiere, giardiniere, ecc., dipinte finemente a stemmi, a figure, a scene, vedute; vasi a coperchio decorati di fiori e frutti in rilievo, e mazzi dipinti. Alcuni pezzi speciali, dipinti a soggetti copiati da ottimi maestri e decorati ad ornati finissimi in oro, dimostrano con quanta perfezione vi si lavorasse ed a quali mani la parte artistica fosse affidata.
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Padova
La mezza maiolica in questo luogo sembra che abbia avuto uno splendido passato, poiché negli scavi locali s’incontrarono persino scodelle e bacini simili a quelli infissi sui campanili e sulle chiese italiane, i quali si attribuiscono ai secoli XII e XIII. Boccali, scodelle, piatti, improntati nei loro ornamenti all’arte orientale, alla gotica, con figure ed iscrizioni in volgare antico, danno un’idea esatta di ciò che si lavorò in Padova durante il secolo XIV, nel quale sembra soltanto che i boccalari di quel luogo si fossero riuniti in corporazione sotto il patronato dei Santi Rocco e Lucia.
Uno splendido esemplare dei prodotti padovani del secolo XV è il disco in mezza maiolica lavorato a stecca, dipinto in giallo, bruno, verde e blu, il quale rappresenta la Vergine col putto, con ai lati i Santi Rocco e Lucia, che si trovava nel prospetto della casa in via delle Boccalerie, e proprio dove i vasai avevano le loro botteghe ed i loro forni. Alla base del sedile ove sta la Vergine, si trova la scritta : Nicoleti, forse il nome di quel Nicolò Fizzolo, allievo dello Squarcione, il quale ne avrà , fornito il disegno.
La maiolica, invece, venne fabbricata a Padova in epoca molto tarda. Vediamo nel 1451 Isacco Dondi padovano commettere a Faenza un rifornimento di tali stoviglie, e nel 1491 il vescovo di Padova, Pietro Barozzi, ordinare alle vaserie Urbinati lo stupendo pavimento di quadrelli tuttora esistente nella cappellina del Vescovado. La fabbricazione della maiolica fu introdotta a Padova soltanto verso il 1544. In quell’anno Nicola dalle Maioliche otteneva privilegio esclusivo della Repubblica Veneta per la fabbricazione delle Minere di piombo ad uso dei boccaleri, e quattro anni dopo si lavorava il piatto in maiolica contenente la favola di Mirra, esistente nel Kensington Museum, marcato : 1548 Padua.
Nel 1563 venne pure dipinto il piatto rappresentante Adamo ed Eva, con la scritta: Adamo ed Eva 1563 a Padoa, e nel 1564 l’altro piatto del Museo Britannico con le figure di Polifemo e Galatea, e la marca: A Padov 1564. A quest’epoca si attribuiscono anche certi vasi da spezieri a due anse, i quali hanno, come le opere precedentemente accennate, difetti assai evidenti tanto nel disegno quanto nella cottura ; ma di ciò non è a far meraviglia, quando si tenga conto che le sole mezze maioliche si lavoravano perfettamente dalle vaserie padovane fino agli ultimi anni del secolo XVIII.
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Nei registri della chiesa di Santa Lucia in Padova, si trovano nomi di boccalari dal 1564 al 1585, e, fra questi, nel 1581 quello di Giulio Cariero detto depentore de bocali. I prodotti delle fabbriche padovane trovarono smercio in tutto il Veneto, e furono giustamente apprezzati.
Si hanno memorie di lavori de piera padovani condotti a Portogruaro, a Treviso ed in altri luoghi della provincia. Le nuove fabbriche sorte a Venezia, a Bassano, ad Angarano, ad Este, e, piÚ che tutto, i perfezionamenti introdottivi, fecero cadere l’arte delle mezze maioliche in Padova. Alla padovana eran detti certi Vasi da farmacia a doppie anse, adorni di arabeschi, di fiori e talvolta a grotteschi su di un fondo bigiognolo ; la fabbricazione dei medesimi si continuò sino al sec. XVII; ma questi lavori hanno poca importanza.
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Treviso
Ebbe una fabbrica nel secolo XV e nel secolo XVI ; ed anche nei secoli successivi non lasciò cadere quest’arte. Il Garzoni (La piazza Universale di tutte le professioni, Venezia, Romano, 1586), vivente in quest’epoca, ricordando questo luogo, dice che i suoi prodotti erano inferiori a quelli di Faenza ; tuttavia i pezzi che si conservano ci attestano che Treviso abbastanza per tempo era giunta a fabbricare opere degne di nota. Però sulle produzioni dei secoli XV, XVI e XVII mancano dati certi, mancando i documenti.
A Treviso sono attribuiti piatti decorati a fiori a colori diversi, fra cui talvolta il verde oliva, il violetto ed il giallo producono alquanto rilievo, su fondo bianco. Piatti dipinti a graffiti di stile assai brutto ci narrano che a lato dei buoni prodotti se ne fabbricavano di assai scadenti, Treviso ebbe un vero periodo glorioso nel sec. XVIII. Giovanni Rossi di Stefano apriva nel 1766 una manifattura di maioliche nel borgo detto La Fiera, e riusciva così felicemente nelle sue prove, da ottenere nell’anno dopo l’esenzione per dieci anni dai dazi di entrata.
Le maioliche del Rossi ebbero presto esito favorevole nel Veneto, in Dalmazia, a Trapani, a Trieste ed in Oriente. Nel 1771 il Rossi, non molto pratico dei commerci, dovette cedere la manifattura a Giovanni Maria Ruberti, il quale, apportandovi serie modificazioni, riuscì ad ottenere tali maioliche ad uso Marsiglia, da superare gli altri produttori del Veneto. Al Ruberti si accordarono nel 1772 privilegi per l’esenzione dai dazi di entrata, rinnovati anche nel 1777.
Nella prima metà del secolo XVIII sorgeva in Treviso una fabbrica di stoviglie comuni per opera di Giov. Fontebasso (il quale marcava le sue maioliche A . F. fabbricatore di terraglie Treviso), e vi continuò fino agli ultimi anni del secolo, migliorando i prodotti. Quando al Ruberti cessarono i privilegi, il Fontebasso allargò il suo campo d’azione, e si diede al lavoro della porcellana tenera. Nel principio del secolo XIX, la porcellana di Fontebasso, ridotta a forma elegantissima, decorata da egregi artisti, fu in ogni luogo tenuta in onore. Una gran parte di merito nella fabbricazione spetta a Giuseppe ed Antonio Fontebasso, i quali ottennero privative per le loro porcellane, dipinte dal bravo Gaetano Negrisole.
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Durante la dominazione austriaca venne concesso alla fabbrica il titolo di Regia, mantenutole anche quando Andrea Fontebasso, figlio di Giovanni, ne assunse la direzione, abbandonando la porcellana, e rivolgendo le proprie cure alla produzione delle terraglie. Quella passò nel 1862 in mano ai soci di Andrea, il quale si ritirava in quell’anno dal lavoro.
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Venezia
Sin dalla seconda metà del sec. XV in Venezia l’arte delle maioliche era in vigore, come ci possono attestare opere rimontanti a quell’epoca, fra cui degne di nota : il pavimento in maiolica nella sagrestia di Sant’Elena, fatto a spese della famiglia Giustiniani che volle ivi dipinto il suo stemma nel 1450 e 1480 ; il pavimento della cappella dell’Annunziata nella chiesa di San Sebastiano, con lo stemma della famiglia Lando, la data 1510 ed una marca rappresentata da un Q con entro iscritte le lettere T. L. V. B. combinate a monogramma; nonché le terrecotte verniciate poste a decorazione di una cappellina esistente nella chiesa di San Giobbe, opere, quest’ultime, probabilmente di Antonio Rossellino forentino, il quale lasciò importantissime decorazioni in marmo nella stessa chiesa.
Le fabbriche Veneziane sul principio del sec. XVI già godevano grande riputazione ; e prova di ciò ne sia che Alfonso I duca di Ferrara, benché possedesse di proprio nel suo ducato una fabbrica stimata, nel 1520 dava incarico a Tiziano, con cui fu sempre in amichevole relazione, di fargli eseguire certa quantità di vetri lavorati nelle fabbriche di Murano, nonché vasi di terra e di maiolica per la spezieria ducale ; ed il Tiziano faceva rispondere al Duca di essersi messo d’accordo con l’artefice, assicurando che “saranno in excellentia”.
Anche Isabella Gonzaga duchessa di Mantova nel 1518 ordinava ad Alfonso Tròtti, rappresentante del Duca a Venezia, certe piadenelle di Venezia e di Faenza, congratulandosi poi per la fattura. Le opere di quest’epoca sono molto rare. Ma la decadenza non tardò a manifestarsi, producendo maioliche decorate a fogliami, a fiori, frutti, paesaggi, a grandi soggetti di rovine quasi sempre a due soli colori, fra cui il violetto manganese predomina, talvolta circondati da rilievi a guisa di sbalzo, ed altri lavori di siffatto genere, in chiaroscuro azzurro rialzato di bianco su berettino.
Nel 1545 Francesco Fieragnolo impiantò una fabbrica grazie a l’aiuto di suo padre Giannantonio di Pesaro. Il 23 maggio 1567 un Battista di Francesco che si intitolava maestro di maioliche, abitante in Murano, rivolgeva al Duca di Ferrara una sua istanza accompagnata da due disegni di vasi, nella quale si dichiara sommamente desideroso di servirlo, e gli chiedeva un aiuto di 300 scudi per accomodare le sue cose e portarsi poi a Ferrara per esercitare l’arte sua.
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A questi nomi di vasai, certamente di merito eccezionale, si debbono aggiungere quelli di Baldassarre dei Baldassini da Pesaro, Comiro di Girardo Fontana da Urbino, Andrea da Urbino, Oliviero da Firenze, Vincenzo Gabellotto da Faenza, Giovanni Maria da Faenza, Baldassarre Marforio da Castel Durante, ai quali se ne potrebbero aggiungere altri, che appaiono nei registri parrocchiali di Venezia e negli atti pubblici. Verso la fine del secolo XVI l’arte della maiolica in Venezia risente tutta l’influenza dello stile barocco.
I prodotti usciti dalle officine Veneziane sono disegnati a larghi tratti e dipinti a colori vivacissimi tanto da scambiarli spesso con le opere Pesaresi e Durantine. Esempi splendidi di maioliche Veneziane esistono nei musei di Venezia, di Brunswick, nel South Kensington, e nella collezione Castellani di Roma.
Quindi vediamo la regina del mare assai per tempo accogliere e coltivare con affetto anche quest’arte che per certo le doveva costar non lievi sacrifici, costretta ad attingere fuori di casa propria le materie prime, continuandola fino al secolo XVIII; nel quale, e più precisamente nel 1758, i fratelli Gian Andrea e Pietro Bertolini ottengono dal senato facoltà di impiantare un’officina in Murano, da cui uscirono piatti leggeri e sonori a contorni sbalzati come le opere di oreficeria lavorate a martelletto.
Venezia quale centro di fabbricazione vetraria meglio di qualsiasi altro luogo si prestava allo studio della porcellana ; infatti assai per tempo essa vide sorgere in casa propria manifatture, i cui prodotti presentano grande interesse dal lato dell’arte. Questi per la loro composizione, forma e decorazione si possono dividere in due specie distinte, e considerare come opere di due diverse fabbriche.
La 1a specie, che si attribuisce alla fabbrica della casa Vezzi risiedente a San Niccolò, e fondata intorno al 1720, comprende pezzi a pasta non troppo fine, ma ciò non di meno a vernice liscia e lucente, decorati superbamente a due soli colori, nero od oro zecchino in foglia che produce rilievo, di soggetti mitologici attorno ai quali con somma grazia girano arabeschi, fondi a quadretti, drappi formanti cortinaggi e baldacchini stile Luigi XIV producenti un complesso assai ricco e suntuoso.
La 2a specie attribuita alla fabbrica di Geminiano Cozzi, fondata nel 1765 in contrada San Giobbe, in seguito ad autorizzazione e sovvenzioni del senato, comprende pezzi la cui pasta è trasparente al punto
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da sembrar quasi vetro opaco. Sono, per lo più servizi decorati a fiori, arabeschi, ed uccelli ; candelabri ; statuette e vasi, non della ricchezza dei suaccennati, ma non meno ragguardevoli, nel loro genere da quello affatto diverso.
Alla fabbrica dei Vezzi è attribuita la marca Vena in carattere corsivo e talvolta terminante in capricciosi ghirigori : mentre ai Cozzi viene attribuita la marca del- l’àncora rossa, ora sola, ora sotto ad iniziali di decoratori. La fabbrica del Cozzi, celebrata dai contemporanei, molto pregiata dai cultori stranieri, lasciò splendide prove, e cadde nel 1812, dopo la rovina della Repubblica. a
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Verona
In un contratto di dote della figlia d’un Baldassare, tessitore dimorante a San Luca in Venezia, trovasi fra i testimoni “Antonino de Faventia bochalarius veronensis, il dì aprilé 1499”. Ciò dimostrerebbe che l’arte del vasaio fosse introdotta a Verona da artisti Faentini, come era Faentino quel Giovanni Battista che segnava un piatto rappresentante la Famiglia di Dario al cospetto di Alessandro, ora al Kensington Museum. Non si hanno notizie sulle fabbriche Veronesi di maiolica posteriori a quell’epoca. a
Vicenza
Nel 1788 il conte Carlo Vicentini del Giglio emulando i Toscani marchesi Ginori, apriva a Vicenza, nel borgo di Santa Croce, una vasta fabbrica di terraglie ad uso Inglese. Chiamò a sé i migliori artefici d’Italia, i quali imitarono alla perfezione le terraglie di Wegwood. Questi prodotti consistevano in servizi da tavola, da caffé, da cioccolato, da tè, in cestine, vasi, catini, statue ecc. di singolare finezza della pasta e di una decorazione semplice, che si può dire perfetta. Il Vicentini segnava i prodotti con un giglio, e sotto due V. Sembra che questa fabbrica abbia spento i suoi forni col cadere della Repubblica.
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Bologna
È accertato che prima del 1312 esisteva a Bologna la Società o Compagnia « magistrorum artis urceorum », regolata da statuti speciali. Quei primi maestri certamente, oltre al lavoro delle terrecotte semplici, dovevano produrre anche stoviglie verniciate secondo i tempi. È incerto, però, se si debba ritenere il nome di un vero maiolicaro bolognese quello che s’incontra nel pavimento della cappella di San Petronio di Bologna, lavorato a Faenza nel 1487.
Infatti, fra le iscrizioni segnate in quelle piastrelle si trova anche una che potrebbe essere attribuita ad un Bolognese lavorante a Faenza nella fabbrica Betini, cui pare appartenessero Pietro Andrea di Faenza, Elisabetta, Cornelia e Gentile Betini, segnati in altre piastrelle del medesimo pavimento. Il Bologniesus, in questo caso, avrebbe scritto il nome della sua patria, come usò più tardi, fra altri, Xanto Avelli da Rovigo, firmato in parecchie maioliche: Rovigiese, o Rovigo. Bolognese, invece, con sicurezza si deve ritenere Francesco, formatore di vasi, che lavorava alla Corte degli Estensi in Ferrara, intorno al 1522.
Gli Archivi del Senato Bolognese registrano un Antonio Pauli de Milionibus morto prima del 1574: e nel 1595 si trova la concessione ad Angelo Michele Rjsjo, Alessio Rosa e Giovanni Virgilio, per aprire una fabbrica di vasi in maiolica e argilla, con privilegio di lavorazione per dieci anni.
Fin dai primi anni del secolo XVIII, Andrea ed Alessandro Bardozzi tenevano in Bologna una fabbrica di maioliche, e pare che ne fossero i soli produttori, perchè nel 1742 chiedevano ed ottenevano un privilegio di anni sei per la lavorazione di certi vasi da tè, caffè e cioccolata, Piattini e servizi da tavola ed altre stoviglie. Ma i privilegi pare fossero terminati per i Bardozzi, se nel 1756 certo Adriano Ferrari, già fondatore di altra officina di ceramica in Sassuolo, aveva aperta una fabbrica di maioliche anche a Bologna ; e se a Tommaso Bragaglia e compagni proprietari di altre fornaci per maioliche ad uso Faenza di Lodi e di Bassano, veniva negata la privativa richiesta nel 1759, perchè la fabbrica si riteneva inutile.
Antonio Rolandi e Giuseppe Finck, invece, stabilita una fornace a Bologna, produssero sin dal 1746 maioliche di qualche importanza. Approfittando del fatto che la produzione della città ormai era Acquista porcellana italiana dipinta a mano la bellezza autentica del Made in Italy solo su www.porcellanaitaliana.com pag. 67
sufficiente per l’ordinario consumo, ottennero dal Senato, nel 1766, che si aggravassero di fortissimi dazi le maioliche di Faenza e di Imola.
Mentre, però, la maiolica bolognese era nel suo fiore, nel 1765 Giovanni Pietro Varion, francese, abilissimo ceramista, già conosciuto in Este ed in Angarano, veniva chiamato da un Cavaliere di Bologna, del quale non è noto il nome, perchè tentasse la fabbricazione della porcellana. L’opera di costui pare sia durata dieci anni.
Il Varion nel 1776, e, poi, nel 1778 faceva domanda per introdurre la porcellana in Sassuolo e per ottenere la privativa per la fabbricazione della porcellana ad uso d’Inghilterra, di Francia e di Germania, in Bologna e in tutte le Romagne. Ma i suoi tentativi non approdarono a nulla, probabilmente per la gelosia degli altri fabbricanti, poiché i Senatori presiedenti alle arti proponevano che si respingesse la domanda di privilegio. In questo momento le stoviglie bolognesi avevano, secondo il giudizio dei tecnici, assunto l’aspetto della porcellana, tanto per la pasta che per la decorazione. Il Varion, così contrastato, abbandonò senz’altro l’idea di stabilirsi in Bologna.
Né miglior fortuna trovò Giuseppe Finck, il quale sciolta la società col Rolandi, e continuando nella lavorazione delle maioliche, aveva trovata « una composizione egualmente resistente al fuoco delle terraglie d’Inghilterra, ma più bianca e somigliante alla porcellana », nonché la « mezza porcellana » : ma chiesto dal Finck un privilegio per la sua invenzione ai magistrati, ne ebbe un rifiuto. La fabbrica, poi, sul finire del secolo XVIII veniva distrutta dalle fiamme ; e quella del Rolandi finiva ingloriosamente.
Ma da quanto sopra si è esposto appare che, in sostanza, nessuno degli storici fa cenno delle Ceramiche artistiche Bolognesi del secolo XV, all’infuori di quelle famose terrecotte di uso ornamentale architettonico che fregiano gli edifici del XIII e XIV secolo. Per completezza d’informazione rispetto a ceramiche e stoviglie in periodi precedenti, riportiamo il testo di uno storico e studioso d’arte bolognese, sig. Aurelio Minghetti. « Bologna che coltivò nel Rinascimento tutte le arti minori riuscendo a gran fama nelle manifatture tessili, nella lavorazione del ferro, nell’oreficeria, ecc. non dové certo trascurare l’arte della ceramica, in un’epoca nella quale detta arte era coltivata con grande amore, e in cui l’esempio luminoso di Faenza traeva all’imitazione e all’emulazione gli artefici d’ogni regione
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italiana, e la Romagna era cinta da una rete di concorrenti che da Ferrara a Mantova, per la Toscana e le Marche si stendeva giù fino alla Sicilia.
Fu nel compiere delle ricerche intorno alla fabbricazione delle maioliche in Bologna, la quale fabbricazione, a quanto si rileva dalle cronache e dai pochi documenti conosciuti, ebbe da noi qualche periodo di fortuna, ma non poté mai assurgere a notevole importanza, che mi venne fatto di portare l’attenzione su altri prodotti ceramici con caratteri artistici ed originali e di cercare, credo con favorevole esito, di stabilire che detti prodotti sono dovuti all’arte Bolognese dei secoli XIV e XV.
Ed ecco per ordine. Si vennero compiendo a Bologna dei lavori di scavo e sterro nell’ambito della cinta murata e nei pressi dei quartieri che contano vecchie e gloriose tradizioni nella storia cittadina. Si allude, qui, principalmente al quartiere dell’antica porta di San Donato in cui erano compresi i palazzi dei Bentivoglio, dei Malvezzi e di altre cospicue famiglie bolognesi. Ivi, in diverse riprese demolendo le mura della vecchia cinta trecentesca, e sterrando i terrapieni che colmavano l’interno della cinta stessa, sono venuti alla luce dei frammenti di ceramiche in numero davvero straordinario.
Per la maggior parte si tratta di bianchetti graffiti — gli “ engobes gravés” dei francesi — di buona fattura sì tecnica che artistica, i più attribuibili alla seconda metà del 400, altri, per poca parte anteriori, molti di epoche più vicine fino alla seconda metà del secolo XVIII ; tali frammenti di graffito si son trovati insieme a numerosi avanzi di splendide maioliche faentine, toscane, urbinati, ispanomoresche; il che dimostra che tutti questi detriti provenivano da case patrizie — forse da quel meraviglioso palazzo Bentivolesco che la furia del popolo mise a sacco e a fuoco, struggendo, in breve, opere preziosissime d’arte e documenti storici di valore sommo.
Questa ultima ipotesi è suffragata dal fatto che moltissimi dei frammenti sopra citati portano graffito lo stemma dei Bentivogli — la famosa sega o sola o inquartata e appaiata con le armi di casa Sforza Rangoni e altri. In molti di tali frammenti si vedono ritratti disegnati con senso di arte perfetta, costumi caratteristici dei luoghi ed epoche, animali araldici, figure e sovra tutto, ripeto, stemmi ; questi quasi tutti di famiglie Bolognesi : Malvezzi, Scappi, Pepoli ecc. (Raccolta Minghetti e Museo Civico di Bologna).
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L’esame di questo immenso numero di reliquie del- l’arte ceramica mi condusse a stabilire delle relazioni evidenti ed assolute fra cocci trovati negli scavi in parola e alcuni oggetti esistenti nel nostro Museo civico ; nella modesta Raccolta (formata in oltre mezzo secolo a scopo di studio e di imitazione dagli artefici) della Fabbrica Minghetti, e altri posseduti dal Dott. Graul di Lipsia, ecc. In tutti cotesti oggetti, come nei frammenti, si riscontra la medesima argilla rossa — quella che anche oggi i vasai romagnoli chiamano Terra di Bologna, perchè si trova facilmente sui colli di Paderno, di S. Ruffillo, Sesto Bolognese, ecc. ; la stessa coperta o intonaco di terra bianca, che da secoli si importa nelle Romagne da Vicenza ; uguale tipo di vernice piombifera, e l’identico modo di coloritura cogli ossidi di rame e di ferro usati, non solo per variegare o marmorizzare gli oggetti senza tener calcolo del disegno inciso, sistema comune agli stovigliai dozzinali, ma bensì per ottenere degli effetti di contrasto fra il vestiario, le carni ed il fondo, o nella policromia degli ornati.
Fra tali oggetti completi o quasi, sono degni di nota per il nostro assunto, i seguenti: Un boccale di forma eletta del XV secolo (Raccolta Minghetti), con verniciatura di bellissimo effetto per la bianchezza dell’intonaco e la vivacità delle tinte. Questo boccale è decorato sul corpo da tre circoli che portano, ognuno, due stemmi appaiati.
Nel primo cerchio figura la sega Bentivolesca con altro stemma. Un boccale frammentato (Museo Civico, Bologna) con lo stemma dei Bentivogli unito a quello Sforzesco (epoca di Giovanni 11 Bentivoglio). Un grande piatto o bacile sbaccellato che ha sul fondo lo stemma di Bentivogli e Rangoni, ed a tergo, pure sul fondo, il solo stemma Bentivoglio sotto il baldacchino imperiale (Dott. R. Graul, Lipsia) Un fiasco da aceto di bianchetto graffito con decorazione sobria e semplice, ma molto caratteristica e di ottimo effetto (Raccolta Minghetti).
Un mirabile piatto frammentato con figura d’angelo che suona la viola, secolo XV (Raccolta Minghetti). Tre cavetti, uno dei quali con lo stemma Bentivolesco (Raccolta Minghetti), uno col giglio di Francia (Raccolta Minghetti), l’ultimo con l’aquila, impresa ghibellina dei Bentivoglio (Raccolta Minghetti). Un piatto ornamentale di bianchetto graffito di 36 cm di diametro che accoppia ad una tecnica insuperabile un disegno di squisita fattura, sì da far pensare a un disegno del Cossa o del Francia. Rappresenta una allegoria : una donna in piedi, su uno sfondo architettonico originalissimo, regge con la sinistra un globo sul quale si erge l’immagine di Cupìdo con arco e faretra. Sul fondo sono
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delle marchette o fiori quadrilobati, ed una rosetta che si riscontra frequentissima su altri oggetti graffiti dell’epoca, tanto che molti hanno opinato trattarsi di una specie di marca di fabbrica.
Il piatto è, inoltre, fregiato di un bordo ornamentale inciso con mirabile senso d’arte (Raccolta Minghetti). Un fiasco comunemente chiamato da muratore, stonato con la rappresentazione di un fauno che cavalca un asino (Museo Civico di Bologna). Infine, 6 grandi vasi o crateri con anse, recanti una scritta con la data 1728 (Museo Civico di Bologna).
Tutti questi oggetti presentano una comune fisionomia sì tecnica che artistica ed in certi casi un’assoluta identità con moltissimi dei frammenti rinvenuti nei diversi scavi operati a Bologna. « Ma se questo è certo, è altrettanto certo che questo rilievo non basterebbe da solo ‘a provare che tutte le ceramiche di cui è parola in queste brevi note, siano di fabbrica Bolognese, anche annettendo la dovuta importanza al fatto che l’argilla di cui sono plasmate è assolutamente uguale alla nostra comune creta dei pignattari.
A conforto di questa conclusione viene citato che all’altezza del Viale del Ricovero fra la via Emilia e la via S. Vitale esistevano anticamente delle fornaci . In detto luogo, nel 1910 furono praticati degli scavi per la conduttura del gas o dell’acqua, e da questi scavi oltre un buon numero di frammenti graffiti e verniciati, uscì una quantità di pezzi engobbiati, graffiti ma non verniciati : cioè non finiti.
Questi avanzi di oggetti mancanti della vernice pionibifera che usavasi sovrapporre alle ceramiche graffite per dar loro l’impermeabilità e la lucentezza necessaria per l’estetica e per l’uso, sono dei veri scarti di fornace, pezzi usciti dalla prima cottura o rotti sconciati dall’azione del fuoco.
Ora è ben ovvio che tali pezzi non potevano essere trasportati di lontano, poiché ne mancherebbe la ragione logica : infatti non potevano servire ad alcun uso, né pratico di stoviglie, né tanto meno per ornamento ; resta quindi un’unica ipotesi : che fossero fabbricati sul luogo. Fra i detti cocci mancanti di vernice si rinvengono cose di pregio artistico. Molti di essi sono del tutto simili ad altri smaltati, ed oltre a ciò, sempre negli scavi del Ricovero, si trovarono dei sostegni, quelli che i fornaciai chiamano cavallini, specie di treppiedi puntuti che servono a reggere gli oggetti nella cottura.
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Non molto lontano dai frammenti di ceramiche mentovati si è rinvenuta una notevole quantità di argilla rossa, di quella stessa qualità che si adoperava per foggiare le ceramiche graffite. Tali frammenti non verniciati, che secondo me costituiscono la migliore prova del nostro assunto, sono stati raccolti vuoi nel Museo Civico e, in gran parte, nella Raccolta Minghetti, insieme ai sostegni per fornace, di cui uno notevole perchè porta impressa nel mezzo una croce.
Per concludere con queste brevi note, si possono citare i grandi vasi graffiti esistenti nel Civico Museo di Bologna. Sono questi, in numero di sei, di notevole dimensione — oltre 60 cm di altezza — hanno la forma di un orcio romano, con quattro anse disposte intorno al corpo, nella parte superiore, equidistanti. Portano nel mezzo una zona con la scritta : Magna Andromaci teriaca - 1720. Sempre nella parte superiore, fra le anse, hanno una figura allegorica in campo chiaro ; intorno, negli altri spazi, degli emblemi di farmacia. Tutta lo spazio che resta fra i campi delle figure e sotto la scritta è occupato di rabeschi a volute con grandi fiori. Il segno del graffito è molto leggero e superficiale e l’effetto della decorazione è affidato più che altro alla Policromia, assai vivace per questo genere ceramico.
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Busseto
Giovanni Pietro de Rocii o Rozis eseguĂŹ certe opere di terra in Busseto, luogo dove risiedeva fino dal 1462. Trasportatosi a Mantova dopo il 1467, venne richiamato dai Signori di quella terra nel 1470, per lavorarvi per conto del paese. Nel decreto di Pallavicini, mentre si concedono privilegi, il Rociis viene detto fictiliaque multum ingeniose fabricantem. aa
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Faenza
Faenza per la natura del terreno ricco di argille atte alla foggiatura e per la posizione geografica che ne faceva un punto di incontro tra la cultura padana e quella toscana, seppe costituirsi come centro ceramico di primaria importanza sin dal Medioevo.
I vasai di questa città, di fronte alla necessità di dare all’oggetto di argilla grezza, o biscotto, un rivestimento bianco che permettesse loro di valorizzare la decorazione svilupparono e perfezionarono nel corso dei primi secoli dopo il Mille, su forme semplici e quasi sempre subordinate ad esigenze di uso domestico(piattelli, ciotole, boccali), due particolariprocedimenti tecnici di rivestimento dei manufatti: la smaltatura (bianco vetrosa) e l’ingobbiatura (bianco terrosa). Le superfici così rivestite vennero pertanto decorate, sia per mezzo del pennello sullo smalto, sia con una punta (chiodo) sull’ingobbio, con temi tratti di preferenza dal repertorio ornamentale delle arti applicate coeve (tessuti, oreficeria, miniatura): principalmente cioè motivi vegetali (tralci, fiori, palmette), faunistici (pesci, uccelli fantastici) e araldici; questi ultimi molto importanti poichè spesso si possono riferire a personaggi e a famiglie che hanno contrassegno la storia della città.
Passato il periodo medievale, o fase «arcaica», le ceramiche di Faenza, specie quelle smaltate (maioliche), si perfezionarono sia nella bianchezza e corposità del rivestimento (smalto), sia nella gamma cromatica, grazie anche alla adozione di nuovi colori quali un giallo intenso ed un turchino Nel XVII secolo la crescente richiesta in Europa delle preziose porcellane cinesi indusse i ceramisti olandesi ad imitarne la lavorazione invadendo anche i mercati della Serenissima;
Faenza è gloria Italiana, non perchè sia stata la prima città in cui si lavorarono le maioliche, ma per il fatto che la migliore esecuzione di stoviglie verniciate con lo stagno deve attribuirsi a questo luogo, che dischiuse al commercio italiano nuove vie nelle varie regioni europee, ove i nostri prodotti vennero chiamati faenze (faience in Francia) dal nome della più celebrata manifattura. È necessario togliere ogni idea che si fabbricasse maiolica in Faenza durante i secoli XIII e XIV. Lì allora, come in altre città, si produceva solamente la mezza maiolica, cioè la terra cotta coperta di vernice piombifera. Dei documenti sui prodotti Faentini, il più importante, cioè quello che prova come in Faenza si lavorassero maioliche assai singolari, è l’accordo del 1454 fra Isacco De Dondi nobile padovano, e Acquista porcellana italiana dipinta a mano la bellezza autentica del Made in Italy solo su www.porcellanaitaliana.com pag. 74
Maestro Giacomo di Pietro bochalaro in Favenza. Da questo si vede che la maiolica faentina era conosciuta per tutta Italia nella seconda metà del secolo XV, avendo raggiunto un importante grado di perfezione.
Dopo il 1474 dalle fabbriche faentine uscirono le maioliche sullo stile Robbiano che adornano la cupola e la volta del presbiterio nel duomo di quella città, fatte eseguire dal vescovo Federico Manfredi. E così, sempre con opere senza data e senza indicazione del luogo in cui furono lavorate, si giunge al 1482, anno nel quale un Artista Faentino segnato con le iniziali G. I. O. dipingeva 17 piatti e scodelle in maiolica esistenti nel Museo Civico di Venezia, che si possono considerare i migliori esemplari dell’arte in Faenza alla fine del secolo XV. I colori predominanti in questi preziosi pezzi sono il turchino, il verdognolo, il verde cupo, assai diluiti e con soprabianchi. Qualcuno pensò che ne fornisse i cartoni Francesco Francia, ma non vi sono prove certe.
Un’altra opera Faentina è il pavimento in maiolica nella cappella dei Vaselli in S. Petronio di Bologna, in cui lavorarono Bolognese, Elisabetta, Gentile, Cornelia Betini e Pietro Andrea da Faenza. I nomi di essi sono segnati su alcune delle piastrelle ove si trova anche la data 1487. Altro pavimento nella stessa chiesa è dal Malagola attribuito agli stessi Betini. Gli artisti di Faenza trovarono larghissimo esito delle loro stoviglie in altre città d’Italia e dell’estero. Nei patti tra Venezia e Faenza del 1503 uno speciale capitolo riguardava l’importazione libera in Venezia delle maioliche faentine, mentre per quelle di altre regioni era vietata l’introduzione.
Aumentato, però, il numero degli artisti, questi, allettati da maggiori guadagni, si recavano in altre città, dove erano accolti e accarezzati dai principi. Dei Faentini troviamo a Venezia nel 1489 Matteo di Alvise, e negli anni 1574 e 1576 Vincenzo di Benedetto Gabellotto; a Ferrara, Frate Melchiorre (14901502), Ottaviano (1493), Biagio Dei Biasini (1502-1524), Antonio e suo figlio Camillo (1517-1528), Vincenzo (1527), Catto (1528-1535); in Urbino, Cesare Cari (1536); ad Imola, Giov. Maria Raccagna (1543-1552); a Mantova, Tomaso Scaldamazza (1552), e Francesco Nisi (1616); a Verona, Giovanni Battista (1563). Così a Lione stabilivano fabbriche di maiolica i faentini Domenico Tardessiri e Giuliano Gambini (1574); e a Nevers, Scipione Gambini (1592). Alcuni fra i più celebrati artefici lasciarono il loro nome in parecchie maioliche assai ricercate. S’incontrano nella prima e seconda metà del secolo XVI i nomi di Virgilio o Virgigliotto, di Nicolò da Fano, d’un Giuseppe, il quale lavorava nella fabbrica dei Pirota, di Baldassare Manara, uno fra i più
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eccellenti maiolicari faentini della prima metà del secolo XVI, i prodotti del quale Mastro Giorgio da Gubbio ornava coi suoi splendidi riflessi metallici; finalmente Giovanni Brama palermitano (1546), e la casa Betini, una fra le più antiche di Faenza.
Anche la casa Fagioli di Faenza e quella dei Corona hanno recato molto onore all’arte fino agli ultimi anni del secolo XVI. L’Arte propria di Faenza verso la fine del secolo XVI ha tutti i difetti dello stile barocco, il quale nelle epoche successive non ebbe più alcun freno.
Eppure il commercio faentino con le varie città d’Italia si manteneva vivissimo, tanto che quelle vaserie continuarono ad essere celebrate. All’epoca si rese valente nell’arte Francesco Vicchi, e poi quel Tonducci, il quale nel 1693 vendeva la sua fabbrica al Conte Annibale Carlo Ferniani, grande amatore e cultore dell’arte, da lui e dai suoi discendenti sostenuta gloriosamente anche in tempi a noi vicini. Nella fabbrica Ferniani si produssero opere eccellenti sotto ogni riguardo, decorate con oro e pitture assai finemente eseguite.
Si rivedono, come in un bagliore di meteora, gli smalti vellutati e brillanti rivestire le capricciose eleganze barocche; compaiono i galanti servizi da tavola chiamati del garofano ispirati alle decorazioni Cinesi, e si vedono le scapigliate piccole squadre di figurine in maschera ad imitazione delle porcellane più pregiate, in una epoca in cui la sola porcellana trionfava. Passa, così, nell’officina dei Ferriani una nuova schiera che si inizia con Domenico Calzi pittore ; seguono dal 1731 al 1733 i pittori Nicola Raccagni e Cristoforo Pani, Tommaso Raccagni, Francesco Piani, Tommaso Galladini, un Domenico, e certo Luca Tedesco. Poi appaiono nel 1732 Paolo Benini, più tardi i suoi figli Luigi, Pasquale e Domenico, Tommaso Ragazzini, Filippo Comerio, milanese, molto celebrati nella pittura.
Nel 1771 si trova annotato nei « Registri di casa Fernani» un francese sotto il nome di Monsu, e nel 1777 Gaspare Germani ungherese, abilissimo nel dipingere con porpora ed oro, poi Lodovico Zannoni pure pittore, Giulio Tomba, un Villa, Pietro Bodii, plasticatori fino agli ultimi anni del secolo XVIII. Pietro Piani si distinse abbastanza nella pittura dei fiori e delle frutta, così da trovare poi liete accoglienze a Dresda ove si era recato ; e tanto alla fine del secolo XVIII, quanto al principio del XIX furono celebri nelle plastiche Gio. Batt. Sangiorgi, il Trentanove da Rimini, Giovanni Batt. e Francesco Ballanti, detti Graziani. Nel Museo della fabbrica Ferniani si trovano statuette modellate con fine gusto,
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una delle quali porta le lettere G. P. D., che il Malagola interpreta come: Giovanni Pani Decorò; mentre in altre Fabbriche di Faenza si trovano: F. B. F., cioè Francesco Ballanti Fece.
Altra fabbrica di maioliche sorse in Faenza nel 1777 per opera dei Fratelli Benini e di Tommaso Ragazzini, i quali avevano abbandonata la manifattura dei Ferniani. Secondo i contemporanei, si producevano dai Benini maioliche così perfette da eguagliare la porcellana, e da non temere confronti coi prodotti di Doccia. Alcune produzioni uscite da questa fabbrica, chiusa nel 1778, quando i Benini ritornarono a lavorare presso i Ferniani, sono segnate: Fabbrica di R. B. F. , oppure R. B. F. 1778. Altri recano le iniziali del pittore Filippo Comerio : F. C. F., che potrebbero anche interpretarsi : Fabbrica Conte Ferniani. Gennaro Montanari apriva altra manifattura di maioliche nel 1779, ma probabilmente dovette chiuderla subito, poiché dai documenti risulta che non riuscì a reggere alla concorrenza dei Ferniani.
Giacomo Serantoni faentino dal 1810 al 1840 iniziò pure la fabbricazione di maioliche, e si distinse specialmente pei lavori imitati dai Della Robbia, nei quali fu veramente famoso il suo modellatore G. B. Ballanti Graziani. Achille Farina, ritrattosi dalla fabbrica dei Ferniani, riuscì splendidamente in quest’arte, e nel 1871 espose a Milano, ottenendo un vero successo. Nel 1872 cooperò efficacemente alla costituzione di una Società Anonima, e l’opera sua fu continuata dal figlio Lodovico per alcun tempo.
Caratteristiche generali di queste maioliche sono : pasta sottile e leggera, smalto fluido e brillante, decorazione ad eleganti arabeschi a colori chiari, posati su fondi a colore azzurro o giallo, mancanza assoluta del colore giallo a riflessi metallici, propri di Deruta. In queste maioliche sono da distinguere due periodi. Il 1° periodo ci porge opere coperte in massima parte da uno smalto uniforme, brillante, color berettino (azzurro pallidissimo e dolce), decorate ad arabeschi di stile assai semplice disegnati in colori chiari su fondi a colori vari formati da zone che si succedono.
Caratteristico, poi, e degno di nota è il fatto che assai frequentemente le maioliche di questo periodo presentano un bordo piuttosto grande, colorato in azzurro, su cui sapientemente si disegnò in chiaroscuro più pallido od in smalti a colori diversi maschere prese di prospetto, la cui barba, svolgendosi in foglia di acanto, si attacca con molta grazia ad eleganti arabeschi in forma di rami. Tale
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parte ornamentale, splendidamente eseguita, forma cornice a ritratti e figure eseguite in modo primitivo, timido, stentato.
Questi caratteri possono estendersi ai prodotti fabbricati dall’origine sino al 1520, e man mano che ci avviciniamo a questa data vediamo le figure farsi più perfette, gli smalti più bianchi. Il 2° periodo conservando le caratteristiche generali su citate ci porge opere che si possono chiamar perfette, di grandissima importanza.
Verso il 1521 che ci si presentano le prime opere di Nicolò da Fano, e circa nello stesso periodo quelle di un altro artista insigne, Baldassarre Manara, Faentino, che pare abbia lavorato sin oltre al 1570. Alla decadenza, invece, appartiene Andrea Pantaleo che ultimo ci appare con la data 1616. Lo stile di queste opere è puro, delicato, il disegno perfetto tanto nella parte ornamentale quanto nella parte figurativa consistente il più spesso in soggetti storici : gli smalti sono limpidissimi e brillanti.
Faenza ha fabbricato vasi il cui pregio consiste tutto nella eleganza della forma e nella nitidezza dello smalto bianco che li ricopre in tutta la loro estensione: ma degni di riguardo speciale sopra tutti per nettezza e per eleganza sono i pezzi a scanalature, ottenuti con modelli, e consistenti per lo più in coppe dal piede poco elevato, Tali scanalature danno luogo a tanti compartimenti colorati diversamente in azzurro, giallo, verde, arancio ed anche nero, che formano altrettanti fondi agli arabeschi che sopra bellamente vi si disegnano, e danno al pezzo un aspetto gaio di arlecchino.
Com’è naturale, questo genere piacque tanto, e fu imitato da altre fabbriche, ma nessuna mai raggiunse la perfezione dei pezzi Faentini, finissimi per disegno, splendidi per proprietà dei colori, purezza degli smalti, originalità d’invenzione. I pezzi di questo genere raramente portano marche. Faenza, come si è detto, ha anche prodotto bassorilievi nel genere di quelli dei Della Robbia.
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Ferrara
Questa manifattura, i cui prodotti sono assai rari, fu fondata dagli Estensi nella prima metà del secolo XV e mantenuta dai medesimi sino alla seconda metà del secolo XVI, La data precisa dell’introduzione della lavorazione della maiolica alla Corte degli Estensi non è nota.
Documenti del 1436 parlano di un Maestra Benedetto Boccalaro in Castello, di un Enrico nel 1472 e di un Giovanni da Modona nel 1498. La prima menzione di terra invetriata e dipinta rimonta al 1423 ; ma l’arte vera della maiolica non si stabilì definitivamente a Ferrara che intorno al 1490, mercè l’opera di Fra Melichiorre da Faenza e di un suo figlio, chiamati lì da Ercole I, che assegnava a tale fine un luogo nel Castello; e nessun dubbio può esistere sulla maestria di cui questo artefice diede prova in svariate operazioni.
Documenti porgono aperta testimonianza della reputazione che la manifattura ducale aveva acquistato fino dai suoi primordi. Contemporaneo di fra Melchiorre è un Ottaviano da Faenza; nel 1501 appare un Biagio da Faenza che anch’esso lavorò per alcuni anni al servizio del Duca, e nel 1505 M.o Cristoforo da Modona boccalaro.
Dal 1506 al 1522 mancando i documenti, è presumibile che questa fabbricazione sia stata interrotta, causa del qual fatto si può ritrovare nelle guerre quasi continue in cui il duca Alfonso I, successo al padre, si trovò implicato, che l’obbligarono a restringere le spese di lusso e dedicarsi tutto alle armi. La morte di Leone X accaduta nel 1521, liberò Alfonso da un avversario pericoloso e potente che lo aveva posto ai più duri cimenti. Tornò egli allora agli esercizi suoi prediletti, e nel 1522 riprende di nuovo la fabbricazione delle maioliche, preponendo alla direzione un Antonio da Faenza pittore, aiutato da tre altri artefici, uno dei quali era Francesco da Bologna. Antonio rimase al servizio del duca fino oltre la metà del 1528, nel qual tempo venne sostituito da un altro maestro Faentino per nome Catto. Lo aiutavano parecchi boccalari, e principali fra essi un Girolamo e un altro detto dal luogo di sua origine il Siciliano o Ciciliano. Catto continuò a lavorare anche dopo il decesso di Alfonso I, ma per breve tempo, essendo morto nell’ottobre 1535.
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Nel 1524 è ricordato che dipinsero vasi un Camillo d’ignoto casato, e, degni di maggior considerazione, i fratelli Giovanni e Battista Dossi pittori eccellenti, continuamente occupati da Alfonso I per lavori in tela ed in affreschi. Alfonso, non pago delle sue maioliche, tentò la prova di fabbricare la porcellana ad imitazione di quella che proveniva dall’Oriente; ma il tentativo non ebbe seguito.
Un’altra manifattura di maiolica si istituì a Ferrara nel tempo del governo di Duca Alfonso, da Sigismondo d’Este ultimo dei figli d’Ercole I, e per essa destinava una parte del palazzo di Schifanoia. La prima memoria di questa appare nel 1515, ed ivi s’incontra il nome di Matteo Biagio de’ Biasini da Faenza, verisimilmente il medesimo indicato sopra, al servizio del duca fino al 1505 ; e nel 1523 Ci si presentano i nomi di tre pittori adoperati in quella fabbrica, il principale dei quali veniva contraddistinto col nome di Frate pittore alla maiolica ; gli altri due erano il Grasso e il Zaflarino, artisti ignoti. Questa manifattura cessò con la morte di Sigismondo, avvenuta nel 1524.
Durante il governo di Ercole II, figlio e successore di Alfonso I, le arti ebbero poco incoraggiamento, e la mancanza di documenti lascia credere che la lavorazione delle maioliche fosse cessata. Ma Alfonso II appena assunse il trono diede nuovo e vigoroso impulso alla maiolica e replicò i tentativi per la porcellana, che riuscirono a un plausibile risultato.
Da allora ci appaiono i nomi di Camillo da Urbino e il Battista da Urbino qualificati per pittori alla maiolica, i quali indubbiamente furono pittori molto egregi, poiché Alfonso non era solito affidare imprese di questa fatta a mediocri. Autorevoli documenti parlando di Camillo lo dichiarano ritrovatore moderno della porcellana ; quindi vanto degli Estensi di Ferrara sarebbe di aver trovata la porcellana prima dei Medici di Firenze ; ma disgraziatamente nessun pezzo rimane a provare in modo sicuro quanto attestano i documenti. Camillo morì nel 1567, ed a sostituirlo fu chiamato Camillo Fontana da Urbino, mentre Battista continuò a lavorare negli anni 1568-69, che forse furono gli ultimi di questa ducale fabbricazione, poiché da quest’epoca cessano i documenti.
La Manifattura Estense della maiolica ebbe tre periodi ben distinti : il 1° con lavori ordinari di quadri da pavimento con invetriata dipinta a smalto piombifero. Il 2°, di lavori fini col magistero dl artefici esclusivamente Faentini; e si comprende nel tempo della vita del duca Alfonso I, cioè dalla fine del secolo XV al 1534. Il 3° egualmente di opere di fina esecuzione, che comprende pochi anni, dal 1561 al 1569, e si compendia in due insigni maestri urbinati Camillo e Battista. Malgrado autorevoli documenti Acquista porcellana italiana dipinta a mano la bellezza autentica del Made in Italy solo su www.porcellanaitaliana.com pag. 80
parlino ampiamente delle maioliche Ferraresi e della loro eccellenza per nulla minore a quella di qualsivoglia altra città italiana delle più note e più riputate in tale lavorazione, non esiste un sol pezzo iscritto che ci dichiari la sua autenticità, che ci provi in qualche modo il genere.
Ma esiste un fatto degno di nota, ed è che mentre la lavorazione nel 2° periodo è affidata esclusivamente ad artisti che provenivano da Faenza, nel 3° periodo è affidata esclusivamente ad artefici di Urbino. Naturalmente gli uni e gli altri, imbevuti delle abitudini artistiche dei luoghi, apportarono in Ferrara la maniera, lo stile delle loro scuole rispettive ; per conseguenza, nella congerie delle opere anonime che si attribuiscono a Faenza e ad Urbino vanno ricercate e studiate le maioliche di questo centro di ceramica produzione.
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Finale Emilia Qui, Giovanni Maria Dallàri apriva una fabbrica di maioliche nella seconda metà del secolo XVIII. Ma l’opera sua durò poco, perchè lo troviamo nel 1776 occupato a tentare altre esperienze in vari luoghi dell’Emilia.
Fornovo
Si ha notizia dal Campori che un certo Daniele Botti vasaio, dimorante a Fornovo, stipulava nel 1487 un contratto di società per la durata di 5 anni, con tal Salvatore fu Martino, cugino suo, esperto in arte ac ministerio bocalorum et laboreriorum de terra et aliarum mertium.
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Imola
Nel 1543 Giovanni Maria Raccagna di Faenza, detto Taffarino, chiedeva al Comune di Imola di impiantare un esercizio di vasi fini colorati in stile faentino, e questo gli veniva accordato, proibendosi l’introduzione in Imola delle maioliche faentine. Sembra da ciò che prima di questa data in Imola non esistesse quest’arte. Il Raccagna lavorò certamente in questa città fino alla sua morte avvenuta poco prima del 1552. Succedettero a lui gli eredi, ma questi essendo venuti meno ai patti, si videro tolti nello stesso anno i privilegi accordati nel 1543.
Altre fabbriche di maioliche dovettero esistere ad Imola sulla fine del secolo XVI, perchè nel 1586 si eleggeva dal comune una Commissione di quattro membri, onde compilare i Capitoli, o Statuti artis majolicae. Di questo nuovo periodo non si hanno altre notizie. Ma la fabbricazione dovette durare anche nel secolo XVIII, se il Campori accenna al commercio che di esse si faceva a Bologna. E quando si stabilì in Sassuolo, verso il 1761, quella fabbrica, vennero chiesti operai Imolesi.
Il Marryat attribuisce ad Imola un piatto di stile Italo-moresco, che si conserva nel Museo di Sèvres, ed il Jacquemart assegna a questa città certe terre cotte a rilievo, sullo stile del Palissy. È ancora da notare che Giovanni Andrea Ferrari otteneva nel 1741 la privativa di fabbricare negli Stati Estensi la maiolica ordinaria bianca e dipinta a somiglianza di quella d’Imola ; il che ci lascia dedurre che anche nel XVIII secolo qui si lavoravano maioliche di qualche importanza.
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Parma
I documenti del secolo XV rinvenuti dal Campori forniscono una lunga serie di vasai, fra i quali noto Giovanni da Panocchia scudellaro, che viveva prima del 1425, Ziliolo e Luca Moyle nel 1410 lavoratori di terrecotte, e Galeotto Pavesi boccalaro, autore di un’ancòna fatta di terra cotta invetriata, che nel 1463 venne posta dinanzi all’altare di S. Agata nella chiesa maggiore di Parma.
Però una vera fabbrica di maiolica non esiste in Parma nei primi anni del secolo XVI. Il Campori illustrando lo stupendo pavimento in piastrelle di maiolica recante la data 1503, conservato nel monastero di S. Paolo in Parma, è costretto a riconoscervi la mano degli artefici Durantini, piuttosto che quella dei Parmensi, soltanto atti a lavorare la terracotta semplice.
Negli anni 1560 e 1561. il Duca Ottavio Farnese commissionava ad Urbino una credenza di maioliche per le quali forniva i cartoni Raffaello Ciarla, eccellente pittore Urbinate. Ma nel 1583, il Duca di Parma desideroso di introdurre anche nei propri stati quell’arte, chiamava al suo servizio Giov. Battista Serullo o Cerullo, genovese, il quale doveva fabbricargli certi quadrelli all’uso di Genova, per decorare le stanze Ducali.
Quel progresso della ceramica alla Corte dei duchi di Parma durò per brevissimo tempo. Tillot, governatore di quella città, visto che le maioliche avevano incontrato favore nel ducato di Modena, suggerì a certo Cartier l’idea di chiedere privilegi per l’impianto di una fabbrica in Parma. Il decreto di privativa del luglio 1753 mentre annunciava il contratto col Cartier, proibiva per nove anni sotto pene severe, l’introduzione della maiolica d’altri paesi. Il Cartier dopo un solo anno di prova lasciava il lavoro, e veniva rimpiazzato da Nicola Piacentini, al quale si accordavano i medesimi privilegi del Cartier.
La manifattura diretta dal Piacentini anch’essa durò ben poco, e nel 1785 gran parte dei suoi prodotti erano giacenti nei depositi, essendone scarsa la vendita. Carlo Artusi tentò di imitare nel 1766 le maioliche della fabbrica Piacentini, ma non tardò ad averne la proibizione.
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La stessa sorte toccò ad Alessandro Passerotti, il quale, licenziato dalla manifattura Piacentini, cercò di lavorare privatamente; ma, scoperto, fu condannato al carcere. Una fabbrica di porcellana doveva sussistere in quegli anni in Parma, perché Giovanni Oxan, in una istanza presentata al Duca Ercole III nel 1782, chiedendo privilegi per lavorare la porcellana nella provincia Parmense, asseriva che quell’arte si era esercitata fino allora negli Stati del Duca.
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Ravenna
L’esistenza di una fabbrica di maioliche in Ravenna era cosa dubbia; ma ora la questione viene risolta in un senso affermativo da una coppa già posseduta dal Barone Davillier che sembra appartenere al secolo XVI, sotto cui si legge la parola Ravena, scritta fra due parentesi.
Vi è chi vorrebbe attribuire a questa città un vaso di maiolica con le iniziali R. V. A ., e la data 1552. Queste opere hanno gran valore, a causa appunto della loro rarità. Le maioliche Ravennati ebbero spaccio nel Veneto ed in Oriente, come appare da documenti degli anni 1518 e 1522. Degli artisti, uno solo ci è tramandato con la data 1544, ed è il Ravennate Pietro Mazzolini, lavorante in maioliche ad Urbino.
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Rimini
Anche Rimini vanta una pagina nella storia delle maioliche Romagnole. Il Museo Comunale di Rimini possiede 24 pezzi in maiolica, rinvenuti in vari luoghi della città. Sono boccali, quadrelli e piatti, sui quali sono dipinti monogrammi o stemmi. Alcuni corrispondono alle iniziali dei Malatesta, signori di Ravenna dal 1416 al 1429 altri, invece, recano monogrammi di Cristo, o il solito Ave Maria. Questi prodotti furono attribuiti dal Tonini alle fabbriche Riminesi del secolo XV.
Le maioliche propriamente dette, però, dovettero lavorarsi in Rimini soltanto nei primi anni del secolo XVI. Nella metà del secolo XVI il Piccolpasso notava i prodotti Riminesi fra i più importanti delle fabbriche Italiane.
Il Dott. Belli, egregio raccoglitore di oggetti d’arte, arguto scrittore di cose Riminesi, ebbe la fortuna di scoprire il luogo di una di quelle antiche fornaci, dove trovò cocci importanti, ed anche scodelle piene di smalti da vernice trasparente e da colori, solidificati, formanti una massa sola con la scodella. Sul diritto vi è una pittura rappresentante San Francesco, la Cui figura è solo a metà, trattandosi di un frammento. Il volto è in bianco profilato di azzurro tenue : la tonaca è in giallo, e spicca bene su fondo di un bell’azzurro. Il santo tiene le mani giunte in atto di preghiera, e la faccia di profilo, volta a destra. Ai due lati del santo vi sono le lettere . S . . F . tagliate in basso, che non vogliono dire altro che San Francesco. Il piatto è a piede basso, di quelli su cui si posano le ampolle della messa, e molto probabilmente apparteneva alla Chiesa di S. Francesco, cioè appunto al Tempio Malatestiano di Rimini. Intanto, in mancanza di notizie su questo maestro di maioliche, il prefato Dott. Beffi lo chiama Antonio da Rimini : ed appare artefice molto abile. Certe coppe con decorazioni recano nel fondo una linea a spira in giallo, spigliata, a mano alzata. Tutti questi generi sono ripetuti, e specialmente questa caratteristica spirale : il che lascia intuire che questi tipi di decorazione erano accetti e nell’uso locale del secolo XIV e XV.
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Sassuolo
Questo luogo ha ricordi egregi per l’arte ceramica. Nel 1741 Giovanni Andrea Ferrari presentava una supplica al Duca di Modena Francesco III, perchè gli concedesse la privativa per il decennio onde fabbricare la maiolica comune, ad imitazione di quella Imolese. Ottenuta la privativa, il Ferrari nel 1742 aveva già aperta la sua manifattura, la quale passò più tardi a Giovanni Maria Dallàri.
Al Dallàri, molto abile nell’arte sua, vennero confermati i privilegi accordati al Ferrari non solo, ma furono stesi a tempo indeterminato. Il Dallàri ebbe nella sua fabbrica artisti di qualche e valore, come Ignazio Cavazzuti e Pietro Lei di Sassuolo.
Da questa manifattura uscirono alcune maioliche molto accurate, dipinte a fiori, ad ornamenti talvolta lumeggiati d’oro; ma spesso dimenticando gli impegni assunti, si trascurò la tecnica, non badando che a produrre stoviglie commerciali. Un’inchiesta fatta nel 1773 condusse la fabbrica del Dallàri a cattivo partito, benché il tecnico Ignazio Cavazzuti nel 1790 dichiarasse la maiolica di Sassuolo migliore e più resistente di tutte. Allora sorse Pietro Lei, il quale, abbandonando il Dallàri, chiedeva di aprire in Sassuolo una fabbrica di mezze maioliche; ma opponendosi il privilegio del Dallàri, non riuscì ad avere la concessione.
Il Dallàri morendo lasciò al figlio Giovanni la proprietà della fabbrica, la quale risentì nuovi danni per gli avvenimenti politici alla fine del secolo XVIII. Così la manifattura di Sassuolo passava ai Rubbiani, che ricominciarono il lavoro della maiolica.
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ยง della Porcellana
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Della Porcellana La porcellana appartiene al grande gruppo della ceramica (dal greco chéramos = argilla) che comprende tutto ciò che è fabbricato con l'argilla o, meglio, con una materia grezza a contenuto argilloso. Questo gruppo ha un'estensione assai vasta: dalla cosiddetta ceramica grossolana di cui è esempio tipico il mattone d'argilla, fino all'ampia gamma dei prodotti della ceramica fine che va dal gradino più basso della terracotta fino al culmine della porcellana. Tale differenza qualitativa dipende, oltre che dalla intrinseca pregevolezza delle materie prime, dai differenti metodi di lavorazione e dalle temperature di cottura cui il prodotto è sottoposto.
La terracotta La terracotta fabbricata presso tutti i popoli fin dai tempi antichi, è quella di più facile realizzazione richiedendo una sola cottura anche a fiamma libera. Esempio di questa produzione sono le conche, le giare per l'olio, e anche le grandi statue che adornano i giardini gentilizi.
La ceramica a freddo Un perfezionamento di questo sistema consisteva nella cosiddetta ceramica a freddo, in cui la terracotta veniva ricoperta con colori o patinature di varia specie. Il metodo, molto usato dagli antichi greci, è oggi praticamente abbandonato e sostituito con la rivestitura a fuoco.
La terraglia Un ulteriore gradino è rappresentato dalla terraglia, sotto il cui nome è compresa una grandissima quantità di prodotti che vanno dalle classiche pentole e tegami ricoperti di vernice al piombo, fino ai caratteristici orci per l'acqua di produzione paesana. Questo tipo di stoviglie di basso costo è generalmente costituito di terra bianca verniciata, ed è detto anche terraglia tenera. Di maggior pregio è la terraglia dura, sempre bianca o in tinta avorio, raramente di pasta colorata artificialmente, più resistente perché cotta a temperature più alte e ricoperta con smalto più fine. E' un tipico prodotto inglese che vide nascere la propria diffusione nel primo quarto del XVIII secolo, principalmente grazie alle creazioni fdi J. Wedgwood.
La maiolica Nella maiolica (nome derivato da Maiorca, dove gli Arabi avevano impiantato una vasta produzione) l'impasto sottoposto a una prima cottura, e chiamato biscotto, viene ricoperto da vernici solitamente a base di stagno (bianche) interamente coprenti in modo da mutare totalmente l'aspetto e il pregio del Acquista porcellana italiana dipinta a mano la bellezza autentica del Made in Italy solo su www.porcellanaitaliana.com pag. 90
prodotto. La decorazione è effettuata sopra tale rivestitura e s'incorpora alla maiolica durante la seconda cottura. La maiolica è detta anche Faenza dal nome della notissima città italiana che nel Rinascimento fu uno dei più importanti centri di produzione . Tutti i prodotti suelencati sono a pasta porosa; cioè se non vengono ricoperti con vernici vetrose a fuoco lasciano trasudare l'acqua contenuta. Vi sono invece alcune paste che vetrificano per se stesse durante la cottura, e quindi non necessitano di alcun rivestimento per assicurarne l'impermeabilità. Fra queste il grès e specialmente la porcellana.
Il grès II grès è una particolare ceramica caratteriozzata da una pasta compatta, impermeabile e opaca, ottenuta con la cottura di un impasto di fondenti e argille speciali ad altissime temperature. Il grès fu largamente utililizzato fin dalle antiche civiltà orientali e si diffuse in Europa nel XV secolo. I colori cariano a seconda dei composti ferrosi presenti. Per ottenere grès bianchi si utilizzano impasti artificiali a base di argille cuocenti bianche e rocce quarzoso-feldspatiche che inducono la geificazione della massa.
La Porcellana La Porcellana è il più importante e pregiato prodotto della famiglia della ceramica: La base per la sua composizione è il caolino conosciuto in Cina fino dall'antichità ed in Europa soltanto nel 1700. I componenti principali per ottenere l'impasto di porcellana sono il Caolino al 50%, il Quarzo ed il Feldspato al 25%. Le caratteristiche principali della porcellana sono la durezza ( nonostante la sua fragilità la porcellana è più dura di un normale acciaio) e la trasparenza (traslucentezza). Questi due risultati si ottengono dopo aver effettuato la prima cottura dell'impasto a 980 gradi centigradi e la seconda cottura a 1400 gradi centigradi. Lo smalto che viene applicato sul biscotto e quindi prima della seconda cottura è di uguale composizione dell'impasto stesso, ma con differenti proporzioni di elementi. Uno dei grandi pregi di questo prodotto è la mancanza di "invecchiamento".
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Le varietà della Porcellana
Bone China Una varietà molto importante della porcellana è la "Bone China" o porcellana di ossi animali in quanto nella sua composizione trovano posto le ceneri di ossa (fosfati) che, in percentuale del 50% insieme al 25% di caolino e al 20% di cornish stone (pietra della Cornovaglia) o miscela di quarzo e feldspato, fornisce all'impasto un colore avorio molto delicato, una trasparenza unica ed una leggerezza mai raggiungibile dalla porcellana tradizionale. Nasce in Inghilterra in risposta alla porcellana che imperava dal 1740: nel 1780 il ceramista Josiah Spode per migliorare la qualità estetica e funzionale della classica terraglia inglese ne fu l'inventore.
Il "Jasper" è il tipo di porcellana che ha reso famoso nel mondo il nome di Wedgwood. Questa produzione viene realizzata con grès vetroso non smaltato che può essere colorato per mezzo di ossidi speciali in varie tinte compreso il nero e che è adattissimo per ritratti e per fare da sfondo a rilievi bianchi di ispirazione classica. Il Jasper è il risultato di parecchie migliaia di esperimenti, tutti registrati da Josiah Wedgwood. Il più affascinante di tutti i pezzi di questa linea, è la riproduzione del vaso Barberini o di Portland, che poi è divenuta l'oggetto simbolo della Wedgwood stessa.
La porcellana Bisquit Questa porcellana viene cotta senza smalto. II pezzo finito risulta egualmente impermeabile all'acqua, tuttavia la superficie è ruvida, il che limita il suo uso quasi esclusivamente a statuine e figure in genere.
La porcellana avorio Si tratta di una porcellana la cui tinta è ottenuta con la colorazione o della massa oppure dello smalto. Una certa mancanza di omogeneità nelle tonalità del colore è la caratteristica specifica di questa porcellana e ne garantisce l'autenticità.
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La porcellana da fuoco È una porcellana dura particolarmente adatta per cuocere vivande a fuoco nel forno, in cucine a gas o elettriche, composta delle stesse materie prime della porcellana normale, ma con altre proporzioni. Ha maggiore resistenza all'urto termico, ma a fiamma diretta è senz'altro consigliabile l'uso della retina rompifiamma. Questo vasellame viene cotto alla temperatura di circa 1.400°C. Sua caratteristica tipica è la colorazione (bruciato), che si ottiene con una duplice verniciatura a spruzzo e successiva cottura in muffola (terza cottura).
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Testi cercati ed adattati da TAS Fonti storiografiche: Ernesto Sarasino, L'amatore di maioliche e porcellane, 1899
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