Là dove nasce il mito

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Euro.in.for.ma 2012/2013 REGIONE SICILIA Assessorato Regionale dell’Istruzione e Formazione professionale Dipartimento Regionale dell’Istruzione e Formazione professionale EURO.IN.FOR.MA. Associazione culturale Progetto “Formazione per il Territorio” ID N°742 Corso “Addetti all’Organizzazione e Gestione del Turismo Culturale” cofinanziato dal Programma Operativo FSE 2007-2013 della Regione Siciliana Asse II Occupabilità Obiettivo specifico D Avviso 20/2011

Di Filippo Antonella Gravano Giacomo Porcelli Luana

LÀ DOVE NASCE IL MITO Viaggio culturale attraverso il patrimonio materiale ed immateriale UNESCO in Sicilia


Là dove nasce il mito Sommario

CAPITOLO I – IL PATRIMONIO DELL’UNESCO IN SICILIA .................................................................................... 4 CAPITOLO II – IL BAROCCO ................................................................................................................................ 6 CAPITOLO III - I MONUMENTI DEL PATRIMONIO UNESCO IN SICILIA. .............................................................. 7 CATANIA ........................................................................................................................................................ 8 Chiesa della Badia di Sant'Agata ....................................................................................................... 11 Cattedrale di Sant'Agata ...................................................................................................................... 12 RAGUSA ....................................................................................................................................................... 16 Cattedrale di San Giovanni Battista ................................................................................................... 16 RAGUSA IBLA ............................................................................................................................................... 19 Duomo di San Giorgio .......................................................................................................................... 19 NOTO ........................................................................................................................................................... 23 Cattedrale di San Nicolò .......................................................................................................................... 23 MODICA ....................................................................................................................................................... 28 La Chiesa di San Giorgio ..................................................................................................................... 30 Modica Chiesa di San Pietro ............................................................................................................... 33 CALTAGIRONE .............................................................................................................................................. 38 Chiesa Santa Maria del Monte ........................................................................................................... 41 Cattedrale di San Giuliano. ................................................................................................................. 43 SCICLI ........................................................................................................................................................... 46 Chiesa di San Matteo ........................................................................................................................... 47 MILITELLO IN VAL DI CATANIA..................................................................................................................... 49 Chiesa Matrice di S. Nicolò - SS. Salvatore .................................................................................... 49 PALAZZOLO ACREIDE ................................................................................................................................... 50 Basilica di San Paolo............................................................................................................................ 50 SALVAGUARDIA DELL’UNICITA’ DEL VAL DI NOTO. ......................................................................................... 52 I PUPI SICILIANI ................................................................................................................................................ 54 DIETA MEDITERRANEA .................................................................................................................................... 58 Bibliografia ................................................................................................................................................... 61 Sitografia...................................................................................................................................................... 61

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LĂ dove nasce il mito

L’Italia senza la Sicilia non lascia immagine nello spirito: la Sicilia è la chiave di tutto. Johann Wolfang Goethe

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Là dove nasce il mito CAPITOLO I – IL PATRIMONIO DELL’UNESCO IN SICILIA Sono definiti patrimonio dell'umanità i beni culturali come monumenti, insiemi eccezionali storicamente, artisticamente o scientificamente e i siti naturali che hanno valore estetico o scientifico straordinario, infine i siti misti, frutto dell'azione combinata della natura e dell'uomo che conservano la memoria di modi di vita tradizionali e rappresentano il legame tra la natura e la cultura.

Cattedrale di Noto dopo il restauro

Alla Convenzione del Patrimonio mondiale di Parigi del 1972 " CONVENZIONE RIGUARDANTE LA PROTEZIONE SUL PIANO MONDIALE DEL PATRIMONIO CULTURALE E NATURALE" hanno aderito 180 stati, che aderendo, si impegnano a proteggere i siti del proprio territorio che rientrano in una delle due definizioni. Ad alcuni di essi, quelli di particolare valore, l'Unesco riconosce il titolo di Patrimonio Mondiale, facendo sì che la loro tutela diventi una responsabilità ripartita fra tutti i membri della Comunità internazionale. Secondo l'ultimo aggiornamento effettuato nella riunione del Comitato per il Patrimonio dell'Umanità a Siviglia il 30 giugno 2009, la lista è composta da un totale di 890 siti (di cui 689 beni culturali, 176 naturali e 25 misti) presenti in 148 Nazioni del mondo. Attualmente l'Italia è la nazione a detenere il maggior numero di siti inclusi nella lista dei

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patrimoni dell'umanità (44 siti), seguita dalla Spagna (41 siti) e dalla Cina (38 siti). In Sicilia abbiamo i seguenti siti:  L'Area Archeologica di Agrigento  La Villa Romana del Casale di Piazza Armerina  Le isole Eolie  Le città barocche del Val di Noto: Caltagirone, Militello Val di Catania, Catania, Modica, Noto, Palazzolo, Ragusa e Scicli. Le otto città del sud-est della Sicilia: Caltagirone, Militello in Val di Catania, Catania, Modica, Noto, Palazzolo, Ragusa e Scicli furono ricostruite dopo il terremoto dell'11 gennaio 1693. Il terremoto del val di Noto rappresenta, assieme al terremoto del 1908, l'evento catastrofico di maggiori dimensioni che abbia colpito la Sicilia orientale in tempi storici. Con una magnitudo momento pari a 7,4 è stato in assoluto il terremoto più forte mai registrato nell'intero territorio italiano. Risulta inoltre essere il ventitreesimo terremoto più disastroso della storia dell'umanità, almeno tra quelli storicamente accertati. L'evento sismico provocò la distruzione totale di oltre 45 centri abitati, interessando una superficie 2 di circa 5600 km e causando un numero complessivo di circa 60.000 vittime.

Mappa delle aree colpite dal sisma del 1693

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Là dove nasce il mito Il numero più elevato di vittime fu registrato nella città di Catania nella quale morirono 16.000 persone su una popolazione di circa 20.000, a Ragusa dove persero la vita circa 5.000 persone su 9.950, a Lentini con 4.000 vittime su 10.000 abitanti, ad Occhiolà (l'antica Gr ammichele) che contava 2.910 abitanti e ne perirono il 52% e a Siracusa con circa 4000 vittime su 15.339 abitanti a Militello con circa 3.000 vittime su una popolazione di quasi 10.000, a Mineo i morti furono 1355 su 6723 abitanti, a Licodia Eubea vi furono 258 vittime censite su una popolazione di circa 4.000 abitanti; gli altri centri ebbero dal 15% al 35% di morti rispetto alla popolazione residente, più di 1000 le vittime a Caltagirone, anch'essa in gran parte rasa al suolo, su una popolazione di circa 20.000 persone. Palazzolo Acreide e Buscemi lamentarono la scomparsa del 41% degli abitanti, ma anche la Val Demona, a nord del Simeto, fu duramente colpita.

Nel corso di un secolo dall’evento che distrusse questa vasta area della Sicilia orientale, piccoli e grandi centri rifiorirono lentamente dalle macerie

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seguendo il gusto Barocco allora in voga. Gli architetti locali, molti dei quali formati a Roma, ed i progettisti ed artisti venuti da fuori, trovarono un'abbondanza di opportunità per dar vita ad un sofisticato stile Barocco allo stesso tempo popolare e colto. L'era Barocca della Sicilia, con il suo stile riccamente decorato, rifletteva perfettamente la storia sociale dell'isola, e venne a simboleggiare il canto del cigno della sua nobiltà, lasciando sull'isola un marchio di identità architettonica.


Là dove nasce il mito CAPITOLO II – IL BAROCCO L'architettura barocca è quella fase della storia dell'architettura europea che, preceduta dal Rinascimento e dal Manierismo, si sviluppò a partire dal XVII secolo, durante il periodo dell'assolutismo. Il termine barocco, originariamente dispregiativo, indicava la mancanza di regolarità e di ordine, che i fautori del neoclassicismo, influenzati dal razionalismo illuminista, consideravano indice di cattivo gusto. Infatti, caratteristiche fondamentali dell'architettura barocca sono le linee curve, dagli andamenti sinuosi, come ellissi, spirali o curve a costruzione policentrica, talvolta con motivi che si intrecciano tra di loro, tanto da risultare quasi indecifrabili. Tutto doveva destare meraviglia ed il forte senso della teatralità spinse l'artista all'esuberanza

decorativa, unendo pittura, scultura e stucco nella composizione spaziale e sottolineando il tutto mediante suggestivi giochi di luce ed ombre. Il Barocco siciliano rappresenta una particolare declinazione di questo stile, caratterizzata da un acceso decorativismo, senso scenografico e cromatico. Tale maniera si manifestò pienamente solo nel XVIII secolo quando, in seguito al sisma del 1693, gli architetti locali (molti dei quali formati a Roma) ed i progettisti ed artisti venuti da fuori, trovarono un'abbondanza di opportunità per dar vita ad un sofisticato stile Barocco allo stesso tempo popolare e colto, fortemente caratterizzato e radicato nel territorio. Nel penultimo decennio del XVIII secolo lo stile finì poi con l'essere rimpiazzato dalle nuove mode che proponevano il neoclassicismo. .

Cattedrale di Noto

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Là dove nasce il mito CAPITOLO III - I MONUMENTI DEL PATRIMONIO UNESCO IN SICILIA. I monumenti segnalati per l'inserimento nella lista del patrimonio Unesco sono: A Ragusa: Palazzo Bertini - Palazzo Vescovile Chiesa di S. Giovanni Battista - Palazzo Zacco.

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A Ragusa Ibla: Chiesa S. Maria delle Scale, Chiesa S. Maria dell'Idria, Palazzo della Cancelleria, Chiesa SS anime del purgatorio, Chiesa di S. Maria dei Miracoli, Chiesa S. Giuseppe, Duomo di S. Giorgio, Chiesa S. Filippo Neri, Chiesa S. Maria del Gesù, Palazzo La Rocca, Palazzo Sortino Trono, Palazzo Battaglia,Palazzo Cosentini.

A Catania sono: Piazza Duomo, via dei Crociferi, Badia di S. Agata, Collegiata, Monastero Benedettino di S. Nicolò la Rena, Palazzo Biscari. A Caltagirone: Chiesa Santa Maria del Monte, Chiesa di S. Giuliano Apostolo, Chiesa S. Giuseppe, Chiesa di S. Domenico, Chiesa del SS. Salvatore e Monastero delle Benedettine, Chiesa Santa Chiara e Santa Rita e Monastero delle Clarisse, Chiesa del Gesù ed ex Collegio dei Gesuiti, Chiesa di S: Stefano, Chiesa di S. Francesco D'Assisi, Corte Capitanale, Museo Civico, Tondo Vecchio, Ponte di S. Francesco.

Caltagirone veduta panoramica

Ragusa Ibla, Chiesa S. Maria dell'Idria

A Modica: Chiesa di S. Giorgio e Chiesa di S. Pietro.

A Palazzolo Acreide: Chiesa di S. Sebastiano, Chiesa di S. Pietro e Paolo. A Militello in Val di Catania: Chiesa di S. Nicolò e S. Salvatore, Chiesa di S. Maria della Stella.

A Scicli: Palazzo Beneventano, via Mormino Penna, Chiesa di S. Teresa, Chiesa di S. Giovanni Evangelista, Chiesa di S. Michele Arcangelo. A Noto: Chiesa di S. Chiara, Chiesa del SS Crocifisso, Chiesa di S. Domenico, Chiesa di Montevergine, Chiesa S. Maria del Carmelo,Chiesa e convento di S. Francesco all'immacolata, Chiesa di S. Nicolò, Chiesa e convento del SS. Salvatore, Chiesa di S. Carlo Borromeo, ex collegio dei Gesuiti,Chiesa S. Maria dell'Arco, Palazzo Ducezio, Palazzo Impellizzeri, Palazzo Landolina, Palazzo Rau della Ferla, Palazzo Trigona, Palazzo Battaglia.

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Cattedrale di Militello in Val di Catania

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Là dove nasce il mito Di fronte m’eri Sicilia, o nuvola di rosa sorta dal mare! E nell’azzurro un monte: l’Etna nevosa. Salve o Sicilia! Ogni aura che qui muove pulsa una cetra od empie una zampogna è canta e passa… Io ero giunto dove giunge chi sogna. Giovanni Pascoli, L’isola dei poeti

Venga a’ lidi tuoi Fè d’opre alte e leggiadre, o isola del sole, o tu d’eroi Sicilia antica madre. Giosuè Carducci, Primavere elleniche

Giusto è che questa terra, di tante bellezze superba, alle genti di addìti e molto si ammiri, opulenta d’invidiati beni e ricca di nobili spiriti……. Lucrezio, De rerum natura

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Là dove nasce il mito CATANIA «Tutto ciò che la natura ha di grande, tutto ciò che ha di piacevole, tutto ciò che ha di terribile, si può paragonare all'Etna, e l'Etna non si può paragonare a nulla». Dominique Vivand Denon, "Voyage en Sicilie", 1788

Cattedrale di Catania

Catania è la città dell'Etna, in continuo e vivo rapporto con il vulcano che spesso ha tradito la sua fiducia facendo scendere le sue colate di lava fin dentro le sue mura. E non è solo il profilo del vulcano a ricordarcelo, ma anche il colore scuro che spesso caratterizza i monumenti, le case e i portoni. La città barocca Catania è stata ampiamente trasformata dalle conseguenze dei terremoti che hanno imperversato su questa parte della Sicilia. Il suo territorio circostante è stato più volte coperto da colate laviche che hanno raggiunto il mare. Ma i catanesi caparbiamente l'hanno ricostruita sulle sue stesse macerie. La leggenda vuole che la città sia stata distrutta sette volte durante la sua storia, ma in realtà tali eventi disastrosi si possono

sicuramente riferire a pochi ma terribili eventi. Anche le distruzioni del centro urbano in tempi recenti a causa delle colate laviche sono frutto di una storiografia fantasiosa. Tuttavia in epoca storica (forse nel 122 a.C. e nel 252) è testimoniata dal punto di vista archeologico la presenza di colate che giunsero a colpire parte della città. Tutti i monumenti antichi sono stati inseriti nel tessuto urbano della città ricostruita grazie a tanti artisti, anche di fama nazionale, tra cui di certo spicca l'opera dell'architetto Giovan Battista Vaccarini, che hanno dato alla città una chiara impronta barocca. Tra gli altri che hanno aiutato la rinascita della città si ricordano Francesco Battaglia, Stefano Ittar, Alonzo Di Benedetto e Girolamo Palazzotto.

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Là dove nasce il mito Monumenti barocchi Tra i principali monumenti barocchi si ricordano: Cattedrale di Sant'Agata Chiesa della Badia di Sant'Agata Chiesa di Sant'Agata la Vetere Chiesa di Sant'Agata alla Fornace o di San Biagio Chiesa di San Francesco Chiesa di San Benedetto Chiesa di San Domenico Chiesa di San Giuliano Chiesa di San Nicolò l'Arena Chiesa di San Placido Monastero della Santissima Trinità Basilica della Collegiata

Palazzo del Seminario dei Chierici e la fontana dell'Amenano Palazzo Biscari, Palazzo del Toscano Palazzo Reburdone Palazzo Gravina Cruyllas Palazzo Bruca Palazzo Fassari Pace Palazzo Valle Villa Cerami Porta Uzeda Porta Ferdinandea Fontana dell'Elefante Convitto Cutelli Palazzo degli Elefanti Basilica della Collegiata - Catania

I monumenti patrimonio dell’ Unesco della città di Catania sono:

Badia di S. Agata Piazza Duomo via dei Crociferi Collegiata Monastero Benedettino di S. Nicolò la Rena

Catania - Via Crociferi

Catania - Monastero dei Benedettini

Catania - Panoramica

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Là dove nasce il mito Catania - Piazza Duomo

Chiesa della Badia di Sant'Agata

La Chiesa della Badia di Sant’Agata è una chiesa di Catania e uno dei principali monumenti barocchi della città, opera di Giovanni Battista Vaccarini. La chiesa si trova di fronte al prospetto nord della cattedrale, affacciata sulla via Vittorio Emanuele II, e occupa, insieme all’annesso ex monastero (oggi di proprietà comunale) un intero isolato. La morbida tela del prospetto, mossa dal ritmo di onde leggere, cattura su di sé l’attenzione altrimenti distratta dalle altre macchine barocche del Duomo, della fontana dell’Elefante e del palazzo municipale. L’edificio che oggi vediamo poggia sulle rovine dell’antica chiesa e convento dedicati a Sant'Agata, nel 1620, da Erasmo Cicala e crollati a causa del terremoto del 1693. Catania - Badia di S. Agata

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Là dove nasce il mito Cattedrale di Sant'Agata La Cattedrale di Sant'Agata è il duomo di Catania ed è ubicata sul lato est della omonima piazza. È dedicata a Sant'Agata, la santa, vergine e martire, patrona della città di Catania. Il tempio è stato più volte distrutto e riedificato dopo i terremoti e le eruzioni vulcaniche che si sono susseguite nel tempo. La prima edificazione risale al periodo 1078-1094 e venne realizzata sulle rovine delle Terme Achilliane risalenti ai Romani, su iniziativa del conte Ruggero, acquisendo tutte le caratteristiche di ecclesia munita (cioè fortificata). Già nel 1169, un terremoto catastrofico la demolì quasi completamente, lasciando intatta solo la parte absidale. Nel 1194 un incendio creò notevoli danni ed infine nel 1693 il terremoto che colpì il Val di Noto la distrusse quasi completamente. I resti normanni consistono nel corpo dell'alto transetto, due torrioni mozzi (forse coevi al primitivo impianto) e le Cattedrale di S. Agata tre absidi semicircolari, le quali, visibili dal cortile dell'Arcivescovado, sono composte da grossi blocchi di pietra lavica, gran parte dei quali è stata recuperata dall'anfiteatro romano[senza fonte]. Porzioni di muro d'ambito e il muro di prospetto sono stati inglobati dalla ricostruzione settecentesca.

Esterno L'edificio attuale è opera dell'architetto Gian Battista Vaccarini che disegnò la facciata, in stile barocco siciliano, riedificata, nel 1711, dopo il terremoto del 1693. Il prospetto è a tre ordini compositi in stile corinzio e attico completamente in marmo di Carrara. Il primo ordine è costituito da sei colonne di granito di fattura antica provenienti forse dal Teatro Romano. Il secondo ordine ha anch'esso sei colonne grandi e due piccole poste ai lati dell'ampio finestrone centrale. Tutti gli ordini sono adornati con statue marmoree di sant'Agata al centro sulla porta centrale, sant'Euplio a destra e san Berillo a sinistra. Le due grandi finestre ovali ai lati sono accompagnati dai due acronimi riferiti alle frasi legate al culto della Santa: MSSHDEPL e NOPAQVIE.

Il Campanile, opera dell'architetto Carmelo Sciuto Patti

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Là dove nasce il mito Il portone principale in legno è costituito da trentadue formelle, finemente scolpite, illustranti episodi della vita e del martirio di sant'Agata, stemmi di diversi papi e simboli della cristianità. Ai lati della porta centrale, su due alti supporti, sono poste le statue in marmo di san Pietro e san Paolo. La cupola, posta sull'abside, risale al 1802 ed è munita di colonne e ampi finestroni che illuminano la chiesa. Il campanile fu costruito per la prima volta nel 1387 alla sinistra del prospetto, arretrato di circa 70 metri rispetto alla facciata ed era alto oltre 70 metri. La torre a base quadrata misurava circa 15 metri di lato. La sua storia è molto accidentata in quanto subirà diversi crolli e quindi molte riedificazioni. Nel 1662 venne ulteriormente innalzata per l'inserimento di un orologio e fu portata alla vertiginosa altezza di circa 100 metri. Ma l'11 gennaio del 1693, a causa del forte terremoto che investì la città, crollò, travolgendo anche la chiesa: sotto le sue macerie morirono oltre 7.000 fedeli raccolti in preghiera. Venne riedificata assieme alla chiesa dopo il terremoto del 1693, con alla sommità la campana maggiore fusa nel 1619 del diametro di 1.80, caduta dalla torre nel corso del terremoto ma rimasta integra, unitamente alla campana del popolo del 1505. Tra il 1868 e il 1869 l'architetto Carmelo Sciuto Patti realizzò il campanile e la lanterna della cattedrale di Catania. Si accede al sagrato attraverso una scalinata in marmo che culmina in una cancellata in ferro battuto ornata con 10 santi in bronzo. Il sagrato è diviso dalla piazza del Duomo da una balaustra in pietra bianca ornata con cinque grandi statue di santi in marmo di Portone - particolare Carrara. Cattedrale di S. Agata - Particolare

Interno Il vasto e grandioso interno presenta una pianta a croce latina ed è ripartito in tre navate. Nella navata di destra, in una nicchia affrescata con un Battesimo di Gesù Cristo, si trova il battistero protetto da una cancellata in ferro battuto. Sul primo altare troneggia una tela di santa Febronia del Borremans. Di fronte all'altare, appoggiata ad uno dei dodici pilastri che separano la navata da quella centrale, si trova la tomba del musicista catanese Vincenzo Bellini. Il monumento funebre è in marmo bianco e bronzo e porta inciso l'incipit dell'aria de La Sonnambula: La navata centrale della Cattedrale

Ah! Non credea mirarti si presto estinto fiore”... Felice Romani

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Là dove nasce il mito

S. Agata, patrona della città. A lei vengono attribuiti numerosi miracoli.

S. Agata « Tu che splendi in Paradiso, coronata di vittoria, Oh Sant'Agata la gloria, per noi prega, prega di lassù »

Il secondo altare ha una grande tela di san Carlo Borromeo, il terzo un quadro raffigurante sant'Antonio di Padova, il quarto una Sacra Famiglia con san Giovanni del pittore catanese Abbadessa e nel quinto altare un'immagine di santa Rosalia. Di fronte a questo altare, appoggiato ad un pilastro, è il monumento funebre del vescovo di Catania Orlando morto nel 1839. Nel lato destro della croce latina vi è il monumento funebre del vescovo dell'ultima ricostruzione mons. Pietro Galletti. Esso è il più sontuoso monumento della chiesa, tutto in marmo e riccamente decorato. Proseguendo si trova la cappella laterale dedicata alla Vergine dell'Incoronazione. In fondo alla navata di destra è la cappella più cara a tutti i catanesi. Protetta da un'alta cancellata in ferro battuto vi è la maestosa cappella dedicata a sant'Agata. Nella parete sinistra di essa si apre la porta dorata finemente decorata che da accesso alla camera sotterranea chiamata dai catanesi a cammaredda, dentro cui vengono custoditi il busto reliquiario di sant'Agata e lo scrigno con le sue reliquie. Nella cappella, decorata da un affresco che raffigura santa Lucia orante sulla tomba di sant'Agata per invocare la guarigione della madre inferma, vi è il monumento funebre del viceré Ferdinando Acugna grande devoto della martire Agata. Sull'altare della cappella è situato un bassorilievo rappresentante sant'Agata incoronata da Dio con san Pietro e san Paolo con gli evangelisti Matteo, Marco, Luca e Giovanni.

(Canto a Sant'Agata)

Festa di S. Agata

L'altare maggiore situato nell'abside centrale, in stile normanno, è contornato da un coro ligneo a 34 stalli risalente alla fine del XVI secolo dello scultore napoletano Scipione di Guido. Al centro dell'abside realizzata in pietra lavica dell'Etna e risalente alla prima edificazione della chiesa, è inserita una grande finestra monofora del XII secolo con una vetrata moderna. L'altare è in marmo policromo e sulla sommità è presente una base in argento atta ad ospitare il busto reliquiario di sant'Agata nel corso dei festeggiamenti in suo onore. Nella navata di sinistra esistono quattro monumenti funebri dedicati ad altrettanti vescovi di Catania. Alla fine del braccio di croce sinistro è ubicata la Cappella del SS. Crocefisso opera di Domenico Mazzola (1577).

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Là dove nasce il mito La cappella non è molto luminosa e contiene un grande crocifisso contornato da due statue della Madonna Addolorata e di san Giovanni. Altro elemento importante è una Via crucis. Nella cappella esistono altresì i monumenti sepolcrali di alcuni esponenti della casata aragonese: Federico III di Trinacria (il sarcofago è di probabile età romana), Giovanni, Ludovico, Costanza (quest'ultima moglie di Federico il Semplice). Tornando sulla navata di sinistra si trova il primo altare del messinese Antonio Subba con un San Pietro che consacra san Berillo. Segue il secondo con una tela del 1605 rappresentante il martirio di sant'Agata. Il terzo altare ha una tela del Borremans con un Sant'Antonio abate nel deserto. Il quarto altare presenta una tela del Tuccari con san Filippo Neri. Il quinto altare presenta una tela raffigurante san Francesco di Paola ed il sesto un dipinto di San Giorgio che uccide il drago. Il grande organo è del 1877, mi la sua parte lignea fu rifatta nel 1926 da Giambattista Sangiorgio e trasferito sulla parete interna della facciata a spese del cardinale Francica Nava.

Sulla stessa parete vi è la cantoria. Quando nel 1232 la città di Catania aderì ad una rivolta anti-sveva, che aveva unito diverse città siciliane, Federico II di Svevia, re di Sicilia, venne appositamente con un poderoso esercito per punire la città rivoltosa. Secondo la tradizione, re Federico, infuriato, ordinò di distruggere la città e di uccidere tutti i suoi abitanti, ma revocò l'ordine e si pentì del suo intento quando, assistendo ad una messa in cattedrale, lesse la frase miracolosamente apparsa sul suo breviario "Noli offendere Patriam Agathae quia ultrix iniuriarum est".

«Tutto ciò che la natura ha di grande, tutto ciò che ha di piacevole, tutto ciò che ha di terribile, si può paragonare all'Etna, e l'Etna non si può paragonare a nulla». (Dominique Vivand Denon, "Voyage en Sicilie", 1788)

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LĂ dove nasce il mito RAGUSA

Cattedra di San Giovanni Ragusa

Cattedrale di San Giovanni Battista La cattedrale di San Giovanni Battista è il principale luogo di culto di Ragusa, chiesa madre della diocesi omonima. La chiesa, prima del terremoto del 1693, sorgeva nella parte ovest dell'antico abitato di Ragusa sotto le mura del castello medievale, dove oggi si trova la chiesetta di Santa Agnese, edificata sulle sue rovine verso la fine del XVIII secolo. Gravemente danneggiata dal sisma, viene riedificata al centro del nuovo abitato di Ragusa nella contrada del "Patro". Il 15 aprile del 1694 fu posta la prima pietra e la chiesa dopo appena quattro mesi era completa, tanto che il 16 agosto fu aperta al culto con una solenne cerimonia cui presenziarono tutti i maggiorenti della Contea. Il breve tempo occorso per la costruzione indica che si trattava di una piccola chiesa, inadeguata alle esigenze del nuovo quartiere della città in espansione.

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Là dove nasce il mito Nel 1718 si iniziò, quindi, la costruzione nello stesso sito di una chiesa più grande. Due “capimastri” di Acireale, Giuseppe Recupero e Giovanni Arcidiacono, potrebbero aver svolto un ruolo progettuale, e alcuni particolari architettonici dei prospetti della chiesa di San Giovanni sono tipici dei monumenti barocchi dell'area Acese e Catanese, come le caratteristiche paraste bugnate o il monumentale portale maggiore (che presenta notevoli analogie con il portale marmoreo della Cattedrale di Acireale). Vi è anche presente una piazza. Descrizione «L'Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto» [...] «La purezza dei contorni, la morbidezza di ogni cosa, la cedevole scambievolezza delle tinte, l'unità armonica del cielo col mare e del mare con la terra...chi li ha visti una sola volta, li possede...rà per tutta la vita».

Esterno

La maestosa facciata, ricca di intagli e sculture e divisa in cinque partiti da grandi colonne, su alti basamenti, e da caratteristiche lesene bugnate che si ripetono anche nei lati della costruzione, è arricchita da tre portali: quello centrale è ornato da (J.W.Goethe, "Viaggio in Italia", 1817) colonne e statue di pregevole fattura che rappresentano l'Immacolata, il Battista e San Giovanni Evangelista. Davanti si apre un ampio sagrato, sopraelevato rispetto alla piazza sottostante e cinto da una balaustra in pietra pece costruita nel 1745. Nel partito centrale si trova il portale d'ingresso, affiancato da due coppie di colonne riccamente scolpite, che reggono un timpano spezzato; ai lati le statue di San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista e, al centro, in una edicola, la statua dell'Immacolata. Nel secondo ordine, più modesto rispetto al primo, risaltano due grandi orologi solari datati 1751 (quello a sinistra misura il tempo in "ore italiche": dal tramonto al tramonto; quello a destra in "ore francesi": da mezzanotte a mezzanotte). Sul lato sinistro del prospetto svetta il campanile che si innalza per circa cinquanta metri (del campanile che doveva essere costruito sul lato destro fu realizzata soltanto la base nel 1820).

Il campanile

Il Portale della Chiesa

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Là dove nasce il mito Interno L'interno, a croce latina, con presbiterio absidato, è in pietra pece, oggi intonacato, con capitelli riccamente scolpiti dal capomastro Carmelo Cultraro nel 1731 e successivamente dorati. Sopra le colonne si trovano grandi cartigli con i versetti della Sacra Scrittura che si riferiscono a Giovanni il Battista, scolpiti nella pietra calcarea da Crispino Corallo nel 1741, a cui successivamente vennero aggiunti gli angeli in stucco. Tra il 1776 e il 1777 Giuseppe Gianforma ed il figlio Gioacchino decorarono con pregevoli stucchi dorati di gusto rococò le volte delle navate e del presbiterio e nelle pareti dei transetti realizzarono delle grandi nicchie circondate da statue. A sinistra le Virtù teologali (Fede, Speranza e Carità) fanno da cornice alla Crocifissione mentre a destra le statue dell'Eterno Padre adorato dagli angeli circondano una tela raffigurante l'Adorazione dei Pastori, di scuola napoletana della metà del XVIII secolo. Terminate le decorazioni interne, il 30 maggio del 1778 la chiesa venne solennemente consacrata.

Interno

All'incrocio del transetto con la navata centrale, nel 1783, venne innalzata la cupola che, nei primi anni del secolo XX, fu rivestita con una copertura di lastre di rame, per eliminare le nocive infiltrazioni d'acqua piovana che

ne stavano compromettendo la struttura. Nella prima metà del secolo XIX gli altari delle navate laterali originariamente in pietra calcarea riccamente scolpita e dorata, opera degli intagliatori ragusani della famiglia Cultraro, sono demoliti e trasformati in piccole cappelle, in cui vennero posti dei sobri altari in marmi policromi. Nel 1848 viene realizzata la caratteristica pavimentazione costituita da lastre di pietra pece con intarsi in calcare bianco, mentre nel 1858 è costruito il grande organo "Serassi", con la sua monumentale cantoria in legno scolpito e dorato, oggi posta sopra la porta maggiore. Il 6 maggio del 1950, con la istituzione della diocesi di Ragusa la chiesa è divenuta cattedrale. Interno

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Là dove nasce il mito RAGUSA IBLA

Duomo di San Giorgio

Passando per Ibla, quello che ci sembra di vedere è un universo di pietre un labirinto di strade e stradine dove il reticolato fitto dell’impianto urbano è sopraffatto dalla maestosità delle decorazioni barocche. L’architetto Rosario Gagliardi,uomo valente e abile ,si dedicò alla ricostruzione di Ragusa e Ragusa Ibla ed è proprio grazie a questa figura di artista che oggi possiamo apprezzare ad Ibla una delle chiese più straordinarie del Barocco Siciliano. La chiesa a cui ci riferiamo è quella di San Giorgio, il bellissimo duomo, vanto di Ibla, riedificato sulle macerie delle chiesa di San Niccolò.Questo edificio assume in realtà un valore ben più ampio che quello di una semplice ricostruzione, si poneva infatti come una sorta di manifesto programmatico non solo a livello stilistico ma anche concettuale.

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Là dove nasce il mito

L’impresa a cui mirava Gagliardi era assai ambiziosa: egli voleva riqualificare il tessuto urbano proprio partendo da questo edificio e da questa piazza,fulcro e motore di ogni attività. Ecco perché San Giorgio svetta su una scalinata che chiude la piazza come fine di un percorso di ideale ascensione verso l’alto.La piazza diveniva metafora di un percorso quasi processionale come verso un agorà delle quale San Giorgio costituiva l’acropoli e il santuario. Oggi, i bellissimi disegni preparatori del Gagliardi sono conservati presso la sagrestia della chiesa stessa.

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ROSARIO GAGLIARDI Rosario Gagliardi maestro del Val di Noto del suo Valle,è forse il più originale tra gli architetti del 700 siciliano.Egli è il maestro della facciata Torre Siciliana (che si sviluppa in altezza e ingloba il campanile) e ciò lo avvicina agli architetti europei. Alcune anologie tra il San Giorgio di Ragusa e il San Giorgio di Modica e la Hofkirche di Dresda non sembrerebbero lasciare dubbi sull’ipotesi che ci sia stato un influsso diretto favorito dalla dominazione austriaca.

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Particolare della cupola impostata su un alto tamburo di colonne

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Là dove nasce il mito Nella realizzazione del Duomo, il Gagliardi voleva proferire all’interno dell’edificio uno slancio ascensionale cosa che ottenne grazie alla convessa torre campanaria a cui venne aggiunto un terzo ordine come cella che tramite una balaustra assumeva quasi la funzione di attico. Il Gagliardi, non si limitò solo ad accogliere influenze stilistiche siciliane,ma accolse stimoli provenienti da un importante architetto del continente, Guarino Guarini di cui trovò straordinariamente congeniale l’ampio respiro che riusciva a conferire ai suoi edifici.Osservando l’edificio ci appare una facciata riccamente decorativa nella quale il Gagliardi adopera grandi frontoni ricurvi,annulla le antitesi e conferisce alla struttura nuove valenze. Il portale centrale ci appare fastoso, modulato con la leggerezza di un merletto. La cupola è neoclassica ed è alta 43 m e venne realizzata successivamente da Carmelo Cutrano ( 1820), così come la scalinata venne prolungata nel 1876. Al suo interno, la pianta dell’edificio è a tre navate con croce latina e profonda abside sormontata da cupola. I pilastri sorgono sopra uno zoccolo di asfalto nero e lucido come marmo, ma la cosa che colpisce di più il visitatore sono alcune pale di altare di Vito D’anna : l’Immacolata del terzo altare di destra, l’ Angelo Custode nel corrispondente altare di sinistra e infine la tela più famosa la Gloria di San Niccolò collocata sull’altare del santo nel lato destro del transetto.

Vista di scorcio del primo ordine con la successione di colonne isolate dal piano di facciata

Particolare del coronamento laterale del secondo ordine con la voluta a spirale

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Là dove nasce il mito NOTO

Custodisca Iddio una casa di Noto, e fluiscano su di lei le gonfie nuvole! Con nostalgia filiale anelò alla patria, verso cui mi attirano le dimore delle belle sue donne. E chi ha lasciato l’anima a vestigio di una dimora, a quella brama col corpo fare ritorno… Viva quella terra popolata e colta, vivano anche in lei le tracce e le rovine! Lo anelò alla mia terra, nella cui polvere si son consumate le membra e le ossa dei miei avi. Ibn Hamdis

Città barocca per eccellenza, è ineguagliabile per la sua bellezza e la rappresentatività dei suoi edifici. Tutta la città è da considerarsi un unico monumento, potrebbe dirsi un “museo” d’architettura. La piccola “grande” Noto ha rivelato soprattutto grazie all’opera dell’architetto Rosario Gagliardi il proprio segno europeo, partecipando al movimento internazionale del barocco con una grande forza creativa ed un fortissimo senso dello spazio.

Cattedrale di San Nicolò La cattedrale di San Nicolò è il luogo di culto cattolico più importante di Noto e chiesa madre dell'omonima diocesi. L'edificazione della grandiosa basilica barocca ebbe inizio nei primi anni del Settecento, a seguito della ricostruzione post sisma del 1693. La facciata, la cui composizione va comparata con la parrocchiale di Versailles e le incisioni della chiesa di Saint Roch a Parigi, venne iniziata alla fine del 1767 (su un campanile è riportata la data 1768) su un progetto di Rosario Gagliardi . Le porte principali sono di ispirazione neocinquecentesca (tratte da Vignola o Domenico Fontana). Il finestrone centrale con "orecchie" e timpano curvilineo è ripreso invece dal repertorio di Andrea Pozzo ed è vicino ad alcune realizzazioni netine di Francesco Paolo Labisi (Chiesa del Carmine). Il prezioso monumento fu ultimato nel 1776, anche se nel secolo successivo fu ricostruita la cupola, in stile neoclassico con tracce neobarocche, per sostituirne altre due crollate a causa dei terremoti. Nel secolo scorso, intorno agli anni cinquanta, furono apportati vari rifacimenti e modifiche

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nell'apparato decorativo, non sempre ben riusciti, come il trompe-l'oeil delle strutture verticali e la decorazione a tempera delle volte da parte dei pittori Arduino e Baldinelli, le radicali modifiche dell'altare maggiore e dell'antico organo e inoltre la sostituzione dell'originaria copertura a falde della navata centrale con un pesante solaio latero-cementizio che probabilmente fu una delle cause principali del crollo del 1996. Infatti in seguito al terremoto del 13 dicembre 1990 la chiesa subì alcuni danni strutturali e si pensò di chiuderla al culto e di sottoporla a restauri.

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Noto Cattedrale

Tuttavia non si fece in tempo a prendere tali provvedimenti. La sera del 13 marzo del 1996, a causa di un grave difetto costruttivo (mai notato in precedenza) dei pilastri della navata centrale (riempiti "a sacco" con sassi di fiume anziché con conci in pietra squadrati), il primo dei piloni di destra che fa da sostegno alla cupola "per schiacciamento" rovinò al suolo, trascinando con sé nel crollo la cupola stessa e per effetto domino l'intera navata destra, la navata centrale e il transetto destro lasciando miracolosamente in piedi solo una piccola parte del tamburo. Fortunatamente non vi furono vittime, poiché a quell'ora la chiesa non era aperta al pubblico. Dopo il devastante crollo, quel che un tempo era stato il gioiello più splendido di Noto sembrava inesorabilmente perduto. Nel gennaio del 2000, dopo una prima fase di sgombero delle macerie, hanno avuto inizio i lavori di ricostruzione e di restauro, eseguiti da maestranze locali. Ultimo capitolo della ricostruzione della Cattedrale è stato l'elevazione della nuova cupola, pressoché identica all'originale: da essa differisce solo per piccole correzioni, come l'ispessimento di pochi millimetri della base del tamburo. La Cattedrale distrutta dal terremoto del 1996

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Là dove nasce il mito La nuova struttura di copertura della chiesa è stata ricostruita come era originariamente, con capriate in legno e manto in coppi siciliani, mentre le volte sono realizzate con il tradizionale incannucciato e gesso. Una volta completati i lavori di ricostruzione in muratura, sono stati ripristinati infine gli apparati decorativi in stucco, come capitelli, trabeazione e cornici. Per la ricostruzione sono state utilizzate pietre locali come la pietra calcarea bianca per le strutture verticali, l'arenaria per le strutture archivoltate e la pietra di Modica per la pavimentazione, assemblate però con moderni metodi antisismici. Proprio per migliorare la resistenza ai forti terremoti si è fatto ricorso infatti a materiali come la fibra di carbonio.

A conclusione di questo lungo e complesso lavoro di ricostruzione e di restauro dell'esistente, dopo undici anni dal crollo. La grandiosa facciata in pietra calcarea tenera è un meraviglioso esempio di stile tardo barocco, cui non mancano elementi eclettici ed una marcata aspirazione neoclassicista. Si erge sulla sommità di una scenografica scalinata composta da tre rampe risalenti al Settecento ma ristrutturate agli inizi dell'Ottocento. La tipologia della facciata è a torri laterali ed è riferibile ad alcune composizioni francesi del Settecento, cui si ispiravano gli architetti del tempo. È coronata da quattro statue tardo settecentesche (eseguite nel 1796 dallo scultore Giuseppe Orlando e raffiguranti gli evangelisti) e presenta nel primo ordine, fiancheggiati da slanciate colonne corinzie, tre maestosi portali: quello centrale è in bronzo e rappresenta episodi della vita di san Corrado Confalonieri da Piacenza, opera dello scultore siciliano Giuseppe Pirrone.

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Là dove nasce il mito

Cattedrale di Noto vista dall'alto

La planimetria è a croce latina e a tre navate. L'interno stupisce per la sua grandiosa semplicità: dopo i lavori di ricostruzione si presenta infatti completamente bianco, così com'era prima della realizzazione dei decori negli anni cinquanta. Nelle quattro cappelle della navata destra sono presenti le seguenti opere:

1) Fonte battesimale in marmi policromi, Immacolata con Santi Martiri, dipinto olio su tela (sec. XVIII); 2) Adorazione dei pastori, dipinto olio su tela, Giovanni Bonomo (1783); accanto all'ingresso laterale è stato ricomposto un mausoleo in marmo policromo del preposito Giovanni Di Lorenzo; 3) Madonna delle Grazie, bassorilievo in marmo dipinto (sec. XVI), decorazioni in stucco e sculture in stucco di S. Lucia e S. Agata, Assenza (1924); 4) Consegna delle chiavi a S. Pietro, dipinto olio su tela, G. Patania (1827). Sull'altare del transetto destro è collocata una statua lignea di S. Nicolò del XVIII secolo).

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Là dove nasce il mito La cappella di fondo della navata destra custodisce la preziosa arca d'argento cinquecentesca contenente le spoglie del Santo Patrono della città e della Diocesi di Noto il beato Corrado Confalonieri . Nelle cappelle della navata sinistra sono presenti le seguenti opere: 1) Miracolo di S. Francesco di Paola, dipinto olio su tela, attr. Costantino Carasi (sec. XVIII); 2) Spasimo di Sicilia, dipinto olio su tela, Raffaele Politi (1809); 3) Sacro Cuore, scultura lignea policroma; 4) Madonna e anime purganti, attr. Costantino Carasi (sec. XVIII), S. Michele, scultura in marmo di scuola gaginiana (sec. XVI). Sull'altare del transetto sinistro è collocato un Crocifisso, scultura in legno policromo proveniente dalla Chiesa della SS. Provvidenza in Noto Antica. Tantissimi sono i turisti che vengono a visitarla, e che arrivati a Noto scoprono una zona di immenso valore archeologico, monumentale, ambientale; realtà che formano la bellezza unica della Cattedrale di Noto e della vita che attorno ad essa si svolge.

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Là dove nasce il mito MODICA Fui giovane e felice un'estate, nel cinquantuno. Né prima né dopo: quell'estate. E forse fu grazia del luogo dove abitavo, un paese in figura di melagrana spaccata; vicino al mare ma campagnolo; metà ristretto su uno sprone di roccia, metà sparpagliato ai suoi piedi; con tante scale fra le due metà, a far da pacieri, e nuvole in cielo da un campanile all'altro, trafelate come staffette dei Cavalleggeri del Re... che sventolare, a quel tempo, di percalli da corredo e lenzuola di tela di lino per tutti i vicoli delle due Modiche, la Bassa e la Alta; e che angele ragazze si spenzolavano dai davanzali, tutte brune. Quella che amavo io era la più bruna. Gesualdo Bufalino

Modica - Cattedrale di S. Giorgio

Altro richiamo, per restare alla gola, è quello del cioccolato di Modica e quello di Alicante (e non so se di altri paesi spagnoli): un cioccolato fondente di due tipi – alla vaniglia, alla cannella – da mangiare in tocchi o da sciogliere in tazza: di inarrivabile sapore, sicché a chi lo gusta sembra di essere arrivato all'archetipo, all'assoluto, e che il cioccolato altrove prodotto – sia pure il più celebrato – ne sia l'adulterazione, la corruzione. Leonardo Sciascia in La Contea di Modica

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Modica, Chiesa di San Giorgio

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Là dove nasce il mito La Chiesa di San Giorgio La chiesa di San Giorgio di Modica svetta al sagrato da una scalinata lunghissima composta da 250 gradini. Le rampe, disposte in modo da formare un ovale, si susseguono le une alle altre alternate da spiazzi che consentono un breve riposo ed un ennesimo sguardo al tempio che, altissimo incombe sul suo visitatore. A seguito del terremoto avvenuto nel 1693 è stata costruita sulle rovine nel 1702 su un altro tempio intitolato “ AL MARTIRE CRISTIANO” voluto da Ruggero D’altavilla . Pare che il santo gli fosse apparso accanto durante la battaglia per la conquista di Modica, e così, portata a compimento la stessa, il gran Conte volle

ringraziare per l’aiuto ricevuto. Di rilevante importanza è la figura dell’architetto Rosario Gagliardi anche in quest’opera. Ci vollero 36 anni per costruirla, ma per la spettacolare facciata fu necessario un secolo e mezzo di lavori. Giuseppe Bellafiore in una guida sulla Sicilia si esprime così : “ la facciata ha ruolo dominante sulla circostante edilizia per la saldezza delle sue membrature per il corpo centrale in aggetto e’ superbamente svettante. e’ architettura tesa e pregnante e pur misurata e condotta vigorosamente a disciplina, la sua voce e’ alta e spiegata, variata doviziosamente nei toni e nel colore, dominante ampiamente la circostante atmosfera”.

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Là dove nasce il mito

Un teatro era il paese, un proscenio di pietre rosa, una festa di mirabilia. E come odorava di gelsomino sul far della sera. Non finirei mai di parlarne, di ritornare a specchiarmi in un così tenero miraggio di lontananze... Gesualdo Bufalino

Altare maggiore

Modica e tu, né picciola nel Regno, Né minima sarai nel Savio Mondo. Avrai fra eccelsi Ingegni umile Ingegno, Che il nostro canterà saper profondo. Concederatti il Ciel per merto degno, Nobiltà, Popol vasto, e Suol fecondo, Pari al Capo del Regno, i proprj Regj Preminenze daranti, e Privilegi Tommaso Campailla

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Là dove nasce il mito LEGGENDA Città di Ercole. Con questa definizione veniva citata Modica dal Seicento fino ai primi dell' Ottocento, nelle cronache e nei documenti dell' epoca. Ciò in virtù della leggenda di Ercole o Eracle, che si tramanda aver fondato in Sicilia tre città cui avrebbe dato il nome di Motia, in onore della bella donna greca che gli avrebbe indicato i posti dove trovare i buoi che gli erano stati sottratti. Il mito ci racconta che una delle leggendarie fatiche di Ercole, la decima, sia stata la cattura dei buoi rossi del gigante Gerione, in Spagna. Sconfitto Gerione, Ercole venne in Italia portando con sé le mandrie di buoi come trofeo in segno di trionfo, ma giunto in Sicilia questi buoi gli furono trafugati. Nei luoghi dove la donna indicò ad Ercole che il rapitore avesse nascosto i buoi, l' eroe nazionale greco fondò le tre città, la Mozia presso Capo Lilibeo, una Mozia vicino Agrigento, e per finire la nostra Mozia mediterranea, la quale non sta lungi dal Pachino, ma non presso al lido del mare. In realtà, anche il grande geografo alessandrino Claudio Tolomeo (sec. II d.C.) individuò la posizione geografica del sito e del suo fiume Mothukanus, chiamando la città MothukaMediterranea. Fin qui la leggenda.

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LĂ dove nasce il mito Modica Chiesa di San Pietro

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Là dove nasce il mito La Chiesa di San Pietro è secondo tempio della città di Modica, importante tanto quanto la Chiesa di San Giorgio. Collocata nel cuore della città bassa si pone come polo visivo lungo l’itinerario della via principale, contornata da palazzi e conventi, a ridosso del Castello dei Conti di Modica. Edificata verso la metà del sec. XIV, fu parzialmente danneggiata dal terremoto del 1613. Subito ricostruita con le offerte dei fedeli, venne completamente distrutta dal terremoto del 1693. In queste circostanze andarono dispersi i documenti relativi alla storia della chiesa nel corso dei precedenti secoli. L’origine, molto probabilmente, risale all’epoca di San Marziano, discepolo di San Pietro e primo vescovo di Siracusa. Si racconta che nella chiesa si conserva un blocco di calcare duro in forma di sedia vescovile chiamato Cattedra di San Marziano e che tale cattedra fu fatta seppellire dinanzi al fonte battesimale della chiesa. Il legame con San Marziano è confermato da un documento che si riferisce a un altare dedicato al Santo Vescovo nel 1480. La prima notizia relativa alla chiesa risale al 1308.

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Particolare della scalinata della Chiesa di San Pietro

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Là dove nasce il mito

La ricostruzione della chiesa cominciò qualche anno dopo il sisma, nel 1697, e il progetto e la direzione dei lavori vennero affidati ai capimastri Mario Spata e Rosario. La chiesa è a tre navate e fu ricostruita sulle stesse fondamenta della chiesa del Seicento. Dell’edificio seicentesco rimane, all’interno, la Cappella dell’Immacolata, attualmente sacrestia, dove è ancora leggibile la data 1620. La cappella è un vano quadrangolare con un’interessante copertura che rimanda a modelli costruttivi rinascimentali, analoghi a quelli della volta della cappella di San Mauro all’interno della Chiesa di Santa Maria di Betlem.

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Particolare dell'esterno

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Là dove nasce il mito I lavori di costruzione e decorazioni continueranno fino alla fine dell’Ottocento e oltre se si considera l’ultimo intervento della chiesa: la costruzione dell’organo, sistemato sopra il portale d’ingresso. Il prospetto tardobarocco, frutto di una concezione architettonica molto sobria e composta, con qualche concessione al gusto neoclassico, si staglia al sommo di una scalinata scandita dalle statue degli apostoli (ma al posto di Giuda, il traditore, è stato inserito S. Paolo). E’ arricchito da quattro statue di Santi e da una del Cristo, posta al centro, in alto, in un ovale radiante che chiude la cuspide. La sistemazione della scalinata esterna a rampe rettilinee è il risultato di vari adattamenti che si concludono nel 1876. Sono molti gli elementi interessanti dell’architettura. Innanzitutto la facciata con una superficie piana resa elegante dalle lesene diamantate del primo ordine e a losanga del secondo ordine, dalla minuta decorazione del finestrone centrale, dalle volute di raccordo a motivi floreali, dalle statue sistemate sul primo

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ordine e nella cuspide. Il valore estetico più rilevante dell’interno è dato dall’ampio spazio della navata centrale rischiarata da grandi finestre laterali e da delicati stucchi ottocenteschi; l’abside è resa monumentale dalle colonne binate con una impaginazione ancora seicentesca nel disegno, dagli altari incorniciati da colonne tortili e da tutte le opere di scultura, pittura, oreficeria conservate nella chiesa. In primo luogo la Madonna di Trapani, posta nella cappella di destra, un’opera in marmo riferibile al sec. XVI: una madre che offre un frutto al Bambino che tiene in braccio, lo sguardo rivolto in avanti, il collo leggermente allungato, la bocca socchiusa e i capelli sciolti sulla veste a fiori. Un riferimento particolare va fatto all’oreficeria. L’urna reliquiaria in argento reca la data 1643. Anche se, per il momento, mancano le fonti, la data può essere accettata, tenendo conto dell’impianto “architettonico” e dell’iconografia dei dodici apostoli che sono rappresentati in altorilievo sui quattro lati in nicchie incorniciate da lesene con cariatidi.

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Là dove nasce il mito

Nella nicchia sull’altare maggiore si trova una scultura lignea policroma dell’Immacolata. Ai lati dell’Immacolata, all’interno, di due nicchie le statue di San Pietro e San Paolo. Tutte le sculture sono opera di Pietro Padula un artista di indubbia qualità, napoletano, che le eseguì tra il 1773 e il 1775. Intorno agli anni ’80 del Settecento il pittore Giovan Battista Ragazzi affrescherà i riquadri della volta con scene e figure del Vecchio Testamento. Due interessanti tele secentesche anonime sono presenti all’interno della cappella Mazzara, la prima cappella della navata sinistra dedicata alla nobildonna che aveva lasciato per testamento parte del proprio patrimonio e delle rendite alla Chiesa di San Pietro.

Pulpito

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Là dove nasce il mito CALTAGIRONE A circa 70 km a sud ovest da Catania, tra i Monti Erei ed Iblei sorge Caltagirone, importante centro noto per la millennaria tradizione della produzione della ceramica. Caltagirone è una città d'arte, uno dei principali riferimenti dell'arte ceramica in Italia, una vera e propria perla che custodisce numerosi capolavori di grande rilievo grazie ai quali si è conquistata l'appellativo di 'Città della ceramica'.

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Là dove nasce il mito

La scalinata di Santa Maria del Monte venne costruita nel 1606 per collegare la parte antica della città con la nuova. Nacquero così i 142 gradoni della scalinata che dal 1954 è interamente decorata, nelle alzate dei gradini, con mattonelle di ceramica policroma prodotte da artisti locali. Simbolo della città e oggi famosa in tutto il mondo.

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LĂ dove nasce il mito

Domenico Dolce e Stefano Gabbana trovano il metodo per far convivere tutti insieme i riferimenti alla cultura, alla natura, all'arte e alla tradizione italiana. Visti con la lente di ingrandimento della Sicilia Domenico Dolce e Stefano Gabbana della Sicilia non sono solo appassionati, uno per provenienza e l'altro per scelta, sono i cantori che dell'isola danno una lettura di gusto attraverso la loro moda. Lo fanno anche con la collezione Dolce & Gabbana primavera-estate 2013 descrivendo una Sicilia allegra, solare, colorata, spensierata, disegnata, in cui il disegno della moda arriva a sottolineare e a rendere splendente anche quella parte di bellezza che potrebbe essere nascosta, che vuole preservarsi dagli sguardi troppo indiscreti.

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Là dove nasce il mito Chiesa Santa Maria del Monte

Sorge nella parte più antica dell’abitato ed era un tempo dedicata a Santa Maria Assunta. Più volte danneggiata e riedificata, la chiesa di Santa Maria del Monte, Matrice prima delle erezione della chiesa di San Giuliano come cattedrale, si trova in cima a lla famosa scalinata di Caltagirone che, costruita nel 1606, soddisfaceva l’esigenza di unire direttamente la Chiesa Madre con il Palazzo di Città. La chiesa fu successivamente restaurata e abbellita con i motivi che riprendono i vari stili che hanno caratterizzato nei secoli l’arte della ceramica a Caltagirone.

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Là dove nasce il mito La volta della navata centrale è decorata con affreschi raffiguranti eroine bibliche, Rebecca, Abigail, Giuditta e Ester, nelle quali la tradizione della Chiesa ha visto delle prefigurazioni di Maria la cui immagine è dipinta nella volta del presbiterio. Tali dipinti sono stati realizzati nella prima metà dell’Ottocento dai fratelli Vaccaro. Degli altari laterali sono da segnalare quello dedicato alla Madonna del Salterio, la cui statua marmorea è attribuita a Domenico Gagini ( 1420 ca.-1492), l’altare della Presentazione di Maria al Tempio con lo stemma gentilizio della famiglia Boscarelli Sturzo, e l’altare del Cristo alla Colonna, con la statua lignea realizzata nel 1592 dall’a rtista Paolo Nigro. La chiesa di Santa Maria del Monte è particolarmente cara ai cittadini di Caltagirone poiché in essa è custodita la Sacra Immagine della Madonna di Conadomini la cui devozione si esprime soprattutto nel mese di maggio interamente dedicato al culto di Maria. Si tratta di una tavola giunta a Caltagirone nella prima metà del 1200, dipint a da ambedue i lati: durante la novena e in occasioni particolari viene esposta l’immagine bizantineggiante di Maria SS. con in braccio il bambino Gesù; sul retro è invece raffigurato il Cristo morto che si erge dal sepolcro, con alle spalle il legno della croce. Il titolo Conadomini nella predicazione viene spesso interpretato come corruzione di Icona Domini, Maria immagine del Signore; in realtà deriva dal fatto che l’immagine era un tempo esposta all’interno di una Cona che normalmente ospitava l’immagine del Signore (Domini). Durante tutto il mese di maggio la chiesa si riempie di fedeli che rendono culto a Colei che è invocata come Patrona assieme a San Giacomo.

Veduta della città di Caltagirone

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LĂ dove nasce il mito Cattedrale di San Giuliano.

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Là dove nasce il mito Già agli inizi del 1300, la chiesa di San Giuliano era tra le più ricche della città. Edificata in epoca normanna ed intitolata al santo inviato dall’apostolo Pietro in Normandia, fu gravemente danneggiata durante i terremoti del 1542 e del 1693; oggi, alcuni resti dell’antica chiesa sono conservati presso il Museo Regionale della Ceramica di Caltagirone. Nel 1816, anno di erezione del Vescovado a Caltagirone, la chiesa di San Giuliano divenne cattedrale, cioè la chiesa principale presso cui è posta la cattedra, il seggio da cui il vescovo esercita il suo ruolo di maestro e di sommo sacerdote della Diocesi calatina. Il prospetto principale, realizzato agli inizi del novecento in stile liberty floreale, è dominato dalla splendida e imponente cupola recentemente rivestita di ceramica locale e dalla torre campanaria che raggiunge i 48 metri di altezza.

La cupola

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Là dove nasce il mito L’interno della chiesa è a tre navate. La volta è arricchita da una serie di affreschi, opera del pittore Giuseppe Vaccaro e datate 1862, che sviluppano il tema del passaggio dall’antico al nuovo testamento. A partire dall’ingresso si succedono il sacrificio di Abele, di Noè, l’incontro di Abramo con la prefigurazione di Cristo, Melchisedech, il castigo di Datan e Core che contestavano l’autorità di Mosè ed Aronne e il trasporto dell’Arca nel tempio di Gerusalemme; il racconto si interrompe con l’arco trionfale, su cui è un pregevole stucco con la rappresentazione allegorica della religione cristiana coronata dal triregno e con in mano l’ostensorio eucaristico e la croce e la scritta in latino: Et antiquum documentum novo cedat ritui; nel transetto altre due scene: la distruzione del tempio di Gerusalemme, vera fine del culto antico e la consegna delle chiavi a Pietro, chiamato a continuare la missione di Cristo; nella volta del presbiterio il momento fondante del nuovo culto, l’istituzione dell’Eucaristia con una raffigurazione che si ispira all’Ultima Cena di Leonardo da Vinci. Nella chiesa che si riunisce attorno al Vescovo continua il culto istituito da Cristo. Tra gli altari laterali, particolarmente caro alla pietà popolare è quello che conserva la statua lignea del Cristo morto che, assieme alla statua dell’Addolorata, il Venerdì Santo è portato solennemente in processione con fervore e religioso silenzio per le vie della città. Nell’altare di destra è presente un’urna del XVII sec. con il Simulacro della Beata Lucia da Caltagirone. Di particolare interesse è l’opera marmorea di Giandomenico Gagini raffigurante la madonna della Mercede.

Particolare dell’interno

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Là dove nasce il mito SCICLI « La città di Scicli sorge all'incrocio di tre valloni, con case da ogni parte su per i dirupi, una grande piazza in basso a cavallo di una fiumara, e antichi fabbricati ecclesiastici che coronano in più punti, come acropoli barocche, il semicerchio delle altitudini... »

Scicli dista 24 chilometri da Ragusa. Il suo territorio comunale si estende dal mare alle propaggini meridionali del tavolato ibleo. I paesaggi sono molto varî: si passa dalla costa (alternando quella bassa e sabbiosa a modeste falesie calcaree) coperta dalla macchia mediterranea ai pendii dolci di origine alluvionale dell'entroterra con ulivi, mandorli e carrubi fino a giungere ai rilievi calcarei della parte settentrionale e interna in cui sorge il capoluogo. Il territorio comunale è solcato da diversi corsi d'acqua i quali hanno tutti carattere torrentizio e pressoché stagionale fatta eccezione per l'Irminio; gli altri principali torrenti intercettano il centro di Scicli e sono il Mothucanus o torrente ModicaScicli, il torrente di S. Maria La Nova e quello di S. Bartolomeo. Nei millenni ognuno di questi ha scavato nel tavolato profonde gole che oggi caratterizzano il paesaggio. La città moderna è

adagiata nella conca in cui questi tre canyon confluiscono. « ... La via Mormino Penna, per la ricca presenza di edifici del Settecento, e il Palazzo Beneventano rappresentano un capolavoro del genio creativo umano dell'età tardo-barocca. Si può infatti dire che sia questa l'epoca che definisce nel complesso il continuum dell'ambiente urbano della via, in cui anche quegli edifici che appartengono all'Ottocento e al Novecento si sono adattati all'immagine prevalente... Palazzo Beneventano, il più famoso edificio nobiliare di Scicli ed uno dei più interessanti della Sicilia barocca, inserito dal Blunt nella sua rassegna sul barocco siciliano e successivamente notato da numerosi altri autori, è per la sua unicità anch'esso un capolavoro, in particolar modo per l'aspetto scultoreo che caratterizza le sue due facciate fastosamente decorate dai lapidici locali... »

Scicli è un centro del barocco ibleo del Val di Noto, Patrimonio dell'Umanità nella lista dell'heritage dell'UNESCO, tra i suoi principali monumenti è importante ricordare la Chiesa di San Matteo.

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Là dove nasce il mito Chiesa di San Matteo La chiesa di San Matteo, simbolo di Scicli è posta sul colle di San Matteo, sito della città vecchia. Una chiesa esisteva già nell'alto medioevo nello stesso punto dell'edificio attuale, la quale venne raffigurata da tele e incisioni conservate in diverse chiese di Scicli che raffigurano il colle di San Matteo, con la chiesa e la svettante torre campanaria posta a ridosso delle absidi.

Nel 1404 secondo la tradizione vi venne sepolto san Guglielmo eremita, nella Cappella dei Conti di Modica. L'attuale chiesa è frutto di una ricostruzione settecentesca succes siva al terremoto del Val di Noto del 1693. La chiesa fu duomo della città fino al 1874, anno dello spostamento della chiesa matrice nella gesuitica chiesa di Sant'Ignazio. L'edificio, lasciato in abbandono fu soggetto ad un rapido degrado, essendo stato privato totalmente delle coperture (volte e tetto).

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Là dove nasce il mito Negli anni novanta fu sottoposta a restauro, con la realizzazione di una copertura in cemento armato a forma di volta, che ha determinato problemi statici a causa del peso ingente e della differente risposta alle sollecitazioni dei materiali utilizzati. Per la costruzione dell'edificio, collocato sul pendio di una collina rocciosa, si è resa necessaria la realizzazione di una terrazza a sostegno delle strutture: gli spazi sottostanti la chiesa sono stati adibiti a cripta utilizzata per le sepolture. L'impianto è di tipo basilicale a tre navate di cinque campate, terminanti con il transetto sul fondo del quale si aprono tre absidi rettangolari. Sui quattro arconi che inquadrano il presbiterio si imposta l'anello della cupola. Il campanile è integrato nelle strutture del transetto destro.

La facciata a due ordini, rimasta incompiuta, mostra i caratteri salienti del barocco siciliano. Soprattutto nel partito centrale è possibile notare un uso plastico della superficie muraria e un forte dialogo di tensioni fra elementi liberi (colonne) e volumi (superfici murarie continue).

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È l'edificio ecclesiastico più antico della Città, alcuni storiografi ne fanno risalire la fondazione all'epoca paleocristiana, altri alla dominazione normanna. Di certo esisteva durante il Medioevo nello stesso sito una grande basilica a tre navate con un alto campanile collocato a sud, dietro le absidi; l'attuale pianta dovrebbe rispecchiare per sommi capi quella medievale: tre navate a cinque campate che sfociano in un ambiente centrico formato dal transetto e dalle tre absidi rettangolari.


Là dove nasce il mito MILITELLO IN VAL DI CATANIA Chiesa Matrice di S. Nicolò - SS. Salvatore La Chiesa Madre di Militello in Val di Catania vanta un'origine assai remota, tanto da risalire addirittura al tempo della dominazione bizantina in Sicilia (536-827 d.C.), come afferma il Padre benedettino Luigi Marra, insigne storico dell'800. Tale origine si ricava anche da una sentenza della Corte Giuratoria di Palermo, datata 29 luglio 1744 e depositata a Militello presso il Notaio Alfio Diana. Da quest'ultimo documento si deduce che questa Chiesa Madre dedicata a San Nicolò esisteva a Militello ancora prima del nono secolo dopo Cristo. Dopo l'invasione dei saraceni nell'827 d.C., che devastarono questo "Tempio", il Conte Ruggero I d'Altavilla, capo dei Normanni, riedificò la Matrice riconsacrandola al Vescovo di Bari. A quei tempi, la Matrice si trovava nella parte bassa dell'abitato, a poche decine di metri dal Castello dei Signori, nei pressi dell'attuale Largo San Nicolò il Vecchio. Nel corso dei secoli successivi, la fabbrica della Chiesa venne sempre più ampliata fino all'edificazione del campanile «il più bello che si vedesse in Sicilia», come disse lo storico Pietro Carrera. Alle ore 14 dell'11 gennaio del 1693, un violentissimo terremoto distrusse completamente la Chiesa Madre di San Nicolò ed il suo meraviglioso campanile. Scomparsa la vecchia Chiesa, si dovette riedificare la nuova. Temporaneamente fu la Chiesa della Catena ad "ospitare" la Matrice e successivamente toccò alla Chiesa di San Sebastiano. Il 6 dicembre del 1721, dopo 28 anni dal tragico terremoto, fu finalmente posta la prima pietra della nuova fabbrica. Il 20 marzo del 1740 la nuova Chiesa Madre fu benedetta ed aperta al culto e nel 1755 il sontuoso Tempio a tre navate venne completato nelle sue strutture principali, con una monumentale facciata disegnata dall'architetto catanese Francesco Fichera. Dal 1765 al 1776 fu completato il campanile dove, il 20 marzo, furono installate le campane della vecchia Matrice. La costruzione di questa nuova Chiesa Madre, fu definitivamente completata nel 1904 con la costruzione della cupola (alta ben 30 metri), prima opera in cemento armato della Sicilia orientale. La Chiesa Madre è ricca a dovizia di quadri, statue, paramenti, argenterie e cornici che costituiscono una buona parte del ricco ed importante patrimonio artistico militellese. Lungo le navate laterali sono collocati, fra gli altri, cinque altari di pregevole fattura, tutti provenienti dalla distrutta Matrice. Tra le statue primeggiano quella del SS. Salvatore (la cui festa si celebra il 18 agosto di ogni anno), scolpita nel 1818 dallo scultore palermitano Girolamo Bagnasco, e quella di San Nicolò, eseguita nel 1621 dal militellese Gian Battista Baldanza. Altre opere secentesche presenti sono quelle di San Giuseppe e di Santa Lucia. La Matrice vanta anche magnifiche tele, pregiati paramenti ed argenterie. Buona parte della "collezione" artistica della Matrice e delle Chiese ad essa connesse sono conservate ed esposte nei locali del Museo San Nicolò.

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Là dove nasce il mito PALAZZOLO ACREIDE Palazzolo deve la sua origine alla cittadina greca di Akrai, colonia fondata da Siracusa nel 664 a.C. in un sito poco distante dall’attuale centro. La cittadina si distingue per le tradizioni popolari e culturali: caratteristiche sono le feste religiose e le manifestazioni folkloristiche, che si snodano nel corso dell’anno.

Basilica di San Paolo

Dichiarata assieme alla chiesa di S. Sebastiano patrimonio dell'umanità da parte dell'UNESCO, la Basilica di S. Paolo venne edificata intorno alla metà del XVIII sec. al posto della piccola chiesa dedicata a Santa Sofia che in tale circostanza venne demolita. La chiesa venne in parte perfezionata nel 1657 allorché vi si trasferì la statua di S. Paolo che nel 1688 fu eletto, in apposita assise popolare, “Patrono principale” di Palazzolo. Il terremoto del 1693 distrusse la chiesa e la stessa statua di S. Paolo fu sepolta dalle macerie e danneggiata al momento del disseppellimento. Riedificata quasi immediatamente, ancor più grande e bella grazie alle elemosine dei confrati e dei fedeli, la Basilica esemplifica quello stupefacente gioco di rimandi,

tipico del pensiero urbanistico che guidò, nel primo '700, la rinascita delle città Iblee.

Festa di San Paolo

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Là dove nasce il mito

Per dare respiro alla facciata ed allungarne lo spazio prospiciente si acquistarono le case diroccate ed una grotta che si trovavano fra la

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chiesa e le pubbliche carceri. Si può supporre che tra il 1720 e il 1730 la chiesa fosse del tutto riedificata. La splendida facciata barocca di cui tuttora non si conosce l’architetto, fu edificata nell’ultimo trentennio del XVIII sec. . A tre ordini, con pronao e scenografica gradinata, si sviluppa in un poderoso gioco plastico di luci ed ombre che, alterna superfici continue a logge balaustrate.

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Là dove nasce il mito Tutto ciò che la natura ha di grande, tutto ciò che ha di piacevole,

Ajo visto el mappamondo Et la carta da navichare,

tutto ciò che ha di terribile,

ma Sicilia ben me pare

si può paragonare all’Etna

più bel isola del mondo.

e l’Etna non si può paragonare a nulla

Carmelo Trasselli

D. Vivand Denon Di te amore m’attrista, mia terra, se oscuri profumi perde la sera d’aranci o d’oleandri sereno, cammina con rose il torrente che quasi n’è tocca la foce. Ma se torno a tue rive e dolce voce al canto chiama da strada timorosa non so se inerzia o amore, ansia d’altri cieli mi volse, e mi nascondo nelle perdute cose. Salvatore Quasimodo

La verde isola trinacria, dove pasce il gregge del sole. Omero, Odissea Corso di formazione per organizzatore turistico

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Là dove nasce il mito SALVAGUARDIA DELL’UNICITA’ DEL VAL DI NOTO.

Il Quadro Comunitario di Sostegno 1994-1999 è un documento predisposto dall’UE il quale in uno dei suoi passaggi così recita : “La ricchezza del patrimonio storico e culturale dell’isola dovrà essere alla base della sua valorizzazione turistica. Dovrà essere compiuto un grosso sforzo per la conservazione di questo patrimonio. Saranno per tanto proseguite e rafforzate le azioni a favore del “Barocco” siciliano e dei parchi archeologici realizzate nel periodo precedente. Saranno possibili anche altri interventi nel settore dei beni culturali al fine di sviluppare un settore in cui la Sicilia mantiene grandi vantaggi : Quello del turismo culturale “Nel 1989 l’amministrazione regionale, ha già utilizzato fondi per l’intervento Straordinario ed ha approvato un progetto organico “ Per la conservazione dei beni architettonici e la realizzazione di infrastrutture per la valorizzazione turistica della Val di Noto” per un importo complessivo di lire 44.151.000.000 di cui lire 29.300.000 per lavori a base d’asta. Il pacchetto comprendeva:   

Opere di restauro conservativo Realizzazione di strade panoramiche Completamento dell’illuminazione del centro storico e delle zone costiere di Ispica. Acquedotto della fascia costiera di Ispica.

Il progetto risultava inserito nel finanziamento di cui alla legge 64/68, delibera CIPE del 3/08/1988 approvativa del secondo piano annuale di attuazione e l’intervento si collocava tra gli obiettivi fissati dal programma triennale di sviluppo. Oggi, alcuni degli interventi previsti sono stati già eseguiti mentre altri,con particolare riferimento alle opere di restauro conservativo e consolidamento , non sono stati realizzati. L’interesse di intervenire per salvaguardare il patrimonio barocco dell’isola non si è esaurito con il progetto di cui abbiamo appena parlato. Un altro progetto, infatti nel 1989 è stato approvato dal Comitato Tecnico Amministrativo Regionale che avrebbe dovuto essere finanziato con i fondi del F.I.O (fondi investimenti occupazione), purtroppo

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questo progetto non superò mai l’esame del nucleo di valutazione del ministero del bilancio costituito in quel periodo per la valutazione degli investimenti pubblici.

Uno dei monumenti abbandonati in Val di Noto

Nel Gennaio del 1991, pochi giorni dopo il sisma del Dicembre del 1990che interessò il territorio della Val di Noto, si insediò un comitato regionale per l’accertamento dei danni emergenti al patrimonio artistico e architettonico di quell’area al fine di individuarne gli interventi necessari alla conservazione del patrimonio medesimo. Fu predisposto un minuzioso e dettagliato elenco, comune per comune ,di monumenti con la quantificazione delle somme necessarie a finanziare i lavori per i danni subiti dai monumenti a seguito del sisma e furono al tempo stesso impugnate alcune somme, che potevano essere utilizzate sino ad un importo limite di 50 milioni di lire per pronti interventi e di somma urgenza sugli edifici monumentali delle province di Siracusa,Ragusa e Catania . Un altro programma di interventi era destinato alla protezione dei beni architettonici e monumentali riconducibili al Barocco. Per completare il quadro delle iniziative va ricordato il decreto legge 25 Marzo 1996 n°162 che prevede “interventi urgenti di protezione civile”.

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Là dove nasce il mito I PUPI SICILIANI “LU PUPARU “ Cu granni affezioni, amuri e fidi, stampa ‘nta scudi,testi,tigri e cruci. Fa spati, trullintani, e canta e ridi, picchì pri iddu ‘ddu misteri è duci. Quannu lu pupu è lestu e iddu vidi Ca è comu lu vosi e tuttu luci, pri tanta cuntintintizza quasi cridi, ca quantu prima ci veni la vuci. Vincenzo Esposito. Pupi (dal latino pupus,i che significa bambinello) sono le caratteristiche marionette armate di quel teatro epico popolare che, venuto probabilmente dalla Spagna di Don Chisciotte, operò a Napoli e a Roma, ma soprattutto, dalla prima metà dell’ottocento in Sicilia dove raggiunse il suo massimo sviluppo. Il teatro dei paladini non è dunque esclusivamente siciliano. Tuttavia, in Sicilia si è perfezionato ed ha avuto grande e duraturo successo fino agli anni 50 di questo secolo. I pupi siciliani si distinguono dalle altre marionette essenzialmente per la loro peculiare meccanica di manovra e per il repertorio, costituito quasi interamente da narrazioni cavalleresche derivate in gran parte da romanzi e poemi del ciclo carolingio. Questa forma di teatro popolare si rivolgeva al pubblico dei quartieri poveri della città e a quello dei paesi più piccoli. I gestori dei teatri muovono i pupi, li fanno parlare, talvolta li costruiscono, e dipingono per loro scene e cartelli e sono detti ‘opranti’, ‘teatrini’, o ‘pupari’. Essi si fermavano in un paese a rappresentare uno o più cicli che duravano mesi o anni di recite quotidiane, finchè il pubblico era stanco e occorreva spostarsi altrove.

Le marionette del Settecento venivano animate dall’alto per mezzo di una sottile asta metallica collegata alla testa attraverso uno snodo e per mezzo di più fili, che consentivano i movimenti delle braccia e delle gambe. In Sicilia, nella prima metà dell’Ottocento, un geniale artefice di cui ignoriamo il nome escogitò gli efficaci

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accorgimenti tecnici che trasformarono le marionette in pupi. Egli fece in modo che l’asta di metallo per il movimento della testa non fosse più collegata ad essa tramite uno snodo, ma la attraversasse dall’interno e - cosa ben più importante - sostituì il sottile filo per l’animazione del braccio destro con la robusta asta di metallo, caratteristica del pupo siciliano. Questi nuovi espedienti tecnici consentirono di imprimere alle figure animate movimenti più rapidi, diretti e decisi, e perciò particolarmente efficaci per “imitare” sulla scena duelli e combattimenti, che tanta parte avevano nelle storie cavalleresche.

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Là dove nasce il mito Esistono in Sicilia due differenti tradizioni, o “stili”, dell’Opera dei Pupi: quella palermitana, affermatasi nella capitale e diffusa nella parte occidentale dell’isola, e quella catanese, affermatasi nella città etnea e diffusa, a grandi linee, nella parte orientale dell’isola ed anche in Calabria. Le cronache raccontano che l’iniziatore dell’Opera a Catania fu don Gaetano Crimi (1807 - 1877), il quale aprì il suo primo teatro nel 1835.

Le due tradizioni differiscono per dimensioni e peso dei pupi, per alcuni aspetti della meccanica e del sistema di manovra, ma soprattutto per una diversa concezione teatrale e dello spettacolo, che ha fatto sì che nel catanese si affermasse un repertorio cavalleresco ben più ampio di quello palermitano e per molti aspetti diverso.

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Là dove nasce il mito La tradizione palermitana Dimensioni dei pupi: da cm. 80 a un metro di altezza. Peso: fino a Kg. 8 circa. Caratteristiche della meccanica: ginocchia articolate; se il pupo è un guerriero, la spada si può sguainare e riporre nel fodero. Sistema di manovra: dai lati, a braccio teso: gli animatori sono posizionati dietro le quinte laterali del palcoscenico e poggiano i piedi sullo stesso piano di calpestio dei pupi. Spazio scenico: superficie d’azione dei pupi più profonda che larga: la larghezza della scena è limitata dalla possibilità degli animatori di sporgersi dalle quinte senza farsi vedere dai lati. Concezione teatrale e dello spettacolo: più stilizzata ed elementare.

La tradizione catanese Dimensioni dei pupi: da cm. 80 fino a m.1.30 di altezza. Peso: fino a Kg. 35 circa. Caratteristiche della meccanica: gambe rigide, senza snodo al ginocchio; se il pupo è un guerriero, la spada è quasi sempre impugnata

Pupi Siciliani

nella mano destra. Sistema di manovra: dall’alto di un ponte posto dietro i fondali (‘u scannappoggiu): gli animatori sorreggono i pupi poggiando i piedi su una spessa tavola di legno sospesa a circa un metro da terra (‘a faddacca). Spazio scenico: superficie d’azione dei pupi più larga che profonda: gli animatori, cammi-nando sul ponte di animazione, possono seguire senza problemi il pupo per tutta la larghezza della scena. Concezione teatrale e dello spettacolo: più tragica, sentimentale e realistica. I più antichi opranti catanesi sono Stati Gaetano Crimi (1807-1877) e il suo antagonista Giovanni Grasso (1792-1863) il quale aveva imparato l’arte a Napoli.

Tomasi di Lampedusa nel “ Gattopardo “ diceva: “ Noi siamo dei “. Per Pirandello,invece” Siamo tutti pupi”,marionette,burattini,maschere “Agiti” fin dalla nascita,cosicché proprio i pupi ci consentono di comprendere il GRAN TEATRO DEL MONDO. Nell’opra dei pupi si ha la trasmissione dei codici di comportamento, dalle antichi origini, del popolo siciliano,codici quali la cavalleria,il profondo senso dell’onore,la lotta per la giustizia, per la fede e per l’amore. L’Unesco ha dichiarato il teatro dei pupi “ Capolavoro del patrimonio orale e immateriale dell’umanità”,attribuendo così per la prima volta forse,un simile riconoscimento ad una tipica espressione della cultura popolare. Le espressioni linguistiche che la caratterizzano,infatti,incontrano da sempre il fervore del pubblico che si sente coinvolto nelle storie narrate.

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Là dove nasce il mito C’era na vota…l’Opera de pupi N’cartellu cc na battaglia addisignata intra a n’tilaru all’ angulu di na strada chiddu era u signali cad da vicinu di l’opira de pupi c’era n’tiatrinu! Difatti trasennu intra a sta vanedda tingiuta di russu c’era na purticedda cu na lampadina di supra addumata pi fari e catanisi la chiamata! Comu la sala era china di vecchi e di carusi Ccu sucarri,calia,simensa e li gazzusi sunava lu tamburinu ,la luci s’ astutava e la sirata magica dda intra cominciava! Ntra lu sonu di chitarri e minnulini Traseva Carlu e li so paladini e mentri ieva avanti la sirata la genti era tutta estasiata! Ma comu Ganu faceva lu tradimentu la genti cchiù non aveva abbentu trunza, aranci,e scappi pronta a tirari picchi l’avuna piffozza addifittari! Oh lu gran scantu ca ogni carusu pruvava quannu Malagigi lu diavulu chiamava mentri tuttu lu pubblicu li manu abbatteva, quannu stragi di Saracini Orlandu faceva! Dopu tri atti la sirata fineva E mentri ca la genti a casa si nni ieva di la sirata faceva lu cummentu si era Orlandu o Rinaldu chiù fotti nto cummattimentu! Pi setti o ottu misi la storia durava e lu tiatru ogni sira si inchieva picchi l’episodi erunu belli e tanti e bravu lu parraturi e li so manianti! Ora tuttu chstu non c’è chiù,finiu e l’opira de pupi scumpariu e nta sta Sicilia senza chiù profumo di aranci e mannarini mossunu Carlu e tutti i Paladini! Gianni Sineri 2005

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Là dove nasce il mito DIETA MEDITERRANEA La dieta mediterranea è un modello nutrizionale ispirato ai modelli alimentari tradizionali di quattro paesi europei del bacino del mediterraneo: Italia, Grecia, Spagna e Marocco. Nel 2008 l'Italia ha presentato richiesta all'UNESCO affinché la dieta mediterranea venga inserita fra i patrimoni culturali immateriali dell’umanità, riconoscimento che riceve nel 2010.

Il medico nutrizionista italiano Lorenzo Pirrodi era considerato il padre della dieta mediterranea. Essa è un modello nutrizionale ispirato ai modelli alimentari tradizionali di tre paesi europei e uno africano del bacino del mediterraneo: Italia, Grecia, Spagna e Marocco. Nel 2008 l'Italia ha presentato richiesta all'UNESCO affinché la dieta mediterranea venga inserita fra i patrimoni culturali immateriali dell’umanità, riconoscimento che riceve nel 2010. Questo modello nutrizionale è stato abbandonato nel periodo del boom economico degli anni sessanta e settanta perché ritenuto troppo povero e poco attraente rispetto ad altri modelli alimentari provenienti in particolare dalla ricca America, ma ora la dieta mediterranea sta sicuramente riconquistando, tra i modelli nutrizionali, l'interesse dei consumatori e sta conoscendo una grande diffusione, specie dopo gli anni novanta, in alcuni paesi americani fra cui l'Argentina, l'Uruguay e alcune zone degli Stati Uniti d'America.

Questo modello nutrizionale è stato abbandonato nel periodo del boom economico degli anni sessanta e settanta perché ritenuto troppo povero e poco attraente rispetto ad altri modelli alimentari provenienti in particolare dalla ricca America, ma ora la dieta mediterranea sta sicuramente riconquistando, tra i modelli nutrizionali, l'interesse dei consumatori e sta conoscendo una grande diffusione, specie dopo gli anni novanta, in alcuni paesi americani fra cui l'Argentina, l'Uruguay e alcune zone degli Stati Uniti d'America.

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La dieta mediterranea ha un elevato consumo di pane, frutta, verdura, erbe aromatiche, cereali, olio di oliva, pesce e vino (in quantità moderate) ed è basata su un paradosso (almeno per il punto di vista del nutrizionismo tradizionale): i popoli che vivono nelle nazioni del Mediterraneo consumano quantità relativamente elevate di grassi ma, nonostante ciò, hanno minori tassi di malattie cardiovascolari rispetto alla popolazione statunitense, nella cui alimentazione sono presenti livelli simili di grassi animali.

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Là dove nasce il mito La spiegazione è che la gran quantità di olio d'oliva usata nella cucina mediterranea controbilancia almeno in parte i grassi animali. L'olio di oliva sembra infatti abbassare i livelli di colesterolo nel sangue; si pensa inoltre che il consumo moderato di alcool durante i pasti, sia un altro fattore protettivo, forse per gli antiossidanti contenuti nelle bevande alcoliche. Secondo lo studio, la dieta mediterranea diminuisce il tasso di mortalità della coronaropatia (malattia coronarica) del 50%. Inoltre la dieta mediterranea spiega che sarebbe meglio bere minimo 6 bicchieri d'acqua al giorno. In realtà il largo uso dei cereali è stato da alcuni criticato: « Fa comodo a molti spacciare l'abuso alimentare di amidi (pizze, pasta, patate) come "dieta mediterranea". Le abitudini alimentari delle popolazioni del bacino del Mediterraneo sono, meglio sarebbe dire erano, caratterizzate dal consumo di frutta, legumi, ortaggi, pesce, e olio d'oliva la cui pianta produttrice vegeta in modo rranea. esclusivo nell'area. Questo tipo di alimentazione, nella quale i cereali giocano un ruolo marginale è particolarmente idoneo a prevenire tumori e malattie cardiovascolari grazie all'elevato contenuto in fosfolipidi del pesce, degli acidi monoinsaturi dell'olio d'oliva, delle fibre e delle vitamine di frutta e verdura. I cereali vi sono compresi solo perché apportano energia di basso costo economico. Come si può ben capire, niente

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a che fare con certe merendine. Un posto privilegiato nella dieta mediterranea è occupato dai cereali integrali, e suoi derivati. Contrariamente a quanto il senso comune potrebbe indurre a pensare, questa classe non è e non deve essere rappresentata solo dagli alimenti pane, pasta e al massimo riso, ma è ottima cosa variare, coinvolgendo altri cereali spesso, purtroppo, poco considerati: mais, orzo, farro, avena. Spesso denominati "la carne dei poveri", per le caratteristiche che ci apprestiamo a leggere. I legumi sono ingiustamente esclusi molte volte, o comunque altamente sottovalutati. La loro funzione è duplice, giacché la loro composizione vede una discreta presenza di carboidrati a lento assorbimento (basso indice glicemico), ma soprattutto, se comparata con altri cibi vegetali, una corposa presenza di proteine. Una dieta equilibrata che comprenda l'associazione di cereali e legumi è completa dal punto di vista proteico, in quanto fornisce all'organismo tutto lo spettro amminoacidico necessario. I legumi hanno anche il merito di apportare discrete quantità di sali minerali, alcune vitamine e fibra alimentare. Le leguminose più diffuse sulle nostre tavole sono le lenticchie, i ceci, i fagioli nella loro varietà (borlotti, cannellini, di Spagna etc.), le fave, i piselli e i lupini.

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Là dove nasce il mito Generalmente la dieta mediterranea tende a consigliare un consumo di pesce più largo rispetto a quello della carne. Il pesce, d'altra parte, non ha potuto restare escluso dalle tavole mediterranee, proprio per la presenza dell'ambiente marino che ha plasmato e determinato la storia dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo.

È ormai consolidata l'opinione circa la quale è opportuno consumare quotidianamente la cifra ideale di 5 porzioni di frutta e verdura. Indubbi sono i vantaggi: questi alimenti generano un senso di sazietà a fronte di un ridotto potere calorico. Da sottolineare anche l'ingente quantità d'acqua che questi alimenti contengono, molto spesso superiore al 90% (nella frutta), caratteristica che dovrebbe tendere ad aumentare il consumo di questi cibi a maggior ragione nelle calde giornate estive mediterranee, per integrare adeguatamente i liquidi perduti. Molti frutti forniscono un imprescindibile e insostituibile contributo di vitamina C e acido ascorbico, una vitamina idrosolubile fondamentale per molteplici funzioni. Si raccomanda di consumare preferibilmente frutta di stagione.

Gode principalmente di ottime quantità proteiche, di acidi grassi essenziali e alcuni sali minerali. Quanto alla carne, si tende a preferire quella bianca (pollo, tacchino, coniglio) a quella rossa. Ricca in proteine, vitamine e sali minerali, la componente lipidica (grassi) dipende fortemente dall'animale di provenienza e anche dalla parte dell'animale. Secondo degli studi la dieta mediterranea ha effetti protettivi sul cervello, contribuendo a prevenire il declino cognitivo; essa è molto importante per i suoi effetti benefici sulla salute. Dopo essersi rivelata protettiva nei confronti di malattie cardiovascolari, tumori e probabilmente di allergie e asma, lo studio ne segnala i potenziali effetti protettivi sul cervello. Questi alimenti sono famosi per l'apporto di proteine in quantità, e per le qualità. Stando alle scale del valore biologico delle proteine dei singoli alimenti, l'uovo ha una posizione privilegiata, seconda soltanto al siero del latte. È doveroso differenziare le due componenti dell'uovo: il tuorlo (contenente grassi e colesterolo, ma anche vitamine e sali minerali) e l'albume (contenente proteine). Il latte è fonte di sali minerali, di vitamine e di proteine.

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Secondo degli studi la dieta mediterranea ha effetti protettivi sul cervello, contribuendo a prevenire il declino cognitivo; essa è molto importante per i suoi effetti benefici sulla salute. Dopo essersi rivelata protettiva nei confronti di malattie cardiovascolari, tumori e probabilmente di allergie e asma, lo studio ne segnala i potenziali effetti protettivi sul cervello. Il 16 novembre 2010, l'Unesco ha incluso la dieta mediterranea nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell'Umanità, accogliendo la proposta presentata nel 2009 - dal Gruppo di lavoro Unesco del Ministero delle Politiche Agricole coordinato dal professor Pier Luigi Petrillo (che in precedenza aveva ottenuto l'iscrizione de "Le Dolomiti" nella prestigiosa Lista dell'UNESCO). Con questo riconoscimento, l'UNESCO ha affermato il valore culturale di questo grande patrimonio dei popoli del Mediterraneo. La Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell'UNESCO è stata introdotta con una Convenzione internazionale del 2003 e si differenzia profondamente per l'altra Lista dell'UNESCO -quella dei siti e dei beni materiali.

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Là dove nasce il mito Bibliografia Capitoli I - II – III - IV Castellucci M. C., “Modica” in Kalos 11, novembre 1995, pp. 37-52 Castellucci M. C., “Palazzolo Acreide” in Kalos 2, febbraio 1998, pp. 7-22 Consolo V., “Il barocco in Sicilia: la rinascita del val di Noto”’, Bompiani editore, 1991 Fernandez D., “La Sicilia ricercata, Val di Noto”, Leopardi Bruno editore, 2000 Giuffrè M, “Barocco in Sicilia”, Arsenale editrice, 2006 Grimaldi R. V., “Il duomo di Ragusa”, in Kalos 10, ottobre 1997, pp. 5-16 Nobile, “Protagonisti, descrizione val di Noto”, in Kalos 5, settembre/ottobre 1993, pp. 14 Note di relazione, “Dal dire al fare” in Kalos 2, marzo/aprile 1996 pp. 19 Note di relazione, “Lo spettacolo della città” in Kalos 2, supplemento marzo/aprile 1996 Note di relazione, “Noto, fatti non parole” in Kalos 2, marzo/aprile 1996 pp. 18 Piazza D. V., “Il duomo di Catania” in Kalos 7, luglio 1997, pp.5-16 Ridulfo F., “Week-end a Caltagirone”, in Kalos 12, dicembre 1997, pp. 73-85 Tobriner S., “La fragile bellezza di Noto”, in Kalos 4, luglio/agosto 1996, pp. 4-9 Trigilia L., “La valle del barocco, le città siciliane del Val di Noto Patrimonio dell’umanità”, Domenico Sanfilippo editore, 2002

Capitolo V Arcidiacono G., “L’opera dei pupi in Sicilia”, Fondazione culturale ‘Salvatore Sciascia’ editore, 2008 Arcidiacono G., “L’opera dei pupi, origine e storia”, Fondazione culturale ‘Salvatore Sciascia’ editore, 2008 Per l’Opra catanese: Longo M., “Pupi e pupari”, Greco, 1980 Maiuri M.A., “Noi pupari”, Tip. Urzi, 2006 Per l’Opra palermitana: Croce M., “Pupari”, Flaccovio 2003 Cuticchio M., “Guida all’opera dei pupi”, Ass.ne Figli d’Arte Cuticchio, 1998 Cuticchio M., “Pina Patti Cuticchio”, Ass.ne Figli d’arte Cuticchio, 2000

Capitolo VI Piccini F., “La dieta più antica del mondo. Come ritrovare la linea seguendo la vera dieta mediterranea”, Brossura 2013

Sitografia http://www.patrimoniounesco.it http://www.comune.catania.it http://it.wikipedia.org/wiki/Dieta_mediterranea http://www.cattedralenoto.it D&G http://www.palermomania.it

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