Spelaion 2008

Page 1



Storie di speleologi e di altri frequentatori di grotte

Questo volume raccoglie i lavori presentati al XIII Incontro Regionale della Speleologia Pugliese Spelaion 2008, tenutosi il 6-7-8 dicembre 2008 presso Masseria Torre Nova (Porto Selvaggio, Nardò - LE)

Gruppo Speleologico Neretino ONLUS Piazza Mercato n° 13 - 73048 Nardò (LE)

1


Grafica ed Editing: Sandro Marasco. Curatori del volume: Leonardo Beccarisi, Marco Delle Rose, Francesco Giuri. Redazione: Massimiliano Beccarisi, Aniello De Razza, Vittorio Marras, Marcello Emilio Posi. Il logo di Spelaion 2008 è stato realizzato da Nicoletta Nobile. Foto del XIII incontro regionale di speleologia: Cosimo Beccarisi, Toni Danieli, Marco Delle Rose. Dove non specificato le foto sono degli Autori dei capitoli. La riproduzione fotografica dei poster delle precedenti edizioni di Spelaion è di Aristide Mazzarella. Spelaion 2008 non si sarebbe potuto realizzare senza l’instancabile prodigarsi di: Damiano Caputo, Salvatore Chetta, Angela Giannini, Antonio Giannuzzi, Giovanni Lisi, Erica Lisi, Vincenzo Macrì, Sergio Mele, Marco Patianna, Maurizio Pergola, Gianluca Rondine, Elio Quaranta, Gianfranco Quarta, Anna Lisa Signore, Claudio Tempesta, Francesco Tempesta, Emanuele Tramacere, Giampiero Tondo, Andrea Vitale. Stampa Editrice Salentina - Galatina. Spelaion è una manifestazione organizzata annualmente dalla Federazione Speleologica Pugliese. L’edizione del 2008 è stata curata dal Gruppo Speleologico Neretino con il patrocinio di: Commissione Italiana Pianetaterra, Regione Puglia, Provincia di Lecce, Comune di Nardò, Parco Naturale Regionale Porto Selvaggio e Palude del Capitano, Società Speleologica Italiana, Federazione Speleologica Pugliese, Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico, Società Italiana di Geologia Ambientale, Ordine dei Geologi, Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica, Consiglio Nazionale delle Ricerche. Sponsor commerciali di Spelaion 2008: Andrea Gatto parrucchieri, Bastone Salvatore servizi ecologici, BCC credito cooperativo, Bonsegna azienda agricola vitivinicola, Bruno Cesare srl, Conad Nardò, ISG srl Nardò, Kong Italy speleo & canyoning, Mebimport bevande e servizi, Neretum panificio biscottificio, Ottica De Tommasi, Quarta caffè Lecce. Il presente volume è stato prodotto e finanziato dal Gruppo Speleologico Neretino, sul cui bilancio gravano le spese di stampa. In copertina: Discesa nella Grotta Grande del Ciolo, marzo 2011 (M. Beccarisi) Quest’opera è stata rilasciata sotto la licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 3.0 Italia. Per leggere una copia della licenza visita il sito web http://creativecommons.org/licenses/ by-nc/3.0/it/.

2


Gruppo Speleologico Neretino ONLUS Piazza Mercato n. 13 - 73048 Nardò (LE) www.gsneretino.it

Storie di speleologi e di altri frequentatori di grotte

2011

3


4


Indice

1

Presentazione

Pag. 8

2

Nel ricordo di Franco De Pace. Trascrizione dell’intervento di Carlo Bollino

Pag. 20

Premessa

Pag. 24

3

Storia della Speleologia salentina. 1° contributo: Origini e nascita dell’associazionismo speleologico Nini Ciccarese

Pag. 26

4

..a proposito di Naica Francesco Lo Mastro

Pag. 28

Progetto Kronio. Le Stufe di San Calogero

Pag. 38

5

Implicazioni speleologiche in archeologia Giampiero Dantoni

6

Studi e ricerche speleologiche sul sistema degli ipogei di Masseria Lo Noce (TA) Pag. 50 Arcangelo Fornaro, Antonio Vincenzo Greco, Aurelio Marangella, Patrizia Maranò, Angelo Nuzzo, Mario Parise, Gian Claudio Sannicola

7

Vigili del Fuoco e Gruppo Speleologico Neretino nelle cave di Gallipoli Alessandro Polimeno

Pag. 58

8

Progetto di attivazione della rete di monitoraggio con sensori laser installati in cave sotterranee Centro Altamurano Ricerche Speleologiche

Pag. 70

Inghiottitoio del Bosco Meloso (La Grava del Minollo). Monti Alburni

9 10

Pag. 78

Alla scoperta del Salento “profondo”. La Discesa nella Vora di Barbarano Roberto Quarta

Pag. 80

Dove osano le anguille. Ovvero quello che abbiamo fatto e quel che resta da fare

Pag. 86

Raffaele Onorato

5

Pag. 40


Indice

11

Primo soccorso sanitario per speleologi Gianni Cacciatore, Alessandro Paolucci

Pag. 92

12

La grotta delle Fate (PU 151). Storia, morfologia e stato ambientale Claudio Calasso, Bruno Capilungo, Adriano Fiera, Paolo Negro, Yuna Salvati, Giorgia Vincenti

Pag. 98

13

Il GSN e le attività 2008 di attenuazione del rischio idraulico delle voragini di Nardò Marco Delle Rose, Marco Greco, Andrea Vitale

Pag. 106

14 15

Puliamo il buio in Puglia e in Italia

Pag. 112

La grotta del Soprador do Carvalho. “Un’occasione di collaborazione”

Pag. 114

Attività del GSL ‘Ndronico nel 2008

Pag. 115

La lunga notte

Pag. 116

Gli Atti del 45° Corso CNSS-SSI di 3° livello sulla Geomorfologia Carsica

Pag. 120

Le Grotte del Parco Nazionale del Gargano

Pag. 122

La “signora” di Monte Trazzonara Emanuela Devita, Valerio Puzzovio, Marco Barletta M arco Dentro il territorio neretino. Le masserie e Masseria Torre Nova Cosimo Beccarisi

Pag. 124

Pag. 126

Lo spazio della rappresentazione

Pag. 136

I First Nations del Canada (di Niccolò Marras)

Pag. 140

6


Indice

Il vin Brűlè e...l’alcool (di Gianni Cacciatore)

Pag. 144

Dentro la materia (di Cosimo Beccarisi)

Pag. 148

La sessione poster

Pag. 150

16

Ambienti ipogei in Salento. Aspetti biologici e culturali in una strategia di divulgazione integrata Pag. 152 ed innovativa Marcello Emilio Posi, Daniela Silvia D’Errico, Francesca Imperiale, Paolo Guidetti

17

I luoghi dell’acqua temporanea Paola Ernandes, Leonardo Beccarisi, Vincenzo Zuccarello

Pag. 172

18

Primo contributo alla conoscenza della vegetazione della Grotta Zinzulusa (Castro, Lecce) Delia D’Agostino, Leonardo Beccarisi, Stefano Siviero, Rosella Cataldo

Pag. 178

Monitoraggio microclimatico della Grotta Zinzulusa (Castro, Lecce). Primi risultati Delia D’Agostino, Leonardo Beccarisi, Stefano Siviero, Giorgio De Nunzio, Rosella Cataldo, Alfredo Castellano

Pag. 184

20

Software libero per la Speleologia Leonardo Beccarisi, SaLUG (Salento Linux Group)

Pag. 188

21

Gomme...da cancellare: la grotta che diventò discarica Gruppo Speleologico Vespertilio - C.A.I. Bari

Pag. 198

19

7

Passeggiata nel Parco di Porto Selvaggio e Palude del Capitano (di Massimiliano Beccarisi)

Pag. 202

“I manifesti delle edizioni di Spelaion 1996-2008”

Pag. 204

Epilogo

Pag. 209

Indice delle immagini

Pag. 210


8


Presentazione

O

gni anno gli speleologi pugliesi si radunano per discutere e confrontarsi sulle attività di esplorazione e ricerca. A tali incontri, denominati “Spelaion” e organizzati a turno dai gruppi riuniti nella Federazione Speleologica Pugliese (FSP), partecipano anche “altri frequentatori di grotte”, interessati a vari argomenti scientifici, tecnici e culturali. Il XIII incontro regionale Spelaion 2008 si è svolto, dal 6 all’8 dicembre 2008, presso Masseria Torre Nova, sede logi­ stica del Parco Naturale di Porto Selvaggio e Palude del Capitano. Questo volume è il resoconto di Spelaion 2008. Esso è finalizzato alla diffusione del sapere critico proprio della Speleologia, cioè del “racconto delle grotte” (dal greco spélaion=caverna e lògos=discorso) che è pratica esplorativa di ambienti “estremi” e, allo stesso tempo, disciplina scientifica affine alla geomorfologia ma con interessi relativi a numerosi altri settori della Conoscenza. Spelaion 2008 è stato organizzato dal Gruppo Speleologico Neretino (GSN), sodalizio che nel 1976 ha fondato, assieme ad altre storiche associazioni speleologiche pugliesi, la Federazione regionale. Prima di addentrarci nel resoconto del XIII incontro regionale, è opportuno quindi tracciare un profilo e un bilancio del GSN, al fine di fare emergere il carattere collettivo (di Gruppo) nella costruzione della conoscenza speleologia e le sue relazioni con la dialettica critica propria dei raduni della Federazione pugliese.

9

L

a nascita “ufficiale” della Speleologia in Puglia viene fatta coincidere con la scoperta delle Grotte di Castellana (23 gennaio 1938). Da questa iniziò, infatti, la catalogazione delle cavità naturali della regione. Nello stesso anno si ha notizia della costituzione del primo gruppo salentino con sede a Maglie (v. pag. 26). Dagli anni ’50 la ricerca speleologica pugliese si avvalse delle collaborazioni con l’Istituto Italiano di Speleologia (fondato nel 1927 a Postumia e poi trasferito a Castellana) e con il Centro Speleologico Meridionale, con sede a Napoli. In seguito speleologi di altre regioni, soprattutto friulani e piemontesi, condussero varie campagne esplorative, mentre l’associazionismo pugliese si organizzava in un numero crescente di gruppi. L’affiliazione al Centro Speleologico Meridionale nel novembre del 1972, spinse un gruppo di esploratori di Nardò a costituire il secondo sodalizio della provincia di Lecce, il Gruppo Speleologico Neretino. Era il tempo in cui le vie sotterranee del buio e dell’acqua si percorrevano ancora per mezzo di instabili pionieristiche scalette d’acciaio, benché le moderne tecniche di progressione su corda iniziavano a diffondersi. Come spesso avviene nelle associazioni speleologiche, i soci fondatori del GSN erano appassionati anche di Preistoria e in particolare delle conoscenze archeologiche celate nelle grotte. Nel territorio neretino, le ricerche sulla preistoria iniziarono nel 1961 rilevandosi, già con i primi sondaggi


Presentazione

1

Fig 1.1 - Sopralluogo esplorativo nelle condotte dell’antico acquedotto del Triglio, Statte (M. Delle Rose)

10


1

Presentazione

in cavità del tratto di costa tra S. Maria al Bagno e Uluzzo, di eccezionale importanza per lo studio delle culture paleolitiche. Le successive campagne di scavo aprirono nuovi orizzonti alla conoscenza dei primi abitatori del Salento, proiettando gli insediamenti neretini nel contesto della colonizzazione paleolitica del continente europeo. I depositi della Grotta del Cavallo (Baia di Uluzzo, v. foto a pag. 163) ben evidenziano l’evoluzione di un particolare modo di produrre strumenti che ha preso quindi il nome di Uluzziano. Datato da 30 a 35 mila anni, esso rappresenta l’ultima cultura dell’Uomo di Neanderthal. Nel 1995, la scoperta da parte del Gruppo Speleologico Neretino di un insediamento neolitico a Serra Cicora, ha permesso agli studiosi dell’Università di Lecce di approfondire le conoscenze su nuovi aspetti culturali. Sono attualmente diciassette gli insediamenti preistorici presenti lungo la costa di Nardò, di cui 9 in cavità. Essi costituiscono il Distretto Preistorico Neretino. A Spelaion 2008, il delicato e intricato tema dei rapporti tra la ricerca speleologica e quella archeologica è stato trattato da Giampiero Dantoni (uno dei soci fondatori del GSN) con una relazione dal titolo “Implicazioni archeologiche in speleologia” (v. pag. 41).

Il 1976 è stato un anno cruciale per la speleologia

della Puglia. Come accennato, venne istituita la Federazione Speleologica Pugliese per volontà dei gruppi speleologici regionali. Le priorità erano: uniformare la catalogazione e la conoscenza delle grotte pugliesi; promuovere l’emanazione di una Legge Regionale sulla Speleologia (risultato ottenuto dieci anni dopo - LR 32/1986). Questa legge è stata recentemente sostituita dalla LR 33/2009 “Tutela e valorizzazione del patrimonio geologico e ipogeo”, che eredita i principi della precedente e li integra con quelli di tutela, gestione e valo­ rizzazione della geodiversità regionali. In base a quanto stabilito dagli interventi normativi, la FSP rappresenta i gruppi speleologici pugliesi presso

11

le istituzioni statali e, come da statuto, persegue i seguenti obiettivi principali: salvaguardia dell’ambiente naturale carsico ipogeo ed epigeo; promozione della corretta interazione tra il mondo sotterraneo e quanti lo visitano per ricerca, studio o personale curiosità; catalogazione delle grotte pugliesi in un Catasto Regionale delle Grotte (in fase avanzata di attuazione); supportare le attività e gli interventi del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico nelle situazioni di emergenza e necessità. Attualmente la FSP conta 22 gruppi federati con centinaia di iscritti, ed ha sede presso il Museo Speleologico “Franco Anelli” a Castellana Grotte. Gli speleologi pugliesihanno censito oltre 2000 grotte nel territorio regionale e numerose altre in differenti contesti nazionali ed internazionali. Gli stessi hanno organizzato centinaia di campi e spedizioni speleologiche, decine di convegni e realizzato numerose scoperte talvolta sensazionali. Importante è anche il contributo alla realizzazione di strutture museali e centri di documentazione. La Federazione Speleologica Pugliese pubblica la rivista Itinerari Speleologici ed è affiliata alla Società Speleologica Italiana (SSI). La SSI, membro dell’Union International de Spéléologie (UIS), è a sua volta impegnata nella diffusione e nel progresso della speleologia ed è riconosciuta come Associazione di Protezione Ambientale dalla Repubblica Italiana.

U

na delle principali finalità della vita associativa dei gruppi speleolologici è l’avviamento di nuove leve alla pratica dell’esplorazione ipogea. Dal 1984 il GSN è sede della Scuola di Speleologia “Giorgio Provenzano”, riconosciuta dalla Commissione Nazionale Scuole di Speleologia della SSI. La scuola neretina organizza annualmente corsi di primo livello per mezzo dei quali gli allievi apprendono le nozioni di base della speleologia e maturano una più consapevole conoscenza del territorio. Un obiettivo generale degli speleologi è, infatti quello di portare a conoscenza della


Presentazione

1

Fig 1.2 - La Grotta della Notte: l’ultimo rilievo del GSN (M. Delle Rose, F. Giuri, A. Vitale)

collettività le sco­perte e gli studi condotti, anche per sensibilizzare l’opinione pubblica, circa le questioni ambientali con uno sguardo attento alle nuove generazioni. Nei corsi di speleologia di primo livello si insegnano le tecniche di progressione in grotta sia orizzontale che verticale (“su corda”), oltre che nozioni di Geografia, Geologia, Preistoria, Ecologia. I partecipanti ai corsi apprendono dunque come si forma una grotta, cosa è la falda idrica e perché le grotte non sono sistemi isolati ma connessi con la superficie.

N

el 1987 il GSN fonda il Museo Didattico di Preistoria, ampliato nel 2002 con le aree di interesse geologico, carsico e speleologico. Attraverso reperti, fossili ed accurate ricostruzioni, i visitatori

possono percorrere la storia evolutiva dell’uomo dal Paleolitico al Neolitico, comprendere le varia­ zioni climatiche degli ultimi 110 mila anni della penisola salentina, osservare piante e animali fossili ormai estinti. Al pari di altri gruppi speleologici di consolidata tradizione, il GSN si è fornito di un Biblioteca con migliaia di testi e riviste libe­ ramente consultabili. Dal 1994 il GSN stampa “SHUNT” bollettino d’informazione dell’attività del gruppo (Spelaion 2008 è stata distribuita la raccolta di tutti i numeri pubblicati su CD-ROM; il materiale è disponibile anche online www. gsneretino.it). Il GSN dal 1997 è iscritto al n°1 dell’Albo Comunale delle Associazioni. Nello stesso anno organizza a Castro, assieme al Gruppo Speleologico Salentino, la seconda edizione di

12


1

Presentazione

Spelaion (v. manifesto a pag. 205). Nel 1998 il GSN diventa ONLUS (Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale). Numerose sono state le iniziative culturali organizzate (mostre, proiezioni, incontri a tema e convegni) anche nel quadro di manifestazioni a carattere nazionale, come gli eventi annuali “L’Acqua che Berremo” e “Puliamo il Buio” promossi dalla SSI. Il mondo delle grotte, spesso impervio, rimane comunque inaccessibile ai più e soprattutto ai giovanissimi in età scolastica. E’ per questo che il GSN ed altri gruppi hanno scelto di fare della divulgazione un obiettivo statutario. La divulgazione talvolta si trasforma in didattica quando gli speleologi portano nelle scuole le proprie testimonianze. A Spealion 2008 è stato illustrato un contributo del Gruppo Puglia Grotte di Castellana su tale tipologia di attività (v. pagg. 112-113).

O

ltre che nel territorio salentino, le attività e­splorative del GSN si svolgono anche in altre zone d’Italia ed all’estero. Così, nell’estate del ‘92 gli speleologi pugliesi, e tra questi i soci del GSN, hanno avviato una serie di esplorazioni in Albania, determinando l’istituzione del relativo cata­ sto nazionale delle grotte. Gli speleologi ne­retini hanno effettuato inoltre campagne sui Balcani, sui Pirenei, in Grecia, in Giordania e anche oltreoceano in ambienti diversi da quello carsico. Lo speleologo Vittorio Marras ha condotto nel 2003 l’esplorazione e la ricognizione scientifica nel bacino di Isma in Giordania meridionale, in collaborazione con il Laboratorio di Ecologia del Quaternario diretto dal prof. Edoardo Borzatti. Inoltre il Team Esplorativo “AlaskCai 98”, che ha scoperto, esplorato e descritto tre immensi mulini glaciali nei ghiacciai nordamericani (fig. 1.3, pag. 14), si avvalse della partecipazione di uno speleologo del GSN (Gianni Cacciatore). Dell’impresa ne dette notizia Franco De Pace, il compianto giornali­sta di Nardò a cui Spelaion 2008 ha tributato un ricordo (v. pag. 20), in un articolo comparso sulla

13

Gazzetta del Mezzogiorno il 19 settembre 1998.

Scoperta, esplorazione e descrizione delle grotte

sono le premesse imprescindibili per lo studio dei fenomeni carsici ipogei. Gli speleologi sono innanzitutto i geografi del sottosuolo: esplorano e descrivono cavità sotterranee. Andrebbero quindi forse meglio indicati come “speleonauti” o “speleografi”, se non fosse che solo una profonda conoscenza dei processi di formazione ed evoluzione delle grotte (speleogenesi) consente di ipotizzare e verificare le direzioni di sviluppo delle grotte e quindi di accrescere scoperte e conoscenze. I territori carsici sono quelli maggiormente battuti alla ricerca delle cavità. E’ questo il legame principale tra Speleologia, intesa come pratica esplorativa e descrittiva delle grotte, e Carsismo che costituisce un settore delle discipline geomorfologiche delle Scienze delle Terra. Le grotte attraggono spesso l’attenzione degli uomini per via delle concrezioni (come stalattiti, stalagmiti, cortine, eccentriche) che le adornano, talvolta con forme suggestive e bizzarre. Per gli speleologi è anche interessante studiare i depositi di grotta, laddove possibile o necessario anche per mezzo di tecniche stratigrafiche specialistiche. Studi geomorfologici e stratigrafici sono quindi condotti sempre più spesso in ambienti carsici, permettendo così di formulare ipotesi sull’evoluzione geologica e ambientale, suggerire sistemi per la gestione delle risorse e l’antropizzazione dei territori carsici e analizzare le condizioni di propensione ai dissesti idrogeologici. In questi settori il GSN ha eseguito ricerche in collaborazioni con università ed enti di ricerca.

T

ra le forme carsiche di principale interesse del sodalizio neretino, le spunnulate (doline di crollo tipiche dei bassi pianori carsici delle aree costiere salentine) occupano senz’altro una posizione di rilievo. Gli studi eseguiti sulle spunnulate della costa ionica tra Gallipoli e Porto Cesareo hanno


Presentazione

1

infatti permesso continuano ad di ricostruire osservare, analizi processi geozare, studiare e morfologici confrontare grotte all’origine della e concrezioni, loro formazione eventualmente ed evoluzione, riformulando le evidenziando ipotesi di lavoro in particolare con il procedere l’incidenza dei dell’acquisizione processi ipercardei dati. sici (risultanti dal miscelamento tra li interessi acque marine e esplorativi e di acque di falda) ricerca del GSN nelle fasi di riguardano anche, individuazione e da lungo tempo, e sviluppo delle le grotte subaccavità. E’ stata quee. Praticata anche stabilita fin dagli anni ‘60 l’importanza dei da un numero sistemi di fratesiguo di appasture tettoniche sionati, la speleonel determinare logia subacquea le morfologie si è rapidamente carsiche di tali evoluta negli anni singolari con‘80 e ‘90 sino a Fig 1.3 - Esplorazione di un mulino glaciale in Alaska (AlaskCai ‘98) testi. Tra le grotte richiedere la conoricche di concrezioni, le Mannute (territorio del scenza di tecniche specialistiche e complesse. In Capo di Leuca) presentano condizioni partico- questi ambienti le normali regole e tecniche di larmente interessanti per lo studio dei processi di immersione risultano pericolose. Si è completaformazio­ne. Nella Grotta Piccola delle Mannute, mente dipendenti, più che in altre circostanze, oltre alle consuete concrezioni vadose (accresci- dall’attrezzatura e dal proprio stato psicofisico. mento per stillicidio) sono in fase di studio altre Molte grotte subacquee sono state scoperte, concrezioni con forme inconsuete, interpretate esplorate e rilevate dagli speleosub del GSN. come biocostruzioni di organismi fototropi in La prima zona ad essere oggetto di esplorazione base ad analogie morfologiche e petrografiche con sistematica è stata la costa neretina. Altre tappe altri depositi di grotta segnalati nella letteratura importanti sono state le esplorazioni di sifoni e scientifica. Per altre concrezioni (denominate risorgenze di complessi carsici degli Alburni e “a zampa di elefante”) era stata avanzata, e poi dell’Albania. Seguono poi le scoperte della Grotta superata in fase analitica, un’ipotesi di origine Lu Lampiune ad Otranto e del Complesso Franco per accrescimento freatico. Gli speleologi quindi De Pace a Serra Cicora. Nel corso di Spelaion

G

14


1

Presentazione

2008, Raffaele Onorato, già presidente del GSN, ha fatto il punto sullo stato dell’arte della speleologia subacquea salentina con “Dove osano le anguille...” (v. pag. 87).

U

n altro tema importante per il GSN è la Biospeleologia, lo studio della vita in ambiente di grotta. In Puglia le ricerche ebbero inizio negli anni ‘20 del secolo scorso con una serie di scoperte, tra cui quelle relative a Typhlocaris salentina e Spelaeomysis bottazzii, due crostacei endemici della Puglia. Da quel momento in poi, grazie al contributo di diversi ricercatori, le conoscenze sulla fauna ipogea si sono notevolmente arricchite, svelando un patrimonio zoologico costituito da numerose specie, molte delle quali esclusive della regione. Le ricerche botaniche partirono negli anni ‘60, più tardi quindi rispetto a quelle zoologiche. Esse si sono concentrate prevalentemente sulle Grotte di Castellana, allo scopo anche di indagare sulle colonizzazioni biologiche delle rocce esposte all’illuminazione artificiale. Da questi studi emerge un rilevante quadro conoscitivo relativo a batteri, funghi, alghe, muschi e felci. Come per la fauna, anche per la flora non mancano le specie endemiche, in particolare le alghe aerofile, tra cui Rhodoplax castellanae e Pleurochloris cavernicola. Così, è oggi noto che la Puglia vanta un ruolo di primo piano nell’ambito della Biogeografia del Mediterraneo. Il Gruppo Speleologico Neretino ha da tempo un ruolo significativo nel descritto percorso di ricerca. Dal 1986, infatti, o svolgendo direttamente l’attività di ricerca o come supporto tecnico per le indagini di campo, collabora con diversi istituti scientifici: il Museo di Storia Naturale di Verona, il Museo di Storia Naturale di Firenze, le Università dell’Aquila e del Salento. Nell’ambito di queste collaborazioni, si citano le ricerche condotte su Italodytes stammeri e Spelaeomysis bottazzii relativamente alla Zoologia, e quelle su felci di grotta (di cui Asplenium marinum ne è un esempio), relativamente alla

15

Botanica. Di particolare rilievo è stata la partecipazione degli speleosub del GSN all’esplorazione nel 1996 della parte sommersa della Grotta Zinzulusa (Castro), nel corso della quale fu scoperta una spugna troglobia, successivamente descritta con il nome di Higginsia ciccaresei. Tali ricerche, tuttavia, non si sono limitate al territorio pugliese. Nel corso delle esplorazioni delle grotte albanesi, negli anni 1992 e 1994, sono stati raccolti dati sulla fauna presente e si è giunti alla scoperta di una nuova specie di crostaceo: Albanogammarus inguscioi. Di rilievo sono inoltre stati i risultati delle in­dagini ecologiche compiute sulla biocenosi della grotta sottomarina delle Corvine unitamente a docenti e ricercatori del laboratorio di zoogeografia dell’Università di Lecce.

D

alla fine degli anni ‘90 il GSN ha concentrato i propri sforzi su studi floristici ed ecologici, avviando, di fatto, una campagna di ricerche mai effettuata prima nel Salento. Oltre un centinaio di grotte naturali ed artificiali del Salento sono state così indagate evidenziando la distribuzione delle specie botaniche negli ambienti ipogei in funzio­ne delle varie esigenze fisiologiche. Dal punto di vista biogeografico, le indagini hanno confermato la presenza nel Salento di specie non segnalate da oltre un secolo: tra queste Asplenium scolopendrium e Asplenium trichomanes, due felci forse un tempo più diffuse e che oggi appaiono confinate solo nei distretti ipogei. Altre specie sono risultate del tutto estranee al contesto salentino come Dryopteris affinis e Polystichum aculeatum, felci montane rinvenute all’interno di Vora Nuova Spedicaturo. Attualmente la sezione di Biospeleologia del GSN sta partecipando agli studi ecologici orientati agli aspetti conservazionistici del sistema idrico del Torrente Asso (un esteso sistema endoreico al centro del Salento), della Grotta della Zinzulusa (Castro) e del sistema carsico delle Spunnulate (sulla costa di Nardò e Porto Cesareo). A Spelaion 2008 alcune delle ricerche in corso sono


Presentazione

state esposte nella sala poster e illustrate nel presente volume in altrettanti articoli originali.

Il GSN, al pari di altri gruppi, è attivo da decenni

anche nei settori della Speleologia urbana (anche detta speleologia in cavità artificiali), e più in generale dei Beni Culturali, che rivolge il suo interesse agli ambienti sotterranei realizzati dall’uomo. Le indagini sono indirizzate all’individuazione geografica e tipologica dell’ipogeo, all’analisi delle tecniche progettuali e degli utensili impiegati, alla comprensione degli scopi primari e secondari che hanno motivato la realizzazione di tali opere, alla comparazione fra lo status attuale del territorio limitrofi e quello antecedente le modificazioni. La scoperta, lo studio e la documentazione di strutture ipogee dimenticate, talvolta perché ormai inutilizzate, rivestono grande interesse dal punto di vista storico, sociale ed antropologico. Quest’attività si è sviluppata in Italia a partire dagli anni ‘60, grazie alla ricchezza di reperti del nostro sottosuolo e all’intelligente curiosità culturale degli speleologi. Sono 126 gli ipogei antropici, tra frantoi, pozzi, cisterne, cripte e grotte “antropizzate”, ad oggi inseriti nel Catasto Regionale delle Cavità Artificiali dal GSN. Di particolare inte­resse è stata la ricerca sistematica e lo studio delle “troz­ze”: pozzi interamente scavati a mano alla ricerca dell’acqua sino a oltre 60 metri, la cui ori­gine è di difficile datazione ma senz’altro remota, essen­done stata ritrovata traccia in un documento del 1285. Gli studi condotti dagli speleologi ne­retini, pubblicati solo parzialmente, hanno messo in luce le tecniche di scavo e gli strumenti adoperati, tra cui lo sciammaro, piccone lungo e pesante con un’estremità a punta ed una a taglio. Sono state anche evidenziate falde idriche superficiali sospese, intercettazioni di cavità carsiche naturali, e le preziose stratigrafie osservabili lungo le pareti delle trozze, in un territorio avaro di affioramenti rocciosi naturali. Un capitolo a parte me­ritano gli ipogei artificiali

1

annessi a strutture insediative monumentali, come il Palazzo Marchesale di Matino o il Castello di Corigliano d’Otranto. Spesso la determina­zione delle funzioni di tali ambienti risulta infatti di complessa decifrazione. Alcuni dovevano in origine costituire cave di estrazione dei materiali lapidei necessari alla costruzione degli edifici; altri costituivano camminamenti di collegamento con l’esterno, probabili vie di fuga dalla minaccia di incursioni esterne, altri ancora cisterne e pozzi per l’approvvigionamento idrico delle genti. Costante e frequente è, inoltre, l’attività del GSN nei frantoi ipogei. Le decine di esplorazioni e osservazioni eseguite sono state sovente completate da rilievi topografici di dettaglio.

A

lcuni ipogei, sia naturali che artificiali, costituiscono beni di rilevante valore storico e sociale. Anche in tale ambito gli speleologi rivestono l’insostituibile ruolo di esploratori che spesso sconfina anche in quello di studiosi di aspetti storici, ingegneristici o archeologici. Tra i tanti, un esempio di cavità naturale che per usi e atti­ vità umane protratte nel tempo è stata elevata al rango di bene culturale è Grotta di Santa Maria della Rutta in agro di Presicce. In questo ipogeo, che rientra nel ciclo della civiltà rupestre medioevale e post-medioevale per la pratica del culto cristiano, il GSN eseguì nei primi anni novanta ricerche geomorfologiche e biospeleologiche. Benché da tempo inserita nel Catasto Regionale, il rilievo topografico di Grotta di Santa Maria della Rutta è stato quindi eseguito dal GSN nei primi anni del 2000, in concomitanza di studi condotti da ricercatori del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Lecce che hanno evidenziato l’imponenza del repertorio epigrafico conservato lungo le pareti della cavità e che spazia in un arco di tempo compreso tra l’età bizantina ed epoche recenti. Negli anni 2003-2004 il GSN è stato impegnato nell’esplorazione dell’Antico Acquedotto del Triglio (fig. 1.1, pag. 10), in

16


1

Presentazione

provincia di Taranto. Il Gruppo si è occupato in particolare della definizione dell’assetto idrogeologico dell’acquifero alimentatore in virtù di una apposita convenzione con la Facoltà di Ingegneria di Taranto (Politecnico di Bari). Sono state anche condotte ricerche strutturali e stratigrafiche in collaborazione con il Consiglio Nazionale delle Ricerche, avvalendosi delle tecniche di progressione speleologica nelle condotte d’acqua. Come già pubblicato nel 2006 sulla rivista dell’SSI Opera Ipogea, la complessità costruttiva dell’Acquedotto del Triglio è il risultato sia di adattamenti a differenti regimi climatici succedutisi nel tempo che di aggiustamenti conseguenti a dissesti idrogeologici occorsi in epoche remote. E’ stato inoltre constatato che una maggiore tutela dalle fonti di inquinamento potrebbe restituire all’antica opera idraulica la sua originaria funzione dispensatrice della risorsa più preziosa. Non mancano esempi

Fig 1.4 - Una pausa durante una grotta di “fine corso” (Archivio GSN)

17

di beni culturali ipogei soggetti a dissesti idrogeologici. E’ questo il caso delle Grotte della Poesia presso Rocavecchia. Il sito, di grande valore archeologico, si sviluppa principalmente in un ipogeo (la Grotta Piccola) a rischio di crollo a causa di processi erosivi legati al contesto marino costiero. Tra questi il GSN ha evidenziato problemi relativi ad una dissoluzione carsica qui particolarmente intensa per effetto dei già richiamati processi ipercarsici (v. pag. 14).

Gli speleologi svolgono ancora altri compiti con

finalità di utilità sociale, come per la prevenzione da rischi idrogeologici rivolta a persone, cose e ambiente, in ciò collegandosi alla più ampia atti­vità di protezione civile. Quest’ultima ha il compito di mantenere e migliorare il livello di sicurezza dei cittadini rispetto a danni e pericoli derivanti da eventi calamitosi. In Italia è coinvolta in questa


1

Presentazione

furono sgomberati. Il 30 marzo un episodio di parziale allargamento della voragine con crollo di alcune decine di metri cubi di roccia indusse allo sgombero di altri edifici adiacenti e fece salire a 36 il numero delle famiglie sfollate (140 persone interessate dalle relative ordinanze). L’IRPI CNR (Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica del Consiglio Nazionale delle Ricerche) e il nucleo SAF dei VVF (Speleo-Alpino-Fluviale dei Vigili del Fuoco), nei cui ambiti operano soci del GSN, hanno eseguito esplorazioni negli ipogei coinvolti e documentato all’Unità di Crisi la pericolosità di ulteriori evoluzioni del dissesto. Evoluzioni accadute puntualmente il giorno successivo durante lo sversamento di inerti e cemento nella voragine, triplicandone l’estensione areale ma fortunatamente senza procurare danni alle persone. Nel corso del 2007 SAF, GSN e IRPI CNR, hanno rilevato le cave ipogee accessibili e prodotto una prima cartografia dell’area che costituisce un Fig 1.5 - Una fase “dell’armo” di una grotta (Archivio GSN)

funzione tutta l’organizzazione dello Stato, dai Ministeri alle Amministrazioni periferiche, dagli Enti Pubblici al Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, e le Associazioni di volontariato. La Puglia è una delle regioni italiane maggiormente interessate da fenomeni di sprofondamento del suolo per cedimento e crollo di cavità naturali e antropiche. Nel Salento negli ultimi 17 anni sono stati infatti registrati oltre 15 eventi connessi a sprofondamenti di neoformazione o evoluzioni di dissesti già in atto. Tale frequenza è legata sia all’evoluzione di processi carsici che allo sfruttamento di risorse del sottosuolo e allo sviluppo di nuovi insediamenti sul territorio. L’ultimo eclatante episodio ha riguardato la formazione di una voragine a Gallipoli il 29 marzo 2007 (v. pag. 59), che ha ingoiato quasi istantaneamente tre automobili in sosta prive di passeggeri. Il bordo della voragine lambiva due edifici di tre piani che, anche a causa delle lesioni provocate dallo sprofondamento,

Fig 1.6 - … e giù in fondo ci si mette anche in posa (Archivio GSN)

18


1

Presentazione

Fig 1.7 - Spelaion 2008: un momento dell’incontro (C. Beccarisi)

documento fondamentale per valutare i rischi gravanti e programmare strategie di intervento. Dal novembre 2008 il GSN presta assistenza speleologica all’Autorità di Bacino di Puglia per un programma di monitoraggio e sorveglianza del dissesto. Attività analoga è effettuata anche dal Centro Ricerche Speleologiche di Altamura come illustrato durante Spelaion 2008 (v. pag. 70).

A

nche la protezione idrogeologica rappresenta un campo di interesse per gli speleologi. Le voragini con funzione di inghiottitoio hanno costantemente impegnato il Gruppo Speleologico Neretino da circa trentacinque anni a questa parte. Le attività di esplorazione, disostruzione e rilievo degli ipogei sono state affiancate da osservazioni e studi sui tributari idrologici, dapprima per la necessaria sicurezza della progressione nelle cavità e, in seguito, per la comprensione delle caratte­ ristiche geomorfologiche dei sistemi. Nondimeno,

19

anche la divulgazione dei risultati di esplorazioni e ricerche ha costituito una delle principali attività del GSN. Sono state così svolte azioni di protezione idrogeologica ante litteram, prima cioè della definizione e diffusione dei concetti di difesa del territorio e delle attività umane dai dissesti naturali o indotti. Nelle ricerche è emersa l’incidenza dell’intervento umano sia nel determinare l’assetto idrografico dei sistemi fluvio-carsici che nell’esporre a rischi risorse naturali, ecosi­ stemi, infrastrutture e attività sociali. Negli ultimi anni le attività di protezione idrogeologica degli speleologi neretini sono state svolte nei territori di Supersano, Salice Salentino, Mesagne, Surano, Parabita e soprattutto Nardò lungo il tratto finale del Canale Asso, a cui è dedicato il contributo presentato a Spelaion 2008 (v. pag. 106).


Spelaion 2008 ha offerto l’opportunità per ricordare con affetto Franco De Pace,

giornalista neretino, a circa 10 anni dalla sua scomparsa. Carlo Bollino, direttore della Gazzetta del Mezzogiorno, ha espresso il suo memoriale nel corso della serata inaugurale. A Franco De Pace il GSN ha dedicato il complesso di grotte subacquee di Serra Cicora (PU 1611). In sala era presente anche la moglie di Franco, Maria Rosaria Rescio, a cui è stata consegnata una targa ricordo.

20


Nel ricordo di Franco De Pace Trascrizione dell’intervento di Carlo Bollino

Io mi trovo qui questa sera per molte ragioni. Per incominciare, ho con Nardò un rapporto particolare, avendo avuto un papà di Nardò ed avendo qui vissuto la mia infanzia. Ho conosciuto Vittorio Marras e Giampiero Dantoni quando avevano appena iniziato a mettere in piedi il loro “centro” speleologico, che a me da bambino sembrava una cosa misteriosa. L’altra ragione è che sentivo il dovere, in qualità di direttore della Gazzetta del Mezzogiorno, di testimoniare qui il nostro ricordo, il nostro affetto e riconoscimento per Franco De Pace, che alla Gazzetta del Mezzogiorno ed al giornali­ smo salentino e pugliese ha dato tantissimo. Ma lo ha dato particolarmente al giornale perché, grazie a lui, all’inizio degli anni ’80, si affrontò la sfida della provincializzazione della Gazzetta del Mezzogiorno, vista, credo ancora oggi purtroppo, come il giornale dei baresi. Franco De Pace fu il primo giornalista ad avere avuto il coraggio di aprire una pagina dedicata interamente alla città; per questo è entrato nella storia del nostro giornale.

21

Facendo il cronista locale, Franco andava alla ricerca delle cose che poi doveva riportare in superficie. Questo dovrebbe essere il mestiere di tutti noi che facciamo informazione. Voi speleologi lo fate dentro le grotte, noi lo facciamo dentro la realtà delle amministrazioni e della società civile. Portare in superficie, quindi, pubblicando o esponendo in un museo, cambia poco. Trovo originale e straordinario il fatto di abbinare un evento come questa manifestazione speleologica, in cui si parla di grotte, di esplorazioni e di ricerche, con la storica figura di un giornalista, perché in fondo c’è un parallelo tra uno speleologo ed un giornalista. È stato il giornalismo investigativo, di cui mi sono occupato per anni, a farmi conoscere Franco, e lo conobbi proprio qui a Nardò. Facevo il cronista di “nera” alla Gazzetta, lavorando alla redazione di Lecce. Ero ancora molto giovane e mi capitò di indagare sull’omicidio di Renata Fonte: naturalmente il mio contatto a Nardò, in quanto corrispondente del giornale, era proprio Franco. Franco mi aiutò tantissimo


Nel ricordo di Franco De Pace

ad indagare ed esplorare la vita e la storia di Renata Fonte. Franco contribuì, attraverso la sua testimonianza ed attraverso i contatti che mi creò, a far luce, per quello che si è potuto, sulla storia di Renata ed a realizzare quel libro che io poi feci e da cui e stato tratto un film.

2

come il direttore della Gazzetta a Nardò, e lo fece per tanti anni, fino a quando, un giorno, per provare un’altra esperienza, decise di passare al Quotidiano di Lecce, per il quale lavorò per alcuni anni. Ritornò nel nostro giornale grazie ad Angelo Sabia, che è qui questa sera e che dirige la redazione di Lecce.

Franco aveva iniziato la sua car­riera giornali­ Franco era stica un po’ un grande come me, lavoraFig 2.1 - Franco De Pace nel corso di una conferenza (per gentile concessione della Signora Maria Rosaria Rescio) partendo tore. Dando dall’elettronica. Questa sua passione l’aveva ini­ un’occhiata negli archivi del giornale ho trovato il zialmente avvicinato alla comunicazione in senso suo ultimo articolo, scritto il 28 settembre 1998, lato e poi alla comunicazione in senso reale, perché praticamente due settimane prima che morisse. aveva incominciato a collaborare con una radio lo- È un articolo che riguarda il problema di alcuni cale: Radio Nardò 1 (la coincidenza è che anch’io disoccupati. Solo uno della miriade di articoli che avevo lavorato a Radio Nardò 1, quando avevo 14 Franco produsse. Nell’archivio del giornale ci sono anni). Un giorno Franco diede la svolta profession- interi hard disk che contengono la produzione ale alla sua carriera, quando incontrò un collega di Franco De Pace; magari un giorno potrebbe della Gazzetta del Mezzogiorno che gli propose di valere la pena raccoglierli tutti e l’amministrazione entrare a lavorare con il giornale. Franco, da quel comunale potrebbe farsi carico di questa iniziativa. momento in poi, iniziò a creare una figura profes- Leggere gli articoli di Franco significa rivivere la sionale che al tempo ancora non esisteva nel modo storia del paese e della provincia, significa scoprire con cui lui la mise in piedi, cioè quella del corris- gli avvenimenti, anche tragici, di una comunità. pondente locale: una figura centrale, come quella del carabiniere, del farmacista e, in un certo senso, del barbiere. Tutto ciò che accadeva a Nardò passava attraverso Franco De Pace. Franco era un po’

22


2

Nel ricordo di Franco De Pace

Fig 2.2 - Copertina e rilievi delle grotte della scheda catastale Pu 1611- Complesso delle Grotte Subacque Franco De Pace

23


Gli speleologi che si sono ritrovati a Masseria Torre Nova hanno parlato, discusso, raccontato storie nella sobrietĂ di un incontro che da tempo ha assunto forma e sostanza di convegno formale. Si dice tuttavia che gli speleologi le storie preferiscono raccontarle in grotta. Storie di speleologi ma anche di altri frequentatori di grotte, siano essi umani che di altra natura, esploratori capaci di memorabili imprese o mammiferi volanti dotati di invidiabili organi radar, folletti e fate incantate dai mille sortilegi, scienziati o sedicenti tali... Il Programma di Spelaion 2008 Sabato 6 dicembre Apertura lavori e saluti dei presidenti FSP e GSN Saluti del rappresentante del Comune di Nardò Nel ricordo di Franco De Pace Mostre fotografiche, installazioni, proiezione 3D “Ambienti carsiciâ€?

24


All’inizio era più semplice, si andava nelle grotte per il semplice fatto che esse esistevano e nessuno ci aveva mai messo il naso. Questa concezione positiva, coraggiosa, romantica osò varcare le porte del mondo sotterraneo laddove solo rari miti l’avevano preceduta: Ercole, Orfeo, Ulisse, Dante Alighieri... Andrea Gobetti, Prima del Buio

Domenica 7 dicembre “STORIE DI SPELEOLOGI E DI ALTRI FREQUENTATORI DI GROTTE” Presentazioni dei lavori dei gruppi federati e relazioni ad invito Sessione poster Cena sociale Lunedì 8 dicembre Riunioni Federazione, Soccorso, Scuole Visita guidata al Parco Regionale Chiusura lavori I lavori presentati sono riportati nell’ordine di esposizione. Alcuni sono stati resi in forma di scritto dagli Autori, altri sono stati recensiti e commentati dai curatori del volume. Da pag. 150 sono riportati gli articoli delle ricerche presentate nella sala dei poster.

25


Tra le prime esperienze esplorative e descrittive di ambienti carsici ipogei nel Salento, particolarmente significativa è la relazione di Monsignor Duca a Ferdinando IV di Borbone nella quale il prelato, dando notizia della “scoperta” della Grotta della Zinzulusa, indicava la vastità degli spazi, la necessità di opportuno equipaggiamento esplorativo e per la documentazione topografica, oltre alle suggestioni indotte (“vi si sente una paura assai fastidiosa”), dalle oscurità ipogee, nei pionieristici speleonauti. Monticelli, Brocchi, Botti, Stasi, Bottazzi, Blanc, e poi ancora P. de Lorentiis, Regalia, Sticchi, Ruffo, Parenzan, A. Lazzari furono studiosi e cultori della conoscenza che posero le basi di quel complesso di saperi da cui prenderanno poi origine discipline geologiche e geomorfologiche. Un anno cruciale per la ricerca speleologica salentina è stato il 1936. A Santa Cesarea Terme si tenne infatti il Convegno Nazionale di Speleologia, che vide le grotte Zinzulusa e Romanelli al centro dell’attenzione dei convegnisti. Ma la storia raccontata da Ninì Ciccarese parla anche dei pescatori (Nino e Luigi Rizzo, Pantaleo Lazzari) che con le loro abilità marinaresche consentivano agli studiosi l’operatività negli impervi spazi costieri. Si giunge infine al 1938, anno in cui si ha notizia della costituzione del Gruppo Speleologico Salentino (Il Mattino di Napoli, 10 luglio 1938).

26


Storia della Speleologia salentina 1° contributo: Origini e nascita dell’associazionismo speleologico Nini Ciccarese Gruppo Speleologico Salentino “P. de Lorentiis” – ente morale

Questo “Primo Contributo”, propone le origini della Speleologia Salentina (Mons. F.A. Duca 1793) ed i suoi gloriosi percorsi, fino ai primi passi dell’Associazionismo Speleologico Salentino (1938 – 1954). Dai primi anni dell’800, le caratteristiche geologiche ed ambientali del Salento, le rilevanti e diffuse tracce della frequentazione preistorica e l’eccezionale presenza di specie biologiche relitte, hanno suscitato i più vari interessi verso le nostre grotte. Dopo l’esplorazione di grotta Zinzulusa (Castro, Le) di Mons. F.A. Duca (1793) e la sua relazione a Ferdinando IV di Borbone, mercanti d’arte, antropologi, paleontologi, geologi e biologi, provenienti dalle più varie istituzioni scientifiche nazionali ed europee, concentrarono le loro attenzioni verso il territorio salentino. Poi, agli inizi del ‘900, la grande e rivoluzionaria proposta di P.E. Stasi che, da semplice appassionato, dichiarò al mondo scien­tifico dell’epoca di avere individuato, durante le sue esplorazioni lungo le grotte costiere del Salento, tracce di frequentazioni dell’uomo del paleolitico, richiamando così le attenzioni del mondo accademico nazionale e degli uomini di scienza e cultura locali. L’esplorazione delle grotte, da parte dei salentini, ripresero e con loro, coinvolti ed incuriositi dalle nuove scoperte, poeti, pittori, semplici appassionati, operai, contadini, marinai. Costoro, di fatto, furono a volte semplici turisti o attenti esploratori, altre volte veri e propri “sherpa”. Anche i rapporti con la manovalanza retribuita locale si trasformarono, pian piano, in rapporti di

27

collaborazione e reciproca dipendenza e stima. Questa eterogenea popolazione di appassionati delle grotte diede il via alla nascita della speleologia salentina. Essa fu caratterizzata, fin dagli inizi, da coinvolgimenti e partecipazioni trasversali ai livelli sociali e culturali dell’epoca. Professori, “sherpa delle grotte” e curiosi furono tutti egualmente protagonisti, uniti dalla comune passione per l’esplorazione e ricerca in ambienti “grotticoli”. Furono tutti “Speleologi” ed ancora oggi, qualcuno dei loro discendenti è in grado di raccontare le emozionanti avventure in grotta e le intense emozioni suscitate dalla partecipazione alle scoperte di quei tempi. Oggi, a più di due secoli dalla prima esplorazione speleologica salentina documentata, possiamo dire che, i tanti uomini dotti che, via via, hanno esplorato e studiato le nostre grotte ci hanno lasciato pubblicazioni scientifiche, tuttora fondamentali per lo studio e l’evoluzione della odierna ricerca. Tutti gli altri, invece, ci hanno trasmesso la loro passione e quell’enorme ed articolato patrimonio di informazioni circa il nostro territorio e le grotte, ancora fondamentale per l’evoluzione della moderna speleologia salentina. A cavallo dell’ultimo conflitto mondiale, questa diffusa conoscenza fu capace di animare e coinvolgere forti e qualificati interessi scientifici, aspirazioni di crescita e promozione turistica, nonché la curiosità di numerosi appassionati, dando il via all’Associazionismo Speleologico nel Salento.


Il presente articolo certamente non è da considerarsi esaustivo di tutto il progetto Naica. E’ redatto in una data relativamente lontana dalla conclusione del progetto stesso, quindi non comprensivo dei risultati scientifici e delle prove effettuate nei laboratori di ricerca impegnati in esso. Il documento vuol essere però, in occasione di Spelaion 2008, un sunto, un’esposizione, per esaudire se non tutta, almeno in parte, quella curiosità sull’argomento che dalla nascita del progetto stesso cattura l’interesse del mondo speleologico. Come costume dell’associazione La Venta, tutti i risultati delle ricerche esplorative e scientifiche saranno raccolte in un volume di futura edizione. All’atto della stesura del presente articolo è in diffusione soltanto un libretto divulgativo edito dall’associazione La Venta, dal titolo: Giganti di Cristallo nelle grotte di Naica.

28


...a proposito di Naica Francesco Lo Mastro Gruppo Speleologico Martinese / Associazione La Venta

Inquadramento geografico La miniera di Naica, a margine del piccolo pueblo minerario omonimo (latitudine 27°52’ N – longitudine 105°26’ O – quota 1250 m s.l.m.) si colloca nello stato di Chihuahua nord del Messico - 130 km a sud est della capitale omonima, in un territorio al confine con gli stati americani dell’Arizona, Nuovo Messico e Texas. Antropologicamente tutta la regione ha origine Uto-Azteca, in particolare del ceppo Tarahumara; in un più recente passato, tra il XVI e XIX secolo, l’area è stata frequentata dai nativi Apaches. Inquadramento geologico La miniera di Naica si apre sul fianco nordovest di un rilievo a forma di duomo, lungo 12 km e largo 7 km, orientato in direzione NW-SE e interessato da piegamenti secondari, da faglie e da fenomeni di erosione, elevandosi improvvisamente dalle circostanti pianure desertiche. Questa struttura, nota come Sierra di Naica, raggiunge un’altitudine media di 1700 m s.l.m. ed è formata da tre piccole montagne: la Sierra de la Mina, la Sierra de en Medio e la Sierra del Monarca, tutte caratterizzate da un maturo stadio geomorfologico. La Sierra di Naica è costituita, nella sua totalità, da rocce calcaree dell’Albiano (o Comanceano

29

– Cretaceo inferiore), ad eccezione di due piccole fasce marnose che affiorano nella parte occidentale e che marcano la sua struttura domica. I calcari giacciono sopra una sequenza evaporitica dell’Aptiano (Formazione Cuchillo), sempre di età cretacea, non affiorante nell’area ma ampiamente descritta nella regione circostante. Nel distretto di Naica sono altresì presenti rocce ignee in forma di dicchi e sills a struttura massiva. La Sierra di Naica è interessata da un sistema di faglie e fratture, anteriori alle mineralizzazioni, parallele all’asse maggiore del duomo, orientate in direzione NW-SE e immergenti verso SW fino a raggiungere la verticalità. Lungo questo sistema di fratture sono localizzati i principali corpi minerari a solfuri. Successivamente a questo sistema tettonico e alle mineralizzazioni, esiste un altro sistema di fratture, formato da faglie con direzione NW e rigetto di alcune decine di metri, che costituisce la principale struttura di deflusso delle acque sotterranee. Tra le faglie più importanti di questo sistema abbiamo: la faglia Gibraltar, immergente a SW e con rigetto verticale di circa 50 m, la faglia Naica anch’essa immergente a SW sempre con rigetto verticale di circa 200 m e, infine, la faglia Montana immergente a NE lungo la quale si sono formate la Cueva de las Espadas e la Cueva


...a proposito di Naica

de los Cristales, entrambe prive di collegamento con l’esterno ed equivalenti a profondi geodi. L’ingresso della miniera (rampa San Francisco) si apre a quota 1385 m s.l.m., al di sopra di un vasto pianoro posto a 1250 m s.l.m.. Al suo interno, circa alla stessa altezza della spianata esterna, si incontrava un tempo l’acquifero di –120 m. Storia della scoperta della Cueva de los Cristales La miniera di Naica è una delle prime miniere d’argento del Messico; in essa si estraggono anche ingenti quantità di piombo e zinco. L’attività estrattiva, oggi giunta ad una profondità di -800 m, è resa possibile grazie ad un sistema di stazioni di pompaggio distribuite lungo lo sviluppo ver-

4

ticale della miniera. L’effetto di questo svuotamento portò al prosciugamento, una quindicina di anni fa, del geode della grotta dei Cristalli, dove nell’assoluta quiete dei millenni si sono formati i cristalli giganti. Già nel 1910, all’interno della miniera fu scoperta una grotta di circa 80 metri di lunghezza con le pareti completamente tappezzate di cristalli di selenite spadiformi lunghi fino a 2 metri, da cui il nome “Cueva de las Espadas” (Grotta delle Spade). Con il proseguire dell’attività estrattiva si giunse all’aprile dell’anno 2000, quando i fratelli Eloy e Francisco Javier Delgado, scavando un cunicolo esplorativo al livello -300, intersecarono un piccolo vuoto che poi chiamarono “Ojo de la Reina” (Occhio della Regina). L’ambiente era di modeste dimensioni, circa 8 m di diametro

Fig 4.1 - Planimetria della Cueva de Los Cristales

30


4

...a proposito di Naica

ma conteneva anch’esso dei purissimi cristalli di selenite. Affascinati dalla scoperta, i fratelli avvisarono la direzione della miniera, la quale deviò l’escavazione in altra direzione. Oltre alla sco­perta di un’altra grotta, sempre sullo stesso livello: la Cueva de las Velas (Grotta delle Candele), più tardi lo scavo condusse in un ulteriore ambiente, molto più grande. Un incredibile geode del dia­ metro di 30 metri al cui interno s’intersecavano dei giganteschi cristalli di enormi proporzioni, lunghi fino a dieci metri e dello spessore di oltre un metro; quella che in seguito sarebbe stata chiamata la “Cueva de los Cristales” (Grotta dei Cristalli) (v. foto pag. 28). I vari tentativi di esplorare quella meraviglia furono, però, ostacolati dalle proibitive condizioni climatiche dell’ambiente che ne impediva le lunghe permanenze al suo interno. La temperatura, infatti, sfiorava i 50° C con un’umidità relativa vicina al 100%. Naturalmente, ai fini produttivi, i “vuoti” non interessavano e la cavità fu chiusa con una porta di acciaio, sia per evitarne il saccheggio sia per proteggere l’ambiente interno. Nel gennaio 2001 La Cueva de los Cristales venne visitata per la prima volta da Carlos Lazcano, nome illustre della speleologia messicana e socio La Venta, e da Claude Chabert, speleologo francese di fama mondiale. Poco più di un anno dopo, su invito di Lazcano, fu effettuata la prima ricognizione dell’associazione La Venta. Da quel momento e fino al 2006 i sopralluoghi a Naica si sono succeduti, fino alla firma tra La Venta e la società Peñoles, proprietaria della miniera, di un accordo di esclusiva per la ricerca e la documentazione scientifica di tutte le grotte della miniera stessa.

31

Il Progetto Naica Il Progetto Naica nasce quindi nel 2006 articolandosi in tre anni. Il progetto si sviluppa intorno a quattro obiettivi principali: l’esplorazione, la documentazione, la ricerca scientifica, la conservazione. Ad oggi i primi due obiettivi sono stati pressoché portati a conclusione; l’esplorazione è compiuta per il 90%, topografando la cavità, e catalogando ogni singolo cristallo al suo interno. Il restante 10% riguarda degli strettissimi passaggi al limite dell’impraticabile, che, per ragioni etiche e di filosofia de La Venta, non saranno oggetto di forzature. Per la parte documentativa sono stati realizzati, in collaborazione con La Venta, due filmati: un documentario scientifico (National Geographic) (fig. 4.2), ed un film documentario di produzione messicana (C/Producción). Una ulteriore accurata documentazione fotografica ad alta definizione è stata realizzata anche in previsione di un ritorno allo stato originario della grotta, cioè sott’acqua, quando la vena del minerale si sarà esaurita. La ricerca scientifica è il punto di forza del progetto, in quanto vede impegnati studiosi e ricercatori di livello internazionale provenienti da varie parti del mondo. L’obiettivo principale del progetto è, infatti, lo studio dei meccanismi genetici di forma­ zione dei grandi cristalli di selenite. Questo aspetto del progetto è ancora lontano dall’essere concluso, nonostante gli sbalorditivi risultati sin ora ottenuti. La datazione dei cristalli, l’individuazione di pollini al loro interno, la sospetta presenza di forme di vita e­stremofile sono gli obiettivi, in parte raggiunti, in parte ancora in attesa di conferme, che impegneranno i ricercatori ben oltre la fine temporale del progetto stesso. Inerente alla ricerca scientifica anche lo studio sulle reazioni fisiologiche del corpo umano all’esposizione prolungata nell’ambiente di Cristales. Ogni soggetto


...a proposito di Naica

4

Fig 4.2 - Naica Cueva de Los Cristales. Scene del documentario National Geographic (F. Lo Mastro - La Venta - S&F)

che opera in grotta viene monitorato sia in entrata che in uscita; l’insieme dei dati medici raccolti costituiranno un utile database sul quale effettuare valutazioni e procedure per la tempistica di permanenza in sicurezza all’interno della grotta. Lo studio della conservazione della grotta è ancora in fase di valutazione, comprendendo come tema anche la protezione, l’eventuale fruibilità nel rispetto dell’ambiente, il restauro degli speleotemi e la stabilizzazione del delicato equilibrio climatico interno. Il tentativo di coinvolgere l’Unesco nella protezione di questa meraviglia della natura sarà uno degli impegni futuri dell’associazione La Venta. Fase operativa Le particolari condizioni ambientali della grotta dei Cristalli hanno rappresentato fin dal primo

momento un serio ostacolo alla sua conoscenza. La temperatura interna prossima ai 50°C e l’umidità relativa vicina al 100%, infatti, condizionano, e non di poco, la permanenza umana in quell’ambiente: all’interno della grotta ed in quelle condizioni l’uomo non può sopravvivere che pochi minuti. Al di sopra dei 42°C le cellule vengono denaturate e muoiono; in Cristales la situazione è tale che l’evaporazione cutanea è inibita, quindi non vi è il raffreddamento determinato dalla sudorazione e la temperatura corporea si stabilizza sugli stessi valori di quella ambientale (circa 50°C). Si possono, quindi, ben immaginare le drammatiche conseguenze per l’organismo umano. A tal riguardo esiste un Indice Umidex, sviluppato in Canada negli anni ‘60, che cerca di rappresentare la temperatura effettivamente percepita dal corpo umano combinando temperatura e umidità dell’aria. Comparando temperatura ed umidità la tabella mostra che oltre un indice

32


4

...a proposito di Naica

Fig 4.3 - Naica Cueva de Los Cristales (F. Lo Mastro - La Venta - S&F)

Humidex di 45 si entra in una situazione di grave pericolo, e che al di sopra del fattore 54 subentra il rischio di morte. Nella Cueva del los Cristales di Naica abbiamo misurato un indice Humidex di 102, che comporta una sopravvivenza limitata a 5-10 minuti. Per questo motivo sono state studiate e realizzate da La Venta, in collaborazione con l’azienda Ferrino delle particolari tute isolanti riempite con ghiaccio e dei respiratori refrigerati che hanno permesso permanenze all’interno della cavità fino a 90 minuti. Con questo sistema si è potuto esplorare e documentare ogni parte, anche remota, della grotta (fig. 4.3). Naturalmente, per queste esplorazioni è stata prevista una squadra di pronto intervento e recupero, con procedure codificate in caso di incidente. Ben si comprende come anche il più piccolo infortunio o imprevisto in un ambiente così ostile può trasformarsi in un problema gravissimo.

33

Obiettivi scientifici I cristalli di Naica sono i più grandi del mondo, una vera meraviglia del pianeta Terra. L’obiettivo principale del progetto, dunque, è la investigazione speleologica delle grotte di miniera per approfondire le conoscenze sui meccanismi genetici di formazione dei grandi cristalli di selenite. Per far ciò ogni dato è indispensabile per comprendere questo straordinario fenomeno naturale, a partire dal monitoraggio microclimatico interno con la raccolta di informazioni sulla temperatura, umidità, evaporazione, pressione atmosferica. Altri studi compiuti sono: indagine microbiologica sui pollini e sui batteri estremofili, responsabili anche dei processi mineralogenetici; definizione dei meccanismi minerogenetici responsabili per la deposizione dei cristalli di gesso giganti; campionamento delle acque incontrate e loro caratterizzazione chimico-fisica ed isotopica;


...a proposito di Naica

ricostruzione delle condizioni geochimiche di deposizione dei minerali attraverso lo studio su carote degli isotopi stabili, delle inclusioni fluide (temperatura di deposizione) e la determinazione della datazione assoluta (col metodo U/Th); studio al microscopio elettronico dei campioni di minerali per appurare se microrganismi siano o meno stati importanti nel processo di genesi ed evoluzione dei cristalli stessi, ed altro ancora. A tal riguardo vi è stata anche una collaborazione con

4

temperatura e caratteristiche simili a quella che inondava la grotta Cristales al tempo della formazione dei mega cristalli. L’acqua di falda, qui, viene captata e convogliata nel recipiente al cui interno sono sospese delle tavolette di gesso, simile a quello della Cueva de los Cristales e dei dischetti di roccia calcarea proveniente dalle pareti della grotta stessa. L’intento è di simulare la crescita dei cristalli per deposizione su quei supporti e valutarne l’evoluzione con dei prelievi periodici.

Fig 4.4 - Cristallo Lauritzen (F. Lo Mastro - La Venta - S&F)

la NASA per testare una sofisticata attrezzatura, di prossimo invio con le sonde su Marte, che rivelerebbe eventuali tracce di sostanze organiche nelle rocce. In ultimo, è stato realizzato un simulatore di crescita dei cristalli, denominato Lab-590. Si tratta di un recipiente a tenuta stagna posizionato nel livello -590 della miniera, dove dalla volta di una galleria secondaria scaturisce acqua con

Alla data della presente sono già state prelevate tre tavolette di gesso ed una di calcare; i risultati ultimi sono strabilianti, in quanto la genesi risulta essere identica a quella dei cristalli giganti. Ma per avere il quadro completo bisognerà attendere la fine della sperimentazione. Fa parte del progetto scientifico anche il rilievo tradizionale e quello tridimensionale della cavità, effettuato con sistema laser scanner e con la pro-

34


4

...a proposito di Naica

gettazione e la realizzazione di un sistema di controllo video permanente. Cosa compiuta è invece il catasto dei singoli mega-cristalli con la conseguente analisi del loro stato di salute.

Conclusioni

Un ringraziamento va sicuramente alla sensibilità della compagnia Peñoles, proprietaria della mi­ niera, che, contrariamente al costume comune che antepone il profitto alla conoscenza, ha permesso di condividere con il mondo intero questa unica meraviglia della natura.

Il Progetto Naica sicuramente non si esaurirà alla data degli accordi, l’enorme mole dei dati scienti-

Fig 4.5 - Particolare delle tute e respiratori (F. Lo Mastro - La Venta - S&F)

fici e le ricerche in continua evoluzione daranno, nel tempo, una grande spinta alla conoscenza e lo studio dell’ambiente complessivo della mi­ niera richiamando studiosi da tutto il mondo. Il potenziale di probabili altre cavità celate nelle pieghe della Sierra de Naica è altissimo, lo dimo­ stra l’ultima scoperta, sempre a livello -290, del Grupo Tiburon, due modeste grotte nella vena di gesso, copia in piccolo delle più note cavità.

35

Progetto a cura di: SpeleoResearch&Film – (La Venta – C/ Produccion) Conducono ricerche nell’ambito di questo progetto: Università di Torino, Dip. Fisica Generale Università di Bologna, Dip. Scienze della Terra Università di Modena e Reggio Emilia, Dip.


...a proposito di Naica

4

Scienze della Terra, Dip. di Paleobiologia e dell’Orto Botanico

Estacion Experimental del Zaidin - CSIC, Granada, Spagna

Università di Firenze, Dip. Scienze della Terra

Università di Bergen, Norvegia, Dept. of Earth Science

Università di Bari, Dip. Geomineralogico, Dip. di Medicina Interna e Immunologia Politecnico di Milano, Polo Reg. Lecco, Laboratorio Sensibilab

ETH Zurich, Svizzera New Mexico Tech, Socorro, USA

Virtualgeo srl, Sacile/PN, Venezia, Terni

New Mexico University, Albuquerque, USA, Dept. of Biology

Universidad de Almeria, Spagna, Dep. de Hidrogeologia y Quimica Analitica

Universidad Nacional Autonoma de Messico, Città del Messico, Instituto de Geologia

Rassegna bibliografica Badino G., Forti P., 2005 - L’eccezionale ambiente della Cueva de los Cristales, Miniera di Naica, Messico: problemi genetici ed esplorativi Atti Simposio “Le grotte di miniera tra economia mineraria ed economia turistica”, Iglesias 2004, IIS Mem., XVII, s.2, pp. 87-92. Badino G., 2006 - Naica, il rilievo infernale nel paradiso di cristallo Speleologia, 55, p. 64. Forti P., 2006 - Le altre grotte di Naica. Speleologia, 55, p. 70. Forti P., 2006 - Quando i media ci guardano. Speleologia, 54, p. 1. Forti P., 2006 - Una foresta di cristalli di gesso nel profondo della miniera di Naica. Geoitalia, 18, pp. 25-30. Badino G., Bernabei T., Davila A., Forti P., 2007 - El proyecto Naica (Chihuahua, México) Memoras VIII. Congreso Nacional Mexicano de Espeleologia, Puebla 2-5 Febrero 2007, pp. 4448. Badino G., Forti P., 2007 - The Exploration of the Caves of the Giant Crystals (Naica, Mexico).

National Speleological Society News, 65 (2), pp.12-18. Bernabei T., Forti P., Villasuso R., 2007 - A new type of gypsum speleothems from Naica (Chihuahua, Mexico): the sails. International Journal of Speleology, 36 (1), pp. 23-30. Forti P., 2007 - Dal Messico a Marte. Oasis, Luglio-Agosto 2007, pp.10-11. Forti P., 2007 - Studio della struttura interna di una stalagmite della Grotta delle Spade (Naica, Messico). Grotte e Dintorni, 6 (13), pp. 3-20. Forti P., Galli E., Rossi A., 2007 - Il sistema GessoAnidrite-Calcite: nuovi dati dalle concrezioni della miniera di Naica (Messico). Congresso Nazionale di Speleologia, Iglesias, Aprile 2007, Memorie IIS, 2008. Forti P., Galli E., Rossi A., 2007 - Preliminary data on the mineralogy of the Cueva de las Velas (Naica Mexico). Congresso FEALC Portorico Agosto 2007, Acta Carsologia, 2008. Forti P., Galli E., Rossi A., 2007 - The mineralogical study on the Cueva de las Velas (Naica,

36


4

...a proposito di Naica

Mexico). Acta Carsologia 36 (2), pp. 75-85. Garofalo P.S., Forti P., Lauritzen S.-E., Constantin S., 2007 - The fluids that generated the giant selenite crystals of Naica (Chihuahua, Mexico). Abstract Congresso FIST Rimini Settembre 2007, p.460. Garofalo P.S., Günter D., Forti P., Lauritzen S.-E., Constantin S., 2007 - The fluids of the giant selenite crystals of Naica (Chiuhahua, Mexico). ECROFI-XIX 17-20 July 2007, Switzerland , Abstract of Paper, p.1. Panieri G., Forti P., Gasparotto G., Soliani L., 2007 - Studio delle inclusioni solide della Grotta delle Spade (Naica, Messico). Congresso Nazionale di Speleologia, Iglesias Aprile 2007 Memorie IIS, 2008. Tedeschi R., 2007 - Il rilievo con tecnologia laser scanner. In Forti P. (ed.) - Le Grotte di Naica: e­splorazione, documentazione, ricerca - Libro dei riassunti. Dipartimento di Scienze della Terra e Geologico-Ambientali, Università di Bologna, pp. 29-31.

Canevese E.P., Tedeschi R., Forti P., 2008 - Laser scanner technology in estreme environments. Geoinformatics, 8 (11), pp. 6-11. Canevese E.P., Tedeschi R., Mora P., 2008 - Il laser scanning e CloudCUBE per le grotte di Naica. L’ambiente, 4/08, pp. 32-34. Canevese E.P., Tedeschi R., Mora P., 2008 - Il laser scanning e CloudCUBE per le grotte di Naica. GEOmedia, 3/2008, pp. 28-30. Canevese E.P., Tedeschi R., Mora P., 2008 The caves of Naica in 3D. GEOconnexion International Magazine, 7 (7), pp. 48-51. Canevese E.P., Tedeschi R., Mora P., 2008 - Naica in 3D. Civil Engineering Surveyor, July/August, pp.37-40. Forti P., Galli E., Rossi A., 2008 - Il sistema GessoAnidrite-Calcite: nuovi dati dalle concrezioni della miniera di Naica (Messico). Congresso Nazionale di Speleologia, Iglesias, Aprile 2007, Memorie IIS, 2008, pp. 139-149.

Badino G. (ed.), 2008 - Giganti di cristallo. Nelle grotte di Naica. Edizioni La Venta.

Forti P., Lo Mastro F., 2008 - Il laboratorio sperimentale di -590 nella Miniera di Naica (Messico). Mondo Sotterraneo, 31 (1-2), pp. 11-26.

Canevese E.P., Tedeschi R., Forti P., Mora P., 2008 - The use of Laser scanning techniques in estreme contexts: the case of Naica Caves (Chihuahua, Mexico). Geologia Tecnica & Ambientale, 8 (2), pp. 19-37.

Panieri G., Forti P., Gasparotto G., Soliani L., 2008 - Studio delle inclusioni solide della Grotta delle Spade (Naica, Messico). Congresso Nazionale di Speleologia, Iglesias Aprile 2007 Memorie IIS, 2008, pp. 150-158.

37


38


Progetto Kronio Le Stufe di San Calogero

A margine della presentazione di Francesco Lo Mastro “... a proposito di Naica”, Giuseppe Savino ha esposto il “Progetto Kronio – Le Stufe di San Calogero” che La Venta Esplorazioni Geografiche ha elaborato in collaborazione con la Commissione Grotte E. Boegan di Trieste, il Comune di Sciacca e la Sovrintendenza di Palermo. Le Stufe di San Calogero, già abitazioni preistoriche, sono un complesso di grotte caratterizzate da emanazioni di vapore frequentate a fini terapeutici in epoca greca. In base alla documentazione esposta da Savino, la prima spedizione risalirebbe al 1669 ad o­pera di un certo Buiela che vi trovò la morte scivolando nel pozzo. A fine ‘700 una serie di discese raggiunse la base del primo pozzo grazie all’impegno di Antonio Bellitti e Giuseppe Taurominna. Quest’ultimo fu calato sino alla base del pozzo e poi recuperato “con gli occhi spenti, le labbra e le gote contratte, tutto pieno di pustole, contuso e lacero”, come descritto dalle cronache locali. Nei primi del ‘900 una serie di tentativi esplorativi produsse risultati interessanti, a opera soprattutto di Raffaele Di Milia che diede una prima descrizione degli ambienti. Nel 1957 la Commissione Grotte

39

E. Boegan grazie a una rudimentale tuta riuscì a raggiungere la base del pozzo e la “galleria Milia”, dove furono rinvenuti alcuni grandi vasi (i Pithoi del 2000 a.C.) che conferirono alla grotta un grande rilievo storico e archeologico. Ancora nel 1988, i triestini perfezionano un sistema di raffreddamento tramite aria insufflata direttamente all’interno della tuta. Il si­stema ha consentito di svolgere alcuni interventi di esplorazione e rilievo in autonomia. Circa le differenze tra le condizioni ambientali delle grotte dei progetti Kronio e Naica, Savino ha sottolineato che, mentre nella grotta messicana si hanno condizioni medie di temperatura e tasso di umidità rispettivamente di 60° C e 60/70%, per le Stufe di San Calogero tali grandezze hanno valori medi di 37° C e 100%. Il progetto Kronio prevede principalmente lo studio e sviluppo di attrezzature adatte a permanenze prolungate ad alte temperature, previa attività di monitoraggio biologico, fisico, endoclimatico e fisiologico. Obiettivi: consentire l’avvio della ricerca archeologica, produzione video e fotografica, analisi dell’insieme del carso del Monte Kronio.


40


Implicazioni speleologiche in archeologia Giampiero Dantoni

Il convegno “SPELAION 2008”, che è stato organizzato nel Salento a cura del gruppo speleologico di Nardò, mi ha offerto un’occasione particolarmente favorevole di affrontare un tema direi poco approfondito nell’ambiente degli speleofili. Forse a causa del fatto che l’archeologia (in senso lato) non rappresenta un obiettivo della moderna ricerca speleologica, incentrata soprattutto su tecnica esplorativa e studio dell’ambiente carsico, succede che l’eventuale presenza di “oggetti” a valenza archeologica sui percorsi esplorativi in grotta venga vissuta più come un intoppo alla consueta attività. A meno che non si tratti di un “intoppo” di valore clamorosamente significativo, ed, in quanto tale, evidente anche agli occhi di uno sprovveduto, in genere la maggior parte degli elementi a livello di traccia è destinato a passare inosservato, o sottovalutato ai più che non abbiano approfondito il ramo specifico dopo le lezioni imparate ai corsi di accesso alla speleologia. Nella mia ultradecennale pratica della speleologia ho conosciuto casi al rovescio, ossia di soggetti che andavano alla ricerca mirata di reperti, per i quali la speleologia era il mezzo e l’archeologia il fine, ma devo dire che si trattava di casi assai isolati e forse ormai estinti. La speleologia comprende ed offre ai praticanti molteplici settori di interesse scientifico e sportivo, tutti assai appassionanti, ma tutti gli spe-

41

cialisti devono essere coscienti dell’importanza e della delicatezza, sotto il profilo del valore documentale, delle implicazioni archeologiche connesse con la ricerca speleologica sul territorio naturale ed urbano. Diciamo subito che, se la scoperta archeologica è in generale l’evento statisticamente meno probabile in ambito sotterraneo su scala nazionale, così non è nella nostra regione. In Puglia questa probabilità si impenna in maniera significativa, con punte estreme nel Gargano e nel Salento, dove può giungere vicino al 100%, se si considerano anche le cosiddette tracce apparentemente poco significative. Ciò significa che, in via preventiva, occorrerebbe individuare il livello di “ri­ schio archeologico”, se così si può dire, della zona in cui si intende programmare una missione singola o multipla e poi organizzarsi di conseguenza. Nell’apprestarsi a fare ciò, sorge automatica la considerazione della necessità che ogni gruppo speleologico sarebbe opportuno avesse al suo interno un “esperto” di archeologia ed in particolare di preistoria e paleontologia generale. In sua mancanza sarebbe auspicabile che la preparazione generale di base di qualsiasi speleologo, specialmente in Puglia, fosse, in queste materie, almeno a livello di sufficienza. Essendo la disciplina della speleologia un lavoro squisitamente di gruppo, è più possibile che l’incontro col reperto non capiti proprio all’esperto quando ci si trova in piena


Implicazioni speleologiche in archeologia

azione sottoterra. In tal modo si potrebbero prevenire danneggiamenti spesso passati inosservati a squadre di avventurosi speleoesploratori. Viceversa un sopralluogo preliminare sulla “scena” spetta doverosamente all’esperto quando ci si accinge ad esplorare cavità nuove, rami nuovi o ambienti apparentemente già battuti da altri. Con queste doverose cautele possono essere scongiurati danni irreversibili e pervenire ad importanti scoperte che, spesso, sono entrate nella storia della ricerca preistorica e paleontologica. Di fatto la ricerca speleologica ha rappresentato e rappresenta una fonte preziosissima di informazioni e segnalazioni per gli Enti Universitari preposti alla ricerca e scavo di siti archeologici e preistorici. La tradizione pugliese e salentina in particolare ci testimonia di questo connubio storico sin dalla fine del XIX secolo, quando la figura dello studioso fai-da-te e dello speleologo coincidevano, mentre oggi scienziati e speleologi collaborano attivamente con interscambi reciprocamente utili: la speleologia si arricchisce così di un’altra importante funzione sociale. Fatte queste premesse generali non si deve concludere che le implicazioni archeologiche siano sempre vissute con sofferenza: il gruppo di Nardò, con lo scrivente, ne sono un esempio. Le origini di questo gruppo, che nacque nel 1972 come filiazione del centro speleologico meridionale di Napoli del prof. Pietro Parenzan, furono precedute dalla passione e dalla curiosità stimolata dal prof. Carlo Colonna intorno a strane selci scheggiate, trovate in superficie a Porto Selvaggio (oggi parco naturale), che egli raccontava fossero state prodotte da antichi uomini preistorici. Fu così che, dal 1969 in poi, quasi tutti quelli che passarono o rimasero al gruppo di Nardò, lo fecero soprattutto per partecipare alle campagne di scavo estive (fig. 5.1) del prof. Borzatti (Università di Firenze). La collaborazione speleo-universitaria non si è mai interrotta ed ancor oggi i neretini sono un impor-

5

tante collaboratore per le Università di Lecce, Siena e Firenze, che si occupano della ricerca archeologica dalla preistoria fino al periodo tardo romano nel territorio di Nardò. Naturalmente il gruppo si occupa anche di speleologia pura ed applicata, come la biospeleologia, la speleosubacquea, la gestione del soccorso-emergenza nel settore specifico, la didattica e la divulgazione scolastica di argomenti attinenti, esprimendo nella sua storia figure di spicco nazionale nei vari settori specialistici. Non è, quindi, un caso che un gruppo salentino come questo abbia da sempre coltivato, fino a giungere a lavori e pubblicazioni universitarie, l’interesse per l’aspetto archeologico collegato alla speleologia. Nel Salento, in particolare, a mia memoria credo raramente si fosse trovata grotta, caverna, voragine, buca, inghiottitoio, riparo sotto roccia privo di tracce o ingenti depositi preistorici: quando lo è stato, è perché ci è sfuggito qualcosa. Non è possibile esplorare senza “intoppi” di questo genere, non si può entrare in grotta senza le opportune precauzioni. Lo speleologo non può non avere una formazione archeologica, deve poter riconoscere una stratigrafia originale da una “rimaneggiata”, uno strumento litico da una pietra scheggiata, un osso fossile da un osso secco. Altrimenti fare speleologia nel Salento, come del resto nella Puglia intera, è un rischio per il “patrimonio culturale indisponibile dello Stato” rigorosamente protetto dalla legge, che regolamenta la materia dei Beni Culturali, di cui i reperti, le grotte preistoriche, i siti archeologici in generale fanno parte. Responsabilità di legge A questo riguardo lo speleologo non gode di uno status particolare rispetto a qualunque cittadino, con gli stessi divieti e limiti di ricerca, responsabilità civili e penali cui è esposto quando venga a conoscenza di “presenze” archeologiche ovvero di oggetti caratterizzati da valenza archeologica. I

42


5

Implicazioni speleologiche in archeologia

comportamenti dei singoli o dei gruppi non possono più ispirarsi al criterio di libera scelta, ma devono conformarsi alla rigida regolamentazione, stabilita dalla legge dello Stato, che è il Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. Forse questi obblighi “burocratici” rendono l’impatto con l’archeologia un evento di cui meglio sarebbe non avere a che fare per chi, come lo speleologo, va in cerca di belle grotte da esplorare. Per di più la circostanza porta inevitabilmente all’entrata in scena di una figura istituzionale delegata dal Ministero al controllo insindacabile dell’oggetto della legge stessa: la Sovrintendenza archeologica, Ente con il quale il rapporto è quasi mai idilliaco a causa di una sorta di pregiudizio storico nei confronti della categoria dei gruppi speleologici in generale. Ma da un punto di vista puramente scientifico la materia è appassionante, i risultati delle scoperte possono effettivamente contribuire a svelare il fitto mistero che avvolge i tempi remoti della storia della vicenda umana e naturale. Proprio l’importanza di questi veri e propri documenti con funzione di prova scientifica di fatti remoti ha indotto lo Stato a legiferare per la loro tutela. I reperti archeologici, paleontologici, prei­storici, rinvenuti in grotta o all’aperto, nonché le grotte stesse già dichiarate dal Ministero dei beni Culturali, in quanto tali diventato Beni Culturali di proprietà dello Stato, con qualche concessione al proprietario del luogo di ritrovamento, allo scopritore ed al concessionario dello scavo. Infatti, in virtù di quanto disposto dall’art. 9, comma 1 “Le cose indicate nell’articolo 10, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato e, a seconda che siano immobili o mobili, fanno parte del demanio o del patrimonio indisponibile, ai sensi degli articoli 822 e 826 del codice civile.” Ciò vuol dire che, non solo nessuno può impossessarsi di reperti, ma non può né cercarli né scavarli. Infatti, prescrive

43

l’art. 88, comma 1 “Le ricerche archeologiche e, in genere, le opere per il ritrovamento delle cose indicate all’articolo 10 in qualunque parte del territorio nazionale sono riservate al Ministero”, salvo poi concedere “ad enti o privati l’esecuzione di ricerche e di opere”. Le associazioni speleologiche, quindi, non possono, di norma, avere nel proprio statuto come oggetto la ricerca archeologica, non possono di fatto effettuarla, ma al più collaborare agli scavi regolarmente concessi ad altri, quasi sempre Istituti di ricerca universitari o parificati. Il fatto è che molto spesso le grotte sono anche dei potenziali siti archeologici, dove, durante un lavoro di disostruzione vi può essere un’alta probabilità di trovarsi fra le mani “inconsapevolmente” qualche reperto. Che fare in tali circostanze? Fortunatamente il legislatore ha previsto questa eventualità e prescrive: “Chi scopre fortuitamente beni mobili o immobili indicate nell’articolo 10 ne fa denuncia entro ventiquattro ore al soprinten­ dente o al sindaco, ovvero all’autorità di pubblica sicurezza e provvede alla conservazione temporanea di essi, lasciandoli nelle condizioni e nel luogo in cui sono stati rinvenuti”(art. 90, comma 1). Ma attenzione, questo articolo parla chiaro, la scoperta deve avvenire in maniera “fortuita”, vale a dire non conseguente a deliberata ricerca, tenetelo presente! Inoltre in caso di scoperta di reperti archeologici, nascono due obblighi per lo scopritore: denuncia alla Soprintendenza o al Sindaco della località come prescritto e, contemporaneamente, custodia del bene fino all’intervento delle autorità. La rimozione del bene mobile rinvenuto è possibile solo quando “non si possa altrimenti assicurare la custodia e garantirne la sicurezza e la conservazione sino alla visita dell’autorità competente, e, ove occorra, di chiedere l’ausilio della forza pubblica” (art. 90, comma 2). E’, infine, previsto un premio per lo scopritore, il proprietario del fondo in cui avviene la scoperta ed il soggetto concessionario dello scavo, consistente in un quarto del valore delle cose ritrovate o degli og-


Implicazioni speleologiche in archeologia

getti stessi, ma sottoposto a clausole e condizioni raramente a loro favorevoli. Speleologia e reperti Mi occupo in chiusura del fenomeno per il quale l’ambiente carsico e le grotte in particolare possono essere così frequentemente correlate all’archeologia, alla paleontologia ed alla prei­ storia, argomenti assai affascinanti, oltre che di grande interesse culturale e scientifico. E’ la lie­ ta controparte del rapporto problematico con la burocrazia di Stato che, in caso di scoperta archeologica, è rappresentato dalla Sovrintendenza archeologica. La moderna ricerca scientifica ha attestato la presenza stazionaria di gruppi umani all’interno delle grotte in epoche antichissime denominate “paleolitico” per il caratteristico utilizzo di strumenti litici scheggiati (fino a circa 10.000 anni fa). Dopo questa data le grotte vennero frequentate quasi esclusivamente per scopi generalmente di tipo magico-religioso. L’alta frequenza di rinvenimenti archeologici in grotta non è causata esclusivamente dallo stazionamento umano al suo interno, ma occorre soprattutto che si verifichi contemporaneamente un altro evento naturale, devono sussistere le condizioni chimico-fisiche idonee alla conservazione-fossilizzazione dei resti diretti ed indiretti della sua presenza subito dopo che gli oggetti sono stati abbandonati al suolo. Esaminiamole separatamente. La scelta della grotta doveva avere un ruolo strategico ai fini della sopravvivenza. Oltre a svolgere funzioni di ricovero e protezione, “l’avampaese” antistante la cavità doveva offrire un territorio in cui erano presenti fattori ambientali vitali quali acque dolci, vegetazione e selvaggina abbondante, per l’esercizio di un’economia di caccia prevalente. Gli studi paleoecologici condotti dal Laboratorio di Ecologia del Quaternario dell’Università di

5

Firenze presso le grotte del comprensorio prei­ storico di Porto Selvaggio (Nardò-LE) hanno trovato dati importanti a supporto di questa ipotesi. Il secondo elemento decisivo che spiega la ricchezza di reperti nelle grotte pugliesi è di natura carsicogeologica. La conformazione geologica a giacitura orizzontale della piattaforma carsica salentina ha permesso la formazione di cavità a sviluppo prevalentemente orizzontale a distribuzione costiera, i cui ingressi hanno funzionato da foce a mare dei paleofiumi carsici. Con l’innalzamento della piattaforma, in concomitanza con l’abbassamento del livello dei mari durante le fasi glaciali, il livello di falda si è approfondito e i vecchi condotti abbandonati. Le acque carsiche hanno trovato nuove vie di scorrimento, generalmente a valle dei vecchi condotti. Così le vecchie grotte, entrate in fase senile e libere da acque circolanti, erano ubicate di fronte ad ampie spianate pianeggianti (gli attuali fondali marini), ricche di fonti d’acqua carsica dolce. Ecco spiegato uno dei più importanti presupposti ambientali che ha favorito lo stazionamento stabile di popolazioni umane paleolitiche nelle grotte salentine e del distretto di Nardò. Requisito indispensabile ma non sufficiente se non accompagnato dal successivo fenomeno naturale necessario alla sopravvivenza fisica dei resti: copertura (seppellimento) e fossilizzazione. Le coperture I resti di pasto, gli scarti di lavorazione, gli strumenti abbandonati o persi, i focolari con resti carbonizzati, che formeranno l’oggetto della ricerca moderna, per giungere fino a noi devono venire coperti da sedimenti naturali. Questi giungono in massima parte dall’esterno veicolati dal vento, sono composti da sabbia di varia grana, polveri di varia natura ed origine (vulcanica, desertica) e pollini della vegetazione esistente, insieme a materiali di disfacimento provenienti dalle pareti interne delle cavità. La massa totale delle coperture

44


5

Implicazioni speleologiche in archeologia

Fig 5.1 - Grotta di Capelvenere – Nardò (LE), campagna di scavo 1975 (E. Borzatti , Archivio GSN)

compone il deposito a strati, il cui spessore non è in rapporto diretto col tempo ma con l’intensità dell’apporto, che è il presupposto indispensabile al processo chimico di conservazione delle ossa: la fossilizzazione. Mentre per gli strumenti litici più duri (selce, quarzite, ecc.) la qualità delle coperture sono quasi indifferenti alla conservazione, per la fossilizzazione occorrono tutte: velocità di formazione dello strato, pH basico, acque percolanti, ricchezza di minerali disciolti. La obbligatoria contemporaneità dei fattori rende l’evento ad alta improbabilità statistica. L’evento naturale non è altro che una specie di “pietrificazione” delle ossa e consiste nella sostituzione spaziale della matrice ossea con cristalli formatisi per precipitazione dei minerali disciolti nelle acque sature circolanti

45

all’interno dei suoli. L’osso originario viene fedelmente riprodotto: è una specie di copia olografica. E’ sufficiente un pH leggermente acido perché la fossilizzazione non avvenga e l’osso fresco si decomponga: addio reperto. Un po’ meglio se la cavano i denti, la cui componente dura (smalto) resiste meglio alla corrosione naturale, ed infatti la massa preponderante osteologica rinvenuta negli scavi è composta da denti. Si può capire ora quale valore naturale racchiuda un solo osso fossile e un solo strumento litico trovato in grotta! Quale meravigliosa, complessa, millenaria storia naturale abbia vissuto quell’oggetto prima di giungere come reperto-documento, fotogramma di un tempo passato giunto miracolosamente nelle nostre mani. Quanti resti sono andati perduti per mancanza di


Implicazioni speleologiche in archeologia

condizioni chimico-fisiche di fossilizzazione, per mancanza di coperture sedimentarie, per riprese di fasi erosive del ciclo carsico. E’ stato detto che il 99% dei resti totali lasciati in grotta non riesca a giungere fino a noi, potete dunque capire cosa significhi per noi tutti e per gli speleologi che per primi vedono, sfiorano e toccano un paleosuolo rimasto chiuso sigillato per millenni. Quanti dati scientificamente significativi può restituirci per tentare di capire un briciolo della nostra storia remota! Stratigrafia e contesto Tanto per rendere l’evento ancora più complesso vi devo dire che il valore del reperto, pur enorme dal punto di vista del contenuto naturalistico, può essere praticamente annullato dal punto di vista della scienza preistorica moderna se lo priviamo del cosiddetto “contesto” di provenienza. Qui entra in ballo il comportamento in grotta del profano, speleologo o “grottista” che sia, quale potenziale causa di alterazione di questo “contesto” di cui stiamo dicendo. Cominciamo ad addentrarci nel cuore del problema: l’approccio dello speleologo ad un ambiente naturale-culturale in grotta deve mirare a evitare una possibile contaminazione di una scena “cristallizzata” dal tempo, nota anche come “paleosuolo” o, più spesso, lo sconvolgimento di un deposito sedimentario “archeozoico”. L’importanza del fattore “contesto” è cruciale nelle moderne tecniche di indagine, proprio come avviene quando la polizia scientifica analizza la scena del delitto prima che altri intervengano alterando inconsapevolmente tracce microscopiche. Infatti la ricerca archeologica è divenuta scienza quando l’insieme degli elementi esterni al reperto hanno assunto più valore del reperto di per se. Ogni oggetto deve essere trovato nella sua giacitura primaria, ossia deve essere esattamente indicata la sua posizione spaziale nello strato originario, livello per livello devono essere conosciuti

5

gli insiemi di strumenti, scarti, resti fossili, composizione chimica e granulometrica dei sedimenti, contenuti complementari di origine organica, ino­rganica e biologica. Saranno così ritenuti coevi e, ove possibile, attribuita una datazione assoluta con metodi solitamente ai radioisotopi. Questo insieme di dati è definito contesto solo se tutte le circostanze descritte sono soddisfatte. La sua importanza risiede nel fatto che questo metodo d’indagine offre la maggior quantità di informazioni convergenti a sostegno di una ricostruzione più completa degli ambienti naturali, delle culture materiali e delle paletnologie delle popolazioni umane preistoriche. Uno o più reperti estratti a caso da un deposito, dal loro contesto, sono irreversibilmente inutilizzabili da questo punto di vista e, per questo, irreparabilmente compromesso il suo valore documentale. Facciamo un esempio elementare. Se da una pellicola di un film sconosciuto estraessimo qualche fotogramma e dai fotogrammi estratti vedessimo chiaramente ritratta una spada romana, una daga, saremmo portati ad ipotizzare che il film restante dovrebbe raccontare la storia di una vicenda risalente al tempo dell’Impero di Roma. Invece il resto della pellicola (nel caso nostro immaginato) narra la storia di un artigiano milanese dell’anno 2009 che produce copie di spade per collezionisti. E’ questo il valore degli insiemi contestuali. Precauzioni esplorative A conclusione di quanto fin qui detto possiamo senz’altro concludere che sono i depositi sedimentari il sito archeologicamente più importante per la ricerca, in quanto raccoglitore stratificato di una massa di informazioni intorno alla storia del microambiente della grotta in cui si trova. A partire da una certa epoca (Paleolitico superiore), alcune grotte, ed in particolare il fondo ed i rami più bui interni, sono state scelte come sede di riti esoterico-religiosi. Già i neandertaliani del paleo-

46


5

Implicazioni speleologiche in archeologia

litico medio usavano seppellire i morti nei recessi più bui, dove si trovano i segni più evidenti di tali culti, come le manifestazione definite “arte”: affreschi parietali, disegni, incisioni su lastre, ciottoli o su osso prodotti dalla fine del paleolitico superiore a tutto il Neolitico e fino al Bronzo. Dal Neolitico l’uomo comincia a produrre oggetti va­scolari in ceramica e forme particolari di strumenti in materiali nuovi come l’ossidiana. Tutte queste belle cose si trovano proprio nelle stesse grotte che gli speleologi amano esplorare, rappresentando indubbia­mente per loro un impegno aggiuntivo, gravoso, da mettere in conto. Dal punto di vista esplorativo si devono assumere alcuni accorgimenti responsabili. Tenete presente che i depositi sedimentari, quando presenti, si ubicano sempre davanti e all’entrata delle grotte ad ingresso ampio e pianta a sezione orizzontale. Le cavità a sviluppo verticale possono aver svolto funzioni di raccolta per caduta accidentale di animali e, quindi, possono presentare sul fondo resti paleontologici. Esempio noto è rappresentato dallo scheletro del famoso uomo di Altamura trovato in fondo ad uno stretto pozzo e ai fossili provenienti dalle “ventarole” nella pietra leccese. Ove presente, il deposito sedimentario non va mai mosso ed eventuali elementi apparentemente significativi presenti in superficie vanno campionati e condotti al più vicino dipartimento archeologico universitario. Se il reperto è evidentemente importante bisogna procedere come prescritto dalla legge di cui sopra. Le disostruzioni di passaggi occlusi dovrebbero essere eseguite con una buona illuminazione in modo da osservare bene la struttura prima e durante il lavoro. Le diramazioni di cavità appena aperte all’esplorazione vanno accuratamente osservate da tutti, ma di più devono fare gli “apripista” che per primi entrano in ambienti nuovi. In particolare vanno ispezionati i pavimenti e le pareti, i piccoli anfratti e la superficie dei massi recanti eventuali impronte o segni. Svolto questo minu­ zioso intervento preliminare con esito negativo,

47

la fase della successiva esplorazione speleologica può procedere più speditamente, ma sempre con occhio attento. Se dovesse accadere che, invece di una bellissima grotta ricca di concrezioni, vi trovaste di fronte qualcosa come quello che la luce delle acetilene mostrò agli occhi esterrefatti degli scopritori della grotta dei Cervi di Porto Badisco (vedi avanti), la vostra storia personale potrebbe subire uno scossone. Famose scoperte archeologiche ad opera di speleologi Lo stretto rapporto fra speleologia e preistoria è confermato da numerose scoperte, alcune di importanza eccezionale. Il ruolo primario della speleologia nella prima fase di ricerca rimane sempre quello di intercettare e segnalare agli organi competenti indizi o prove significative della presenza di un sito archeologico dentro o fuori la grotta. In Puglia questo legame è stato ed è particolarmente fertile di scoperte, che hanno segnato storicamente alcuni passaggi cruciali nello sviluppo della disciplina scientifica della preistoria, come dimostrano i casi che seguono. Fra questi vogliamo mettere al primo posto la scoperta di grotta Romanelli, non solo per la immensa mole di dati e reperti recuperati in quasi un secolo di scavi, ma soprattutto per il fatto che proprio qui, per la prima volta, fu applicato un metodo d’indagine scientifico rigoroso, destinato a far scuola (Blanc, 1930). Erano quelli i tempi in cui l’archeologia si occupava prettamente dei grandi resti monumentali delle civiltà di età classica, Egitto, Grecia, Roma, Persia, ecc. dove, tra l’altro, abbondavano le fonti scritte. In loro assenza, come è norma in preistoria, gli archeologi erano costretti a formulare ipotesi, il cui riscontro scientifico era dato sopratutto dalla fama autorevole dello studioso. Il metodo ecologico di Blanc ha costituito una pietra miliare come contributo alla soluzione dei problemi legati all’assenza di fonti scritte.


Implicazioni speleologiche in archeologia

Grotta Romanelli (Castro marina, Lecce) La scoperta della grotta si deve al Botti nel 1861 (Botti, 1871). Molti anni dopo, nel 1900, fu però un prototipo di speleologo, Paolo Emilio Stasi, a “sverginarla” letteralmente, abbattendo il diaframma che ne sigillava l’ingresso e che le cronache del tempo descrivono come “breccia ossifera”. Non è dato di sapere se e di che entità fu il danno arrecato al paleosuolo soggiacente dietro quella parete. Dopo 4 anni effettuò il primo scavo con il Regalia (Stasi e Regalia, 1904), dove venne anche scoperta una nuova specie: l’asino idruntino. Dovettero poi pubblicare una nota per rispondere ad alcune critiche loro mosse (sulla conduzione dello scavo e sulle conclusioni) da Luigi Pigorini, un’autorità del tempo, direttore del Museo di Antichità di Parma e direttore Generale dei Musei e degli Scavi d’Antichità del Regno a Roma (laureato in Scienze politiche ed amministrative), che sostenne una tesi in contrasto con il Regalia circa le sequenze preistoriche di grotta Romanelli (Pigorini, 1904). Dal 1920 in poi si insediò il barone G.A. Blanc, che inaugurò una delle più prolifiche e famose campagne di scavo nella storia d’Italia. Grotta Romanelli è nota in tutto il mondo per l’avvento della suddetta nuova metodica scientifica che getterà le basi della moderna ricerca preistorica. Sono state scoperte, tra l’altro, la cultura “romanelliana”, una mole immensa di reperti osteologici fra cui il famoso “pinguino” boreale Alca impennis e l’asino otrantino ed inoltre, per la prima volta in Italia, l’arte paleolitica parietale in una grotta. Sistema carsico Lamalunga (Altamura, Bari). Il complesso di grotte di Lamalunga (Altamura, Bari), sito nella piattaforma carsica pugliese denominata Murgia, è diventato famoso nel mondo per aver conservato per centinaia di migliaia di anni e restituito lo scheletro fossile più noto con l’appellativo di “Uomo di Altamura”. L’unicità del

5

reperto, nella panoramica delle scoperte di specie simili, risiede nel fatto che mai si era trovato uno scheletro completo di quel tipo. Inoltre la particolarità davvero unica di trovarsi completamente inglobato dentro una “colata” di calcite ricca di concrezioni globulari, rendono il reperto e la scena del tutto eccezionale. La scoperta avvenne nel 1993 ad opera degli speleologi dal CARS di Altamura sul fondo di un pozzo molto stretto. Incaricato delle indagini fu il prof. Delfino Pesce dell’Università di Bari. Vista la condizione particolare del reperto si decise di non intervenire per la sua rimozione e studio dal suo sito. Pertanto tutti i rilievi possibili sono avvenuti ed avvengono per osservazione indiretta dello scheletro che presenterebbe elementi morfologici di una specie di transizione fra Homo erectus e Homo neandertalensis, o una sua forma arcaica databile intorno ai 250.000 anni fa. L’eccezionale reperto è visibile dall’esterno grazie ad uno strumento ultra moderno per la visione a distanza. Grotta dei Cervi (Porto Badisco, Uggiano la Chiesa, Lecce) Un altro esempio dell’insostituibile ruolo della speleologia quale fonte primaria di intercettazione di novità assolute in campo preistorico è rappresentato dalla scoperta della Grotta dei Cervi, sita lungo la costa salentina, in località Porto Badisco a sud di Otranto. Si deve al paziente lavoro del Gruppo Speleologico Salentino “P. de Lorentiis” di Maglie (Lecce) ed in particolare da cinque membri I. Mattioli (v. foto pag. 40), S. Albertini, R. Mazzotta, E. Evangelisti e D. Rizzo, che nel febbraio 1970, forzando un passaggio, trovarono nuovi rami inesplorati del complesso carsico, il cui sviluppo orizzontale si aggira sui 1500 metri. Le nuove gallerie erano letteralmente tappezzate da decine e decine di pittogrammi: avevano scoperto il complesso pittorico neolitico più importante d’Europa. La datazione dei dipinti al neolitico

48


5

Implicazioni speleologiche in archeologia

(4.000 anni a.C.) è stata fatta sulla base di associazioni e riferimenti stilistici, ma per la maggior parte di essi non vi è stato ancora modo di giungere ad una decodifica dei significati. I pittogrammi sono stati eseguiti con guano di pipistrello e ocra rossa, alcuni rappresentano scene di caccia a figure umane e zoomorfe eseguite con tratto stilizzato, altri raffigurano forme geometriche astratte o più propriamente a carattere simbolico, che verrebbero definiti come magico-religiosi. Vari problemi, tra cui motivi di sicurezza ed impraticabilità dei percorsi, hanno impedito la fruizione anche indiretta della grotta e dei dipinti. Distretto preistorico di Porto Selvaggio (Nardò, Lecce). Un ruolo fondamentale nel futuro destino preistorico di questa importante area preistorica italiana spetta a Carlo Cosma, speleologo e direttore del Gruppo Speleologico Salentino “P. de Lorentiis” di Maglie (Lecce). Era intorno al 1959, quando a seguito di sue segnalazioni di rinvenimenti di “ossa e selci scheggiate arcaiche”, il direttore del Museo Archeologico di Lecce, dr. Mario Bernardini, conferì all’Istituto Italiano di Preistorie e Protostoria di Firenze l’incarico di avviare una campagna di scavi in tutto il Salento ed anche a Nardò, alla baia di Uluzzo. Iniziarono così la loro

futura luminosa carriera Edoardo Borzatti von Löwenstern (Univ. di Firenze) ed Arturo Palma di Cesnola (Univ. di Siena), all’epoca assistente di Paleontologia Umana il primo e studente di geologia il secondo. Dai primi sondaggi lungo tutta la fascia costiera del Salento, svolti nel 1960, decisero di focalizzare l’attenzione intorno alla baia di Uluzzo, sulla costa ionica a Nardò (Lecce). I risultati gli diedero ragione e da allora gli scavi continuano ancor oggi (con altri protagonisti) con risultati che hanno fatto di quest’area uno dei distretti più noti nell’ambiente accademico della preistoria italiana. Nell’area, oggi parco naturale Porto Selvaggio e Palude del Capitano, sin’ora sono venuti alla luce circa 17 siti archeologici sparsi su di una superficie relativamente ristretta di circa 500 ettari. Nel complesso coprono un vasto arco temporale che va da circa 110.000 anni ad oggi, dal Paleolitico medio, Superiore, Neolitico, Bronzo fino all’epoca romana. Particolarmente significativi sono i siti di Grotta del Cavallo, Bernardini, Capelvenere, Serra Cicora, ma è il complesso che forma un insieme quasi ininterrotto di documentazione archeologica. Un contributo importante alla consistenza del patrimonio speleo-archeologico di Porto Selvaggio è stato offerto, in epoche recenti, dal Gruppo Speleologico di Nardò e dallo scrivente in particolare, con la scoperta di almeno 3 siti di notevole interesse.

Bibliografia Blanc G.A., 1930 - Il metodo ecologico in paletnologia. A.A.E. vol. LX.

Castro, in terra d’Otranto. Boll. di Paletn. Ital. vol. XXX.

Botti U., 1871 - Le caverne del Capo di Leuca. Lecce.

Stasi P.E., Regalia E., 1904 - Grotta Romanelli (Castro, Terra d’Otranto). Stazione con faune interglaciali calde e di steppa. A.A.E. vol. XXXIV. Firenze.

Pigorini L., 1904 - La grotta Romanelli presso

49


50


Studi e ricerche speleologiche sul sistema degli ipogei di Masseria Lo Noce (TA) Arcangelo Fornaro1, Antonio Vincenzo Greco2, Aurelio Marangella3, Patrizia Maranò4, Angelo Nuzzo5, Mario Parise6, Gian Claudio Sannicola3 Università di Bari, 2Perieghesys,Taranto, 3Speleo Club Criptae Aliae, 4DIRES, 5Studio Nuzzo,

1

6

CNR IRPI (Bari)

Introduzione In questo contributo si illustrano le principali caratteristiche geomorfologiche, speleologiche, storico-culturali e archeologiche del sito di Masseria Lo Noce, inserito nell’omonima lama, che rappresenta un unicum all’interno delle evi­denze archeologiche ed ambientali dell’intero territorio ionico, in quanto concentra in uno spazio ristrettissimo tutti gli elementi architettonici, geologici, morfologici, ed archeologici caratteristici e tipici della civiltà rupestre. Oltre a illustrare gli elementi sopra citati, ci si soffermerà inoltre su alcune delle numerose cavità presenti, tra cui spicca il sistema ipogeo dell’omonimo frantoio, che per la grandezza e la varierà tipologica dei suoi ambienti, interamente scavati nel sottosuolo, rappresenta una delle testimonianze migliori della stagione dei frantoi ipogei, sorti fra il ‘600 e il ‘700. Aspetti geomorfologici La lama di Lo Noce è ubicata nel settore meridionale del territorio di Grottaglie, dove il collegamento tra i due ripiani morfologici presenti, rispettivamente, alle quote 135-150 e 90-100 m s.l.m., avviene attraverso blande incisioni denominate lame (Colamonico, 1953; Palagiano, 1965) che solcano i depositi calcarenitici.

51

La lama di Masseria Lo Noce ha un andamento iniziale a direzione N-S, prima di deviare bruscamente in senso NE-SW, tipico di gran parte delle gravine e lame di Grottaglie (Marangella & Parise, 2007). A valle della S.P. Grottaglie– San Marzano, la lama perde l’evidenza morfologica a causa delle blande pendenze connesse all’affioramento delle Argille Subappennine e, in parte, anche degli interventi antropici sul territorio. Note archeologiche La contrada di Lo Noce è attraversata da sei lame, di varia lunghezza e profondità. La prima, la terza (lama di Masseria Lo Noce) e la quarta si articolano in due livelli, con una stretta pianura intermedia; la quinta è priva del livello inferiore. Sul fondo di tutte le lame si osservano frammenti di ceramiche antiche. Dappertutto, sugli spalti, si notano incisioni di carrarecce di varie epoche o per la raccolta dell’acqua piovana; buche di palificazioni di capanne preistoriche e tracce dei solchi delle incannucciate; infine caverne naturali utilizzate dall’età del bronzo ed innumerevoli cavità artificiali (grotticelle funerarie, dimore, cisterne, opifici, ecc). Ivi si riscontrano tre villaggi principali, nei quali le testimonianze scorrono dall’età del Bronzo, al medioevo.


Studi e ricerche speleologiche sul sistema degli ipogei di masseria Lo Noce (TA)

Documentazione storica in età moderna L’attuale Masseria Lo Noce prende origine al passaggio fra Medio Evo ed Età Moderna, inoltre questo abitato disperso gravitava intorno alla chiesa rupestre di San Pietro, una delle più interessanti del territorio grottagliese. Il primo proprietario di una masseria nel sito in esame fu, alla fine del ‘500, un tal Giuseppe Vergara di Grottaglie. Nel 1594 era già stata ceduta ai De Raho; in quell’anno Geronima Odoarda, vedova di Antonio De Raho vendeva a Luigi De Cesare parte della proprietà. Il prezzo di vendita era di 100 ducati. Poco dopo, nello stesso anno, Luigi Ant. de Cesare cedeva il complesso a Marco de Raho, per il medesimo prezzo. La masseria tornò ai Cesare, che introdussero numerosi ampliamenti e miglioramenti. Tuttavia nel 1633, i beni dei Cesare venivano posti sotto sequestro per iniziativa del barone di Grottaglie, per crediti da questi vantati nei confronti di diversi cittadini grottagliesi. La masseria veniva in tal modo venduta all’asta per 400 ducati a Giovanni Rodriguez di Francavilla. Nel 1638, nuovamente posta all’asta, per 700 ducati si aggiudicava il bando Fabio Gatto, per conto del Collegio dei Gesuiti di Madrid, creditori dei Cesare. L’approvvigionamento di acque piovane Nelle immediate vicinanze della Masseria Lo Noce, a NW, si estende un pianoro brullo con rocce affioranti in cui si rintraccia un articolato sistema di captazione e raccolta di acqua piovana, con molta probabilità risalente al periodo neolitico. Le tre cisterne rilevate sono localizzate nei terrazzamenti più bassi dell’omonima contrada e raccolgono l’acqua di dilavamento attraverso una serie di rudimentali canalizzazioni a cielo aperto che tagliano in diagonale il terreno del pianoro sovrastante; disposte poco distanti tra loro, sono tutte della

6

tipologia a campana, di costruzione molto antica, partendo dal piano di campagna; tutte sono provviste di canali sfioratori e, in aderenza, di vaschette scavate nella roccia, in cui veniva a raccogliersi l’acqua in eccesso o più frequentemente quella prelevata col secchio. La profondità di tali cisterne è compresa tra i 3 e i 4,5 metri, ma potrebbe essere superiore dal momento che il terriccio e i detriti presenti impediscono di scorgere e di apprezzare pienamente la struttura. L’interno, pieno d’acqua, lascia intravedere il fondo circolare al centro del quale si ipotizza, come per tutte le cisterne campanate, l’esistenza di una vaschetta denominata sentina o catino di sedimentazione per il deposito delle impurità provenienti dall’esterno (terriccio, foglie e altri materiali estranei). Queste cisterne fino a qualche tempo fa potevano essere facilmente individuate sul pianoro poiché prive di elementi di copertura e protezione, oggi per motivi di sicurezza sono state occultate sotto cumuli di terra di riporto. Poco oltre la loro ubicazione, procedendo lungo i percorsi delle canalizzazioni, si rinvengono vasche e abbeveratoi scavati nella roccia che lascerebbero intendere l’importanza della zona per le poste e i passaggi delle greggi. Inoltre si ipotizza l’esistenza di altre cavità assimilabili a grandi camere inta­ gliate nel banco roccioso dalle tracce di canalette di adduzione. Proseguendo fino all’area che sovrasta il frantoio ipogeo scopriamo le tracce di altre tre cisterne, due di pertinenza dello stesso, ubicate all’interno, ed una posta in prossimità dell’accesso allo jazzo, riconoscibile dall’imbocco costituito dai resti di un blocco monolitico in pietra. Entrando all’interno dell’opificio, subito a destra dell’ingresso archivoltato, nel primo vano laterale, troviamo una cisterna riconoscibile dal puteo in muratura e dal condotto verticale di adduzione che capta l’acqua piovana raccolta attraverso canalette intagliate sulla sommità dell’opificio; la

52


6

Studi e ricerche speleologiche sul sistema degli ipogei di masseria Lo Noce (TA)

cisterna è profonda circa 3 m e risulta a tutt’oggi piena d’acqua. La seconda cisterna è situata nella parte più interna dell’ipogeo. Non svolge più la primordiale funzione di raccolta dell’acqua poiché è stata convertita in deposito per le olive e resa comunicante col frantoio attraverso un corridoio interamente scavato, che ne permette l’accesso all’altezza del catino di sedimentazione per goderne della spazialità dal basso; la base maggiore, perfettamente circolare, misura un diametro di circa 6,40 m per un’altezza fino all’imboccatura di 5 m. Sulle pareti di tutte le cisterne indagate è ancora visibile, ben conservato e di ottima fattura, lo spesso strato di intonaco di cocciopesto che le rendeva impermeabili. L’uso di intonaci di calce e cocciopesto per il rivestimento interno si tramanda da tempi remotissimi. Per uniformare la superficie dei supporti sottostanti veniva steso un primo strato di malta di allettamento, poi un secondo strato grossolano di cocciopesto a creare una spessa crosta monolitica e un terzo di malta di calce (spesso mescolata a bolo) resa impermeabile in virtù della presenza degli olii, o sostanze consimili, in essa mescolati. Una volta essiccate, queste malte signine assumevano l’aspetto e la consistenza pietrigna rendendo l’opera rifinita straordinariamente resistente. Gli ipogei di masseria Lo Noce Il sistema degli ipogei della lama di Masseria Lo Noce è costituito da: 1) un insieme di varie cavità collegate, tra le quali spicca una colombaia; 2) un frantoio ipogeo; 3) una cisterna nell’aia della masseria; 4) una grotta caseificio con forno; 5) una grotta-ovile con fovea o frigorifero naturale; 6) una cavità con inusuali canali scavati lungo il perimetro basale; 7) una incisione sottoroccia con annessa cavità (probabile) riparo per animali; 8) due grotte riparo; 9) una tomba rimaneggiata;

53

10) una stalla semi-ipogea adiacente e sottostante l’immobile della masseria. Inoltre sullo spalto di NW incontriamo, partendo dal basso, tre cisterne in linea su livelli diversi, già trattate nel paragrafo inerente la raccolta dell’acqua piovana, ed una tomba con dromos esaminata nelle note archeologiche. Il sistema ipogeo della colombaia si presenta molto trasformato rispetto a quella che doveva essere la sua forma e quindi agli utilizzi originari. Impostati su diversi livelli, gli ambienti presentano i pavimenti attuali colmati di terra e pietre, sia a nascondere quello che era il vecchio piano di calpestio ma anche a riempire ed occultare fosse o pozzetti, quali: fovee (incavature nella roccia usate per la conservazione di derrate alimentari liquide e solide) o frigoriferi naturali. Il sistema presenta due ingressi principali, uno a SE e l’altro a N, e numerosi collegamenti con il piano di calpestio superiore, esterno alle grotte, quali: sfiatatoi-lucernari per il ricambio dell’aria, camini, caditoie; queste ultime testimoniano la probabile presenza di assali di macine o torchi in funzione di intaccature ben definite sulla volta delle grotte delle caditoie e della colombaia. Entrando da SE si trova la grotta delle caditoie, lunga circa 17 m, larga 5 m ed alta meno di 3 m; a sinistra si sviluppa con andamento sinuoso ed al termine presenta un ingresso modificato a finestra per il rialzo del piano di calpestio esterno. Sulla destra dell’ingresso, un corridoio lungo 4 m, con scalinata, immette nella grotta della colombaia, lunga 10 m, larga da 1,50 a 6 m ed alta 2,5 m. Essa presenta un insieme di 212 cellette (fig. 6.1), di 30 cm di profondità, larghe 33 cm e alte 25 cm; di queste, 5 sono senza la parte superiore per la mancanza di parte del soffitto e 28 sono costruite con blocchetti di tufo squadrati sovrapposti a scacchiera. L’ipogeo risulta una colombaia o palombaro, come da atto di vendita del 1594 da Geronima Odoarda, vedova di Antonio De Raho a Luigi De


Studi e ricerche speleologiche sul sistema degli ipogei di masseria Lo Noce (TA)

6

Fig 6.1 - Grotta della colombaia con le fovee a pavimento e le cellette (A. Marangella)

Cesare, ma la sua architettura ipogea ben si presta ad essere assimilata a farmacia-erboristeria. Al centro della zona semicircolare del pavimento si trovano due fovee unite da uno scavo tipo trincea, mentre sul soffitto vi sono vari anelli di roccia, una intaccatura a testimonianza della presenza di assale incastrato a soffitto ed un lucernario chiuso. Due gradini in salita danno accesso all’ultima zona dell’ipogeo, che ne costituisce il secondo ingresso: lunga 9 m, larga 3 m ed alta 2 m, ha pavimento uniformemente ricolmo di materiale detritico. Il frantoio ipogeo (fig. 6.2) si presenta completamente scavato nella locale calcarenite e si compone di un androne d’ingresso lungo 32 m, alto 2,5 m e con larghezza massima di 16 m; l’ipogeo è stato dismesso come frantoio probabilmente sin dai primi dell’ottocento, come attesta un Atto Notarile del 1819 (Archivio di Stato

di Taranto, p.zo 5361, ff.128r 132r) del Notaio Michele Casimiro Rossi, nel quale si affittava la masseria ed i terreni contigui senza fare alcun riferimento all’opificio in esame, e come testimoniato dalla presenza dei soli torchi alla calabrese e non alla genovese introdotti dopo il 1800. Dei cinque torchi alla calabrese rimangono gli scavi a terra per l’installo dei basamenti, la pietra basale centrale per l’appoggio dei fiscoli con la canalina di raccolta dell’olio onde riversarlo frontalmente al centro in una vasca denominata angelo, infine sulla volta, le intaccature per gli assali dei vitoni. Nel pavimento gli angeli, del diametro di circa 80 cm e profondi 95 cm, sul fondo presentano una canalina scavata del diametro di 7 cm in direzione e quindi comunicante con l’angelo presso le sciaie, il tutto a costituire un sistema di raccolta e decantazione della moria in una vasca centrale

54


6

Studi e ricerche speleologiche sul sistema degli ipogei di masseria Lo Noce (TA)

Fig 6.2 - Viste del frantoio ipogeo: (da sopra) l’ingresso esternamente, l’androne di accesso e le tracce basali dei torchi alla calabrese (A. Marangella)

(denominata Purgatorio o Inferno) onde recuperare l’ultimo olio scarso detto lampante (per le lampade ad olio), non alimentare. La macina era presumibilmente situata in prossimità dell’ingresso, come risulta dall’intacca sul soffitto tipica delle antiche macine. Alla destra dell’ingresso una stanza con l’imboccatura di una cisterna piena d’acqua (summenzionata), e due porte murate che davano in un altro ambiente, anch’esso adibito al ricovero dei frantoiani. A metà androne, sullo stesso lato, c’è una stanza con quattro mangiatoie, quindi un’incavatura a base quadrata ed infine un’ultima stanza di metri 5 x 3,5, forse depositi per l’olio in contenitori. In fondo all’antro si osserva un corridoio con dieci piccole stanze utilizzate per la selezione ed il deposito delle olive, chiamate sciaie o sciave; dotate ognuna di una caditoia, per lo scarico delle

55

olive direttamente dal suolo sovrastante il frantoio, hanno l’ingresso originale (a finestra) ampliato a grandezza di porta, probabilmente per l’uso del frantoio come deposito di munizioni durante la II Guerra Mondiale. Ivi si notano graffiti costituiti da numerose linee parallele, probabile sistema di conteggio delle giornate lavorative. Sulla sinistra dell’ingresso è presente una stanzetta con un grande camino, sul muro a seguire si osservano vari graffiti (nomi, date), mentre in fondo vi è un corridoio con, a sinistra, l’inizio di lavori di scavo per il probabile ampliamento del passaggio che conduce ad una cisterna tronco-conica aperta lateralmente (summenzionata). L’abbondanza del materiale di riporto presente richiederebbe una serie di scavi in tutto l’ipogeo, onde meglio definirne le peculiari caratteristiche morfologiche, architettoniche e funzionali, viste


Studi e ricerche speleologiche sul sistema degli ipogei di masseria Lo Noce (TA)

anche le interessanti incisioni graffite ritrovate. La grotta del caseificio con forno è stata utilizzata sino a qualche decennio fa come caseificio (come indicato dalla presenza di un camino centrale a due stalli murari di appoggio ai pentoloni di rame usati nella lavorazione del latte) e come forno per la cottura del pane. L’ipogeo presenta il pavimento in battuto cementizio, mentre i muri laterali ed il

6

stente in uno scavo a canaletto. Risalta subito alla vista la presenza al centro dell’ipogeo di una fovea o pozzetto frigorifero senza rivestimento, con diametro superiore di 125 cm e profonda non meno di 50 cm. Il pozzetto, precedentemente colmo di pietre e materiale terroso, ha rivelato la presenza di reperti ceramici (probabilmente medioevali) tra i quali una lucerna ed una palla in pietra calcarea.

Fig 6.3 - Veduta di Lama Lo Noce

soffitto sono costituiti da roccia calcarenitica scavata ed imbiancata a calce più volte. Presso il forno c’è una nicchia che veniva probabilmente usata per la conservazione delle cibarie, mentre altre quattro più piccole sono presenti lungo il perimetro; sul soffitto i classici anelli di roccia e due sfiatatoi. L’unico graffito (una croce latina) è presente al centro della stanza frontalmente all’ingresso. La grotta della fovea o frigorifero (v. foto pag. 5051) anticamente si presentava con un accesso naturale più ampio. Oggi un muro di blocchi squadrati in calcarenite presenta un ingresso ristretto onde utilizzare la grotta per ricoverare gli ovini, come si evince dalla presenza di una mangiatoia scavata a 30 cm di altezza dal piano di calpestio e consi-

Sul soffitto si notano anelli di roccia, uno sfiatatoio e una intacca di incastro per assale di torchio o macina. Anche la grotta delle incavature o mangiatoie è stata modificata: l’ingresso principale presentava un muro di cui rimane solo una parte, mentre sul lato opposto c’è un secondo accesso più piccolo trasformato a finestra, onde adibire l’ipogeo a ricovero per agnelli. Lunga 5,5 m, larga 4 m ed alta 2,5 m, essa presenta a circa 30 cm dal piano di calpestio delle incavature per quasi tutto il perimetro interno ed anche sulla facciata esterna alla grotta, usate come mangiatoie dagli ovini. Sul soffitto vi sono anelli di roccia e due sfiatatoi occlusi nei pressi delle due aperture, con le caratteristiche

56


6

Studi e ricerche speleologiche sul sistema degli ipogei di masseria Lo Noce (TA)

e particolari canaline di drenaggio tutt’intorno ai fori, onde evitare l’accesso dell’acqua durante le piogge. Conclusioni

Le varie ricerche sin qui esposte sul sito di Masseria Lo Noce, rappresentano solo la punta di una conoscenza ancora in buona parte da scoprire e studiare, come, per esempio: l’utilizzo delle tacche di assale presenti nella grotta delle caditoie, nella grotta colombaia e infine nella grotta della fovea, od ancora i riempimenti dei vari pozzi e pozzetti (fovee, vasche, coni di sedimentazione delle ci-

sterne, ecc.). Le ricerche sono state favorite dalla volontà del proprietario di conservare e valorizzare le peculiarità ivi esistenti con la creazione di un parco archeologico o strutture che, pur utilizzando i vari ambienti, non intacchino le emergenze presenti. Sicuramente, dopo anni di oblio, con questo nostro piccolo contributo dovremmo avere dato qualche nuovo spunto per la valorizzazione del sito a chi verrà dopo di noi (speriamo al più presto), con l’augurio di riuscire ad aprire le porte di questo piccolo scrigno di storia grottagliese a tutta la comunità.

Ringraziamenti Si ringraziano tutti i soci dello Speleo Club Criptae Aliae senza i quali tale lavoro non si sarebbe svolto, il proprietario del sito Sig. Ciro Monteleone nell’averci concesso l’ingresso ai luoghi, ed il suo fiduciario Sig. Ciro Galeone per la pazienza e disponibilità concesse.

Bibliografia Colamonico C., 1953 - Lame e gravine in Puglia. Le Vie d’Italia, 11, p. 704. De Marco M., Sannicola G.C., 2001 - I frantoi ipogei nel territorio di Grottaglie. I Beni Culturali, BetaGamma editrice, Viterbo, 9, 4-5, pp. 55-61. Fornaro A., 1978 - Ricerche archeologiche nelle Gravine di Grottaglie. Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia, 19-20, pp. 36-44.

57

Marangella A., Parise M., 2007 - Caratteri geomorfologici e naturalistici delle gravine di Grottaglie. Atti Spelaion 2007, Altamura, 7-9 Dicembre 2007. Palagiano C., 1965 - Sulle lame e gravine della Puglia. Annali Facoltà di Economia e Commercio, Università di Bari, 21, pp. 357-386.


58


Vigili del Fuoco e Gruppo Speleologico Neretino nelle cave di Gallipoli Alessandro Polimeno Comando Provinciale Vigili del Fuoco di Lecce

Premessa Nel presente lavoro sono descritti gli interventi effettuati dal Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Lecce, congiuntamente al Gruppo Speleologico Neretino, in occasione delle verifiche effettuate nelle cave di Gallipoli in seguito al cedimento stradale verificatosi in un quartiere del Comune di Gallipoli (LE). L’evento cui si fa riferimento è avvenuto in data 29 marzo 2007 e si è manifestato inizialmente con un crollo di un tratto di sede stradale che ha provocato l’apertura di un’ampia voragine, larga circa 20 m e profonda circa 7 m, all’incrocio tra la via Firenze e la via Galatina. Fortunatamente, l’evento non ha causato vittime o feriti, danneggiando solo alcune autovetture parcheggiate sul tratto di strada interessato dal cedimento ed inghiottite dal franamento, e provocando lesioni di piccola entità nei due edifici posti agli angoli dell’incrocio tra le strade. Successivi crolli hanno poi causato un considerevole ampliamento della voragine e l’interessamento delle palazzine più prossime, che si sono ritrovate scalzate dalla originaria sede di appoggio agli angoli e per le quali si sono accentuati i dissesti sui muri d’angolo. Il dissesto si è verificato su un terreno il cui sot-

59

tosuolo è caratterizzato dalla presenza di estese cave coltivate nel secolo passato per l’estrazione del carparo, una pietra assai utilizzata in questa zona del Salento in edilizia, con una tecnica molto simile ad uno scavo in miniera. Secondo le metodologie di lavoro del tempo, con tale procedimento estrattivo, nel sottosuolo sono venute naturalmente a crearsi una serie di cavità con copertura a volta il cui spessore, in taluni casi, era tanto modesto da comprometterne la resistenza, anche per l’effetto di interventi esterni, da parte dell’uomo, che nel tempo si sono succeduti. Nell’occasione i Vigili del Fuoco sono intervenuti, in primo luogo, per verificare che nelle tre autovetture precipitate all’interno della voragine non fosse rimasto alcun occupante, né che fossero caduti nel vuoto eventuali passanti. Quindi hanno proceduto a coordinare lo sgombero delle palazzine direttamente interessate dal franamento e successivamente ad interdire, a causa degli ulteriori dissesti riscontrati su altre costruzioni nell’intorno, un’area di circa diecimila metri quadrati, in cui abitavano circa cinquanta famiglie. Successivamente il personale Vigilfuoco S.A.F. (Speleo-Alpino-Fluviali) ha provveduto, dapprima con la collaborazione del CNR (Istituto di Protezione Idrogeologica di Bari) e successivamente, a seguito della sottoscrizione


Vigili del Fuoco e Gruppo Speleologico Neretino nelle cave di Gallipoli

di una convenzione per l’istituzione di un tavolo di lavoro paritetico con il Comune di Gallipoli anche con il Gruppo Speleologico Neretino, all’ispezione delle cavità del sottosuolo esistenti nelle aree prossime a quella interessata dal crollo, al fine di ricostruire la posizione e l’estensione delle presenze ipogee nel quartiere ed effettuare una prima sommaria verifica sulle correnti condizioni dei banchi rocciosi e sul loro stato di conservazione. E’ stata quindi redatta una Carta sinottica delle cave ipogee che, insieme ad uno Studio preli­ minare, è stata consegnata al Comune di Gallipoli affinché fossero note le reali estensioni delle cavità rilevate, giungendo infine alla formulazione di una realistica ipotesi sulle dimensioni complessive degli ambienti sotterranei che includesse anche quelli dei quali non sono più conosciuti gli ingressi, ma della cui esistenza si è, a questo punto, certi in funzione di chiari elementi di indicazione contenuti nella carta sinottica e testimoniali. Il lavoro svolto in tali circostanze ha rappresentato un primo livello di indagine sul territorio che ha privilegiato l’esplorazione diretta delle cavità immediatamente accessibili attenendosi alle specifiche indicazioni sottoscritte nella convenzione. Inoltre, attraverso ricerche svolte presso vari uffici e tramite interviste a persone in possesso di informazioni, sono stati raccolti elementi per l’individuazione di ulteriori cavità. Ulteriori ambienti ipogei sono stati individuati per mezzo del lavoro effettuato sul campo.

7

meccaniche, era utilizzabile sia per la produzione di conci di tufo sia come pietra ornamentale per il rivestimento di superfici esterne. La profondità di rinvenimento del giacimento calcarenitico in questione è variabile tra 2 e 25 metri dal piano di campagna. L’attività estrattiva in sotterraneo si è sviluppata, al contrario delle cave di tufo di Cutrofiano e Canosa, che sono a galleria, attraverso la realizzazione di ampie sale con pilastri di 2-3 metri di diametro disposti in modo casuale. Il giacimento coltivato veniva raggiunto attraverso dei pozzi verticali comunemente chiamati a “campana”, per la loro forma sub-circolare con diame­ tro di 3 metri nella parte sommitale che si allarga progressivamente verso il basso, raggiungendo un diametro di 5 metri in corrispondenza del giacimento. La loro posizione risultava baricentrica rispetto alla cava in sotterraneo. Dopo aver eseguito lo scavo della campana, iniziava la coltivazione del giacimento che avveniva su ampie aree, con il metodo del “pilastro abbandonato” su un unico livello. Il banco di tufo coltivabile presentava, in genere, uno spessore variabile dai 3 ai 7 metri.

Introduzione

La cava interessata dal crollo presenta una morfologia ed uno sviluppo planimetrico piuttosto complessi, legati da un lato alle caratteristiche della calcarenite da cavare, dall’altro ai crolli e ai riempimenti che la cava ha subito nel tempo. Dalle ampie sale si diramano cunicoli, in alcuni casi di difficile accesso, essendo di altezza inferiore a 0.80 metri, che conducono ad altre sale contigue.

La parte Est dell’abitato di Gallipoli, per la sua conformazione geo-stratigrafica, è stata interessata, dalla fine del 1800 agli inizi del 1900, da un’intensa attività estrattiva in sotterraneo, data la massiccia presenza di materiale calcarenitico. Tale materiale, essendo dotato di buone proprietà

L’ambiente ipogeo di dimensioni maggiori, ispezionato nel corso dei sopralluoghi effettuati dal personale S.A.F.-VV.F., si sviluppa in corrispondenza degli edifici compresi tra Via Galatina e Via Siena. Esso è ubicato a circa 13 metri di profondità, ha uno sviluppo planimetrico di

60


7

Vigili del Fuoco e Gruppo Speleologico Neretino nelle cave di Gallipoli

circa 2000 mq ed altezza delle cavità di 4-5 metri. L’ampia sala risulta sostenuta da una serie di pilastri, molti dei quali presentano evidenti fenomeni di schiacciamento con sfaldamento ed espulsione di alcune loro porzioni. Da informazioni assunte, si è potuto accertare che il sottosuolo di Gallipoli, nella zona in questione e non solo, è stato interessato negli ultimi decenni da fenomeni di crollo e franamenti. Le cause scatenanti di tali episodi sono da ricercare principalmente nei continui interventi antropici, quali la realizzazione di fognature, reti idriche, telefoniche, elettriche e del gas, che hanno comportato la necessità di incidere, in maniera profonda e ripetuta, lo strato superficiale del terreno. Tutto questo è certamente quanto avvenuto allo strato di terreno su cui è stata realizzata via Firenze, che costituiva la copertura della cava crollata. Tale strato infatti, in tempi recenti, è stato interessato da vari scavi longitudinali e paralleli per la realizzazione delle reti di cui sopra, oltre che da un ulteriore scavo perpendicolare ai precedenti, per la posa in opera della condotta del gas metano lungo via Galatina, che ha finito con il compromettere in maniera irreversibile la copertura della sottostante volta.

Sala Operativa 115 del Comando Provinciale VV.F. di Lecce richiedeva l’intervento di una squadra di soccorso a Gallipoli - in Via Firenze angolo Via Galatina (fig. 7.1) - segnalando l’apertura di una buca nella carreggiata stradale. Ne seguiva la diramazione di allarme per il locale distaccamento VV.F. con la segnalazione di “dissesto sede stradale”. Sul posto, la situazione era tale da richiedere la massima prudenza e l’adozione di provvedimenti fuori dall’ordinario. Infatti, il dissesto segnalato era costituito dal crollo parziale della volta di un’ampia cavità ubicata proprio sotto la via Firenze (fig. 7.2), con superficie del franamento pari a circa 150 mq, interessante tutta la sede stradale in corrispondenza dell’incrocio con via Galatina. Al centro della voragine che si era formata, risultava ben visibile il cono detritico del materiale crollato e, intorno a questo, tre autovetture che, precedentemente parcheggiate in strada, vi erano precipitate all’interno.

Cronologia degli eventi Primo crollo Nella serata del 29 marzo 2007, alle ore 19.05 circa, una telefonata giunta alla

61

Fig 7.1 - Planimetria della zona interessata dal crollo (De Donatis M., 2007 – Primi risultati delle prospezioni geofisiche (GPR) eseguite nell’area)

Dal ciglio della voragine, poi, era possibile scorgere lateralmente, sul fondo dello scavo, delle aperture che sembravano essere l’ingresso ad altri ambienti attigui, le cui estensioni


Vigili del Fuoco e Gruppo Speleologico Neretino nelle cave di Gallipoli

7

Fig 7.2 - Voragine dopo il primo crollo (M. Delle Rose)

ed ampiezze interessavano direttamente le aree poste al di sotto delle strutture di fondazione di due edifici, ubicati ad angolo sull’incrocio tra via Firenze e via Galatina. La muratura di tamponamento di tali edifici, ciascuno di tre piani fuori terra, mostrava evidenti segni di cedimento proprio nella zona d’angolo prospiciente la voragine. Le condotte del gas metano, quella principale lungo via Firenze e l’altra secondaria lungo via Galatina, quelle dell’energia elettrica e telefonica e la condotta di allacciamento all’acquedotto cittadino, erano tutte rimaste sospese, in bilico nel tratto dell’attraversamento della buca, ma, apparentemente, non manifestavano perdite di sorta, se non la condotta dell’acquedotto che infatti riversava nello scavo copiose quantità di acqua. Altri liquami di fogna si riversavano nello scavo attraverso varie tubazioni “a perdere” provenienti dagli edifici adiacenti. Guardando, poi, il fronte del dissesto verso valle, nella direzione di via Firenze, era visibile nel banco

di roccia scoperto dal crollo, un taglio profondo praticato per quasi tutto lo spessore della volta e riempito con materiale di riporto. Tale taglio, che faceva pensare proprio allo scavo realizzato per contenere la tubazione della fogna nera, peraltro presente sotto la strada a valle dello scavo, si interrompeva e non ve ne era traccia alcuna verso monte, segno evidente che chi lo aveva realizzato si era reso conto di non avere disponibilità in quella zona di uno spessore adeguato di terreno per poter incassare tale condotta alla giusta profondità e, pertanto, aveva rinunciato alla sua posa in opera. I bordi della voragine, in ogni direzione, apparivano sospesi nel vuoto, proprio perché al di sotto, per una profondità di vari metri, erano presenti cavità con spessore di copertura assai ridotto. La parte residua della volta appariva ovunque fratturata e con blocchi di roccia in imminente pericolo di caduta lungo piani di sfaldatura già distaccati dall’ammasso principale.

62


7

Vigili del Fuoco e Gruppo Speleologico Neretino nelle cave di Gallipoli

I primi interventi d’urgenza

Gli interventi successivi

Lo scenario sopra descritto faceva presagire la possibilità di nuovi crolli.

Nell’occasione, alcuni abitanti del posto, che avevano memoria dello stato dei luoghi prima dell’urbanizzazione di quell’area, riferivano che, quella che ora appariva come una voragine, altro non era che una delle tante “stanze” di una cava ipogea presente nel sottosuolo, affiorata a causa del crollo parziale della volta di copertura. Ciò che, però, nessuno era in grado di rivelare era l’estensione dell’area coltivata a cava, nonché lo stato di conservazione delle volte e delle relative strutture di sostegno.

Di fronte a tale scenario di potenziale pericolo, il personale Vigilfuoco intervenuto si apprestava ad agire con ogni cautela ma, al tempo stesso, con rapidità, per verificare la necessità di immediato aiuto a persone in difficoltà o ferite, e per evitare che l’eventuale possibile degenerazione del fenomeno potesse comportare ulteriori danni alle persone e alle cose. Pertanto, con la prudenza che il caso richiedeva, venivano date indicazioni affinché il personale scendesse in sicurezza nella voragine che si era creata per verificare l’eventuale presenza di persone nelle tre autovetture precipitatevi all’interno, ovvero di passanti che al momento del sinistro si fossero trovati a transitare in quel tratto di strada. Fortunatamente tale controllo dava esito negativo. Veniva quindi completata l’evacuazione delle persone che ancora occupavano le abitazioni ubicate nelle due palazzine adiacenti lo scavo, affidandole al competente personale del Comune di Gallipoli, intervenuto nel frattempo sul posto. Contemporaneamente, veniva contattato il personale di “Pronto Intervento” dell’Enel, dell’Acquedotto Pugliese e dell’Italcogim Reti, quest’ultima società incaricata della realizzazione, ancora in corso, della rete cittadina di gas metano. Tali interventi si rendevano oltremodo necessari ed urgenti proprio per realizzare le intercettazioni delle “reti” presenti nello scavo in precario stato di equilibrio sulla voragine e per poterle porre così in sicurezza. Tali operazioni si protraevano per varie ore e si concludevano solo alle ore 06,00 del mattino del giorno 30 marzo 2007.

63

L’esplorazione diretta, perciò, risultava l’indagine immediata più opportuna per ottenere informazioni indispensabili a delineare con maggior dettaglio la pianificazione dei successivi provvedimenti. Ma l’oscurità della sera ormai sopraggiunta, il reale pericolo di ulteriore crollo di alcune parti della volta in precario stato di equilibrio, l’impossibilità di poter effettuare un immediato monitoraggio che consentisse un’attenta valutazione del caso in esame per cogliere ogni eventuale segnale di movimenti in atto, inducevano a rimandare l’esplorazione diretta della voragine all’indomani, con la luce del giorno. La mattina del 30 marzo 2007, quindi, una squadra di operatori S.A.F. dei Vigili del Fuoco del Comando Provinciale di Lecce , coadiuvati da personale del Consiglio Nazionale delle Ricerche Istituto Ricerche Protezione Idrogeologica di Bari, effettuavano un’esplorazione della voragine e delle cavità all’intorno, al fine di avere un quadro che fosse il più chiaro e preciso possibile del fenomeno in atto e contribuire, quindi, alla migliore gestione dell’emergenza. Come primo ingresso veniva utilizzata un’apertura che dal “cratere” consentiva di procedere nella direzione dei due edifici posti ad angolo tra via Firenze e via Galatina (Fig. 7.3). Successivamente, tramite una seconda apertura, veniva percorso un


Vigili del Fuoco e Gruppo Speleologico Neretino nelle cave di Gallipoli

7

Fig 7.3 - Ingresso del personale VV.F. S.A.F. (M. Delle Rose)

tratto sotto via Firenze a monte della voragine, fino a penetrare, curvando verso ovest, nella parte sottostante altri fabbricati. Infine, veniva esplorato un terzo passaggio ubicato nella parte ad est della voragine che porta nella direzione del parco adiacente a via Firenze. Gli ambienti ai quali si accedeva dalla voragine erano di notevoli dimensioni, divisi in sale, saloni e corridoi (più o meno ampi), quasi tutti caratterizzati da crolli recenti o antichi e da distacchi di grossi massi dalle volte. Nelle stanze più grandi (dell’ordine di qualche decina di metri di diametro, per un massimo di circa 70 m) a sostegno delle volte, erano posizionate delle colonne di pietra residue dell’attività estrattiva, anch’esse caratterizzate da importanti dissesti da schiacciamento evidenziati da fessure oblique, espulsione del materiale e sfaldatura delle basi (Fig. 7.4). Le volte, nella parte sottostante i due edifici direttamente coinvolti dalla voragine, erano interessate da un evidente ed importante dissesto che si manifestava con un diversificato e diffuso

sistema di fratture rettilinee a carico dei banchi calcarenitici, orientate secondo varie direzioni ed estese per alcune decine di metri. Una tale situazione portava a ritenere l’area prossima alla voragine come un sistema ancora in evoluzione, con una condizione di marcata instabilità che lasciava presagire ulteriori possibili fenomeni di crollo. Per tale motivo, terminata l’esplorazione, venivano informati gli organi tecnici del Comune di Gallipoli e veniva ordinata l’evacuazione dei nuclei abitativi degli edifici posti nel raggio di 50 m dalla voragine sottolineando che i banchi rocciosi ispezionati presentavano dissesti per i quali, in quel momento, era ancora imprevedibile qualsiasi evoluzione. In effetti, ad avvalorare l’analisi dell’esplorazione effettuata e dei provvedimenti adottati, alle ore 17.00 dello stesso giorno, si registrava un nuovo crollo che provocava un allargamento della voragine e il distacco di ulteriori 20 mc di materiale,

64


7

Vigili del Fuoco e Gruppo Speleologico Neretino nelle cave di Gallipoli

Fig 7.4 - Particolare di una “stanza” (M. Delle Rose)

proprio nella zona più prossima alla due palazzine in questione. In tale occasione si registrava il notevole arretramento dell’orlo della voragine nella parte più prossima ai due edifici posti ad angolo e veniva ostruito quello che era stato utilizzato come accesso per l’esplorazione effettuata poche ore prima dal personale S.A.F..

corona della volta che aveva resistito ai due eventi precedenti. A questo punto il dissesto aveva messo a nudo le fondamenta dei due edifici più prossimi, facendoli rimanere con i rispettivi angoli a sbalzo sulla voragine ormai semiriempita; dalla parte opposta, il “cratere” aveva raggiunto il parco posto in adiacenza alla via Firenze (Fig. 7.1).

I crolli successivi

In particolare, l’area a parcheggio di via Firenze adiacente la voragine, compresi alcuni tratti della stessa via Firenze, crollavano rovinosamente. Anche questo nuovo crollo non provocava danni a persone e mezzi di cantiere.

Considerata la nuova situazione e la necessità di mettere in sicurezza al più presto gli edifici interessati dal dissesto per i quali una degenerazione del fenomeno avrebbe comportato dissesti irrecuperabili, sono stati avviati i lavori di riempimento del cratere con calcestruzzo misto a pietrame di grossa e media pezzatura utilizzando allo scopo mezzi di movimento meccanici. Ma la mattina del 1° aprile si verificava un ulteriore e più vasto cedimento che faceva crollare tutta la

65

A seguito di tali ulteriori crolli, si provvedeva sul momento all’interruzione di tutti i lavori in corso e all’evacuazione precauzionale di ulteriori immobili ubicati su via Galatina da parte del Comune di Gallipoli. I lavori venivano ripresi la mattina del giorno 03 aprile 2007 e procedevano con continuità sino al giorno 5 aprile 2007 con la colmata della


7

Vigili del Fuoco e Gruppo Speleologico Neretino nelle cave di Gallipoli

voragine. La convenzione con il comune di Gallipoli Nel corso delle indagini e dei sopralluoghi effettuati dal personale S.A.F. – VV.F. è stato accertato che l’estensione delle cave ipogee interessava un’area, più vasta di quella in cui è avvenuto il dissesto, che poteva essere prudenzialmente circoscritta tra via Lecce, la linea ferroviaria Gallipoli-Lecce sino all’intersezione con via Varese, via Ancona, corso Italia sino all’intersezione con via Galatone, sino alla intersezione con via Lecce. Per tale motivo, nel corso di una riunione presso il Comune di Gallipoli tra il Commissario Prefettizio del Comune di Gallipoli, il Dirigente della struttura tecnica di Protezione Civile della Regione Puglia ed il Comandante Provinciale dei Vigili del Fuoco, al fine di individuare un percorso comune finalizzato alla messa in sicurezza dell’intera area e prevenire eventuali, futuri, rischi alla popolazione, si è convenuto di stipulare una convenzione tra il Comune di Gallipoli e il Comando VV.F. di Lecce finalizzata all’attività di prevenzione e messa in sicurezza dell’area dissestata di via Firenze e delle zone limitrofe. Con tale convenzione il Comando Provinciale dei VV.F. di Lecce si è impegnato a compiere, con proprio personale S.A.F., esplorazioni mirate all’accertamento dello stato dei luoghi relativi alle cavità ipogee presenti nel centro abitato del Comune di Gallipoli e più precisamente nell’area succitata. A tal fine, grazie ad un protocollo esistente di collaborazione per lo scambio di esperienze nello specifico campo delle esplorazioni in ambienti ipogei, è stato richiesto il coinvolgimento e la partecipazione del Gruppo Speleologico Neretino e del CNR - Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica i quali, attraverso la condivisione delle conoscenze e degli studi effettuati in quell’area, hanno consentito l’elaborazione dei

rilievi eseguiti a partire da novembre 2007 e fino a tutto gennaio 2008. Con la convenzione sottoscritta davanti al Sig. Prefetto di Lecce, attraverso le esplorazioni effettuate, per ciascuna delle cavità verificate, venivano richiesti: 1. la descrizione della cavità (morfologia, lunghezza, estensione, collegamenti con altri ambienti ipogei) e dello stato dei luoghi al suo intorno; 2. evidenza di eventuali segnali premonitori; 3. rappresentazione sulla cartografia del Comune di Gallipoli - messa a disposizione dal locale Ufficio Tecnico - del percorso effettuato durante l’esplorazione; 4. fotografie relative a stato dei luoghi osservati ed evidenze significative, al fine di definire un eventuale rischio; 5. informazioni relative alle quote e alle altezze degli ambienti, riferite al piano campagna; 6. informazioni sullo stato di conservazione delle cavità; 7. raccolta di ogni altro atto storico-documentale relativo al sito esplorato; 8. indicazione circa le misure e i provvedimenti idonei a porre in sicurezza, ove ritenuto necessario, i singoli ambienti e le strutture sovrastanti. Attività di esplorazione dei vigili del fuoco e del Gruppo Speleologico Neretino È stata condotta una ricerca di documentazione inerente qualsiasi tipologia di atto amministrativo relativo all’attività di cavatura ipogea svoltasi nell’agro del comune di Gallipoli. Tale attività, volta all’individuazione di cave delle quali non esistono evidenze epigee che ne segnalino la

66


7

Vigili del Fuoco e Gruppo Speleologico Neretino nelle cave di Gallipoli

presenza, si è svolta presso uffici che, in base alle normative sulla materia succedutesi nel corso del tempo, sono stati deputati alla conservazione dei documenti in questione. Le ricerche effettuate presso l’Archivio di Stato ed il Genio Civile hanno dato esito negativo. In realtà, nonostante le origini dell’attività di cavatura ipogea sembrerebbero essere molto antiche, non risultano esistere in tali uffici documenti relativi alla stessa, almeno fino all’anno 1955. Per quanto è stato possibile accertare, le coltivazioni ipogee di pietra da costruzione nel comune di Gallipoli, almeno fino al 1955, sono state svolte senza la prevista dichiarazione di esercizio; questo nonostante la loro presenza fosse nota, tanto che, intorno all’anno 1915 la Regia Marina decide di sfruttare il vuoto di una cava allo scopo di facilitare la costruzione di una vasca per il rifornimento idrico, vasca tuttora esistente. L’analisi dei dati, interfacciata con le notizie storico-documentali che è stato possibile attingere durante le attività di studio condotte, pur non esaurendo la ricerca ai fini della pubblica sicurezza, ha consentito di trarre conclusioni importanti sulla presenza, all’interno del territorio oggetto del protocollo d’intesa, di cave ipogee. In particolare, ha permesso la definizione della reale estensione di quelle rilevate, giungendo infine alla formulazione di una realistica ipotesi sulle dimensioni complessive degli ambienti sotterranei che includesse anche quelli dei quali non sono più conosciuti gli ingressi, ma della cui esistenza si è praticamente certi in funzione di chiari elementi di indicazione e testimoniali.

67

E’ stata quindi redatta la “Carta sinottica” (documento di riepilogo del lavoro svolto) in cui sono state georeferenziate cave ipogee, la cui presenza ed estensione è stata rilevata, in tempi diversi, da più soggetti e con vari metodi. Tale carta, realizzata utilizzando le informazioni in possesso del Comune di Gallipoli, attentamente verificate e in alcuni casi rettificate (con l’eccezione delle prospezioni effettuate con il georadar), mostra quello che potrebbe essere definito un vero e proprio “sistema” di cave ipogee per il quale è stato possibile stabilire che esistono, con tutta probabilità, parti attualmente non raggiungibili a causa di varie attività di chiusura e riempimento svoltesi nel tempo. Inoltre, sono stati analizzati gli ambienti riportati sulla carta sinottica al fine di verificare se tra questi fosse ipotizzabile un collegamento fisico, sulla base di considerazioni relative alla presenza di altre cavità o di ulteriori porzioni di quelle già censite, sulla base dell’interpolazione dei rilievi topografici, delle indagini geologiche e geofisiche, nonché tramite interviste a persone in possesso di informazioni. In merito alla pericolosità dell’area interessata dai dissesti del 29 marzo e 1° aprile, il gruppo di lavoro ha ritenuto indifferibile l’approntamento di una cartografia geologica di estremo dettaglio che consideri le problematiche relative alle caratterizzazioni litologiche delle unità stratigrafiche sede dei dissesti, il rapporto stratigrafico con le unità sottostanti le cave ipogee e l’andamento plano-altimetrico del limite tra il carparo coltivato e i depositi marnosi.


L

a relazione di Alessandro Polimeno ha suscitato particolare interesse tra i convenuti a Spelaion 2008. Mario Parise dell’IRPI-CNR ha sottolineato che “fenomeni di sprofondamento sono assai frequenti in Puglia, sia derivanti dall’esistenza nel sottosuolo di cavità naturali carsiche che a causa della presenza di cavità antropiche, in genere realizzate per attività estrattiva. Nel Salento, in particolare, numerose sono le cittadine che convivono con tali problematiche, le quali rappresentano certamente una potenziale minaccia per la privata e pubblica incolumità. Va segnalato che, nella quasi totalità dei casi, le Amministrazioni locali non dispongono di alcuna cartografia che indichi la esatta distribuzione spaziale nel sottosuolo delle cavità. Lo scarso livello di conoscenza dei propri territori è indubbiamente una delle cause che maggiormente concorrono all’aumento della pericolosità da sprofondamento in Puglia. Inoltre, come abbiamo appena avuto modo di ascoltare dalla precedente relazione, allorquando si apre una voragine, l’unica azione che viene intrapresa nella concitata fase di emergenza è, di frequente, quella che è univocamente indicata dalla letteratura scientifica internazionale come la meno adatta: il riempimento dello sprofondamento con materiali inerti. Nel caso di Gallipoli, tale azione ha addirittura prodotto l’ampliamento della voragine, e solo casi fortuiti hanno evitato che si verificassero conseguenze ben più gravi. Come primo passo, ai fini della mitigazione del rischio da sprofondamenti, è fondamentale invece pervenire alla precisa conoscenza dell’andamento nel sottosuolo delle cavità esistenti, mediante specifiche indagini di rilievo eseguite da speleologi, e relative restituzioni cartografiche georeferenziate. L’esecuzione di rilievi nel sottosuolo non è assimilabile alle operazioni standard eseguite in superficie dai topografi, e va pertanto affidata a coloro che, oltre ad avere capacità tecniche di esecuzione e restituzione dei rilievi plano-altimetrici, hanno anche comprovata esperienza nella esplorazione in sicurezza di ambienti sotterranei naturali e/o artificiali”.

68


Secondo Gian Claudio Sannicola dello Speleo Club Criptae Aliae “Gallipoli come centro

urbano è da suddividere in due zone. La parte moderna, comprendente cave sotterranee di calcarenite che, negli ultimi tempi, è stata interessata da notevoli collassamenti del piano di calpestio. Altra zona parimenti pericolosa è il centro storico, dai registri catastali del 1809-1857 del quale, si evince la presenza di 35 frantoi sotterranei scavati nel tufo. Alcuni di questi (probabilmente), una volta entrati in disuso, sono stati interrati per allontanare gli “scazzamurrieddhi”, folletti che, secondo la fantasia popolare ne erano diventati gli inquilini”. G. B. Pacichelli nel XVII secolo descriveva Gallipoli “ben fabbricata, vuota però quasi tutta, per le cantine di olio, che danno il commercio à gli Oltramontani; onde per provvedersi di questo, e di altro, sempre vi approdan Vascelli Olandesi, et Inglesi” aggiungendo che “…in questa Città vi sono infinite cisterne di olio”. In definitiva Sannicola ha tenuto a evidenziare che “Gallipoli è da considerare una Napoli sotterranea in formato minore, ma sempre estremamente rischiosa dal punto di vista dei potenziali cedimenti che il piano di calpestio può subire per collassamento dei vuoti sotterranei ivi esistenti (cave, frantoi, cisterne, ecc.). Vuoti che necessariamente andrebbero censiti, studiati, monitorati ed, in sicurezza, attrezzati per visite volte a testimoniare quello che è stato il duro lavoro dei nostri progenitori per la loro sopravvivenza”.

69


Vincenzo Martimucci, presidente in carica della Federazione Speleologica Pugliese, ha descritto un progetto scaturito dal particolare stato di dissesto idrogeologico che, analogamente alla situazione di Gallipoli illustrata da Alessandro Polimeno, espone Altamura a livelli di rischio di rilevante entità. In particolare è stato presentato “un sistema di monitoraggio laser in grado di rilevare eventuali spostamenti con una risoluzione di 0,1 mm ed una precisione assoluta di ± 2 mm”, analogo a quello allestito nelle cave ipogee di Gallipoli dall’AdB Puglia con l’ausilio tecnico del Gruppo Speleologico Neretino (v. pag. 18 ) .

70


Progetto di attivazione della rete di monitoraggio con sensori laser installati in cave sotterranee Centro Altamurano Ricerche Speleologiche (CARS)

A nord-est dell’abitato di Altamura un esteso e articolato sistema di cave sotterranee si estende nella Calcarenite di Gravina ad una profondità media di 10 metri dalla superficie del terreno. Nonostante tali sistemi di cave abbiano costituito, nella zona e per più secoli, l’unica sede per il reperimento di materiale naturale da costruzione, negli ultimi 40 anni di essi si è persa traccia nella memoria degli abitanti che su queste zone hanno in seguito costruito la propria casa. Dall’orizzonte calcarenitico sono state cavate notevoli quantità di materiale secondo la tecnica per “camere e pilastri”, fino a creare un dedalo di cunicoli esteso in varie direzioni per almeno 11 chilometri. Attualmente le esplorazioni son ancora attive in quanto si presume che parte di questi sistemi sia ancora nascosta a causa dell’obliterazione degli ingressi, avvenuta nel corso del tempo, e delle operazioni di urbanizzazione. La Calcarenite di Gravina è una roccia diffusamente sfruttata in Puglia e utilizzata nel campo dell’edilizia in quanto tenera, leggera e al tempo stesso sufficientemente resistente. La varietà affiorante nel territorio di Altamura, è stata diffusamente utilizzata pur presentando scarse proprietà di resistenza se sottoposta a carichi. Questa caratteristica costituisce una delle cause determinanti dei fenomeni di sprofondamento

71

per collasso di cavità verificatesi nel territorio urbano ed extraurbano di Altamura. Tra i tanti fenomeni più o meno noti si riportano quelli che hanno suscitato più risonanza poiché verificatisi in aree pubbliche: 2006, in via Di Vagno. 2007, lungo via Barcellona. 2007, presso via Barcellona in località grotte di S. Giuliano. 2008, in via Fornaci. 2008, subsidenza presso via Fornaci. In seguito a questi sempre più frequenti fenomeni di dissesto idrogeologico è intervenuta l’Autorità di Bacino della Basilicata che, in concerto con l’Amministrazione Comunale, ha provveduto alla perimetrazione dell’area interessata dal dissesto e all’aggiornamento del P.A.I. (Piano di Assetto Idrogeologico), classificando la stessa in parte come Area a Rischio Medio (R2) e in parte come Area Soggetta a Verifica (ASV). Tale area perimetrata comprende le località “Fornaci - Parco San Giuliano” e si estende tra Via Bari, Via Mura Megalitiche e Via Cassano Vecchia. Tale ente inoltre ha emesso una direttiva con lo scopo di gestire, mettere in sicurezza e regolamentare tutte le attività relative all’area soggetta a rischio. Secondo tale direttiva il Comune di


Progetto di attivazione della rete di monitoraggio con sensori laser installati in cave sotterranee

8

Fig 8.1 - Sopralluogo dei Vigili del Fuoco per la messa in sicurezza della voragine di via Barcellona (archivio CARS)

Altamura ha dovuto costituire, nel giugno 2008, un Nucleo Tecnico di Coordinamento (N.T.C.) con lo scopo di coordinare e validare gli studi, le indagini ed i rilievi eseguiti per incrementare le conoscenze inerenti le caratteristiche delle reti caveali e la loro correlazione con i sistemi insediativi sovrastanti. Il Nucleo Tecnico è stato pertanto composto dalle seguenti sette figure professionali: 1. Sindaco o assessore delegato 2. Dirigente lavori pubblici 3. Dirigente urbanistica 4. Esperto speleologo (CARS) 5. Esperto geologo (CNR o Università) 6. Rappresentante AdB Basilicata

7. Rappresentante Ufficio Difesa del Suolo Regione Puglia. Sempre secondo tale direttiva il Comune ha dovuto costituire il Catasto Cavità Sotterranee attraverso l’istituzione di un Ufficio Geologico Comunale (UGC) presso il Settore Sviluppo e Governo del Territorio. E’ stato di conseguenza individuato un funzionario interno, coadiuvato da professionisti e/o da una società di servizi esterna, col compito di svolgere i compiti di rapporto agli uffici esistenti, di raccordo con l’AdB Basilicata e di ottimizzazione dei piani di indagine proposti dai privati. L’area perimetrata, inoltre, è stata coinvolta nel progetto “Attivazione della rete di monitoraggio delle aree in dissesto idrogeologico” grazie ad una convenzione stipulata tra la Regione Puglia e l’Autorità di Bacino della Puglia nell’ambito dei

72


8

Progetto di attivazione della rete di monitoraggio con sensori laser installati in cave sotterranee

Progetti POR Puglia – misura 1.3 – “Interventi per la Difesa del Suolo”. Il progetto di monitoraggio è stato ideato per sorvegliare l’area, prevedere eventuali fenomeni di dissesto e quindi per salvaguardare l’incolumità delle persone. E’ stata pertanto prevista l’installazione, all’interno di tre cavità, di un apposito sistema di monitoraggio laser in grado di rilevare, con una risoluzione di 0,1mm ed una precisione assoluta di ± 2mm, eventuali dissesti idrogeologici. Il sistema è stato dotato di un micro-computer che, dopo aver analizzato il dato, ne consentirà l’immagazzinamento e la trasmissione ad intervalli regolari, ad un’idonea centralina per la trasmissione in remoto, al centro di acquisizione dati, mediante modulo cellulare GSM e modem di trasferimento dati. L’autorità di Bacino della Puglia, di conseguenza, stipulando una convenzione con il CARS ha assegnato ai membri dell’associazione il compito dell’installazione dei sensori per tale rilevazione preventiva. Sono state scelti tre diversi tratti delle cavità sotterranee ovvero quelli corrispondenti, in superficie, con le strade di Via Fornaci, via Barcellona e Via Parigi. Per individuare esattamente la zona da monitorare, gli speleologi del CARS hanno anche realizzato un rilievo dettagliato degli ambienti. Metodologie del rilievo speleologico In Gran Bretagna la British Cave Research Association ha sviluppato una classificazione dei rilievi topografici degli ipogei atta a definirne l’accuratezza in base agli strumenti utilizzati e alle metodologie seguite. Grado 1° = rilevamento restituito esclusivamente a memoria, senza eseguire alcuna misura.

73

Grado 2° = basato su appunti presi nella cavità, senza l’ausilio di strumenti di misura (direzioni e dimensioni stimati a vista). Grado 3° = uso della bussola con approssimazione ai 5°, dimensioni misurate con cordini marcati o bastoni di lunghezza nota; angoli d’inclinazione (verticali) non misurati. Grado 4° = uso della bussola con approssimazione ai 2°, misurazioni effettuate con longimetro tenuto orizzontale ad occhio (si misura direttamente la distanza planimetrica senza il calcolo dell’inclinazione); La distanza fra le stazioni deve essere limitata per soddisfare queste condizioni. Grado 5° = uso di bussola di precisione ed eclimetro, entrambi con stima approssimata ad 1°, tenuti a mano; distanze misurate per mezzo di nastri metrici o con altro tipo di longimetro, aventi l’approssimazione minima ai 3 cm. Grado 6° = uso di bussola di precisione con lente d’ingrandimento ed eclimetro calibrato, entrambi usati esclusivamente su treppiede e letti con approssimazione di 0.5°, longimetri come al «grado 5°». Grado 7° = uso di teodolite o di tacheometro per gli angoli, distanze misurate con nastro metrico o con stadia graduata e cannocchiale distanziometrico o altri strumenti di precisione superiore a quelli indicati al «grado 6°». Classificazione della precisione dei dettagli: Grado A = tutti i dettagli eseguiti a memoria a tavolino. Grado B = dettagli registrati ma stimati, in fase di rilievo, ad occhio. Grado C = misurazione dei dettagli fatta esclusivamente dalla stazione (vertice); dettagli intermedi, fra i vertici, stimati a vista e registrati sul posto. Grado D = misurazione accurata, dei dettagli,


Progetto di attivazione della rete di monitoraggio con sensori laser installati in cave sotterranee

8

Fig 8.2 - Dissesti e crolli all’interno delle cave di Altamura (archivio CARS)

eseguita in tutte le stazioni ed a tanti intervalli intermedi quanti ne può richiedere l’andamento particolare della cavità per evidenziare le irregolarità di dimensione, direzione, natura del terreno ed altri di possibile interesse. In base a tale classificazione, gli speleologi del Centro Altamurano Ricerche Speleologiche hanno realizzato i rilievi di tutti i sistemi di cave

sotterranee dell’area in esame, rientrando nel grado 5˚ con una precisione compresa tra le definizioni del grado C e D. La strumentazione utilizzata per eseguire i rilievi è la seguente: Disto Leica laser visibile (distanze con accuratezza a 5 mm); Bussola analogica, accuratezza 1°;

74


8

Progetto di attivazione della rete di monitoraggio con sensori laser installati in cave sotterranee

Inclinometro digitale, accuratezza 0,2°; Target numerati progressivamente (vertici di poligonale); Macchina fotografica digitale ad alta risoluzione (10 Mpx). Il numero di persone necessarie per realizzare un rilievo di questo tipo è di minimo 6, di cui: 4

75

speleologi rilevatori + 1 fotografo in galleria + 1 speleologo a presidiare l’ingresso. I dati raccolti sono stati, in un secondo momento, fatti rielaborare da un software specifico (COMPASS per Windows, versione 5.09) in grado di restituirli sottoforma di rappresentazione, in due o tre dimensioni, dell’andamento delle cavità rilevate.


Progetto di attivazione della rete di monitoraggio con sensori laser installati in cave sotterranee

8

Fig 8.3 - Misure e rilievi per la mitigazione del rischio (archivio CARS)

Inserendo, inoltre, le coordinate geografiche del punto di ingresso del pozzo dal quale si fa partire il rilievo della cavità, si è potuto georeferenziare l’andamento del sistema caveale rispetto alla super-

ficie topografica. In questo modo è oggi possibile capire dove e a che profondità son ubicate le cavità rispetto agli edifici e alle infrastrutture dell’area. Tale metodo di ubicazione delle interazioni tra il

76


8

Progetto di attivazione della rete di monitoraggio con sensori laser installati in cave sotterranee

sistema insediativo e quello ipogeo è valido anche al contrario. Quando, infatti, si rilevano, nelle cavità , coni di materiale calcarenitico frammisto a blocchi di argilla, generati da fenomeni di spro-

77

fondamento o particolari condizioni di dissesto, la georeferenziazione del sistema permette, ove possibile, di cercare in superficie le tracce di questi eventi.


78


Inghiottitoio del Bosco Meloso (La Grava del Minollo). Monti Alburni

Il Gruppo Speleologico Martinese ha presentato il filmato “Inghiottitoio Meloso (Grava del Minollo, Monti Alburni)” della durata di circa 24 minuti. Dopo un inquadramento geologico e geografico del Massiccio dei Monti Alburni (provincia di Salerno) “una delle principali aree carsiche dell’Italia meridionale per la presenza di oltre 200 cavità e di alcuni sistemi carsici con sviluppi superiori a 3-4 km. La tipologia di questi sistemi è sostanzialmente riconducibile alle grave delle alte zone montane, rappresentati da inghiottitoi a sviluppo prettamente verticale”, sino a oltre 380 metri di profondità. La Grave del Minollo è secondo il Gruppo Speleologico Martinese una delle grotte più interessanti, anche se poco frequentata. Scoperta nel 1971 dai martinesi unitamente al Gruppo Speleologico Paletnologico Gaetano Chierici di Reggio Emilia, Gruppo Speleologico CAI Napoli e dal Gruppo Esplorazioni Speleologiche di Napoli. Il filmato descrive dettagliatamente gli sviluppi della grotta (saltini, cengie, meandri, pozzi, sale, ...) così come alcune manovre della progressione speleologica. Non mancano osservazioni di tipo morfologico e suggestive sequenze di discese in cui il silenzio è rotto solo dal rumore degli attrezzi durante i frazionamenti. Con questo reportage il GSM accompagna lo spettatore all’interno della grave che, in alcuni momenti, ha quasi la sensazione di essere lì, presente, giù sino al Lago Finale, ancora solo parzialmente esplorato. Per informazioni sul Gruppo Speleologico Martinese: http://www.gsmartinese.it email:info@gsmartinese.it

Nella pagina accanto: “Rilievo del pozzo 1° del Bosco Meloso, da E. Vernier (1988), Nuovi dati sui pipistrelli delle grotte dei monti Alburni (Salerno, Campania). L’ Appennino Meridionale - Annuario CAI, sezione di Napoli, pag. 182”.

79


Le due vore di Barbarano, denominate Vora Piccola e Vora Grande, costituiscono due delle maggiori cavità carsiche a sviluppo verticale del Salento. Esse sono localizzate presso Barbarano, frazione del comune di Morciano di Leuca (LE). Il 5 ottobre del 2006, Roberto Quarta, accompagnato da alcuni soci del Gruppo Speleologico Neretino all’interno di Vora Grande, ha eseguito le riprese del film “Discesa nella Vora di Barbarano”, proiettato nel corso di Spelaion 2008. Per informazioni: www.contemporaryartaddiction.org

80


Alla scoperta del Salento “profondo” La Discesa nella Vora di Barbarano Roberto Quarta Contemporary Art Addiction

Sono trascorsi esattamente 3 anni dalla discesa nella Vora di Barbarano. La mattina del 5 ottobre il Gruppo Speleologico Neretino (GSN) mi accompagnò a fare le riprese nella Vora Grande per documentare lo stato di abbandono e di degrado dei luoghi. Tutto ebbe inizio quando conobbi Vittorio Marras, Presidente del GSN, a cui parlai di un progetto di documentario al quale stavo lavorando. Gli raccontai che volevo documentare le discariche abusive del Salento per sensibilizzare l’opinione pubblica a una maggiore cura del territorio. Vittorio accolse con entusiasmo la mia richiesta di aiuto e con grande passione abbracciò il progetto e mi fece conoscere tutti i ragazzi del Gruppo e da lì prese il via una splendida collaborazione con il GSN. Le riprese della Vora Grande non erano semplici poiché l’unico modo per accedervi è la discesa verticale con funi e io, non essendo un arrampicatore, non ero in condizione di poter affrontare una simile discesa. Il GSN doveva infatti, per questa ragione, allestire un “paranco”, cioè un complesso sistema di corde, tensori e carrucole che consente ai non esperti di essere calati e fatti risalire in assoluta sicurezza. Chiaramente in assenza di un motore il paranco funzionava “a braccia” e, seppur facilitati da un sistema di leve che diminuiva il peso del carico, i ragazzi del GSN hanno faticato non poco a “scarrozzarmi” su e giù lungo i 35 metri di profondità della vora. “Cala,

81

cala, cala, Stoooop” erano le parole urlate dal mio angelo custode, Leonardo, durante la discesa. Era lui che pazientemente mi spiegava come e cosa dovevo fare per non farmi male e, tenendomi fermo per diminuire le oscillazioni, consentirmi di fare tutte le riprese “in aria”. Oltre, naturalmente, a spiegarmi la struttura geomorfologia della vora e la particolarità del microclima che costituisce il suo interno. Un mondo inaspettato. Sembrava di trovarsi improvvisamente in una zona equatoriale con tassi di umidità altissimi e una vegetazione che è caratteristica solo di quelle zone, con delle specie di liane che scendevano dai bordi della vora e che contribuivano a conferire al luogo un’atmosfera estremamente suggestiva. In tutto questo, io ero lì che cercavo di catturare, oltre a questa meraviglia della natura, anche il contributo che aveva dato l’uomo alla sua deturpazione. Oggetti, vecchi oggetti che non dovevano essere lì, ma che si trovavano lì inspiegabilmente. La prima cosa che vidi durante la discesa, quando ero a circa metà dell’altezza, fu una carriola di quelle usate in edilizia. Sembrava che stesse lì perché degli operai avevano appena finito di lavorare, appariva in ordine sul terreno, come se attendesse che qualcuno tornasse a utilizzarla. Uno spettacolare “taglio di luce” colpiva in quel momento la carriola conferendole una straordinaria bellezza fotografica. Dopo l’ennesimo “Cala, cala, cala,


Alla scoperta del Salento profondo: la discesa nella Vora di Barbarano

9

Fig . 9.1 - L’inizio della discesa nella vora (archivio GSN)

Stoooop” comincio a intravedere altre cose: una vecchia “Vespa”, alcune biciclette, l’intelaiatura di una finestra e la meravigliosa suggestione del paesaggio equatoria­le si trasformava nel più frequente incubo di una discarica abusiva. Allora cominciai a vedere vecchi secchi di vernice, lunghe travi di ferro arrugginite e vecchie reti metalliche, costellate qua e là da bottiglie di vetro e di plastica e poi addirittura un vecchio motorino “Ciao” che era disteso su un fianco. Ai bordi esterni della vora, lì dove si raccoglieva l’acqua e il fango, uno spettacolo ancora più triste apparve ai miei occhi: un’altra “Vespa”, ruote di bicicletta, paraurti di automobili, tubi di plastica e plastiche varie e poi ancora pezzi di ferro e addirittura delle siringhe di quelle usate dai tossicodipendenti per iniettar­si

“la roba”. Come poteva trovarsi lì sotto tutto questo? La vora è protetta da un muro di circa due metri e da un cancello di ferro con una catena che ne impedisce l’accesso a chi non è autorizzato. Quando fu edificata la recinzione, la vora era stata ripulita, poiché pare che fosse utilizzata come una vera e propria discarica abusiva presso la quale tutti si recavano per sbarazzarsi delle “cose vecchie” che non potevano essere conferite nei bidoni della spazzatura. L’Amministrazione Comunale di Morciano provvide, così, a mettere in sicurezza la Vora di Barbarano, ma ciò pare non sia stato sufficiente per proteggerla dall’incurabile incuranza umana. Evidentemente, infatti, alcune persone, avvicinandosi alle mura di cinta, non riuscivano a resistere all’antico impulso di disfarsi di piccoli

82


9

Alla scoperta del Salento profondo: la discesa nella Vora di Barbarano

Fig . 9.2 - L’operatore e lo speleologo in azione (archivio GSN)

83


Alla scoperta del Salento profondo: la discesa nella Vora di Barbarano

9

Fig . 9.3 - Il paranco adoperato per l’esecuzione delle riprese (archivio GSN)

oggetti, lanciandoli oltre il muro. Ma seppur biasimabile, tale comportamento appare comprensibile dal punto di vista “fisico”, trattandosi di oggetti di piccola dimensione che facilmente possono essere lanciati per aria e ricadere all’interno della Vora. Inspiegabile, invece, rimane la presenza di materiali come la “carriola”, le “Vespe”, il “Ciao”, le “reti metalliche” che, essendo abbastanza voluminose e pesanti, difficilmente possono essere state “lanciate” al di là del muro. Pertanto un mistero aleggia sulla Vora di Barbarano: come hanno fatto a finire lì quegli oggetti? Il documentario non è ancora terminato e può darsi anche che riesca a dare una risposta a questo interrogativo. Nel frattempo voglio ringraziare gli speleologi del GSN che mi hanno consentito

di fare questa discesa indimenticabile. Questa esperienza mi ha fatto scoprire che la bellezza del Salento non è solo in superficie, ma paesaggi celati nelle profondità, come la Vora di Barbarano, sono delle meraviglie nascoste e inaccessibili. Sarebbe bello che tutti potessero fare questa particolare conoscenza del territorio, perché rilancerebbe l’idea del Salento che sappiamo bene non essere solo “lu sule, lu mare e lu ientu”. E ciò potrebbe favorire un turismo di qualità differente e destagionalizzato, così da allungare la stagione turistica oltre i tre mesi estivi. Inoltre l’opportunità di visitare questi luoghi potrebbe servire a garantire un maggiore controllo da parte degli enti preposti, evitando in tal modo che le vore si trasformino in discariche abusive.

84


85


86


Dove osano le anguille Ovvero quello che abbiamo fatto e quel che resta da fare Raffaele Onorato

La nostra avventura speleosub iniziò negli anni ’80, periodo in cui, all’interno del Gruppo Speleologico Neritino, si formò una Sezione Speleosub costituita da Giancarlo Calsolaro, Luigi Costantini, Toni Danieli, Luigi Dante Giuncato, Raffaele Onorato, Cesare Peccarrisi, Luciano Provenzano e Genni Sammarco. Successivamente si aggiunsero Andrea Costantini, Fabio Fiorito e Marco Poto. Ad essi si devono le esplorazioni speleosubacquee della maggior parte delle grotte sommerse salentine attualmente conosciute, molte delle quali furono rilevate, fotografate ed iscritte nel Catasto Regionale delle Grotte Pugliesi. Quasi tutti questi speleosub aderirono alla Sezione Speleologica del Corpo Nazionale di Soccorso Alpino e Speleologico, costituendo la prima Squadra Speleosub del CNSAS in Italia meridionale.

Fig . 10.1 - Grotta delle Corvine (Rilievo: A. Danieli, G. Calsolaro, R. Onorato, 1988)

87


Dove osano le anguille: ovvero, quello che abbiamo fatto e quel che resta da fare

10

Fig . 10.2 - Grotta Lu Lampiune

La grotta delle Corvine

Cosa resta ancora da fare?

Situata sulla costa di Uluzzu (Parco Naturale Regionale Porto Selvaggio e Palude del Capitano, Nardò – LE), è la più grande cavità carsica sommersa attualmente conosciuta sulla costa ionica salentina.

La grotta non è stata mai indagata dal punto di vista archeologico. Date le sue immediate vicinanze alla Grotta del Cavallo, considerando che al suo interno sono stati rinvenuti due denti fossili di erbivoro, e tenendo conto che in tempi antichissimi la cavità era emersa, non si può escludere che al suo interno la Grotta delle Corvine custodisca importanti testimonianze del passato.

E’ stata la prima grotta sommersa ad essere studiata in modo sistematico dall’Università di Lecce col supporto tecnico degli speleosub neritini: l’indagine ebbe inizio nel dicembre 1997 e si concluse nel maggio 1999. In quest’arco di tempo, furono effettuate 35 immersioni nella cavità, alcune delle quali in notturna. Ad ogni immersione presero parte, mediamente, quattro sub, per un totale di circa 140 immersioni. E’ un vero santuario della biospeleologia marina. Al suo interno sono state rinvenute 196 specie viventi, delle quali 2 nuove per il Mediterraneo e 3 nuove per la Scienza.

Si è sempre auspicato, ma mai effettuato, inoltre, uno studio sul microclima interno della cavità, da parte di esperti in geofisica. Lu Lampiune Grotta carsica di grande interesse e notevole sviluppo topografico, ubicata sulla costa adriatica salentina (Otranto). Al suo interno sono state segnalate per la prima volta le “Trays Biogeniche” (Belmonte et al., 2003), grandi concrezioni som-

88


10

Dove osano le anguille: ovvero, quello che abbiamo fatto e quel che resta da fare

merse, totalmente di origine organica. Sono state datate circa 6000 anni.

parametri fisico-chimici dell’acqua in vari punti; un censimento floro-faunistico.

Cosa resta ancora da fare?

Dodici dei 35 taxa identificati sono stati segnalati per la prima volta in questo biotopo. Gran parte di essi appartiene alla fauna micro.

La grande cavità presenta sicuramente delle zone ancora non esplorate. Molto probabilmente esiste una congiunzione con la vicina Grotta del Tau.

La comunità vive in condizioni particolarmente stabili durante tutto l’anno. Nel corso dello

Fig . 10.3 - Le Trays biogeniche della Grotta de Lu Lampiune, Otranto (foto R. Onorato)

La Palude del Capitano Sito SIC ubicato all’interno del Parco Naturale Regionale Porto Selvaggio e Palude del Capitano. Si tratta di una grande e suggestiva dolina di crollo (detta “spundulata”, nel dialetto locale). Il programma di ricerca speleosubacquea, svolto in collaborazione con l’Università di Lecce (Settembre 2001 – Settembre 2002) ha consentito di realizzare una documentazione video e fotografica del sito nelle varie stagioni; l’esplorazione e la documentazione della porzione praticabile delle condotte sommerse; il monitoraggio periodico di

89

studio è stata confermata la presenza di una ricca popolazione dell’idroide di acqua salmastra Cordylophora caspia. Tra i pesci si segnala la presenza di Aphanius fasciatus, incluso nella lista delle specie protette secondo la Direttiva Habitat (Direttiva 92/43/CEE). La Palude è caratterizzata dalla presenza di sorgenti sottomarine ad attività intermittente, la cui natura è ancora sconosciuta. I tunnel subacquei, esplorati per alcuni metri, prendono origine sul lato occidentale del bacino e connettono la Palude al mare, che dista appros-


Dove osano le anguille: ovvero, quello che abbiamo fatto e quel che resta da fare

10

Fig . 10.4 - Veduta aerea della Palude del Capitano (foto M. Onorato)

simativamente 800 m in linea d’aria. L’esplorazione del dedalo di condotte sommerse, che costituiscono il sistema subacqueo della Palude del Capitano, è stata appena iniziata. La Zinzulusa Un vero “colpo grosso” degli speleosub neritini fu l’esplorazione della parte sommersa di Grotta Zinzulusa. Considerata, per decenni, limitata ad una saletta sommersa (il Cocito), la porzione subacquea della Zinulusa si è rivelata, in estensione topografica, pari se non superiore alla zona emersa. Svolta in collaborazione con specialisti provenienti da altri gruppi speleo d’Italia, la campagna “Zinzulusa Speleosub ‘96” consentì di effettuare scoperte eccezionali, non solo dal punto di vista speleologico, ma anche e soprattutto dal punto

di vista biospeleologico. Fu rinvenuta, tra le altre specie, una spugna troglobia, Higgynsia ciccaresei, ritenuta dagli studiosi più unica che rara: un vero fossile vivente. Le esplorazioni furono sospese in attesa che venisse effettuato, da parte di istituti specializzati, uno studio sistematico ed un monitoraggio dell’ambiente sommerso. Prima di riprendere le immersioni, infatti, volevamo essere sicuri che la presenza di speleosub non compromettesse il delicato equilibrio di quello che può essere ormai definito come un nuovo ed unico ecosistema sommerso. Si può affermare con tranquillità, pertanto, che la parte sommersa di Grotta Zinzulusa potrà regalare altre, nuove, entusiasmanti sorprese.

90


10

Dove osano le anguille: ovvero, quello che abbiamo fatto e quel che resta da fare

Fig . 10.5 - Una fase della attività speleosubacquea

Nuove frontiere Da pochi anni gli speleosub hanno cominciato ad usare per le loro esplorazioni un sofisticato apparecchio autorespiratore denominato Rebreather. Il Rebreather apre nuove frontiere e nuove pos-

Bibliografia Belmonte G., Costantini A., Forti P., Metrangolo M., Onorato R., Poto M. (2003) Biocostruzioni stalattitiche nelle grotte sommerse del Capo d’Otranto. Biol. Mar. Medit., 10 (2): 500-502.

91

sibilità esplorative subacquee, impensabili fino a pochi anni fa, grazie alle lunghissime autonomie che offre. Nuove pagine di esplorazioni speleosubacquee potranno essere scritte con l’impiego di questo avveniristico apparato respiratorio.


92


Primo soccorso sanitario per speleologi Gianni Cacciatore 1,2, Alessandro Paolucci 1,3 1

Istruttore di Primo Soccorso Sanitario, Vigili del Fuoco

Gruppo Speleologico Neretino, 3Gruppo Speleologico Dauno

2

Dopo molto lavoro, sviluppatosi nell’arco di almeno due decenni, svolto sostanzialmente dalle tante associazioni di volontariato che nel nostro paese si occupano di assistenza e primo soccorso sanitari, nell’altrettanto sostanziale assenza dello Stato e della maggior parte degli Enti pubblici, finalmente anche in Italia la consapevolezza generalizzata dell’importanza della diffusione, presso tutta la popolazione, di una cultura base di primo soccorso sanitario, inizia ad assumere caratteristiche che tendono verso le realtà esistenti nei paesi progrediti di tutto il globo. Siamo, certo, ancora lontani dalle realtà nelle quali il primo soccorso sanitario è ritenuto talmente importante da essere insegnato nelle scuole, ma è nostra convinzione che sia stata oramai imboccata una strada che va nella giusta direzione. Ciò non deve però portare a pensare che il grosso del lavoro sia stato fatto; così non è. In realtà esiste una differenza sostanziale fra la diffusione della conoscenza delle tecniche di primo soccorso sanitario (p.s.s.) e la presa di coscienza della loro importanza al fine della salvaguardia della salute e della vita umana. Senza tale coscienza le tecniche di p.s.s. sono destinate ad essere presto dimenticate e dunque perdute, insieme a tutto il lavoro fatto. Possiamo considerare che le tecniche di p.s.s. altro non sono se non uno strumento a disposizione dell’uomo, utile a migliorare la qualità della propria esistenza e, in molti eventi nefasti, addirittura indispensabile per la salvezza della

93

vita umana. In base al principio, valido fin dalla notte dei tempi, che porta gli esseri viventi a fissare nel proprio corredo genetico informazioni e comportamenti utili ad assicurarsi la maggiore probabilità di sopravvivenza, magari senza giungere all’ipotesi di una vera e propria “reazione adattativa”, dovremmo almeno poter dedurre ed attenderci che la sensibilità di ogni individuo o gruppo di individui verso di esse, sia proporzionale alla loro utilità potenziale. Dunque l’utilità potenziale sarà funzione del tipo di attività che l’individuo o il gruppo di individui svolgono e dei rischi a questa correlati. Nel caso delle tecniche di p.s.s. si parte da un livello base di utilità che riguarda tutti gli esseri umani, per poi andare, man mano, verso livelli crescenti, in funzione del rischio proprio dell’attività svolta. Maggiori sono le probabilità che ho di farmi male, maggiore sarà la mia attenzione verso le conoscenze che eventualmente mi permetteranno di evitare o limitare i danni. Una breve e facile analisi della situazione attuale mette subito in evidenza che questo principio di sopravvivenza, per quanto concerne le tecniche di p.s.s., non trova sempre riscontro nel comportamento degli esseri umani, speleologi compresi. Molto spesso infatti individui, e gruppi di individui, che svolgono attività con livelli di rischio elevati e comunque superiori alla media, conoscono poco o addirittura ignorano le tecniche di p.s.s.. Ciò, se pensiamo all’istinto di soprav-


Primo soccorso sanitario per speleologi

11

Fig . 11.1 - Una fase di una esercitazione del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico (archivio CNSAS)

vivenza, appare del tutto innaturale. Non è nostra intenzione indagare in merito ai motivi per i quali il genere umano dimostra differenti livelli di sensibilità ed attenzione verso argomenti che, con tutta evidenza, sarebbero egualmente importanti al fine della salvaguardia della propria salute. Il nostro pensiero di speleologi è rivolto proprio agli speleologi ed al mondo della speleologia tutto. Sappiamo bene che l’attività speleologica, per le caratteristiche che le sono proprie, si pone fra quelle che elevano il livello di rischio di coloro i quali la praticano. Or bene, a tale livello di rischio, fino ad oggi, non è corrisposta una chiara presa di coscienza di quanto siano importanti le tecniche di p.s.s. e, conseguentemente, la comunità speleo, che avrebbe senz’altro necessità di ben conoscere ed applicare tali tecniche, non si discosta, per capacità, dalla media nazionale. Questa situazione appare ancora più innaturale se si pensa che il C.N.S.A.S. (Corpo Nazionale di Soccorso Alpino e Speleologico) all’argomento è certo molto

attento, tanto da fare, giustamente, dell’aspetto sanitario del soccorso un punto di forza della propria azione. Di contro, a tanta opportuna sensibilità da parte di chi soccorre gli speleologi, non corrisponde la diffusione di una cultura della sicurezza sanitaria fra gli stessi. Eppure l’argomento sicurezza è da sempre e sempre di più al centro dell’attività delle scuole di speleologia, solo che l’aspetto sanitario, per un qualche motivo, non gode ancora di una sufficiente considerazione. A questo punto è necessario chiarire cosa si intende per primo soccorso sanitario. Esiste infatti una generale tendenza a confondere questa attività con quella di pronto soccorso sanitario che è cosa ben diversa. Con la denominazione “Primo Soccorso Sanitario” ci si riferisce ad un insieme di tecniche che possono essere applicate, sulle vittime di patologie, traumatiche e non, da chiunque abbia conseguito una preparazione ed un adde­

94


11

Primo soccorso sanitario per speleologi

stramento minimi specifici, senza possedere una preparazione professionale e senza l’uso di presidi sanitari complessi. Se invece parliamo di pronto soccorso sanitario, ci riferiamo ad un’attività professionale che prevede l’uso di strumentazioni sanitarie, anche complesse, farmaci ed altri presidi, di competenza medica od infermieristica. Dunque, una delle caratteristiche fondamentali del primo soccorso sanitario è che può essere applicato da chiunque a chiunque. E’ proprio questa peculiarità a renderlo estremamente efficace e, in molti casi, determinante per la sopravvivenza di qualcuno. Ogni speleologo sa bene che in caso di emergenza, sia esso vittima di una patologia traumatica o non traumatica, la distanza, in termini di tempo, che lo separa dai soccorsi, risulterà essere una delle principali componenti del rischio che esso ha deciso di assumere sulle proprie spalle. Di conseguenza, la rapidità dell’intervento di soccorso sarà un elemento discriminante fondamentale per la sua salvezza. Ciò implica che riuscire a ridurre il tempo che intercorre tra l’evento incidentale ed il primo corretto intervento di soccorso è di fondamentale importanza. È questo il vero valore aggiunto della diffusione delle tecniche di primo soccorso sanitario: rendere precoce l’intervento di soccorso! È fin troppo facile portare esempi che avvalorino questa teoria. Basti pensare alle conseguenze di una semplice lipotimia aggravata da una eventuale conseguente ostruzione delle vie aeree: conseguenze mortali ma anche facilmente evitabili con una semplice manovra di primo soccorso sanitario, l’iperestensione del collo. In realtà tutti noi speleologi sappiamo bene che, per quanto rapido possa essere, un soccorso portato dall’esterno non potrà mai fare fronte alle necessità immediate di qualsiasi evento incidentale, sia di tipo traumatico che non. Siccome

95

la soluzione di posizionare presidi di pronto soccorso nelle grotte risulta difficilmente perseguibile, e con tutta probabilità così sarà per gli anni a venire, pare proprio che, se qualcosa si vuole fare, questo qualcosa debba passare attraverso l’impegno personale di ogni speleo. Non si tratta certo di trasformare ogni speleologo in sanitario né, tanto meno, di attuare stressanti programmi formativi, ma semplicemente di dotare ognuno di noi di alcune conoscenze ed abilità minime indispensabili. Per comprendere quanto siano semplici le tecniche in predicato, basti pensare che in diversi paesi, europei e non, queste sono oggetto di formazione fin dalla scuola elementare. Ciò che occorre avere, da parte dei discenti, è solo una dose di buona volontà. Questo discorso ci riporta di filato a quello sulla coscienza circa l’importanza delle tecniche di primo soccorso sanitario. Non pensiamo possa esserci altra base di partenza, soprattutto per il popolo ordinatamente indisciplinato ed “anarchico” degli speleologi. Per comprendere l’importanza delle tecniche di primo soccorso sanitario e trovare, in ciò, una forte motivazione al loro apprendimento, è necessario che gli effetti positivi di un intervento competente e precoce, anche se semplice, su uno speleologo, eventuale vittima di una patologia, siano ben chiari a tutti. Sono di grande importanza le cose che uno speleo può fare per aiutare un compagno di uscita in difficoltà. Di seguito alcuni esempi: - riconoscere i primi sintomi dello spossamento fisico con precocità sufficiente a prevenirne i terribili effetti; - intervenire per prevenire gli effetti della temibile ipotermia riconoscendone i sintomi di esordio; - posizionare uno speleologo privo di coscienza in modo che possa respirare regolarmente; - movimentare in modo corretto uno speleologo vittima di evento traumatico, evitando i possibili


Primo soccorso sanitario per speleologi

11

Fig . 11.2 - Fondamentale è il lavoro di squadra (archivio CNSAS)

esiti di una errata movimentazione; - arrestare una emorragia massiva, salvando una vita e riducendo al minimo il danno ai tessuti circostanti la ferita; - ecc. ecc. ecc.. Sono veramente molte le cose che, con una semplice formazione, qualsiasi speleologo può fare per aiutare un compagno in difficoltà a causa di problemi sanitari. Non servono precauzioni di grande complessità ed attrezzature specialistiche. Sono sufficienti una buona formazione nelle tecniche di primo soccorso sanitario ed una dotazione minima di presidi, per la quale sicuramente esiste un posticino nei sacchi. Un piano corretto di formazione al primo soccorso sanitario dovrebbe prevedere un corso B.L.S. (rianimazione cardio polmonare), un corso di soc-

corso alle vittime di trauma ed una serie di lezioni sulle più frequenti patologie che possono colpire chi pratica l’attività speleologica, quali: piccoli traumi, emorragie, spossamento, congelamento, ipotermia, lipotimia, ustioni, ecc.. È chiaro che il programma di un ipotetico corso abbisognerebbe di adattamenti delle tecniche e delle procedure alla realtà della grotta. Potrebbe, forse, essere opportuno somministrare prima un corso standard, per poi adeguare i concetti, le tecniche e le procedure apprese, alla realtà dell’ambiente di grotta. Troviamo che ogni speleo dovrebbe sentire la necessità di preparasi ad affrontare un evento dal punto di vista sanitario, esattamente come fa per l’aspetto tecnico. Ha veramente poco senso riuscire a soccorrere un compagno, disimpegnandolo da una situazione difficile, e non essere poi in grado di affrontare le problematiche sanitarie correlate all’evento!

96


11

Primo soccorso sanitario per speleologi

È utile anche posizione è sottolineare r a d i c a l m ente come, prodiversa. prio il geSe ciò che nerale livello abbiamo detto di responsaè vero anche bilizzazione solo in parte, e dell’attuale noi siamo cons o c i e t à vinti che lo sia, verso il tema allora è senza del primo dubbio il caso soccorso di intervenire sanitario, per modificare nel caso di l’attuale situaun soccorso zione. Quello riuscito dal che sarebbe punto di auspicabile è vista speleou n’ i n i z i a t i v a logico ma ben progettata, poi complesa cura dei prinsivamente cipali sodalizi fallito per la speleologici, SSI mancanza di e CAI. Sarebbe un minimo di anche, forse, competenze possibile chiedi primo socdere la collabocorso sanirazione di una o tario, possa più associazioni porre in grave di volontariato difficoltà a fine sanitario, psicolog ica oppure verifigli speleologi care se le risorse, che si sono Fig . 11.3 - Il soccorso di un ferito in grotta richiede tempestività e professionalità (archivio CNSAS) in termini di trovati nella competenze, siano condizione di dovere intervenire, con tutte le congià presenti fra di noi. Certo il lavoro da fare è seguenze del caso. Come dire che, fino a quando sostanzioso ed occorrerà del tempo, ma questo è non conoscevamo il problema e le possibilità di solo un ottimo motivo per iniziare quanto prima soluzione, non potevamo certo sentirci responsapossibile. bili di nulla; ora che ne abbiamo preso coscienza e sappiamo che sovente una soluzione c’è, la nostra

97


98


La Grotta delle Fate (PU151) Storia, morfologia e stato ambientale Claudio Calasso, Bruno Capilungo, Adriano Fiera, Paolo Negro, Yuna Salvati, Giorgia Vincenti Gruppo Speleologico Salentino “P. de Lorentiis” - Ente morale

Introduzione e storia delle esplorazioni La Grotta delle Fate fu segnalata negli anni ’20 del secolo scorso e iscritta nel Catasto delle Grotte d’Italia dall’Istituto Italiano di Speleologia con sede a Postumia con il n° PU 151. La cavità, già nota alle popolazioni locali, fu certamente frequentata dagli abitanti della zona come risulta da alcune iscrizioni presenti nella grotta e risalenti alla metà del secolo scorso. Da informazioni assunte, inoltre, si è appreso che nella grotta veniva prelevato il guano di pipistrello per utilizzarlo come fertilizzante, il che lascia presumere che in passato la cavità fosse dimora di una importante colonia di chirotteri. La prima esplorazione speleologica fu effettuata dal Gruppo Speleologico Salentino “P. de Lorentiis” di Maglie nei mesi di agosto e settembre 1960. Come riportato nella relazione della esplorazione, pubblicata sulla rivista “La Zagaglia”, (n° 10 del giugno 1961), alla campagna esplorativa parteciparono Carlo Cosma, Decio De Lorentiis, Vittorio Sticchi, Salvatore Scarzia, Agostino Lazzari, Luigi Lazzari ed Antonio Varola, che esplorarono tutta la cavità e pubblicarono una breve descrizione dell’ipogeo. In tale occasione fu realizzato il primo (e finora unico) rilievo dell’ipogeo, a

99

firma del socio del G.S.Salentino Antonio Coluccia (fig. 12.1 pag. 100). Nello stesso comprensorio il Gruppo Speleologico Salentino svolse, nel corso degli anni, varie esplorazioni di superficie, che portarono, negli anni ’60 del secolo scorso alla segnalazione dei siti archeologici di Masseria Spigolizzi e del sito messapico oggi noto come “La chiusa alla Masseria del Fano”. Inoltre nei primi anni ’70 del secolo scorso, Antonio e Francesco Piccinno individuarono un giacimento di industria litica nel complesso di piccole cavità denominate Grotte Montani. Recentemente la Grotta delle Fate è stata oggetto di rinnovata attenzione da parte del Gruppo Speleologico Salentino che nell’autunno del 2008 si è determinato a svolgere, nella cavità e nelle zone limitrofe, una nuova campagna speleologica consistita principalmente nella ri-esplorazione, nel rilievo della grotta, nell’aggiornamento della scheda catastale e nella documentazione dello stato di degrado dell’ipogeo. Ubicazione ed inquadramento geologico La Grotta delle Fate (Coordinate Geografiche 39°.50’.42,8” N ; 18°.14’.16,0” E), è sita in agro di Salve (Lecce) e si apre, ad una quota di circa


La Grotta delle Fate

12

Fig . 12.1 - Primo rilievo dell’ipogeo di Antonio Coluccia

35 m s.l.m., lungo il versante destro del Canale Fano, in una delle zone paesaggisticamente più interessanti e incontaminate del Salento meridionale, recentemente oggetto di proposta, da parte dell’Amministrazione Comunale di Salve, quale Sito di Importanza Comunitaria (S.I.C.). L’accesso alla grotta è posto sul lato sinistro del primo tornante della strada che conduce all’Apiario Valentini, fabbricato di grande pregio architettonico e storico, da cui dista poche centinaia di metri. La zona è dominata dal Canale Fano che è caratterizzato da un profondo fenomeno di erosione dovuto allo scorrimento del Torrente Fano alimentato da acque sotterranee scaturenti da affioramenti e piccole sorgenti.

Una di queste sorgenti scaturisce con un breve ruscello da una piccola grotta, non ancora censita nel Catasto Grotte (è in corso l’accatastamento da parte del G.S.Salentino), posta nel tratto superiore del canalone sotto la c.d. “Chiusa” della Masseria del Fano, con una portata modesta ma sufficiente a rendere il corso d’acqua perenne. Sempre nella parte superiore del canale, nei pressi della cinquecentesca Masseria del Fano, è presente una Cripta Basiliana, in stato di abbandono, con importanti tracce di affreschi ancora in parte leggibili. Infine nella medesima zona carsica, a nord-est, è da segnalare la sorgente d’acqua dolce denominata “Pozziche”. Il canale, che in alcuni tratti assume la conformazione di una vera e propria Gravina, corre

100


12

La Grotta delle Fate

in direzione sud-ovest verso il mare, incidendo profondamente la fascia delle Serre e separando i Calcari di Melissano, formazione rocciosa formatasi nel Cretacico, in cui si apre la Grotta delle Fate. Il complesso ipogeo poi si sviluppa parallelamente ad una linea di faglia che separa i Calcari di Melissano dalla Calcarenite del Salento, formazione geologica in cui si sviluppa la valle del Canale Fano.

lato est si apre l’ingresso all’ipogeo (fig. 12.2).

Descrizione

Da questo ambiente dipartono due prosecuzioni.

Alla cavità si accede da un inghiottitoio carsico in cui un tempo confluivano parte delle acque del pianoro e della serra soprastante; tale funzione è in gran parte venuta meno a causa del taglio della roccia per la costruzione di una strada. L’inghiottitoio ha una tipica forma ad imbuto ed ha una profondità di circa 7 m; sull’attuale fondo, sul lato sud, vi è una breve prosecuzione orizzontale che chiude in un piccolo ambiente, mentre sul

La prima prosecuzione è in direzione nord/ovest; superato un ribassamento della volta si accede in un ambiente di 6 x 5 m dal quale sul lato destro, attraverso un piccolo pozzetto di 4 metri di profondità, si scende al di sotto di alcuni grossi blocchi di crollo e, percorso un cunicolo e superato un ulteriore ribassamento della volta, si accede in un ambiente di 12 x 6 m, dal quale si diparte un ulteriore cunicolo che dopo poco risulta ostruito

Fig . 12.2 - L’ingresso della Grotta delle Fate

101

Per accedere alla prima sala bisogna discendere un cono di detriti misto a rifiuti; l’ambiente è di vaste dimensioni (25 x 16 m), si sviluppa in direzione nord/ovest – sud/est, in gran parte riempito di detriti e blocchi di crollo anche di grosse dimensioni originati da distacchi naturali della volta. La presenza di tale riempimento fa sì che l’ambiente, in direzione sud/est, sia in forte pendenza, mentre la massima altezza della sala è di 22 m circa.


La Grotta delle Fate

12

Fig . 12.3 - Il nuovo rilievo della Grotta delle Fate

a causa di una frana. La seconda prosecuzione è sul lato sud/est della sala principale. Discesa la frana, superato un ribassamento della volta ad arco ed un breve cunicolo, si accede in un vasto ambiente che si sviluppa in direzione nord, di 22 x 7 m, con una massima altezza di 4 m; anche questo ambiente è in gran parte caratterizzato da grandi blocchi di crollo. Questo ambiente termina con un sistema di cunicoli, posti su due livelli, ciascuno con un proprio ingresso. Dal fondo della sala si accede al sistema superiore con cunicoli che si sviluppano per circa 55 m con molte diramazioni caratterizzate in

più punti da un percorso angusto e difficilmente praticabile. Al sistema inferiore di cunicoli si accede, invece, da un pozzetto profondo circa 3 m posto in fondo alla sala, sul lato ovest. Il pozzetto si apre in un piccolo ambiente da cui dipartono vari cunicoli in parte collegati tra loro, il più lungo dei quali si sviluppa in direzione sud/ovest con un percorso per molti tratti angusto, di circa 40 m dal quale si dipartono molte strette diramazioni. Attualmente lo sviluppo della grotta è di oltre 200 m, ma si può ipotizzare uno sviluppo maggiore (che sarà oggetto di prossima indagine), mentre il

102


12

La Grotta delle Fate

dislivello negativo massimo è di circa 30 m (fig. 12.3). Nella grotta, sono praticamente assenti concrezioni carbonatiche; nel sistema dei cunicoli sono evidenti cupole e altre forme di corrosione inversa. Nel corso dell’indagine esplorativa svolta nella cavità non sono stati rinvenuti reperti archeologici, tuttavia, anche in considerazione della sua vicinanza ad importanti insediamenti preistorici, non può escludersi una frequentazione della grotta in epoche molto antiche, come peraltro alcune vecchie segnalazioni sembrerebbero confermare.

103

La cavità è dimora di una piccola colonia di chirotteri (il taxon non si è potuto determinare) e, ad esclusione dell’abbondante ortottero Troglophilus cavicola (Kollar 1833), non è stata rinvenuta altra fauna ipogea. Stato della cavità Purtroppo si è costatato un profondo stato di degrado della cavità; infatti, probabilmente, la presenza della strada che passa subito al di sopra dell’inghiottitoio di accesso ha favorito lo sversamento abusivo di una grande quantità di rifiuti.


La Grotta delle Fate

12

L’inghiottitoio, buona parte della prima sala e l’ambiente posto a nord/ovest sono completamente invasi da rifiuti di vario genere (fig. 12.4).

compiuto una bonifica “esterna” della cavità, ripulendo parzialmente l’inghiottitoio di accesso, asportando una discreta quantità di rifiuti.

Si può ritenere che l’utilizzo come discarica abusiva sia relativamente recente, poiché, nelle esplorazioni del 1960 e in successive visite, il sito si presentava pressoché incontaminato.

La bonifica interna invece è ancora allo stato progettuale e, qualora dovesse essere realizzata sarebbe opportuno adottare una forma di tutela della cavità volta ad impedire nuovi sversamenti abusivi di rifiuti, ma compatibile con le residue proprietà di assorbimento idrico dell’inghiottitoio e con la presenza della piccola colonia di pipistrelli.

Nel corso della campagna speleologica, si è provveduto a documentare lo stato dei luoghi verificando le tipologie di rifiuti, al fine di poter successivamente operare una bonifica mirata del sito. E’ risultata, quindi, la presenza di: vetro, materiali edilizi e di risulta, elettrodomestici, copertoni, rifiuti solidi urbani, materiali plastici, ferro e resti animali; inoltre si sono rinvenuti bidoni di ferro arrugginiti e lastre di eternit. Sul fondo della grotta infine si è rinvenuta una grande pozzanghera (asciutta) di sansa, scarto della lavorazione delle olive. Recentemente, il Comune di Salve, alcune associazioni locali e volontari della zona hanno

La presenza dei rifiuti, inoltre, attualmente rende pericoloso l’accesso alla cavità; infatti per entrare nel sistema ipogeo, bisogna necessariamente scendere su un alto cono di detriti misti a rifiuti e vetri, con la concreta probabilità di ferirsi. Nel corso degli accessi infatti sono risultate tagliate dai vetri due tute speleologiche e si è dovuto, nel prosieguo delle esplorazioni, proteggere la discesa rivestendo con teloni il cono di detriti.

Fig . 12.4 - Particolare di un deposito di rifiuti di vario tipo

104


12

La Grotta delle Fate

Conclusioni La campagna speleologica svolta dal Gruppo Speleologico Salentino nel 2008 ha permesso di documentare lo stato di degrado della grotta e gettare le basi per la bonifica del sito che si spera possa presto realizzarsi, ma ha anche consentito, attraverso una accurata esplorazione, di ampliare lo sviluppo conosciuto della cavità che è stata completamente rilevata e ri-accatastata. Sono state altresì individuate nuove interessanti pro-

secuzioni da esplorare che lasciano presumere uno sviluppo ben più ampio dell’attuale e sono state rilevate altre piccole grotte già note al Gruppo Speleologico Salentino. La campagna speleologica ha permesso inoltre di approfondire la conoscenza di questo comprensorio carsico, di grande interesse ambientale, geologico e speleologico, portando ad individuare nuove potenziali cavità da indagare e disostruire.

Ringraziamenti Si ringraziano i soci del Gruppo Speleologico Salentino Dario Marsella, Andrea Rizzo e Grazia Rollo per l’apporto nelle fasi di esplorazione, rilievo e restituzione grafica, Marco Delle Rose del Gruppo Speleologico Neretino, nonché gli amici Nick Gray e Maggie Armstrong insostituibili punto di riferimento nella zona.

Bibiliografia di riferimento Alvino L., 1966 - Geologia Salentina. Editrice L’Orsa Maggiore.

Gruppo Speleologico Salentino, 1977 - Carta Speleologica della Provincia di Lecce.

Cremonesi G., 1980 - Saggio di scavo a Grotta Montani (Salve). Studi di Antichità, 2/1980, pp. 45-55.

Ingravallo E., Piccinno A., 1983 - L’insediamento proto appenninico di Spigolizzi (Salve). Studi di Antichità, 4/1983, p. 37.

De Giorgi C., 1960 - Descrizione fisica geologica e idrogeografica della Provincia di Lecce. A cura di A. Vignola. Centro Studi Salentini, Lecce. Descoeudres J.P., Robinson E., 1993 - La “Chiusa” alla Masseria del Fano. Martano Editrice. Federazione Speleologica Pugliese, 2007 - Grotte e carsismo in Puglia. Ficarra&Mastrosimini. Giangreco C., Pacella N., 1977 - Analisi dei beni speleologici della provincia di Lecce e proposte di tutela. 2° Convegno regionale su Difesa e valorizzazione del patrimonio cavernicolo, Maglie 17/04/1977, pp. 28-29. Giuliani P., 2000 - Elenco delle grotte pugliesi catastate fino al 31 ottobre 1999. Itinerari Speleologici, 9. Gruppo Speleologico Salentino, 1961 - Notiziario. Esplorata Grotta delle Fate a Salve. La Zagaglia, 10, pp. 131-132.

105

Martinis B., 1970 - Note illustrative della Carta Geologica d’Italia foglio 223 Capo S. Maria di Leuca. Poligrafica e Cartevalori Pozzuoli. Orofino F., 1986 - Elenco delle grotte pugliesi catastate fino al 31 dicembre 1985. Itinerari Speleologici, 1. Piccinno A., 1997 - Grotta Montani (Salve). In Ingravallo E. (ed.) - La Passione dell’Origine. Giuliano Cremonesi e la ricerca preistorica nel Salento. Conte Editore, pp. 44-47. Roller D.W., 1995 - Southern Messapia surwey 19921994: preliminary report. Studi di Antichità, 8/1995. Servizio Geologico D’Italia, 1968 - Carta Geologica d’Italia, fgl 223. Sorrentino C., 1980 - La fauna della Grotta Montani. Studi di Antichità, 2/1980, pp. 56-58.


106


Il GSN e le attività 2008 di attenuazione del rischio idraulico delle voragini di Nardò Marco Delle Rose1,2, Marco Greco2,3, Andrea Vitale2 Consiglio Nazionale delle Ricerche , 2Gruppo Speleologico Neretino,

1

3

Nell’estate 2008 il Gruppo Speleologico Neretino, già più volte impegnato in attività di tutela del territorio e dell’ambiente, ha partecipato ad attività di attenuazione del rischio idraulico nel territorio di Nardò (Le). Il progetto è stato coordinato dal “Consorzio Speciale per la Bonifica di Arneo”, ente che si occupa della gestione idraulica di una ampia superficie di territorio. Gli interventi riguardavano il torrente “Asso”, il sistema idrografico endoreico (ovvero senza sbocco a mare) più importante ed esteso della provincia di Lecce, formato da diversi corsi d’acqua e canali artificiali. Questi ultimi sono stati “modellati”, nel corso del tempo, dall’azione dell’uomo che però non sempre ha prodotto effetti positivi per l’equilibrio di un territorio già intrinsecamente vulnerabile. Più in dettaglio, il reticolo idrografico è il risultato sia dell’evoluzione di impluvi naturali individuati nel Pleistocene Medio che, specie nei tratti terminali, di opere di bonifica idraulica di paludi igienicamente malsane. Attualmente esso assolve anche al compito di smaltire nel sottosuolo acque reflue (Delle Rose, 2007; Delle Rose e Marras, 2008; Delle Rose e Parise, 2010). Il sistema consta di un collettore (scolmatore) a mare realizzato nei primi anni ’70, utilizzato per la difesa dell’abitato di Nardò da eventi di pioggia estremi. Il bacino idrografico può essere definito un “graben-polje” (sensu Gams, 1978) e presenta vari inghiottitoi carsici che convogliano le acque superficiali nel sottosuolo. Esso è esteso

107

Servizio Protezione Civile della Regione Puglia

circa 220 km2 ed ha il suo recapito finale nella Vora Colucce, ricadente in agro di Nardò a NO dell’abitato. Tale inghiottitoio è noto anche come Voragine del Parlatano ed è inserito nel Catasto Regionale delle Grotte al numero PU197. Nel bacino affiorano differenti unità stratigrafiche: argille marnose quaternarie, a luoghi sormontate da sabbie e limi; calcareniti del Plio-quaternarie e calcari cretacei. Proprio nella Vora Colucce è stato individuato il passaggio stratigrafico tra calcareniti e calcari. Come dedotto da osservazioni geomorfologiche, questo contatto ha costituito il livello di base carsico che ha guidato, nell’ultima parte del Quaternario, la speleogenesi del sistema cavità (origine ipogenica) che a sua volta, in fase matura, ha poi determinato la formazione di Vora Colucce e di varie doline di crollo. Il bacino ha pendenze molto basse, mentre il reticolo ha spiccata tendenza all’interramento e allo smottamento delle sponde, contrastata con periodici interventi di manutenzione. Anche gli inghiottitoi del sistema richiedono spesso operazioni di asportazione dei sedimenti che si accumulano nelle condotte carsiche (il GSN ha eseguito disostruzioni già nel 1994 e nel 2000). Ciononostante gli allagamenti che interessano l’area urbana di Nardò sono ancora frequenti e dannosi. Occorre anche considerare che, ancora nel corso del XIX secolo, ampie aree del bacino permanevano allagate sino a buona parte della stagione primaverile, mentre per i


Il GSN e le attività 2008 di attenuazione del rischio idraulico delle voragini di Nardò

13

secoli precedenti, in base a indicazioni botaniche e archeologiche, si possono stimare maggiori estensioni areali e persistenza nel tempo delle zone umide. Insomma il tutto appare il risultato di una “poco accorta” antropizzazione del territorio.

piano terreno o nei piani interrati; spargimento sul suolo o nella falda di sostanze inquinanti (gasolio, materiale fecale, ecc.); pericoli di annegamento per persone residenti in locali interrati e/o seminterrati, specie se soggetti a ridotta capacità motoria (bambini, anziani, Ai nostri giorni disabili). Il corso le voragini del dell’Asso, al pari sistema dell’Asso di molti sistemi e specie Vora endoreici della Colucce, dovenPuglia, non è tutdo assorbire e tavia dotato di un smaltire volumi sistema di misura d’acqua di un delle portate territorio molto e delle altezze vasto e fungere d’acqua che tranda collettore sitano, né risulta di scarico di implementato un reflui depurati sistema per la rile(dall’impianto vazione delle preindustriale cipitazioni meteFig . 13.1 - Rilievo della PU 197 con misure di geologia strutturale SISRI di Nardò, oriche incidenti dai trattamenti (solo nel 2009 è consortili di Maglie, Galatone e Copertino) manistato installato dalla Protezione Civile regionale festano non di rado problemi di riduzione delle un idrometro presso la sede del Consorzio di capacità di assorbimento. L’ultimo evento calamiBonifica Arneo). In ogni caso, già con portate toso, che ha provocato ingenti danni all’agricoltura maggiori di 5 m3/sec, situazione che avviene e alle attività produttive, si è verificato nel novemfrequentemente nel semestre autunno-inverno, gli bre 2004 con lo straripamento del canale Asso e inghiottitoi non riescono a smaltire nel sottosuolo conseguente allagamento di interi quartieri di tali volumi d’acqua. Con eventi meteorologici che Nardò. Non a caso quindi, nel piano comunale di provocano portate di circa 30 m3/sec (con tempi protezione civile della Provincia di Lecce redatto di corrivazione di 12-15 ore), la situazione di nel 2006, sono riportate per il sistema idrografico Nardò e dintorni diventa particolarmente critica in questione le seguenti emergenze: limitazione e con possibile attivazione di importanti misure di della percorribilità delle strade e pericoli per il trafprotezione civile. E ancora, in base ai dati di piogfico motorizzato, specie se sono interessate strade gia storicamente registrati, si può affermare che extraurbane; allagamento di immobili ubicati a

108


13

Il GSN e le attività 2008 di attenuazione del rischio idraulico delle voragini di Nardò

100 mm di pioggia in 9-12 ore possono già essere considerati “eventi estremi”, con negative ripercussioni sull’intero bacino idrografico (Delle Rose e Parise, 2010).

già dalle prime piogge di settembre, potesse non essere in grado di smaltire gli ulteriori deflussi e provocare allagamenti particolarmente dannosi. All’approssimarsi Motivo per il della stagione quale il GSN è estiva 2008, la vora stato coinvolto Colucce presentava ad operare, vistosi ed oggetall’interno del tivi problemi legati programma alla sua effettiva più ampio di funzionalità idrauinterventi del lica, che appariva Consorzio sensibilmente comArneo, nelle promessa a causa, attività volte a probabilmente, di ripristinare la insufficienza nella funzionalità manutenzione idraulica del sisordinaria del sitema di vore del stema carsico e dei torrente Asso, canali. La capacità in particolare di di assorbimento e Vora Colucce, di smaltimento nel la più imporsottosuolo della vora tante. Tuttavia Colucce era così le operazioni di ridotta che già prima Fig . 13.2 - Speciali precauzioni per le operazioni di disostruzione della voragine (Archivio GSN) disostruzio- ne dell’estate il tratto terdelle condotte minale dell’Asso si precarsiche hanno anche riguardato un inghiottisentava quasi completamente intasato e colmo; i toio posto a monte di Vora Colucce al termine di volumi d’acqua convogliata negli anni avevano una derivazione idraulica secondaria del Torrente determinato un consistente accumulo di mateAsso. In base alla terminologia consolidata dei riali di varia natura e granulometria trascinati o tecnici del Consorzio Arneo, l’inghiottiotio è portati in sospensione. Questi avevano creato una denominato “Voragine del Parlatano”, nome coinvera e propria ostruzio- ne al “normale” deflusso cidente con l’alias di Vora Colucce; ciò costitudelle acque. La situazione non era certo conforendo possibile motivo di equivoco. Esso è stato tante, anzi aveva decisamente superato il livello rilevato dagli speleologi del GSN e sarà oggetto di di guardia e vi era consape- volezza che il sistema,

109


Il GSN e le attività 2008 di attenuazione del rischio idraulico delle voragini di Nardò

13

Fig . 13.3 - Momenti delle operazioni di disostruzione sul fondo di Vora Colucce (Archivio GSN)

prossimo accatastamento. Non poche sono state le difficoltà: prima di tutto occorreva garantire continuità alle attività ed un apporto di personale tale da poterla sostenere. E’ stato necessario l’impiego di venti speleologi del GSN in attività turnata e per diverse settimane, con un “rinforzo” temporaneo di alcuni speleo del Gruppo Speleologico Dauno.

Alla prima fase, legata allo svuotamento idraulico delle condotte superiori di Vora Colucce è seguita un’attività più frenetica, che ha consentito l’estrazione di materiale vario che negli anni si era accumulato e “consolidato” sulle pareti e sul fondo della voragine. Le condizioni di lavoro non erano certo piacevoli, alla calura stagionale si sono sommati complicazioni e imprevisti, legati alla difficoltà di estrarre il materiale e di portarlo al

110


13

Il GSN e le attività 2008 di attenuazione del rischio idraulico delle voragini di Nardò

di fuori della voragine tramite sistemi escogitati di volta in volta, in base alle necessità, alle difficoltà del momento e soprattutto alla profondità raggiunta. Eloquente era l’espressione che si dipingeva sul volto dei soci GSN ogni qualvolta, terminato il proprio turno, ritornavano in superficie e osservavano, con fierezza ed un pizzico di stupore, l’ingente quantità di materiale che erano riusciti a tirar fuori (oltre 15.000 kg di fanghi organici ed inorganici e circa 100 kg di rifiuti solidi), in condizioni spesso estreme e faticosissime, Tale attività, condotta fino a tutto il mese di settembre, di concerto con gli altri interventi operati dal Consorzio dell’Arneo, ha ridotto il rischio che l’abitato di Nardò fosse interessato da allagamenti gravi, limitando le inondazioni in seguito realmente verificatesi solo nei terreni agricoli limitrofi a Vora Colucce. Ovviamente si è sempre lavorato ed agito dando la necessaria priorità agli aspetti legati alla sicurezza degli operatori. Tute isolanti, mascherine per le esalazioni, guanti protettivi e quant’altro potesse servire alla nostra sicurezza e ad alleviare i disagi particolari propri di tali ambienti, non sono

mancati, così come non sono mancati gli aspetti gioviali e i momenti distensivi tipici dell’operare degli speleologi. Le attività qui illustrate, unitamente a quelle in precedenza condotte in vari bacini endoreici del Salento e delle Murge (Delle Rose, 2007) evidenziano la singolarità di ciascun sistema fluviocarsico e la necessità di approfondire ogni aspetto geologico dei medesimi, dalle caratteristiche stratigrafiche a quelle tettoniche, dagli aspetti geomorfologici a quelli idrogeologici, dalla esplorazione speleologica dei sistemi carsici ipogei alle misure di portata ma anche di permeabilità in situ. In particolare, si sottolinea che le condotte di Vora Colucce sono parte di sistemi speleologici ipogenici, che si sono quindi evoluti in assenza di collegamenti diretti con l’idrografia superficiale. Da ciò deriva la tendenza ad intasarsi per effetto della deposizione nelle condotte di detriti (oltre che di rifiuti solidi) che alla luce degli effetti dei cambiamenti climatici in atto, ed in particolare dell’aumento di trasporto solido, appare destinata ad aumentare nel tempo, con ciò incrementando pericolosità di allagamento e rischi connessi.

Bibliografia Delle Rose M., 2007 - Valutazioni dei rischi di allagamento per incremento degli eventi meteorici estremi in bacini endoreici della Puglia centromeridionale. Atti del Convegno “Cambiamenti climatici e rischi geologici in Puglia”, Sannicandro di Bari, set. 2007, pp. 49-60. Delle Rose M., Marras V., 2008 - Attività di protezione idrogeologica del GSN (anni 2004-2006). Proc. XI Regional Meeting of Speleology, Borgo Celano, pp. 71-85.

111

Delle Rose M., Parise M., 2010 - Water management in the karst of Apualia, southern Italy. Atti della conferenza internazionale “Sustainability of the karst environment”. Plitvice Lakes, Croatia, Settembre 2009, UNESCO, pp. 33-40. Gams I., 1978 - The polje: the problems of definition. Zeit. für Geomorph., 22, pp. 170-181.


Il 2008 è stato l’Anno Internazionale del Pianeta Terra e non a caso Spelaion 2008 ha ottenuto il patrocinio di “Pianeta Terra, le Scienze della Terra per la Società” da parte del Comitato Italiano. “Puliamo il buio in Puglia e in Italia. La Società Speleologica Italiana impegnata nel recupero delle cavità” è il titolo dell’intervento di Marilena Rodi del Gruppo Puglia Grotte che, in apertura, ha ricordato che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 2008 “Anno Internazionale del Pianeta Terra: Le Scienze della Terra al servizio della Società” (IYPE). Questa iniziativa, estesa al triennio 2007-2009, è stata promossa dall’UNESCO e dalla IUGS (Unione Internazionale delle Scienze Geologiche), raccogliendo il sostegno di 191 stati membri dell’ONU”. L’obiettivo dell’”Anno Internazionale del Pianeta Terra” è quello di rendere i cittadini, i politici e gli amministratori maggiormente consapevoli del grande potenziale che le Scienze della Terra hanno per il miglioramento della qualità della vita e la salvaguardia del pianeta. “Clean up the world”, l’iniziativa mondiale in Italia (Puliamo il Mondo), nel 2008, ha raggiunto la XV edizione. Ogni anno coinvolge quasi 40 milioni di persone in circa 120 paesi. Da alcuni la Società Speleologica Italiana promuove “Puliamo il Buio”. Questa iniziativa

ha consentito alla speleologia organizzata di quantificare, anche se solo a livello qualitativo, il “contenuto” di materiale inquinante presente in alcune grotte. L’edizione 2008 si è tenuta dal 26 al 28 settembre. Rodi ha quindi illustrato qualche numero: nel 2005 (Giornata nazionale della speleologia) - 24 eventi, 500 partecipanti, 19 tonnellate di rifiuti raccolti; nel 2006 - 18 eventi; 200 partecipanti, 15 tonnellate di rifiuti; nel 2007 - 15 eventi, 427 partecipanti, 18 tonnellate di rifiuti; nel 2008 - 19 eventi, 428 partecipanti, 25 tonnellate di rifiuti. Inoltre, dal “censimento delle cavità a rischio” risultano 413 grotte gravemente inquinate su un totale di 34.611 (è un dato largamente sottostimato). Per ciò che attiene alla Puglia: “nel 2005 (Giornata nazionale della speleologia) - 2 eventi, 37 partecipanti, 1,3 tonnellate di rifiuti raccolti; nel 2006 - 2 eventi, 40 partecipanti, 1 tonnellata di rifiuti; nel 2007 - 3 eventi, 60 partecipanti, 6 tonnellate di rifiuti; nel 2008 - 4 eventi, circa 200 partecipanti, 17,5 tonnellate di rifiuti”. I rifiuti recuperati dagli speleologi dalle grotte sono stati i più disparati: “3753 kg di Urbani (Rifiuti domestici, rifiuti vegetali, imballaggi, bottiglie, buste di plastica, ecc. di origine resi-

112


Puliamo il buio in Puglia e in Italia

La Società Speleologica Italiana impegnata nel recupero delle cavità

denziale o commerciale); 17440 kg di Speciali (Fanghi, residui di lavorazioni agro-industriali, officine, falegnamerie, piccole o grandi indu­ strie, comunque di origine industriale); 180 kg di Pericolosi (Siringhe, medicinali scaduti, batterie, vernici, solventi, tubi fluorescenti, pesticidi – sostanze che presentano un pericolo immediato o a lungo termine per la salute umana e dell’ambiente); 610 kg di Inerti (calcinacci, materiali edili – comunque che non subiscono significative trasformazioni fisiche, chimiche o biologiche); e ancora 3310 kg di Altri (lavatrici, videoregistratori, materassi, coperte, armadi, ecc.)”. La speleologa del Puglia Grotte ha sottolineato quindi l’importanza dell’opera di educazione ambientale. Così, “in occasione del 70° anniversario dalla scoperta, anche le Grotte di Castellana sono state oggetto di attenzione dell’evento di sensibilizzazione. Il Gruppo Puglia Grotte, in collaborazione con l’Istituto Professionale di Stato per l’Industria e le Attività Marinare di Castellana Grotte e il Gruppo Speleologico Criptae Aliae, è stato impegnato nella ripulitura e nella riqualifica­ zione del percorso turistico”. Dell’evento è stato realizzato un filmato visibile sul sito: www. napoliundergroun.org. A Spelaion 2008 è stato proiettato un multimediale, relativo allo stesso

113

evento, realizzato da Gian Claudio Sannicola del Criptae Aliae. In esso particolare risalto è dato ai vecchi impianti elettrici, divenuti oramai rifiuti, presenti nei rami “turisticizzati” del complesso ipogeo castellanese, molti dei quali asportati dagli speleologi. Il multimediale di Sannicola si chiude con le seguenti emble­ matiche frasi: La pulizia del buio e il destino del bianco. La Società Speleologica Italiana e la salvaguardia degli ambienti carsici. Quanto è celato ad occhio nudo rientra in quel calderone di dubbi ed incertezze che l’uomo vive dalla notte dei tempi e sui quali tenta di addolcire la propria ignoranza. Quanto può influire l’attività dello speleologo sulla conoscenza della umana sapienza? Obiettivo della Società Speleologica Italiana: porsi come veicolo di trasmissione di sapere ed esperienze, mostrando immagini eloquenti delle “umane distrazioni“. Una iniziativa di così rilevante importanza come Puliamo il Buio non poteva che trovare ampio spazio nell’ambito di Spelaion 2008. Ed infatti ad essa è stato dedicato anche un terzo momento con la proiezione di un video realizzato dagli speleologi di Castellana in collaborazione con scuole conterranee, finalizzato all’educazione e al rispetto dell’ambiente.


La grotta del Soprador do Carvalho (Massiccio del Sicò-Portogallo) Un’occasione di collaborazione

Luca António Dimuccio e Vincenzo Iurilli hanno posto l’attenzione sulla Grotta del Soprador do Carvalho, una cavità carsica del sistema speleologico del Dueça, nel Massiccio del Sicò, in Portogallo. Attraverso una serie di fotografie di gallerie orizzontali, un rilievo topografico ed una bozza di modello speleogenetico, viene illustrato il lavoro di ricerca svolto, ma soprattutto si mette in evidenza quello che bisogna ancora fare. La collaborazione tra speleologi italiani e portoghesi inizia nel 2008 con una serie di incontri dalla quale emerge la necessità di sviluppare ulteriormente i rilievi topografici, l’analisi ambientale e le ricerche geomorfologiche. L’appoggio logistico per gli speleologi italiani è rappresentato dal C.I.S.E.D. (Centro de Interpretação do Sistema Espeleológico do Dueça), un’accogliente infrastruttura realizzata con fondi comunitari, dotata di sala conferenze, bar, cucina, sala riunioni ed altri servizi ben attrezzati (web: http:// www.cm-penela.pt/cised.php). La presentazione di Iurilli si conclude con l’invito, rivolto agli speleologi della Federazione Speleologica Pugliese, di aderire al progetto di ricerca.

114


Attività del GSL ‘Ndronico nel 2008

Il Gruppo Speleologico di Lecce ‘Ndronico ha illustrato le attività svolte nell’anno in Puglia e in Campania. Nella Grave di Castel Pagano, grazie ad alcune risalite e disostruzioni, sono stati intercettati nuovi ambienti prevalentemente verticali. In particolare è stato individuato un nuovo ramo che porta il dislivello complessivo della cavità a -135 m. Il GSL ha poi disostruito una fessura soffiante all’interno della grotta Micello (complesso delle Grotte di Poggiardo), scoprendo un lungo ramo caratterizzato da ambienti riccamente concrezionati, dove è stata rinvenuta una comunità biologica ricca e diversificata. Le ricerche svolte hanno permesso di ampliare significativamente la distribuzione di alcuni endemiti pugliesi troglobi. Le metodologie di raccolta degli elementi faunistici comprendevano sia la ricerca attiva di esemplari (“caccia libera”) che l’uso di trappole fornite di esca. I campionamenti hanno riguardato 3 siti (circa 26, 40 e 65 metri dall’ingresso della cavità) per i quali sono state annotate la temperatura (°C) e l’Umidità Relativa % (Sito 1: 17°C e 73% UR; Sito 2: 16,3°C e 89% UR; Sito 3: 15,9°C e 97% UR). Durante l’indagine sono stati rinvenuti esemplari di Chthonius (Chthonius) ruffoi Caporiacco, 1951 (Ordine Pseudoscorpionida, Famiglia Chthoniidae; sito 2), Hadoblothrus gigas (Caporiacco, 1951) (Ordine Pseudoscorpionida, Famiglia Syarinidae; sito 3), Italodytes stammeri stammeri Müller, 1938 (Ordine Coleoptera, Famiglia Carabidae; sito 2 e 3), coleotteri della Famiglia Curculionidae (sito 3), Trachelipus camerani (Tua, 1900) (Ordine Isopoda, Famiglia Trachelipodidae; sito 2), Troglophilus andreini Capra, 1927 (Ordine Orthoptera, Famiglia Raphidophoridae, sito 1), Nesticus eremita Simon, 1879 (Ordine Araneae, Famiglia Nesticidae; sito 1), nonché esapodi dell’Ordine Collembola. Morfologia, dimensioni e distribuzione geografica (per la Puglia) di 3 specie (Italodytes stammeri stammeri, Hadoblothrus gigas, e Chthonius (Chthonius) ruffoi) sono state descritte con l’ausilio di alcune immagini. Il GSL e Gruppo Grotte Grottaglie hanno riattrezzato la Grava di Vallicelli e l’inghiottitoio di Vallicelli, posti nella omonima conca a circa 1200 m di quota (Massiccio del Cervati), esplorando e rilevando nuovi ambienti.

115


I momenti di maggiore coinvolg imento dei partecipanti a Spelaion 2008 sono stati forse la proiezione del film “La Lunga Notte” di Tommaso Biondi e Andrea Gobetti e il dibattito ad essa seguito. Certamente la presenza a Torre Nova del primo dei due autori ha contribuito a rendere più interessante la storia dei cinque giorni di soccorso del Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico a Igor Jelenic , lo speleologo croato infortunatosi nella grotta di Piaggia Bella (provincia di Cuneo, al confine con la Liguria e la Francia). “Nell’agosto del 2007, mentre tutta la speleologia italiana attendeva in ogni regione ai suoi riti esplorativi” scrive il co-autore Andrea Gobetti in “Prima del Buio”, opuscolo allegato al DVD del film “fu impiantato a Piaggia Bella il campo del Gruppo Speleologico Piemontese [...] Campo famiglie dunque, bambini, adolescenti e terza età a iosa, qualche forte malcapitato dalla Toscana, dalla Croazia e dal Madagascar, splendide speleologhe, cucina casalinga [...] Sembrava una meraviglia di campo finché non tornò la nostalgia di voler

116


La lunga notte

esplorare”. Dopo un primo estemporaneo tentativo in cui gli speleologi “hanno annusato l’inesplorato e non l’hanno azzannato, eppure era grande, inaudito, invitante”, decidono di tornare in superficie per riprovarci il giorno dopo... Tommaso Biondi è tra questi. “Tornate dentro, tornate dentro” gli urla scherzando qualcuno rimasto in tenda. Da quell’istante comincia un’avventura che gli stessi protagonisti definiscono più grande di loro. Ore di discesa tra gallerie, salti e strettoie. Poi via, lungo i traversi Bo Derek “con armi fatti nei lontani anni ‘80” e corde così lasche che chi cade rischia di farsi male sul serio. E così accade a Igor, il pericolo in agguato si materializza in incidente e lo speleologo rimane incastrato in fondo al meandro con una gamba rotta e una spalla lussata. Estratto con un paranco dagli stessi compagni della punta esplorativa, dovrà poi attendere circa 13 ore per l’arrivo dei primi soccorritori. Le condizioni del ferito sono tali da richiedere l’uso di una barella rinforzata, le cui dimensioni, a loro volta, comportano interventi di disostruzione mediante dinamite. La faccenda si complica: “la possibilità di incastrarlo era così alta – dice Giovanni Badino (già presidente della Società Speleologica Italiana) – che abbiamo dovuto ripensare ogni manovra”. Il tempo intanto passava e una certa paura cominciava a serpeggiare.

117


Occorreva un gran numero di soccorritori che prontamente arrivavano da varie regioni d’Italia. Per far passare la barella attraverso uno stretto meandro, una fitta rete di corde viene realizzata. “Un sistema geniale. L’unico possibile per tirarlo fuori da lì”. Dopo circa 2 giorni dall’incidente, il ferito è ancora a circa un quarto dell’intero percorso. Il film di Biondi e Gobetti fa vivere allo spettatore, non importa se speleologo o meno, il contrasto tra teoria e pratica, tra procedure standard e situazioni reali, con una efficacia istruttiva che insegna qualcosa a chiunque. Al campo base mancano i bicchieri e c’é la salsiccia al posto dello spezzatino. C’è un nesso col ferito da riportare in superficie? Si, si tratta sempre di soccorso; tutto dovrebbe funzionare alla perfezione, che però non è di questa terra. A Piaggia Bella i fuochini (gli artificieri del CNSAS) hanno avuto un ruolo determinate. E si sa che con la dinamite non si scherza, o quasi: “un sol grido, un sol idiuma... allarguma!”. E la barella va mentre Igor tiene duro. Qualcuno dei soccorritori dice che “comunque è uno spettacolo: sessanta lucette distribuite lungo il passamano, mai vista una cosa così... veramente notevole”. Un’altra inquietudine comincia però ad aleggiare al campo base: che qualcuno dei soccorritori, stanco dai turni di oltre 24 ore, possa farsi male. Ma è un pensiero che non lascia traccia. Nei telegiornali nazionali nel frattempo la notizia conquista i titoli di apertura e nei commenti dei giornalisti traspare una malcelata morbosità. Tre giorni. Quattro. Altro botto dei fuochini; altra disostruzione. Si esulta, giustamente. Adesso è l’ottimismo che pervade tutti. Anche i medici, che comunque hanno sempre tenuto sotto controllo il ferito. Passaggi in teleferica della barella. Paranchi. “Igor tranquillo, quasi quasi siamo fuori”. E finalmente l’urlo liberatorio. Gli speleologi hanno salvato uno di loro, “uno dei nostri”. Prima dei titoli di coda, gli autori del film riportano, oltre ai ringraziamenti della mamma di Igor,

118


quelli del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ha espresso il suo: “vivo apprezzamento a tutti coloro che si sono adoperati per il salvataggio dello speleologo croato, confermando così l’alto valore ideale e morale dell’impegno del nostro volontariato”. Un lungo dibattito ha seguito la proiezione del film. A Biondi sono state rivolte le domande più disparate, mentre emergeva un generale apprezzamento per l’opera confermato da quello personale di Franco Alò, responsabile della delegazione pugliese del CNSAS, che ne ha sottolineato anche il valore didattico. Non caso quindi, La Lunga Notte, ha vinto il Primo Premio Della Giuria al Festival di Cinema di Montagna di Torellò, Barcellona, svoltosi nel Novembre 2008. La Lunga notte è prodotto da Bebertu Videodeep; regia: Andrea Gobetti e Tommaso Biondi produzione: Bebertu Videodeep supervisione: Claudio Cormio riprese interno: Alessandro Maifredi riprese esterno: Alberto Ubertino riprese GLD: Pierpaolo Serri foto di grotta: Giovanni Badino musiche: Martino Biondi grafica: Alterisio Deborah durata: 34 min Per informazioni: www.bebertuvideodeep.com

119


120


Gli Atti del 45° Corso CNSS-SSI di 3° livello sulla Geomorfologia Carsica Mario Parise, Salvatore Inguscio, Aurelio Marangella

Il 45° Corso di III livello della Commissione Nazionale Scuole di Speleologia della SSI è stato dedicato alla Geomorfologia Carsica, argomento che potrebbe apparire di “nicchia”, essendo una branca specifica della Geomorfologia, che a sua volta rientra nell’ambito delle Scienze della Terra. In realtà, qualunque persona segua un corso di I livello di Speleologia si trova da subito ad avere a che fare con la Geomorfologia Carsica. Accade in superficie, durante l’avvicinamento agli ingressi delle grotte, o semplicemente nella vita quotidiana (per coloro che vivono in ambienti carsici), e in sotterraneo, percorrendo, visitando ed esplorando grotte all’interno delle quali può osservare le forme prodotte dalla speleogenesi e dai fenomeni di erosione meccanica e gravitativi. Spesso ci si muove in grotta senza fare troppo caso a tali forme, addirittura senza osservarle (pur passandoci davanti, o camminandoci sopra!), e senza porsi alcuna domanda sulla loro origine. Il Corso ha inteso fornire ai partecipanti le nozioni di base, utili alla comprensione dei meccanismi speleogenetici e delle morfologie carsiche epigee ed ipogee. A

121

tal fine, le lezioni teoriche (tenute da esperti del settore, da anni noti a livello nazionale ed internazionale in ambito carsico) hanno riguardato sia l’esame di specifiche aree di studio del territorio italiano che argomenti di carattere teorico; esse sono state integrate dall’escursione nella Gravina di Riggio, che ha consentito di esaminare direttamente le morfologie di uno degli elementi più tipici del carsismo pugliese, le gravine. La elevata partecipazione al corso, numericamente espressa da 56 iscritti, appartenenti a 14 gruppi speleologici e a vari istituti universitari, bene esprime il successo dell’iniziativa, che ci ha spinto a produrre, nell’arco di pochi mesi dal Corso, il volume che qui presentiamo [a Spelaion 2008, ndr]. Esso contiene tutte le lezioni teoriche del Corso, a cui si aggiungono un articolo sul sito oggetto dell’escursione ed uno relativo al Pulo di Altamura. L’augurio è che tale volume possa essere un utile supporto nell’ambito delle lezioni dei corsi di speleologia, e che possa figurare nelle biblioteche personali di coloro che frequentano, o semplicemente amano, il mondo sotterraneo.


122


Le Grotte del Parco Nazionale del Gargano Il documentario “Le grotte del Parco Nazionale del Gargano” è stato realizzato dal Gruppo Speleologico Dauno (riprese, montaggio e testi di Carlo Fusilli) in collaborazione con la Federazione Speleologica Pugliese e l’Ente Parco Nazionale del Gargano. 27 minuti di sequenze video registrate a bordo di un aeroplano e sulla terraferma, sopra e sotto il piano campagna. La telecamera vola sui pianori a doline, superfici brulle e rugose, con cromaticità inusuali ed una vastità di punti beanti. Poi si penetra nelle grotte: Grava di Campolato, Grotta di Pian della Macina, Grotta delle Streghe, Grava di Zazzano, Abisso delle Volpi, Abisso Cinese, Grotta dei Pilastri, Grotta Paglicci, Grotta Scaloria e Grotta di Occhiopinto. Stile narrativo lineare, musiche elettroniche, speleo che camminano, strisciano e manovrano attrezzi, concrezioni calcitiche, pitture parietali, antichi manufatti, resti umani. Per informazioni: www.gruppospeleologicodauno.it

123


Il Gruppo Grotte Grottaglie opera per la tutela dell’ambiente naturale e culturale. Per approfondimenti bibliografici: Gruppo Grotte Grottaglie: 30 ANNI DI ATTIVITA’ dal 1968 al 1998. Sito internet e archivio del GSM.

124


La “signora” di Monte Trazzonara Emanuela Devita, Valerio Puzzovio, Marco Barletta Gruppo Grotte Grottaglie

Grotta Kiria o Grotta Trazzonara Pu /Ta 1104 F° 202 I NE - N 40°37’31,8’’ E 17°22’58,6’’ 408 m s.l.m. Dopo il Progetto Catasto della FSP, il Gruppo Grotte Grottaglie si è riproposto di tornare in alcune delle grotte catastate dallo stesso gruppo. In seguito a numerose escursioni e ripensamenti, una sera di fine estate, durante una passeggiata a Monte Trazzonara, ad alcuni di noi viene in mente di tornare alla grotta Kiria. Nel lontano Aprile 1974 fu definita “Perla” ma dopo ricerche riguardo l’etimologia e il significato della parola si è scoperto che la parola Kiria vuol dire “Signora-Padrona”. In ogni caso sia Perla che Signora calzano a pennello… Tutta la zona in cui si apre la grotta presenta caratteristiche favorevoli alla formazione di fenomeni carsici. In effetti, durante la stessa passeggiata che ci ha portato a lei abbiamo incontrato più sprofondamenti colmati da rifiuti, da lastre di eternit e copertoni di camion. Sotto un albero si apre l’ingresso della grotta, a suo tempo allargato per permettere un più agile accesso. In contrapposizione si scende attraverso un pozzo profondo 2,50 m circa; dopo un cunicolo di 80 cm, di nuovo in contrapposizione,

125

si scende per altri 5,30 circa m, attraverso una frattura larga 1,10 m e lunga 3,65 m. Nella parte nord della frattura c’è un cunicolo che porta in una stanza concrezionata che misura 2,50 x 2,20 m, per quanto è stato possibile valutare. Dalla parte sud della frattura, scavalcando una stalagmite si giunge nel primo ambiente, dal quale sporgendosi si vede il fondo della grotta. Questo primo ambiente è caratterizzato da una colata calcitica di notevoli dimensioni, quasi come una cascata che cade dal soffitto della stanza, alto 3,65 m circa. Attraverso una “porta” si accede alla seconda stanza, di dimensioni più ampie, dal cui soffitto pendono cannule candide con stillicidio in atto e stalattiti di ogni dimensione, nonché numerose formazioni cristalline somiglianti a infiorescenze. Nella stessa stanza è presente una colata che sembra una medusa e sul lato destro di questa fantastica formazione, un crollo ha colmato un grande spazio che attualmente, in altezza misura 70 cm, mentre il lato opposto misura in altezza circa 2,10 m. La lunghezza complessiva di questa stanza è di 8,76 m. Attraverso una frattura lunga circa 2 m e larga mediamente 80 cm si scende ancora e si giunge nell’ultimo grande ambiente separato dal fondo a causa di crolli. Anche qui sono presenti colate calcitiche, cannule bianche con stillicidio in atto. In questa stanza c’è un cunicolo di dimensioni ridotte che prospetta un proseguimento, la cui esistenza sarà accertata prossimamente.


126


Dentro il territorio neretino. Le masserie e Masseria Torre Nova Cosimo Beccarisi

Aspetto storico Si parla delle masserie e ovviamente si parla del loro aspetto storico, che non può che rimandarci ad epoche più lontane rispetto a quanto si evincerebbe da una prima lettura delle fonti. Dopo il tramonto della civiltà messapica (l’etimologia stessa di Nardò rimanda alla parola nar, di derivazione illirica che significa acqua, e nar radice greca, da cui Neriton, traslato poi nel latino Neritum o Neretum) si giunge qui nel Salento, nel II sec. d.C. con la presenza dei romani a controllare il territorio, anche se già sotto Augusto, (inizio I sec.) comparvero piccole comunità romane (i “Liberti”) a prendere possesso di piccoli lotti di terreno, apportando nuove tecniche di conduzione. Il resto delle proprietà terriere fu acquisito e assegnato all’ager pubblicus, ma rientrò, poco tempo dopo, ai primi proprietari o ai loro discendenti secondo l’accordo dell’enfiteusi, per incoraggiare e promuovere il ritorno alla vita dei campi dopo le guerre di conquista. Al centro dei grandi agri sorsero i primi insediamenti della “Villa rustica”, luogo di pulsione e di riferimento di tutte le attività che si svol-

127

gevano nel latifondo, corrispondente pressappoco all’estensione della masseria dei tempi successivi. Qui, ad esempio, Domizia Lepida, zia di Nerone, possedeva grandi estensioni di terre che venivano lavorate da innumerevoli squadre di schiavi che, essendo trattati con una certa “benevolenza”, costarono alla stessa Domizia una condanna a morte, con l’accusa di “turbare la pace d’Italia”. In seguito alla carenza di popolazione, e quindi di lavoratori della terra, come precisa anche Strabone, si accrebbe notevolmente il numero di schiavi che vivevano in uno stato di grande precarietà. Di quei periodi, in questi territori, sono state rinvenute tracce di ville rustiche poi trasformate nel tempo per rispondere a nuovi scopi, ma sempre in grado di mostrare un certo impianto originario, pur rispondendo con piena efficienza alle nuove esigenze. Esempi di tali strutture si trovano a nord di Lecce nelle masserie Nocita e Cerrate e, dall’altro lato della Via Traiana, nelle masserie Peruzzi, Bagnara Vecchia, Agnano e Carignano Grande nel feudo di Nardò. In seguito alle invasioni e alle guerre che si ebbero tra Bizantini e Goti, tra Bizantini e


Dentro il territorio neretino. Le masserie e la masseria Torre Nova

Longobardi, tra Longobardi e Normanni, e alla conseguente insicurezza di vita delle popolazioni locali, vi fu un impoverimento della villa rustica (divenuta già masseria nell’accezione ultima) tanto da toccare il minimo storico intorno all’anno Mille. Così, molte terre salentine si inselvatichirono, altre si impaludarono, come il “tenimentum d’Arneo”, favorendo il diffondersi della malaria che le rese per molto tempo inadatte alla coltivazione. Una parte di queste terre venne però ripresa e sottoposta a coltura nel giro di pochi anni secon­ do una mentalità propria dei Benedettini, la cui “regola”, oltre alla preghiera e alla contemplazione, si concretizzava nel fare produttivo. Il territorio di Nardò passò per varie dominazioni: dai Normanni nel 1055, agli Angioini nel 1266, che per primi fondarono, attraverso le “Universitas”, il feudalesimo locale. Sull’impronta di questo cambiamento il feudo passò poi per più famiglie, finché, con la presenza degli Aragonesi, nel 1497, fu assegnato ad Andrea Matteo Acquaviva, e da questo al figlio Belisario che, divenuto duca, diede inizio a quel lungo possesso degli Acquaviva, inoltratosi fino agli inizi del XIX secolo. L’area neretina offre significative testimonianze dell’organizzazione dello spazio rurale, dalle ville rustiche alle torri-masserie e da queste ai semplici rustici di campagna. Inoltre è l’area maggiormente antropizzata dall’età romana fino al XVII secolo, accompagnata dalla suddivisione agraria secondo i metodi della centuriazione romana (cento iugeri ciascun lotto) e alle progressive bonifiche dell’Arneo, protrattesi fino agli inizi del XX secolo. Di quella situazione sono tutt’ora visibili resti dell’antica “strada del cardo” a sud della Masseria Giudice Giorgio, mentre l’intero itinerario lo si può avere da una rara cartina dell’Atlante RizziZannoni (1700) nella denominazione di “Via Sallentina”. Questa carta è fondamentale anche perché è l’unico documento, per questo territorio, di quell’antica strada che da Taranto si prolungava

15

fino al Capo di Leuca passando a sud-ovest di Nardò, nell’area delle Cenate Antiche. Un tracciato che ha costituito e determinato ogni attrazi­ one di insediamento agro-fondiario, avvalorato anche dalla congiunzione col porto di Gallipoli e soprattutto dall’Emporium Nauna (navale), corrispondente all’odierna S. Maria al Bagno, un tempo luogo di rinomati bagni termali di acque solfuree, conosciuti anche da Antonio De Ferraris, il noto Galateo. L’intera area di Nardò nell’XI secolo era articolata in 24 feudi: Agnano, S. Andrea, Carignano, Ogliastro, Lucugnano, S. Niccolò di Cilliano, S. Niccolò d’Arneo, Puzzovivo, Pampigliano, Uggiarica, Feudonegro, Feudospezzato, Melignano, Castrì, Plauto, Pallio, Pescaria, Flaugiano, Gegna, Persano, S. Venerdia, Cassopi o del Fango, S. Barbara e S. Teodoro. Ognuno di questi feudi comprendeva almeno una Torremasseria, o un casale, gestiti da liberi signori-contadini, in diretto rapporto con la Mensa Vescovile o con il Monastero di S. Chiara ubicato in città. Alcuni feudi godevano del patrocinio della sola civitas, come Agnano, Carignano, Ogliastro, Puzzovivo e Pampigliano. Il feudo di Lucugnano, a nord dell’Arneo, donato dal conte Goffredo nel 1092 alla chiesa di Nardò, era uno dei più grandi di quel tempo e comprendeva più masserie, alcune delle quali, tra i secoli XVI e XVII, vennero affidate a terzi di fiducia con l’obbligo di migliorarle e di godere dei loro “frutti” per un tempo minimo di 20 anni, o in perpetuo (enfiteusi). Così, in questo orizzonte di fatti, il territorio rurale di Nardò emerge in tutta la sua importanza storica, in un meccanismo di domanda e offerta fra città e campagna, nella prospettiva di un’economia avanzata. Un reale cambiamento che attestò le libere comunità, organizzate in strutture operative, in veri borghi rurali dotati anche di personalità giuridica, pur dipendenti dal capoluogo civico. Un contado con grandi feudi come quello

128


15

Dentro il territorio neretino. Le masserie e la masseria Torre Nova

di Lucugnano, o solo grandi masserie come Carignano Grande, che rimanda ad un concetto gestionale di tipo cluniacense, giusto per definire la validità di un percorso storico prolungatosi fino alla soglia del XIX secolo. La masseria e il suo ordinamento Innanzitutto diciamo che alcune masserie hanno conservato il toponimo degli antichi feudi come Agnano, Arneo, Carignano Grande, Carignano Piccolo e Ogliastro, altre sono scomparse da secoli insieme al toponimo dei propri feudi, come quella di Lucugnano, nonostante un tempo fosse una delle più grandi del territorio. Sostanzialmente le masserie dell’area neretina sono di due tipi: masseria a corte e masseria fortificata. La prima discende direttamente dalla villa rustica romana o dalla fattoria, la seconda riprende l’impianto della prima ma è caratterizzata, al centro, da una Torre-fortezza che risponde ad una politica di carattere difensivo, una necessità maturata in seguito al saccheggio di Otranto da parte dei Turchi, nell’anno 1480, e alla distruzione operata dagli stessi di Castro Marittima, nel 1537. Due episodi di terrorizzante risonanza che indussero le popolazioni dell’entroterra a munirsi di apparati di difesa, come fecero ancor prima le popolazioni costiere. Infatti i Turchi nel 1537 si spinsero con le loro incursioni fino a Tricase e, nel 1543 a Presicce, portando ovunque miseria e morte. Tale tempesta di distruzione si prolungò anche nei secoli successivi in centri come Salve, Murciano, Cerrate e financo in alcuni centri del Salento jonico come affermarono le cronache locali. Acaya, addirittura, diventa una vera città fortezza trasformando l’antico centro medioevale, Sergine, in una pura opera militare. Così, in questo clima di evidente incertezza, ma anche di fermo interesse verso la campagna da parte della nobiltà terriera, l’ambiente rurale subì

129

profonde trasformazioni, donde anche la masseria in alcuni casi si era trasformata in una vera azienda agricola, fortemente organizzata anche per la difesa. Tra gli esempi significativi di queste aziende fortificate in agro di Nardò si può citare la Masseria Sciogli, Donna Menga e Giudice Giorgio. Ma non meno rilevanti sono le altre che formano un complessivo di ben 34 masserie fortificate o torri-masserie, in ragione del fortilizio della Torre, quasi sempre a pianta quadrata, che, negli esempi di Carignano Grande, Masseria Console e Masseria Nucci, viene fatta risalire ai primi del Quattrocento. Questo fenomeno di architettura rurale, nonostante oggi molte strutture siano vuote o in stato di decadenza, conferma l’azione di continui interventi di importanti famiglie agrarie che hanno lasciato impresso il loro prestigio nel rapporto cittàcampagna. I Personè, i Massa, i Tafuri, i Giulio, gli Zuccaro, sono alcuni nomi di queste famiglie di Nardò che con la campagna e i grandi complessi masserizi hanno costruito le loro fortune economiche. Le distese macchiose dell’Arneo, le fertili terre alla periferia dell’abitato, la presenza di strade di antica comunicazione come la Via Sallentina, con tracce ben visibili anche nei pressi di Villa Taverna (di cui si conserva anche un miliarium romano), sono gli elementi costitutivi che hanno favorito la commercializzazione dei prodotti agricoli, non solo con molti centri d’Italia ma anche con altre aree dell’Europa. Un aspetto che coniuga, o meglio che fa coincidere la costruzione dello spazio con il processo economico e che in ciò si fa storia lasciando le proprie impronte. Questo fenomeno agrario ha dunque in sé una sua storicità e diviene dimensione della storia, sicché geografia e storia coincidono formando una nuova dimensione del territorio neretino. Un aspetto agrario che al contempo, come il rovescio di una medaglia, mette in luce diseguaglianze sociali. Se il decentramento delle masserie sparse nei feudi neretini portava nell’area meridionale e locale una


Dentro il territorio neretino. Le masserie e la masseria Torre Nova

15

Fig . 15.1 - Uno spazio della rappresentazione (T. Danieli)

nuova economia, nei secoli XV, XVI e successivi, questa nuova economia restava tutta concentrata nelle mani di poche famiglie che rispedivano la misera manodopera contadina nel più “profondo medioevo”. Il mondo contadino continuava cioè a soffrire la precarietà economica che, sommata all’arcaicità della conduzione dei terreni e alle tecniche di coltura sostanzialmente stabili rispetto ad altre zone d’Italia (come nelle valli altoatesine o intorno a Merano e Brunico), trasformò il latifondo neretino in un processo implosivo che col tempo si tradusse, come oggi è constatabile, in un vero abbandono delle campagne, o almeno diede avvio ad un drastico impoverimento dell’economia agricola. Di quel contadino mortificato e discriminato rimane oggi un fragile ricordo, poco più da raccontare. In questo sistema di fatti e disfatti, tutti intimamente legati fra loro, emerge la struttura organiz-

zativa delle masserie considerate come esempio di grande funzionalità architettonica per utili scopi; un’edilizia agraria abitativa che non ha eguali nella storia del meridione. Una realtà di architettura rurale ben radicata nelle caratteri­ stiche del territorio, nella vita dei campi ed nelle necessità di difesa imposte dalla minaccia armata di bande provenienti dalle coste limitrofe, come furono quelle dei Turchi, dei Veneziani e di altri famelici assalitori che spuntavano con le loro navi sull’orizzonte di questi mari. Ancora oggi risuona il famoso detto: “mamma li turchi” che spiega più di quanto esso non dica. Realtà architettoniche, quindi, ben attrezzate ad affrontare aspetti e fenomeni sociali di differente natura, ma anche forti residenze ben connesse fra loro con percorsi di collegamento non solo fra le varie masserie, ma anche con i centri abitati e con le coste. Una continuità spaziale mare-città-cam-

130


15

Dentro il territorio neretino. Le masserie e la masseria Torre Nova

pagna molto efficace. Un ambiente unitario che nel meridione è unico e in buona parte integro, ben segnato dal lavoro umano, dai patimenti centenari di contadini operosi che con le loro braccia hanno dato forma ad una natura sostanzialmente avara di acque piovane. E questo è ciò che colpisce maggiormente. Geografie di muri “a secco” che una volta delimitavano le chiuse, tratti di antiche muraglie poste sul confine di feudi come il “paretone” nell’uliveto di contrada Risoli, oggi proprietà di Luigi Barrotta. Tratturi, carrare e carrarecce generate dalle ruote dei carri nella viva roccia affiorante. Cumuli di pietre che significano un continuo processo di bonifica dei campi, spesso usati per costruire ripari agricoli come i “furnieddhri”, ma anche materiale impiegato come riempimento per costruire le stesse masserie. Tutti elementi fisici e geometrie spaziali incardinati ad importanti assi stradali, quali la Via Traiana, l’antica via consolare del meridione, e la meglio conservata Augusta Sallentina, tracciata da qualche console romano per raggiungere una sua probabile dimora. Toccano la Sallentina, come una sorta di costellazione, le masserie Corte Vetere, Agnano, Ingegna, Donna Menga, Giudice Giorgio, Nucci, Sciogli, Carignano Grande, Carignano Piccolo e Pagani. Alla geometria del sistema viario seguiva la centuriazione dei campi, ossia la divisione dei terreni coltivabili in sezioni ben precise di singole proprietà. Questo sistema, anche se oggi è ormai scomparso, si è protratto fino alla fine del Settecento, e tracce si evincono ancora adesso dalle aerofotogrammetrie. Di quella suddivisione rimangono ancora tratti presso la Masseria Giudice Giorgio e qua e là nel territorio, donde quel pezzo di “strada del Cardo” a sud della stessa Masseria, quella che un tempo dava l’accesso principale, impostato ad est, della struttura. E allora, se esiste quest’importante asse viario, ci sarà e ci sarà stato necessariamente il suo asse ortogonale, ossia la strada del Decumano disposta perpendicolarmente al Cardo nella di-

131

rezione est-ovest. Da una aerofotogrammetria la si può identificare nella Copertino-Torre S. Isidoro, distante 1900 m dalla Masseria Giudice Giorgio, che nella foto aerea è eloquentemente espressa insieme ad alcune tracce dell’antica centuriazione. Sono segni viari e tracce geometriche ovvie che solo da una vista d’insieme si possono cogliere nei loro particolari e nelle loro connessioni. Da queste righe ci auguriamo sin d’ora che ciò che rimane di quell’antica “strada del Cardo”, ossia la Sallenina, i titolari terrieri, o le autorità civiche preposte alla conservazione e alla tutela dei monumenti del territorio, si facciano carico affinché questo prezioso documento stradale romano non scompaia. Masseria Torre Nova Giace in uno spazio territoriale antropizzato da millenni, ed è a qualche chilometro dalle grotte paleolitiche di Capelvenere e di Uluzzo, dalla Grotta del Cavallo e dalle Cave Messapiche, tutte antichità rupestri disposte lungo il profilo costie­ ro di Porto Selvaggio. La stazione balneare di S. Caterina e le sue torri fortificate sono il limite e­stremo, a non più di 4 Km. Verso sud, a circa 800 metri, su un ampio altopiano, vi è la Necropoli Neolitica di Serra Cicora da pochi anni venuta alla luce. Verso nord-ovest, lungo la strada per S. Isidoro, più o meno alle stesse distanze, si spalanca l’azzurra Palude del Capitano. A nord il feudo e la Masseria Brusca (già proprietà Carignano), a poco meno di 800 metri. E’ una splendida residenza aggiornata nel Settecento, molto più vicina ad una Villa nobiliare che ad una masseria, anche se le sue radici partono da lontano. Questi i tratti essenziali ove sorge il complesso della Masseria Torre Nova, in un’area verde di Porto Selvaggio da cui inizia il nostro andare. Dove? Se il senso è a ritroso, un paletto lo possiamo fissare a partire da oggi per giungere fino al Paleolitico


Dentro il territorio neretino. Le masserie e la masseria Torre Nova

15

132


15

133

Dentro il territorio neretino. Le masserie e la masseria Torre Nova


Dentro il territorio neretino. Le masserie e la masseria Torre Nova

che documenta attività umane, costituite dal ritrovamento di beni archeologici. Se si fa al contrario la risposta è analoga. Ciò significa che fra quel lontanissimo Paleolitico e noi, ogni epoca di questo territorio, ogni tratto, ogni particolare che ha avuto a che fare con l’uomo ha diritto di validità storica, pensato come memoria di più civiltà in successione. Per lo scopo in oggetto: a quale epoca può risalire Masseria Torre Nova? Stando alle conoscenze acquisite, essendo questa una masseria come altre del medesimo territorio, la si può pensare costruita tra il XV e il XVI secolo. Ma stando ad una lettura diacronica più attenta essa ci dice che è nata ancor prima, soprattutto se viene comparata con l’ambiente naturale e con le altre masserie vicine. Partiamo dall’immediato. Torre Nova sorge nell’antico feudo di Carignano, su un ampio terreno pianeggiante caratterizzato per lo più da vegetazione spontanea a regime di steppa, interrotto qua e là da roccia affiorante con poca “terra seminatoria agreste”. Un terreno tipico, come per altre contrade, più attinente al pascolo che ad una coltura intensiva, o altrimenti detto a “rotazione biennale”. Appena all’interno della struttura, al contrario di altre nei dintorni, la Masseria è costituita da blocchi edilizi piuttosto semplici, lineari e poco alti, alcuni con elementi ed una tecnica edificatoria un po’ spartana, senza nulla concedere all’estetica, molto vicina alla“villa rustica” romana d’un tempo, di cui alcuni esempi nel Salento. Ciò è attestato dall’ambiente situato a sinistra dell’ingresso (v. planimetria di Masseria Torre Nova, rilevata, disegnata e “interpretata” ex novo, a pagg. 132-133, ndr) che, ri­ spetto agli altri dell’interno, è più antico e rustico, nonostante qualche apparato difensivo articolato successivamente. All’interno si fa notare l’ampia corte a cielo aperto, suddivisa in recinti, cortili per ovini, una tettoia, fienili ed altri rustici con funzione di deposito.

15

Di fronte, verso destra, dopo l’ingresso, emerge la struttura edilizia più notevole, a cui è articolata la torre, ma chiaramente di epoca successiva, contemporanea cioè alle altre del territorio, le così dette masserie fortificate o torri -masserie, edificate fra il XV e il XVI secolo. Il tutto in una vasta superficie di 3000 mq. Ora, nell’economia di una possibile datazione d’origine e nel fatto di una specifica destinazione d’uso, si può asserire che la masseria è nata, e tale è rimasta fino al secolo scorso, prevalentemente come azienda di allevamento d’ovini, pecore e capre. E questo in perfetta aderenza con la natura del territorio circostante, con il resto delle masserie, in primis con l’importante Masseria Brusca che insiste sullo stesso feudo, ed in maniera peculiare con lo stesso suo toponimo, al che Masseria Torre Nova (nuova) sottintende una costruzione più antica rispetto all’attuale. Allora, qual’è la sua prima fondazione? Qui la risposta è più complicata, ma non tanto se consideriamo che già nel V sec. d.C. queste contrade agricole erano le più attrezzate e ricche della Puglia, con metodi agrari modernissimi (vedi per esempio il metodo della centuriazione dei terreni, e vedi quella strategica Via Sallentina in seguito alla conquista romana del II sec. d.C.). Sarebbe utile proseguire alla descrizione di tutto il complesso masserizio in ragione anche della bella Torre che si eleva su due ordini d’altezza con il caratteristico balcone ad angolo a primo piano che affaccia proprio di fronte alla Masseria Brusca, ma lascio al visitatore coglierne il reale senso e lo spettacolo che offre perché, se bene ascoltate, anche le pietre parlano. Una cosa però è imprescindibile, la necessità di focalizzare l’attenzione sull’edificio a sinistra dell’ingresso, quasi aderente a quella struttura d’origine, come già detto, un’eccellente ed esclusiva architettura del territorio ottenuta con una teoria di volte composite, aperta alle più varie utilizzazioni.

134


15

Dentro il territorio neretino. Le masserie e la masseria Torre Nova

Ma il vero valore di questo sito non consiste propriamente in ciò che è, ma in ciò che può essere nel suo immediato futuro, nel suo incamminarsi

come opportunità di contenuto economico, presidio culturale e turistico, utile investimento per sé e per tutto il territorio salentino.

Fig . 15.2 - Planimetria e sezioni dell’ipogeo artificiale denominato “Cripta di Portoselvaggio”. Ubicato a poche centinaia di metri a sud di Masseria Torre Nova, si ipotizza un’età medioevale (L. Beccarisi, M. Delle Rose)

Bibliografia essenziale Carducci L., 2004 - Storia del Salento. Editore M. Congedo, Galatina.

Radke G., 1981 - Viae Publicae Romanae. Editore Cappelli, Bologna.

Costantini A., Novembre D., 1984 - Le Maserie Fortificate del Salento meridionale. Adriatica Ed. Salentina, Lecce.

Vetere B., 1986 - Città e Monastero. Editore M. Congedo, Galatina.

Musatti R., 1972 - La via del Sud ed altri scritti. Edizioni Comunità, Milano.

135


Masseria Torre Nova, 6 dicembre 2008. Gli speleologi che giungono alla spicciolata si me­ scolano con le ombre dei contadini, dei massari e degli armenti; una promiscuità di generazioni che evolve in conflitto (almeno così ci è sembrato). Nulla possono le caditoie e le mura difensive contro i nuovi conquistatori. Un’orda che si muove ovunque. Alcune tende sostano dirimpetto al muro di cinta durante l’assedio (v. foto a pagg. 2425). Macchine luminose generano immagini di caverne, luoghi infetti, dimore, forse, di divinità ctonie. Lo spazio silente del vissuto rapidamente si riduce e lascia il posto a quello folcloristico della rappresentazione.

Ma vediamo ora la scena con gli occhi dello speleologo. Praticamente ogni angolo della Masseria Torre Nova è allestito ed è occasione di esposizioni, proiezioni, simulazioni, grazie alla partecipazio­ne di tante persone. La torre ha due ingressi: da uno si accede ad un vano al pian terreno, dall’altro si diparte una scala che conduce al piano superiore. Al pian terreno, le diapositive stereoscopiche di Antonio Danieli vengono proiettate ininterrottamente. Paesaggi, persone, oggetti naturali... sopra e sotto la terra, in am­biente aereo e liquido, in pianura ed in montagna, svariate coordinate geografiche. Uno spettacolo che incanta, che dà spesso occasione di riflettere sul senso dell’esplorazione naturalistica e sulla relazione uomo-ambiente. Un pro-

136


Lo spazio della rappresentazione

dotto di qualità, intinto in salsa tecnologica. Oltre a questa installazione, Danieli si esibisce nella sala convegni, il primo giorno con un diaporama che coinvolge ed esalta a tal punto che la mattina successiva è costretto a riproporre, fuori programma, lo spettacolo. L’autore è una figura di riferimento per il GSN. Neretino, speleologo, fotografo, attualmente in forza alla Federazione Speleologica Veneta (web: http://home.fotocommunity.it/antonio_danieli). E’ stato uno dei protagonisti della campagna esplorativa “Zinzulusa Speleosub ‘96” (Onorato, 1996) ed ha contribuito alla buona riuscita dell’edizione neretina 2007 di Puliamo il Buio, solo per citare alcuni felici momenti.

137

Presso il secondo ingresso della torre, un ma­ nichino speleo vestito di tutto punto invita gli astanti a salire al piano superiore. Prima stanza: una serie di vecchie fotografie in bianco e nero è affissa alle pareti; sono raffigurati momenti di e­splorazioni in vecchio stile e numerosi personaggi: ad alcuni è possibile attribuire un nome, di altri ci si accontenta di mirare la bellezza del volto. Per inciso, ci piacciono quegli speleologi con la faccia da scienziati con un’anima, “anima intesa come edificio sociale degli istinti e delle passioni” (citando Nietzsche). Seconda stanza: un altro manichino, questa volta con muta e bombole, introduce ad una variante sul tema speleologico: la speleosubacquea, illustrata con grandi foto


di grotte sommerse, opere di Raffaele Onorato e del GSN. Terza stanza: un’esotica esposizione sui nativi d’America a cura di Niccolò Marras (v. pag. 141). A seguire, reperti minerari provenienti dalla “Cueva de los Cristales” ed alcune attrezzature speciali impiegate nella campagna di ricerca in questa incredibile grotta. L’esposizione è alle­ stita da Francesco Lo Mastro. Al suo contributo in questo volume si rimanda per approfondimenti (v. pagg. 28-37); si consulti inoltre Badino (2008), pubblicazione distribuita nel corso di Spelaion 2008 e reperibile online (http://www.laventa. it/). Nella stanza maggiore sono affissi i poster di alcuni contributi scientifici, oggetto degli articoli

alle pagine seguenti. Finito il tour nella torre, si ritorna in cortile, dove campeggia l’installazione di Cosimo Beccarisi “Dentro la materia”, una presenza amorfa e nera che di notte si circonda di aloni colorati (v. pag. 148). La sala convegni è luogo di presentazioni e dibattiti che si susseguono quasi ininterrottamente. Nel suo interno, sulle pareti, sono montati i poster di tutte le edizioni precedenti di Spelaion, che sono stati raccolti appositamente per l’occasione, grazie al contributo delle associazioni aderenti alla Federazione Speleologica Pugliese (per le

138


riproduzioni v. pagg. 204-207).

Bibliografia citata

Dall’altra parte del cortile un’altra stanza adibita a reception, bar e punto di distribuzione di materiale editoriale, gadgets, attrezzature Kong©... Francamente l’ambiente più caldo di tutti. Qui c’è anche un banchetto allestito dai rappresentati del SaLUG! (Salento GNU/Linux Users Group; web: http://salug.it/), attiva associazione culturale leccese che ha accolto l’invito a collaborare a Spelaion 2008 per la promozione del software libero tra gli speleologi pugliesi (v. pag. 189). Per l’iniziativa è stato prodotto un numero speciale del “SALUG! journal”, disponibile online (web: www.gsneretino.it).

Badino G., 2008 - Giganti di Cristallo nelle grotte di Naica. La Venta.

139

Onorato R., 1996 - Il pianeta Cocito. Thalassia Salentina, 22, pp. 47-50.


140


I First Nation del Canada Niccolò Marras

L’acqua, la spiritualità e la cultura dei First Nations del Canada è stato il tema della mostra organizzata il 7 dicembre 2008 a Nardó in occasione dell’incontro di Spelaion 2008. L’esposizione sui nativi canadesi che abitano la regione dei grandi laghi del Nordamerica è nata da una proposta fatta al Gruppo speleologico di Nardò e ben accolta dai suoi responsabili con l’obiettivo di allargare gli orizzonti nazionali e fare un fronte comune di livello internazionale su un tema di vitale importanza quale è quello dell’acqua. Un tema e un’emergenza che uniscono e che vanno affrontate da più forze. Anche i First Nations del Canada hanno aderito all’iniziativa nella speranza che la loro testimo­ nianza e la loro lotta a favore della natura trovino dei sostenitori anche in Italia. All’iniziativa hanno partecipato e dato il loro contributo le tribù dei nativi della provincia canadese dell’Ontario, in particolare della Ojibwe Cultural Foundation, della Great Spirit Circle Trail, sull’isola sacra di Manitoulin e dei Six Nations - Grand River, i gruppi Mohawk, Oneida, Onondaga, Cayuga, Seneca e Tuscarora, uniti dalla stessa lingua irochese. La spiritualità, l’acqua, l’armonia, la coesistenza con la natura, la Madre Terra e la donna con la sua maternità che dà la vita agli uomini sono gli elementi della cultura che emergono con prepotenza dal viaggio fra i First Nations dell’Ontario, in Canada. Il viaggio si è svolto fra le tribù degli Uroni e Irochesi, andandoli a trovare nelle loro riserve e nei loro luoghi sacri come l’isola di Manitoulin, sede dello spirito Manitou, nel lago Huron, a Petroglyphs, dove sono incisi nella roccia i concetti base della spiritualità degli Ojibway, del gruppo linguistico algonchino e nella riserva dei Six Nations lungo il Grand River fra Toronto e le cascate del Niagara. L’acqua è l’elemento principe nella cultura di questi popoli e alle donne “generatrici di vita” è affidata la sua purezza. E ancora alle donne-medico (nokomisi) è dato l’incarico del parto visto che il feto vive nell’acqua. “La via delle donne è per sempre - si legge nel museo di Petroglyphs -. Gli uomini vengono dalle donne e alle donne ritornano”. Per questo i First Nations chiamano la terra la Madre Terra, perché per loro la terra è donna. “Noi donne siamo le creatrici, noi facciamo la vita, portiamo la vita e diamo origine alla vita. La Madre Terra ci nutre, ci porta con forza nuova vita, così che noi possiamo viverla”. Le incisioni di Petroglyphs sono sacre perché lì lo Spirito è presente e le Teaching Rocks, le rocce

141


Fig. 1 - Particolare della installazione a Spelaion 2008 (C. Beccarisi)

che insegnano, raccontano quale è il “nostro modo di vedere la vita sin dall’inizio dei tempi”. “Le nostre storie - aggiungono i guardiani Nishnaabeg - ci raccontano che siamo stati creati alla bocca del Grande Fiume. Ghichi Ziibii è il nome con cui noi chiamiamo il fiume San Lorenzo. Ci è stato dato questo posto bellissimo con tutto ciò che è in esso, per vivere ed esistere. Per avere cura di esso. Agli uomini è stato dato il compito di avere cura degli animali per essere certi che si sostengano. Alle donne è stato dato l’incarico di avere cura dell’acqua per essere certi che sia pura”. I nativi canadesi, ma loro vogliono essere chiamati i First Nation, hanno pagato a caro prezzo, con lo sterminio, questa loro filosofia di rispetto della natura, di rispetto di ciò che il Creatore ha dato loro. La loro spiritualità contrasta con la violenta filosofia degli invasori anglosassoni. Quest’ultimi quando privatizzano e distruggono la natura per costruire un mostro di cemento lo pubblicizzano scrivendo, come nel caso del lago Muskoka: “Abbiamo addomesticato la natura”. Mentre, i saggi nativi scrivono a Petroglyphs: “Fra tutti gli insegnamenti che riceviamo, questo è uno dei più importanti: niente ti appartiene. Tutto ciò che vi è, tutto ciò che prendi, lo devi dividere”. Questo modo di vedere la vita, esattamente opposto al modo di vedere degli anglosassoni, dove si può privatizzare tutto, anche l’aria e l’acqua, è all’origine del loro genocidio. Un’artista nativa parlava a Manitoulin di “olocausto”. Ora i grandi fiumi e i grandi laghi del Canada (nel complesso una delle meraviglie del mondo) sono

142


Fig. 2 - Altro particolare della installazione (C. Beccarisi)

inquinati da batteri coliformi (“ecoli”), mercurio, e da tanti prodotti chimici che gli abitanti (appena 31 milioni) versano nelle acque. L’acqua, così sacra e così rispettata dai First Nation, ora è in molti casi imbevibile e il pesce immangiabile, eppure viene consumato dai nativi con gravi danni alla salute. Loro, i primi abitanti del Canada, si sono sempre opposti a questa distruzione ma sono diventati un nemico da abbattere: il progresso dei bianchi non deve essere bloccato. “I fiumi sono come le nostre vene, come è possibile avvelenarli?”, ha dichiarato uno dei responsabile dei Six Nations di Caledonia. In quest’area, fra Toronto e le cascate del Niagara, essi tentano di depurare, senza successo, il Gran River inquinato dall’ecoli scaricato da altri. E sempre qui il gruppo dei Mohawk ancora imbraccia i fucili contro i bianchi per difendere le proprie terre da chi abusivamente tenta di costruire le ville per i bianchi. Questi nativi sono definiti dalla polizia canadese terroristi. La prepotenza e l’arroganza dei bianchi è infinita e continua ancora oggi, con la complicità dei politici e dei mass media, per depredare ciò che è rimasto ai primi abitanti del Canada. Di fatto è ancora in atto un genocidio portato avanti in modo più sottile e perverso, attraverso i trattati non rispettati, le leggi truffa, la distruzione della lingua e della cultura e ora anche col veleno dell’inquinamento. Parliamone! Il parco di Petroglyphs è dichiarato terra sacra perché vi sono le incisioni rupestri che secondo gli esperti risalgono ad un periodo di tempo che va da 2000 a 600 anni fa.

143


144


:

Il vin Brulè e...l’alcool Gianni Cacciatore

In ogni incontro fra speleologi degno di questo nome, non possono mancare e che io

ricordi non sono mai mancati, momenti di convivialità, a volte anche “estrema”! Pure durante Spelaion 2008, questi momenti hanno avuto e “fatto” la loro brava parte. In queste poche righe voglio ricordare un’occasione che ha riscosso un successo ben più ampio di quanto ci aspettassimo: il vin brülè di fine serata.

L’uso, o meglio, la degustazione di questa bevanda calda e tipicamente invernale, è ri-

salente ai romani, i quali amavano aromatizzare il vino riscaldato con diverse spezie, fra cui il miele e lo zafferano. Oggigiorno il vin brülè è senza dubbio una bevanda europea. Nei vari paesi il vino caldo viene preparato in numerose varianti ed assume nomi diversi da nazione a nazione: in Germania il suo nome è Gluhwein, e vaniglia e cannella la fanno da padrone; in Finlandia, Danimarca e Scandinavia il Glogg viene addizionato con un distillato ad alta gradazione alcolica; gli inglesi lo chiamano Mulled wine; in Francia, questa “splendida pozione” viene chiamata vin chaud, ed è sostanzialmente analoga alla nostra, sia negli ingredienti, sia nella preparazione. Anche nel Salento, la tradizione del “vino caldo”, a memoria d’uomo, è sempre esistita. A chi non conosce bene la nostra terra, magari perché ha avuto occasione di viverla solo durante i caldi mesi estivi, probabilmente sentire che una simile bevanda è “apprezzata” dai palati locali può sembrare strano. In realtà, per comprendere appieno come possa invece essere sempre stata considerata gradevole e dunque gradita anche alla nostra latitudine, basta avere l’occasione di vivere una giornata invernale, spazzata da uno dei venti provenienti dai quadranti a nord della rosa e sperimentare quanto sappia essere duro il freddo vento del sud! La ricetta più diffusa del vin brülè, vuole che per 1 litro di bevanda si utilizzino:

145


1 litro di vino rosso (la qualità è fondamentale, il tipo è a discrezione dei degustatori) 100 gr. di zucchero 4 chiodi di garofano la scorza di mezzo limone la scorza di mezza arancia.

Una volta in possesso di tutti gli ingredienti, la preparazione è decisamente facile da eseguire. Esistono due procedimenti, in entrambi, come prima cosa, si devono unire il vino e tutti gli altri ingredienti. Nel primo si porta il tutto ad ebollizione e, dopo pochi secondi, si dà fuoco ai vapori dell’alcool per ridurre la gradazio­ne alcolica. Nel secondo procedimento, in funzione della convinzione che un’eventuale ebollizione porterebbe la bevanda a perdere gran parte degli aromi fruttati che la caratterizzano, si prescrive un chiaro divieto di bollitura, a favore di un riscaldamento a fiamma viva ed un successivo riposo a fiamma tenue, per almeno 15/20 minuti. Non esprimo le mie personali preferenze circa tali metodi di preparazione, anche perché so già che l’animo “d’esploratore” che vive in ogni speleo, imporrà una sperimenta­ zione in vivo della faccenda! Mentre scrivo queste poche righe su una

bevanda, mi viene in mente che potrebbero sembrare anche dedicate all’alcol! Questo deve portare a qualche rifles-

sione. Gli speleologi sono naturalmente inclini a vivere le loro esperienze sotterranee in modo libero, quasi refrattario verso qualsiasi sistema di regole. Non a caso il nostro associazionismo tende a rimanere autonomo da altre forme di sodalizi che comunque implicano l’accettazione e la condivisione di precise regole scritte. Ci riesce più facile e spontaneo accettare regole e usanze non scritte, derivanti da un sentire comune, del quale spesso andiamo fieri, sentire che, senza dubbio, crea fra di noi un legame sorprendentemente forte, fino a sfiorare la definizione di un’auto pseudospeciazione. Ma questo sistema di regole non scritte, del quale per certi versi si potrebbe essere fieri, porta con sé anche taluni effetti negativi. Uno di questi, a mio modo di vedere, è il pericolo di rendere comuni e comunemente accettate alcune abitudini e dei comportamenti sui quali, forse, dovremmo riflettere meglio. Una di queste abitudini è quella di portare in grotta bevande alcoliche, cosa che, da quando il carburo non pesa più nei sacchi, si è rivelata anche maggiormente agevole! Questo non costituirebbe poi un grosso problema, se non fosse per la tendenza a berle, tutte! Come tutti noi ben sappiamo, l’assunzione di sostanze alcoliche, nel tempo, causa seri danni all’organismo, e non è certo necessario che si arrivi a livelli di assunzione patologici perché questo accada. Ma ciò riguarda la vita privata di ognuno.

146


Gli effetti ai quali in questo momento

va il mio pensiero, sono quelli, acuti e non, che si verificano immediatamente dopo ogni assunzione di alcolici. Sebbene anche questi siano perfettamente conosciuti, credo sia utile ricordare i principali, tralasciando ovviamente quelli dovuti all’assunzione di dosi elevate: senso di eccitazione, euforia, perdita delle inibizioni, diminuzione o perdita della capacità di autocontrollo, diminuzione o perdita della capa­ cità di coordinazione dei movimenti, diminuzione della prontezza di riflessi, diminuzione della capacità di concentrazione, ecc.. E’ sufficiente assumere pochissimo alcol, affinché questi effetti inizino a manifestarsi. Risulta piuttosto evidente che possono giocare un ruolo fondamentale nella sequenza di innesco di una situazione di pericolo prima e di incidente poi. Ciò vale quando siamo in grotta, ma anche fuori, in avvicinamento o in rientro, su terreni impervi. Vale cioè in ogni situazione che richieda la nostra massima attenzione. È interessante citare quanto dice l’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa l’influenza dell’uso di bevande alcoliche negli infortuni sul lavoro. L’O.M.S., stima che l’assunzione di alcol sia correlabile al 10-30% degli infortuni, soprattutto in edilizia, attività con la quale condividiamo la quota (nel senso di altezza), di lavoro/divertimento. Penso che sarebbe opportuno

147

riflettere sui pericoli potenziali dell’uso, anche moderato, di sostanze alcoliche durante l’attività speleo.

Personalmente credo che in grotta non esista alcuna situazione nella quale assumere alcol possa essere utile. Credo anche che sia non solo inutile, ma anche pericoloso parlare di uso cosciente di alcol da assumere per riscaldarsi quando freddo, umidità e stanchezza si fanno sentire. Come si sa, l’effetto riscaldante è effimero, e forse, faremmo meglio a parlare di sensazione di riscaldamento, piuttosto che di effetto. La vasodilata­ zione dovuta all’alcol, in realtà, provocherà una importante perdita di calore e non un riscaldamento. Questo meccani­ smo, nei casi estremi di ipotermia, può essere il fattore determinante fra vivere o morire! Nella

speranza di non passare quale bacchettone, che non sono (anzi), chiudo con un invito: quello di non portare alcun tipo di bevanda alcolica in grotta o durante le fasi di marcia su terreni impervi. L’alcol, vin brülè incluso, riserviamolo ai bei momenti durante i quali pensiamo all’uscita che faremo ed a quelli intorno al “fuoco”, mentre ri­viviamo tutti insieme quello che la grotta ci ha dato, subito prima di un meritato riposo!


148


Dentro la materia Cosimo Beccarisi

Scandagliando in profondità la materia troveremmo altra materia che in sé è il principio di ogni individuazione, di ogni matrice originaria: ad es. roccia, acqua, fumo. Questi elementi corporei sono generalmente visibili e in genere sensibili e possono essere derivati da altra materia che, a loro volta, trasformandosi, possono dar luogo ad altre sostanze. Non ci sbaglieremmo se dicessimo che queste nuove sostanze confinano spesso con l’invisibile, ma sempre nell’intelligibile, quello stadio intellettivo cioè dove anche la minima idea, percepita o compresa, è sempre riconducibile nella modalità della ragione. Quella stessa ragione o sensibilità che si ritrova quando si percepisce il chiaro passaggio dal caldo al freddo o dalla quiete al movimento. Ogni cosa di questa identificazione costituisce la materia prima aperta a qualsiasi divenire. La materia dunque ha forma ed ha una propria sostanza, ma può anche non avere forma e restare solo sostanza, tanto da essere individuata come materia prima. Un qualcosa cioè che ci porta a dire che quella materia prima non derivi da altra cosa. Questo primo assoluto si identifica col solo noumeno, quell’oggetto intelligibile che si contrappone all’oggetto della sensibilità, che per la nostra ragione designa un limite, quello della nostra conoscenza sensibile, non appartenente a nessuna delle categorie o verità conosciute. Ma chi vede o dà forma a qualcosa, o chi percepisce il passaggio da uno stato reale ad uno ideale, è la materia uomo che, attraverso il pensiero, dà vita a tutte le sostanze possibili, anzi è esso stesso materia e sostanza. L’uomo infatti è fatto di carne e ossa generate da quei due elementi fondamentali che sono l’umido e il caldo, a loro volta derivati dall’acqua e dal fuoco. Sicché umido e caldo, pur essendo materia, non sono “enti”, non sono forme riconducibili ad una determinata categoria, né quantità estensibile, ma solo potenza ed energia, come lo stesso pensiero. Una triade sorgiva da quel sostrato comune che è la materia uomo, una materia viva che sempre sostiene la vita. Totem realizzato in legno, acciaio e guaina bituminosa

149


A

lcuni studi svolti da speleologi e altri frequentatori di grotte sono stati presentati a Spelaion 2008 come poster. La maggior parte di essi, trascritti sotto forma di articolo dagli autori sono riportati nelle pagine seguenti. Nella sala poster sono stato esposti anche i contributi “Primi interventi per la riduzione del rischio idraulico eseguito dalla Provincia di Lecce” di R. Dell’Anna, M. Evangelista, G. Selleri e A. Vitale e “Il primo soccorso sanitario in grotta” di G. Cacciatore e A. Paolucci presentato anche come relazione orale e riproposto nel presente volume sotto forma di articolo (v. pagg. 92-97).

N

el poster “Stygofauna abundance and distribution in the fissures and caves of the Nardò (southern Italy) fractured aquifer subject to reclaimed water injections” di Masciopinto C., Semeraro F., La Mantia R., Inguscio S., Rossi E., gli autori hanno sostenuto che “la crescita demografica nelle aree in via di sviluppo ed il costante aumento della pressione antropica negli stati industrializzati hanno condotto, in tutto il mondo, ad una graduale contaminazione degli habitat naturali del nostro pianeta. Sebbene la portata di tali minacce non sia ancora chiara, alcuni effetti possono già essere valutati analizzando la qualità di risorse naturali che sono sottoposte a costanti condizioni di stress per effetto dei cambiamenti climatici o della diretta contaminazione con agenti tossici derivanti da attività antropiche. Tutto ciò potrebbe condurre alla distruzione della diversità in specie che contraddistingue la fauna del Globo, così come dimostrato dalle variazioni nella distribuzione e nella abbondanza delle specie provocate dal riscaldamento globale”. Il lavoro “rappresenta una prima indagine degli effetti che i cambiamenti climatici e la pressione antropica possono avere sulla struttura e composizione della fauna delle acque sotterranee di Nardò, comune salentino all’interno del cui territorio le acquee piovane, che si versano su una vasta area agricola, vengono convogliate in un inghiottitoio naturale sin dal 1991 [la Vora Colucce, ndr]. Lo studio ha coinvolto 3 differenti categorie ecologiche costituenti la Fauna ipogea: gli organ-

150


La sessione poster

ismi stigosseni, gli stigofili e gli stigobionti. Tra gli stigobionti l’indagine ha coinvolto organismi di dimensioni non superiori ai 12 mm, caratterizzati da anoftalmia e depigmentazione corporea, che vivono nelle cavità e tra le fessure degli acquiferi carsici. Tali specie risultano particolarmente sensibili ai cambiamenti legati agli stress ambientali come le variazioni di: temperatura, tenore di Ossigeno, salinità, pH e composizione chimica del loro habitat ipogeo. La stigofauna è composta da specie che contribuiscono attivamente alla biodegradazione delle sostanze organiche che raggiungono il sottosuolo attraverso delle fratture nella roccia, sia che queste siano di origine naturale che derivanti da fenomeni di inquinamento. Lo studio ha cercato di individuare una relazione tra l’abbondanza della stigofauna e la composizione chimica delle acque sotterranee captabili in tre siti a differente distanza dall’inghiottitoio naturale che rappresenta il recapito finale delle acque. L’intento del lavoro è quello di chiarire un aspetto di frequente sottovaluto, ovvero la capacità delle specie che costituiscono la stigofauna di resistere all’inquinamento del loro habitat naturale. Ogni volta che è stato rinvenuto e raccolto un esemplare, perciò, è stata saggiata la qualità delle acque in cui viveva”.

Utimo poster presentato a Spelaion 2008 è stato “Il giacimento a scutelle di Cava I Rizzi (Galatone). Un geosito da salvaguardare e valorizzare” di M. Delle Rose e A. Vitale. Esso evidenziava che l’oggetto di interesse paleontologico, segnalato nel 1993 da Barbera e altri autori, presenta caratteristiche geologiche tali da richiedere interventi di tutela, ricerca e promozione culturale, specie alla luce della nuova legge regionale sulla speleologia e sui geositi “Tutela e valorizzazione del patrimonio geologico e ipogeo”.

Con Spelaion 2008 già alle spalle, è giunto al GSN un contributo dal Gruppo Speleologico

Vespertilio di Bari, molto pertinente con le Storie raccontate a Masseria Torre Nova e che volentieri riportiamo alle pagine 198-201.

151


152


Ambienti ipogei in Salento Aspetti biologici e culturali in una strategia di divulgazione integrata ed innovativa Marcello Emilio Posi1,2, Daniela Silvia D’Errico2, Francesca Imperiale 2, Paolo Guidetti 2 Gruppo Speleologico Neretino, 2ISUFI, Settore Patrimonio Culturale, Laboratorio del Distretto Culturale ed Ambientale – Università del Salento

1

Introduzione Gli ambienti cavernicoli hanno da sempre attratto l’attenzione dell’Uomo sia per il loro fascino di ‘luoghi oscuri’ che per la naturale vocazione ad offrirsi in qualità di ripari e siti idonei all’espletamento di varie attività. Da questa prospettiva le grotte emerse offrono l’opportunità di effettuare scavi e studi stratigrafici, risultando per questo al centro di frequenti attività di ricerca archeologica o geologica, oltre che biologica. Le grotte sommerse, per contro, hanno maggiormente attratto gli interessi più prossimi alle scienze naturali (zoologia, biologia evolutiva ed ecologia). Per ciò che concerne gli aspetti naturalistici, è ormai di dominio comune che la conserva­ zione della biodiversità sia un valore ‘per sé’, così come per la prima volta sancito dalla Convenzione sulla Diversità Biologica firmata a Rio de Janeiro nel 1992 dagli Stati Membri delle Nazioni Unite nel corso della Conferenza sull’Ambiente e lo Sviluppo. Tale convenzione è stata recepita dai singoli Stati attraverso l’emanazione di specifiche leggi, come accaduto anche in Italia (Legge n. 124 del 14/02/1994 e Delibera CIPE del 13/03/1994). La (bio)diversità è una caratteristica che riguarda intrinsecamente i sistemi biologici, a partire dalle molecole organiche per giungere

153

agli ecosistemi. Questo termine può perciò riferirsi alla quantità di specie presenti (i.e.: la ricchezza specifica), ai ruoli che le stesse svolgono o alla struttura genetica delle popolazioni. La diversità biologica è spesso legata alla complessità degli ambienti e dei fattori ambientali, ma dipende anche da fattori storici come i processi paleogeografici, la storia evolutiva delle specie, le interazioni biologiche tra le specie. Sebbene la biodiversità possa cambiare (su scala spaziale locale o geografica) per ragioni naturali, essa è sempre più spesso erosa da sconsiderate attività umane (es.: industrializzazione, deforestazione, estrazione di minerali) volte a trarre benefici a breve termine (Cognetti, 1993). La necessità di preservare la diversità biologica ha numerose motivazioni, tra le quali: quelle etico–esistenziali (un vivente ha un valore che scaturisce già dal fatto che esiste), quelle estetiche (la varietà di viventi conferisce bellezza ai paesaggi ed assicura benessere all’Uomo), quelle culturali (alcune civiltà hanno mostrato un determinato sviluppo, anche in termini di organizzazione sociale umana, in funzione delle risorse disponibili, ad es.: i popoli migranti e/o sedentari), quelle ‘egoistiche’ (che derivano dai cosiddetti servizi ecosistemici, vantaggi che l’Uomo trae dai sistemi naturali come la protezione che le foreste assicurano rispetto alle alluvioni o l’assorbimento degli eccessi


Ambienti ipogei in Salento: aspetti biologici e culturali in una strategia di divulgazione integrata ed innovativa

di CO2 che molti organismi operano). Al di là delle considerazioni generali vi sono, poi, aspetti particolari legati alla biodiversità ed alla sua conservazione. Infatti, i criteri in funzione dei quali si può procedere nel conferire priorità di conservazione ai “beni” naturali sono: ‘rappresentatività’ ed ‘unicità’. La ‘rappresentatività’ fa sì che diventino oggetto di conservazione (es.: attraverso la realizzazione di parchi terrestri o marini) le specie, gli habitat, gli ecosistemi o i paesaggi che sono ‘comuni’. Secondo questa logica, si provvede a conservare una porzione rappresentativa di una data regione le cui componenti naturali potrebbero essere esposte ad un qualsiasi rischio di impatto. Il criterio della ‘unicità’, per contro, nasce dalla necessità di preservare componenti naturali particolari, come specie rare (i.e. la cui abbondanza è ovunque molto bassa, anche se la specie è presente in areali molto ampi) o endemiche (i.e. presenti solo in ristrette aree geografiche). Le componenti biologiche associate agli ambienti ipogei presentano necessità di tutela fondate su entrambi i criteri di conservazione. Il dominio ipogeo spesso ospita specie che in passato hanno colonizzato le grotte provenendo da frazioni di popolazioni che vivevano all’esterno. La condizione di isolamento dalla popolazione epigea di origine ha determinato, nel tempo, una riduzione del flusso genico che ha portato, in alcuni casi, ad un lento processo di speciazione allopatrica. Il risultato finale è rappresentato dalla presenza attuale di specie endemiche di grotta, la cui distribuzione può essere limitata ad aree geografiche molto ristrette (Stoch, 2001). Il fenomeno di endemizzazione contribuisce a fare della fauna cavernicola una delle componenti più caratteristiche e meritevoli di conservazione della fauna italiana (criterio della ‘unicità’). Per il mare, un caratteristico fenomeno che non sembra avere termini di paragone nelle cavità terrestri è detto ‘troglobiosi secondaria’ e consiste nel-

16

la “risalita” di specie tipiche di ambienti profondi a livelli superficiali, grazie al movimento verticale di larve o adulti che riescono ad insediarsi e creare popolazioni stabili nel tempo all’interno di grotte marine (Cattaneo e Pastorino, 1974). Un notevole valore, in un’ottica di conservazione legata alla ‘unicità’, viene attribuito agli ambienti anchialini, corpi idrici sotterranei senza connessioni superficiali con il mare, caratterizzati da acque salate e salmastre fluttuanti con le maree (Holthuis, 1973). Peculiari condizioni ambientali (ridotto input energetico, assenza di luce, ipossia e limitato accesso della fauna marina) fanno sì che in questi ambienti si possano studiare comunità biologiche caratterizzate da un’elevata diversità ed endemicità, i cui taxa (gruppi) maggiormente rappresentati appartengono al subphylum dei Crostacei, sebbene siano presenti anche Batteri, Alghe azzurre, Protozoi, Idrozoi, Ctenofori, Poriferi, Archianellidi, Anellidi, Molluschi, Acari Halacaridae, Echinodermi, Chetognati e Pesci (Cicogna et al., 2003). Il valore di unicità di alcune specie (o taxa) è attribuibile ad un processo di specializzazione alla vita negli ambienti ipogei che determina la comparsa di caratteristiche dette troglobie (oppure stigomorfie, per gli organismi acquatici): riduzione degli organi visivi, depigmentazione, aumento della sensibilità tattile, rallentamento dello sviluppo e produzione di pochissime uova. La totale depigmentazione ed anoftalmia riguardano solo le specie più primitive, insediatesi da lungo tempo in ambiente sotterraneo (Iliffe, 2000). Molte specie ipogee, soprattutto i crostacei degli ambienti anchialini, per le loro caratteristiche ancestrali vengono considerate ‘fossili viventi’ (Iliffe, 2000). L’origine di tali specie viene ricercata per alcuni taxa (come quelli appartenenti al subphylum dei Crostacei) nella dispersione dalle profondità del mare (“deep–sea origin”) (Iliffe et al., 1983; Kornicker e Iliffe, 1985; Boxshall, 1989), per al-

154


16

Ambienti ipogei in Salento: aspetti biologici e culturali in una strategia di divulgazione integrata ed innovativa

tri nella restrizione dell’areale realizzatasi a causa di mutamenti climatici e variazioni del livello del mare (regressioni marine), per altri ancora in un attivo processo di colonizzazione alla ricerca di nicchie ecologiche libere (Stock, 1986; Boxshall e Jaume, 2000). E’ stato inoltre evidenziato che le comunità ospitate nelle grotte sono estremamente variabili nello spazio, persino quando le cavità sono tra loro molto vicine. Questo è, certamente, il risultato di una molteplicità di fattori biologici (es.: gradienti di risorse trofiche), chimico–fisici (es.: presenza/assenza di luce, salinità) e topografici (es.: ampiezza, conformazione generale, numero di aperture che caratterizzano la cavità). Tali fattori risultano e­stremamente variabili negli ambienti ipogei e contribuiscono alla coesistenza di un numero elevato di specie (da cui la ricchezza specifica elevata delle comunità di grotta) oltre che, indirettamente, all’incremento del valore naturalistico ed estetico di tali ambienti. Le grotte, quindi, possono essere considerate importanti per il contributo che offrono alla biodiversità locale che, peraltro, al loro interno non pare seguire i modelli generali proposti da vari autori (vedi ad es.: Pérès e Picard, 1964; Laborel e Vacelet 1958; Riedl, 1966; Bianchi et al., 1996; Cinelli et al. 1977; Harmelin et al., 1985; Gili et al. 1986; Bussotti et al., 2006). Gli ambienti ipogei, rilevanti perché rappresentano l’habitat di numerose specie endemiche ed i ‘rifugi’ di antiche linee evolutive, risultano estremamente vulnerabili nei confronti delle attività umane e necessitano di adeguate misure di protezione e tutela (Iliffe, 1979; Roff ed Evans, 2002; Bussotti et al., 2006) che permettano di evitare l’estinzione di specie o di interi gruppi di animali di eccezionale valore naturalistico. La Direttiva “Habitat” della Comunità Europea (Direttiva 92/43/CEE) ha introdotto, proprio per queste ragioni, il criterio dell’endemicità tra quelli che guidano la scelta di specie ed habitat da

155

sottoporre a vincoli di tutela. Questi ambienti, però, non sono soltanto luoghi di pregio naturalistico. Quelli terrestri o che un tempo erano emersi, infatti, hanno rappresentato per millenni la dimora di Uomini ed il luogo privilegiato di riti religiosi o pagani. L’Uomo preistorico, in particolare, li ha resi templi dell’arte (si veda, ad esempio, la Grotta dei Cervi di Porto Badisco) (Stoch, 2001). Per un archeologo i giacimenti in grotta rivestono un notevole interesse perché offrono particolari garanzie di conservazione, essendosi formati al riparo da agenti atmosferici che spesso danneggiano i giacimenti posti in siti all’aperto. Tra i più importanti aspetti culturali legati a questi ambienti è la nascita dell’arte, nella veste di oggetti mobili quali ciottoli, placchette in pietra incisa, strumenti in osso o avorio decorati (con figure scolpite o incise) e sculture a tutto tondo realizzate con materiali diversi che costituiscono la cosiddetta ‘arte mobiliare’ (‘art mobilier’). Quando, poi, le figure sono incise, scolpite o dipinte sulle pareti o sulle volte, si parla di ‘arte rupestre’ o ‘arte parietale’ (Broglio, 1998). Le grotte sono state elette dall’Uomo quali luoghi di insediamento di lunga durata (a carattere continuativo) e perciò custodiscono sequenze stratigrafiche spesso interpretabili che consentono la ricostruzione di processi di carattere culturale oltre che naturale. Tale documentazione è reperibile solo in grotte all’interno delle quali le condizioni ambientali abbiano consentito il processo di conservazione. I depositi (strati di sedimentazione) possono derivare anche da apporti esterni di origine eolica, alluvionale o marina. In questo caso gli strati si alternano, derivando ora da apporti interni ora da apporti esterni, ferma restando la possibilità che vi siano stati apporti di origine antropica, come avanzi di pasto, manufatti, acciottolati, pavimenti in argilla battuta o tracce di focolari (Cocchi Genik, 1994).


Ambienti ipogei in Salento: aspetti biologici e culturali in una strategia di divulgazione integrata ed innovativa

In una terra come il Salento le implicazioni relative agli ambienti ipogei, in termini di necessità di conoscenza e valorizzazione, sono molteplici. Lungo la fascia costiera, infatti, numerose cavità ipogee emerse custodiscono testimonianze della storia dell’Uomo, oltre ad elementi essenziali per una ricostruzione dell’evoluzione paleogeografica della regione, tra il Pleistocene medio (~ 700.000 – 120.000 anni fa) e l’Olocene (~ 10.000 anni fa – al presente), nonché per la comprensione di processi climatici, ecologico–evolutivi e biogeografici su scala locale. Per le loro componenti naturalistiche e culturali, come fin qui esposto, sia le grotte emerse che quelle sommerse, oltre che ambienti di particolare importanza per ciò che concerne la conservazione della biodiversità locale, se adeguatamente valorizzate, possono rappresentare siti di interesse per il turismo (culturale ed ambientale, compreso quello subacqueo). Lo scopo di questo contributo è quello di presentare un approccio interdisciplinare alla conoscenza di alcuni ambienti ipogei localizzati nei Comuni di Nardò e Porto Cesareo (descrivendone il volore naturalistico–culturale), quindi proporre una strategia di valorizzazione integrata ed innovativa degli stessi (attraverso l’applicazione dell’Information Communication Tecnology – ICT) che intende offrire una alternativa sostenibile alla fruizione diretta del Patrimonio Ambientale e Culturale, in sintonia con le ragioni della conservazione. Materiali e motodi I catasti regionali delle grotte scoperte in Italia (che annoverano nel complesso più di 33.000 cavità naturali) rappresentano lo strumento per la catalogazione degli ambienti cavernicoli e, di conseguenza, sono anche un’importante fonte di informazioni per fini di ricerca. Quello pugliese

16

conta circa 2000 ambienti cavernicoli distribuiti su un territorio che è per più del 50% costituito da rocce carbonatiche (particolarmente adatte ad ospitare cavità) ed è considerato composto da tre distinte macroaree carsiche: il Salento, la Murgia ed il Gargano (Stoch, 2001). Una parte dei siti ipogei dell’area ionico–salentina, per ragioni naturalistiche ed archeologiche, è stata selezionata al fine di dare inizio alla sperimentazione del modello di catalogazione del Patrimonio Culturale ed Ambientale (orientato al Mercato) ideato nell’ambito del progetto di ricerca denominato Ne.Di.C.T.T.H. (Network for the Diffusion of Culture, Tourism and Territorial Heritage), avviato dal Settore Patrimonio Culturale della Scuola Superiore ISUFI (Università del Salento) e finanziato attraverso il programma INTERREG III/A 2000–2006 Italia–Grecia. Il Progetto ha proposto lo sviluppo di un Network transfrontaliero come strumento di cooperazione tra realtà pubbliche e private per uno sviluppo socio– economico finalizzato alla valorizzazione del Patrimonio Ambientale e Culturale. Il modello di catalogazione si avvale di una struttura informativa di base caratterizzata da tre differenti tipologie di dati (Imperiale, 2008): - qualitativi (informazioni di tipo descrittivo relative ai principali aspetti naturalistici e culturali del “bene” considerato), ottenuti attraverso integrazioni e semplificazioni dei dati disponibili negli strumenti catalografici esistenti; - motivazionali (informazioni sull’accessibilità, fruibilità ed efficacia della risorsa nei confronti del soddisfacimento di bisogni individuali e collettivi), raccolti e poi offerti in veste di approfondimenti di carattere sia scientifico che divulgativo (bibliografia, immagini, video, siti web, ecc.); - relazionali (informazioni sulle possibili connessioni tra le risorse ambientali ed altre risorse territoriali come quelle culturali, economiche e tu-

156


16

Ambienti ipogei in Salento: aspetti biologici e culturali in una strategia di divulgazione integrata ed innovativa

ristiche), ottenuti individuando correlazioni per affinità tipologica e/o localizzazione spaziale (es.: “similarità” legata alla condivisione di habitat per due siti naturalistici; “similarità” di stile o periodo storico di realizzazione per due “beni” culturali). L’ICT assume un ruolo determinante, poi, per ciò che concerne il trattamento dei dati. Le nuove tecnologie per la comunicazione, infatti, consentono una rappresentazione della conoscenza di tipo integrato non solo a livello tecnico ma soprattutto a livello semantico (di significato), facendo sì che un “bene” ambientale risulti valorizzato diventando “bene relazionale”. All’interno del Progetto Ne.Di.C.T.T.H., il modello di catalogazione descritto si è concretizzato nella realizzazione di una applicazione web–based caratterizzata da tre elementi strettamente connessi ed integrati (Cordella, 2008): - un sistema di gestione delle informazioni che integra la conoscenza delle risorse ambientali con target culturali, sociali ed economici; - una sintassi e grammatica “user friendly” facilmente codificabile e suscettibile di attivare relazioni spontanee e paritetiche tra realtà sociali ed economiche; - servizi di connettività intesi come strumenti informativi di condivisione e di coordinamento. L’indagine che ha permesso la realizzazione del Progetto e del presente lavoro ha tratto beneficio dalla catalogazione disponibile nel Catasto Grotte della Regione Puglia, consultabile sia in formato digitale, sul portale cartografico regionale WebGIS (http://151.2.170.110/ecologia.puglia/ start.html) e sul sito internet della Federazione Spelologica Pugliese (http://www.fspuglia.it/), che in versione cartacea. Relativamente ai fini specifici del presente studio, tuttavia, si è scelto di selezionare ed approfondire solo alcune cavità ipogee naturali (non tutte

157

presenti nei catasti regionali) tra quelle dislocate sui territori comunali di Nardò e Porto Cesareo, ritenute più significative da un punto di vista biologico e archeologico, quindi culturale. Il lavoro rappresenta, perciò, un punto di partenza basato su alcuni casi di studio, ma potrà essere esteso in futuro ad altre cavità e perfezionato in termini di interdisciplinarità dell’approccio. La metodologia di scelta delle cavità ha previsto due fasi di studio. La prima fase, di natura bibliografica, ha permesso di raccogliere pubblicazioni scientifiche prodotte da speleologi, archeologi, biologi, storici e geologi. La seconda fase è consistita nell’intervista di esperti operanti in strutture di ricerca presenti sul territorio (principalmente laboratori universitari e gruppi speleologici). Si è scelto, nello specifico, di considerare le seguenti cavità: Grotta dei Cocci (geosito non accatastato), Grotta delle Corvine (994; numero identificativo disponibile sul Catasto delle Grotte della Puglia), Grotta Venere del Pirata (1624), Grotta del Cavallo (520), le ‘Spunnulate’ della Palude del Capitano (geosito non accatastato), le Condotte sommerse della Palude del Capitano (1571) e le ‘Spunnulate’ di Torre Castiglione (geosito non accatastato). Molti dei siti ipogei presenti sul territorio comunale di Nardò e Porto Cesareo hanno attraversato una fase di scoperta e documentazione (dovuta, principalmente, ad attività di ricerca e volontariato svolte da gruppi speleologici) a cui spesso sono seguiti periodi di studio e tutela (grazie all’interessamento scientifico dimostrato da numerosi dipartimenti universitari di Atenei dislocati su tutto il territorio nazionale), ma anche di abbandono e deturpamento. Tutti gli ipogei naturali pugliesi sono sottoposti a tutela per gli effetti della legge regionale che mira alla valorizzazione del Patrimonio Speleologico (Legge n. 32 del 3 Ottobre 1986 della Regione


Ambienti ipogei in Salento: aspetti biologici e culturali in una strategia di divulgazione integrata ed innovativa

16

Puglia in materia di Tutela e Valorizzazione del Patrimonio Speleologico, Norme per lo sviluppo della speleologia) e della Direttiva della Comunità Europea nota come ‘Direttiva Habitat’ (Direttiva 92/43/CEE del 21 Maggio 1992). Molti di quelli considerati ricadono anche all’interno di altre forme di protezione e valorizzazione in quanto localizzati all’interno di Parchi (o Riserve) naturali istituiti con leggi regionali (Legge n. 6 del 15 Marzo 2006, istituitiva del Parco Naturale Regionale ‘Porto Selvaggio e Palude del Capitano’; Legge n. 5 del 15 Marzo 2006, istitutiva della Riserva Naturale Orientata ‘Palude del Conte e duna costiera’).

no notizie sul “bene”, la latitudine e longitudine, i riferimenti alla letteratura scientifica, i file video e di immagine che consentono forme di accesso alternativo al bene (fruibilità).

I dati raccolti sono stati sintetizzati ed inseriti all’interno di due schede di catalogazione, una per i siti ipogei noti per la loro rilevanza naturalistica, l’altra per quelli che meglio si sono offerti a studi di carattere archeologico. Ogni scheda comprende dati qualitativi, motivazionali e relazionali del bene considerato.

Risultati

I dati qualitativi consistono in informazioni generali e descrittive, quali: un codice identificativo informatico, il nome del sito, la città e la provincia all’interno delle quali il “bene” ricade ed infine l’ente gestore, lo status legale (i vincoli che influenzano lo stato di fruibilità e l’esistenza di parchi, riserve e/o siti di importanza comunitaria che comprendano il sito), la tipologia (insediamenti abitativi e/o patrimonio naturalistico), una analisi sintetica (al massimo 1500 caratteri) delle peculiarità del sito, la storia del sito (le fasi di scoperta, studio e tutela, oppure abbandono) e la sua toponomastica, il periodo cronologico in cui si sono riscontrati degli insediamenti, gli habitat e le specie della flora e della fauna rinvenibili, la significatività del sito e lo stato di conservazione (criticità dovute ad azioni di origine antropica).

Lungo la piana costiera compresa tra Sant’Isidoro e Serra Cicora (Nardò), ad esempio, si dispiega un’area carsica che si estende verso Nord–Ovest sino a Torre Castiglione (40°17’32” N; 17°48’60” E – Porto Cesareo) (Carrozzo et al., 2003). Essa è caratterizzata da varie morfologie carsiche, tra le quali particolari doline di crollo localmente denominate ‘spunnulate’, ossia ‘sfondate’ (Novembre, 1961). In questa area costiera, con il toponimo Palude del Capitano si designa una zona, nei pressi di S. Isidoro, all’interno della quale sono ubicate 30 ‘spunnulate’.

I dati motivazionali comprendono informazioni sui servizi viari che permettono la visita fisica del sito (accessibilità), gli url di siti web che contengo-

I dati relazionali raccolgono, infine, i codici identificativi informatici di altre risorse ambientali, culturali (patrimonio artistico, architettonico ed etno–antropologico), e di carattere turistico– economico (attività ricettive e ristorative, banche, società di trasporto, ecc.) legati al sito considerato secondo criteri di localizzazione geografica e/o affinità tipologica.

Siti di interesse Il territorio oggetto dello studio comprende siti litorali, sommersi ed emersi, che rappresentano fenomeni carsici di particolare pregio naturalistico o archeologico.

La maggiore tra queste è la Spunnulata Grande (40° 12’ 14” N; 17° 55’ 33” E; fig. 16.1, pagina a lato), probabilmente l’esempio più noto e studiato di sprofondamento carsico (Beccarisi et al., 2006). Nell’area si sviluppa anche un sistema di condotte sommerse (Condotte sommerse della Palude del Capitano – 1571) che consistono in un’intricata rete di cunicoli non tutti accessibili agli speleo–

158


16

Ambienti ipogei in Salento: aspetti biologici e culturali in una strategia di divulgazione integrata ed innovativa

Fig . 16.1 - Spunnulata Grande (Marcello E. Posi)

sub. Quelli praticabili sono caratterizzati da notevoli quantità di fango depositato sul fondo (soprattutto nel tratto iniziale), da radici di piante che scendono dal soffitto e da setti di roccia che tagliano la sezione delle gallerie. Si notano, inoltre, massi di crollo ed affilate lame di erosione che si ergono dalle pareti (Denitto et al., 2006). All’interno della Palude e nelle vicinanze della corrispondente linea di costa, le doline di crollo sono allagate da acque salmastre, prodotte dal mescolamento di acque di intrusione marina con acque della falda profonda (Cotecchia, 1956; Cotecchia et al., 1975; Delle Rose et al., 2000), le quali determinano un’intensa e continua azione di dissoluzione delle rocce carbonatiche (Carrozzo

159

et al., 2003). Le spunnulute di quest’area si inseriscono in un contesto ambientale di particolare pregio paesaggistico che, pur essendo tutelato dalla istituzione del Sito di Importanza Comunitaria (SIC) ‘Palude del Capitano’ (Codice IT9150013; D. M. n. 157 del 21.07.2005) e del Parco Naturale Regionale ‘Porto Selvaggio e Palude del Capitano’ (L. R. n. 06 del 15.03.2006), è stato periodicamente interessato da attività di discarica clandestina, soprattutto di materiali per l’edilizia. Tale problema sembra non potersi più riproporre grazie alla costruzione di ‘muretti a secco’ (opera ultimata nel corso dell’anno 2008) posti a recinzione del Parco.


Ambienti ipogei in Salento: aspetti biologici e culturali in una strategia di divulgazione integrata ed innovativa

Per quanto riguarda Serra Cicora, sito anch’esso ricadente all’interno dei confini del Parco Naturale Regionale ‘Porto Selvaggio e Palude del Capitano’, le spunnulate sono relativamente esenti da impatti umani, essendo confinate in ambienti di scogliera prossimi alla linea di costa. Vi sono tuttavia, nell’entroterra, evidenze di spunnulate occluse da sedimenti e detriti (Beccarisi et al., 2006). Relativamente a Torre Castiglione, circa il 50 % del territorio circostante le spunnulate è occupato da colture agricole e fabbricati e, sebbene il sistema non sia di facile accesso e la maggior parte delle spunnulate ricada all’interno del Sito SIC ‘Palude del Conte – Dune di Punta Prosciutto’ (Codice IT9150027; D. M. n. 157 del 21.07.2005) e della Riseva Naturale Orientata Regionale ‘Palude del Conte e Duna Costiera’ (L. R. n. 5 del 15.03.2006), frequentemente si riscontra la presenza di rifiuti all’interno delle doline di crollo. Dal punto di vista strutturale, le spunnulate di Torre Castiglione sono mediamente più grandi rispetto a quelle degli altri sistemi (Beccarisi et al., 2006). Le spunnulate sono oggetto di tutela idrogeologica (D. Lgs. 152/99), appartengono al patrimonio speleologico salvaguardato dalla Regione Puglia (L. R. n. 32 del 03/10/1986) e sono caratterizzate da habitat di notevole importanza naturalistica, ascrivibili secondo la Direttiva 92/43/CEE agli habitat naturali d’interesse comunitario delle “Grotte non aperte al pubblico” e delle “Grotte marine sommerse o parzialmente sommerse”, all’habitat naturale prioritario delle “Lagune costiere” ed all’habitat delle specie dei seguenti vertebrati (secondo l’allegato II della direttiva): Aphanius fasciatus (nono) ed Emys orbicularis (testuggine palustre) (Beccarisi et al., 2006). Si riscontra pure la presenza di specie (incluse nell’allegato IV) quali: Bufo viridis (rospo smeraldino), Lacerta viridis (ramarro) e Podarcis sicula (lucertola campestre) (Basso in Mainardi, 1988; Bianchi et al., 1994).

17

Per quel che riguarda l’ittiofauna si registra la presenza, presso le spunnulate di Torre Castiglione, di Gambusia affinis (gambusia), quest’ultima introdotta nel passato per combattere la malaria. A Torre Castiglione e Palude del Capitano si rinviene Anguilla anguilla (anguilla). Aphanius fasciatus è segnalato soltanto per la Palude del Capitano (Beccarisi et al., 2006). Tra gli anfibi, oltre a quelli già menzionati si annovera Bufo bufo (rospo comune) (Basso in Mainardi 1988; Bianchi et al., 1994). Gli invertebrati comprendono molluschi gasteropodi e crostacei copepodi e misidacei, tra i quali destano particolare interesse Spelaeomysis bottazzii, specie stigobionte endemica per la Puglia e segnalata anche per la Grotta del Faro di Porto Cesareo e per la Spunnulata di S. Isidoro (Inguscio 1998), e Diamysis camassaii (specie endemica per le spunnulate di Torre Castiglione) (Ariani et al., 2000, 2003). Dal punto di vista botanico, Curti e Lorenzoni (1969) hanno studiato la vegetazione delle spunnulate di Torre Castiglione (con particolare attenzione per la vegetazione che lambisce il loro perimetro) ed hanno evidenziato il significato di rifugio ecologico svolto da alcune spunnulate nei confronti di specie della macchia mediterranea. Relativamente alle maggiori spunnulate di Torre Castiglione, la vegetazione è classificata come “Vegetazione delle paludi salse” nella Carta della Vegetazione di Torre Colimena in scala 1:25000 (Caniglia et al., 1978). Ulteriori informazioni di carattere floristico sono riportate da Medagli in Mainardi (1988). Spostandosi lungo la linea di costa del Parco Regionale ‘Porto Selvaggio e Palude del Capitano’, da Sud verso Nord sono numerose le cavità sommerse che rappresentano, da un punto di vista biologico e culturale, siti di particolare interesse. Grotta dei Cocci (geosito non accatastato), localizzata poco a Nord di ‘Punta della Lea’, presenta uno sviluppo non inferiore ai 35 metri (Onorato

160


17

Ambienti ipogei in Salento: aspetti biologici e culturali in una strategia di divulgazione integrata ed innovativa

et al., 2006a,b) ed è caratterizzata da alcune grosse morfologie concrezionali che pendono dal soffitto, oblique e slargate all’estremità (stalattiti a “prosciutto” o grandi trays biogeniche, vedi Belmonte et al., 2003a,b). Queste pseudostalattiti si originano per la crescita verso l’acqua libera di strutture coralligene (vedi Bressan et al., 2001) e, pur sviluppandosi con un diverso orientamento (verso il basso), sono del tutto simili a quella descritta per l’ingresso Nord della grotta Lu Lampiùne (1318) (Onorato et al., 2003) sul Canale d’Otranto. Tra le specie ittiche rinvenibili in grotta sono i ghiozzi del genere Thorogobius (che popolano anche altre grotte di quest’area), mentre sui fondi fangosi spiccano grossi esemplari di Cerianthus (Cnidaria, Anthozoa – v. foto pag. 152). Le pareti della cavità appaiono ricoperte da spugne,

Fig . 16.2 - Campana d’aria in Grotta delle Corvine (Andrea Costantini)

161

tra cui spiccano quelle dei generi Spirastrella, Petrosia e Clathrina, da briozoi appartenenti al genere Myriapora (colonie sferoidali) e policheti appartenenti al genere Sabella, protesi orizzontalmente verso l’ingresso (Onorato et al., 2006a,b). Le aree più nascoste o lontane dall’ingresso sono caratterizzate da ricoprimenti più radi, costituiti principalmente da policheti serpulidi. All’esterno della Grotta dei Cocci il coralligeno si diffonde sul fondale sabbioso rappresentato da esemplari di Pinna nobilis, il più grande mollusco bivalve del Mar Mediterraneo, meglio noto come ‘Nacchera’ o ‘Cozza Penna’, e spugne del Genere Axinella (non ramificate). Il fondale davanti alla grotta (ad una profondità di meno 15 metri) accoglie numerosi frammenti di anfore (nessun collo rinvenuto), dai cui il nome attribuito alla cavità (Onorato et al., 2006a,b).


Ambienti ipogei in Salento: aspetti biologici e culturali in una strategia di divulgazione integrata ed innovativa

16

Fig . 16.3 - Cladocora caespitosa (Andrea Costantini)

Grotta delle Corvine (994) (40° 09’ 14” N; 17° 57’ 35” E; Baia di Uluzzo), così chiamata per l’abbondanza di esemplari della specie ittica Sciaena umbra, ha uno sviluppo prevalentemente orizzontale di circa 50 metri e presenta campane d’aria interne (Fig. 16.2). Il grande ingresso della grotta (alto 4 metri e largo 8) si trova a 12 metri di profondità. Sulle pareti, alle varie quote, si notano stalattiti e stalagmiti originatesi quando il livello del mare era più basso di quello attuale e la grotta risultava emersa (Onorato e Palmisano, 1988). Sul substrato duro dei primi 5 metri dall’ingresso, raggiunto nelle ore diurne dai raggi solari, si notano alghe rosse incrostanti, cnidari antozoi come Cladocora caespitosa (madreporario le cui colonie producono strutture coralligene simili a cuscini – Fig. 16.3) ed idrozoi come Clytia hemisphaerica (Denitto et al., 1999).

Le pareti della galleria che si sviluppa dai 5 ai 15 metri dall’ingresso, sono costellate durante tutto l’anno da una ricca popolazione del giallo ed attraente cnidario antozoo Leptopsammia pruvoti (Denitto et al., 1999). La sala centrale, che si estende dai 15 ai 35 metri dall’ingresso, possiede pareti e massi colonizzati da policheti tubicoli e numerose specie di spugne di forma incrostante, massiva, o eretta. Quest’ultima forma si riscontra in una porzione interna della grotta e ciò risulta in contraddizione con quanto descritto per altre grotte da vari autori (vedi ad es.: Sarà 1974; Harmelin et al., 1985; Bibiloni. et al., 1989; Bianchi e Morri, 1994). La spiegazione di questa inconsueta presenza potrebbe essere ricercata nel fatto che tali organismi, erigendosi, si allontanano dal substrato, che qui è frequentemente ricoperto da sedimenti limosi i quali possono andare in sospensione per via di movi-

162


16

Ambienti ipogei in Salento: aspetti biologici e culturali in una strategia di divulgazione integrata ed innovativa

menti di masse d’acqua (Denitto et al., 1999). Le pareti della porzione terminale della cavità sono principalmente occupate da policheti serpuloidei con tubi chiari che spiccano sulla parete scura e da spugne. Il substrato mobile (limo poggiato sul pavimento della grotta) è colonizzato da una densa popolazione del cerianto Arachnanthus oligopodus, cnidario antozoo segnalato per la prima volta in Italia proprio in questa grotta. L’abbondante comunità planctonica è costituita da sciami di piccoli crostacei misidacei appartenenti alle due specie Siriella gracilipes ed Hemimisys margalefi, il cui rinvenimento in questa grotta è stato il primo relativo ad acque italiane (Denitto et al., 1999). Questa grotta, per l’ampio volume, la conformazione a tunnel dal fondo cieco, la presenza di camere d’aria interne non comunicanti con l’esterno e la presenza di substrati differenti lungo

Fig . 16.4 - Grotta del Cavallo (Marcello E. Posi)

163

il suo sviluppo, accoglie un’alta biodiversità (195 specie) (Denitto et al., 1999) che contribuisce sensibilmente alla spettacolarizzazione di un ambiente tra i più noti, in Salento, per ciò che riguarda il turismo subacqueo. Grotta Venere del Pirata (1624) (40° 10’ 199” N; 17° 56’ 245” E), sita poco a Nord di Serra Cicora, si apre su un terrazzamento sommerso (a meno 8 metri) con una fenditura orizzontale lunga circa 3 metri e larga poco meno di 1 metro e manifesta uno sviluppo di 20 metri al termine del quale si notano restringimenti e prosecuzioni impraticabili. Per una descrizione della topografia della cavità si veda Onorato et al. (2006a,b). Il pavimento non è fangoso, ma sabbioso e ghiaioso. A 15 metri di distanza dall’ingresso e ad una profondità di meno 11 metri è stata individuata una breccia (roccia costituita da frammenti affilati ed irregolari, tenuti


Ambienti ipogei in Salento: aspetti biologici e culturali in una strategia di divulgazione integrata ed innovativa

assieme da materiale cementante) contenente resti di manufatti ceramici. Ispezioni coordinate da

Fig . 16.5 - Grotta del Cavallo: strumenti dell’Uluzziano (Da Palma di Cesnola, modificato)

archeologi subacquei dell’Università del Salento hanno consentito di appurare che trattasi di cocci di epoche molto diverse. Un frammento è di epoca neolitica, l’altro di epoca romana. Una più attenta visita della grotta ha consentito di ipotizzare che i cocci siano fluitati all’interno della cavità da una piccola frattura che si apre sulla volta e, successivamente, si siano concrezionati al pavimento. D’altro canto, non si può spiegare diversamente la presenza nell’ipogeo sommerso di frammenti ceramici di epoche così lontane tra loro (Onorato et al., 2006a,b). Lungo lo stesso tratto litorale sono presenti anche alcune grotte emerse in cui sono stati condotti studi di carattere archeologico. La più conosciuta è Grotta del Cavallo (Grotta delle Giumente – fig. 16.4, pagina precedente)

16

(520), che si sviluppa all’interno dell’alta e rocciosa linea di costa che sormonta la Baia di Uluzzo. Essa rappresenta uno tra i più importanti siti archeologici per l’Italia meridionale in quanto custodisce una serie stratigrafica, nota sin dagli anni ’60 del XX secolo (scavi condotti da A. Palma di Cesnola), riconducibile a tre principali identità cronologiche e culturali: 1) il Musteriano (che richiama, per caratteristiche dei ritrovamenti, la civiltà del Paleolitico medio insediatasi nell’area geografica di Le Moustier, in Francia), indicativamente datato tra 70.000 e 40.000 anni fa; 2) il Paleolitico superiore arcaico di facies uluzziana (dal nome della Baia che la Grotta domina dall’alto), riconducibile ad una datazione che si pone tra i 38/36.000 ed i 33/30.000 anni fa; 3) il Paleolitico superiore finale con particolare riferimento all’Epigravettiano di facies romanelliana (studiato per la prima volta durante gli scavi in Grotta Romanelli – 106 – a Otranto, sul versante orientale del Salento), datato tra 12.000 e 9.000 anni fa. Alcuni ritrovamenti attestano, inoltre, che la grotta sia stata frequentata sino al Neolitico (Palma di Cesnola, 1965, 1966). Durante l’arco temporale del quale gli strati più importanti rendono testimonianza, l’Uomo realizzava manufatti litici con la tecnica della scheggiatura (Fig. 16.5), al contrario di quanto accade in seguito nel Neolitico quando la tecnica di realizzazione degli utensili si perfezionò e cominciò a basarsi su di un processo di levigatura. Sul finire degli anni ’70 del XX secolo, dopo un periodo di bonifica del terreno presente in Grotta, profondamente rimaneggiato a causa di prolungate attività di scavo clandestino, ripresero attività di ricerca a carattere ufficiale che ancora oggi proseguono. Le attività di scavo clandestino hanno rappresentato un grave ostacolo all’attribuzione di una cronologia specifica di realizzazione per i reperti facenti parte del deposito di facies romanelliana. Gli studiosi si sono perciò spesso

164


16

Ambienti ipogei in Salento: aspetti biologici e culturali in una strategia di divulgazione integrata ed innovativa

limitati a descrivere le caratteristiche dei ritrovamenti, distinguendo 4 principali raggruppamenti di incisioni su pietra: quello delle figure naturalistiche, quello delle figure geometriche, quello delle figure nastriformi e quello dei segni lineari e semplici, per i quali è difficile definire il soggetto rappresentato.

geometrici che segnavano quasi l’intera area della superficie della pietra. Due figure naturalistiche di bovino, dalle fattezze purtroppo incomplete, possono essere notate al di sotto delle descritte incisioni. Sulla seconda faccia della pietra è possibile notare una figura scalariforme ed una nastriforme curva, realizzate in momenti differenti. Tra le figure rappresentate sulla seconda pietra è interessante sottolineare la presenza di una composizione che ritrae bovidi, forse una madre col piccolo (Fig. 16.6). Queste rappresentazioni figurative, fatta eccezione per quelle a soggetto naturalistico, possono essere inquadrate all’interno dell’arte mobiliare. Tutte quante presentano punti di similitudine marcata con le incisioni su pietra che ritraggono figure sia geometriche che zoomorfe rinvenute all’interno di Grotta Romanelli e sono perciò ritenute riferibili alla omonima facies culturale (Vigliardi, 1972).

Fig . 16.6 - Grotta del Cavallo: complesso delle figure di bovidi. (Da Vigliardi, modificato)

Tra i vari reperti, alcune pietre recano su una stessa faccia numerosi disegni raffiguranti soggetti distinti, ma realizzati in differenti momenti, in sovrapposizione, come è stato possibile verificare attraverso una attenta analisi al microscopio. Su due pietre, in particolare, sono raffigurati quasi tutti i motivi del repertorio ‘stilistico’ della Grotta. E’ opinione condivisa che le incisioni successive non rappresentino fasi ‘artistiche’ differenti o cronologicamente distinte. In relazione ad una delle due pietre, su una faccia è stato evidenziato come l’incisione realizzata per ultima rappresenti una figura nastriforme ed un fascio di linee (pressoché parallele tra loro e con andamento perpendicolare rispetto alla prima figura) che risulta di difficile interpretazione. Una figura umana era stata coperta dalla realizzazione di quella nastriforme, mentre, ancor prima erano stati realizzati numerosi motivi

165

Strategia di divulgazione Le informazioni sugli ambienti ipogei oggetto di studio sono state organizzate e gestite mediante una applicazione web–based realizzata in forma prototipale e, allo stato attuale, in fase di sviluppo per la pubblicazione on–line nella veste di portale web. Il prototipo in questione è uno strumento multilingua (Italiano, Inglese e Greco) che permette una fruizione innovativa dei dati relativi al Patrimonio Culturale ed Ambientale dei Comuni di Ugento, Gallipoli, Nardò, Taranto e Manduria (scelti quali territori “nodo”) e di quelli ad essi confinanti, collegati dalla antica “Via Sallentina” (vedi ad es.: Dalena e Fonseca, 2003; Uggeri, 1983; Jurlaro, 1972). L’utente, accedendo telematicamente alla applicazione ICT, può consultare descrizioni e risorse multimediali, relative al patrimonio ipogeo de-


Ambienti ipogei in Salento: aspetti biologici e culturali in una strategia di divulgazione integrata ed innovativa

16

Fig . 16.7 - Portale web, “nodo” del Comune di Nardò

critto, ricercandole all’interno dell’area geografica del Comune “nodo” di Nardò (Fig. 16.7). Grotta del Cavallo è considerata all’interno della sezione dedicata alla Cultura, mentre le grotte sommerse e le doline di crollo sono trattate all’interno della sezione dedicata all’Ambiente (Fig. 16.8). Le pagine web che descrivono i differenti “beni” raccolgono un’immagine, una breve descrizione, informazioni circa le modalità di fruizione (ingresso libero o regolamentato) ed i servizi viari che ne permettono la visita. Le stesse offrono link attraverso i quali si possono ottenere ulteriori informazioni (beni culturali o ambientali “similari” dislocati all’interno del Comune di Nardò o dei comuni limitrofi, strutture ricettive, attività economiche rivolte alla tutela ed alla valorizzazione del Patrimonio), visionare gallerie di immagini e brevi filmati (Fig. 16.9), consultare elenchi bibliografici e schede di approfondimento (ad es.: sulla biologia delle specie della fauna e della flora scientificamente più rilevanti).

Conclusioni Il presente lavoro ha mostrato come molteplici componenti, naturali o di origine antropica, contribuiscano al valore complessivo degli am­ bienti ipogei. Inoltre, sono stati forniti elementi a supporto del fatto che la conservazione dei beni culturali ed ambientali legati agli ambienti ipogei non deve essere sconnessa dalla loro valorizzazione e fruizione a fini turistico–culturali. L’esigenza di conservare un bene paesaggistico– culturale non deve essere in conflitto con la necessità che questo possa giocare un ruolo attivo nell’economia di una regione. Esso può infatti assumere potere trainante per l’economia locale e l’educazione ambientale se sapientemente e compiutamente valorizzato e reso pubblico (Centenaro et al., 2003). Le attività di valorizzazione, visibilità e fruibilità del Patrimonio Ipogeo salentino dovrebbero essere sempre il completamento di qualsiasi studio delle cavità, puntando a definirne il valore plu-

166


16

Ambienti ipogei in Salento: aspetti biologici e culturali in una strategia di divulgazione integrata ed innovativa

Fig . 16.8 - Portale web, pagina di selezione degli ambiti disciplinari

ridisciplinare. Una loro completa conoscenza permetterebbe, infatti, la corretta valorizzazione integrata e la rivalutazione dei siti che ospitano ambienti ipogei di rilevanza naturalistica e culturale. L’educazione e la sensibilizzazione del pubblico alla storia geologica, biologica ed antropologica dei siti può essere perseguita attraverso la realizzazione di percorsi scientifico–culturali sull’argomento, che tengano presenti le oggettive difficoltà pratiche che questo patrimonio spesso oppone nei confronti di una sua fruizione diretta. La maggior parte delle cavità, infatti, ha estensione, ubicazione spaziale (ad es.: sulla costa, sotto il livello del mare) e capacità ricettiva limitate (Belmonte, 2000). L’ICT è un mezzo utile per ovviare, in parte, alle difficoltà descritte. A tal proposito il progetto Ne.Di.C.T.T.H. ha rappresentato, per il territorio oggetto di studio, il primo tentativo di proporre un’idea nuova di valorizzazione del Patrimonio Culturale ed Ambientale attraverso la raccolta, sintesi e diffusione delle conoscenze disponibili in una veste moderna quale quella di una applicazio-

167

ne web–based. Tale strumento, appena disponibile per la pubblicazione, si offrirà come ausilio per semplici cittadini, turisti ed imprese pubbliche e private che vorranno reperire informazioni (storiche, biologiche e turistico–economiche), così come testimonianze multimediali (foto e video) utili per la programmazione di semplici visite (Turismo culturale), ma anche di iniziative imprenditoriali fondate sul rispetto e la valorizzazione del Patrimonio architettonico, artistico, archeologico, etno–antropologico ed ambientale di cui il territorio dispone. Il Progetto, pur prendendo in considerazione i più noti ambienti ipogei dislocati lungo l’area ionico salentina, non considerava tra gli obiettivi specifici una mappatura esaustiva del Patrimonio Ipogeo. Il presente lavoro intende, quindi, sottolineare quanto l’utilizzo di nuove tecnologie informatiche per la comunicazione, espressamente dedicato alla valorizzazione del Patrimonio Culturale e Naturalistico Ipogeo noto, potrebbe rappresentare per il Salento un’alternativa alla fruizione


Ambienti ipogei in Salento: aspetti biologici e culturali in una strategia di divulgazione integrata ed innovativa

16

Fig . 16.9 - Video di Grotta delle Corvine (di Andrea Costantini) all’interno del portale

diretta ed un elemento di cruciale importanza all’interno di un processo di promozione del territorio, divulgazione delle conoscenze, valorizzazio-

ne, gestione e fruizione sostenibile dei locali beni culturali ed ambientali.

Bibliografia

Zuccarello V., 2006 - Valutazione dello stato di conservazione delle “spunnulate” della costa di Porto Cesareo e Nardò (Provincia di Lecce) con un approccio vegetazionale. Thalassia Salentina, 29 Suppl.

Ariani A., Camassa M.M., Wittmann K. J., 2000 - The dolinas of Torre Castiglione (Gulf of Tarent, Italy): environmental and faunistic aspects of a semi–hypogean water system. Mem. Biospel., 27, pp. 1-14. Ariani A., Wittmann K.J., 2002 - The transition from an epigean to hypogean mode of life: morphological and bionomical characteristics of Diamysis camassai sp. nov. (Mysidiacea, Mysidae) from brakish–water dolinas in Apulia, SE–Italy. Crustaceana, 74 (11), pp. 1241–1265. Beccarisi L., Ernandes P., Delle Rose M.,

Belmonte G. (ed.), 2000 - Blu di Puglia. Itinerari e ambienti sommersi del Salento. Conte ed., Lecce. Belmonte G., Bussotti S., Costantini A., Denitto F., Metrangolo M., Muscogiuri L., Onorato R., 2003a - Indagine faunistica sulle grotte sottomarine del Capo di Leuca (Mar Ionio–Puglia). Biol. Mar. Medit., 10 (2), pp. 647–649. Belmonte G., Costantini A., Forti P., Metrangolo

168


16

Ambienti ipogei in Salento: aspetti biologici e culturali in una strategia di divulgazione integrata ed innovativa

M., Onorato R., Poto M., 2003b - Biocostruzioni stalattitiche nelle grotte sommerse del Capo d’Otranto. Biol. Mar. Medit., 10 (2), pp. 500–502. Bianchi C.N., Boero F., Forti S., Morri C., 1994 - La Palude del Capitano: un ambiente salmastro costiero della Penisola Salentina di interesse idrobiologico e speleologico. In: Alvisi M., P. Colantoni & P. Forti (eds.) - Atti del Convegno Speleomar, 91 (Palinuro - SA), Memorie dell’Istituto Italiano di Speleologia, 6 (2) pp. 99–106.

Laterza, Roma. Bussotti S., Terlizzi A., Fraschetti S., Belmonte G., Boero F., 2006 - Spatial and temporal variability of sessile benthos in shallow Mediterranean marine caves. Marine Ecology Progress Series, 325, pp. 109–119. Caniglia G., Chiesura Lorenzoni F., Curti L., Lorenzoni G., Marchiori S., Razzara S., Tornadore Marchiori N., 1978 – Carta della vegetazione di Torre Columena Salento. Puglia Meridionale. C.N.R.

Bianchi C.N., Cattaneo–Vietti R., Cinelli F., Morri C., Pansini M., 1996 – Lo studio biologico delle grotte sottomarine del Mediterraneo: conoscenze attuali e prospettive. Boll. Mus. Ist. Biol. Univ. Genova, 60–61, pp. 41–69.

Carrozzo M., Delle Rose M., Federico A., Leucci G., Marras V., Negri S., Nuzzo L., 2003 Osservazioni geologiche e indagini geofisiche sul carsismo della costa neretina. Thalassia Salentina, 26 Suppl.

Bianchi C.N., Morri C., 1994 - Studio bionomico comparativo di alcune grotte marine sommerse: definizione di una scala di confinamento. Istituto Italiano di Speleologia, Memoria 6, suppl. II, pp. 107–123.

Cattaneo R., Pastorino M.V., 1974 - Popolamenti algali e fauna bentonica nelle cavità naturali della regione litorale mediterranea. Rassegna Speleologica Italiana, 12, pp. 272–281.

Bibiloni M. A., Uriz M. J., Gili J. M., 1989 Sponge communities in three submarine caves of the balearic Island (Western Mediterranean): adaptations and faunistic composition. P. S. Z. N. I, Marine Ecology, 10 (4), pp. 317–334. Boxshall G.A., 1989 - Colonization of inland marine caves by misophrioid copepods. Journal of Zoology, 219, pp. 521–526. Boxshall G.A., Jaume D., 2000 - Discoveries of cave Misophrioids (Crustacea: Copepoda) shed new light on the origin of anchialine faunas. Zoologischer Anzeiger, 239, pp. 1–19. Bressan G., Babbini L., Ghirardelli L., Basso D., 2001 - Bio–costruzione e bio–distruzione di Corallinales nel Mar Mediterraneo. Biologia Marina Mediterranea, 8 (1), pp. 131–174. Broglio A., 1998 – Introduzione al Paleolitico.

169

Centenaro E., Mastronuzzi G., Selleri G., 2003 Le grotte della fascia costiera: geositi nel Salento leccese. Thalassia Salentina, 26 suppl., p. 121. Cicogna F., Nike Bianchi C., Ferrari G., Forti P. (eds.), 2003 - Grotte marine. Cinquant’anni di ricerca in Italia. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio. Cinelli F., Fresi E., Mazzella L., Pronzato M., Pansini M., Svoboda A., 1977 - Distribution of benthic phyto– and zoocoenoses along a light gradient in a superficial marine cave. In: Keegan B. F., O’Céidigh P., Boaden P. J. S. (eds) - Biology of benthic organisms. Pergamon Press, Oxford, pp. 173–183. Cocchi Genik D., 1994 - Manuale di Preistoria, I-II, Firenze. Cognetti G., 1993 - Transboundary marine parks in the Mediterranean. Marine Pollution Bulletin,


Ambienti ipogei in Salento: aspetti biologici e culturali in una strategia di divulgazione integrata ed innovativa

26, 6 Giugno, pp. 291–293. Cordella A., 2008 - Patrimonio Culturale e servizi Territoriali integrati in rete: un’applicazione web– based. In: Atti del Convegno Internazionale, 17– 18–19 Luglio 2008: “Tourismatic for a Cultural and environmental heritage valorizzation”. Editrice UNI Service, Trento. Cotecchia V., 1956 – Sulle caratteristiche delle sorgenti e delle modalità di rinvenimento della falda profonda nella Penisola Salentina in rapporto alla struttura dei calcari cretacei della regione. Ann. Fac. Ing., Bari, 2, pp. 1–19. Cotecchia V., Tazioli G.S., Tittozzi P., 1975 Geochimica delle acque della penisola salentina in relazione ai rapporti tra le acque di falda, le acque marine sotterranee e il mare. Geol. Appl. e Idrogeol. vol. X, Parte I, pp. 205–224.

17

Gili J.M., Riera T., Zabala M., 1986 - Physical and biological gradients in a submarine cave on the Western Mediterranean coast (North–East Spain). Mar. Biol., 90, pp. 291–297. Harmelin J.G., Vacelet J., Vasseur P., 1985 - Les grottes sous–marines obscures: un milieu extrame et un remarquable biotope refuge. Tethys, 11 (3–4), pp. 214–229. Holthuis L.B., 1973 - Caridean shrimps found in land–locked saltwater pools at four Indo–West Pacific localities (Sinai Peninsula, Funafuti Atoll, Maui and Hawaii Islands), with the description of a new genus and four new species. Zoologisch Verhandelingen, Leiden, 128, pp. 1–48. Iliffe T.M., 2000 - Anchialine cave ecology. In: Ecosystems of the World 30. Subterranean Ecosystems. Elsevier, pp. 59–76.

Curti L., Lorenzoni G.G., 1969 - Considerazioni sulla vegetazione delle “spunnulate” di Castiglione (Lecce). Thalassia Salentina, 3, pp. 47–66.

Iliffe T.M., C.W. Hart, Manning R.B., 1983 Biogeography and the caves of Bermuda. Nature, 302 (5904), pp. 141–142.

Dalena P., Fonseca C.D., 2003 - Dagli Itinera ai percorsi. Viaggiare nel Mezzogiorno medievale. M. Adda Editore.

Iliffe, T.M., 1979 - Bermuda’s caves: a non–renewable resource. Environmental Conservation, 6, pp. 181–186.

Delle Rose M., Federico A., Fidelibus C., 2000 - A computer simulation of groundwater salinization risk in Salento peninsula (Italy). Proc. 2nd Int. Conf. on Computer Simulation in Risk Analysis and Hazard Mitigation, Bologna, pp. 465–475.

Imperiale F., 2008 - Il valore socio–economico del patrimonio culturale: un modello di catalogazione orientata al mercato. In: Atti del Convegno Internazionale, 17–18–19 Luglio 2008, “Tourismatic for a Cultural and environmental heritage valorizzation”, Editrice UNI Service, Trento.

Denitto F., Longo C., Belmonte G., Costantini A., Poto M., Onorato R., 1999 - Biocenotica della grotta sottomarina delle Corvine (Cala di Uluzzo, Nardò, Lecce). Itinerari Speleologici, 8 (2), pp. 7–16. Denitto F., Moscatello S., Palmisano P., Poto M., Onorato R., 2006 - Novità speleologiche, idrologiche e naturalistiche della Palude del Capitano (pSIC IT 9150013), costa neretina (Lecce). Thalassia Salentina, 29 suppl., pp. 99–116.

Inguscio S., 1998 - Misidiacei stigobionti di Puglia. Ideemultimediali, Nardò. Jurlaro R., 1972 - Itinera messapici. M. Congedo Ed., Galatina. Kornicker L.S., Iliffe T.M., 1985 - Deeveyinae, a new subfamily of Ostracoda (Halocyprididae) from a marine cave on the Turks and Caicos Islands. Proceeding of the Biological Society of

170


17

Ambienti ipogei in Salento: aspetti biologici e culturali in una strategia di divulgazione integrata ed innovativa

Washington, 98, pp. 476-493. Laborel J., Vacelet J., 1958 - Étude des peuplements d’une grotte sous–marine du golfe de Marseille. Bull. Inst. Oceanogr., 55, pp. 1–20. Mainardi M. (ed.), 1988 - Per il recupero am­ bientale delle “spunnulate” di Torre Castiglione. Garofano Verde Sez. Puglia, Associazione Cooperative Produzione e Lavoro, Circolo AICS Lecce. Novembre D., 1961 - Aspetti del carsismo co­stiero del Salento. La Zagaglia, 10, pp. 22–51. Onorato R., Costantini A., Denitto F., Belmonte G., 2006a - Valutazione della presenza dell’ambiente di grotta lungo la costa neretina (prov. LE, golfo di Taranto). Thalassia Salentina, 29 suppl. Onorato R., Forti P., Belmonte G., Poto M., Costantini A., 2003 - Grotta sottomarina de lu Lampiùne: novità esplorative e prime indagini ecologiche. Thalassia Salentina, 26 Suppl., pp. 55–64. Onorato R., Belmonte G., Costantini A., 2006b Le grotte sommerse della costa neretina (Salento, S–E Italia). Thalassia Salentina, 29 Suppl. Onorato R., Palmisano P., 1988 - La grotta sottomarina delle Corvine. Itinerari Speleologici, 2, pp. 21–26. Palma di Cesnola A., 1965 - Notizie preliminari sulla terza campagna di scavi nella Grotta del Cavallo (Lecce). Rivista di Scienze Preistoriche, XX (2). Firenze. Palma di Cesnola A., 1966 - Il Paleolitico supe-

171

riore arcaico (facies uluzziana) della Grotta del Cavallo (Lecce). Rivista di Scienze Preistoriche, XX (1) 1965; XXI (1) 1966. Firenze. Pérès J.M., Picard J., 1964 - Nouveau manuel de bionomie benthique de la Mer Méditérraneè. Recl. Trav. Stn. Mar. Endoume. Fac. Sci. Mars., 47, 5–137. Roff J.C., Evans M.J.S., 2002 - Frameworks for marine conservation - non–hierarchical approaches and distinctive habitats. Aquatic Conservation: Marine and Freshwater Ecosystems, 12, pp. 635–648. Sarà M., 1974 – Il popolamento delle grotte marine e sua protezione. Atti del IV Simp. Nazion. sulla Conserv. Della Natura, 1, pp. 51–59. Stoch F. (ed), 2001 - Grotte e fenomeno carsico: la vita nel mondo sotterraneo. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio. Museo Friulano di Storia Naturale, Comune di Udine. Stock J.H., 1986 - Deep sea origin of cave faunas, an unlikely supposition. Stygologia, 2, pp. 105–111. Uggeri G., 1983 - La viabilità romana nel Salento. Museo Civico Archeologico “Ugo Granafei”, Mesagne. Vigliardi A., 1972 - Le incisioni su pietra romanelliane della Grotta del Cavallo (Uluzzo, Lecce) (Scavi Palma di Cesnola 1963-1966). Istituto di Paletnologia dell’Università di Firenze.liane della Grotta del Cavallo (Uluzzo, Lecce) (Scavi Palma di Cesnola 1963 – 1966). Istituto di Paletnologia dell’Università di Firenze.


172


I luoghi dell’acqua temporanea Paola Ernandes1, Leonardo Beccarisi1,2, Vincenzo Zuccarello1 1

Laboratorio di Ecologia Vegetale, Di.S.Te.B.A., Università del Salento, Gruppo Speleologico Neretino

2

Introduzione Il territorio salentino, per la sua natura carsica e per le sue condizioni climatiche, è considerato povero di acque superficiali, tuttavia, esistono alcuni siti di acque interne, molti dei quali ascrivibili alla categoria di habitat delle acque dolci lotiche stagionali. Sebbene siano, in genere, di modeste dimensioni e fortemente influenzati dalla presenza dell’uomo, tali siti ospitano comunità vegetali del tutto peculiari e meritevoli di essere tutelate. La litologia superficiale della penisola salentina è costituita in prevalenza da rocce sedimentarie carbonatiche; la diffusa fratturazione delle formazioni carbonatiche, indotta da fenomeni tettonici, rappresenta una via di transito per l’acqua. Questa è la causa primaria del fenomeno carsico che conduce, su scala temporale geologica, all’affondamento delle acque superficiali nel sottosuolo e alla formazione del sistema idrico ipogeo (Novembre, 1995). Le manifestazioni carsiche più note, tra quelle che caratterizzano il territorio salentino, sono le grotte, le vore e le doline. Da un’attenta lettura delle carte IGM 1:25.000 si nota la diffusione di alcuni “idrotoponimi”: lago, palude, pozzo, lama, conca. In molti casi il toponimo “lago” risulta associato ad un habitat considerato prioritario dalla Direttiva Europea 92/43/CEE che prende il nome di “Stagni temporanei mediterranei” (Codice

173

Natura 2000: 3170). Si tratta di un habitat di acque dolci, profonde pochi centimetri, con una vegetazione semiacquatica a terofite e geo­ fite mediterranee afferenti alla classe fitosociologica dell’Isoeto-Nanojuncetea distribuita nei territori europeo-mediterranei (European Commission DG Environment, 2003, Brullo & Minissale, 1998). L’oggetto di questo studio sono delle particolari forme carsiche di dimensioni variabili, generalmente con un perimetro subcircolare denominate “laghi” “lacchi” o “pozzelle” secondo il dialetto locale e che, per la loro struttura geologica e topografica, si riempiono d’acqua durante la stagione invernale e si prosciugano in estate. Lo scopo del lavoro è quello di mettere in evidenza l’importanza naturalistica di queste particolari forme carsiche e di descrivere la flora e la vegetazione presenti al loro interno; lo studio inoltre vuole essere da supporto agli amministratori locali al fine di tutelare questi habitat naturali di pregio e intraprendere la strada per una corretta gestione. Materiali e metodi Attraverso indagini bibliografiche è emerso che al toponimo lago è spesso associato un habitat effimero denominato “Stagni temporanei mediterranei”. Si è ritenuto necessario pertanto procedere all’individuazione sulle carte IGM


I luoghi dell’acqua temporanea

in scala 1:25.0000 di tutti gli “idrotoponimi” presenti nel Salento. La fase successiva è stata quella di verificare la presenza dell’habitat in campo, nei siti individuati sulle carte. Per la caratterizzazione della componente vegetale si è proceduto ad effettuare una serie di rilievi fitosociologici secondo la metodologia proposta da Braun-Blanquet. Le informazioni raccolte sono state inserite, elaborate e gestite in un GIS. Risultati e discussioni I siti Un primo esame distributivo degli “idrotoponimi” rivela che il termine “lago” è molto diffuso nelle Murge, nel Salento e subordinatamente nel Gargano. A livello regionale si nota un’analogia morfologica delle depressioni, un’utilizzazione quasi ovunque agricola dei suoli e la presenza di manufatti realizzati dall’uomo per la conservazione delle acque piovane: situazioni analoghe si rinvengono sul Gargano, sulla Murgia e nel territorio di Conversano. Sul Gargano è presente il “Lago d’Otri” presso il Monte Iacotenente, il “Lago Rosso” presso S. Marco in Lamis ed altri laghi che prendono il nome di “cutini”, “piscine” o “pantani” densamente diffusi su tutto il territorio. Il “Lago del Capraro” tra Soleto e Sternatia, “Madonna del Lago” a S.Donato, “Lago de Lu Lai” e “Laccu Feretru” a Soleto, “Lago Rosso” a Caprarica e il “Lago Mangiavino” ad Otranto, sono riportati nella cartografia 1:25.000 dell’IGM; Sull’alta Murgia presso il Bosco Difesa Grande si rinvengono due grandi doline denominate “Lago Splendore” e “Lago delle Rose”. Nel territorio di Conversano si localizzano 11 laghi tra cui il “Lago Javorra” che è tra i “laghi” oggetto di questo studio. Sul fondo di ciascun lago sono state realizzate delle capienti cisterne, da un minimo di 2 a un massimo di 31, dando luogo in questo modo ad un sistema di riserve idriche complesso e funzio-

17

nale (Palmisano & Fanizzi, 1992). Tra questi siti ve ne sono alcuni che assumono il carattere proprio di stagni temporanei; al loro interno è stato effettuato uno studio sulla flora e la vegetazione: “Lago del Capraro”, “Madonna del Lago”, “Lago Splendore”, “Lago Javorra” e “Laccu Feretru”. Il valore storico, archeologico e sociale In mancanza di acque superficiali e nell’impossibilità di attingere alla falda freatica, sempre molto profonda, le popolazioni locali sistemarono le loro abitazioni in prossimità degli avvallamenti. Queste depressioni doliniformi, denominate “lacchi” nel dialetto locale, costituirono in passato un importante sito per l’approvvigionamento idrico delle popolazioni: la natura argillosa del terreno permetteva il riempimento di queste doline durante le piogge e il ristagno delle acque a lungo. Di particolare interesse è però il modo con cui l’uomo ha provveduto a conservare le acque piovane che si depositavano in queste naturali depressioni del terreno, costruendo dei pozzi a campana denominati “pozzelle”. Il sistema di scavare dei pozzi sul fondo di depressioni carsiche, risale alle città greche dell’VIII secolo a.C. e, come osserva Spano (1965), si rinvengono le “pozzelle” nei paesi della Grecìa salentina: Martano, Martignano, Soleto, Zollino, Corigliano, Castrignano. In prossimità di questi centri abitati, dove un tempo le attività agrofondiarie erano quelle più redditizie, le pozzelle rappresentavano oltre che un’importante fonte per l’approvigionamento idrico, poiché raccoglievano le acque piovane, anche un luogo d’incontro e di richiamo, spazi socializzanti per la collettività.

174


17

I luoghi dell’acqua temporanea

Fig . 17.1 - Castrigano dei Greci, parco delle pozzelle (M. Delle Rose)

175


I luoghi dell’acqua temporanea

Queste cisterne potevano essere pubbliche o private; il sistema costruttivo si basava sul principio delle costruzioni trulliformi: una volta scavate le buche nella depressione del terreno, le pareti venivano rivestite da pietrame informe disposto in cerchi concentrici che restringendosi verso l’alto formavano una sorta di campana; in alto, sull’ultimo cerchio, poggiava il pozzo (Costantini, 1988). Quando non erano utilizzate per l’approvigionamento idrico, le naturali depressioni carsiche venivano utilizzate per coltivare frutteti e vigneti; in molte doline poi si coltivava e si metteva a macerare il lino. Le pozzelle erano, ed alcune lo sono tuttora, degli abbeveratoi per il bestiame ed importanti siti di sosta per quell’”allevamento itinerante” che dall’Abruzzo si spingeva sino alla Puglia (Grillotti, 2000). Il valore naturalistico Queste doline sono accomunate dalla presenza, al loro interno, di fitocenosi afferenti all’habitat degli Stagni temporanei mediterranei, con aspetti vegetazionali peculiari, rari e poco conosciuti, legati alla durata del periodo di sommersione del suolo. Allo scopo di caratterizzare la vegetazione di questi “laghi” è stata svolta un’indagine floristico vegetazionale;le comunità vegetali caratteristiche che accomunano questi ambienti sono di seguito descritte: - cenosi igrofila semisommersa costituita da Eleocharis palustris, Ranunculus sardous, Paspalum paspaloides; essa rappresenta l’aspetto vegetazionale più caratteristico dei “laghi”, si tratta di una comunità igrofila che si sviluppa su suoli melmosi in cui l’acqua ristagna per lunghi periodi all’anno; in particolare, presso Lago Javorra, la presenza di Damasonium alisma attribuisce particolare pregio

17

floristico a queste comunità. E’ una pianta rara in Italia distribuita soprattutto sul versante tirrenico della penisola e legata strettamente al regime idrico degli stagni temporanei (Pignatti, 1982). - con l’abbassamento del livello idrico ed il progressivo inaridimento del suolo si insedia una cenosi costituita da popolamenti effimeri caratterizzati da terofite a ciclo tardo-primaverile esti­ vo come Eryngium barrelieri, Pulicaria vulgaris, Verbena supina che sono caratteristiche della classe fitosociologia dell’Isoeto-Nanojuncetea ed in particolare dell’ordine Verbenion supinae Slavnich 1951 e che fanno parte della Lista Rossa regio­nale poichè rare e con una limitata distribuzione. A queste specie si aggiungono Coronopus squamatus e Agrostis salmantica, quest’ultima in estate forma densi popolamenti. - cenosi costituita da pratelli subigrofili a Carex divisa, Mentha pulegium, Trifolium resupinatum, che si adattano a condizioni di marcata xericità nella stagione estiva. La Carex divisa è ascrivibile alla var. chaetophylla (Steudel) Daveau. - praterie ad Agropyron repens, graminacea stolonifera che costituisce lungo i bordi dei laghi il tratto d’unione tra gli aspetti igrofili e quelli delle zone marginali che risentono dell’influenza delle coltivazioni e della vegetazione ruderale. Conclusioni Le comunità vegetali igrofile che si rinvengono all’interno dei “laghi” costituiscono aspetti naturalistici peculiari, rari e perciò meritevoli di conservazione. Sulla base di quanto detto è evidente l’importanza non solo naturalistica ma anche storica, archeologica e sociale. Purtroppo le situazioni di degrado non mancano: spesso all’interno delle doline si trovano accumuli

176


17

I luoghi dell’acqua temporanea

Fig . 17.1 - Sezione di una pozzella, schizzo di Cosimo De Giorgi (da A. Costantini, 1988, modificato)

di detriti, blocchi e pietre, rifiuti organici e inerti. Pertanto si rende indispensabile la diffusione di informazioni circa la conoscenza di queste emergenze naturalistiche, che stimolino l’interesse dei

cittadini e degli amministratori locali per raggiungere la consapevolezza che si tratta di beni da salvaguardare per la tutela della biodiversità ed uno sviluppo socio-economico ecocompatibile.

Bibliografia Costantini A., 1988 - Del modo di conservare le acque e la neve, “pozzelle” e “neviere” in Sallentum, 18, pp. 71-88. Brullo S., Minissale P., 1998 - Considerazioni sintassonomiche sulla classe Isoeto-Nanojuncetea. Itinera Geobotanica, 11, pp. 263-290. Conti F., Manzi A., Pedrotti F., 1997 - Liste rosse regionali delle piante d’Italia. Società Botanica Italiana e WWF Italia.

177

European Commission DG Environment, 2003 -Manual of European Union Habitats. EUR25. Grillotti di Giacomo M.G., 2000 - Atlante tematico dell’agricoltura italiana. Società Geografica Italiana, Roma. Palmisano P., Fanizzi A., 1992 - I laghi di Conversano, il fenomeno degli stagni stagionali dei territori carsici pugliesi. Itinerari Speleologici, II (6), pp. 35-51.


178


Primo contributo alla conoscenza della vegetazione della Grotta Zinzulusa (Castro, Lecce) Delia D’Agostino1,4, Leonardo Beccarisi2,4, Stefano Siviero3, Rosella Cataldo3 ISUFI, Università del Salento, 2Laboratorio di Ecologia Vegetale, Università del Salento,

1 3

Dipartimento di Scienza dei Materiali, Università del Salento, 4Gruppo Speleologico Neretino

Introduzione

Materiali e metodi

La ricerca botanica delle grotte pugliesi è relativamente recente, essendosi sviluppata a partire dagli anni ’50 e ’60. I contributi scientifici risultano comunque sporadici e per lo più concentrati sulle Grotte di Castellana (Tosco, 1970); tali ricerche sono state ispirate dalla necessità di risolvere i problemi di inquinamento biologico, tematica comune alla maggior parte delle grotte turistiche (Badino, 2002). Infatti, le specie botaniche sono un elemento estraneo all’ambiente buio delle grotte e, quando presenti, sono anche percepite come fattore antiestetico, poiché alterano la naturale colo­ razione delle concrezioni.

La ricerca si articola in due fasi.

La Grotta Zinzulusa è aperta al pubblico dagli anni ’50 (Ciccarese & Pesce, 1999) e colonizzazioni vegetali fototrofiche sono evidenti lungo il percorso turistico. In seguito alla recente sostituzione dell’impianto di illuminazione (D’Agostino et al., 2008), è stato avviato uno studio sulle comunità vegetali presenti e sulla distribuzione delle stesse in risposta all’illuminazione, il principale fattore limitante la vegetazione nell’ambiente ipogeo (Samero, 1987). In questo lavoro sono esposti i risultati preliminari relativi al monitoraggio biologico della grotta.

179

1) Uno studio qualitativo, volto a descrivere le comunità vegetali presenti in grotta, è stato effettuato attraverso un campionamento in diversi punti: il materiale biologico è stato prelevato per raschiamento all’interno di unità aventi superficie di 25 cm2 e successivamente osservato in laboratorio al microscopio ottico. La determinazione del materiale è avvenuta grazie anche alla collaborazione di specialisti esterni per aumentare il dettaglio descrittivo relativo a specifici gruppi tassonomici. 2) La risposta delle comunità vegetali alla luce è stata studiata attraverso un campionamento sistematico lungo transetti disposti radialmente intorno alle lampade, lungo i quali sono stati rilevati i tipi di comunità presenti e l’intensità luminosa ogni 30 cm. Risultati 1) Le comunità vegetali Nella zona liminare e subliminare si riscontra la presenza di formazioni dense e compatte di licheni, briofite (tra cui Eucladium verticillatum e Rhynchostegiella tenella) e pteridofite (Adiantum capillus-veneris). Questa zona è in-


Primo contributo alla conoscenza della vegetazione della Grotta Zinzulusa (Castro, Lecce)

18

Fig . 18.1 - Il muschio Eucladium verticillatum è responsabile della formazione di concrezioni organogene all’ingresso della grotta.

terpretabile come il principale source di approvvigionamento di propaguli all’interno della grotta. Rilevante è la presenza di muschi (Eucladium verticillatum) originanti concrezioni organogene fototropiche (Fig. 18.1). Nella zona interna, dall’esame microscopico dei campioni raccolti sulle superfici esposte all’illuminazione artificiale risulta la presenza di alghe verdi endolitiche (Chlorophyta), cianobatteri (Cyanophyta, tra cui predomina il tipo Merismopedia nei punti con maggiore stillicidio), talli di briofite poco sviluppati e piccoli licheni. Relativamente a questi ultimi, da un primo screening, sono state individuate sette entità differenti. In mancanza di luce, mancano le specie fototrofiche e si rinvengono solo miceli fungini, normalmente distribuiti all’interno di strutture

vermiformi o, in qualche caso, in estese colonizzazioni biancastre. I principali tipi di comunità colonizzanti le superficie rocciose della zona interna sono le seguenti: Comunità 1: Strutture vermiformi (foval) costituite da miceli fungini, in particolare Geotrichum sp. (Camassa & Febbroriello, 2003), ed alghe assenti (Fig. 18.2); Comunità 2: Strutture vermiformi con miceli ed alghe verdi: simile alla Comunità 1 ma con l’aggiunta della presenza di alghe verdi unicellulari endolitiche (Chlorophyta) (Fig. 18.3); Comunità 3: Alghe verdi endolotiche unicellulari (Chlorophyta) dominanti; si riscontra la presenza, seppur con minor frequenza, di colonie di cianobatteri (Cyanophyta), protalli e miceli fungini

180


18

Primo contributo alla conoscenza della vegetazione della Grotta Zinzulusa (Castro, Lecce)

Fig . 18.2 - Vermicoliti (foval) - Comunità 1.

(Fig. pag. 178);

Conclusioni

Comunità 4: Costituita prevalentemente da colonie di cianobatteri (tipo Merismopedia); meno frequenti le alghe verdi endolitiche unicellulari ed i miceli fungini (Fig. 18.4).

Il monitoraggio biologico compiuto sino ad oggi, ed ancora in corso, rivela come la decennale esposizione delle pareti della grotta all’illuminazione artificiale abbia favorito l’instaurarsi di una ricca e complessa flora crittogamica, costituita da licheni, cianobatteri, alghe verdi, briofite, pteridofite, a cui aggiungere anche i funghi, che però non sono fototrofici. Tali organismi sono organizzati in comunità che si distribuiscono selettivamente lungo il gradiente di illuminazione; questo fenomeno è percepibile a diversi livelli di scala, sia lungo l’asse dall’esterno all’interno della grotta, sia radialmente intorno ai punti luce artificiali. Dai dati registrati sino ad oggi, si evince che tutte le comunità fototrofiche (con l’eccezione della comunità 4, che è più euriecia) trovano il loro optimum

2) La distribuzione delle comunità vegetali lungo i transetti La comunità 1 (rappresentata da soli miceli) esprime il carattere di maggiore sciafilia, sviluppandosi a intensità luminose inferiori. Le comunità 2 e 3 si alternano senza rispondere selettivamente all’illuminazione; altri fattori potrebbero essere coinvolti nel fenomeno.

181


Primo contributo alla conoscenza della vegetazione della Grotta Zinzulusa (Castro, Lecce)

18

Fig . 18.3 - Vermicoliti ed alghe verdi - Comunità 2.

ecologico nel breve intervallo compreso tra 50 e 150 lux e sono escluse sia a valori più elevati di intensità luminosa che a valori più bassi. Risulta significativo come le comunità fototrofiche evitino

le elevate intensità luminose, e questo rappresenta verosimilmente un successo, seppur parziale, raggiunto con l’installazione del nuovo impianto di illuminazione.

Fig . 18.4 - Comunità con prevalenza di cianobatteri - Comunità 4.

182


18

Primo contributo alla conoscenza della vegetazione della Grotta Zinzulusa (Castro, Lecce)

Le comunità presenti all’interno della Grotta Zinzulusa sono costituite da crittogame afferenti a diversi phyla del regno vegetale. L’obiettivo di determinare in maniera raffinata tutti gli organismi presenti è per il momento, date le modeste

risorse disponibili, un obiettivo ambizioso da raggiungere. Nonostante ciò, i primi risultati rappresentano una prima tappa da cui ripartire per i futuri sviluppi della ricerca.

Ringraziamenti Le briofite sono state determinate da Michele Aleffi del Dipartimento di Scienze Ambientali dell’Università degli Studi di Camerino. Il supporto logistico durante i sopralluoghi in grotta è stato fornito da Ninì Ciccarrese del Gruppo Speleologico Salentino “P. De Lorentis”

Bibliografia citata Badino G., 2002 - L’attività speleologica e gli adattamenti turistici individuali alle grotte. Le Grotte d’Italia, 3. Camassa M. M., Febbroriello P., 2003 - Le foval della grotta zinzulusa in Puglia (SE-Italia). Thalassia Salentina, 23 suppl., pp. 207-218. Ciccarese G., Pesce G.L., 1999 - La Zinzulusa: 200 anni dopo. Thalassia Salentina, 23 suppl., pp. 79-88. D’Agostino D., Beccarisi L., Siviero S., De Nunzio

183

G., Cataldo R., Castellano A., 2008 - Monitoraggio microclimatico della Grotta Zinzulusa (Castro, Lecce). Primi risultati. Spelaion 2008, 6-8 dicembre 2008, Nardò. Samero L., 1987 - Vegetazione delle grotte carsiche. Il Carso, 33 Bis. Tosco U., 1970 - La vegetazione nelle grotte di Castellana (Bari) con cenni di speleobotanica generale. Le Gotte d’Italia, s.4, 2.


184


Monitoraggio microclimatico della Grotta Zinzulusa (Castro, Lecce). Primi risultati Delia D’Agostino1,4, Leonardo Beccarisi2,4, Stefano Siviero3, Giorgio De Nunzio3, Rosella Cataldo3, Alfredo Castellano3 ISUFI, Università del Salento, 2Laboratorio di Ecologia Vegetale, Università del Salento,

1

Dipartimento di Scienza dei Materiali, Università del Salento, 4Gruppo Speleologico Neretino

3

Introduzione La Grotta Zinzulusa rappresenta una delle più interessanti manifestazioni del fenomeno carsico nel territorio salentino e risulta tra i siti più importanti dal punto di vista biospeleologico, a livello internazionale, per la ricchezza di taxa ed organismi endemici (Pesce, 2001). E’ noto che le condizioni ambientali delle grotte, più vulnerabili e sensibili rispetto ad altri ecosistemi, vengono alterate con facilità da fattori esterni ad esse (Bonzano, 1982). Tra le principali cause di alterazione dell’ambiente vi è la presenza, seppur temporanea, di visitatori e la costruzione di strutture per facilitarne la visita(fig. 19.1). In particolare, gli impianti di illuminazione all’interno di grotte turistiche alterano le componenti fisiche e biologiche ed influiscono sulla tipologia e sulla quantità della flora presente (Imprescia, 1982). Da dicembre 2007 l’Università del Salento

185

è impegnata in uno studio di monitoraggio ambientale della Grotta Zinzulusa finalizzato a studiare le condizioni microclimatiche, con particolare attenzione per la temperatura e l’umidità relativa, e a valutare gli effetti della sostituzione dell’impianto di illuminazione, avvenuta a marzo 2008. Illustriamo in questo lavoro i primi risultati relativi allo studio. Materiali e Metodi La Grotta Zinzulusa, fruibile al pubblico tutto l’anno, prevede un percorso turistico di lunghezza pari a circa 100 m, a partire dal cancello d’ingresso sino al Duomo. Tale percorso si snoda lungo una passatoia ai lati della quale sono stati posizionati, dall’ingresso fino ad una zona non accessibile al pubblico, detta Cocito, dieci sensori per rivelare in continuo la temperatura e l’umidità relativa. La collocazione di tali strumenti è stata effettuata in seguito ad una serie di misure con uno psicrometro, in varie zone del percorso interno, in modo da individu-


Monitoraggio microclimatico della Grotta Zinzulusa (Castro, Lecce). Primi risultati

are preliminarmente i punti più significativi per l’indagine (fig. 19.2). Sono state realizzate una serie di misure di luminosità all’interno della grotta con l’ausilio di un luxmetro, prima e dopo la sostituzione dell’impianto d’illuminazione da luce incande­scente a fredda. Le luci fredde sono caratterizzate da un’emissione di colore tendente al bluastro-bianco, a differen-

19

dall’esterno, registra una temperatura media intorno a 12-14°C, con un picco di 10°C a gennaio e 7-9°C nel mese di febbraio. Gli altri sensori registrano temperature progressivamente maggiori in funzione della loro posizione più interna alla grotta. A partire dal sensore 6 si osserva una temperatura costante tra i 18 ed i 20°C. L’umidità relativa all’interno della grotta rag-

Fig . 19.1 - Illuminazione artificiale e presenza di visitatori sono tra le cause principali di alterazione degli ambienti ipogei (M. Delle Rose)

za della luce calda che ha una luce emessa di un colore che spazia dal rossiccio al giallo-arancio al bianco. Risultati La grotta risente delle variazioni esterne sino a circa metà percorso. Il sensore 1, più influenzato

giunge il valore di saturazione dopo il sensore 4. Il comportamento discontinuo registrato dal sensore 1, i cui valori oscillano tra l’80 ed il 90%, è dovuto alla sua posizione esterna, influenzata dalla vicinanza del mare. I sensori 2 e 3 hanno fornito valori di umidità prossimi al 100%. La formazione di condensa è assai più marcata sino alla metà del

186


19

Monitoraggio microclimatico della Grotta Zinzulusa (Castro, Lecce). Primi risultati

percorso turistico (all’incirca in corrispondenza del sensore 4) mentre, dopo, il fenomeno è ridotto in quanto l’aria esterna non arriva ad infiltrarsi e si

raggiunge un soddisfacente equilibrio termico tra le pareti della grotta e l’aria circostante.

Fig . 19.2 - Localizzazione dei sensori per il rilevamento di temperatura ed umidità relativa all’interno della Grotta Zinzulusa

Bibliografia citata Bonzano C., 1982 - Problemi sulla conserva­ zione dell’ambiente in grotte turistiche. Le Grotte d’Italia, s.4, 10.

Imprescia U., 1982 - Criteri di scelta delle sorgenti luminose per l’illuminazione di grotte turistiche. Le Grotte d’Italia, s.4, 10.

D’Agostino D., Beccarisi L., Siviero S., Cataldo R., 2008 - Primo contributo alla conoscenza della vegetazione della Grotta Zinzulusa (Castro, Lecce). Spelaion 2008, 6-8 dicembre 2008, Nardò.

Pesce G. L., 2001 - The Zinzulusa cave: an endangered biodiversity “Hot Spot” of South Italy. Nat. Croat., Zagreb, 10 (3), pp. 207-212.

187


Il testo è stato pubblicato in versione ridotta su SALUG JOURNAL Special Edition Spelaion 2008.

188


Software libero per la Speleologia Leonardo Beccarisi1, SaLUG (Salento Linux Group) Gruppo Speleologico Neretino

1

Esiste attualmente una vasta gamma di strumenti informatici a supporto dell’attività dello speleologo esploratore, studioso e divulgatore. La presente ricerca vuole fornire un orientamento sulla scelta del software che sia di buona qualità ed economicamente conveniente; questa è una scelta non sempre facile e scontata, poiché deve essere fatta all’interno di uno scenario, quello dell’Informatica, sempre più inevitabile, in forte evoluzione e pieno di contraddizioni. Di seguito sono illustrati alcuni tra i migliori software disponibili per la cartografia, la grafica e la gestione di database, cioè relativi ai campi applicativi che riguardano più da vicino l’attività speleologica. La maggior parte dei software sono stati selezionati dal mondo del software libero (free software), che rappresenta un campo in forte sviluppo ed è sinonimo di avanguardia, sperimentazione e libertà. In particolare si fa riferimento alla libertà di eseguire, copiare, distribuire, studiare, cambiare e migliorare il software (Free Software Foundation, 2008). In genere, la produzione di tale software è il risultato di un processo condiviso all’interno di comunità di persone che ne curano lo sviluppo, partecipano all’ottimizzazione della struttura e delle funzioni, elaborano la documentazione,

189

ne promuovono l’utilizzo. Tutto il software presentato in questo lavoro è disponibile gratuitamente, una condizione sufficiente, ma non necessaria perché tale software sia anche “libero” (Wikipedia contributors, 2008). In qualche caso, il software illustrato è di tipo freeware, che, diversamente dal software libero, è proprietario e non è ad architettura aperta, sebbene sia gratuito. E’ passato in rassegna sia il software specificamente progettato per l’uso speleologico, sia quello dedicato ad un utilizzo più generico, senza avere tuttavia la velleità di fornire un quadro completo. La qualità del software selezionato è valutata sulla base della ricchezza di funzioni, della semplicità d’uso, dell’affidabilità, dello stato di aggiornamento, della proprietà di essere multipiattaforma e della ricchezza della documentazione. Software dedicato alla Speleologia Topografia di grotta THERION Destinazione d’uso: Pacchetto per la realizzazione di modelli e disegni 2D e 3D di grotte.


Software libero per la Speleologia

Sistema operativo: GNU/Linux (pacchetto ufficiale di Debian, Ubuntu e Slackware), Unix, MS Windows, Mac OS X. Ultima release stabile: Ver. 5.2 (anno 2008). Descrizione: Lo scopo del software è di essere di aiuto nell’archiviazione e nella gestione dei dati dei rilievi, nel disegno di planimetrie e sezioni longitudinali, nella creazione di modelli tridimensionali di grotte. Therion è principalmente un’applicazione a riga di comando, che processa dati di input, forniti nel formato testo, e crea file di mappe e modelli tridimensionali. Il programma può essere utilizzato anche attraverso la sua interfaccia grafica XTherion, che fornisce tre funzioni principali: editor di testo (progettato ad-hoc), editor interattivo di mappe e compilatore di dati. Gli elaborati grafici possono essere esportati nei formati PDF, SVG, DXF, shapefile, ed altri ancora. I dati del rilievo possono essere esportati in file di codice SQL. E’ possibile utilizzare le scansioni degli schizzi di grotta come base per il disegno. Supporto per la lingua italiana: Sì. Documentazione: Diversi manuali ed articoli sono stati pubblicati, tra cui si citano Wookey (2004) e Mudrak e Budaj (2008). Inoltre, sono disponibili on-line FAQ, tips and tricks e diversi dati di esempio. Pagina web: http://therion.speleo.sk/. SURVEX Destinazione d’uso: Pacchetto per il rilievo topografico di cavità ipogee. Sistema operativo: GNU/Linux (pacchetto ufficiale di Debian e Ubuntu), MS Windows (a partire da Windows 95), Mac OS X, Unix, MS DOS, RISC OS. Ultima release stabile: Ver. 1.0.39 (anno 2005).

20

Descrizione: Gli autori del software dichiarano che esso è particolarmente dedicato al rilievo di estesi sistemi ipogei ed all’osservazione delle relazioni tra differenti sistemi ipogei all’interno di vaste aree geografiche. Survex è una suite di applicazioni a riga di comando o con interfaccia grafica. I dati dei rilievi sono inseriti e modificati con svxedit, che genera specifici file di testo da sottoporre come input allo strumento di elaborazione delle mappe: cavern. Quest’ultimo genera un file binario della mappa tridimensionale ed un file di testo contenente informazioni statistiche sulle tratte del rilievo. Aven è il programma per la visualizzazione delle mappe tridimensionali. Altri programmi gestiscono la stampa delle mappe, implementano gli errori del rilievo, consentono di esportare gli elaborati grafici nei formati testo o DXF. Inkscape *.3d Import Filter (http://www.thomasholder.de/projects/3dtosvg/) è un’estensione di Inkscape per importare mappe topografiche generate con Survex. Supporto per la lingua italiana: Sì. Documentazione: Manuale on-line. Disponibilità di dati di esempio. Pagina web: http://survex.com. TOPOROBOT Destinazione d’uso: Si tratta di un metodo per il rilevamento topografico di cavità sotterranee. Sistema operativo: Mac OS X. Ultima release stabile: Ver. 9.1.7 (anno 2006). Descrizione: Il progetto di sviluppo di Toporobot, iniziato nei primi anni ‘80, è stato per lungo tempo in prima linea nel campo della Topografia speleologica assistita dal computer. Toporobot è un “concetto” di topografia speleologica (Lismonde,

190


20

Software libero per la Speleologia

1998); esso annovera tre aspetti principali: un metodo di rilevamento topografico in campo, un programma di calcolo e di rappresentazione topografica (LimeLight), un metodo di archiviazione dei dati topografici. LimeLight consente l’inserimento e l’editing dei dati, la rappresentazione bi- e tri-dimensionale dei rilievi, l’esportazione degli elaborati in diversi formati tra cui DXF ed Illustrator. Supporto per la lingua italiana: No. Documentazione: Manuale disponibile, in francese (Lismonde, 1998). Pagina web: http://www.geo.unizh.ch/~heller/ toporobot/. WALLS Destinazione d’uso: Programma per la gestione di dati di rilievi di grotte. Sistema operativo: MS Windows (a partire dalla versione 98). Ultima release stabile: Ver. 2, B8 (anno 2008). Descrizione: Walls fornisce le seguenti funzio­ nalità: gestore del progetto, editor di testo per l’inserimento dei dati dei rilievo, elabozione delle mappe (bi- e tri-dimensionali) e visualizzazione (eventualmente anche effettuabile attraverso software specifici esterni). Gli elaborati possono essere esportati nei formati grafici vettoriali (WMF, EMF e SVG), shapefile ed altri.

TUNNEL Destinazione d’uso: Programma Java per il disegno di rilievi di grotte. Sistema operativo: Multipiattaforma Development Kit ver. 6).

( Java

Ultima release stabile: Data 9/2/2008. Descrizione: Tunnel lavora sulla base di dati delle poligonali strutturati anticipatamente nei formati SVX (Survex), TOP (Toporobot), PRJ (Walls), o altri. Il programma importa tali dati convertendoli nel proprio formato, che è lo XML. Tunnel consente di disegnare le pareti della grotta intorno le poligonali importate. Le scansioni degli schizzi eseguiti in grotta possono essere messe in registro con le poligonali ed usati come guida nel processo di disegno. Supporto per la lingua italiana: No. Documentazione: Tutorial ed esempi on-line. Disponibile anche un articolo dedicato (Loeffler, 2006). Pagina web: http://www.freesteel.co.uk/wiki/index.php/Tunnel. AURIGA Destinazione d’uso: Un programma per PDA (Personal Digital Assistant) per l’utilizzo, come sostitutivo del taccuino da rilievo. Sistema operativo: Palm OS 3.0 o successivo.

Supporto per la lingua italiana: No.

Ultima release stabile: Ver. 1.13 (anno 2008).

Documentazione: Sono disponibili il manuale (McKenzie, 2007) e dati di esempio.

Descrizione: Con Auriga è possibile registrare le misure del rilievo direttamente su palmare. Il programma consente di visualizzare graficamente la mappa della grotta mentre si procede col rilevamento. Inoltre fornisce statistiche, aiuta nella scelta delle tratte, gestisce gli errori delle misurazioni ed assiste il rilevatore nell’esecuzione dello schizzo

Pagina web: http://www.utexas.edu/tmm/sponsored_sites/tss/Walls/tsswalls.htm.

191


Software libero per la Speleologia

della grotta. Si interfaccia automaticamente con i software Compass e Visual Topo; Auriga non sostituisce questi software, ma si affianca ad essi, fornendo un complemento delle funzionalità. Supporto per la lingua italiana: No. Documentazione: Manuale on-line. Diversi articoli dedicati a questo software e tutorial sono di­ sponibili sulla pagina web. Pagina web: http://www.speleo.qc.ca/Auriga/.

20

in input (tra cui quelli per Survex e Walls) e 4 in output. Supporto per la lingua italiana: No. Documentazione: Manuale on-line. Pagina web: http://www.resurgentsoftware.com/ rosettastal.htm. Database di grotte SPELEOBASE

VISUAL TOPO Destinazione d’uso: Un programma per la topografia speleologica.

Destinazione d’uso: Per la gestione dei dati di grotte.

Sistema operativo: MS Windows.

Sistema operativo: MS Windows (dalla versione 98).

Ultima release stabile: Ver. 5.02 (anno 2008).

Ultima release stabile: Ver. 2.8.4 (anno 2008).

Descrizione: I dati di grotta vengono inseriti all’interno di una tabella in stile spreedsheet. Il programma effettua le elaborazioni fornendo mappe bi- e tri-dimensionali delle grotte. I dati possono essere esportati in Excel 97 e PLT (il formato di Compass). Documentazione: Manuale disponibile, anche in italiano.

Descrizione: Il programma è progettato per l’inserimento e la gestione di dati di grotte. Consente di associare ad ogni grotta più di 50 tipi di informazioni, compresi link a documenti esterni (file immagini, rilievi e pagine web); consente di elaborare tabelle sintetiche (formulate attraverso diversi criteri di selezione) e si interfaccia con Google Maps per la restituzione della localizzazione delle grotte sulla mappa fotografica. Esporta dati per GPS, software di rilievo, PDF e CSV.

Pagina web: http://vtopo.free.fr/.

Supporto per la lingua italiana: No.

Supporto per la lingua italiana: Sì.

Documentazione: Manuale disponibile. ROSETTASTAL Destinazione d’uso: Strumento di conversione di dati per differenti software dedicati al rilievo di grotte. Sistema operativo: MS Windows (98 o successivi) Ultima release stabile: Ver. 3.0 (anno 2001) Descrizione: RosettaStal riconosce 11 formati

Pagina web: http://www.scavalon.be/avalonuk/ software/speleobase.htm. Software di utilizzo generale Database e GIS Un GIS (Geographic Information System) è un sistema informativo computerizzato progettato per la gestione di dati spaziali, cioè dati di qualsiasi

192


20

Software libero per la Speleologia

tipo distribuiti all’interno di uno spazio geografico. Un geodatabase è il componente di un GIS dedicato all’archiviazione e l’interrogazione dei dati, e funziona, comunemente, come un sistema di gestione di database reazionali (RDBMS). Nell’ambito del software libero, sono disponibili alcuni strumenti di tal tipo di elevata qualità ed in forte evoluzione; infatti, c’è intorno ad essi un crescente fermento di associazioni e comunità che ne propongono l’utilizzo: ad esempio, OSGeo (Open Source Geospatial Foundation, http:// www.osgeo.org/) e GFOSS.it (Geospatial Free and Open Source Software, http://www.gfoss.it), il local chapter italiano di OSGeo. I tre software di seguito presentati sono integrati in alcuni live CD dedicati al GIS, con i quali è possibile sperimentarne l’utilizzo senza necessariamente eseguire l’installazione sul computer. Tra questi si cita The Italian GRASS DVD 3.0, un live DVD basato su Kubuntu, recentemente realizzato dal Centro Universitario per la Difesa Idrogeologica dell’Ambiente Montano dell’Università degli Studi di Trento (http://www.ing.unitn.it/~grass/ software/GRASS_DVDit.html). POSTGRESQL Destinazione d’uso: Database relazionale. Sistema operativo: GNU/Linux, Unix, Mac OS X, MS Windows. Ultima release stabile: Ver. 8.3.5 (anno 2008). Descrizione: PostgreSQL è un sistema di gestione di database relazionali orientato agli oggetti (ORDBMS). Esso implementa lo standard SQL ed offre molte caratteristiche avanzate e moderne: creazione di query, chiavi esterne, view, linguaggi procedurali, tipi di dati personalizzati, per citarne alcune. Esistono diverse interfacce per l’interazione con il software. PostGIS è un modu-

193

lo aggiuntivo che rende PostGreSQL in grado di gestire database spaziali per GIS. Supporto per la lingua italiana: Sì. Documentazione: Sono numerose le pubblicazioni dedicate, disponibili sia nel formato digitale su web che come opere tipografiche. Tra esse si citano i volumi di The PostgreSQL Global Development Group (2007a, 2007b, 2007c). Pagina web: http://www.postgresql.org/, http:// www.psql.it/. QUANTUM GIS (QGIS) Destinazione d’uso: GIS. Sistema operativo: GNU/Linux, Unix, Mac OS X, MS Windows. Ultima release stabile: Ver. 0.11.0 (anno 2008). Descrizione: Si tratta di un software GIS user friendly capace di trattare dati spaziali nei formati vettoriali e raster e database. Con QGIS è possibile visualizzare, interrogare e creare mappe, utilizzando anche il supporto per alcuni dei più diffusi standard di dati, come shapefile e geotiff. E’ dotato di una serie di plug-in per l’interfacciamento con GRASS, PostGIS ed hardware esterno come i GPS. Supporto per la lingua italiana: Sì. Documentazione: Diversi manuali sono disponibili sul web, anche in italiano. Pagina web: http://qgis.org/. GRASS Destinazione d’uso: GIS. Sistema operativo: GNU/Linux, Unix, Mac OS X, MS Windows.


Software libero per la Speleologia

Ultima release stabile: Ver. 6.2.3 (anno 2007). Descrizione: E’ un software dedicato alla gestione, elaborazione, modellamento spaziale e visualizzazione di molti tipi di dati, analisi dell’immagine e produzione di grafici. Comprende oltre 350 moduli per l’elaborazione di dati vettoriali e raster, bi- e tri-dimensionali. Ha diverse interfacce per l’integrazione con altri programmi di geostatistica, basi di dati, applicazioni geografiche su internet e altri pacchetti GIS. Può essere utilizzato sia come GIS desktop che come elemento principale di una più completa infrastruttura GIS. Supporto per la lingua italiana: Sì. Documentazione: La documentazione è vasta, sia disponibile sul web su supporto digitale che come opere tipografiche (Neteler & Mitasova, 2008). Sul sito degli utenti italiani di GRASS (http:// grass-italia.como.polimi.it/) è reperibile un’ampia gamma di pubblicazioni. Pagina web: http://grass.itc.it/. Altri software Una valida alternativa a GRASS è OSSIM, un avanzato programma di elaborazione di immagini geospaziali per il remote sensing, la fotogrammetria ed il GIS. E’ un software open source in continua evoluzione. E’ disponibile per piattaforme Mac OS X, MS Windows e GNU/Linux. (http://www.ossim.org/OSSIM/OSSIMHome. html). Con l’ausilio di OMAR, possono essere elaborati e gestiti geodatabase e web map services. Un’alternativa a PostGreSQL è MySQL (http:// www-it.mysql.com/); anche quest’ultimo è un programma avanzato per database, multipiattaforma, aggiornato, versatile ed affidabile; è in grado di gestire anche dati spaziali, ma con funzionalità che comunque non raggiungono il livello di quelle di PostGIS.

20

Un geodatabase può funzionare fornendo dati ad un web map server. Map Server è un software per lo sviluppo di servizi e applicativi cartografici su web. E’ veloce, flessibile, affidabile, multipiattaforma e può essere integrato praticamente con ogni software GIS (http://www.osgeo.org/ mapserver). Grafica INKSCAPE Destinazione d’uso: Editor per la grafica vettoriale. Sistema operativo: GNU/Linux, Unix, Mac OS X, MS Windows. Ultima release stabile: Ver. 0.46 (anno 2008). Descrizione: Inkscape è un programma per il disegno vettoriale che si basa sul formato standard SVG (Scalable Vector Graphics). Come per ogni programma di grafica vettoriale, ogni forma, riempimento, linea o contorno realizzato con Inkscape può essere ridimensionato facilmente e senza perdita di qualità, in quanto gli oggetti sono definiti a prescindere dal concetto di pixel e di risoluzione. Con Inkscape si possono creare layout per siti web, banner e loghi, si possono impaginare volantini o vettorializzare immagini bitmap. Supporto per la lingua italiana: Sì. Documentazione: Sono disponibili manuali online, sia per l’uso di base che avanzato, anche in italiano; inoltre, ci sono tutorial, tips and tricks e file di esempio. Pagina web: http://www.inkscape.org/. GIMP Destinazione d’uso: Editor di immagini. Sistema operativo: GNU/Linux, Unix, Mac OS

194


20

Software libero per la Speleologia

X, MS Windows.

Conclusioni

Ultima release stabile: Ver. 2.6.3 (anno 2008).

La produzione di software dedicati all’uso speleologico è quasi esclusivamente orientata alla Topografia di grotta. La scelta dell’uno o dell’altro software può essere ovviamente effettuata sulla base di criteri soggettivi, ispirati da specifiche esigenze applicative. Ma in generale, ognuno di essi si propone principalmente come strumento per il disegno tecnico. Alcuni fanno eccezione: Auriga è un software per palmari disegnato per l’acquisizione dei dati sul campo, nella fase di rilevamento. Speleobase è un software per la gestione di catasti speleologici. Esiste inoltre una nutrita serie di utility per il trattamento di dati topografici e la conversione di formati di dati (tale serie è rappresentata in questa nota solo da RosettaStal).

Descrizione: Gimp è un editor di immagini raster. Può essere utilizzato per il ritocco fotografico, la creazione e l’editing dei disegni, la creazione di animazioni, la conversione di formati. Sono disponibili numerose estensioni (oltre un centinaio) che consentono di ampliare le funzionalità del programma per rispondere a specifiche esigenze. Supporto per la lingua italiana: Sì. Documentazione: Le pubblicazioni dedicate a Gimp sono numerose, prodotte sia nel formato digitale e disponibili sul web, che come opere tipografiche. Pagina web: http://www.gimp.org/. HUGIN Destinazione d’uso: Creatore di panorami fotografici. Sistema operativo: GNU/Linux, Unix, Mac OS X, MS Windows. Ultima release stabile: Ver. 0.7.0 (anno 2008). Descrizione: Hugin è un software specificamente progettato per la manipolazione di serie di immagini fotografiche che, una volta cucite assieme, formano una sola immagine. Nella fase di elaborazione dei panorami, è possibile controllare la calibrazione ottica, apportare correzioni alla pro­ spettiva ed alle aberrazioni cromatiche. Supporto per la lingua italiana: Sì. Documentazione: Manuale (http://wiki.panotools.org/Hugin) e tutorial sono disponibili online. Pagina web: http://hugin.sourceforge.net/.

195

Gli sviluppatori di ogni software hanno elaborato uno specifico formato per i dati. Alcuni formati riscuotono un maggiore riconoscimento rispetto ad altri: ad esempio, quello SVX di Survex è implementato direttamente da alcuni software (Tunnel) ed è riconosciuto nelle funzioni di importazione ed esportazione di molti altri. Il pro­ blema dei diversi formati grafici esistenti (una decina in tutto) trova, fortunatamente, una soluzio­ne grazie all’esistenza dei software di conversione (RosettaStal). Molti programmi incorporano funzioni per esportare gli elaborati grafici in formati vettoriali standard, in particolare DXF (per CAD) e SVG, ed in qualche raro caso in shapefile; questo consente ai programmi di Topografia speleologica di interagire con gli applicativi grafici e GIS di utilizzo più generico. In tal senso, Therion offre una funzione che nessun altro software di Topografia speleologica possiede: può esportare i dati nel formato SQL, cioè nel formato tale che i dati possano essere incorporati nei database. Tuttavia nessun software è realmente in grado di interfacciarsi direttamente con i geodatabase. I geodatabase rappresentano il framework ideale per una gestione completa di dati speleologici.


Software libero per la Speleologia

Attraverso i geodatabase è possibile gestire in maniera coordinata oggetti grafici ed attributi dalle caratteristiche più svariate. Lo si fa controllando pienamente i sistemi di georeferenziazione, implementando dati di varia origine, analizzando i maniera anche molto sofisticata i dati, creando modelli matematici, lavorando anche in rete. Da questo punto di vista neanche Speleobase, che è un vero e proprio database, risulta essere soddi­ sfacente. Infatti, nonostante Speleobase sembri essere ben progettato, sia aggiornato ed incorpori la gestione di coordinate spaziali, esso non è un

20

geodatabase e, tra l’altro, soffre i limiti di essere stand-alone (gestione ed interrogazione possono avvenire solo sulla macchina su cui è installato) e di non essere multipiattaforma. In conclusione, è auspicabile lo sviluppo di moduli che migliorino l’interazione tra i programmi per il disegno tecnico di grotte ed i programmi per la gestione di dati spaziali. Nonostante ciò, lo speleologo oggi dispone di strumenti informatici potenti ed economici, in grado di soddisfare praticamente qualsiasi esigenza.

Fig . 20.1 - Rilievo di cava presso Gallipoli eseguito con il software Inkscape (GSN)

196


20

Software libero per la Speleologia

Bibliografia citata Free Software Foundation, 2008 - GNU Operation System. Free Software Foundation. http://www.gnu.org/ consultato in data 26 novembre 2008. Lismonde B., 1998 - Manuel d’utilisation de Toporobot . Toporobot France. Loeffler D., 2006 - Drawing up cave surveys by computer: the Tunnel software suite . Compass Points, 35, pp. 11-16. McKenzie D., 2007 - Walls. Project Editor.

1: SQL Language Reference. Network Theory LTD. The PostgreSQL Global Development Group, 2007b - PostgreSQL Reference Manual - Volume 2: Programming Guide. Network Theory LTD. The PostgreSQL Global Development Group, 2007c - PostgreSQL Reference Manual - Volume 3: Server Administration Guide. Network Theory LTD.

Neteler M., Mitasova H., 2008 - Open Source GIS. A GRASS GIS Approach. Third Edition. Spinger.

Wikipedia contributors, 2008 - Free software. Wikipedia, The Free Encyclopedia. http:// en.wikipedia.org/w/index.php?title=Free_ software&oldid=255172664 consultato in data 1 dicembre 2008.

The PostgreSQL Global Development Group, 2007a - PostgreSQL Reference Manual - Volume

Wookey, 2004 - Therion - State of the Art CaveDrawing Software. Compass Points, 33, pp. 5-12.

Mudrak S., Budaj M., 2008 - The Therion Book.

197


Il Gruppo Speleologico Vespertilio (GSV: www.vespertilio.it) svolge da oltre vent’anni un’attività di esplorazione e studio non solo delle cavità pugliesi, ma anche di grotte della Calabria, della Basilicata e della Campania. Grande attenzione è rivolta alla didattica, per la quale ci si riferisce alla Scuola Nazionale di Speleologia del CAI (v. canale youtube: www.youtube.com/user/GSVespertilio). Il Gruppo collabora con le istituzioni statali preposte al controllo e alla salvaguardia del territorio. Da una di queste occasioni nasce il presente contributo.

198


Gomme...da cancellare: la grotta che diventò discarica Gruppo Speleologico Vespertilio - C.A.I. Bari

Grave Grande Campanelli sembra non aver pace. Dopo i tristi avvenimenti del passato, ecco che la grave ritorna a far parlare di sé.

Nel controllare la cavità ci si è resi conto che la stessa era stata oggetto di scarico di pneumatici, ormai non più utilizzabili, da parte di ignoti.

Nel Maggio del 2008 un’operazione congiunta tra la Guardia di Finanza ed il Gruppo Speleologico “Vespertilio” del CAI di Bari ha portato alla luce del sole uno dei comportamenti umani più dannosi per l’ambiente, l’inquinamento del sottosuolo.

Tutta l’operazione è partita da un volo in elicottero effettuato da un finanziere, membro del Gruppo Speleologico “Vespertilio”. Durante il volo egli ha notato che a ridosso della cavità era presente la carcassa di un’auto incendiata e quindi ormai inutilizzabile.

199


Gomme...da cancellare: la grotta che diventò discarica

21

Fig . 21.1 - Arrivo sulle gomme

200


21

Gomme...da cancellare: la grotta che diventò discarica

Insospettito da ciò, ha provveduto a denunciare il fatto alle autorità di competenza, ossia la Tenenza della Guardia di Finanza di Andria, e al nostro gruppo speleoSi è proceduto, quindi, all’ispezione congiunta della cavità. Durante tale operazione si è riscontrata la presenza di un danno catastrofico dal punto di vista ambientale. Sono stati rinvenuti infatti circa 80 m3 di pneumatici adagiati sul fondo della grave. Tale calcolo è stato effettuato per difetto, considerando il rilievo accatastato della grotta, dal quale si è provveduto a sottrarre la parte della grotta non ancora ingombra di pneumatici. La vicinanza del “discusso” parco eolico, con la costruzione di nuovi strade in terra battuta per l’accesso alle pale dei mezzi usati per la loro costruzione, ha probabilmente facilitato l’accesso alla Grave dei mezzi usati per il discarico. Inoltre, proprio il passaggio dei mezzi di costruzione ha reso probabilmente impossibile ai contadini delle vicinanze notare la presenza di questi mezzi “non autorizzati” nel loro avvicinamento alla grotta.

201

Come esito dell’attività della Guardia di Finanza, la cavità in questione è stata messa sotto sequestro e la Guardia di Finanza stessa procederà alle indagini e alle denunce del caso. Successivamente si provvederà a un’azione di bonifica della grotta stessa, e benché la cosa presenti evidenti difficoltà tecniche, noi speleologi del GSV abbiamo garantito la piena disponibilità ad una collaborazione per questa futura fase, tanto più importante perché la grotta si trova in una zona a ridosso del Parco dell’Alta Murgia. Dare un segnale di sensibilità ambientale verso gli ipogei di cui è così ricca la Murgia, e in particolare il Parco stesso, è importantissimo. Purtroppo capita sempre più di frequente, in tutta Italia, che grotte a inghiottitoio e cave abbandonate vengano prese di mira per essere trasformate in discariche abusive. Serve la concreta collaborazione di tutti perché questi episodi vengano evitati, denunciati e risolti con la necessaria bonifica. Specialmente noi speleologi siamo chiamati ad una più costante e vigile attività di controllo e denuncia a favore degli ambienti che ci stanno così tanto a cuore.


202


Passeggiata nel Parco di Porto Selvaggio e Palude del Capitano Massimiliano Beccarisi

L’8 dicembre 2008, di buon mattino, mentre nelle pittoresche sale della Masseria Torre Nova si tenevano le consuete riunioni della Federazione, un gruppo di persone vicine alla speleologia, familiari o semplici curiosi si ritrovava con le guance al vento di tramontana per cominciare una passeggiata nell’ormai famoso Parco “Porto Selvaggio e Palude del Capitano”. Le due ore a disposizione per l’escursione permettevano di raggiungere la spiaggetta di ciottoli, meta ambita di frotte di bagnanti e villeggianti, che durante il periodo invernale conserva intatta la sua capacità di parlare di sé, sovrastata da Torre dell’Alto (verso sud) e protetta dal versante scosceso ricoperto da una troneggiante pineta che anno dopo anno ritrova e riscopre il suo carattere naturale. Il sentiero imboccato sulla strada litoranea che porta a Sant’Isidoro dà lo spunto per una breve introduzione da parte delle guide del GSN sul perché pochi ettari di territorio possano essere definiti uno “scrigno dei tesori”: tesori naturalistici, preistorici, storici e paesaggistici. La Grotta del Cavallo (v. foto a pag. 163), con i depositi preistorici databili fino a 110 mila anni fa è solo una parte di questo patrimonio, perfettamente inserita nella cornice della Baia di Uluzzo la cui vista, sebbene viziata dal freddo vento del nord, ha lasciato senza fiato gli im-

203

pavidi visitatori. Le specie floreali abbarbicate sulle rupi, esposte al sole ed alla salsedine hanno suscitato, romanzate dagli esperti, la curiosità di grandi e piccini. La percezione della vastità e della maestosa bellezza della Baia con le sue pareti a picco sul mare, l’acqua dal blu intenso e Torre Uluzzo a sorvegliarla, era espressa anche dalla tenacia di piante resistenti ad alte concentrazioni di sale, tra le quali endemismi di cui il Parco non è parco! (gioco di parole, ndr)... Il gruppo ascoltava diligentemente. Si guidava l’attenzione dei più piccoli alle accortezze da avere in un luogo del genere: non raccogliere nulla da terra e non asportare piante o parti di esse, perché tutto è parte di un processo naturale che spesso sfugge ai nostri occhi... Il sentiero, una delle tante linee tagliafuoco che attraversano la pineta, porta giù dritti alla spiaggetta dove è il momento delle foto di gruppo e di famiglia. Non c’è tempo, purtroppo, per una breve chiacchierata sulla roccia, su quel calcare così compatto da aver consentito all’uomo preistorico di costruire degli utensili, per riuscire ad immaginare una linea di costa molto più in basso ed una radura dove pascolavano i cervi e dove l’acqua dolce sgorgava da sorgenti naturali. Un assaggio del Parco, una introduzione, un gusto da assaporare durante la risalita verso la Masseria.


204


I manifesti delle edizioni di Spelaion 1996-2008

205


206


207


208


Epilogo Spelaion 2008... … è stato incontro tra speleologi e altri frequentatori di grotte. … è stato un momento dedicato soprattutto all’informazione in cui i singoli ed i gruppi hanno esposto il proprio lavoro di ricerca. Ebbene sì! Al di là di ogni demagogia accademica gli speleologici fanno ricerca, e lo dimostrano. Sono scienziati con un anima. … è stato denuncia. L’indignazione nel vedere e più direttamente toccare lo schifo generato dall’ignoranza, lo sporco che imbratta la calcite ma poi si traduce in una forza organizzata che denuncia. Qualche esempio: “Puliamo il buio”, la voragine di Gallipoli, il canale dell’Asso, alcune sequenze della proiezione 3D “Ambienti Carsici” di Danieli. … è stato un invito. Un invito rivolto all’amministrazione pubblica perché prendesse coscienza che l’associazionismo non servile può ancora esistere ed è in grado di produrre ricchezza. Un invito rivolto agli stessi speleologi affinché seguissero nuove strade, sperimentassero nuove opportunità: Naica, il software libero. … è stato sintesi. Storie raccontate con arte e passione: “La lunga notte”. … è stato indagine retrospettiva. Si è guardato più volte al passato, con rispetto e commozione, anche verso chi non c’è più. Ecco cosa è stato Spelaion 2008. Speriamo lo si possa capire leggendo questo volume. C’è un’ultima cosa che non è stata detta. Ci son voluti diversi mesi per l’allestimento della manifestazione e circa tre anni per la preparazione di questo volume. Immaginiamo qualche biasimo rivolto verso il nostro lento (pigro?) operato. Non ci vergogniamo di ciò. Il GSN è un’associazione, un gruppo di amici. Non ha nessuna parvenza di impresa, nessuna ottimizzazione delle proprie funzioni. Quello che si è fatto bisogna considerarlo un “prodigio” realizzato grazie allo sforzo volontaristico dei soci del Gruppo Speleologico Neretino. Spelaion 2008 è un prodotto di quest’azione appassionata e libera. Anche questo volume lo è, libero anche di essere distribuito (si vedano le condizione della licenza a pag. 2).

209

Spelaion 2008


Indice delle immagini: Pag. 8: Una partenza dal ciglio della scarpata delle Mannute, Castrignano dei Greci (M. Delle Rose). Pagg. 20-21: Uno scorcio della Palude del Capitano, Nardò (M. Delle Rose). Pagg. 24-25 e 26-27: Masseria Torre Nova, Nardò (C. Beccarisi). Pagg. 28-29: Naica: Cueva de Los Cristales (F. Lo Mastro – La Venta – S&F). Pagg: 38-39: Attrezzatura speciale per esplorazione di ambienti con condizioni termiche estreme (C. Beccarisi, elaborazione grafica S. Marasco). Pag. 40: Isidoro Mattioli, colui che individuò l’accesso alla Grotta dei Cervi, al cospetto di alcuni pittogrammi (per gentile concessione Archivio I. Mattioli). Pagg. 50-51: Grotta della Fovea (A. Marangella). Pagg. 58-59: Una fase delle esplorazioni congiunte VVF – GSN nelle cave sotterranee di Gallipoli, anno 2008 (M. Delle Rose). Pagg. 68-69: Gallipoli, 30 marzo 2007: Vigili del Fuoco del nucleo SAF valutano le condizioni di pericolo a ridosso della voragine (M. Delle Rose). Pagg. 70-71: Ambienti semi-allagati in una cava ipogea di Altamura (G. Ragone/CARS). Pagg. 80-81: Speleologi ed operatore sul fondo della Vora Grande di Barbarano (Archivio GSN). Pagg. 86-87: Uscita da una grotta subacquea dopo un’esplorazione (G. Quarta). Pag. 92: Esercitazione di Primo Soccorso Sanitario (G. Cacciatore). Pagg. 98-99: Un aspetto dello stato di degrado di Grotta delle Fate (M. Delle Rose). Pagg. 106-107: Una fase della disostruzione della Vora (piccola) del Parlatano, Nardò (M. Delle Rose).

210


Pagg. 112-113: Spelaion 2008, l’apertura dei lavori (T. Danieli). Pagg. 114-115: Spelaion 2008, una pausa dei lavori (T. Danieli). Pagg. 116-117 e 118-119: Due immagini elaborate dal film “La lunga notte” della Bebertu Videodeep. Pagg. 120-121: Lu Furticiddhu, uno dei “massi della vecchia”, Giuggianello (M. Delle Rose). Pagg.122-123: La discesa in un pozzo carsico (Archivio GSD). Pagg. 126-127: Spelaion 2008, la stanza dei poster (C. Beccarisi). Pagg. 136-137: Spelaion 2008, proiezione 3D “Ambienti carsici” (T. Danieli). Pagg. 138-139: Spelaion 2008, la sala reception (T. Danieli). Pag. 140: Un rappresentante dei First Nation del Canada, in abito da cerimonia (N. Marras). Pagg. 144-145: Spelaion 2008, momento conviviale (T. Danieli). Pag. 148: Il Totem (C. Beccarisi). Pagg. 150-151: Spelaion 2008, la stanza dei poster (C. Beccarisi). Pagg. 152-153: Esemplari di Cerianthus (A. Costantini). Pagg. 172-173: Il parco delle pozzelle, Castriagnano dei Greci (M. Beccarisi). Pag. 178: Alghe verdi endolitiche, Grotta Zinzulusa (L. Beccarisi). Pagg. 184-185: Particolare di una comunità vegetale, Grotta Zinzulusa (L. Beccarisi). Pagg. 198-199: La Grave Grande Campanelli (Archivio GSV). Pagg. 202-203: Porto Selvaggio (M. Beccarisi).

211


212


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.