Principi elementari sulla storia della vita di
Enrico Marra
Introduzione Questa è una riflessione, che si pone tra l'uomo e la religione, tra la religione e la scienza. Una riflessione che cerca di vedere l'uomo, la sua origine, la sua storia, in rapporto all'universo. L'uomo ha sempre sentito il bisogno di spiegare a se stesso; la provenienza, il suo essere, il senso della vita. Sono domande intrinseche ad un essere di intelligenza superiore come l'essere umano. Sin dalle prime civiltà che si registravano nella nostra storia, l'uomo si è accontentato di spiegare tutto fantasticando sull'esistenza di esseri superiori. L'inesplicabilità ha stimolato i sogni, piuttosto che la ricerca. Da li l'uomo ha inventato la trascendenza, l'immaterialità, l'inintelligibilità, praticamente; una verità che un essere materiale come
l'uomo: non può constatare. Ora, come è possibile che l'uomo dotato di intelletto abbia cercato la verità in cose che non riesce neanche ad immaginare. E quel che è peggio, è che persiste a farlo anche dopo le ineccepibili risposte scaturite dagli ultimi 500 anni di ricerche scientifiche. L'uomo, ha preferito fare a se stesso domande alle quali non potrà mai dare risposte attendibili. Penso sinceramente che sia un'offesa all'intelligenza umana continuare con queste domande. La potenza intellettuale dovrebbe essere usata per rendere più agevole e felice la vita dell'uomo. In fondo, qui viviamo, qui siamo sensibili, qui soffriamo e abbiamo bisogno. Possiamo ben dire che la scienza con le scoperte chimiche e biologiche, ci insegna che siamo il frutto di numerosi ed incredibili processi cellulari, molecolari, fisici, che hanno dato frutto alla
vegetazione e agli animali. E negli animali è implicito l'uomo con la sua evoluzione forzata dall'adattamento. E' la verità, i nostri antenati non avevano la ragione e intrinseca la capacità di pensare, praticamente: eravamo dotati di puro e semplice istinto, quello che noi chiamiamo "istinto di sopravvivenza", che e istinto anche in tutti gli animali e in tutti gli elementi organici che fanno parte di questa natura. Con l'avvenimento della ragione l'uomo cominciò a fare l'analisi di se stesso e di ciò che lo circondava. Aristotele divise la natura in tre facoltà: vegetale, sensitiva e razionale, peculiarità umana. Ma la storia ci insegna quanto effettivamente l'uomo non abbia saputo usare la propria ragione. Pur avendo la potenza e la logica dalla sua parte, ha espresso in atto la sua istintività. Ora, prima di fare l'analisi razionale dell'uomo, in rapporto alla scienza, alle religioni, alla filosofia,
vorrei sottoporre all'attenzione di chi legge, l'inesattezza che ha regnato e che regna nella mente dell'uomo. Chi è fermo nel credere, non deve aver paura di una visione razionale delle religioni, o della metafisica che implica teologia e filosofia. E' forse sensato basare la vita sulle risposte che religioni o altre dottrine propinano all'uomo? Proviamo a pensare: innanzi tutto se una sola dottrina di queste avesse la certezza che solo una di queste va al di là delle ipotesi formulate e riformulate, tutte le altre non avrebbero senso di esistere. Ed è lapalissiano dire che la comune convivenza delle stesse; si basa proprio su queste ipotesi. Solo ipotesi ripeto. Tanti sono gli alberi ma nessuno ha mai dato frutti. Al contrario la scienza, gli scienziati hanno migliorato le condizioni della nostra vita. Costoro non saranno Dio nell'ipotetico "al di là "; ma certamente lo sono stati nellal di
qua". La scienza al contrario di tutte le altre dottrine, si affida alla razionalità e alla logica. Esistono dei dogmi in alcune dottrine che offendono l'intelligenza dell'uomo. Chiedono di credere, di investire gran parte della nostra vita, in base a una fede fondata sulla semplice incertezza. L'Anima e la Sua Esistenza Le religioni affermano che noi abbiamo un’anima che sopravvive al nostro corpo. E' vero? In realtà quello che noi chiamiamo anima non potrebbe essere l'insieme delle nostre facoltà intellettive sentimentali e sicuramente biochimiche e comunque manifestazioni di energia, ripeto energia colei che al di là delle ipotesi fa parte di questo
universo:quello materiale. Giustamente l'uomo prima di chiedersi se esiste l'aldilà:dovrebbe chiedersi se esiste l'anima. Le discussioni sull'anima cominciarono ovviamente con i primi filosofi e le prime religioni. La deduzione è che sull'argomento sono state formulate un gran numero di ipotesi,costruiti imperi e dottrine. Ma è dell'anima che bisogna parlare se si vuol raggiungere un brandello di verità inerente a Dio e l'aldilà. Da Pitagora l'anima fu definita un entità immortale che abita nel nostro corpo finché esso vive,poi si trasferisce in un altro e in un altro ancora (teoria della metempsicosi). Da Platone l'anima fu definita una sostanza immateriale e nettamente distinta dal corpo, dopo la morte essa non trasmigra in altri corpi ma segue un destino dettato dalle qualità più o meno meritorie del suo comportamento etico durante la
vita. Democrito, Epicuro e gli altri atomisti definirono l'anima una sostanza materiale costituita da atomi più leggeri e mobili di quelli che costituiscono le altre cose. Per Aristotele l'anima è tutto,il principio vitale ossia la forma dell'essere vivente, l'essenza, la potenza in atto e in movimento. In altre parole:la ragione per cui un essere è e si comporta. Egli distingue tre tipi di anime:anima vegetativa, sensitiva e razionale. Tommaso D'Aquino riconoscendo la teoria Aristotelica né affermò l'immortalità. Cartesio concepì l'anima come il pensiero,egli affermò che nell'universo ci sono due tipi di sostanze:sostanza pensante e sostanza estesa. L'uomo è formato da ambedue; ma precisò che l'anima non è materiale, secondo lui l'anima pensandosi rivela a se stessa la propria esistenza. Per Spinoza l'anima è Dio che agisce nell'uomo non potendosi
mai staccare da esso. Kant pur ammettendo in sostanza l'esistenza dell'anima che esso definisce un noumeno ossia un qualcosa che è squisitamente metafisico ma non manifesto e quindi inconoscibile e indeterminabile. Per il Cristianesimo come tutti sappiamo l'anima è un’entità a se stante creata direttamente da Dio, data ad ogni essere umano al momento in cui viene concepito. Dopo la morte torna a Dio per essere direttamente da lui giudicata. Il Buddismo vede l'anima come un’entità spirituale che segue un processo di evoluzione che la fa ascendere per successive incarnazioni, dall'animale all'uomo e dall'uomo alla divinità. Questo attraverso un alternarsi di elevazioni a secondo delle virtù o dei vizi. Il continuo doversi incarnare è il tanto temuto male della trasmigrazione (già presente nei Pitagorici). Per
evitare la trasmigrazione l'uomo deve riuscire a conseguire la totale assenza di desideri e ogni attaccamento alle cose del mondo qualsiasi siano: il che significa vivere così assurdamente da non avvertire quasi più il corpo: praticamente essere soltanto anima. So di essere stato noioso e banale; ma pensate un attimo: cos'è che ha spinto l'uomo a credere di essere costituito da due entità? Perché non si è contentato del solo corpo? A mio avviso la genesi dell'anima nasce proprio dal non accettare la limitatezza della vita, dal vedersi accomunati agli altri animali in necessità e comportamenti, dall'intollerante miseria di tempo che abbiamo da vivere e soprattutto dal desiderio di un esistenza libera da tutti i mali che affliggono la vita terrena. Praticamente la ricerca dell'uomo è stata basata più su criteri emozionali che su concetti razionali. Vagliando anche l'ipotesi
che al di là del mondo materiale (implicita l'energia)la ragione non conta, il suo potere può essere esercitato solo nel nostro mondo: quello materiale. Al di là dell'universo materiale possiamo solo inventare non trovare e l'anima è appunto una di queste. Infatti immateriale vuol dire: totalmente privo di materia. Come è possibile in linea di logica l'esistenza di un qualcosa di cui non esiste nulla? Questo significato è stato modificato, manipolato a secondo delle necessità dei filosofi, teologi o pensatori in genere. Gli intellettuali sono capaci di dare miriadi di significati diversi alla parola nulla. Ma qui nulla ha solo un senso, vuole significare la sua peculiarità; senza nessuna manipolazione, quello che tutti i vocabolari le attribuiscono:nessuna cosa. Deduzione banale ma dove c'è il nulla non può esserci nulla...Infatti come può un essere immateriale
contattare o essere contattato? Con quale mezzo? Come può l'immaterialità manifestarsi alla materialità? Per farlo in linea di logica dovrebbe manifestarsi materialmente. Ma il nulla ossia nessuna cosa può diventare qualcosa? Se l'anima esistesse, come potrebbe agire sul nostro corpo o cervello non avendo mezzi materiali per farlo? Possiamo obbiettare che sostenere che l'anima o Dio siano immateriali è lo stesso che dichiararsi ateo (immaterialità è sinonimo di nulla), essa non avrebbe i mezzi manifestarsi. Dunque Dio può anche esistere ma se esiste deve essere per forza materiale. Qui decade la definizione principio vitale, essenza, spirito e altro; visto che si presume di indicare quel qualcosa che rimane di un corpo dopo avergli tolto l'odore, il peso, il colore, la consistenza.....insomma tutto ciò che di esso è percepibile: materiale.
E se da un corpo togliamo tutto questo:praticamente lo annulliamo. In verità credo che la vita esiste così come esiste....e non potrebbe esistere diversamente da come esiste. I sentimenti? I pensieri? Sono anch'essi identità immateriali? Se li percepiamo e non solo li percepiamo ma li generiamo li constatiamo negli altri: debbono necessariamente essere materiali. Poiché se fossero immateriali dovremmo ammettere che percepiamo e constatiamo il nulla. Un pensiero può far sorridere, muovere un arto, eccitare, generare sentimenti, atti, amore; come potrebbe causare ciò se fosse immateriale o se non partecipasse minimamente alla materialità. Dunque un pensiero è un impulso o energia generata dal cervello e da questi trasmesso alla parte del nostro corpo che riesce ad influenzare e coinvolgere. Tutti sappiamo che l'energia è materia.
In altre parole noi pensiamo non perché abbiamo un’entità a se stante che ci consente di farlo..... ma bensì perché abbiamo un organo (il cervello) che attraverso processi biochimici genera il pensiero. Quindi la facoltà di pensare non si può attribuire all'anima, identificarli è come dire o ammettere che esiste prima il pensiero e poi il cervello. Una funzione è sempre posteriore all'esistenza di un organo: è una derivazione. Ora, sono pronto a mettere in discussione tutto e, padroni tutti, di credere quello che volete: ma la ragione NO. Non che la ragione o la logica siano verità assolute, ma se ci atteniamo ad esse dobbiamo avere chiaro che credere e ragionare non possono coesistere. Personalmente preferisco la concretezza all'astrattezza, la chiarezza alla nebbia, oppure dovrei credere, avere fiducia come dice l'etimologia della parola? In cosa?
Ipotesi?......NO grazie.....Credo che Dio possa influire sull'uomo soltanto nella vita terrena poiché solo in questa vita (attraverso i sensi) possiamo percepirlo. Abbiamo visto che tutte le nostre attività fisiche intellettive sentimentali sono comunque manifestazioni dell'energia (materia) e in linea di logica non dovrebbe esistere nessun al di là e probabilmente la vita si svolge tutta nell'aldiqua. Destabilizzante? Pensiamo un attimo: forse è proprio il credere che ci sia questo giudizio supremo nell'aldilà che ha ritardato l'evoluzione razionale dell'essere umano. Questo concetto fu percepito dagli illuministi e da moltissimi intellettuali della storia...Come è possibile che nulla è cambiato? L'aldilà è stato la più grande scusante che ha fatto e fa tutt'ora crogiolare l'uomo nella vita, lasciandola al caso. L'aldilà non
lascia l'uomo nella coercizione di rendersi felice, al dovere verso se stesso di appagarsi in questa vita. In questo mondo che è indubbiamente quello della scienza l'uomo non è ancora libero dai sogni del passato. Ultima considerazione da fare: nella scienza quando uno scienziato pone ai propri colleghi una scoperta con prove incontrovertibili, nessuno si sogna di obbiettare, ma è accettato come dato di fatto. E per rispetto della logica, ragione o intelligenza che sia, anche nelle religioni o per chiunque professi una qualsiasi verità, dovrebbe essere adottato lo stesso metodo. La Filosofia La filosofia è una stupenda ricerca, ma c'è qualcosa che l' uomo non potrà mai avere da essa. Il grande Kant, che può benissimo essere considerato da noi il punto e
basta di una acutissima ricerca metafisica, ci lascia un grande messaggio: la verità assoluta ed impensabile, inconoscibile, introvabile, e perciò l' inattendibile della mente umana. Ora io penso che la filosofia dovrebbe occuparsi dei problemi reali dell'uomo, basta con le astrusità metafisiche. Non si può negare il bisogno di una filosofia reale, che si ponga di fronte al processo materiale e spirituale dell'uomo. Nella filosofia è insita la saggezza, che è la madre di tutte le virtù. La saggezza che permette la giusta soluzione o il giusto comportamento in qualsiasi problema nazionale. Lo so, dalla gran parte delle persone la filosofia non è tollerata, ma non la filosofia in se che è indigesta, è l'incapacità di chi la divulga. Tra le tante motivazioni di intolleranza della filosofia c'è l'ermetica. Ed è proprio l'ermetica che ha
distanziato il filosofo dall'uomo. Ma l'umanità non ha bisogno dell'apporto dei filosofi? Platone, uno dei più importanti esponenti della ricerca metafisica, per aver concepito il mondo delle "idee" (degli universali o degli assoluti), ci dice, in una famosa opera: di tutte le ricerche, la più nobile e la più bella è proprio questa; indagare, quello che debba essere il comportamento dell'uomo, cosa debba fare, fino a quale termine, sia da giovane che da vecchio. Ma si! Anch'io talvolta nella vita non agisco correttamente, ma sappiate che non lo faccio perché lo voglio, ma per ignoranza. E ancora: i nostri ragionamenti hanno per contenuto un argomento, ma per chiunque abbia un minimo di senno non può non prendere in considerazione come padre degli argomenti, in quale modo si debba vivere. Tant'è vero che se l'uomo sapesse cosa è buono per lui, oggi avremmo un mondo migliore. Nella
vita ognuno di noi crede di avere la giusta cura per tutti i mali, ma se l'uomo fosse più umile rispetto alla conoscenza avremmo sicuramente più cognizione e saggezza rispetto alla vita e all'universo. Nella saggezza troviamo forse brandelli di verità, la verità e il giusto rapportati a qualsiasi problema si avvicinano sempre alla migliore soluzione. Sempre Platone in una sua opera disse: << se incontrate un filosofo che non serva a far vivere meglio, salutatemelo tanto>>. Penso a volte che come si va da un medico per curare o migliorare le condizioni del nostro corpo, così, dovrebbero esistere dei saggi o persone che abbiano una cognizione della vita in tutta la sua grandezza superiore alla nostra per evitare di subire ed imparare a dominarla. Aristotele: << se la saggezza non si pone tra l'errore e l'uomo può benissimo accadere che sia l'errore a sconfiggere l'uomo>>.
E possiamo dire che per saggezza si intende ragione e logica: usate assennatamente e umilmente sono l'unica arma per alleviare la sofferenza dell'uomo. Al di là dei sogni in linea di logica non esiste nulla, e comunque, i sogni come la logica sono umani e soggetti ad errori di codificazione. Certamente più avanti cercheremo di dare una visione più scientifica da prendere in considerazione prima di tirare le somme sulla veridicità delle opposte teorie. Infatti, come possiamo non renderci conto dell'instabilità delle religioni! Come si può parlare di verità basandosi su cose scritte alcuni millenni fa! Ancora non esistevano la fisica, la chimica, la biologia che potevano comunque dare una spiegazione più razionale sulla vita e sui processi della stessa. Sostenere oggi di essere detentori della verità è un non senso, abbiamo nei confronti del passato
una conoscenza molto vasta dai primordi dell'universo in poi. Lâ&#x20AC;&#x2122;uomo da mammifero quale era si è evoluto e si evolverĂ fino a sfruttare il massimo delle sue capacitĂ sia fisiche che intellettive. E quando parliamo di mammifero-uomo parliamo di un processo, oserei dire, al culmine dell'evoluzione umana. Evoluzione Tutti gli organismi sono partiti da una bisogno comune:il bisogno di carbonio e di energia, le piante si costruiscono da sole il cibo con la fotosintesi, utilizzando l'anidride carbonica nell'aria e l'energia del sole. Gli animali uomo compreso non sono capaci di costruirsi il cibo da soli: debbono per forza magiare le piante o gli altri animali che mangiano le piante. Quindi mentre le piante possono rimanere al sole senza bisogno di muoversi gli
animali sono costretti al movimento e allo sviluppo di organi sensibili all'ambiente. Ecco perché sono diventati più intelligenti delle piante. Ma come si sono differenziati dalle piante dal momento che provengono ambedue dalla cellula? Effettivamente lo sviluppo dell'intelligenza e dovuto proprio dal sapersi muovere, dall'acquisire sempre un controllo migliore dell'ambiente. Le cellule svilupparono una maggiore sensibilità alla periferica del corpo in modo da reagire più efficacemente. Attraverso la selezione naturale le cellule si moltiplicarono e si migliorarono sempre di più rispetto alle esigenze dell'ambiente. Da lì, le cellule nervose vennero protette da un corpo e venne così a svilupparsi una rete nervosa; con i suoi impulsi o informazioni. Quello che è interessante da sapere è che il tutto si concentrò nella parte frontale
(nella testa) quella che esplora. Essa venne protetta da un cranio osseo. Dopo milioni di anni, attraverso mutazioni casuali e selezioni che hanno favorito i più sviluppati cerebralmente: è apparso l'uomo. Nel corso dei tempi l'uomo si è dimostrato di gran lunga il più bravo a fornire risposte flessibili, trovando o inventando ogni volta soluzioni più adatte ad ogni situazione. La sua capacità di associare memorie, anticipare conseguenze, costruire idee, gli hanno permesso di avanzare più velocemente nella storia dell'evoluzione. Ora, abbiamo visto che l'uomo è senza dubbio il frutto di incredibili processi che si sono verificati sulla terra, ha superato i limiti di qualsiasi processo attinente all'adattamento. L'uomo è arrivato all'amore, all'amicizia, a capire la sua sofferenza fino a chiedersi il senso della sua esistenza. Siamo arrivati a capire che più siamo a conoscenza
più riusciamo a dominare e risolvere le occorrenze della vita. Effettivamente il nostro grado di intelligenza ci porta a chiederci se tutto ciò che desideriamo, tutto ciò che facciamo tende a conseguire un qualcosa che alla fine darà al tutto una risposta, una giustificazione, un senso. In fondo chi nasce è costretto a vivere e chi vive è costretto ad imparare e a soffrire. La vita è più nemica che amica a chi viene al mondo. Tanti dicono che la vita prima si vive e poi si impara, io penso che non si impara neanche dopo averla vissuta: questa è la tremenda e crudele beffa che ogni essere umano porta con se. Vivere è come fare un affare, non ci si può né rimettere né andare pari....è difficile creare gli anticorpi per debellare le infezioni che la vita ci propone....come è impossibile indovinare la vita. E' necessario accettare di essere nuovi alla vita...inesperti...ed è proprio perché
questa esperienza è nuova...unica...per questo dovremmo ingegnarci a fare di essa un'esperienza piacevole...anche se il massimo della felicità non compensa la crudeltà della vita. Penso che il nostro intelletto sia saturo di ottusità. I luoghi comuni la fanno da padroni e noi che siamo semplici spettatori e raramente protagonisti.... La vita....... che commedia.... Epicuro disse: <<il bene al quale l'uomo tende per natura, con tutte le sue forze, è l'insieme delle più capaci e sagge soluzioni o decisioni che si possono dare ai problemi che la vita pone>>. Praticamente, come con la salute, ci comportiamo come se fosse scontato stare bene, con la coscienza facciamo la stessa cosa. Ma possiamo pretendere di essere felici senza fare nulla per esserlo? In fondo: la salute in parte si può conservare e noi siamo arrivati a un buon traguardo grazie al minimo di
etica comportamentale che abbiamo imparato. Ma la presunzione dell'uomo ci distanzia ancora molto dalla possibilità avere una coscienza umile della vita. Basta con le visioni metafisiche, ciò che non è risolvibile per la nostra razionalità è di per se stesso inintelligibile e chiaramente immodificabile. E ciò che è immodificabile cessa di essere un problema per l'uomo: è dato di fatto. Esempio: la morte è un problema? Sicuramente non sono sempre i problemi che ci rendono la vita difficile ma siamo anche noi che gli rendiamo la vita facile. I cimiteri sono un preziosa fonte di conoscenza lì capiamo il vero valore dell'esistenza: il tempo. Il tempo è la moneta più preziosa da spendere non i soldi. Quanto né sprechiamo? Luoghi comuni, file, stati d'animo che ci portiamo dietro più del dovuto: un uomo secondo me dovrebbe essere giudicato più per
come spende il tempo che per come spende i soldi. Se vogliamo sapere come ci comportiamo dobbiamo vedere come ci trattano gli altri... La Religione Reputo la religione uno dei più grandi problemi dell'uomo,in quanto,in nome di una verità che egli stessa non conosce,esercita e ha esercitato nella storia un influenza a dir poco incommensurabile. Nel vangelo è scritto: <<beati coloro che crederanno senza aver visto>>. Da duemila anni la chiesa ribadisce che uno dei più grandi meriti dei credenti è quello di ritenere certe verità delle verità religiose, senza avere prove, senza approfondire e soprattutto senza indagare per trovarle. In verità: basterebbe leggere la bibbia ragionando. Praticamente il merito di un
credente è quello di avere una fede cieca. Attenzione però: a un cieco si può far credere qualsiasi cosa, il cieco è soggetto a dipendere, ma supponiamo gli ritorni la vista: cesserebbe per lui ogni indebita sudditanza, cesserebbe la possibilità di fargli accettare come esistente ciò che i suoi occhi possono constatare. La vista di cui si parla è ovviamente la “ragione”. Tutte le religioni affermano incessantemente di essere la verità, ma se fossero la verità; perché temono così tanto l’indagine della ragione? O meglio la capacità accettare o considerare accettabile solo ciò che passa attraverso il filtro della logica e della sensatezza. Da quando in qua la verità ha paura della ragione? Tra tante religioni qual è quella vera? Ogni credente crede di essere nel giusto e nel vero e per appurare qual è il vero certamente bisognerebbe vagliare tutte le religioni; i dogmi, la loro
ragione di esistere: ma per farlo è coercitivo usare la ragione. Praticamente quello della fede cieca non è un comportamento assennato: dove esiste la ragione la fede non ha modo di esistere. Quindi se un ragionamento risulta sfavorevole alla credibilità di una data religione, ciò dipende solo dall’intrinseca fragilità della stessa e non dal ragionamento... Per non parlare poi del fanatismo religioso, dell’intolleranza, arabi, ebrei, cattolici, l’intera storia delle religioni con i milioni di morti causati da esse… L’intera storia di Israele e tutti i popoli coinvolti, le guerre di religione tra medio ed estremo oriente, le persecuzioni di ogni tempo, le crociate, la guerra dei trent’anni, le crociate contro gli albigesi, l’inquisizione. Aggiungendo poi i roghi le discriminazioni i favoritismi, ci si persuade che non sto esagerando
né esasperando. Oltre al fatto che hanno sempre ostacolato ogni iniziativa che potesse aiutare l’uomo nel suo sviluppo razionale. In verità la differenza religiosa separa più dei costumi o del colore della pelle. Ad esempio un bianco e una nera possono sposarsi se professano la stessa religione; ma non possono sposarsi se professano religioni differenti. Un protestante privilegia sempre un protestante e mai un cattolico: ugualmente fa un cattolico. La stessa cosa accade in politica, un uomo che sostiene un partito ideologicamente prova simpatia per un altro uomo straniero che sostiene lo stesso partito, ma sente antipatia e avversione per un altro uomo che sostiene un altro partito e magari è stato suo compagno di scuola. Effettivamente una delle cose più nocive che possono verificarsi in una società è di veder emergere uomini soltanto per la “religione” il loro credo
“politico” e non per il loro meriti strettamente individuali ed effettivi. Su questi criteri un uomo dovrebbe emergere in una società:qualsiasi altro criterio è ingiusto,settario e controproducente. Ecco perché nelle nazioni teocratiche o sotto dittatura è praticamente impossibile per chi ha meriti ma non è accasato conseguire il successo inteso come scalata sociale. Ecco perché nel pubblico nulla funziona:perché la maggior parte è in mano a inetti. Ecco perché il mondo sta regredendo:perché è in mano a mediocri grazie ai favoritismi politico-religiosi. Uomini retti capaci e di alto merito ci sono e ci sono sempre stati;ma queste ottuse intolleranze hanno sempre impedito loro di emergere di esprimersi palesando poi il motivo della esasperante lentezza del progresso umano.
Dio e le Religioni Nella storia umana c’è un dato che sorprende e sconcerta, ed è il seguente: pur non essendo stata mai prodotta nessuna prova concreta dell’esistenza di “Dio” e dell’aldilà, l’uomo in ogni parte del mondo ha ininterrottamente “creduto” a tal punto da condizionare lo stesso corso delle vicende storiche. Praticamente, la più grande e potente forza che ha mosso l’uomo più di ogni altra cosa, non è stata supportata da una base attendibile, o a dir poco logica. Ne consegue il fallimento dell’arma più potente e più cara, colei che non dovremmo mai tradire: la ragione. Le religioni aiutano l’uomo a comportarsi correttamente? C’è la convinzione che “Dio” e la “religione”, aiutano l’uomo a comportarsi in modo eticamente corretto.
Premessa: uno degli aspetti più comuni, e più caratteristici, è che ogni credente, manifesta la saldissima convinzione di essere in possesso della verità. Questa convinzione infondata che sovente non mette in discussione, gli fa assumere nei confronti del non credente: l’atteggiamento di chi è dalla parte della verità. Il credente prega che negli occhi del non credente si faccia luce. Ma gli viene da pensare, se per caso, le ragioni per cui un non credente è tale, abbiano qualche fondamento. Mai che meritino un po’ di attenzione, di approfondimento. E’ un non credente , e quindi in errore. Da qui la sua indisponibilità a ragionare sul serio. Da qui la cecità della fede. Indifferenza, meraviglia, compatimento, preghiera, e non accade mai che ci sia una sincera disponibilità a ragionare. Il credente si illude che credendo continua tuttavia a ragionare, ma
sovente, non si tratta di credenti, ma di povere persone che cercano una risposta, un sogno, qualcosa che possa giustificare la crudeltà della vita. In effetti quello che guida le religioni è l’irrazionalità, per non parlare dei dogmi, che l’uomo è costretto a subire. Ebbene: noi tutti conosciamo le misere e sofferenti condizioni del popolo indiano (buddisti-induisti). Non sono forse le inevitabili conseguenze della religione in cui credono? Un essere umano che è costretto a vivere nella convinzione che la vita è dolore, che il merito più alto consiste nel non aver alcun desiderio, che per non aver desiderio è necessario il distaccamento delle cose del mondo, che l’uomo si reincarna in un demone, in un animale, o in un genio delle tenebre. Sinteticamente: l’uomo per salvarsi è costretto ad esistere senza vivere. Ebbene: un essere umano convinto che le cose stiano così, non può
non finire nella più umiliante e miserevole delle condizioni. Infatti l’induismo e il buddismo stanno scontando l’abbandono della ragione da 2500 anni. Innanzi tutto, non è giustificato dalla realtà che la vita è di per sé dolore. Fanno della ragione il nemico numero uno dell’uomo. Non si rendono conto che è proprio il regredire della ragione, che toglie all’uomo l’importanza di esistere. Che è impossibile non desiderare, in quanto il desiderio è commisto al vivere. Difatti che cos’è il desiderio? E’ l’aspirazione al soddisfacimento di un bisogno. Può mancare l’aspirazione? No, perché è generata dal bisogno, senza il quale è impossibile vivere. D’altra parte una totale mancanza di desideri non può non generare una noia mortale e, la noia, non è certo un bel veicolo per raggiungere lo stato di beatitudine (nirvana).
Aggiungiamo la credenza nella metempsicosi, santi, geni, demoni, nel fatto che l’esistenza è prodotta dall’ignoranza che causa desideri, i quali per mezzo dei sensi danno vita agli essere. E’ questo il bene dell’uomo? E’ soffrire il suo bene migliore? E questo ha qualcosa a che fare con la religione “cattolica apostolica romana”. L’amore per il prossimo, il più celebrato atteggiamento dell’etica cristiana. Atteggiamento ineccepibile, a dir poco stupendamente umano. Eppure, questo tanto ammirato atteggiamento cristiano, contiene un difetto etico molto serio, che la rende meno stimabile. La religione cristiana lenisce i dolori all’uomo, ma è contraria alla prevenzione. Un’etica dogmatica che allevia e non previene è meritoria? Cosa direste di un medico che cura il cuore dei pazienti, senza consigliarli sul
corretto comportamento per prevenire malori? Ad esempio: la chiesa si dà molto da fare per i paesi del terzo mondo specialmente per i bambini. Milioni di bambini o muoiono di fame o vivono in condizioni miserevoli, tragiche e prive di ogni possibilità di costruirsi una vita dignitosa. Ma se si chiede alla chiesa di “esortare” loro ad usare anticoncezionali, la risposta sarebbe negativa. Anzi la stessa chiesa si adopererebbe a farli venire al mondo grazie al dogma dell’aborto. Eppure come è possibile, essendo a conoscenza della triste sorte di quei bambini, che la maggior parte di loro morirà di fame, che una buona percentuale non supererà il primo anno di vita, della miseria che sostituirà l’amore e la felicità. E qui si può dire che la sensatezza è senz’altro una facoltà molto più adatta della fede a determinare soluzioni etiche più corrette.
Non posso esimermi dall’esprimere il mio pensiero sulle “opere di misericordia”. Dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi e quanti altri… In verità l’uomo non dovrebbe aver mai bisogno di misericordia, l’uomo va visto solo dignitosamente. Perché vedere l’uomo sempre come un affamato, un assetato, questa tendenza al peggio, al triste, al dolore, quasi da subirne il fascino. Quando sappiamo bene che per risolvere i “problemi” vanno curate le cause, non gli effetti. Effettivamente, l’unico e vero cattolico che si sia attenuto all’etica cattolica è San Francesco. C’è qualcuno che potrebbe ripetere le numerose imprese da “lui” compiute? Le sofferenze, le umiliazioni, il rinunciare alle proprie ricchezze per amore di un Dio “ipotetico”? Si può essere cattolici o così tanto per dire qualcosa,
oppure ci si deve attenere alla “dottrina” cattolica apostolica romana fino alle estreme conseguenze. Quanti hanno letto i Vangeli? Quanti hanno letto le critiche “Neotestamentarie? E’ questo che fa vivere una religione: l’incongruenza di chi ne fa parte, il non approfondimento, il disinteresse. Confucio ci ha lasciato poche righe, il concetto più concreto, basato su un’etica razionale: fai agli altri quel che vorresti fosse fatto a te, e non fare agli altri quel che non vorresti fosse fatto a te. Concetto stupendamente sensato, che non ha bisogno di nessun supporto religioso, tanto è palese la convenienza per tutti. In realtà più impera l’etica religiosa, più il modo di vivere diventa irrazionale e miserevole. Beati i poveri di spirito. Porgete l’altra guancia a chi vi percuote. Chi
esalta sarà umiliato, e chi umilia sarà esaltato. Non ribellatevi a Dio. Sarebbe un’esistenza che somiglia a quella dei buddisti. Lo stesso San Francesco disse: “tanto è il bene che mi aspetto che ogni male mi è diletto”. E l’uomo, colui che è degno di chiamarsi uomo, mai in realtà si è attenuto, e per fortuna, mai si atterrà a insensatezze di questo genere. Le stesse comunità organizzate dagli Apostoli e dai primi seguaci dopo la morte di Gesù, furono un fallimento. Essi impostarono le regole della convivenza sugli insegnamenti di “Gesù” alla lettera. In realtà l’etica religiosa per quel che riguarda le cose di questo mondo è fallimentare. Basta pensare al Medioevo. Come può l’uomo vivere negli stenti, nel dolore, e sentirsi privilegiato? Effettivamente, non è la religione che dovrebbe far comportare bene l’uomo, ma l’uso adeguato dello
strumento che gli ha permesso di abbandonare la vita animale ed evolversi fino ad essere ciò che oggi siamo: il cervello. Basterebbe questo per avere un mondo diverso, essere logici, basterebbe cercare i difetti per individuare le cause, “capire” quale sia il comportamento più adeguato per il miglior vivere. La religione è il bene dell’uomo, e se un Dio esiste, non può non tollerare le indagini della ragione, non può non vedere l’ottusità delle religioni sul “bene dell’uomo”. Non può non convenire sul fatto che l’uomo ha bisogno di capire, che debba prevenire le proprie sofferenze. Può l’uomo giudicare Dio? L’uomo ha sempre il diritto di indagare sull’operato di chi esercita influenza sulla sua vita. Hanno diritto i figli di giudicare i propri
genitori? No. Se i genitori li hanno messi al mondo e allevati in condizioni ottimali, vale a dire se i figli non hanno nulla da eccepire sul comportamento dei genitori. Chi ha il diritto di giudicare l’operato di persone, al posto delle quali coloro che le avrebbero dovute giudicare, non avrebbero potuto fare di più. Ma se i genitori li hanno fatti tra ristrettezze e privazioni, non li hanno educati convenientemente, non hanno agito insomma come la logica e il dovere esigono, allora ne hanno diritto. Ebbene “Dio” ci ha messi al mondo, sapendo che avrebbero regnato nel mondo, il dolore e la morte. Conoscendo le incredibili sofferenze che gli uomini avrebbero dovuto “patire”, sapendo che la sua opera di redenzione sarebbe fallita con la maggior parte degli essere umani. Dio sa tutto, vede tutto, è ovunque presente (onnisciente, onnipotente, onnipresente). Fu forse costretto
Dio a crearci? Non poteva crearci in condizioni migliori? Mettereste al mondo dei figli, sapendo che si abbatterebbero su di loro spaventose calamità, sofferenze, tanto più se non siete costretti da nulla? Possiamo credere che l’abbia fatto Dio? Tanto più che se esiste, è senz’altro più buono, più intelligente, più logico. Come può credere che l’abbia fatto proprio Lui? L’uomo dovrebbe essere giudicato dei suoi errori terreni, relativi in confronto a quelli che Dio ha commesso con noi. Dio dovrebbe giudicare l’uomo per aver commesso il male, della cui esistenza Egli stesso è responsabile. E’ palese che, secondo logica “Dio” non ha diritto di giudicare l’uomo. Ora, nessuna religione è disposta ad ammettere la fragilità delle loro prove, è un difetto; eppure ognuna di esse afferma categoricamente
che le loro prove sono numerose, fondate e indubitabili. Ora, io vorrei dire ad esse, bene: tu sai niente meno chi è Dio! Quali sono i segreti dell’Universo, cosa ci attende nell’aldilà se esiste affermi di avere la spiegazione del tutto, la verità assoluta. Devi ammettere che, data l’incommensurabilità di quanto affermi, è logico che tu mi fornisca prove inoppugnabili, per le quali io possa credere. Dato che tu non mi chiedi poca cosa: ma mi chiedi tutto; se io sbaglio nel credere, sbaglio tutto. E io, come essere umano, non posso permettermi di sbagliare questa vita: perché non ne avrò altre. E’ una richiesta logica la mia. In realtà ogni religione afferma che il proprio potere viene direttamente da Dio, l’uomo: deve credere e basta. Senza entrare nei particolari, ogni scrittura sacra, narra di prodigi, profezie, miracoli: ma è possibile
che Dio se avesse voluto rivelarsi, l’avrebbe fatto fallendo? L’avrebbe fatto con un solo popolo? Dio volendo far sapere all’umanità che esiste, essendo onnipotente, onnipresente, si manifesta soltanto a pochissimi uomini di un solo popolo? E’ sensato che tutta l’umanità debba credere “ciecamente” a quello che solo pochi uomini hanno visto? I musulmani sono in errore perché credono nella rivelazione di Allah (cioè Dio) a Maometto? In realtà è un nonsenso già il fatto che una prova debba dimostrare la veridicità di una religione: in quanto a rigor di logica, una prova ha il compito di fare luce laddove non c’è. La religione mi dice che io ho la luce davanti ai miei occhi, devo solo aprirli. Io li apro gli occhi, ma vedo solo quello che per ragioni esplicabili scientificamente riesco a percepire. Se ascolto le religioni ne deduco che Dio non è chiaro con
me. Ed è possibile che Dio essendo “onnipotente” non sia chiaro e logico? Non sia adatto alla “ragione” dell’uomo che Lui stesso ha creato? Perché Dio è così silenzioso con l’uomo? Terremoti, guerre, malattie, atrocità, ingiustizie e Dio dov’è? Io mi chiedo: è il silenzio di Dio o è il silenzio del nulla? Eppure se volesse potrebbe manifestarsi, farci sapere qual’è il disegno che sta attuando, avrebbe potuto evitare le sofferenze, che sono, che sono state e che saranno. L’uomo non ha voluto la vita: Dio sì. Allora se esiste, non siamo noi a doverlo cercare; la nostra logica dice che sempre un padre ha il dovere di cercare i propri figli. Il Valore della Scienza L’uomo deve finirla di correre dietro i “fantasmi”, deve capire che dell’Universo noi possiamo capire
solo le conseguenze, non le cause che lo hanno prodotto. E’ importante la ricerca, l’approfondimento di qualsiasi problema, ma solo se ha l’intelligenza di capire i propri limiti. Non andare fuori tema è una virtù, dove non arriva la logica non può arrivare l’uomo. E’ la logica che dà all’uomo la possibilità di egemonizzare sulla natura. E possiamo ben dire che, la storia dell’umanità può essere vista solo in termini di conquista da parte dell’uomo nel suo ambiente naturale. E l’uomo ha invece la presunzione di sentenziare su tutto, basandosi sulla disperazione di non capire nulla. Mi sembra doveroso dire che lo stato attuale, lo dobbiamo certamente alla scienza, e alle illustre menti che ne hanno avviato il processo e continuato, dando così luogo all’irreversibilità
dell’evoluzione umana. Dobbiamo ringraziare la scienza antica, che ci ha dato le basi grazie alle quali oggi abbiamo una conoscenza più dettagliata del mondo che ci circonda, di cosa ci ha creato, della posizione che abbiamo in questo Universo. L’uomo nel campo della materia, è passato dalle mere ipotesi alle verità inconfutabili. Per quanto riguarda la “verità assoluta”, essendo al di fuori della autorità umana, c’è il rischio che l’uomo sia travisato dalle congetture trascendentali. E’ vero: c’è anche il rischio che i nostri ragionamenti, il nostro concetto di giustizia, i nostri standard, la nostra conoscenza siano errati. Dobbiamo ammettere che ogni conoscenza è umana e quindi, accettare la possibilità che sia frammista ai nostri errori, ai nostri pregiudizi, ai nostri sogni, alle nostre speranze.
C’è da ammettere che tutto il dominio della nostra “conoscenza”, non può trovare nulla che sia al di fuori delle nostre critiche. Possiamo vedere un barlume della “vastità della nostra ignoranza”, quando contempliamo il cielo. La sua vastità è una delle tante cause della nostra ignoranza. Quanto più impariamo sul mondo, quanto più è profondo il nostro apprendimento, tanto più è consapevole e specifica la conoscenza di quanto non sappiamo: la conoscenza della nostra pura ignoranza. Praticamente, la via della conoscenza porta all’ignoranza. Ma la scienza non è mai andata oltre alla logica umana, la scienza è partita col dubbio, ed è per questo che è finita nella certezza. E c’è da dire che, fino a che l’uomo si domanderà, la risposta qualsiasi sia, avrà sempre un senso. In questa tragedia che è la vita umana, l’uomo ha lasciato che Dio
facesse l’osservatore, beh… possiamo dire: che grazie alla scienza il nostro ruolo è cambiato. L’uomo comincia a studiare se stesso e il suo ambiente traendo le proprie conclusioni. Siamo all’inizio, attraverso la conoscenza l’uomo può diventare libero: può liberare il proprio corpo dalle malattie, dalle servitù, può liberare la propria mente dal parrocchialismo, dai pregiudizi. E’ vero, studiando teologia, filosofia, o il pensiero dei vari scienziati, non si può non restare “affascinati” dal senso che ha l’uomo nell’Universo. La scienza ci spiega l’Universo attraverso la logica, dalla genesi ad oggi. Infatti nella scienza c’è una regola che è alla base di tutte le conoscenze umane scientifiche: qualsiasi ipotesi o teoria è benvenuta, però non ha alcun valore fin quando non vi sono “verifiche sperimentali”. Il metodo sperimentale è il solo valido.
Altrimenti chiunque può dire qualsiasi cosa. Tutte le teorie o ricerche sono importanti. Ma senza verifica restano quello che sono: solo ipotesi. Proviamo a vedere la visione sperimentale della storia dell’Universo e conseguenzialmente la nostra, che siamo un prodotto della stessa. In principio era il nulla: né spazio, né tempo, né pianeti, né stelle, né rocce, né piante, né animali, né uomini. Tutto sorse dal nulla, prima un plasma caldissimo di quark, elettroni e altre particelle, insieme allo spazio e al tempo. Questo plasma si raffreddò rapidamente; si formarono protoni, neutroni, nuclei atomici, atomi, stelle, galassie e pianeti. Nacque infine la vita in molti “sistemi stellari”, fra i quali anche un pianeta di una stella comunissima di una galassia che per caso si trovava al
margine di un grande ammasso di galassie. Nel corso di quattro miliardi circa, da organismi semplicissimi si svilupparono piante, animali, ed infine l’uomo. Sin dall’origine l’uomo ha creduto di essere al centro dell’Universo e chiaramente pensava che il mondo intero fosse stato “creato” solo per lui. Si inventò miti, potenze che governassero il mondo e dessero senso all’esistenza umana. Alla metà del secondo millennio della cronologia umana, circa venti miliardi di anni dopo la genesi dell’Universo, l’uomo ha iniziato lo studio sistematico della natura e di se stesso. Quasi alla fine del secondo millennio l’uomo capisce che la varietà dell’Universo, può essere spiegata in modo semplice: la materia nell’Universo. L’uomo stesso dunque consiste in due tipi di quark: i quark e le particelle della corteccia atomica, gli
elettroni. Scopre di non essere al centro dell’Universo, ma situato in una modestissima galassia, tra i tanti miliardi di galassie. Egli ha anche appreso di essere il prodotto di un processo evolutivo complesso, ma concepibile razionalmente; segnato dal corso della storia dell’interazione del caso con la necessità. Ora: dopo le ineccepibili scoperte scientifiche, bisogna rendersi conto che del destino dell’uomo, è responsabile egli stesso. Dovrà vivere quindi senza miti. L’uomo ha capito quindi, che l’Universo non ha una risposta sul senso della vita, ma egli dovrà darsela da sé. Credo che il “senso dell’esistenza” deve essere trovato nella vita stessa e non nel cercare risposta ad una domanda alla quale non ci può essere alcuna risposta universalmente valida.
Effettivamente tra le mere ipotesi che riscontriamo nelle nostra storia, quelle della fisica, astrofisica, biologia, la chimica, ci consentono oggi una visione straordinariamente più profonda della struttura dell’Universo e dell’uomo stesso. Non si può negare che il massiccio impiego di scienza abbia portato con se una prosperità materiale, che solo cento anni fa, sarebbe stata inimmaginabile. Le vecchie tradizioni, i legami vengono messi in discussione. Molti di coloro che hanno scarsa familiarità con le cose scientifiche, non hanno fiducia nel futuro e avvertono un senso di smarrimento. Le scuole favoriscono questa tendenza con carente trasmissione di cultura scientifica. Uno dei motivi di questa tendenza è da accreditarsi allo stato attuale del sapere scientifico; diviso in moltissime discipline dove nessuno può affermare una competente preparazione generale. C’è la poca
incentivazione allo studio delle scienze varie, compresa quella del pensiero. In fisica, in biologia, in cosmologia, in filosofia, in antropologia, l’ermetismo è il dogma numero uno. Ad esempio: le nuove visioni della struttura dell’Universo dateci dalla fisica, dall’astrofisica delle particelle, dall’astronomia, mostrano in fondo che l’Universo, il cosmo, sono strutturati in modo molto semplice. Una visione è nell’ambito delle possibilità umane, anche di chi come me è praticamente ignorante. In egual modo si possono citare esempi della tendenza all’ermetismo in ogni campo della scienza. Basterebbe essere più espliciti e, l’uomo sarebbe sicuramente più incentivato nei confronti della scienza. Un fatto comunque è certo, che anche se si riuscisse a sciogliere tutti gli enigmi dell’Universo, i problemi dell’uomo non verrebbero
neppure sfiorati. Chi pone i valori senza i quali la vita è priva di senso? La religione ha ancora un “senso” rispetto a una scienza che prescinde da ogni istanza divina? Una delle acquisizioni più importanti della scienza è, di aver scoperto che ognuno di noi svolge un ruolo nella rete dei processi naturali. Noi siamo una parte del tutto, non siamo staccati dall’Universo. Allo stesso tempo, siamo il prodotto di una lunga storia, creatori della storia. E io credo che questo ci deve indurre non solo alla modestia, ma all’orgoglio e alla stima di noi stessi. Il Metodo Scientifico Il metodo scientifico di comprendere il mondo, consiste nello stabilire le relazioni fra le cose, i processi differenti, nel ricercare rapporti causali.
Qui sta la forza, ma anche il suo limite. Einstein disse: è chiaro che la conoscenza di ciò che è no apre la porta alla conoscenza di ciò che dovrebbe essere. Una spiegazione razionale del mondo è possibile, ma è sufficiente? Anche se la conoscenza razionale non è in grado di fornirci valori e i fini non solo del singolo ma dell’intera società vengono decisamente influenzati. Una cosa di rilevante importanza è che analizzando il comportamento degli studiosi, ci si rende conto che effettivamente abbiamo una concezione errata del lavoro e delle idee di uno scienziato della natura. Vivere la natura come un tutto, scoprendo le sue leggi attraverso la ricerca, la meditazione (per uno studioso del pensiero), ci si rende conto che non lavorano per arrivare a una qualsiasi scoperta che porti
beneficio all’umanità, bensì, spinti dalla curiosità di capire perché i processi naturali avvengano proprio così come li osserviamo e non in maniera diversa: praticamente fame di conoscenza. Oggi osserviamo ancora un comportamento molto scettico nei confronti delle scienze e delle tecniche. L’uomo preferisce ancora la religione l’occultismo, l’astrologia, ossia tutto ciò che non ha nulla a che fare con la spiegazione razionale della realtà. La realtà è che è stato fatto un uso sconsiderato della razionalità, e ne è stata distorta l’importanza, l’efficacia, la potenza site in essa. La razionalità che impone oggi il nostro governo, le industrie, tutti i settori della vita nazionale e internazionale, provoca all’uomo ondate di razionalità inadeguata. Una razionalità dogmatica e limitata. Mentre l’uomo dovrebbe capire, quanto effettivamente sia
importante la comprensione dei fenomeni naturali: solo con questa possiamo avere una giusta dimensione sul nostro rapporto con la vita. Può aiutarci a perfezionare il nostro essere persone che agiscono concretamente. Ci dissocia dall’irrazionalità e dai luoghi comuni. La scienza è uno studio sistematico sulle connessioni nel mondo, ed è quest’analisi razionale del mondo che toglie l’uomo dal tunnel della ricerca emotiva. Esiste una scissione incolmabile tra la “spiegazione razionale” del mondo, e “l’inesplicabilità irrazionale” che fino ad oggi ha dominato la storia dell’uomo. Scienze moderne come la biologia, la biochimica, la biofisica, che si occupano del problema della nascita della vita e quindi della nostra stessa origine, ci insegnano che sin dalle origini l’uomo si è posto il problema della provenienza.
Anche i nostri antenati cercarono risposta nelle leggende della creazione, ma facendo un po’ di attenzione ci rendiamo conto che tutte le storie della creazione (compresa la Bibbia), si riferiscono sempre alla terra al cielo e agli uomini. E ciò è normale se si riflette che “tutte le creazioni” sono frutto del pensiero di esseri umani, le cui conoscenze dei processi naturali erano molto limitate. Considerati dal punto di vista attuale, questi miti non spiegano nulla. L’immagine del mondo da essi descritta, rispecchia le concezioni di chi le ha create, ma non ha nulla a che fare con l’evoluzione reale. L’origine del mondo fu qualcosa di diverso da ciò che è stato immaginato migliaia di anni fa. Rispetto all’Universo la nostra terra è solo un granello di polvere, in un angolo insignificante di una galassia insignificante.
I fenomeni “spazio-tempo” non hanno nulla a che fare con la nostra esperienza comune. L’Universo è caratterizzato soprattutto dal movimento, dalla attività. Spesso si collegò l’invariabilità del cielo con la stabilità e la permanenza. Aristotele vedeva in ciò la prova dell’eternità dell’Universo, in contrapposizione alla vita quotidiana dell’uomo. La scienza moderna ci dice, che non esiste un cosmo statico, che non c’è mai stato e mai ci sarà. Analogamente alla nostra vita, anche nell’Universo c’è attività, ed è soggetto a continui cambiamenti. Anche le stelle non esistono per l’eternità, continuamente si formano nuove stelle da nubi di gas e polvere. E anche esse terminano la loro esistenza con grandi esplosioni. Ora: come si può pensare che la nostra esistenza sia in opposizione al mondo?
Come le stelle, i pianeti, le galassie, noi stessi siamo una parte dell’evoluzione cosmica, siamo composti con la stessa materia, soggetti alle stesse leggi. Se accettiamo questo, ci sarà più facile accettare la nostra finitezza, sia come singoli individui, che come civiltà umana. La storia dell’umanità ha sempre dimostrato che non esistono punti di riferimento assoluti. Eppure milioni e milioni di uomini hanno continuato a cadere vittime di illusioni che alla fine si sono dimostrate irreali, siano state credenze, ideologie, politiche o religiose. Come la concezione della centralità del pianeta terra nell’Universo. L’uomo ha sempre creduto che l’Universo fosse stato fatto per lui. Anzi, neanche i fenomeni naturali come la pioggia e il vento, erano considerati indipendenti dalla sua esistenza; tutto era strettamente connesso, e trovava il suo significato solo nel
rapporto con l’esistenza umana. Ma ora, con l’evoluzione della civiltà, lo sviluppo della scienza e, un po’ di razionalità, l’uomo è stato costretto a cambiare opinione sulla nostra egocentricità. Anche se purtroppo si trovano ancora residui di concezione antica del mondo: vedi l’astrologia, le religioni (e pensare che le stelle sono così “importanti” per la terra e per l’uomo, proprio perché non esercitano nessun influsso). Lo sviluppo tecnico e scientifico degli ultimi cento anni ha mutato a poco a poco, in modo non osservabile, la nostra esistenza. L’immagine semplicistica del mondo, per la quale: al centro stava la terra e l’uomo e il destino era tutto nelle mani di Dio, non può coesistere con le rivelazioni scientifiche. Noi abitiamo come già ho detto, al bordo di una galassia, una delle più di cento miliardi di galassie di
questo Universo. La Materia Tutto l’Universo è composto da materia, il sole, le stelle , i pianeti, il nostro corpo e perfino l’aria che respiriamo. Tutto ciò che ci circonda è composto da infinite combinazioni di particelle che costituiscono gli “atomi”. Per parlare dell’Universo e delle sue manifestazioni, non si può non parlare del primo elemento costituente. Per esemplificare: possiamo immaginare le ventuno lettere dell’alfabeto; cambiano la loro disposizione si possono formulare tutte le parole e in tutte le lingue possibili. Così anche la materia ha un suo composto, anziché di ventuno lettere; per ora di novantanove elementi che, tra loro, danno tutti i
possibili corpi composti (materia). Ma come è fatto un atomo? Possiamo immaginarlo come un sistema solare, il sole al centro che è il nucleo e, uno o più pianeti che gli ruotano intorno. Il nucleo carica di elettricità positiva i pianeti (che sono particelle tutte uguali dette elettroni); e gli atomi si differenziano tra loro per il numero di elettroni in essi contenuti. Ricapitolando, da qualsiasi libro di fisica si può apprendere che tutta la materia, noi compresi, è formata da atomi, o se vogliamo, da tre particelle originali: due quark e un elettrone. Il Nostro Mondo La biologia insegna che la vita si è sviluppata spontaneamente sulla terra: attraverso il perpetuarsi di caso e necessità.
L’uomo stesso è il risultato di una lunghissima catena di sviluppi e accadimenti casuali, che si è costituita ai primordi dell’evoluzione della storia della terra. Siamo il risultato di questa storia, ma contemporaneamente, ognuno di noi, inserito nell’eterno svolgersi degli avvenimenti. Il mondo è un tutto e, noi stessi siamo la minuscola parte di un tutto. Questa è l’immagine del mondo dopo tremila anni di ricerche. La natura impersonata dall’uomo, comincia a conoscere se stessa. La conoscenza e il sapere, trasmettono un senso di sicurezza; il sentire di essere sulla strada giusta. Senza questa fiducia non sarà possibile all’uomo sopravvivere su questa terra. La scienza da all’uomo la spiegazione su come si è formato l’Universo, le galassie, la terra e infine l’uomo. Attendendomi ad alcune teorie
scientifiche sulla genesi dell’Universo, vorrei esporre una visione razionale del mondo e della vita stessa. Alcune decine di migliaia di anni fa, l’uomo cominciò invano a cercare di capire il suo ambiente, poi avvenne il progresso scientifico e l’uomo creò un nuovo mondo: degli atomi, dei segni e dei simboli. Il filosofo Karl Popper ha proposto una divisione della realtà in tre mondi: il mondo che esiste indipendentemente dall’uomo, quello reale, che coincide con la fisica. A questo appartengono i quark, gli elettroni, le particelle e tutti i sistemi da essi formati. Il secondo mondo è quello degli stati mentali comprendente la psiche conscia e inconscia. Nel terzo mondo troviamo i contenuti del pensiero cosciente e, i prodotti della mente umana. Essendo evidente la connessione tra il secondo ed il terzo mondo, la
visione di Popper si potrebbe dividere in “Universo fisico”, e “Universo mentale” o “spirituale” (che corrisponde grosso modo al famoso “mondo delle idee” di Platone). Possiamo ben dire che l?universo mentale è un prodotto dell’uomo, del cervello umano; mentre l’altro è totalmente indipendente. Da qui si capisce che indubbiamente l’intero concerto della natura animata, è la manifestazione delle “ineccepibili” leggi della fisica. La fisica quantistica ha liberato l’uomo, donandogli un mondo dove c’è spazio per l’evoluzione e per il libero arbitrio. La libertà dell’uomo sarebbe un illusione senza l’incertezza del futuro. L’Universo, grazie alla fisica quantistica, è ancora tutto da scoprire. Sembriamo dei ragazzi che giocano sulla spiaggia e di tanto in tanto
trovano una pietra o una conchiglia più belle del solito, mentre l’oceano della verità resta sconosciuto davanti a noi. Spazio – Tempo Dalla “gravitazione universale” di Newton, alla modifica Einsteiniana della stessa si è dedotto: categorie assolute di spazio-tempo non esistono; esiste invece una sorta di continuo e deformabile che si modella sulla materia stessa. Può essere una galassia, un pianeta o qualsiasi struttura: spazio-tempo e materia costituiscono un tutto unico e, la forza gravitazionale ne è la manifestazione. Ora, visto che l’uomo attraverso la logica e l’ermeneutica è in grado di domandarsi e cercare verità, ne consegue l’importanza della ricerca nel campo della materialità, oltre al
vantaggio che ne può trarre l’uomo e la società. Dove siamo arrivati con la ricerca nel campo della materialità? Dal Disorganizzato all’Organizzato La descrizione dell’evoluzione dell’Universo, partendo dal momento della sua nascita, può essere esplicato in otto tappe. Prima epoca: partiamo dall’esplosione (materia) in quanto cercare spiegazioni prima di essa, equivale a rientrare nella metafisica. Punto zero della scala dei tempi: l’attimo della “grande esplosione” (Big-Bang). E’ caratterizzato da temperature praticamente infinite. Nei primi dieci secondi è difficile capire il comportamento della materia, molti astrofisici hanno proposto di saltare questa fase e di considerare come inizio del processo cosmico quello in cui la
temperatura scese sotto i 10 gradi (kelvin). La struttura fondamentale si può descrivere all’inizio con un unico parametro: la temperatura. Seconda epoca: da 10.43 a 10.33 secondi: dall’energia viene prodotta la materia. Gli scienziati lo chiamano il brodo primordiale di tutti i tipi di particelle (quark, antiquark, elettroni, neutrini, fotoni, gluoni e particelle x). La temperatura diminuisce rapidamente, le particelle x decadono, lasciando nel plasma caldissimo più quark che antiquark. Sono proprio i quark in eccesso, la materia prima da cui si formeranno le galassie, le stelle e i pianeti. Terza epoca: da 10.33 a 10.03 secondi: i quark si raffreddano. La loro temperatura è scesa da 10.28 a 10.13 gradi. Quarta epoca: da 10.06 a 10.03 secondi: l’era dei protoni. Se nell’Universo i quark e gli antiquark fossero in egual numero, nulla
sopravviverebbe. I quark possono combinarsi a tre a tre formando così un nucleone (protone o neutrone). Il processo dura un millesimo di secondo. In questo momento l’Universo consiste in un gas densissimo, di cui le particelle hanno sempre il ruolo primario. Quinta epoca: da 10.03 a 100 secondi: l’Universo radiante. Durante questo periodo la temperatura scende a un miliardo di gradi: hanno luogo vari processi. All’inizio della quinta epoca l’Universo contiene un egual numero di protoni e di neutroni. La massa del neutrone però è un po’ più grande di quella del protone; e con l’abbassarsi della temperatura, molti neutroni si trasformano in protoni, il risultato è che ci saranno in futuro più protoni che neutroni. La carica totale dell’Universo deve essere nulla, e ciò implica che per ogni protone esistente si è salvato un corrispondente elettrone.
Sesta epoca: da 100 secondi a 30 minuti: dai neutroni si forma l’elio. Trascorsi tre minuti la temperatura dell’Universo è scesa sotto i 900 milioni di gradi, nel frattempo il numero di neutroni è ancora diminuito. In una temperatura che superi il miliardo di gradi è praticamente impossibile che tale sistema resti in vita, le continue collisioni tra particelle darebbero luogo ad un processo di estinzione. Ma al di sotto dei 900 milioni di gradi, invece, l’energia delle particelle non è sufficiente a provocarne la morte. Le particelle sono in continua collisione e, non è raro, che si formi un nucleo di elio. Questo nucleo atomico composto da due protoni e due neutroni è stranamente stabile. La stabilità di questo nucleo è importante in quanto si deve ad essa la sintesi di questo elemento: i neutroni vengono catturati e diventano componenti di nuclei di elio.
Settima epoca: da 30 minuti a un 1.000.000 di anni: si formano gli atomi e i fotoni si emancipano. La temperatura è ormai scesa, al punto che protoni e nuclei di elio sono in grado di catturare elettroni per mezzo dell’attrazione elettrica; si formano così atomi di idrogeno e di elio. Siamo al punto in cui tutta la materia consiste in questi due atomi. Ottava epoca: da 1.000.000 a 20.000.000.000 di anni: la materia si condensa, si formano galassie, stelle, pianeti ed essere viventi. Subentra l’epoca del cosiddetto dominio della materia, questa nella forma di “atomi di idrogeno e di elio”, determina l’espansione dell’Universo. La caratteristica di quest’epoca è la presenza di strutture. Nulla del genere esisteva prima della fine del primo milione di anni. Per sette epoche vi fu poca varietà: in pratica energia e materia erano ugualmente ripartite;
l’Universo era sede di radiazioni uniformi, e solo la sua espansione e il continuo abbassarsi della temperatura spiegano l’evoluzione in atto. Circa un miliardo di anni dopo il “Big-Bang”, le variazioni di densità produssero una maggior condensazione della materia; la forza gravitazionale agiva sulla materia provocando così regioni dense. Grandi nubi di idrogeno e di elio si spostarono nell’Universo, che continuava ad espandersi. Sotto l’influsso del proprio campo gravitazionale, queste nuvole di materia si condensarono di più, aumentando così la loro velocità di rotazione. Questi grandi ammassi rotanti (i precursori delle galassie), continuavano a svilupparsi. All’interno il processo di condensazione continuava e, a causa dell’autogravitazione, si innescarono le prime reazioni termonucleari. La fusione di nuclei d’idrogeno e di elio in nuclei più
pesanti, liberava grandi quantità di energia: e ad un tratto la notte ipergalattica s’illuminò di stelle. Questi processi iniziati quindici milioni di anni fa dureranno per molto tempo, il vecchio lascia il posto al nuovo che di continuo si crea. Da qui vediamo che anche le galassie si evolvono. Questo vale anche per le prime stelle, esse avevano orrore della vecchiaia, e sovente preferivano chiudere la “propria vita” in bellezza con violente esplorazioni. Ed è proprio l’esplosione si queste stelle che provocò gli elementi per la nuova generazione di stelle (ossigeno, ferro, carbonio). Senza quella cenere noi non saremmo esistiti. Circa quattro miliardi e mezzo di anni fa da quella cenere si formava il pianeta terra. Meno di un miliardo e mezzo di anni dopo si svilupparono le prime forme di vita primitiva; esse nascevano da molecole complesse
che di continuo si formavano, per essere distrutte dalla radiazione ultravioletta. Stiamo parlando di prime strutture di vita; e quindi purtroppo la stessa scienza è ancora incerta, ci sono moltissime teorie in merito, di cui alcune con verifica sperimentale; ma la grande difficoltà sta nel capire dove effettivamente finisce la non vita e inizia la vita. E a mio umile parere, la difficoltà nel delineare la vita dalla non vita sarà molta, in quanto la nascita della vita è un graduale avvicendarsi di processi, tutti importanti, nei quali tutti gli elementi costituenti della natura hanno partecipato. Comunque sia moltissimi scienziati sono d’accordo sul fatto che tutta la vita esistente sulla terra (vegetazione, animali e uomini), discende da una sola partenza: la molecola. Se DARWIN fosse vivo avvalendosi delle scoperte a livello molecolare ci
darebbe questo tipo di spiegazione: sappiamo che le molecole hanno subito a loro volta mutamenti fino all’inverosimile, fino ad arrivare ad autoreplicarsi, se le molecole replicandosi commettono degli errori e, se questi errori si dimostravano utili ed efficienti alla struttura della molecola, questa veniva scelta e selezionata. Si svilupparono così famiglie di molecole capaci di replicarsi meglio, e da queste famiglie ne apparve una dalla quale iniziò quel lungo processo che si chiama vita. Più avanti ritorneremo a parlare dell’evoluzionismo. Il processo da cui si originarono le prime macrostrutture cellulari (circa tre miliardi e mezzo di anni fa), è un continuo avvicendarsi di nascite e di morti. Ad un certo punto, le radiazioni solari interagendo su una materia organica sempre più estesa, in particolare le alghe dell’oceano, generando un’atmosfera per lo più
composta da ossigeno e azoto; esattamente come quella moderna. L’atmosfera è gran parte dell’evoluzione biologica, il nostro habitat e come tale è vulnerabile. Circa 600 milioni di anni fa ci fu letteralmente un’esplosione di vita. Nei mari e sulla terra ferma comparvero una quantità di specie animale e vegetale: molluschi, stelle di mare, i primi pesci, le piante e gli insetti. Più tardi ebbe inizio la saga dei dinosauri, terminata con lo sterminio dell’intera specie; una catastrofe planetaria. L’urto di un piccolo corpo celeste sulla terra, 60 milioni di anni fa ne provocò la fine improvvisa. Quel che è certo è che la scomparsa dei grandi rettili favorì l’ascesa dei mammiferi, che culminò l’evoluzione della specie umana. Anche se la nostra evoluzione è ben lontana dall’essere conclusa. I dinosauri dominarono la terra per
più di cento milioni di anni. L’uomo che è entrato in scena come dominatore da non più di alcune migliaia di anni fa, riuscirà a sopravvivere altrettanto a lungo? Abbiamo visto che la scienza è in grado oggi di affermare che l’universo è all’ottavo gradino della sua evoluzione e, volendo si potrebbe dire, anche qualcosa sul futuro, ma non voglio soffermarmi troppo. La curiosità da all’uomo la volontà di cercare e verificare. Ora, da alcuni secoli l’uomo si sforza di penetrare, con la forza della ragione e con l’indagine sperimentale le strutture dell’universo. Il frutto di questo lavoro è una visione sempre più nitida. Ma c’è qualcosa che la ricerca umana non ha ancora trovato, né nella profondità del cosmo, né all’interno degli atomi e delle particelle nucleari: il significato dell’esistenza e della possibilità di
ricavare attraverso l’indagine, valori e finalità del comportamento umano. Einstein scrive a questo proposito: la conoscenza della verità è di per se meravigliosa, ma la sua attitudine a guidarci è così modesta che essa non può fornire giustificazione e valore neppure alla stessa aspirazione. Ci troviamo qui di fronte, ai limiti della concezione puramente razionale della nostra esistenza. Ma attenzione però, alla domanda sul senso dell’esistenza, non possiamo dare una risposta senza tenere in considerazione l’uomo e la sua collocazione nella sua totalità dell’universo. Per questo motivo non esiste una “libertà assoluta”, come non esiste una “verità assoluta”. Se si ignora questo rapporto con l’intero universo e ci si basa esclusivamente sulla conoscenza oggettiva ed emozionale del mondo, si vanifica la ricerca di un significato.
A questo proposito le parole di Pascal: “non so chi mi ha messo al mondo, né cosa sia il mondo, né cosa io stesso…”. Vedo quegli spaventosi spazi dell’universo che mi racchiudono; e mi trovo confinato in un angolo di questa immensa distesa; senza sapere perché sono collocato qui piuttosto che altrove. Né perché questo tempo che mi è dato da vivere mi sia assegnato in questo momento piuttosto che in un altro di tutta l’eternità che mi ha preceduto e di tutta quella che mi seguirà. Da ogni parte soltanto infiniti, che mi assorbono come un atomo, come un’ombra che dura soltanto un attimo e poi scompare per sempre. Tutto quel che so è che devo morire; ma quel che ignoro di più è, appunto, questa stessa morte che non posso evitare. Pascal ha ragione, non sappiamo perché l’universo si sia lanciato in questa avventura che si chiama vita.
Non sappiamo perché sia avvenuta l’esplosione primordiale. Domande di questo tipo non possono avere risposta, come la domanda sul tempo prima dell’esplosione. Considerato dal punto di vista obiettivo, l’universo è assurdo. L’immagine familiare del mondo che ci siamo portati appresso dall’infanzia si dilegua e, appare il mondo delle galassie e dei quark, un mondo strano, in cui possiamo avvicinarci solo mediante il ragionamento. Nella semplice e fredda bellezza esso è senza scopo. E’ per rispondere alla domanda sul senso dell’esistenza che fu creato Dio. “Dio potrebbe essere l’ordine del mondo”. Ma come si concilia con la scienza? C’è ancora un posto per Dio in un mondo in cui dopotutto Dio non è più necessario per spiegare i processi che vi accadono? E come si spiega con Dio che alla fine anche l’universo spirituale sparirà con
l’arrestarsi della corsa che fino ad oggi l’universo ha compiuto. L’universo esaurirà la sua energia e tornerà allo stato primordiale. E’ inconciliabile il contrasto tra la scienza e la religione, tra le scienza e Dio. Abbiamo visto che l’universo come un tutto, ha una sua storia e morirà. Possiamo dire di conoscere l’evoluzione del cosmo che risale a 20 miliardi di anni fa. Sino ad oggi è stato un processo di continua creazione, caratterizzato dalla formazione di nuove strutture, ma anche dalla morte di strutture più vecchie. Nulla dura in eterno. La morte, compresa la nostra, si situa nella globalità di tutti i processi dell’universo. E’ effettivamente la certezza pratica della morte a dare contributo a quanto dà valore alla vita. Sembra assurdo, ma è proprio la sua precarietà, il fatto che dobbiamo affrontare la fine, ad aumentare il
valore. L’uomo non è né signore né schiavo del suo ambiente, ma è inserito nelle numerose manifestazioni del nostro universo. Il significato della vita umana, possiamo trovarlo nell’accettare di essere parte stessa dell’universo, una totalità che oltrepassa il singolo, nell’autocoscienza dell’individuo che agisce, che conosce i suoi limiti e la provenienza, senza la quale non esiste alcuna affermazione di vita. Dal punto di vista razionale constatiamo che non può esistere un Dio eterno, come non esiste una vita eterna, ne consegue l’assurdità del nostro concetto di eternità. I teologi si esprimono “volutamente” in modo poco chiaro quando parlano di eternità. Da quasi quattro secoli, dai tempi della condanna di Galileo Galilei da parte della chiesa, che dura il conflitto tra scienza e religione.
Oggi, non è più possibile ignorare che il nostro mondo moderno è soprattutto quello della scienza. Personalmente considero la religione come un qualcosa che non può essere espresso a causa dell’inadeguatezza della nostra lingua. E penso che al punto in cui siamo ora, dopo Darwin, Einstein, dopo le scoperte dei biologi molecolari, degli astrofisica, dei fisici, una nuova interpretazione della religione sia necessaria. Purtroppo mancano i teologi che osino cimentarsi in una impresa del genere. Effettivamente ci sarebbe molto materiale di studio per i teologi, ma sempre nel campo della materialità. L’energia, ad esempio, se quello che noi chiamiamo energia fosse Dio che è in noi?, e che muove l’intero universo partendo dagli atomi? Comunque non è mio compito invitare i teologi o chiunque sia a rivedere le sacre scritture.
Oggi si sente dire che la scienza abbia ridotto l’uomo e la civiltà al baratro. A me non pare così. D’accordo, il baratro esiste e, i prossimi decenni dimostreranno se l’uomo sarà capace di allontanare lo spettro dell’autodistruzione, rappresentato dalle armi atomiche, chimiche, biologiche, o dalla degradazione dell’ambiente. Questo pericolo però non è imputabile alla scienza, ma all’incapacità e alla dissennatezza dell’uomo. Oggi l’uomo è per la prima volta in grado di comprendere la sua posizione nell’universo. Sì, è vero, dalla conoscenza del cosmo la nostra stessa conoscenza ne ricava l’umiltà, la tranquillità ma anche un pizzico di orgoglio. Non siamo più prigionieri dei sogni del passato ma, per la prima volta, siamo in grado di riconoscere dove e cosa siamo. Ognuno di noi è unico e svolge un ruolo determinato, per quanto modesto. Nel teatro dell’universo
non ci sono comparse. Oggi siamo qui, questo pianeta azzurrino è la nostra casa. Quella modesta stella che ci fornisce la luce “necessaria per vivere” è la nostra stella. Questa galassia è la nostra galassia. In futuro l’uomo dovrà dedicare più attenzione all’ambiente che lo circonda come si fa con la propria casa. Non esiste territorio o proprietà che divide l’uomo, in quanto siamo costretti a vivere su questo territorio che è la terra. Allora più che alla furia animalesca che ha dominato la storia dell’uomo, dovremmo affidarci alla fredda razionalità che l’universo ci ha fornito. Oggi viviamo in media il doppio dei nostri antenati di un secolo e mezzo fa. La gente, adesso, è più sana, più forte e non solo perché si moriva più giovani nei tempi che precedevano la medicina moderna; molte persone erano già
vecchie a trent’anni. Vivere, fino ad allora, significava essere “sopravvissuto” a molte infezioni, le stesse che oggi possiamo prevenire o curare agevolmente. Per curare molti spazi essenziali della vita, l’uomo doveva logorarsi con una fatica senza fine, fatica che oggi le macchine fanno per noi. Come risultato oggi le persone anziane sono più giovanili in confronto a quelle di età corrispondenti nei giorni medioevali. Possiamo assumere che questa tendenza degli anziani vigorosi continuerà a lungo. Per non divagare siamo in una società in cui i vecchi sono diventati superflui. Tempi a dietro, quando le società erano semiletterate, non c’erano documenti di nessun genere, i vecchi erano i depositari, i guardiani della tradizione. Oggi non abbiamo più bisogno delle memorie dei vecchi, abbiamo modi migliori
per registrare i fatti e, come risultato, i vecchi hanno perso il diritto al nostro rispetto. La tecnologia cambia rapidamente e la società vuole solo giovani che portano con loro stessi le ultime tecniche. Per far spazio ad essi, mandiamo i vecchi in pensione e, ancora una volta, l’età perde la sua funzione. Intanto il numero di anziani “senza compiti” aumenta: essi sembrano dei pesi morti. Ma lo sono veramente? Se la differenza tra età giovane ed età matura diminuisce, che si può dire di quella mentale? Si può fare qualcosa per la stagnazione dovuta all’età? Per l’incapacità di accettare cambiamenti creativi? Quanta parte di questa stagnazione è dovuta alla tradizione di una scuola centrata sulla gioventù? Nonostante l’allungamento del periodo scolare, l’istruzione
continua ad essere associata alla gioventù e continua ad avere una specie di limite. Continua ad esserci l’assurdità che vi è un tempo in cui l’istruzione è completata. E quel tempo non è molto avanti nella vita di una persona. La maggior parte dei giovani non sopportano la disciplina di una istruzione obbligatoria e soffrono a causa di insegnamenti incompetenti. Non possiamo fare a meno di notare che le persone adulte non vanno a scuola, difficilmente studiano. Uno dei vantaggi dell’età adulta, agli occhi di un giovane, è quello di “liberarsi” delle pastoie dell’istruzione: l’essere adulto, per il giovane, consiste nel non dover imparare più niente. La natura dell’istruzione rende inevitabile la considerazione che la stessa sia uno degli svantaggi della gioventù: ciò rende palese il fallimento scolastico. Il giovane che abbandona la scuola è visto dai
compagni come uno che ha raggiunto l’età adulta. L’adulto che cerca d’imparare qualcosa di nuovo, viene guardato con un senso di divertimento e considerato, come qualcuno che mostra segni d’infantilismo. Praticamente sembra che tutti sappiano tutto. Ma ponendo l’equazione istruzione=gioventù e rendendo difficile, per la persona media, l’apprendimento oltre il periodo dello studio istituzionalizzato, si induce la maggior parte delle persone a non avere altre informazioni e atteggiamenti se non quelli ricevuti durante l’adolescenza e, vagamente ricordati. Ed ecco che negli anziani troviamo una grande percentuale di credenti. Ed ecco che ci lamentiamo dell’ottusità degli anziani. In fondo cosa c’è di più importante del conoscere e del capire? Come ci insegna Aristotele, niente è più importante del sapere.
Abbiamo un cervello da un chilo e mezzo che deve essere costantemente occupato per evitare il “male mortale” della noia. In mancanza di meglio il cervello viene riempito con la lettura di inutili riviste, visione di banali e mediocri programmi televisivi o altro, che non hanno nulla a che fare con la crescita e lo sviluppo dell’intelligenza. Anche questi materiali scadenti sono preferibili alla scuola come viene concepita oggi. Una scuola in cui vengono propinate materie tradizionali a velocità obbligatoria, senza alcun riguardo per l’individualità. Una scuola in cui spesso è sottovalutata l’importanza di alimentare un senso critico nell’individuo rispetto alla società in cui vive e alla sua stessa vita. Senza dubbio la persona che esplora un campo, trova strade sempre più infinite da esplorare. In questo non esistono limiti di età.
Con l’avvento dell’intelligenza l’uomo si è distanziato dalla natura, grazie alla sua particolare capacità di immagazzinare ordinatamente idee, creando così la logica come metro di misura per la vita. Nessuna “era” come nessuna “età” può esonerare l’uomo dal bisogno di conoscenza, anche se in fondo tutte le conoscenze non possono allontanare l’uomo dalla morte. L’uomo, lo sviluppo scientifico, possiamo vederlo sempre e solo in funzione della vita. Anche se nella storia c’è qualche prevalenza di irrazionalità, possiamo notare come in fondo dei frammenti di logica e di sensatezza abbiano portato l’uomo a ciò che oggi siamo. Lo Sviluppo delle Capacità Era inevitabile che gli uomini cercassero di curare se stessi e gli altri dalle malattie, che tentassero di
alleviare il dolore, di tenere lontana “la morte”: lo fecero in principio con riti magici o religiosi, cercarono di costringere o indurre qualche divinità o demone a modificare il corso degli eventi. Non potevano non notare che all’interno di un corpo umano o animale, ogni volta che veniva aperto per essere mangiato, o sacrificato dai sacerdoti, esistevano al suo interno delle funzioni. All’inizio la vista degli organi non veniva usata per studiarne il funzionamento, ma per apprendere notizie circa il futuro. Certamente anche sotto l’influenza predominante della superstizione, nel corso dei secoli furono raccolte notizie utili. Ad esempio nell’antico Egitto, dove era conosciuta così bene la pratica dell’imbalsamazione, sicuramente c’era una buona conoscenza dell’anatomia umana. Nello stesso periodo in Babilonia vi era un regolamento medico le cui
conoscenze dovevano essere sia utili che efficaci. Tuttavia finché l’uomo fu convinto che il naturale fosse un effetto del soprannaturale, il progresso scientifico fu di una lentezza impressionante. Chi si dedicava al mondo visibile, lo faceva nel tentativo di arrivare mediante “l’ispirazione o la rivelazione” al mondo invisibile e dominante. Furono gli antichi Greci a modificare la situazione. Era un popolo curioso, intelligente, irrequieto, portato alla discussione. E furono proprio i Greci a cercare di capire per primi il mondo mediante i sensi, così come veniva percepito. Nel 600 a. C. circa, uno dei primi filosofi a mettersi in risalto, ad avviare un movimento destinato a cambiare tutto fu Talete. Ma molti altri filosofi ionici ignorarono il soprannaturale e supposero che l’universo seguisse uno schema fisso e inalterabile. Supposero
l’esistenza della casualità, ossia che ciascun evento aveva una causa e, una data causa, produceva un dato effetto, senza pericolo di cambiamento ad opera di volontà soprannaturali. Un’altra deduzione era che l’universo era tale che la mente umana avrebbe potuto comprenderlo partendo da premesse e osservazioni. Praticamente affermando di poter comprendere l’universo, si affermava una nuova dignità e con essa, la certezza che una volta arrivati alla conoscenza dell’universo, essa sarebbe stata permanente. La filosofia del “razionalismo” che nacque con i “Greci” non è mai morta. Il razionalismo entrò a far parte delle scienze medichebiologiche. Secondo la tradizione il primo a sezionare corpi animali per descrivere ciò che vedeva, fu Alcmeone. Nel 500 a. C descrisse i
nervi dell’occhio e studiò la struttura del pulcino ancora rinchiuso nell’uovo. Alcmeone può essere considerato il primo studioso di anatomia (lo studio sistematico della forma e della costituzione del corpo umano) e di embriologia (lo studio di tutti gli organismi prima della nascita). Anche se certamente il nome più importante legato alle origini della biologia (lo studio di tutti gli organismi viventi) è quello di Ippocrate. Secondo la dottrina ippocratica, nessuna divinità influiva sulla medicina e il corpo era sano quando le parti che lo componevano funzionavano bene e armoniosamente; in caso contrario era malato. Secondo Ippocrate il compito del medico era di osservare con attenzione, per scoprire quali fossero i difetti del funzionamento e intervenire nella maniera adatta per correggerli. L’intervento non consisteva in preghiere o sacrifici, ma nel permettere al malato di
riposare, di fargli respirare aria pura, mangiare cibi semplici e sani, nel farlo stare in un ambiente pulito. Ippocrate fondò una tradizione medica che durò per secoli dopo la sua morte. La scienza antica progredì per alcuni secoli e possiamo affermare che culminò in Aristotele. Fu il più versatile di tutti i filosofi greci: scrisse su quasi tutti gli argomenti, dalla fisica alla letteratura, dalla politica alla biologia. Aristotele studiò con cura e attenzione l’aspetto e le abitudini delle creature (in questo consiste lo studio della storia naturale) e, così facendo, elencò circa 500 tipi o “specie” di animali che differenziò tra loro. L’elenco in sé sarebbe insignificante, ma egli si spinse oltre: si rese conto che ceti animali potevano essere divisi in categorie o gruppi. La scrupolosa attenzione portò Aristotele nel notare che in questa scala della vita, non ci sono
confini rigidi. Anche se, effettivamente, in nessuna delle sue opere Aristotele mostra di credere che una forma di vita possa lentamente trasformarsi in un'altra: ed è questo concetto invece che fornisce la chiave per la moderna teoria sull’evoluzione. La “cultura greca” si diffuse rapidamente nel mondo mediterraneo e formò “il museo” (l’istituzione che più si avvicina alla moderna università). Gli studiosi greci sono famosi per le ricerche sulla matematica, fisica, astronomia, geografia. Percorrendo la storia del pensiero scientifico ci si rende conto che non esiste campo sul quale i greci non siano approdati. In epoca cristiana furono accusati di aver sezionato il corpo umano in pubblico per insegnare l’anatomia. E dopo un periodo così promettente dal punto di vista scientifico, la Grecia cadde sotto la dominazione
Macedone e poi Romana. Gli studi della retorica, dell’etica, della filosofia morale, si allontanavano dalla filosofia naturale e dallo studio razionale della natura che era nato con essi. La convinzione religiosa aveva tolto all’uomo la possibilità di studiare se stesso, per gli “ebrei e per i cristiani” la dissezione era sacrilega, il corpo umano era creato a immagine e somiglianza di “Dio” e quindi, era sacro. Durante il dominio romano ci fu una grande interruzione del progresso scientifico, soprattutto nella biologia. L’ultimo vero biologo fu Galeno, un medico che esercitava la sua professione a Roma. Per anni aveva lavorato come chirurgo all’arena dei gladiatori, il che gli diede la possibilità di fare alcune osservazioni sull’anatomia umana. Tuttavia, sebbene a quei tempi non si trovasse niente da dire sui giochi crudeli e sanguinari dei gladiatori
destinati agli svaghi perversi della plebe, si continuava a condannare la dissezione dei cadaveri. Così gli studi di Galeno dovettero basarsi sulla dissezione di pecore, cani e altri animali. Quando ne aveva la possibilità, Galeno sezionava le scimmie, notando la loro somiglianza con l’uomo. Negli ultimi tempi dell’impero romano il Cristianesimo divenne la religione predominante. La concezione cristiana era all’opposto di quella dei filosofi greci. Per la “mentalità cristiana” il mondo non era quello dei sensi, per lo meno non era quello importante; il vero mondo era <la città di Dio> che si poteva raggiungere soltanto con la rivelazione, avendo come guida spirituale la Bibbia e gli scritti dei padri della Chiesa. La fede nell’esistenza di un mondo immutabile e di una legge naturale, fu sostituita dalla fede in un mondo soggetto ai miracolosi interventi di
Dio. Alcuni addirittura ritenevano che lo studio della natura fosse una macchinazione del demonio. Comunque sia, in questo periodo cosiddetto <evo oscuro> la “luce che si era accesa nel progresso scientifico non si spense del tutto. Gli arabi abbracciarono l’Islam, una religione ancora più nuova del Cristianesimo predicata da Maometto nel settimo secolo e, slanciati fuori dalla loro penisola arida, invasero l’Asia e l’Africa. Nel 730, un secolo dopo Maometto, gli uomini dell’Islam (musulmani), erano alle porte di Costantinopoli ad oriente e, ai confini occidentali della Francia. Dal punto di vista militare e culturale gli arabi sembrarono un flagello e un pericolo per l’Europa cristiana, ma dal punto di vista intellettuale furono un vantaggio. Come i romani gli arabi non erano di per sé dei grandi innovatori scientifici, ma riscoprirono le opere
di uomini come Aristotele, Galeno e moltissimi altri. Fecero tesoro di queste opere traducendole, studiandole, conservandole e commentandole. I contatti con i musulmani “contribuirono” a dimostrare agli europei che la cultura del nemico non era semplicemente opera del demonio, ma sotto certi punti di vista era più progredita e raffinata del modo di vivere europeo. Fu così che gli studiosi europei cominciarono a ricercare la scienza musulmana. Verso la fine dell’undicesimo secolo gli eserciti dell’Europa occidentale cominciarono ad invadere il vicino oriente nel corso delle crociate. Un dotto tedesco di nome Alberto Magno si innamorò di Aristotele, i suoi scritti quasi interamente aristotelici posero di nuovo le fondamenta della scienza greca sulle quali si sarebbe potuto finalmente costruire qualcosa di
nuovo. Un discepolo di Alberto Magno fu il filosofo italiano Tommaso D’Aquino, il quale conciliò la filosofia aristotelica con la fede cristiana. Tommaso D’Aquino era convinto che la “mente raziocinante” fosse stata creata direttamente da Dio, come il resto dell’universo, e con il vero ragionamento l’uomo non avrebbe potuto trarre conclusioni con la fede cristiana. Pertanto la ragione non era né perversa né nociva. La scena era pronta per una rinascita del razionalismo. Verso la fine del Medioevo fu fatta rivivere la pratica della dissezione, e non ci volle molto nel passare all’insegnamento della medicina. Nel quindicesimo secolo ci fu in Europa l’era delle grandi conquiste geografiche e la “curiosità” degli studiosi si orientò verso nuove specie di animali e di piante. Finalmente l’Europa aveva preso piena coscienza di quanto il
razionalismo potesse fruttare all’uomo, raggiungendo così la posizione che i greci avevano raggiunto duemila anni prima. Certamente non sarebbe stato possibile un ulteriore progresso, a meno che gli studiosi europei non si fossero resi conto che i testi greci erano soltanto l’inizio e dovevano essere assimilati e messi da parte; e non conservati e venerati fino a diventare prigioni per la mente. Nello stesso periodo Niccolò Copernico, un astronomo polacco, pubblicò un libro in cui era descritta la nuova concezione del sistema solare, nella quale il Sole era al centro e la Terra era un pianeta orbitante come tutti gli altri. Questo libro segnò la fine della concezione errata dell’universo che l’uomo aveva avuto fino ad allora: <la concezione egocentrica della terra>, anche se ci volle un secolo di lotte “tenaci” prima che la nuova concezione trionfasse
completamente. Ci furono molti eventi in quel periodo; con Galileo Galilei si diffondeva il metodo sperimentale, superando così i confini imposti dalla fisica aristotelica. Il più importante filosofo di quell’epoca, René Descartes (Cartesio), fu attirato dalla concezione del corpo come congegno meccanico. Almeno nel caso dell’uomo, questa si scontrava pericolosamente con le credenze di quell’epoca, e Cartesio si premurò di far notare che la macchina del corpo umano non comprende la mente e l’anima, ma soltanto la struttura fisica. Da qui la ricerca meccanicistica andò ad assumere dettagli più elaborati. Il corpo poteva essere concepito come una macchina, senza necessariamente considerarlo un semplice “sistema di leve” e di ingaggi. La connessione puramente “fisica” orientò le ricerche sulla
chimica. Già dal tempo degli antichi greci, si sapeva che le sfere cave di vetro piene d’acqua, avevano la possibilità d’ingrandire le immagini. Il vero successo lo dobbiamo a Galileo Galilei che, inventando il telescopio utilizzato per l’astronomia, ha dato l’avvio agli esperimenti con le lenti. Entrarono presto in uso ingranditori o microscopi che portavano la vista umana a superare i suoi limiti. Davanti a sé l’uomo aveva un mondo nuovo, quello dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande: dagli atomi alle galassie. Gli anatomici ebbero la possibilità di scoprire strutture che altrimenti sarebbero state invisibili, lo stesso vale per i fisici, per i chimici e per tutte le scienze in generale. Palesemente sono numerose le scoperte scientifiche per mezzo delle lenti. Infatti verso la metà del
diciassettesimo secolo si “rimetteva” in discussione un problema che sembrava risolto: quello relativo “all’origine della vita” o, almeno delle forme più semplici di vita <materia vivente e non vivente>. Mentre gli esseri umani e gli altri animali più grandi nascevano dal corpo della rispettiva madre o dalle uova deposte dalle madri, questo non era altrettanto chiaro per gli animali più piccoli. Fino all’epoca moderna si dava per scontato che i vermi e gli insetti nascessero dalla carne putrefatta e da altre sostanze in decomposizione. Questa origine della “vita” dalla “non vita” prendeva il nome di <generazione spontanea>. Sulla questione della generazione spontanea ci fu una vasta polemica, che raggiunse una nuova intensità nel diciottesimo e nel diciannovesimo secolo: la polemica tra vitalisti e meccanicisti.
Questa polemica era in un certo senso una polemica sulla “classificazione” della vita: bisognava mantenerla separata dalla non vita oppure concepire una serie di gradazioni? Anzitutto le forme di vita si possono suddividere in specie, una specie è definita tale per la capacità di “accoppiarsi” tra loro e di conseguenza dare alla luce dei simili a loro volta capaci di accoppiarsi producendo una generazione. Questo che possiamo definire “albero della vita”, assume dimensioni più concrete dopo lo scoppio della rivoluzione francese. La rivoluzione francese aprì un’era di trasformazioni estesa a tutta l’Europa. Questa palingenesi frantumò gli antichi valori per non essere più restaurati. La docile accettazione della chiesa come autorità definitiva scomparve in una nazione dopo l’altra e divenne
possibile proporre teorie scientifiche che, fino ad allora sarebbero state pericolose eresie. Qualche decennio più tardi, un naturalista francese, Lamarc, trovò opportuno effettuare un esame particolareggiato sull’evoluzione. Avanzò l’ipotesi che le dimensioni utili degli organi aumentassero se nella vita questi venivano molto usati, e si riducessero se non venivano usati e che questo “sviluppo o degenerazione” potesse quindi venire trasmesso alla discendenza. Ma una difficoltà che ostacolava l’evoluzione era l’evidente lentezza dei cambiamenti della specie. A memoria d’uomo non si conoscevano casi di trasformazione da una specie all’altra. Pertanto un processo del genere richiedeva almeno una centinaia di migliaia di anni. Eppure per tutto il medioevo e la prima parte dell’era moderna, gli
studiosi accettavano alla lettera le parole della Bibbia, ed erano convinti che la terra avesse soltanto seimila anni, il che non lasciava tempo ad un processo evolutivo. Ma quasi alla fine del diciassettesimo secolo ci fu un cambiamento ad opera di un medico di nome “James Hutton” che studiava geologia per passatempo; pubblicò un libro: “Teoria della Terra”. Hutton metteva in risalto come l’azione dell’acqua, del vento e delle intemperie modificava lentamente la superficie terreste. Egli sosteneva che questi processi si erano svolti allo stesso modo e alla stessa velocità (principio uniformitario). Per spiegare le trasformazioni gigantesche, come la formazione delle montagne, l’erosione delle gole dei fiumi e così via, occorrevano enormi periodi di tempo. Pertanto la terra doveva avere per forza un’età di molti
milioni di anni. Vediamo come dalla geologia, alla paleontologia, alla biologia, alla citologia, tutti gli indizi suggerivano un principio, gridando a gran voce che una concezione evoluzionistica era necessaria. L’uomo che concepì un adeguato meccanismo evoluzionistico e lo impose alla mente dei ricercatori, era un naturalista inglese di nome Charles Robert Darwin. Da giovane Darwin studiò medicina e più tardi pensò di avviarsi alla carriera ecclesiastica, ma nessuna di queste due carriere gli era congeniale. Darwin era appassionato di storia naturale, e cominciò a prenderla in seria considerazione come carriera dopo aver letto alcuni volumi di geologia. Egli si rendeva conto dell’antichità della terra e delle lunghe ere durante le quali la vita aveva avuto tutto il tempo di svilupparsi. Secondo Darwin la pressione
dell’ambiente avrebbe favorito la differenziazione , intensificandola fino alla formazione di specie nuove e diverse tra loro. Praticamente, la natura avrebbe selezionato i sopravvissuti all’insufficienza delle risorse alimentari, e grazie a questa <selezione naturale> la vita si sarebbe “suddivisa” in una gamma infinità di specie. Era possibile che la natura prendesse il posto dell’uomo e praticasse lo stesso genere di selezione per i propri scopi? La natura adattava gli animali al loro ambiente piuttosto che ai gusti e alle esigenze dell’uomo? Darwin raccolse dati su organi che denotavano l’esistenza di millenni passati, organi pienamente sviluppati e utili (si consideri l’esempio sensazionale dei serpenti e delle balene che possiedono frammenti di ossa che un tempo avrebbero fatto parte di articolazioni
dell’anca e di zampe posteriori, il che ci costringe a credere che discendano da creature che un tempo camminavano con le loro zampe). Aspirando meticolosamente alla perfezione, Darwin continuava senza sosta a raccogliere e classificare informazioni. Dopo anni di fatica nel 1856 cominciò a scrivere sull’argomento. Tre anni dopo pubblicò finalmente il suo libro: sull’origine delle specie per mezzo della selezione naturale, o conservazione delle razze privilegiate nella lotta per la vita; noto semplicemente come “l’origine della specie”. Ci furono molte difficoltà ad accettare questo libro; sconvolgeva nozioni “sacrosante” degli uomini essendo in contrasto con l'insegnamento letterale della Bibbia. Anche coloro che non erano religiosi trovavano ripugnante una concezione che riduceva il
meraviglioso regno della vita, con lo stesso miracolo dell’uomo, a un caso cieco e insensibile. Tutto quindi aveva una provenienza: LA CELLULA. Senza parafrasare?! Il darwinismo ebbe a poco a poco successo, ma un punto era di rilevante importanza; forse il punto più delicato della teoria di Darwin: la sua applicazione all’uomo. Nel suo libro aveva “evitato” di affrontare il problema, l’uomo era soggetto a cambiamenti evolutivi? Nel 1871 finalmente si pronuncia con un libro in favore dell’evoluzione umana (l’origine dell’uomo e la scelta sessuale). La ricerca degli esseri umanoidi primitivi fu orientata in quelle parti del mondo dove abbondavano ancora le scimmie, cioè in Africa, patria del gorilla e dello scimpanzé. Tuttavia ci furono molte scoperte in Cina, nell’Asia sud-orientale (patria dell’orango e del gibbone), nel giro
di pochi anni “l’origine dell’uomo” era chiara: l’uomo-scimmia-eretto. Senza entrare nei dettagli, non esistono dubbi ragionevoli che possano togliere o opinare la teoria dell’evoluzione. Molta ostilità nei confronti dell’evoluzione ha resistito fino al ventesimo secolo, e ne esistono esempi anche al giorno d’oggi. Mi riferisco alle sette religiose che insistono sul significato letterale della Bibbia. E’ difficile immaginare che oggi un biologo, uno scienziato, un ricercatore serio, possa essere contro la certezza dell’evoluzionismo. Penso proprio che l’uomo la debba finire d’inventare favole, di difendere “false verità”: forse è il caso di essere un po’ più umili, di accettare la nostra limitatezza e di valorizzare l’unico strumento di misura che possediamo: la logica. Le vittorie dell’uomo nei confronti della vita, sono certamente dovute
al sapere, all’analisi critica delle sue stesse possibili soluzioni e non alla fantasia emotiva. Abbiamo fatto grandi passi “paragonando” la nostra storia a quella dell’universo, ponendoci umilmente e con totale ignoranza nei confronti dell’universo. E’ insensato “fingere” di conoscere, dare per certo delle cose indimostrabili, per avere più credibilità e potere tra gli uomini. Siamo usciti dal nulla sfregando due pietre tra loro, esplorando il nostro pianeta e sviluppando la tecnologia. Ma certamente non bisogna dimenticare che c’è voluta tutta la storia dell’universo, della vita, e dell’uomo per ottenere questa “fragile libertà”. La morale dell’evoluzione ci porta a questo. Aggiungendo che, questo cammino ci ha reso meravigliosamente liberi. Dagli australopitechi a neanderthal, dall’uomo habilis fino all’homo
sapiens, “la storia dell’umanità” può essere vista ancora come una funzione biologica. Poi improvvisamente la tecnologia prende il sopravvento, non è più la biologia che domina la storia dell’uomo, ma il prodotto del suo cervello: la cultura. Il Cervello e le Sue Funzioni Parlando del cervello e delle sue complesse funzioni, dobbiamo ammettere che ancora oggi la scienza ci fornisce di molte teorie, alcune anche verificate, ma non possono essere messe nero su bianco; e quindi ci limiteremo alle sole certezze. Sappiamo che nella parte più interna esistono zone precise che corrispondono ad una serie di istinti primordiali: la fame, il sonno, il sesso, l’aggressività. Con la verifica scientifica sappiamo con certezza che queste zone
vengono raggiunte da stimolazioni elettrochimiche; le stimolazioni delle cellule nervose che sono in contatto col mondo esterno: quelle del naso, degli occhi, delle orecchie, della pelle, etc. etc.. Ciò che noi capiamo con i nostri sensi, si irradia nella rete nervosa giungendo così a queste zone del cervello. In continuazione nella vita abbiamo impulsi nervosi, suoni, odori, dolore, stimolando quelle zone del cervello dove hanno sede gli istinti e le emozioni. Nel cervello di qualsiasi essere vivente esiste questa zona che è sede delle reazioni istintive; o primitive. Se l’uomo avesse solo questa zona, praticamente si comporterebbe come tutti gli altri essere viventi (animali) che popolano la terra. Semplificando, più si riduce il volume del cervello più troviamo comportamenti istintivi, questo non vuol dire che un elefante dovrebbe
essere più intelligente di un uomo. Nel cervello è presente la corteccia cerebrale, sia in quello di alcuni animali che in quello umano; questa nel nostro cervello è estremamente sviluppata. Cosa c’è dentro? Che funzione svolge? La corteccia può essere definita l’area delle memorie, cioè dove si accumulano le nostre esperienze, le cose imparate: praticamente la parte del cervello che analizza, o la logica, se vogliamo. Quando arriva uno stimolo dall’esterno, esso raggiunge sia la zona degli istinti che quella delle memorie. Gli istinti tendono a reagire automaticamente, le memorie invece analizzano e confrontano questo stimolo con gli stimoli precedenti, e per associazione di stimoli, può evocare ricordi. Da queste due attività nasce così il comportamento: esso è per così dire, un compromesso tra gli istinti
e le memorie. Queste due attività non possono fare a meno l’una dell’altra. Ognuna offre qualcosa all’altra. Può accadere che in determinate situazioni prevalga l’istinto e di lì l’opera della memoria a riequilibrare il tutto. Come correre in auto per provare uno stato emotivo, si pigia sull’acceleratore istintivamente, ma con l’associazione di memorie che entra in fusione avvertiamo pericolo. Ci sono anche dei conflitti tra le due funzioni, ma quando l’alleanza trova il giusto equilibrio, la spinta emotiva che proviene dall’interno permette all’inventiva e anche alla creatività di esprimersi. Nel corso della storia, infatti, l’istinto di sopravvivenza ha continuamente motivato la ricerca di soluzioni, di adattamenti, di scoperte. La corteccia invece attraverso il linguaggio e l’intelligenza ha trasferito sul piano astratto l’interpretazione dei segnali
e dei simboli. Una sola frase o parola possono far scaturire un comportamento aggressivo. Questo continuo scambio di informazioni e stimoli, tra le varie aree cerebrali, crea un fittissimo intreccio di reazioni istintive e di elaborazioni mentali. E diventa così difficile stabilire, nel comportamento, ciò che è innato e ciò che deriva dall’esperienza. Ovviamente il funzionamento del cervello è un fenomeno più ingegnoso di come può essere descritto in poche righe: il fenomeno più complesso che sia mai esistititi. Comunque mi sembra plausibile che è proprio nel rapporto tra queste due diverse zone cerebrali che vanno ricercate alcune basi del nostro comportamento. E anche delle nostre contraddizioni. Tuttavia si tenta di capire qual’è la parte innata del nostro comportamento, direttamente
studiando il funzionamento del patrimonio genetico, grazie ai progressi fatti nel campo della genetica. Che ruolo hanno i geni su di noi? Ogni cellula del nostro corpo, come si sa, contiene un nucleo dove si trovano i cromosomi. I cromosomi sono formati da un lungo filamento di “DNA”, la famosa struttura a doppia elica. I segmenti di questa struttura sono chiamati geni. Attraverso l’azione combinata di questi geni nascono le strutture che formano il nostro organismo. Il nostro organismo funziona in base al continuo flusso di informazioni e di materiali regolati appunto, dai geni. Ad esempio, le funzioni che svolgono i nostri organi non hanno avuto nessun bisogno di apprendimento, il cuore non ha avuto bisogno d’imparare a battere. Sappiamo che l’eccitabilità è regolata dalle ghiandole surrenali,
dall’adrenalina, e come gli ormoni (che sono anch’essi regolati dai geni) intervengano continuamente sul comportamento. Comunque, per ora l’uomo può solo agire sull’ambiente, modificarlo in modo adeguato, ma sui cromosomi no. Almeno per ora. Anche se una caratteristica tipicamente umana è la “curiosità”: la curiosità da sempre stimola l’uomo alla ricerca, alla cultura. Possiamo ben dire che certamente anche gli animali hanno una loro dimensione di vita, un loro linguaggio, ma tuttavia non avranno mai la capacità di riflettere o dialogare: la peculiarità umana. Come è nata questa facoltà? Come si è sviluppata? Come abbiamo visto possiede un linguaggio innato, vale a dire un linguaggio che non ha mai dovuto imparare: lo stesso che possiede l’animale. Questo linguaggio è in grado di
comunicare con delle espressioni: collera, paura, dolore, ansia e piacere. Queste espressioni sono comuni a tutti gli esseri viventi dotati di cervello, ma nell’uomo è apparsa a un certo punto la parola. Potremmo dire che la differenza è sita nella diversa formazione delle corde vocali, nell’uomo esiste una laringe, e un apparato vocale in grado di articolare suoni e di modulare la voce; ma la vera differenza con l’animale non è certamente nell’apparato vocale: è nel cervello. Il cervello umano non solo è più sviluppato, ma è sviluppato notevolmente in due zone: la zona del linguaggio e la zona che controlla le mani. Come ha avuto origine il linguaggio? Probabilmente, le prime parole apparvero quando l’uomo cominciò a cacciare in gruppo. Per uccidere o difendersi dai grandi animali,
bisognava essere in tanti, ed era necessario poter comunicare. Un semplice suono gutturale, ripetuto nella stessa situazione, diventava così un simbolo conservato nella memoria dell’esperienza. Una serie di circostanze determinarono così la nascita delle prime forme di comunicazione. Si ritiene che sia stato proprio il vantaggio di sopravvivenza che il linguaggio consentiva, a creare la cooperazione tra i primi gruppi umani, e fu così che nacquero le prime forme di socialità e di cultura tipicamente umane. La vita in comune favorì così lo sviluppo del linguaggio e la trasmissione del sapere. In breve, siamo arrivati ad oggi. Ognuno di noi può conoscere numeri sterminati di parole e comporre combinazioni di frasi a non finire. Disponendo di un vasto repertorio di simboli comuni, è possibile descrivere non solo un
avvenimento, ma anche un pensiero: è possibile ricordare o pensare al futuro, il tutto attraverso i simboli. Con le semplici parole possiamo descrivere o provocare reazioni di collera, paura, piacere, etc.. La parola insomma sostituisce la realtà: trasmette informazioni apprendimenti e cultura. Ma l’importanza, la parola (o il simbolo) l’assume, o ha valore solo a una condizione, se il ricevente la capisce. Altrimenti non c’è più comunicazione: le parole vanno perse, e non riescono più ad evocare negli altri quelle percezioni mentali che permettono la comunicazione. E forse oggi, siamo arrivati ad un punto, in cui l’importanza che il ricevente capisce non ha più senso. Questo vale per tutti i mezzi di comunicazione di massa e privati, se il linguaggio non è adeguato, il
destinatario è privato della sua comunicazione. Quest’ermetismo ostacola così l’accesso alla scienza, alla cultura, e dirotta la maggior parte delle persone verso messaggi “meno” impegnativi. La televisione è l’esempio eclatante, l’informazione culturale o scientifica, è incomprensibile, e il telespettatore viene in pratica costretto a sintonizzarsi su un altro canale: magari su un telefilm. Penso che il problema del linguaggio oggi sia uno dei più importanti che ci siano. Senza le parole adeguate, i concetti non passano. E nel nostro tempo, è molto difficile vivere senza l’arma dell’informazione, della comunicazione. La difficoltà di capirsi (tra individui che parlano la stessa lingua) è chiaramente un assurdità. Vale la pena di approfondire un
attimo l’argomento. Nella comunicazione è più importante la dialettica che si usa, o la ricezione di chi ci ascolta? L’ambiente in cui viviamo è pieno di linguaggi che non comprendiamo, ogni settore ha un suo specifico linguaggio, l’economia, la scienza, l’arte, la politica, etc., etc.. La difficoltà molto spesso, non è nei concetti, ma nel modo in cui sono espressi. In sostanza, sarebbe opportuno che tutti i linguaggi dei diversi campi fossero codificati in un solo linguaggio udibile e comprensibile. E’ certamente un’impresa ardua e di estrema intelligenza essere eloquente, chiaro, alla portata di tutti. Paradossalmente si può dire che è più difficile essere chiaro che oscuro e incomprensibile. La “chiarezza e la semplicità” richiedono più sforzo e più talento: quando si è chiari non si può barare. Le parole non percepibili sovente
nascondono un pensiero o l’ignoranza su un determinato argomento. Rimanendo nel vago, nell’oscuro, nell’ambiguo, si riesce a “mascherare” meglio le proprie carenze, o quello che si vuole nascondere. Tutto questo quando si è semplici non serve, anzi, bisogna dimostrare di aver capito. E’ sorprendente che in un mondo come il nostro il problema di come comunicare continua a porsi solo marginalmente. E il risultato dell'“inadeguatezza” del linguaggio lo troviamo in ogni aspetto della vita. Basta per esempio leggere un qualsiasi modulo delle amministrazioni pubbliche o bancarie, per rendersi conto dell’abisso linguistico che c’è tra il cittadino e coloro che dovrebbero aiutarlo a capire. Bisognerebbe rendersi conto che, l’equiparazione del linguaggio è tra le più alte vette di una società civile; mentre dalla differenziazione
possiamo trarre solo dei danni, sia come società che come singoli individui. Infatti, una corretta comprensione dei problemi consente di affrontare meglio problemi di interesse comune, consente di poter contare su persone informate, capaci di poter rispondere in maniera più adeguata a certe scelte: senza influenza emotiva. Penso sia opportuno sottolineare che, quando una o più persone non capiscono, la colpa non è di chi non capisce, ma di chi non ha saputo comunicare. Si parla di sviluppo democratico, è giusto, è bello, ma lo sviluppo democratico non può basarsi sull’ignoranza dei problemi. Uno dei grandi “obiettivi” della democrazia, non è forse quello di rendere gli individui responsabili e consapevoli, in modo che possano esercitare i loro diritti utilizzando al meglio la loro capacità di capire. Purtroppo oggi pur proclamando principi
democratici, si scrive e si parla in un modo, che chi dovrebbe recepire (cioè la totalità degli individui) stenta a farlo. Eppure quando vogliamo dare dei messaggi chiari, recepibili da tutti, il modo lo troviamo. Nella pubblicità ad esempio l’imperativo è: farsi capire, entrare nella testa del pubblico, messaggi concisi, chiari e semplici. Nessuna ditta pagherebbe un’agenzia pubblicitaria che produce messaggi poco chiari. Di qui lo sforzo dell’agenzia ad essere subito leggibile. Mentre nei contratti di vendita o assicurativi avviene esattamente l’opposto: lo scopo è quello di essere poco chiari per scoraggiare il cliente alla lettura delle clausole. Ed ecco qui l’oscurità, la latenza, i limiti tecnici, i richiami a paragrafi precedenti. La stessa cosa vale per i politici, gli economisti, gli intellettuali, e per tutti coloro che si esprimono
attraverso i mezzi di comunicazione. Quando parlano al pubblico debbono “obbligatoriamente cambiare” linguaggio. Se non sono in grado di farlo debbono farsi sostituire da altri. Il guaio è che ormai siamo “assuefatti” da questi linguaggi oscuri, li accettiamo come se fossero pioggia o nebbia; fanno parte del paesaggio. Oppure, peggio ancora, accettiamo lo stato delle cose giustificando che l’uomo parli in un modo incomprensibile. Altrimenti che uomo colto sarebbe? Se le cose che dice le capisce anche un ignorante, non sono poi così difficili, e l’uomo “colto” non è poi così colto. La cultura non è nel sapere in sé, ma nel saperla trasmettere. Sembrerebbe che la conoscenza, il sapere, abbiano lo scopo di distinguere un uomo da un altro, e di portare con sé l’onnipotenza: ma non è così. A volte siamo noi che
incoraggiamo queste persone ad usare il linguaggio come simbolo di potere. Il dire “non ho capito” sembrerebbe quasi dire non sono intelligente, colto, ma in questa frase si manifesta la “semplicità” che dovrebbe accompagnare ogni uomo nella sua “vita”. Dire “non ho capito” è una dimostrazione di forza, di caparbietà, significa dimostrare di non avere complessi d’inferiorità, ed è anche un’arma per costringere l’interlocutore a “scoprirsi”. Essere chiari e semplici è sinonimo di “purezza interiore”. Per ora questi individui dobbiamo tenerceli, ma spero che arriverà presto un tempo in cui, la comunicazione abbia un fine ben preciso: la percezione del ricevente. In fondo partendo dal linguaggio, alla tecnologia, a tutti i tipi di sviluppo che ci sono stati nelle ultime sei generazioni, l’uomo non può esimersi dal dire “non ho
capito”. Dagli ultimi 50 anni si sono susseguite 1500 generazioni, delle quali le ultime 60 erano si e no capaci di leggere e di scrivere e le ultime 6 hanno assistito allo sviluppo oggi in atto. Ora, lo sviluppo è certamente un prodotto del cervello, e nel cervello è sita la chiave per adeguarsi allo sviluppo. Il mondo verso il quale andiamo ha bisogno di essere capito, di essere adeguato alle “vere” esigenze dell’uomo. E per risolvere tutti i problemi esistenti c’è bisogno degli stessi elementi che hanno avviato il progresso scientifico: l’umiltà e la razionalità. A questo proposito avrei scritto due righe. Chi sei tu… creatura divina Tu…che tutto sai, che tutto sentenzi; credi di essere contrapposto al
mondo, di essere il primo, di essere l’unico. La tua incertezza si fonde con la tua arroganza, la tua chiarezza con la tua ignoranza; ebbene sappi: sei soltanto un uomo. CONCLUSIONE Il termine conclusione lo trovo terribile, sembra quasi che una persona possa esaurire le parole su un argomento del genere. Personalmente ho ritenuto opportuno trattare questo argomento perché alle soglie del duemila analizzando il “comportamento” umano si può assumere: tutto si è evoluto, ma il comportamento umano degli uomini è rimasto uguale a quello degli uomini del medioevo. Guerre, sofferenze, atrocità; ecco come si manifesta la nostra “ignoranza”.
Purtroppo, la conoscenza delle cose per noi umani è solo epidermica, e non ci porta nessuna consapevolezza, oltre a quella di ciò che non siamo e di ciò che non sappiamo. Dobbiamo accettare che come essere umani siamo limitati, siamo soggetti alle leggi dell’universo, della vita; il nostro “passaggio” è nulla, come è nulla ciò che noi pensiamo, ciò che noi facciamo. Bisogna rendersi conto che agli uomini pensano solo gli uomini, che il destino degli uomini è in “mano” soltanto agli uomini; e niente potrà mai cambiare il “processo della vita”: si nasce si vive e si “muore”. Così è per tutti. Siamo abituati ad allontanare questo pensiero, quasi fosse la realtà di un altro. Quello che in natura accettiamo come normale, non è normale per gli uomini; gli animali, la vegetazione; muoiono senza lasciare traccia del
loro passaggio nella vita: ma come esseri umani abbiamo la facoltà di creare altri mondi oltre a quello terreno. L’uomo ha il pensiero, l’animale no: abbiamo inventato “una vita oltre la vita”. In fondo, come uomini abbiamo questa certezza, di cosa ci lamentiamo, perché abbiamo così “paura” della morte; siamo poi così “sicuri” di avere un’altra vita a disposizione? Io dico di no: Partendo dal presupposto che, l’intelligenza non è altro che una delle “tante” manifestazioni dell’universo e della natura; ma non è detto che sia la più importante. Chi domina “crede” sempre di essere il perno principale di un sistema: ma lo è? Personalmente non tollero chi non è “umile” di fronte all’ “emblema” della vita, chi inventa, chi professa verità, chi non approfondisce, chi crede di aver capito tutto; e purtroppo, questo atteggiamento lo
troviamo in ogni “essere umano”. Tutti ci affanniamo in questa corsa nutrita dalle nostre speranze, attraverso la vita. LE MIE RIFLESSIONI Personalmente la vita, o il senso della vita mi ha colpito profondamente sin da quando ero ragazzo. Ma ben presto mi sono accorto della crudeltà di questa corsa, mascherata di ipocrisia e di belle parole. Per il solo fatto di possedere uno stomaco, tutti siamo costretti a partecipare a questa corsa: ma tale partecipazione può soddisfare lo stomaco, non l’uomo come essere pensante e dotato di sentimenti. La prima via d’uscita è offerta dalla religione, che viene inculcata ad ogni bambino attraverso l’educazione tradizionalista. Ma ben presto ci si accorge che i
giovani sono “coscientemente” ingannati, attraverso insegnamenti bugiardi. Avendo scelto il “libero pensiero” e assimilato piccole cognizioni scientifiche, non posso non provare avversione (un pessimo intellettuale direbbe “idiosincrasia”) e scetticismo verso tutte le autorità che manifestano convinzioni particolari. Mi rendo conto che un paradiso l’ ho perso: quello della gioventù. Vivere gli anni più belli, inseguendo desideri, speranze, nel tentativo di liberarmi dalle catene che dominavano la mia esistenza, dalla dominazione di falsi sentimenti primitivi. Fuori c’è un enorme mondo, che esiste indipendentemente da noi esseri umani; e ci sta di fronte come un grande ed eterno enigma, accessibile solo “parzialmente alla nostra osservazione e al nostro pensiero.
Solo ora scopro che la contemplazione di questo mondo, anche se limitata, mi fa sentire libero, e come molti uomini che ho imparato a stimare e considerare miei amici, hanno trovato la loro “libertà” e sicurezza interiore dedicandosi ad essa. Il mio piccolo possesso intellettuale di questo mondo, mi aiuta ad affrontare la crudele avventura della vita, e allo stesso tempo, ho la sensazione che questa sia la meta più alta per l’intelletto umano. Certo è poco in confronto a quello che promettono le religioni, ma la loro è una convinzione e una convinzione può benissimo essere ridotta ad una fede in opinione. Una cosa è certa, che l’uomo cosiddetto civile, ancora oggi sia coinvolto nelle pastoie delle religioni o sette, mi lascia senza parole. La vergogna che proviamo pensando a quando eravamo
scimmie, sarà la stessa che proveranno gli uomini del futuro quando penseranno a noi. In fondo, tutti inseguiamo la felicità: ma la felicità è una miserabile contentezza: non giustifica la vita. E ancora, quando siamo felici fantastichiamo, ma quando siamo reali ci scontriamo con la crudeltà della vita: la morte. Dobbiamo metterci in testa, che il “Dio” che noi conosciamo non è nient’altro che la folle creazione dell’uomo. La fame non dimostra che ci sia il cibo per saziarla, ma solo che desidera il cibo. Così anche il desiderio e la speranza non dimostrano Dio. Come essere umani abbiamo un solo metro di misura per constatare ciò che ci circonda: la razionalità. E la razionalità non lascia spazio a un Dio terreno creato su misura per l’uomo. Con questo scritto, non mi sono
preposto di generare o propinare verità, ma ritengo che la consapevolezza e l’umiltà possano indurre l’uomo ad una “migliore” qualità di vita. Da semplici mortali, dobbiamo accettare che ciascuno di noi è su questo mondo, soltanto per una breve visita, ne ignoriamo la ragione, anche se talvolta crediamo di intuirla. L’evoluzione graduale della scienza ha come scopo meno dolore possibile, la vita più lunga possibile; sono due cose in verità molto modeste in confronto all’eterna vita nell’ “al di là”. Voi cosa scegliereste? L’unica cosa alla quale possiamo attaccarci è quel poco che abbiamo: il nostro piccolo mondo, la nostra casa, le persone alle quali vogliamo bene e più ci attacchiamo alle cose della vita e più è difficile il trapasso. La vita di tutti i giorni ci “insegna”, che noi siamo qui anche per gli altri, soprattutto per coloro dal cui
sorriso e dal cui benessere dipende totalmente la nostra felicità, oltre che per quella folla di sconosciuti, al cui destino siamo attaccati con un vincolo di simpatia. Ognuno di noi è “determinato” nel suo sforzo ed è guidato nei giudizi dai suoi ideali. Gli ideali guidano il nostro cammino, e in molte occasioni, ci danno il “coraggio”, o l’illusione di trovare un qualcosa di diverso dalla cruda realtà. Dobbiamo trovare la forza e la consapevolezza che è chiaramente più nobile indirizzare l’arte, la ricerca, gli sforzi in genere, verso l’amore e la conoscenza della vita stessa. Le mete come il potere e il possesso materiale, verso le quali l’umanità indirizza i suoi sforzi, le trovo spregevoli. Si attribuisce il senso di giustizia a cose che non hanno niente a che fare con la giustizia. Nessuno di noi essere umani può permettersi di
parlare di giustizia; possiamo capire ciò che è logico, conveniente, ma non è detto che sia giusto. E penso che una delle peggiori manifestazioni della vita collettiva sia il militarismo. Che degli uomini trovino il piacere ad armarsi, a terrorizzare ed uccidere altri uomini è quanto basta per capire che essi hanno ricevuto il cervello per un errore. Non esiste macchia più “infamante” per la “civiltà umana”. L’eroismo, la stupida violenza che crea la divisione di territori è spregevole e miserabile. Più che essere divisi in nazioni, regioni, continenti, idealismi, dovremmo avere un unico punto di riferimento: LA SPECIE UMANA. E penso che il “fantasma” delle guerre, delle usurpazioni, sarebbe sparito da molto tempo, se il “buon senso e l’ingenuità” dei popoli, non fosse costantemente corrotto dal mondo politico e affarista. Una delle esperienze più belle, che
ci è data da vivere in fondo, è proprio il mistero della vita. Il “mistero della vita” è il sentimento più profondo che troviamo alla radice della vera arte e della vera scienza. Ignorarlo, deriderlo, perdere il senso di stupore, di meraviglia, significa quasi morire: praticamente essere ciechi. E’ lo stesso senso del mistero, misto anche alla paura generata dalle religioni, ad aver portato l’intelligenza umana alla massima espressione.
Enrico Marra.