Il lupo è vicino

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Il lupo è vicino. Il lupo nella provincia di Firenze. Storia, distribuzione ed aspetti dell’ecologia del mitico predatore.

di

Duccio Berzi e Giovanni Valdrè

Foto di Duccio Berzi

Copyright 2002 Assessorato Agricoltura, Caccia e Pesca Via G.S. Mercadante 42 – 50144 Firenze Tutti i diritti riservati



Indice

Perchè un libro sul lupo?

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Morfologia del predatore Il bambino russo ed il lupo Etologia del predatore Gioco coi lupi Dai deserti alle Alpi, il lupo abita qui Questi i suoi segni di presenza

8 10 12 16 18 24 24 25 26

Impronte e tracce Fatte Marcature di urina Carcasse 27

Il lupo in Italia La storia di Alfa I perchè della rarefazione... ...e del ritorno Il lupo nelle tradizioni italiane La più suggestiva leggenda di San Francesco

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La ricerca nella provincia di Firenze L’ambiente naturale della provincia di Firenze

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Il territorio La fauna 50

Presenza storica del lupo La ricottina Così lo abbiamo studiato Snow tracking Wolf howling Analisi della dieta Trappolaggio fotografico Genetica

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Lupi Risultati della ricerca

68 72 Distribuzione 72 Riproduzione 72 Alimentazione 72 Mortalità 74 Danni alle attività zootecniche 76 Normativa regionale vigente in materia di danni agli animali domestici 78 Dagli al lupo 80 Quale futuro per i lupi? 82 Per chi vuole saperne di più 84 Libri e testi divulgativi consigliati 84 Materiale video (in italiano) e registrazioni audio 84 Aree faunistiche dove è possibile osservare la specie 85 Gruppi di ricerca che offrono la possibilità di collaborare alle ricerche 86 Il CSDL 87 Progetto di realizzazione di un’area faunistica a Villa Demidoff

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Gli autori

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Quando intorno al 1970 in Italia, come in molti altri paesi, si parlava del lupo, la specie era data per spacciata: minacciata sempre più dall’abusivismo edilizio, che metro dopo metro andava inesorabilmente mangiando le coste più belle ed i fondovalle delle aree montane, dalla frenesia dello sviluppo industriale, dall’arroganza di un paese abbagliato dalla crescita economica e senza una cultura ambientalista minimamente radicata. All’alba del terzo millennio il nostro lupo, riuscito miracolosamente a sopravvivere nelle zone boschive dell’Appennino, ha invece fatto furtivamente ritorno sull’arco alpino, dove era scomparso da circa un secolo, facendo echeggiare il proprio fiero ululato nelle valli di alcuni dei paesi più progrediti e tecnologici del mondo, come Francia e Svizzera. Molti sono i motivi che hanno permesso al lupo di riconquistare i boschi dell’Appennino e le cime innevate delle Alpi, legati principalmente alla protezione legale accordata

alla specie ed al ritorno delle specie preda, ma il grande merito è proprio suo, del lupo, Canis lupus, specie da sempre mitizzata e odiata, la cui sopravvivenza invisibile e fiera ci fa oggi comprendere quanto importante sia, per il nostro immaginario, per la nostra storia e per poter ancora illuderci di vivere in una natura viva e forte, sapere che nei nostri boschi sopravvive. Sono ancora molte le persone che anche frequentando assiduamente i boschi ed i territori montani della nostra provincia poco sanno del lupo, dell’ecologia e dell’etologia di questo importante predatore, spesso circondato da credenze inesatte e da miti la cui origine si perde nella notte dei tempi. Questo piccolo libro, che riassume con un linguaggio semplice i risultati di una ricerca scientifica condotta nella provincia di Firenze, vuole essere quindi un contributo alla corretta conoscenza della specie, affinché possa godere di maggiore considerazione e di maggior rispetto.


Il lupo (Canis lupus) è un grosso mammifero predatore ampiamente distribuito nell’emisfero boreale con 11 sottospecie, di cui 5 nel continente nord-americano e 6 in Eurasia, con caratteristiche morfologiche ed ecologiche molto diverse tra di loro. Generalmente i lupi che vivono nelle regioni fredde hanno dimensioni corporee maggiori rispetto ai lupi delle regioni più meridionali. Così un lupo artico, presente in Canada, può arrivare a pesare anche 70 kg, circa il triplo di un lupo che vive in Arabia ed avere una colorazione ed un aspetto del tutto diversi. Le femmine sono quasi sempre più piccole dei loro compagni, con un peso inferiore di circa il 10 – 15%. I lupi hanno molte somiglianze, sia morfologiche che etologiche, con alcune razze di cani (si ricorda che secondo le ultime teorie tutte le razze di cane derivano dal lupo), ma solo alcune razze canine sono davvero simili al progenitore. Proprio per la vicinanza genetica e comportamentale, lupo e cane si possono accoppiare, procreando “ibridi” a loro volta fertili, che secondo gli studi più recenti, almeno in Italia, sono piuttosto rari.

Il mantello, costituito da due tipi diversi di pelo (uno lanoso e folto detto “borra”, ed uno più lungo e scuro detto “giarra”) assume colorazione ed aspetto variabile in relazione alle stagioni (mantello estivo ed invernale) ed all’età dell’animale. La presenza di individui completamente neri, comune nelle popolazioni nordiche, è segnalata da qualche anno anche nella popolazione italiana e anche nella nostra provincia, in Casentino, nel Reggiano e in altre zone. La coda è corta, le orecchie dritte e brevi, il naso molto piccolo rispetto al cranio, che si presenta più largo e schiacciato di quello di un Pastore tedesco o di un Siberian husky e senza il tipico “stop” frontale. Nonostante le dimensioni non esagerate (in Italia un lupo arriva a pesare al massimo circa 40 kg, come un Pastore tedesco), il lupo è un animale dall’aspetto molto forte e potente: questo grazie anche alle lunghe zampe ed alla pelliccia molto folta. I sensi del lupo sono notoriamente molto sviluppati: in particolare l’olfatto e l’udito sono finissimi e gli permettono di scovare con grande abilità le prede e sfuggire abilmente all’osservazione degli uomini.


La fotografia, scattata con una trappola fotografica sull’Appennino della provincia di Firenze, ritrae un esemplare adulto di lupo, in libertà. Si può notare la banda scura sulle zampe anteriori, tipica della popolazione italiana di lupi.

Lupo artico (Canis lupus arctos). Si tratta di una sottospecie che può raggiungere anche i 70 kg, caratterizzata da una colorazione molto mimetica per l’ambiente in cui vive (Foto di L.D.Mech).

Lupo arabo (Canis lupus arabs). Come per molte altre specie caratterizzate da una distribuzione geografica molto estesa, le sottospecie meridionali di lupi sono più piccole (in questo caso gli adulti superano raramente i 25 kg).


“Volk !” Il bambino russo aveva finalmente parlato. Micha è un ragazzino russo di nove anni, ha la faccia rotonda, i capelli color paglia, gli occhi grigi e la spalle larghe e ossute da adulto. E’ venuto da Storaia, un paesino della Bielorussia distante pochi chilometri dalla centrale atomica di Cernobyl ed è ospite per un mese di una famiglia toscana, in base al “Progetto Cernobyl 2001”, promosso dalla Pubblica Assistenza di Empoli. Micha è un bambino quieto, pensoso, intelligente e simpatico, ma non parla. I genitori e i bambini della famiglia ospitante hanno cercato invano di instaurare un dialogo, aiutandosi con la mimica, i giornaletti illustrati e le poche parole di russo che per l’occasione avevano imparato. Certamente lui comprende quasi tutto, ma dalla sua bocca esce solo qualche “niet” o qualche “da”, appena percettibile.

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Poi la maestra russa, che ha accompagnato i bambini in Italia, ha chiarito che Micha nemmeno a casa sua parla e che la situazione della sua famiglia è tragica da quando la centrale atomica di Cernobyl è esplosa, privando di ogni possibilità di lavoro gli abitanti della regione. Una piovosa mattina ero nello studio a preparare questa pubblicazione e, come alcune volte accadeva, Micha stava in piedi dietro a me, silenzioso ed attento a ciò che facevo. Ad un tratto ha visto sul tavolo la grande foto del lupo, quella riprodotta a pagina 9 di questa libro, un documento eccezionale realizzato da Duccio con le sue diaboliche “foto-trappole”. Con una mossa repentina, Micha si è impadronito della foto, l’ha guardata attentamente e dopo qualche attimo ha esclamato tutto contento “Volk !” Il piccolo russo, finalmente, aveva parlato. Passato il primo momento di lieto stupore, mentre Micha era ancora assorto ad esaminare la foto e la commentava indicandomi ora la testa, ora la coda dell’animale con vivaci parole in russo, che ovviamente non potevo capire, mi sono convinto di tre cose: Uno, il piccolo russo conosceva e doveva averlo visto in natura, il lupo; Due, il lupo che aveva visto in Bie-


lorussia doveva essere morfologicamente diverso da quello che compariva nella foto; Tre, anche nel suo lontano paese il lupo suscitava sull’uomo quel misterioso fascino che esercita in ogni parte del mondo. Che Micha avesse già visto un lupo in natura era molto probabile: il territorio della Bielorussia, molto più piccolo del nostro, è interessato per oltre un terzo da una palude impenetrabile, coperta da una immensa foresta idrofila, dove vivono circa 2.500 lupi (in Italia ne sono presenti circa 500). Perciò il piccolo russo ha subito riconosciuto nella foto il lupo. Probabilmente la morfologia del lupo bielorusso, che vive in ambiente pianeggiante ed acquitrinoso, è diversa da quella del nostro lupo e questa diversità forse Micha mi voleva far notare con il suo concitato ed inatteso parlare, mentre osservava la foto. Infine rimaneva la considerazione che la famiglia ospitante aveva escogitato per giorni e giorni, inutilmente, tutti i mezzi per farlo parlare, ma era stata l’immagine di un lupo a farlo uscire dal suo tenace silenzio. E questo fatto, non so perché, mi ha aveva suscitato una sottile gioia.

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L’etologia, cioè la scienza che studia il comportamento animale, ha sempre considerato il lupo una specie particolarmente interessante, anche perché per molti aspetti (in particolare per il suo comportamento all’interno della coppia, della famiglia e del branco) ricorda da vicino il comportamento sociale dell’uomo. I rapporti sociali all’interno del gruppo sono regolati da una gerarchia che si stabilisce fin dalla nascita attraverso conflitti ritualizzati, che raramente portano all’uccisione dei perdenti; si tratta di vere e proprie prove di forza, in cui si stabilisce chi, tra i maschi e tra le femmine, è l’individuo dominante, chiamato in gergo “alfa”. Per rimarcare la posizione sociale acquisita i lupi usano una serie molto ampia di espressioni: dalla posizione della coda, delle orecchie, della bocca, dal ruolo che assumono nelle fasi di caccia e di gioco, si capisce il ruolo sociale dell’individuo. I peli sul dorso, sul collo e sulla parte prossimale della coda s’inseriscono in uno strato della pelle strettamente solidale con la muscolatura e ciò permette un controllo eccezionale

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dell’erezione della pelliccia, essenziale per l’assunzione di uno spettro ben diversificato di posture che, insieme alle espressioni del muso ed altri movimenti, costituisce un efficiente strumento di comunicazione. I dominanti hanno diritto all’accoppiamento (una sola coppia all’interno del branco si riproduce), conducono il branco nella caccia e sono i primi a mangiare le prede uccise. Il lupo è una specie monogama; la coppia si riproduce una volta l’anno (a differenza dei cani che hanno due periodi fertili nell’anno) ed entrambi gli individui partecipano attivamente all’allevamento e all’educazione dei piccoli. La coppia trova un proprio territorio che viene difeso e marcato con segnali olfattivi, visivi ed uditivi dagli altri lupi. All’interno di questo territorio, in una zona particolarmente tranquilla, la coppia cerca una tana, che viene usata generalmente per più anni, dove mettere alla luce i piccoli in primavera. Il comportamento del lupo si dimostra particolarmente evoluto in questa fase della vita sociale: la femmina


1 - Allerta o neutrale.

4 - Minaccia di intensitĂ decrescente con progressiva insicurezza.

2 - Minaccia moderata ma sicura (fissa intensamente).

5 - Minaccia di intensitĂ decrescente con progressiva insicurezza.

3 - Minaccia di grande intensitĂ con sicurezza di sĂŠ.

6 - Minaccia di un lupo fortemente impaurito (sotto stress).

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5 - Normale.

1 - Sicurezza di sĂŠ, imposizione non minacciosa

2 - Lieve pulsione aggressiva, sicurezza di sĂŠ.

6 - Ansia.

3 - Come la 2, ma piĂš aggressivo.

4 - Minaccia insicura.

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7 - Sulle difensive.

8 - Subordinazione amichevole.


9, 10 - Sottomissione totale (amichevole o con paura).

che partorisce viene aiutata nella cura, nell’alimentazione e nell’educazione dei piccoli, non solo dal compagno, ma anche dagli altri individui del gruppo. Il branco, che coincide in Italia con il gruppo familiare, è l’unità sociale che meglio si adatta alla caccia. Le dimensioni del branco sono in relazione alla dimensione della preda tipo che viene cacciata e le tecniche di caccia del lupo, evolute e varie, vengono tramandate di generazione in generazione. Un ultimo cenno a proposito dell’antropofagia e della possibilità che il lupo possa attaccare l’uomo: nonostante in passato il fenomeno sia stato documentato anche in Italia (anche se non si può capire che ruolo avessero nel fenomeno i cani e quanti, tra lupi e cani, fossero affetti da rabbia, e quindi resi pericolosi dalla malattia), negli ultimi 150 anni non esiste alcuna segnalazione circostanziata di attacchi di lupi all’uomo.

Disegni di S.Maugeri.

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Tanti anni fa i lupi dell’area faunistica del Parco d’Abruzzo mi hanno insegnato un gioco. Erano gli anni settanta, gli anni eroici di quel parco, insidiato dalla speculazione edilizia, angustiato da difficoltà finanziarie e soprattutto assediato dall’ostilità della popolazione locale che vedeva nel parco un ostacolo al suo sviluppo economico sociale. Io a quel tempo ero incaricato proprio di una ricerca sulla dinamica dei rapporti tra l’Ente Parco e la popolazione locale: quindi facevo il mio mestiere di sociologo e di lupi non avrei dovuto occuparmi. Eppure nei momenti liberi ero sempre lì, intorno alla recinzione che racchiudeva la collinetta dell’area faunistica, che era stata appena costituita nelle vicinanze di Civitella Alfedena, un paesino aggrappato ad una balza rocciosa, povero, dimenticato e perfino trascurato da quella speculazione edilizia che pure imperversava nelle vicine località di Pescasseroli, Opi e Barrea. Stavo lì per delle ore aspettando che qualcuno dei lupi ospitati uscisse dal sottobosco e si facesse vedere.

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Un giorno il guardiaparco che, un paio di volte alla settimana portava il mangiare ai lupi, mi invitò ad entrare con lui nel recinto. Io, più rassicurato dalla grossa pistola che gli dondolava da un fianco che dalle sue parole di incoraggiamento, mi feci animo ed entrai. Il pasto dei lupi si consuma in una selvaggia e terribile zuffa generale, dove il capobranco Alfa riafferma il suo predominio rifilando gagliardi morsi anche a chi osa solo guardarlo mentre lui mangia e quando lui, finalmente sazio, lascia la mensa, gli altri lupi si precipitano sulla carne, senza alcun rispetto dell’ordine gerarchico in una rissa tremenda, che naturalmente crea un profondo sgomento su chi si trova per la prima volta a pochi metri da tanta ferocia. Dopo questa prima e indimenticabile esperienza, ho accompagnato altre volte il guardiaparco ed un po’ alla volta mi sono convinto che non correvo alcun pericolo e che le baruffe dei lupi erano soprattutto delle sceneggiate, molto meno cruente di quanto si voleva far credere, finchè finalmente sono potuto entrare da solo nel recinto dei lupi. Così è cominciata la mia esperienza di etologo: mi sedevo su un masso in un punto dominante, osservavo e su un quadernetto prendevo appunti sul comportamento sociale di questi predatori che accettavano la mia


presenza e si mantenevano a rispettosa distanza. Quando me ne andavo, alcuni di loro mi accompagnavano verso l’uscita camminandomi parallelamente a debita distanza. Un giorno mi accorsi di aver fatto tardi e mi misi a correre verso l’uscita ed un gruppetto lupi mi trotterellava accanto, e quando, per far prima, saltai un cespuglio, successe l’imprevedibile: pure loro saltarono gioiosamente tutti per aria. Mi fermai stupito, poi ripresi a correre e feci un altro salto, subito imitato dai lupi: mi avevano insegnato un gioco che si ripetè quasi tutte le volte che lasciavo l’area faunistica; io correvo, ad un tratto facevo un salto e loro contemporaneamente schizzavano tutti insieme per aria ricadendo l’uno sull’altro in una gran confusione, che sembrava divertirli enormemente. Poi ripartivo e facevo un nuovo salto e così via, finchè stanco smettevo di correre lasciando i miei compagni di gioco piuttosto perplessi: ero certo che loro mi consideravano un elemento del branco e che mi avevano collocato in un gradino alto della loro gerarchia sociale, ma quella mia poca resistenza alla corsa li lasciava dubbiosi sulle mie qualità di lupo. Dopo alcuni anni di assenza sono ritornato nel recinto dei lupi: era una fredda mattina di novembre e la collina dei lupi era già bianca per la prima neve, mi sono seduto sul solito masso

ed ho atteso. Ad uno ad uno i lupi sono apparsi dal bosco e si aggiravano intorno a me trotterellando con la loro andatura elastica e leggera, facendo finta di non vedermi, ma io capivo che mi avevano riconosciuto ed altro non aspettavano che un mio segnale per riprendere il gioco. Ma io non avevo voglia di giocare: erano gli anni in cui gli esperti prevedevano l’imminente e definitiva estinzione del lupo appenninico, di questo animale fiero, generoso, intelligente e forse i miei amici sarebbero rimasti i pochi esemplari della più importante specie di fauna autoctona che il mio paese non era stato capace di proteggere. Dopo avere atteso ancora un po’, i lupi ad uno ad uno se ne andarono, scomparendo come ombre, leggeri e silenziosi, nel bosco. Era rimasto solo Alfa, il capobranco, diritto, fiero, possente e mi guardava immobile negli occhi: il suo sguardo era profondo, intenso, un po’ triste, quasi una muta risposta all’insensato e secolare odio dell’uomo.

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Il lupo, come del resto altri rappresentanti del genere Canis, deve il suo grande successo (una volta era il mammifero più diffuso al mondo) alla “plasticità ecologica”, cioè alla capacità di adattarsi ad ambienti tanto diversi tra loro, come i deserti mediorientali e le montagne alpine, con un sorprendente spirito di adattamento. Proprio per questo motivo non è da escludere che in un futuro prossimo, se tornassero condizioni ambientali favorevoli, la specie possa fare la propria ricomparsa anche nelle campagne italiane più prossime alle città.

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Crete senesi (Siena) Tra morbide colline, case coloniche, cipressi, pascoli e coltivi, vivono anche dei lupi che si cibano di pecore, di qualche capriolo e includono nella propria dieta anche cinghiali e nutrie. L’ambiente non è a prima vista molto adatto, ma la specie sopravvive anche qui, scontrandosi con gli allevatori di ovini, che sono fortemente danneggiati poiché spesso non mettono in atto mezzi di prevenzione (spesso gli allevatori provengono dalla Sardegna, dove il lupo non è mai esistito).


Appennino tosco romagnolo L’Appennino centro settentrionale è probabilmente uno degli ambienti più adatti per il lupo. Montagne non troppo elevate, boschi estesi alternati a pascoli, prede in abbondanza. Molto probabilmente il lupo da queste zone non è mai scomparso. Attualmente vive con densità molto alte e la sua dieta è basata in modo quasi esclusivo su animali selvatici (cinghiali, caprioli, daini, mufloni, cervi) mentre i danni agli allevamenti sono piuttosto contenuti. I suoi nemici principali sono i bracconieri, che vedono nel predatore un concorrente per le prede.

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Alpi marittime (Parco Nazionale del Mercantour/Parco delle Alpi marittime) Il lupo (tornato negli anni ’90, dopo circa 80 anni di assenza) vive prevalentemente in alta quota, lasciando le proprie orme d’inverno sulla neve a più di 2500 metri di quota. La sua dieta è basata su mufloni, camosci, cervi e caprioli, ma qualche volta può comprendere anche marmotte e soprattutto ovini. Il suoi nemici sono i pastori italiani e francesi, che non più abituati alla sua presenza, allevano enormi greggi di pecore da carne, spesso senza adottare nessuna misura di protezione.

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Città di Brasov, Transilvania (Romania) In Romania vive la più grossa popolazione di lupo europea. La presenza di abbondante selvaggina, di boschi estesi alternati a pascoli e coltivi tradizionali, permette al lupo di vivere e riprodursi, nonostante la campagna di abbattimenti promossa dal governo rumeno a difesa della selvaggina di interesse venatorio. A Brasov, città di circa 320.000 abitanti circondata da ampi boschi, può capitare di vedere lupi dentro la città che si spostano furtivamente anche nel centro storico, come documentato in un filmato della BBC, senza creare nemmeno troppo clamore tra gli abitanti.

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Deserto del Negev (Israele) La temperatura estiva può raggiungere i 50 °C all’ombra, il bosco non esiste, le fonti d’acqua sono molto limitate. Eppure anche qui vive un lupo (sottospecie Canis lupus arabs), molto piccolo (il maschio pesa circa la metà di un lupo europeo, Canis lupus lupus), che si nutre di ungulati selvatici e di animali domestici allevati dalle popolazioni nomadi. I nemici principali sono anche in questo caso i pastori.

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Karelia, Finlandia In inverno la temperatura in questa meravigliose regione della Finlandia può scendere sotto i –50 °C, ma ciò non è un problema né per gli ungulati (alci e renne) né per il lupo, presente in Finlandia soprattutto in prossimità del confine con la ex Unione Sovietica. I nemici principali sono gli allevatori di renne, che storicamente hanno messo in atto tutte le misure possibili per sterminare lupi, orsi e ghiottoni.

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Nonostante il lupo sia un animale molto elusivo, che limita la propria attività alle ore notturne e alle zone meno frequentate dall’uomo, non è difficile con un po’ d’esperienza e conoscendo i territori dove il predatore abita, trovare alcuni segni di presenza, che ci permettono di ricavare delle importanti informazioni sull’attività e sul comportamento della specie. Purtroppo, vista la somiglianza morfologica ed etologica tra lupo e cane e vista l’incredibile varietà di aspetto e dimensioni delle razze canine, è molto difficile, quando troviamo un segno di presenza, attribuirlo con esattezza al lupo od al cane. Solo una serie di indizi

ci permette, con buona approssimazione, di poter propendere per uno dei due. Impronte e tracce Le impronte del lupo misurano circa 10–11 centimetri in lunghezza e 8–9 in larghezza. Del tutto simili a quelle di un cane di grosse dimensioni, le impronte dei due animali sono quindi difficilmente distinguibili. Secondo alcuni la forma dell’impronta, la disposizione dei polpastrelli e delle unghie, ci possono dare delle indicazioni, ma è assai difficile avere la certezza di chi le ha lasciate. Seguendo per un certo tratto le impronte sulla neve o sul fan-

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go è invece possibile avere una idea più attendibile della loro appartenenza: generalmente le impronte di lupo sono disposte lungo una linea retta e seguono percorsi molto più rettilinei di quelli del cane. Fatte (escrementi) Sono in pratica dei “cilindri” di circa 3 centimetri di diametro e di lunghezza variabile, costituiti da tutto quello che l’intestino del lupo non è riuscito a digerire: in pratica pelo ed ossa. Gli escrementi sono lasciati in posti particolari come bivi, valichi, dossi, slarghi delle strade, e quasi sempre in posizione ben visibile. Questo perché le “fatte” hanno un odore molto penetrante e rappresentano per il lupo, specie altamente

Molto spesso il piede del lupo presenta un ponte carnoso tra i polpastrelli anteriori, (vedi freccia), raramente presente nel cane. In casi particolari può capitare di osservarne anche nell’impronta lasciata sulla neve o sul fango, in tal caso è possibile attribuire l’impronta con una buona dose di sicurezza al lupo.

Le fatte di lupo sono una miniera di informazioni per i ricercatori. Sono utilizzate per studiare la dieta, ma anche per estrarre DNA e per studiare gli ormoni del lupo.

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territoriale, degli avvisi di “proprietà privata” con i quali delimitare il proprio territorio. Marcature di urina Ancor più delle fatte, le marcature d’urina servono a delimitare il territorio, per far comprendere agli altri lupi che la zona è già colonizzata da una famiglia della stessa specie. Inoltre le marcature sono un messaggio molto

A destra lupo che marca il proprio territorio. Sotto, marcatura di urina, in questo caso lasciata da un gruppo di lupi. Quella lasciata più in alto viene definita RLU (Raised Leg Urination) e viene lasciata dal maschio dominante. Anche le marcature di urina possono essere usate per studi fisiologici sul lupo.

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importante anche all’interno del gruppo, perché, come accade per i cani, attraverso queste le femmine comunicano ai maschi l’entrata in calore. Fatte e marcature di urina sono una miniera di informazioni per i ricercatori, nonostante la loro “cecità olfattiva”. Inoltre dalla posizione di quest’ultime è possibile riconoscere il sesso ed il rango gerarchico dell’animale seguito.


Carcasse Anche in questo caso è difficile riconoscere l’autore della predazione, in quanto pure i cani possono in alcune condizioni predare degli animali, selvatici o domestici, con modalità simili od uguali a quelle del lupo. Solo nelle zone dove il randagismo canino è

limitato e dove non ci sono cani inselvatichiti, quando troviamo carcasse di animali selvatici di grosse dimensioni in cui gran parte della carne è stata asportata in breve tempo, possiamo affermare con una certa sicurezza che si tratta di lupi.

Fusone di daino (maschio subadulto) ucciso e parzialmente consumato da lupi. Si noti che la parte della preda che viene per prima consumata è quella viscerale. Successivamente, dopo alcuni giorni, i lupi tornano sulla carcassa per consumarla interamente (foto sotto)

Particolare della trachea del daino sbranato. Si notano le ferite lasciate dai canini. L’animale muore per soffocamento.

Al pasto successivo, che in questo caso è avvenuto dopo circa una settimana, la preda viene consumata interamente. Generalmente partecipano al banchetto più lupi, che in quell’occasione ingeriscono diversi chilogrammi di carne.

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Quando intorno agli anni ’70 i primi gruppi di ricerca iniziarono a studiare il lupo in Italia, il quadro che ne uscì era veramente allarmante e la possibilità che la popolazione dei lupi in Italia riuscisse a superare il “collo di bottiglia”, cioè la crisi demografica in cui era precipitata, assai incerta. La presenza di cani inselvatichiti (cani cioè che vivono allo stato selvatico), la possibilità che questi si accoppiassero con il lupo generando ibridi, la dipendenza alimentare dei lupi dalle discariche, e soprattutto l’esigua dimensione della popolazione sopravvissuta (si stimavano circa 80-100 esemplari, distribuiti in “isole” limitatamente all’Appennino centrale e meridionale), non permetteva di prevedere niente di buono. Negli anni successivi molti studiosi si sono impegnati a ricostruire la situazione del lupo in Italia per quel periodo storico, utilizzando dati sui lupi trovati morti nella penisola, segnalazioni circostanziate di avvistamenti, e sperimentando tecniche genetiche all’avanguardia, riuscendo così a fare maggiore luce sulla storia recente dell’animale. La maggior parte dei gruppi di ricerca

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concorda attualmente che la popolazione italiana di lupo abbia raggiunto un minimo storico intorno agli anni ’70, durante i quali è arrivata a circa 200-300 individui, distribuiti nell’Appennino meridionale, centrale, e con nuclei sopravvissuti anche in aree più settentrionali, con una distribuzione più continua ed ampia di quella dapprima ipotizzata. L’ibridazione col cane, effettivamente possibile in natura, può essere avvenuta (alcuni reperti lo testimoniano) ma solo come fenomeno sporadico, e fortunatamen-

Attuale distribuzione del lupo in Italia


te il genoma della popolazione lupina appare oggi ancora puro e definito. Attualmente la popolazione italiana ha superato (si parla sempre di stime) le 500 unità, distribuita sull’arco appenninico dalla Calabria fino alla Liguria, e nonostante i nemici e la persecuzione, appare in crescita. Da qualche anno i nostri lupi hanno infatti raggiunto le Alpi marittime, tra Piemonte e Francia e lentamente stanno riconquistando da ovest l’arco alpino, da cui erano scomparsi circa un secolo fa. L’alimentazione varia a seconda della zona, e comprende animali selvatici e domestici. Solo nelle regioni dove non

si sono sufficientemente affermate le popolazioni di selvatici, i lupi possono alimentarsi di rifiuti prelevati nelle discariche. Il lupo in Italia vive in gruppi familiari, composti da una coppia che si riproduce, dai subadulti e dai cuccioli dell’anno; occupa territori di dimensioni variabili (in media circa 150 km2) prevalentemente in zone montuose o collinari. Ovunque la specie non rappresenta minimamente un pericolo per le persone, ma anzi è assai elusiva, a testimonianza della paura atavica nei confronti dell’uomo sviluppata in secoli di persecuzioni.

data

stima popolazione vivente

fonti

fine ‘60

200

Tassi 1971

1972

100

Zimen e Boitani 1975

1977

200

Boscagli 1985

1980

100

Boitani 1981

1982

150

Boitani 1983

1983

200

Boitani e Fabbri 1983

1984

220

Boitani 1984

1985

240

Boitani 1986

1987

200

Boscagli 1991

1988

300

Boitani et al. 1989

1990

300

Ciucci e Boitani 1991

1991

400

Boscagli e Gandolfi 1992

1994

450

Boitani 1994

1998

oltre 500

Ciucci e Boitani 1998

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Intorno all’anno 1975 la vita nell’Area Faunistica del Lupo del Parco Nazionale d’Abruzzo scorreva tranquilla: la ventina di lupi che erano ospitati in quella piccola altura recintata posta al limite dell’abitato di Civitella Alfedena sembravano soddisfatti della loro condizione di semilibertà e del cibo, costituito da avanzi di bassa macelleria, che tre volte alla settimana un guardiano scaricava nel loro carnaio. Naturalmente le zuffe, come giusto accadesse in un branco che si rispetti, erano all’ordine del giorno, ma sembravano più sceneggiate che risse cruenti e i morsi dovevano essere più simulati che affondati, in quanto i contendenti tornavano poi tranquillamente alle loro faccende. I giovani maschi, i “paria” del gruppo, si aggiravano magri allampanati con la coda tra le gambe con continui atti di sottomissione verso gli adulti più forti e Alfa, il capobranco, monarca dispotico, fiero e terribile, con la coda permanentemente dritta, sorvegliava tutti da una posizione dominante. In alcune notti di luna il branco saliva in cima alla collina e cominciava il

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concerto di ululati a cui tutti partecipavano disciplinatamente anche se con diverse tonalità. Alcune volte dalle lontane giogaie di Forca Resuni o dalle cupe forre del Passo dei Monaci rispondeva un lupo libero eccitando ancor più quel coro straziante. Solo i cuccioli, impertinenti e petulanti, si sottraevano alla rigida disciplina del gruppo, dispettosi e irriverenti mancavano di rispetto anche agli anziani del branco ed avevano addirittura l’ardire di andare a strappare il boccone di carne dalle terribili fauci di Alfa, che non gradiva affatto questi comportamenti temerari che altri avrebbero duramente pagato; ma contro i lupacchiotti non poteva reagire come avrebbe voluto perchè la natura gli inibiva qualsiasi atto offensivo verso la sua stessa prole. Un giorno però la vita dell’Area Faunistica fu sconvolta da un fatto imprevisto: un guardiano aveva dimenticato aperto il cancelletto della recinzione ed Alfa era uscito. Non si trattava certamente di una fuga: un lupo non abbandona il proprio territorio ed il branco. Il grosso predatore aveva vista la porta aperta ed era semplicemente uscito. Come è giusto e doveroso per un capo branco aveva approfittato dell’occasione per eseguire una ricognizione all’esterno del suo territorio e per marcare i punti strategici con la sua urina, ma quando


era tornato il cancelletto era nuovamente chiuso e lui era restato fuori. Certamente per un lupo questa situazione è di grande gravità in quanto, quale animale fortemente sociale, il branco ed il territorio sono punti di riferimento essenziale per la sua vita, inoltre Alfa era un capo e si trovava diviso dalla sua femmina ed il suo ruolo dominante sarebbe subito passato al secondo individuo della scala gerarchica del branco. Per questo nelle notti successive fu visto aggirarsi intorno alla recinzione dell’area faunistica alla ricerca di un varco che non c’era. Anche per la Direzione del Parco il problema era altrettanto grave: non poteva essere lasciato un grosso lupo disperato ed affamato aggirarsi nei pressi dei paesi e delle case isolate. Il Parco, al momento della costituzione dell’Area, aveva dovuto affrontare una accanita resistenza da parte della popolazione locale, storicamente dedita alla pastorizia e quindi fortemente ostile al lupo. C’erano voluti anni di lavoro lento e continuo per recuperare la fiducia della gente a quel progetto che appariva inizialmente temerario e provocatorio. Ora sarebbe bastato un qualsiasi incidente o che qualcuno fosse venuto soltanto a sapere che un lupo era evaso per annullare il lavoro di anni. Furono fatti molti tentativi per narcotizzare e catturare il lupo, ma si trat-

tava di un individuo esperto, molto intelligente ed estremamente elusivo, e nessuno riuscì nell’impresa. Allora fu provato un ingegnoso stratagemma: per due notti il cancelletto della recinzione fu lasciato aperto ed immediatamente all’interno fu posta un’allettante esca; un guardiano stava nascosto sia per non fare uscire altri lupi, sia per chiudere il cancello appena Alfa fosse rientrato. Non fu tenuto conto che i lupi sono estremamente sospettosi e dotati di finissimi sensi ed Alfa quindi non si fece vedere. Non rimaneva che una soluzione estrema e crudele, ma ormai necessaria alla quale tutti pensavano, ma della quale nessuno parlava, anche perché quel grosso lupo forte ed intelligente era conosciuto ed amato da tutti gli operatori del parco e soprattutto dal Capo delle guardie che nutriva per lui un profondo sentimento di ammirazione e di affetto che non nascondeva, ma che lo portava spesso a parlare di questo lupo con i visitatori del Parco, con tali accenti che qualcuno a volte equivocava credendo stesse parlando di un essere umano. Quest’uomo era alto e forte, riservato e intelligente, e sapeva farsi amare ed obbedire dagli uomini e dagli animali; come il grosso lupo era un leader naturale ed indiscusso e forse, come molti sostenevano, i due si somigliavano. Ed intanto il tempo passava.

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In un’alba di una chiara mattina di ottobre mi ero incamminato verso la Val Fondillo per svolgere i miei compiti di collaboratore del Centro Studi del Parco, avevo appena preso il sentiero che

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saliva, quando incontrai il Capo dei guardiaparco. Lo vidi venire giĂš lentamente e notai subito che aveva un fucile a tracolla, fatto insolito in quanto il personale del parco in servizio era


armato della sola pistola. Quando mi fu accanto mi guardò con un lungo sguardo triste ed aveva il volto pallido e le labbra serrate. Continuò la sua strada senza dirmi nulla, ma io avevo

capito che per Alfa era finita.

Lupi nel Parco Nazionale d’Abruzzo in una foto degli anni ‘70

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I motivi che hanno portato ad una rarefazione della presenza del lupo nel nostro paese e nel mondo occidentale in generale, sono tanti e legati principalmente al fatto che la specie ha sempre costituito per l’uomo (in particolare per l’uomo allevatore) un pericoloso ed abile concorrente, capace di provocare danni ingenti.

Il lupo, venerato dalle popolazioni di guerrieri e di cacciatori, è stato, in un paese di allevatori e contadini come il nostro, oggetto di persecuzioni fisiche e culturali acerrime, portate avanti attraverso l’uso di armi da fuoco, tagliole, lacci, veleni, che hanno condotto la specie, in particolari momenti storici, vicino al rischio d’estinzione.

Nel 1988 un lupo venne ucciso non lontano da Scarperia, a fucilate. In questo caso, come in moltissimi altri casi, nonostante fosse chiaro chi fosse il responsabile, nessuna pena è stata inflitta.

Sali di cianuro e una tagliola rinvenuti nei pressi di San Piero a Sieve.

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I “lupari”, persone specializzate nella caccia al lupo, ricevevano dalle popolazioni e dalle amministrazioni locali premi e compensi per l’uccisione dei lupi, ed in pratica ogni comunità aveva delle persone capaci di uccidere lupi, orsi ed ogni altra specie considerata “nociva” per l’economia rurale. Se al giudizio di un cittadino moderno questa persecuzione nei confronti delle specie competitrici può sembrare crudele e immotivata, nell’ottica dell’economia montana, dove il cibo era sempre estremamente scarso e povero e dove gli sprechi non esistevano, il luparo era un benefattore da ricompensare ed il lupo un nemico da distruggere, pena la fame di intere famiglie. Uno dei momenti storici più difficili per la popolazione italiana di lupi (ma anche per molti altri animali selvatici), è stato l’ultimo dopoguerra. I lupi, sopravvissuti in pochi esemplari fino ad allora proprio grazie alla disponibilità di prede domestiche assicurata dalla pastorizia montana, si sono trovati, intorno agli anni ’50 e ’60, davanti ad un progressivo spopolamento delle montagne con una conseguente scomparsa di prede domestiche. Nello stesso tempo nella penisola gli animali

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selvatici non esistevano quasi più. Inoltre dal punto di vista normativo nessuna norma, fino al 1971, prevedeva la protezione del lupo. Il lupo è sopravvissuto in questo periodo, coincidente con gli anni ’60 e ’70, solo nelle zone dove erano rimasti consistenti greggi nei pascoli (come in Abruzzo, in Maremma e nell’Appennino meridionale) o dove esistevano relitte popolazioni di ungulati selvatici (come nelle foreste dell’Appennino toscoromagnolo). Sono dovuti passare alcuni anni prima che venissero fatte nelle zone montane delle reintroduzioni massicce di caprioli, cervi, cinghiali, daini e mufloni, che non avendo più la concorrenza del bestiame domestico, hanno potuto velocemente rioccupare montagne e colline, assicurando nuovamente al lupo il suo ruolo naturale di predatore di ungulati selvatici. Inoltre la protezione legale assicurata al lupo a livello comunitario, l’ambiente montano che un pò alla volta ha riacquistato un aspetto più naturale, hanno permesso al lupo di ricolonizzare l’Appennino settentrionale e, passo dopo passo, fare la sua ricomparsa anche sull’arco alpino.


Nella cultura occidentale nessun animale ha probabilmente assunto tanti significati così diversi da loro, a seconda delle epoche e delle culture dominanti, come il lupo. La sua presenza così invisibile ed allo stesso tempo minacciosa per l’economia rurale, ha reso nel tempo il terreno fertile alla nascita di credenze e superstizioni. Amato e venerato dai popoli cacciatori, associato a divinità solari forti e generose, ed allo stesso tempo odiato e perseguitato dalle popolazioni di pastori nomadi e stanziali, il lupo è presente in tutte le culture, a partire da quella di Roma, la cui nascita è legata proprio ad una Lupa che allatta Romolo e Remo. In questo contesto la Lupa ha un significato positivo, dovuto probabilmente alla tradizione di caccia dei Sabini, popolo alle radici della nascita del grande impero. Mentre nelle culture politeistiche il lupo è spesso associato a divinità positive, con il dualismo bene-male del Cristianesimo il predatore acquista subito un significato fortemente negativo, in quanto simbolo di quella Roma che aveva perseguitato i primi Cristiani; col termine lupus nella tradizione cristiana vengono così indicati gli eretici (lupus, diabolus vel haeretici), il diavolo e gli eccessi sessuali.

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Ma l’origine della figura del lupo cattivo, belva delle tenebre che mangia gli uomini, nasce nell’alto medioevo (XXII sec.). Con la caduta dell’Impero Romano i boschi aumentano la propria estensione e si perde il controllo dei confini del territorio. Continue sono le invasioni di popoli barbari germanici, organizzati proprio come branchi di lupi famelici, che fanno razzia di quello che trovano. Nasce allora la figura del licantropo o lupo mannaro, creatura mezzo uomo e mezzo lupo che assume aspetto e vizi della belva. Dobbiamo aspettare San Franceso per una riabilitazione del lupo, ma anche in questo caso non si tratta del vero lupo, ma di un simbolo utilizzato per esaltare la figura della Chiesa e per convincere le genti alla fiducia nei confronti della santità. Il lupo e gli altri animali acquistano gli stessi diritti e doveri degli umani e succede che vengano giudicati e giustiziati nella pubblica piazza, dietro “regolare” processo. I secoli passano, ma il lupo è ancora nelle campagne e nelle montagne, circondato da superstizioni e leggende, generalmente molto distanti dalla realtà. Ancora oggi, nei paesi del Casentino,


c’è chi crede che un collo di pelliccia di lupo possa tenere alla larga malattie, malanni e raffreddori. Altrove, c’è chi crede nella licantropia e chi tiene attaccata una coda di lupo in auto per scongiurare incidenti. Se da un lato la persistenza di tutte le credenze legate alla specie riveste un ruolo importante nella nostra identità culturale, dall’altro ci rivela quanto distanti siano queste credenze dalla realtà biologica. Il lupo delle fiabe e delle credenze

popolari può e deve continuare ad esistere, con le sue leggende, proverbi e tradizioni, ma con l’augurio però che non sia proprio lui a far scomparire il lupo vero.

La lupa capitolina.

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Trascrizione dal Codice fiorentino del 1396 “I Fioretti di S. Francesco”, custodito nella raccolta Palatina della Biblioteca Nazionale di Firenze. Tra le oltre quaranta edizioni dei Fioretti succedutesi nei secoli XIV – XVI e che vanno da “Antiqua legenda” contenuta nel Codice Vaticano n. 4354, a “Speculum vitae beati Francisci et sociorum eius” edito nel 1504 in Venezia da Simone Lauro, quella del Codice fiorentino del 1396, anche se di autore ignoto e copia di una narrazione precedente, ci riporta in un colorito volgare la più suggestiva leggenda dei Fioretti, così come amiamo ricordarla. 1 Chome sancto Franciescho chonvertì il ferocissimo lupo d’Aghobbio Al tempo che sancto Franciescho dimorava nella città d’Aghobbio, apparì un lupo grandissimo, terribile

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e fferocie, il quale non solamente divorava gli animali, ma eziandio gli uomini; intanto che tutti i cittadinj istavano in grande paura, però che spesse volte s’appressava alla città, et tutti andavano armati quando uscivano della terra chome se egli andassono a cchonbattere, e cchon tutto ciò non si potevano difendere da llui chi in lui si schontrava solo. Et per paura di questo lupo vennono a ttanto, che niuno era ardito d’uscire di terra. Per la qual chosa sancto Franciescho, abbiendo cconpassione alli uominj della città, si volse uscire fuori a questo lupo, benchè i cittadini al tutto ne lo ischonsilgliavono; e ffaciendosi il sengnio della santa crocie, uscì fuori della terra elli co’ suoj chonpangnj, tutta la sua fidanza ponendo in Dio. Et dubitando gli altre di andare più oltre, sancto Franciesco prende il chammino verso il luogo ov’era il lupo. Ed eccho che, veggendo molti cittadinj, li quali erano venuti a vedere questo miracholo, il detto lupo si fa inchontro a sancto Franciesco cholla bocca aperta, et appressandosi a llui, sancto Franchiesco si gli fa il segnio della crocie, e chiamalo a ssè, et dicie chosì: Vienj qua, frate lupo, io ti chomando dalla parte di Cristo, che ttu non facci male né a mme, né a persona. Mirabile a dire! Inmantinente che


sancto Franciescho ebbe fatta la crocie, il lupo terribile chiuse la bocca et ristette di chorrere, e ffatto il chomandamento, venne mansuetemente chome un angniello. Et gittossi a’ piedi di sancto Franchiesco a giacere. Allora sancto Franchiesco gli parla chosì: Frate lupo tu ffai molti dannj in queste parti, et ài fatti grandissimi maleficij , guastando et uccidendo le creature di Dio senza sua licenza et non solamente uccise et divorate le bestie, ma ài auto ardimento d’uccidere gli uominj fatti all’immagine di Dio; per la qualchosa tu sse’ dengno delle forche come ladro e omicidia pessimo; et ongnj gente grida et mormora di te, et tutta questa terra t’è nemicha; ma io voglio frate lupo fare pacie tra tte e chostoro, sicchè ttu non gli offenda più, et elgliono ti perdonino ogni offesa passata, et né uomini né chanj ti perseguitino più. Dette queste parole, il lupo chon atti di chorpo et di choda et d’orecchj, chon inchinare il chapo mostrava di accettare ciò che sancto Franchiesco dicieva di volerlo osservare. Allora sancto Franchiesco disse: Frate lupo, dappoi che ti piace di fare et di tenere questa pacie, io ti prometto ch’io ti farò dare le spese chontinuamente, mentre che ttu viveraj dalli uominj di questa terra sicchè ttu non patirai fame; imperocchè io so bene che per

la fame ttu ài fatto ognj male. Ma ppoi che io t’accatterò questa grazia, io voglio frate lupo, che ttu mi prometta, che ttu non nocieraj giammaj, a niuno uomo né a niuno animale: prometti tu questo? Et il lupo con inchinare il ccapo fece evidente segniale che prometteva. Et sancto Franciescho dicie: Frate lupo io voglio che ttu faccia fede di questa promessa, acciocch’io me ne possa bene fidare. Et distendendo sancto Franciescho la mano per ricevere la fede il lupo levò il piè dinanzi et dimesticamente il puose sopra la mano di sancto Franciescho, dandogli quello segnale ch’elli poteva: Allora disse sancto Franciescho: Frate lupo io ti chomando nel nome di Jesù Cristo che ttu vengnia ora mecho sanza dubitare di nulla et andiamo a ffermare questa pacie al nome di Dio. Et il lupo obbediente se ne va cho llui come un agniello mansueto: di che i cittadinj, veggendo questo forte si maravigliarono. Et subitamente questa novità si seppe per tutta la città, dichè ogni gente, grandi e piccholi, maschi e ffemmine, giovani et vecchi traghono alla piazza a vedere il lupo chon sancto Franciescho. Essendo bbene ragunato ivj tutto il popolo, levasi su sancto Franciescho e prediha loro dichendo, tra l’altre chose, fratellj miej frate lupo che è

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qui dinanzi a voj m’ha promesso e ffattomene fede di dare pacie con voi et di non offendere mai in chosa niuna se voj gli promettete di dargli ongnj dì le spese nicissarie. Allora tutto il popolo a una bocie promise et sancto Franciescho nnanzi a ttutti disse al lupo: Et ttu frate lupo prometti d’osservare a ccostoro la pacie e’l patto della pacie, che ttu non offenderai né gli uominj né gli animali né niuna criatura? Et il lupo si inginocchiò e china il chapo e cchon atti mansueti di chorpo et di choda et di orecchi dimostra, quanto è possibile, di voler osservare loro ongnj patto. E ppoi il detto lupo vivette due annj inn Agobbio, et entravasi dimestichamente per le chase a uscio a uscio, sanza fare male a persona et senza esserne fatto a llui; e fu notrichato chortesemente dalle gienti, et andandosi chosì per la terra et per le chase, giammaj niuno chane gli abbaiava. Finalmente dopo due annj frate lupo mori di vecchiaia; dichè i cittadinj forte se ne dolsono, inperò che veggendolo andare mansueto per la città, si richordavano melglio della virtù et della santità di sancto Franciescho. A llaude di Cristo.

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Note Questa edizione del 1396 è la trascrizione ad opera di Amaretto Mannelli, noto per aver copiato il Decamerone del Boccaccio, di una precedente narrazione di autore ignoto come viene indicato al colophon “e’ ci fu un frate, il quale dapprima scrisse queste cose”. L’esistenza di tale primitiva scrittura ce la suggerisce anche il Vasari quando afferma che “I miracoli dipinti da Giotto nella Chiesa Superiore d’Assisi, sette appaiono tolti dai Fioretti”. Poichè queste pitture furono ordinate al sommo artista da Fra’ Giovanni Morro, che fu generale dell’Ordine dal 1260 al 1304, è evidente che la narrazione dei Fioretti era già compiuta a tale epoca. La trascrizione del Mannelli è eseguita scrupolosamente e infatti la stessa parola si trova stampata in modi diversi come Franciescho e Francescho, santo e sancto, dice e dicie, e angioli, angnoli, agnoli, angeli ecc. 1


L’Amministrazione Provinciale di Firenze, Ufficio Agricoltura Caccia e Pesca, si è impegnata a partire dal 1993, a contribuire ad una serie di ricerche sul predatore nel territorio provinciale. Le ricerche, condotte grazie alla collaborazione di molte persone, sono

state finalizzate in primis ad accertare la presenza della specie (visto che non erano disponibili dati scientifici in materia), successivamente a stimare il gruppo di coppie riproduttive presenti, a studiarne l’alimentazione ed il rapporto con le attività zootecniche.

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Il territorio La provincia di Firenze si estende su una superficie di circa 3880 kmq, di cui il 51% di collina e il 22% di

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montagna. Si tratta di un territorio molto vario: la porzione meridionale della provincia è dominata da rilievi


tipicamente collinari, coltivati soprattutto a vite ed olivo, mentre il settore settentrionale ed orientale comprende un tratto del crinale appenninico principale, caratterizzato da una elevazione media modesta (la vetta più alta, il Monte Falco tocca i 1658 m. slm) e alcuni crinali secondari (la Calvana, Monte Morello, Monte Giovi ed il massiccio del Pratomagno), alcuni dei quali in comunicazione diretta con l’Appennino. Nel versante romagnolo della provincia l’orografia è diversa: numerosi crinali secondari si originano dal crinale, per delimitare le vallate del Santerno, del Senio e del Lamone. Le zone montane sono caratterizzate da una copertura forestale pressoché continua (oltre il 90%), con boschi di querce, castagno, faggio, e impianti artificiali di conifere importate, come abeti rossi, pini neri e douglasie, impiantati per fini protettivi o produttivi nel dopoguerra. Anche il territorio montano, apparentemente selvaggio ed integro, ha risentito pesantemente della presenza nel corso della storia dell’uomo e degli insediamenti montani. Carbonaie, mulini, boschi cedui, castagneti da frutto, o anche le aree aperte sul crinale, sono la testimonianza vivente dell’attività dell’uomo, protrattasi fino al dopoguerra, per ricavare dal bosco, alimenti, materiale da costruzione, legna e carbone per scaldare

le case, prima che si diffondessero i combustibili fossili, come il petrolio ed il gas. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, con la crescita delle città e le offerte di lavoro “sicure”, i nostri boschi sono stati inesorabilmente abbandonati e così anche tutte le attività e le antiche professioni a questi legate. Per questi motivi l’ambiente appenninico, ed il paesaggio, cambia a partire da questo periodo in modo radicale: i boschi, prima utilizzati prevalentemente “a ceduo” per la produzione del carbone, vengono abbandonati, i piccoli coltivi (chiamati spesso “le piagge”) ed i pascoli al margine dei boschi, anch’essi abbandonati, vengono colonizzati da arbusti e poi dal bosco; i castagneti da frutto, colpiti da alcune malattie, vengono invasi da vegetazione bassa e diventano rifugio ottimale per molte specie. Questi cambiamenti nel paesaggio, crescita delle aree boscate e inselvimento delle aree agricole-pastorali, hanno un effetto dirompente sulla fauna. Le specie legate agli ambienti agricoli, come ad esempio la starna, la pernice rossa, la lepre, vale a dire la selvaggina tipica delle nostre campagne, inesorabilmente iniziano a lasciare il posto alle specie più legate al bosco, ed agli ambienti naturali, come gli ungulati, o lo stesso lupo, per i quali inizia un periodo di grande prosperità.

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Il castagneto Nelle zone appenniniche i boschi di castagno da frutto (marroneti) hanno costituito la principale fonte di reddito per le popolazioni fino al dopoguerra. Dal castagno, chiamato anche “l’albero del pane”, si ricavava di tutto, dal legno, di ottima qualità, ai marroni e castagne, utilizzati in moltissimi piatti tipici. Nel dopoguerra il castagno ha conosciuto un momento di crisi, quando la specie è stata attaccata da due pericolose malattie: il cancro corticale e il mal dell’inchiostro. Recentemente molti castagneti sono

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stati ripristinati e valorizzati grazie a finanziamenti comunitari. I marroneti, soprattutto quelli abbandonati, costituiscono un habitat di eccezionale valore per la fauna selvatica e aree di nidificazione per picchi, rapaci notturni e numerosi altri uccelli.


La faggeta I boschi di faggio sono stati utilizzati nei secoli principalmente per la produzione della legna da ardere, con “taglio a sterzo”, asportando tra i polloni della ceppaia, quelli più vecchi e lasciando in piedi gli altri, con tagli frequenti. Recentemente molti di questi boschi che hanno perso interesse dal punto di vista economico, sono stati “convertiti all’alto fusto” selezionando le piante migliori e tagliando le altre per indirizzarli verso una produzione di legname di maggior pregio. Questi ambienti, molto ombrosi d’estate, non permettono la crescita di erbe, arbusti

ed altre risorse trofiche utilizzate dagli ungulati e non sono quindi particolarmente frequentati dagli animali. In futuro con la naturale evoluzione del bosco e con la apertura di piccole radure, avranno un aspetto meno monotono ed artificiale e saranno sicuramente più interessanti dal punto di vista faunistico.

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La carbonaia La legna delle latifoglie, come quella del carpino, faggio, e quercie, era utilizzata soprattutto per la produzione di carbone, prezioso per scaldare la casa, utilizzato negli scaldini, e per cucinare. Le carbonaie erano costruite in “aie carbonili” di forma circolare; la legna era accatastata con una precisa architettura e poi coperta da erba e terra. Successivamente la carbonaia veniva accesa e seguita da personale esperto affinchè non si spengesse e non bruciasse troppo velocemente.

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Le carbonaie rappresentavano una risorsa economica molto importante; attualmente ne troviamo ancora qualcuna funzionante nell’Alto Mugello.


I seccatoi Le castagne ed i marroni erano una risorsa fondamentale per l’economia montana. I frutti venivono raccolti e seccati in piccole costruzioni (seccatoi), dove al piano terreno veniva acceso un fuoco, mentre al piano superiore si mettevano le castagne a seccare. Dopo circa tre settimane le castagne erano perfettamente secche e, dopo la battitura, pronte per essere macinate nei numerosi mulini ad acqua presenti lungo i torrenti. Con la farina di castagne, si preparavano

piatti (sia dolci che salati, come la polenta o i tortelli) molto nutrienti ed alla base dell’alimentazione delle genti di montagna.

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I paesaggi in via d’estinzione Tutti gli elementi del paesaggio derivanti dal lavoro umano, come le siepi, le alberature, le piccole aree aperte all’interno del bosco, con l’abbandono delle campagne e delle zone montane sono andati a scomparire, e con questi anche la fauna che li abitava, come la starna, la pernice o “l’ortolano”, uno zigolo un tempo molto comune. Frammenti di questi paesaggi si possono osservare ancora nella conca di Firenzuola (foto in basso) e intorno a piccoli insediamenti, come quello dell’abitato di Sessola (qui a destra), non distante da Londa, dove ancora si

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possono osservare colture promiscue di olivo e grano, filari di vite “maritati” con aceri e pascoli estensivi.


I paesaggi dell’abbandono Paesaggi sempre più frequenti sono invece quelli derivati dall’evoluzione di aree di pascolo o coltivi abbandonati dall’uomo, che ora sono colonizzati da felci, ginepri e vegetazione arbustiva. Nella piccola foto a sinistra, sotto ad un immagine di Pian dell’Aiara, un piccolo borgo completamente abbandonato nel Comune di Palazzuolo, una immagine del Passo del Giogo all’epoca dei rimboschimenti (archivio Alinari).

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La fauna Attualmente nel territorio della provincia di Firenze, si trovano ben cinque specie di ungulati, che rappresentano la base della dieta del lupo

Femmina di capriolo.

Il capriolo È il più piccolo dei cervidi italiani. Attualmente distribuito sia in Appennino che nelle colline intorno a Firenze era scomparso dal nostro territorio. L’attuale diffusione di questo timido ungulato è dovuta sia alle azioni di reintroduzione effettuate nei decenni passati, sia all’espansione del nucleo

sopravvissuto nelle Foreste Casentinesi; inoltre le modificazioni dell’ambiente precedentementedescritte, hanno consentito alla specie di trovare un habitat ideale. Può capitare di vederlo al margine dei boschi e ascoltare il suo richiamo: un rauco abbaio, simile a quello del cane (ma più sgraziato).


Il daino Importato in tempi storici dall’Asia minore, il daino fa parte di quelle specie (come il fagiano tra gli animali e tra gli alberi l’olivo, il cipresso ed il castagno) che sebbene non indigeni del nostro paese, ormai sono da considerarsi naturalizzati. Sul nostro Appennino la specie è presente soprattutto nell’area demaniale intorno alla Badia di Moscheta, Firenzuola, ma anche sul Monte Morello e a Vallombrosa; nelle zone montane soffre per le troppo fre-

quenti nevicate e cade spesso vittima del lupo. Il suo richiamo d’amore si ascolta verso l’inizio di novembre.

Esemplari maschi di daino in periodo invernale.

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Il cervo Il più imponente dei cervidi italiani. Raggiunge e supera i 200 kg, con immensi palchi ramificati. Anche il cervo come il capriolo, era praticamente estinto nel dopoguerra ed è tornato per reintroduzioni effettuate sia in Casentino che nella Foresta dell’Acquerino. Attualmente questi due nuclei si stanno espandendo facendo sperare in una graduale ricomparsa della specie su tutto l’arco Appenninico della

Cervo al bramito

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provincia di Firenze. Il maschio adulto, territoriale e solitario, difende il proprio territorio durante la stagione riproduttiva, tra settembre ed ottobre, con freghi, raspate, marcature olfattive e potenti “bramiti” d’amore. Le corna (più propriamente chiamate “palchi”), come quelle degli altri cervidi, sono portate solo dai maschi, ogni anno cadono e poi ricrescono.


Il piccolo di cinghiale mantiene per alcuni mesi una colorazione molto mimetica

Il cinghiale Reintrodotto in molte zone d’Italia per fini venatori il cinghiale che oggi troviamo in gran parte delle zone agricole e boschive della nostra provincia, non è più quello indigeno, ma una sottospecie dei Paesi dell’est, più grande (supera tranquillamente il quintale), molto più prolifico e dannoso, spesso ibridato con il maiale domestico. Nonostante l’aspetto, il cinghiale è raramente pericoloso per l’uomo e cade spessissimo vittima del lupo, soprattutto i subadulti, animali di circa

15-20 kg. In tutta Italia è forse la specie maggiormente consumata dal predatore. La specie è presente in tutta la provincia e causa danni all’agricoltura (in particolare nelle zone vitivinicole) mediamente pari a tre-quattro volte quelli causati dal lupo alla zootecnia.

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Il gatto e la volpe Sono sempre piĂš frequenti i casi di volpi che si avvicinano a case, strade e cassonetti della spazzatura, come succede oramai in tutta Europa. La volpe, specie tipicamente “opportunistaâ€? riesce ad adattarsi ad ambienti molto diversi, trovando cibo e luoghi

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di riparo, anche in città . Ben diversa è la situazione per il gatto selvatico, splendido felino che abita i boschi di latifoglie cacciando uccelli, roditori, conigli e lepri, e che può superare i 6 kg di peso, presente in Toscana solo nella provincia di Grosseto, con popolazioni comunque molto minacciate. Nella nostra provincia, nonostante

esistano delle segnalazioni probabili, non sono disponibili dati certi che accertino la sua presenza.

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Il muflone Questo grosso erbivoro simile ad una pecora selvatica, originario della Corsica e della Sardegna, è stato anch’esso introdotto nella provincia di Firenze. Le corna crescono in maniera continua negli anni, non cadono, e dalle dimensioni di queste si riesce (differentemente da-

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gli animali descritti precedentemente) a stimare l’età dell’animale. Il muflone non si è ben adattato alle zone fredde e proprio in queste zone è facile preda del lupo. E’ presente con un nucleo di circa 150 capi nel comune di Firenzuola, tra il passo della Futa e la Raticosa.


Il territorio della provincia di Firenze ospita, oltre al lupo e agli ungulati selvatici, numerose altre specie selvatiche, alcune delle quali di particolare interesse, che testimoniano l’alto valore naturalistico del territorio. Tra i grandi rapaci, in particolare, dobbiamo ricordare l’Aquila reale, che da

qualche anno nidifica abbastanza regolarmente nell’Alto Mugello, il Falco pellegrino, tipico nidificante delle zone rupicole, che anch’esso nidifica in Alto Mugello, mentre la presenza, come nidificanti, di altri due rare specie di rapaci (Astore e Gufo reale) è da confermare.

L’astore vive, caccia e nidifica in boschi maturi di conifere. La sua presenza come nidificante in provincia di Firenze, dove questi habitat non sono molto frequenti, non è certa, mentre è accertata nelle vicine Foreste Casentinesi.

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Definire la presenza storica della specie nel territorio oggetto di studio ci è parso un obiettivo interessante, sia per motivi culturali, sia per comprendere se la specie era effettivamente scomparsa dal nostro territorio nel corso del XX secolo, cioè nel periodo più critico per molte specie selvatiche italiane. Molti dei documenti che abbiamo consultato, alcuni dei quali molto antichi, come gli statuti comunali delle varie podesterie, forniscono informazioni al riguardo, anche se la loro attendibilità scientifica è molto relativa. La specie era sicuramente presente fino al XVI secolo, in tutte le aree montane, tanto che negli Statuti di San Godenzo si parla del lupo in riferimento ai Santantoni, cioè le bestie non commercializzabili, in questo caso perché “…lupate o guaste dall’orso…” che sono oggetto di una specifica regolamentazione per la vendita, così come negli Statuti di Vicchio e Rostolena del 1403, dove per chi consuma o vende animali caduti da dirupi o sbranati dai lupi (“tralupatas autem, vel allupatam”) vige una sanzione economica; il divieto di mangiare carne “lupata” si ritrova anche in alcune credenze popolari mugellane (mangiare carni sbranate dai lupi produrrebbe nel nascituro una disposizione verso una voracità

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smisurata…). Anche in epoche più vicine la specie viene spesso citata: ne “Lo Zibaldone” di Don Matteo Pinelli del XVII secolo si fa menzione delle forti nevicate che intorno al 1650 costrinsero gli abitanti di Firenzuola a scavare delle gallerie per uscire fuori dai porticati della piazza; in quell’occasione “fu strage di volpi e di lupi” che non trovarono niente da mangiare per mesi. Alcune leggende locali nascono in questo periodo: l’antica Osteria “da Nandone, l’Omomorto”, sulla strada tra Scarperia ed il Giogo, pare che debba il suo nome ad un viandante che in cammino sul crinale appenninico, venne inseguito da un gruppo di lupi. Arrivato a tale osteria, poco distante dal Passo del Giogo, il viandante sarebbe morto di crepacuore. Nei documenti dell’Abbazia di Vallombrosa, si fa spesso riferimento alla questione dei lupi. In particolare, viene citato un episodio relativo al 4 di agosto del 1824: “…poiché sette lupi infestavano la zona di Vallombrosa recando notevoli danni alle greggi dei contadini che erano in quella zona, fu decisa e fatta una cacciata nella quale rimasero uccisi quattro lupetti”. E poi ancora (17 agosto 1825) “… essendosi veduti in questi contorni diversi lupetti ed avendo i contadini delle Alpi


sperimentato qualche danno alle loro pecore venne richiesta al Governo la facoltà di una numerosa caccia”. In una autorizzazione di caccia del 1860: “…nei beni della Abbazzia di Vallombrosa viene autorizzato il prefato abate Placido Pieri ad eseguire per il lasso di venti giorni la caccia ai lupi col mezzo del fucile a condizione però che l’eserciti in brigata non minore di 8 individui…”. La specie sembra quindi piuttosto comune fino alla fine del 1800. Nel secolo XX invece le notizie si fanno più sempre più rare. I ritrovamenti di lupi morti in questo periodo, sempre considerando il subareale Mugello - Foreste Casentinesi,

data 1930 circa

confermano comunque l’ipotesi della presenza di alcuni nuclei stabili sul territorio. Di particolare interesse le segnalazioni comprese tra il 1962 ed il 1978, che fanno propendere ancora per una presenza stabile, seppur molto limitata e circoscritta della specie, in un periodo in cui secondo autorevoli autori la specie sembrava estinta a nord dell’Appennino marchigiano. A partire dalla fine dagli anni ’80 in poi le segnalazioni si sono fatte sempre più numerose, a testimonianza sia della crescita numerica della popolazione che dell’aumento dell’ostilità da parte di molti bracconieri.

località

comune

provincia

Giogarello

Firenzuola

FI

1930

Poggio Casali

Borgo San Lorenzo

FI

1948

Ortacci

Borgo San Lorenzo

FI

1958

M.Marino

Santa Sofia

FO

1959

La Lama

Bagno di Romagna

FO

1962

M.Cocomero

Verghereto

FO

1963

La Greta

San Godenzo

FI

1964

Poggio alla Lastra

Santa Sofia

FO

1970

Vicchio

FI

1971

Londa

FI

1975

Firenzuola

Firenzuola

FI

1978

Sestino

Sestino

AR

1981

Camugnano

Marradi

FI

1981

San Godenzo

San Godenzo

FI

1981

Camugnano

Marradi

FI

Ritrovamenti di lupi uccisi nel subareale delle provincie di Firenze, Arezzo, Forlì, tra il 1930 ed il 1981.

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distribuzione dal 1968 al 1972

distribuzione dal 1950 al 1967 distribuzione anteriore al 1950

La presenza del lupo nell’Appennino toscoromagnolo negli anni ‘70, viene documentata da una ricerca condotta da Luigi Cagnolaro nel 1974, anche per il Mugello e le Foreste Casentinesi dove per Boitani e collaboratori la specie era estinta.

Le aree cerchiate nella carta rappresentano le “isole” di presenza del lupo negli anni ´70, studiate da Boitani e collaboratori. In grigio la distribuzione secondo gli stessi Autori per gli anni ´90.

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Nonostante le diffuse dicerie, in Italia non sono mai stai “lanciati” o reintrodotti lupi. In molte zone la leggenda dei lupi paracadutati è talmente affermata che chi cerca di convincere le persone dell’assurdità della faccenda, passa per un ambientalista provocatore, e numerose sono le persone che giurano di aver visto elicotteri verdi che scaricavano lupi. Numerosi sono gli argomenti che nel corso degli anni abbiamo utilizzato, il più delle volte invano, per cercare di convincere le persone che si tratta di una fanta-

sia priva di fondamento. In primis, il fatto che le associazioni ambientaliste non hanno certo i fondi per una operazione così complessa e costosa; poi che non esistono allevamenti di lupi da cui prendere la materia prima. Infine il fatto che un lupo avrebbe difficoltà a liberarsi del paracadute... soprattutto se atterra su un albero! La leggenda stenta a morire, così come quella, simile, delle vipere, che secondo molti sono state anch’esse paracadutate...

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Alla fine degli anni settanta sembrava che il lupo fosse totalmente scomparso, e forse per sempre dall’Appennino toscano. Tuttavia ad esso venivano ancora attribuiti tutti i misfatti e le stragi di pecore che quasi certamente erano dovute alle scorrerie di cani inselvatichiti. Marcello Paris, noto giornalista della RAI, narra con una gustosa cronaca, un reportage per la televisione realizzato all’epoca. “Sulle tracce del lupo” era un breve reportage della Rai di Firenze su vicende che tormentavano gli abitanti, o meglio gli allevatori di pecore dell’Alpe della Luna, a Badia Tedalda, al confine tra Toscana e Lazio. Da qualche tempo c’erano stragi di pecore. Gli allevatori e i contadini in genere, avevano deciso di riunirsi (fare un’assemblea si direbbe se si fosse trattato di operai di una fabbrica) per decidere cosa fare. Nelle loro intenzioni c’era anche la volontà di protestare contro le istituzioni, Comune, Provincia e Regione, che a loro dire non facevano abbastanza per tutelare i loro interessi. La tutela richiesta consisteva nella caccia al lupo

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concedendo la deroga al divieto. Infatti il lupo è specie protetta e pertanto già allora non poteva essere ucciso. L’ira degli abitanti si rivolgeva, poi, contro i protezionisti, “gli amici del lupo” colpevoli di proteggere la specie perché in via di estinzione. Nell’occasione il nemico era rappresentato dalla LIPU (la Lega Italiana Protezione Uccelli), che evidentemente non si limitava, e non si limita, a proteggere i volatili. Noi, intendo la Rai, nel decidere di andare a Badia Tedalda per seguire l’assemblea dei “rivoltosi” ci rivolgemmo proprio alla LIPU per avere il conforto di un esperto che ci desse un sostegno tecnico per non dipendere acriticamente da quanto sostenuto dagli allevatori. Infatti, mentre i contadini sostenevano che ad uccidere le pecore erano i lupi, i protezionisti incolpavano i cani inselvatichiti che quando fanno branco sono più feroci e aggressivi dei lupi (ammesso che i lupi siano da considerarsi feroci). Dall’altro lato la nostra richiesta di sostegno tecnico era la benvenuta per la LIPU che poteva così contrastare, attraverso il mezzo televisivo, le accuse dei protestatari. Così alla troupe della Rai si aggregò il professor Giovanni Valdrè, esperto animalista e soprattutto gran conoscitore del lupo. Dunque la troupe, composta da tre


persone più l’esperto, parte alla volta della Valtiberina. Era una giornata invernale e a Rocca Tedalda c’era ancora un po’ di neve. Gli allevatori ci portarono subito sul luogo del “delitto”, nel recinto dove erano state sgozzate le pecore. Per terra c’erano ancora tracce di sangue. Un presunto lupo era stato ucciso. Diciamo presunto perché i protezionisti dicevano che si trattava di un cane lupo. Ci vollero poi gli esami dell’Istituto Nazionale della Fauna Selvatica per accertare a quale razza appartenesse l’animale ucciso. Accompagnati dagli abitanti della zona ci muovemmo per le campagne con la speranza di trovare tracce di un lupo vero. Purtroppo la curiosità professionale ma anche personale non venne soddisfatta. Di lupi nemmeno un’orma. Delusi dal mancato incontro con il lupo andammo ad assistere all’incontro tra gli abitanti - contadini. Un’animata assemblea ci accolse. Tirata fuori telecamera, luci e microfono ci apprestammo a filmare quanto avveniva. Davanti a telecamera e microfono ognuno aveva qualcosa da dire. Tutti volevano parlare anche perché l’occasione di potersi esprimere davanti “alla televisione” era ghiotta, da non perdere. E poi ognuno di loro doveva integrare o spiegare meglio quanto aveva detto l’interlocutore precedente. Insomma ci fu una certa confusione.

Dopo un bel po’ di tempo riuscimmo a terminare con molto più materiale “girato” di quanto previsto e necessario. Ma questo è un dettaglio trascurabile. Il problema si sarebbe posto dopo in moviola (a quel tempo “giravamo” ancora in pellicola) al momento del montaggio. Finite le riprese arrivò il momento della partenza tra ringraziamenti e strette di mano. Per dimostrare la loro gratitudine per la nostra presenza i nostri ospiti decisero di farci omaggio di una forma di formaggio a testa, ovviamente pecorino, e di una piccola ricotta. Al “nemico” animalista niente. Naturalmente questa scelta ci aveva messo un po’ in imbarazzo, perciò, quando fummo in auto sulla via del ritorno, offrimmo al professor Valdrè i formaggi avuti in dono: questo gesto riparatore voleva essere anche un ringraziamento alla sua preziosa consulenza ed un plauso per la difesa del lupo sostenuta coraggiosamente di fronte ad un’assemblea di pastori comprensibilmente infuriati per la strage delle loro pecore che addebitavano alla ferocia dei lupi. Il professore accettò solo la ricottina mormorando: “...speriamo che poi non si accusi il lupo di essersi mangiato anche questa!” Nell’auto ci fu una risata generale che concluse così la spedizione della RAI sulle tracce del lupo... che forse non c’era.

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Il lupo è una delle specie più difficili da studiare tra gli animali selvatici presenti in Italia, proprio per la sua elusività, per le abitudini prevalentemente notturne, per le ampie dimensioni dei territori che occupa e, non ultimo, per la somiglianza di molti segni di presenza con quelli del cane. Non esiste una tecnica di studio perfetta, ognuna ha dei pregi e dei limiti e, secondo i più noti ricercatori, solo da un insieme di dati acquisiti con metodologie di studio diverse si può cercare di comprendere qualcosa sulla specie. Per la ricerca nella provincia di Firenze, sono state adottate le seguenti tecniche.

Snow tracking (trad. tracciatura su neve) Consiste nel seguire i lupi sulla neve, con sci o racchette da neve. Con questo metodo si riesce a definire il territorio utilizzato dai lupi, il numero di lupi presenti in una determinata area e si riescono a volte a trovare anche i resti delle prede. I punti deboli del metodo sono legati alla possibilità di confondere le tracce del lupo con quelle di cani, ed all’inapplicabilità nelle zone dove cade poca neve. Nel corso della ricerca abbiamo seguito tracce di lupi su neve, organizzando innumerevoli sessioni di tracciatura, che hanno coperto oltre 1200 km di territorio.

Tracciatura su neve sul crinale tra Consuma e Croce ai Mori

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Wolf howling (trad. lupo che ulula) Un tempo per dare un tono più selvaggio al richiamo si utilizzava uno scarpone da montagna, all’interno del quale a voce si emetteva l’ululato. Ora per “chiamare” i lupi si utilizza un registratore digitale amplificato ed un potente altoparlante, con il quale si

Soprattutto alle prime nevicate (novembre e dicembre) può capitare di osservare le tracce di gruppi anche numerosi di lupi (in questo caso 5 individui). A partire da gennaio, con i giovani che iniziano a partecipare attivamente alla caccia, capita sempre meno frequentemente di osservare il gruppo famigliare al completo a caccia, mentre si osservano spesso gruppi di 2 – 3 animali che si spostano insieme. E’ probabilmente la “formazione” più efficace per la caccia ai nostri ungulati.

emettono registrazioni di lupi singoli, gruppi famigliari e coppie. I lupi spesso rispondono all’ululato, rivelando ai ricercatori la loro presenza, la localizzazione e la presenza dei cuccioli, che hanno vocalizzazioni ben distinguibili da quelle degli adulti. I limiti del metodo sono sempre legati alla possibilità di confondere ululati di

Le emissioni degli ululati vengono lanciate con una apposita attrezzatura da punti panoramici a partire dall’imbrunire.

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lupi con ululati di cani e la possibilità di sottostimare popolazioni lupine particolarmente silenziose. Il Wolf howling viene condotto ogni estate sull’Appennino. Dal 1993 sono state compiute oltre 150 sessioni di richiamo.

gione per stagione. I limiti del metodo sono molti, ma fornisce comunque delle indicazioni interessanti sul consumo di prede. Oltre 500 campioni sono stati analizzati per studiare la dieta nella provincia di Firenze.

Analisi della dieta Vengono raccolti gli escrementi del lupo, conservati a bassa temperatura e infine esaminati al microscopio i peli e gli ossi in questi contenuti. Utilizzando manuali di riconoscimento, si può capire l’appartenenza del pelo ad una determinata specie e classe d’età ed analizzare quindi la dieta del lupo, sta-

Trappolaggio fotografico Si lasciano nel bosco delle macchine fotografiche con flash, in questo caso autocostruite, dotate di un sensore che le fa scattare al passaggio di un animale (qualsiasi, uomo incluso). Dalle foto si riesce a capire (tra le altre cose) se in zona sono presenti cani o lupi. Nel caso in cui si riescono a rico-

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Sezione trasversale di peli. I peli degli ungulati (in questo caso del cervo) si riconoscono facilmente dagli altri per la tipica forma ondulata.

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Lupo

Scoiattolo

Daino

Cinghiali

Tasso

Daino bianco

noscere gli animali individualmente (è il caso dei felini), si possono anche fare stime numeriche di popolazione, avvalorate da test statistici molto complessi. I limiti sono nei costi per l’acquisto di un discreto numero di macchine fotografiche (ne occorrono molte per scattare un numero sufficiente di foto) e nella probabilità di vedersi rubare tutta l’attrezzatura da qualche boscaiolo curioso. Alcune delle foto in questo libro sono state realizzate utilizzando questa tecnica. Genetica E’ la nuova frontiera per lo studio della fauna selvatica. Si preleva il DNA, o tracce di DNA, del lupo da tessuti o anche da reperti come peli, saliva o escrementi. Viene fatta una “amplificazione” della catena ed una successiva analisi che ci permette di “riconoscere” l’individuo, di determinarne il sesso, i rapporti parentali con altri individui, la presenza di genoma canino nel suo DNA ed altre importanti informazioni. Dal 2000 è in corso una collaborazione con l’.I.N.F.S. (Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica) per studiare la genetica, attraverso l’analisi del DNA mitocondriale contenuto nelle feci, dei nostri lupi.

Nelle immagini a sinistra, alcune delle specie fotografate con trappole fotografiche automatiche.

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E’ una mattina di metà gennaio, il tempo è sereno, ha nevicato da pochi giorni. Arrivo in auto fino all’ inizio della strada forestale che sale ripida verso il crinale Appenninico. L’alba è da poco passata e lungo la strada le impronte dei cervi, dei caprioli e dei cinghiali sono abbondanti. Non mi aspetto, purtroppo, di trovare delle tracce di lupo. Anche qui, infatti, come in tante zone del nostro Appennino, l’accoglienza nei suoi confronti non è stata delle migliori. L’anno precedente avevamo accertato la presenza di una coppia che, date le caratteristiche ecologiche della zona, aveva ottime possibilità di riprodursi. Ma una mattina di gennaio, un gruppo di cacciatori di cinghiale ci informò della presenza del corpo di un grosso canide in fondo ad un fosso non lontano da dove mi trovavo. Dopo qualche giorno di ricerche il corpo venne ritrovato. Era un bellissimo maschio di lupo, di circa un anno e mezzo, morto probabilmente avvelenato. Si trattava purtroppo del maschio che formava la coppia appena stabilitasi. La femmina, dopo la scomparsa del compagno, rimase in

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zona per un certo periodo, ma poi le sue tracce si fecero sempre più difficili da incontrare, fin quando iniziammo a pensare che anche lei si fosse definitivamente allontanata. Ad agosto iniziammo a ritrovare delle tracce sospette. Si trattava di impronte di piccole dimensioni che sembravano appartenere più a piccoli cani che a lupi in tenera età. Qualcuno sosteneva di aver udito degli strani uggiolii provenienti da un fosso che scende incassato nella montagna verso il fondovalle del Mugello. Ma si trattava di segnalazioni troppo vaghe perché potessimo formulare delle ipotesi. Scendo di macchina, preparo gli sci con le pelli di foca e inizio a farli scivolare silenziosi sulla neve in direzione del crinale principale. E’ uno stradello forestale, percorso durante la stagione venatoria da molte auto di cacciatori e rappresenta per il lupo una ottima autostrada per gli spostamenti a lungo raggio durante i quali esplora le valli secondarie in cerca di ungulati da cacciare. Inaspettatamente incontro delle impronte nella neve fresca che appartengono ad un grosso canide. L’orma misura circa 10 centimetri e il passo, cioè la distanza tra le “pedate”, raggiunge quasi i 70 centimetri. Potrebbero essere state lasciate anche da un grosso cane, ma la traccia è stranamente rettilinea e lo scarto laterale tra impronte è molto piccolo. Inoltre nel nostro Appennino


è molto raro trovare cani inselvatichiti o semplicemente cani randagi, specialmente in inverno. L’animale, lupo o cane che sia, è passato da pochi minuti, e il leggero vento tiepido che soffia da sud ancora non ne ha modificato le impronte. Mentre inizio a ripensare a quegli strani uggiolii ascoltati ad agosto, provenienti da quella valle così vicina, mi accorgo che non si tratta di un solo animale: improvvisamente la traccia si “apre” e si capisce che appartiene ad un piccolo branco di almeno quattro animali. Camminano in fila indiana, con il dominante in testa al branco, l’uno nelle impronte dell’altro per risparmiare energia. Giunti ad un valico il sentiero incontra una mulattiera che sale dai pascoli della Romagna. Il branco si è fermato per qualche istante, ha ispezionato la mulattiera e dopo aver marcato con gli escrementi il proprio territorio, ha continuato a salire lungo il sentiero principale. Sono escrementi contenenti una gran quantità di peli e di ossa, lasciati in punti strategici, che corrispondono ai nostri avvisi di proprietà privata. L’analisi di queste “fatte” permette di determinare, tra le altre cose, l’alimentazione dei lupi. Continuo affannosamente a salire lungo il sentiero, con la speranza di riuscire a vederli. Con gli sci da fondo-escursionismo, debitamente modificati, è possibile seguire le tracce dei lupi su sentieri e strade forestali,

per chilometri e chilometri, ed è possibile definire quali sono i territori di caccia dei vari branchi, ma non è per niente facile incontrarli. Il sentiero corre lungo il crinale principale, in direzione del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi. A differenza di quelle zone, qui ci troviamo ancora in un ambiente dove troppo è permesso. Spesso durante la ricerca, in stagioni insospettabili, abbiamo incontrato persone armate di fucile da caccia, la notte poi si sentono spesso spari di arma da fuoco e le moto da fuoristrada si inseguono di continuo lungo le mulattiere. Ma la selvaggina è davvero abbondante. I caprioli sono presenti anche in fondovalle, i cinghiali pure ed il cervo è tornato a far sentire il proprio bramito d’amore nelle notti di fine settembre. Ad un tratto la traccia cambia direzione e scende lungo un ripidissimo fosso. Più lontano le acque di questo fosso si uniscono a quelle di altri piccoli corsi d’acqua per formare una grandiosa cascata, meta estiva di tanti gitanti. La neve non tiene, il bosco è veramente troppo fitto e sono costretto ad abbandonare la traccia. I lupi sono vicini, sicuramente. Mi appoggio ad uno dei pochi grossi faggi, mi riposo un istante e provo a chiamarli. Il mio ululato non è dei migliori. Nonostante gli anni di esercizio, non riesco a tenere la nota per molti secondi. Ripenso a tutte le notti passate in questi boschi

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a chiamare il lupo con il potente registratore per il wolf-howling. Ma ora è mattina, sono quasi le dieci e quando sento la risposta quasi non credo alle mie orecchie. Sono quattro o cinque, si sente chiaramente la voce del maschio dominante, cupa e profonda, accompagnata e sostenuta da quella più acuta e dolce della compagna. Ci sono anche i cuccioli, avranno circa sette mesi, ancora non riescono ad ululare come gli adulti. Le loro voci si mischiano continuamente in uggiolii, brevi ululati e schiamazzi che fanno subito pensare ai giochi imparati nella tana. Sono vicini, sicuramente a meno di cento metri, ma nonostante i tentativi non riesco a vederli. Continuano ad ululare; ora si sentono chiaramente i cuccioli fermi da una parte ed i genitori che si avvicinano lentamente verso di me. Sono solo, in mezzo al bosco innevato e due lupi mi stanno cercando. Non ho paura, assolutamente, fremo impaziente per il momento in cui spunteranno fuori dal fitto ceduo. Ormai so bene che non corro pericolo. E’ da anni che sogno di osservarli con pazienza. Gli unici incontri che abbiamo avuto si sono sempre conclusi con una rapida fuga impaurita della temibile fiera. Ma nonostante questo, c’è ancora chi consiglia ai fungaioli di scoppiare petardi nel bosco per allontanare il pericolo e crede ancora che i lupi siano stati reintrodotti, o meglio, lan-

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ciati dal WWF o dalla Forestale con il paracadute, senza lasciar credito all’ipotesi che abbiano da soli ricolonizzato lentamente i propri territori perduti. I due lupi sono sempre più vicini. Si sente chiaramente il rumore dei loro passi nella lettiera di faggio ricoperta di una crosta di neve. Improvvisamente sento che si fermano. Probabilmente hanno sentito odore di uomo e hanno capito il pericolo che stanno correndo. In un secondo cambiano direzione e corrono via, veloci verso i cuccioli.


Lupo in riposo dopo la caccia. Spartizione della carcassa (fotografia di Giovanna Nicolai)

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Distribuzione Dall’analisi dei dati emersi durante la tracciatura su neve, dal ritrovamento di segni di presenza e dalle risposte ottenute tramite il wolf howling, è stato possibile accertare la presenza stabile della specie nella provincia di Firenze. In particolare il lupo risulta presente su tutto l’arco appenninico, nella Foresta di Vallombrosa e sul massiccio del Pratomagno, ed in modo molto occasionale sui rilievi della Calvana, del Monte Morello e di Monte Giovi, con un numero di coppie riproduttive stabili stimato tra le 4 e le 7 (includendo i nuclei presenti nel versante fiorentino del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, studiati dal CTA del Corpo Forestale dello Stato). Ogni nucleo è composto dalla coppia riproduttiva, dai cuccioli (che permangono con gli adulti fino all’inverno) e da qualche individuo subordinato che rimane all’interno del gruppo fino al secondo inverno, aiutando la coppia nell’allevamento dei cuccioli. Si tratta di densità piuttosto alte, simili a quelle rilevate in Casentino, dovute alle ottime caratteristiche ambientali del nostro territorio. Nonostante questo, la popolazione lupina è soggetta a continue estinzioni e ricomparse locali, dovute alla persecuzione fortissima

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alla quale è esposta. Riproduzione Tramite la tecnica descritta del wolfhowling e tramite l’avvistamento diretto di cuccioli (avvenuto in 6 occasioni), abbiamo potuto accertare la riproduzione sull’intero territorio della provincia di Firenze, in 26 occasioni dal 1993 al 2002. Inoltre sono state localizzate 2 tane riproduttive che sono state utilizzate dai lupi per diversi anni consecutivi. Le tane sono localizzate in aree scarsamente raggiungibili, scavate tra le rocce ed il terreno, non lontane da piccoli ruscelli, dove le femmine di lupo possono trovare acqua durante la stagione riproduttiva. Alimentazione Sono stati ritenuti analizzabili 364 escrementi sul totale di oltre 500 campioni, raccolti durante le varie stagioni. I dati indicano una dieta basata in modo preponderante sugli ungulati selvatici, che rappresentano oltre il 95% del campione, mentre gli animali domestici rappresentano solo il 2,19%. La presenza nel campione di resti attribuibili a micromammiferi (topi, talpe e simili), uccelli, specie vegetali e frutta è risultata trascurabile. Differenze emergono esaminando la


Dieta del lupo nella provincia di Firenze

Cause di mortalitĂ dei lupi rinvenuti nella provincia di Firenze

EtĂ dei lupi morti rinvenuti nella provincia di Firenze

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dieta del lupo nelle varie stagioni. In particolare si osserva un consumo relativamente maggiore per il cinghiale in autunno (presenza di subadulti), e del daino in primavera (periodo delle nascite), mentre il capriolo è consumato con maggior regolarità durante tutto il resto dell’anno. Mortalità Nel periodo compreso tra il 1994 ed il 1999 sono stati rinvenuti ed analizzati i corpi di 16 lupi. Nella maggior parte dei casi esaminati si tratta di animali giovani, di età compresa tra 1 e 2 anni, morti per avvelenamento. Si tratta quindi dei subadulti, che lasciano nel periodo invernale il nucleo famigliare per andare in cerca di nuovi territori e di una compagna. In questa fase i lupi sono esposti a forti rischi, sia perchè spesso si insediano in aree troppo antropizzate, sia perchè questo periodo di erratismo coincide sfortunatamente con la stagione venatoria.

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Si ricorda a proposito che il lupo è attualmente una specie particolarmente protetta dalla legge italiana ed attualmente la pena prevista per l’uccisione di un lupo varia dall’ammenda (compresa tra 774 e 2065), all’arresto per 28 mesi. Ma nonostante il rinvenimento di varie centinaia di lupi uccisi negli ultimi venti anni sul territorio italiano, nessuna condanna è stata mai inflitta per tale reato.


presenza saltuaria

presenza stabile

Distribuzione attuale (indicativa) del lupo nella provincia di Firenze

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Per valutare l’impatto della specie sugli animali domestici abbiamo analizzato i documenti relativi ai sopralluoghi del servizio veterinario nelle aziende danneggiate, per gli anni compresi tra il ’90 ed il ’99, per un totale di 474 accertamenti e 1807 capi predati. La categoria più predata risulta essere quella degli ovini adulti, seguita dai caprini e dai bovini, colpiti più raramente. I comuni più danneggiati risultano essere inaspettatamente quelli posti nei fondovalle appenninici, ad esempio Barberino e Scarperia che insieme nel 1996 hanno avuto il 49% del danno economico totale, mentre quelli più montani, anche al confine con il Parco Nazionale, ad esempio Londa e San Godenzo risultano essere meno danneggiati. Questo può essere dovuto al fatto che mentre nei comuni più montani i pa-

stori adottano mezzi per prevenire la predazione, come l’impiego di cani maremmani addestrati (anche 1 per 30-40 capi) e sorvegliano continuamente il gregge, nei comuni di fondovalle, dove si trovano grandi allevamenti con un numero di capi che può superare le cinquecento unità spesso manca la sorveglianza. Questo anche per un approccio culturale diverso in quanto in queste zone molto spesso i pastori sono di origine sarda o siciliana e quindi non sono abituati alla presenza del lupo. Inoltre un ruolo determinante nel fenomeno della predazione sugli animali domestici è sicuramente svolto dai cani vaganti, anche di proprietà, che sono maggiormente presenti nelle zone ad alta densità umana del fondovalle. Il fenomeno della predazione ha il suo picco massimo nel periodo estivo, durante il quale in molte zone

Andamento dei danni tra il 1990 ed il 1998 nell’area del Mugello ed alto Mugello, studiati tramite le domande di risarcimento. I dati rappresentano parzialmente il fenomeno, perchè spesso molti allevatori non chiedono più i rimborsi regionali.

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Non c’è niente di peggio di un pascolo recintato “alla meglio”. Le pecore si trovano imprigionate nelle reti nella fuga, finendo ancor più facile preda dei lupi o dei cani. Da numerosi studi , risulta che adottando dei buoni cani da difesa e ricoverando le pecore la notte negli ovili chiusi i danni diminuiscono sensibilmente o cessano del tutto. Un altro accorgimento che spesso viene trascurato è quello di tenere sotto stretto controllo il gregge nei giorni successivi (fino a 10 giorni) dall’evento predatorio. Infatti in circa il 35% casi degli eventi studiati dopo circa una settimana dal primo attacco, si verifica un nuovo attacco da parte dei lupi. Adottando tutte queste misure è verosimile arrivare ad una forte mitigazione del problema se non ad una totale eradicazione.

montane viene praticato l’alpeggio ed il predatore ha i piccoli da sfamare. La frazione di capi predati sul totale degli animali al pascolo, è pari allo 0,69, valore assai più contenuto rispetto a quelli osservato in altre zone (ad esempio in Umbria, dove raggiunge il 2%). I danni causati dal lupo e dai cani al patrimonio zootecnico della regione sono rimborsati nella misura del 100% tramite la Legge Regionale n°72 del 1994. Nonostante questo i malumori tra gli allevatori sono molto diffusi e spesso legati ai tempi molto lunghi necessari per ottenere i rimborsi.

Come per le specie selvatiche, anche gli animali domestici sono spesso attaccati dal lupo alla trachea e poi consumati partendo dalla zona viscerale. Quando non ci sono fattori di disturbo la preda poi viene consumata, parzialmente, e poi rivisitata dopo alcuni giorni; in alcuni casi si verificano casi di “surpluss killing” in cui il predatore uccide senza consumare decine di animali; il comportamento è dovuto all’istinto tipicamente predatorio del lupo in presenza di ostacoli fisici alla fuga delle prede.

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Normativa regionale vigente in materia di danni agli animali domestici LEGGE REGIONALE 31 agosto 1994, n. 72 Danni causati al patrimonio zootecnico da animali predatori o da eventi meteorici. Bollettino Ufficiale della Regione Toscana - n. 60 ARTICOLO 1 (Finalita’) 1. La Regione Toscana dispone specifici interventi finanziari a favore degli imprenditori agricoli che esercitano l’allevamento, secondo le modalita’ previste dalla presente legge e nei limiti degli stanziamenti annuali del bilancio di previsione: a) al fine di indennizzare gli imprenditori stessi per i danni causati agli animali allevati da eventi meteorologici o da animali predatori; b) al fine di favorire interventi di miglioramento per sistemi di guardiania, difesa, governo e ricovero delle specie animali allevate. ARTICOLO 2 (Definizione di animali predatori) 1. Sono animali predatori sia quelli appartenenti a specie selvatiche, sia quelli appartenenti a specie o razze domestiche, ma che conducono vita randagia o rinselvatichita, o animali per i quali non e’ stato o non e’ individuabile il proprietario. ARTICOLO 3 (Definizione e misura degli interventi finanziari) 1. L’indennizzo dei danni causati agli animali allevati, da animali predatori o da eventi meteorologici provocanti morte, ferite gravi, aborto, perdita lattea, accertati con certificazione del veterinario della Unita’ Sanitaria Locale competente e’ concesso, secondo la procedura stabilita all’art. 4, nella misura del 100%. 2. La determinazione dell’ammontare dell’indennizzo e’ definita dal Comune, per quanto riguarda i capi perduti, facendo riferimento allo specifico prezzario che sara’ predisposto dalla Giunta Regionale. La valutazione dell’entita’ degli altri danni e’ definita dal Comune sulla base dei prezzi medi dei diversi prodotti danneggiati o perduti rilevati dalle mercuriali della Camera di Commercio della Provincia interessata o delle Provincie limitrofe. 3. Per la realizzazione di interventi di miglioramento dei sistemi di guardiania, difesa, governo e ricovero delle specie animali allevate, di cui all’art. 5 della presente legge, sono ammessi contributi fino ad un massimo del 50% della spesa riconosciuta ammissibile e, comunque, non oltre i 50 milioni di lire. 4. Gli interventi finanziari previsti dal presente articolo non sono cumulabili con ulteriori interventi previsti per lo stesso titolo da altre disposizioni. ARTICOLO 4 (Procedimento per la richiesta di indennizzo per la perdita di animali allevati) 1. La richiesta di indennizzo per i danni di cui all’art. 3, comma 1, e’ presentata in carta libera al Comune dove ha sede l’impresa agricola, nel termine massimo di 20 giorni dall’evento dannoso ovvero dalla scoperta degli effetti dello stesso. 2. L’imprenditore, entro 24 ore dal verificarsi dell’evento dannoso, ovvero dalla scoperta degli effetti dello stesso, deve chiedere l’intervento del veterinario della USL competente nel territorio in cui e’ avvenuto il fatto, il quale, entro il termine di 7 giorni dalla richiesta, rilascia apposita certificazione che sara’ allegata alla richiesta di indennizzo. 3. La certificazione di cui al comma precedente, attesta che il danno e’ conseguenza dell’attacco di animali predatori o di eventi meteorologici, e deve inoltre indicare la specie, la razza, l’eta’ e la funzione dei capi uccisi o feriti, la qualita’ e quantita’ degli animali interessati, nonche’ i danni indotti subiti, la localita’ e la data dell’evento. I danni indotti subiti possono essere certificati oltre il termine di cui al comma 2 e, comunque, non oltre 30 giorni dal verificarsi dell’evento. 4. Il Comune delibera la concessione dell’indennizzo entro 45 giorni dalla presentazione della richiesta, trasmettendo l’atto alla Giunta regionale, la quale nel termine di trenta giorni dal ricevimento

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provvede alla liquidazione dell’80% dell’indennizzo. Le somme residue vengono liquidate a seguito di sopralluogo da parte dei competenti uffici comunali e riscontro delle relative fatture quietanzate, per constatare la reale reintegrazione dei capi o la effettiva realizzazione degli interventi di sviluppo del comparto zootecnico dell’impresa. 5. Nel caso di danni indotti, la liquidazione avverra’ sulla base della documentazione presentata dall’interessato nei termini di cui al precedente comma 3. Il Comune delibera la concessione dell’indennizzo entro 45 giorni dalla presentazione della richiesta, trasmettendo l’atto della Giunta regionale, la quale nei successivi 30 giorni dal ricevimento, provvede alla liquidazione. ARTICOLO 5 (Procedimento per la richiesta di contributi per interventi di prevenzione e di miglioramento in allevamento) 1. Al fine di attuare forme piu’ articolate ed efficienti di cura degli animali allevati, e di superare, all’interno delle aree maggiormente frequentate dal lupo, in attesa dell’adozione della “Carta del Lupo” di cui al successivo art. 6, la pratica del pascolo brado incustodito, le Provincie o, nel caso di territori montani o parzialmente montani, le Comunita’ montane, ai sensi del comma 1 dell’art. 2 della LR 18-8-1992, n.39, erogano annualmente contributi in conto capitale agli imprenditori agricoli di cui al precedente art. 1, per realizzare interventi di miglioramento dei sistemi di guardiania, difesa, governo e ricovero delle specie animali allevate, secondo quanto previsto dall’art. 3, comma 3. 2. I soggetti interessati presentano alla Provincia, o alla Comunita’ Montana competente, domanda in carta libera con allegato progetto per la realizzazione di sistemi di prevenzione dei danni. Il termine ultimo di presentazione e’ il 30 giugno di ogni anno. L’istruttoria delle domande ha inizio dal successivo 1 luglio. Le domande presentate in successiva al 30 giugno devono essere suffragate da particolari motivi di necessita’ e di urgenza. Qualora la Provincia o la Comunita’ montana non ravvisino i particolari motivi di necessita’ e urgenza ovvero nel caso di insufficienza dei fondi stanziati, le domande saranno esaminate nell’esercizio successivo. 3. Alla richiesta di contributi dovranno essere, altresi’, allegati: a) relazione contenente una esauriente descrizione degli obiettivi e delle finalita’ che si vogliono perseguire; b) adeguata descrizione del progetto, accludendo eventuali planimetrie, con specificazione dei tempi e delle modalita’ di realizzazione; c) indicazione del responsabile del progetto, del soggetto autorizzato alla riscossione del contributo; indicazione della partita IVA o del codice fiscale; d) preventivo dettagliato delle spese previste. 4. L’accoglimento o il diniego della domanda viene liberato dall’Ente erogante entro il termine di 90 giorni dall’inizio dell’istruttoria e comunicato al richiedente. 5. Il contributo e’ liquidato a seguito della revisione dell’esame della rendicontazione e del collaudo dell’opera, da realizzarsi entro 30 giorni dalla presentazione della rendicontazione stessa. ARTICOLO 6 (Carta del Lupo) 1. La Giunta regionale, entro un anno dall’entrata in vigore della presente legge, provvede alla pubblicazione della “Carta del Lupo”, con cui sono individuate e delimitate le aree con la presenza accertata di nuclei stabili della specie. 2. I danni denunciati, causati da animali predatori nei territori ricadenti nelle aree ricomprese nella Carta del Lupo, trascorsi due anni dalla pubblicazione della carta stessa, saranno ammessi al contributo di cui all’art. 4 della presente legge solo se l’imprenditore richiedente avra’ messo in atto, o richiesto di mettere in atto, adeguati sistemi di difesa degli animali allevati. ARTICOLO 7 (Criteri di ripartizione dei finanziamenti) 1. Per gli interventi di prevenzione, di cui al precedente art. 5, i fondi disponibili nel Bilancio regionale vengono ripartiti dalla Giunta regionale fra le Provincie e le Comunita’ Montane sulla base del numero di capi allevati sul territorio di competenza.

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“La legislazione medicea sull’ambiente” è una poderosa opera di quattro volumi dovuta ad un meritorio impegno di una dozzina di ricercatori coordinati da Cascio Pratilli e Luigi Zangheri, che hanno raccolto oltre settecento testi di leggi, bandi, statuti e motupropri emanati nell’epoca medicea, dal 1485 al 1737, cioè dal duca Alessandro fino al granduca Giangastone, realizzando così una esaustiva documentazione di quella saggia politica di tutela del patrimonio artistico e soprattutto delle risorse ambientali attuata dai Medici in Toscana. La lettura di questa raccolta è sorprendentemente interessante e avvincente ed alcune volte presenta aspetti curiosi e divertenti. Da essa si apprende, ad esempio, che i Medici costituirono oltre cento grandi bandite per lo più situate nella valle dell’Arno e tra queste una estesa aria protetta denominata Barco di Montalbano, racchiusa da un muro perimetrale che si sviluppava per molte decine di chilometri che, con centro in Artimino, comprendeva i territori di Comeana e San Martino fino a inglobare la vasta ansa dell’Arno di Poggio alla Malva: questa area protetta, per le sue finalità istitutive e per le strategie gestionali, può essere considerata il primo parco naturale del mondo.

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Altri bandi indicano lo scrupolo con cui venivano tutelate queste bandite dove non era neppure consentita la presenza dei cani “senza un randello al collo” . Un’altra curiosità è rappresentata dal bando del 1579 fatto emanare dal Granduca Francesco I, che decretava la “prohibitione del non cacciare infra le 10 miglia intorno alla città di Fiorenza”. Questa prohibitione veniva confermata successivamente, anche se limitata nel tempo, come risulta dalla pubblicazione edita dallo stampatore Marescotti nel 1587 dal titolo “Rinovatione della prohibitione del andare a cacciare e uccellare fino alle venti di luglio intorno à Firenze à venti miglia”. Disposizione che forse costituisce il primo calendario venatorio provinciale. Si dovrà attendere oltre quattro secoli per avere, in un calendario venatorio, una analoga probizione della attività venatoria intorno a Firenze e attualmente su una porzione di molto minore del territorio fiorentino, ormai completamente urbanizzato e interessato da infrastrutture e aree industriali. Ma forse il documento che ci può maggiormente interessare è il bando del 1599 emanato dal granduca Ferdinando I (1549 – 1609), che ha per oggetto “Bando contro a chi darà impedimento a quelli che hanno cura di ammazzare i lupi”. In questo documento si legge che “il Serenissimo Gran Duca di Toscana vuole con ogni opportuno rimedio ovviare per quanto si può al danno universale che fanno i lupi nel suo felicissimo Stato ‘a be-


stiami e estirpare una così nociva specie di animali”. Così si apprende come i lupi, anche a quei tempi, non godessero presso le felici popolazioni toscane di una grande simpatia, anche perché allora questi predatori erano numerosi e la notte si avventuravano fino sotto le mura di Firenze, compiendo razzie e massacri di bestiame. Ma il bando granducale ci permette di prendere conoscenza anche di un diffuso movimento di opinione fra la gente toscana a favore del lupo, tale da costringere l’ottimo Ferdinando I a prevedere pene severe contro gli autori di azioni di boicottaggio alle drastiche disposizioni impartite al fine di “estirpare una così nociva specie di animali”. Il bando ci informa quindi su chi erano quei personaggi deputati all’uccisione dei lupi, “havendo S.A.S. comandato a Lattantio Cingoli, Giulio da Velletri, e Curtio Montesechi, suoi staffieri, che vadino insegnando il modo di tendere lacci per prenderli et ammazzarli” e il bando prosegue precisando che le Loro Altezze Serenissime “acciocchè tale ordine si habbia ad eseguire, comandano ad ogni e qualunque persona di qual si voglia stato, grado o conditione, etiam privilegiato, che non ardisca in modo alcuno, né sotto qual si voglia pretesto o quesito colore, dare impedimento di sorte alcuna a detti staffieri o a chi essi insegneranno, o haranno insegnato nelle tagliole, lacci, o altri simili ordigni, sotto quelle pene a’ trasgressori che parrà al retto arbitrio di chi li haverà

a giudicare di denari, fune, confino, o altre pene fino alla galera inclusive, secondo le qualità e circustanze delli impedimenti che saranno stati dati, da applicarsi le pene pecuniarie per un quarto al notificatore segreto o palese e per il resto al fisco et Camera di S.A.S. “ La severità delle pene, che vanno da quelle corporali a quelle pecuniarie previste per chi ostacola il proposito di sterminio dei lupi e il premio ai delatori segreti o palesi, fa pensare che allora, come oggi, i nostri indomabili predatori godessero anche di una diffusa simpatia e la solidarietà di non pochi sudditi del Granduca. Nella stessa epoca anche in altri paesi d’Europa si cercava di risolvere in maniera drastica il grave problema della massiccia presenza del predatore ed il pericolo che esso costituiva per le popolazioni ed il bestiame. Matthieu Pietro a pagina 175 del quinto libro della sua “Historia di Francia e delle cose memorabili occorse nella Provincie straniere ne gli anni di pace del regno Christianissimo di Re Enrico III il Grande”, stampato nel 1624, riporta un editto emesso nel 1602 da Giacomo VI Re di Scozia e di Gran Bretagna con cui “per la molestia de’ Lupi fu fatto ordine e posto taglia alli stessi Lupi & ogni Gentlhuomo era obligato portare e presentar 300 teste di Lupi ogni anno”. I nobili sudditi della corona furono talmente ossequienti all’ordine del Re, che in poco più di un secolo la specie si estinse dalle isole britanniche.

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Questo potremmo dire a proposito del nostro lupo, dopo aver minuziosamente ricostruito ed analizzato le cause del suo declino e della quasi miracolosa ricomparsa. Infatti sembra incredibile, eppure da alcuni anni la sua presenza elusiva e misteriosa è tornata a vagare in molte aree della Toscana e a fare la sua apparizione in alcune aree montane e collinari della nostra provincia: si tratta di un essere invisibile che non è mai lontano da noi durante le nostre escursioni lungo i crinali delle Foreste Casentinesi, per le forre selvagge della Val di Rovigo o sulle verdi giogaie del Mugello. Una presenza un pò inquietante, ma

disegno di Marcus Parisini

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discreta, che a volte ci osserva di nascosto dalle ombre dei massi o dal limitar del bosco, oppure curiosa segue a distanza il nostro cammino. Un’ombra che passa rapida e silenziosa senza far crepitare gli sterpi secchi delle radure, ma della quale se ne avverte la presenza con un inevitabile senso di emozione quando se ne scorgono le tracce o se ne ode il richiamo, ma che non è probabile vedere, nè incontrare e neppure evitare. E’ ormai il compagno discreto ed invisibile delle nostre passeggiate nell’ambiente naturale, una presenza amica che ci chiede rispetto per se e per l’ecosistema che permette la sua sopravvivenza.


E’ tornato, ma non sappiamo ancora se questa è una storia a lieto fine. Infatti seppure per il lupo è finito il tempo in cui trovava nell’uomo il nemico-competitore una specie che viveva negli stessi ambienti e dello stesso cibo, allevato o cacciato, condividendo con lui il senso di precarietà dell’esistenza, attualmente si trova a confrontarsi con il nemico-consumista, l’attuale evoluzione della specie dotato di molto più tempo libero e fornito di considerevoli mezzi tecnologici, ma ancora culturalmente immaturo. E’ l’uomo del rozzo approccio alla natura, nella quale non si riconosce, che inquina, che altera con opere spesso inutili e che consuma in modo sconsiderato le risorse non rinnovabili. Un nemico che pratica l’attività venatoria

in modo spesso incompatibile con l’ambiente naturale, non per procurarsi le proteine nobili per l’alimentazione ma divertimento e per il mero gusto dell’abbattimento, senza considerare il peso ecologico della sua azione all’interno dell’ecosistema. La sopravvivenza del lupo, così come di molte altri predatori naturali, si dovrebbe finalmente fondare oggi sul più rigoroso rispetto di due principi fondamentali: il Diritto all’Ambiente che è la facoltà di ciascuno di noi di godere della Natura, e del Diritto dell’Ambiente che è il riconoscimento, che ancora deve essere recepito nell’ordinamento positivo, di ciascun essere vivente di poter sopravvivere come specie naturale, per il semplice fatto di esistere, prescindendo da valutazioni dell’uomo sulla sua utilità.

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LIBRI E TESTI DIVULGATIVI CONSIGLIATI: • Boitani L., 1986. Dalla parte del lupo. G. Mondadori, Milano*. • Boscagli G., 1985. Il lupo. Carlo Lorenzini ed. Udine*. • Ciucci P. Boitani L., 1998. Il lupo, elementi di biologia, gestione, ricerca. Documenti tecnici I.N.F.S. (Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica), n°23. • Cecere F. (ed.), 1996, Atti del Convegno “Dalla parte del lupo”, serie Atti e Studi del WWF Italia. • Parco Nazionale Foreste Casentinesi, 2003. Atti del Convegno “Il lupo ed i Parchi”. • Piano di azione nazionale per la conservazione del lupo (Canis lupus). A cura di Piero Genovesi, 2002. Quaderni di conservazione della natura I.N.F.S. • Mech L.D., 1970. The wolf the ecology and behaviour of an endangered species. Natural history press, Garden City, N.Y. • Ortalli G., 1997. Lupi, genti, culture. Uomo e ambiente nel medioevo. Biblioteca Einaudi. • Wolves in Europe, status and prospectives. in C.Promberg and W.Schroeder (ed.) Munchen Wildbiologische Gesellshaft, Munchen e V., 1993. • Sulle Tracce del Lupo. Quaderno didattico realizzato dal Parco Naturale delle Alpi Marittime, appositamente per le scuole elementari*. *di facile comprensione

MATERIALE VIDEO ED AUDIO Video • Il lupo in Galizia. Di Jeremy Bradshaw, 1990. Atlante video, 1 ora. • Il lupo artico. Di Robin Hellier e Jim Brandenburg, 1991. National geographic video. 1 ora. • Il lupo, ultimo predatore d’Europa. Di Jeremy Bradshaw, 1990. De Agostini., 55 min. • La leggenda di Lobo, Walt Disney home video. Techicolor, 65 min. Audio • “Wailing wolves” Loups en libertè. Editions Sittelle. Registrazioni di lupi in libertà effettuate in Canada nel Parco di Algonquin. Per reperire materiale bibliografico vario (anche audio e videocassette), è consigliabile visitare il sito: www.nhbs.com

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AREE FAUNISTICHE DOVE È POSSIBILE OSSERVARE LA SPECIE Italia: • Parco Nazionale d’Abruzzo. Area faunistica di Civitella Alfedena. Per informazioni: 0864/890141. • Popoli (Pescara), Aree faunistiche del Cervo, Capriolo e “Banca genetica del lupo”. Il recinto è nato con la finalità di garantire un pool genico alla popolazione italiana di lupo. Attualmente il recinto dei lupi si può visitare solo per motivi di studio. Per informazioni, 085/98226. • Arcidosso (Grosseto), Parco faunistico del Monte Amiata. Si tratta di un’area faunistica piuttosto vasta dove vivono in uno stato di semilibertà cervi, daini, caprioli, mufloni, camosci ed altri animali selvatici. Inoltre ci sono anche razze domestiche a rischio di estinzione come il Miccio Amiatino, (la razza locale di asino). I lupi (attualmente un gruppo familiare) vivono in una situazione di semilibertà all’interno di un recinto molto grande. Per informazioni: 0564/966867. www.parcofaunistico.it Francia: • Parco del Gevaudan, presso S.Lucie (regione del Midi). In questa area faunistica vivono circa centotrenta lupi di diversa provenienza. Grazie ad un sistema di telecamere a circuito chiuso è possibile osservare i lupi nelle tane e nei punti più reconditi del parco. www.loupsdugevaudan.com Portogallo: • Centro “LOBO” del “Gruppo per la protezione del lupo iberico” (a circa 40 chilometri da Lisbona). Qui vivono numerosi lupi della sottospecie Signatus. Nel centro è possibile trascorrere un periodo di tempo come volontari e partecipare all’attività di ricerca sull’etologia della specie. www.signatus.org Germania: • Bayerischer Wald National Park, tra Baviera e Boemia. www.nationalpark-bayerischer-wald.de Stati Uniti: Tra le tante aree faunistiche segnaliamo il celebre IWC in Minnesota.

• International Wolf Center presso Ely. All’interno del centro (fondato da David Mech), è possibile partecipare ad una infinità di iniziative che riguardano il lupo: ad esempio è possibile fare voli aerei per seguire le tracce dei lupi, o partecipare alle sessioni di wolf-howling. Per informazioni: c/o Vermillion Community College 1900, E. Camp Street, Ely, Minnesota 55731, Usa. www.wolf.org

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GRUPPI CHE OFFRONO LA POSSIBILITÀ DI COLLABORARE ALLE RICERCHE • Italia: in provincia di Firenze si organizzano stages, dove è possibile partecipare direttamente al monitoraggio portato avanti dal Centro per lo studio e la documentazione sul lupo (vedi scheda nella pagina in calce). Gli stages hanno durata variabile tra il fine settimana ed i 4 giorni. Le attività sono direttamente dipendenti dal periodo dell’anno in cui si partecipa. D’inverno si partecipa all’attività di snow-tracking, nelle altre stagioni si partecipa tra l’altro, al censimento tramite wolf-howling. Per informazioni info@wolfitaly.com In collaborazione con il WWF si organizzano anche soggiorni per scolaresche ed adulti. Per informazioni www.bambusbartour.it Sempre in Toscana è possibile partecipare tramite il CTS (Centro Turistico Studentesco) alla ricerca in Casentino all’interno del Parco Nazionale Foreste Casentinesi. I campisti vengono coinvolti nella ricerca di segni di presenza ed escrementi di lupo, nello studio della dieta, lungo percorsi prestabiliti. Sempre tramite il CTS è possibile partecipare a progetti di ecovolontariato in Romania, Bulgaria, Polonia, Russia. Per maggiori informazioni: www.cts.it/ambiente/vacanze_natura/ index.html Il Parco Nazionale d’Abruzzo organizza soggiorni di una o due settimane per volontari che desiderano partecipare all’attività di vigilanza e di ricerca all’interno del Parco. Il soggiorno è praticamente gratuito. L’attività generalmente svolta comprende sia la sorveglianza all’interno del Parco, ma anche la raccolta di segni di presenza su lupo, orso e altri animali studiati all’interno del Parco. Per informazioni visitate il sito internet del Parco (www.pna.it) o telefonare al 0863/910715. Nelle Marche, presso le Gole del Furlo, è possibile partecipare agli stages della ”Università del Bosco”, organizzati dall’Università di Urbino. Gli argomenti trattati non riguardano varie tematiche naturalistiche. Per informazioni, Università nel Bosco, tel. 0721/453773, www.provincia.ps.it

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Il CSDL Il Centro per lo studio e la documentazione sul lupo, è una associazione senza fini di lucro, affiliata alla Federazione Italiana Pro Natura, nata a Firenze dall’idea di giovani ricercatori ed appassionati del lupo. La finalità del Centro è di approfondire e diffondere le conoscenze legate al lupo ed al suo ambiente naturale. Il Centro organizza ricerche sull’ecologia e sulla biologia del lupo in collaborazione con vari Istituti di ricerca e promuove ricerche specifiche in collaborazione con altri gruppi di ricerca e aiuta laureandi nello svolgimento di tesi di laurea. Il CSDL è aperto a tutti: possono essere soci del Centro privati, scolaresche altre associazioni o enti. Tutti i soci sono costantemente informati delle attività di ricerca che vengono svolte dal Centro, tramite un bollettino trimestrale ed una relazione finale alla conclusione di ogni singolo progetto di ricerca. Inoltre tutti i soci, indifferentemente dalle loro conoscenze ed esperienze, possono partecipare attivamente alle ricerche svolte dal Centro, affiancando i ricercatori nell’attività di campo e partecipando ai viaggi, che il CSDL organizza per conoscere gli ambienti del predatore e le esperienze degli altri gruppi di ricerca. Il Centro è a disposizione di istituti e scuole di tutti gli ordini, per l’organizzazione di mostre, incontri, lezioni od escursioni mirate per far conoscere la biologia, l’ecologia e le problematiche relative alla conservazione del lupo in un inquadramento multidisciplinare

Per maggiori informazioni: www.wolfitaly.com info@ wolfitaly.com info@canislupus.it

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Il perché di un’area faunistica del lupo Le ragioni fondamentali della costituzione della prima area faunistica del lupo realizzata negli anni settanta a Civitella Alfedena nel Parco nazionale d’Abruzzo furono certamente diverse da quelle che possono motivare oggi un’analoga realizzazione. Allora la finalità prima era la conservazione di un certo numero di lupi appenninici (Canis lupus) nella previsione che tale sottospecie di canidi fosse ormai condannata ad una inevitabile estinzione (Zimen 1973, Boitani 1975). Infatti i più attendibili censimenti indicavano che in Italia la presenza del lupo si fosse ridotta a meno di cento individui in rapida diminuzione ed in Toscana la specie fosse ormai già scomparsa. Anche se queste previsioni catastrofiche saranno poi smentite nei decenni successivi, l’area faunistica di Civitella Alfedena conseguì tuttavia altri straordinari risultati: un grande successo educativo e, con il forte richiamo di visitatori, un impensabile sviluppo economico ed occupazionale di quel piccolo comune montano di trecento anime negletto perfino dalla speculazione edilizia che imperversava nel

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parco alterandone le emergenze naturalistiche, distruggendo irripetibili paesaggi e compromettendo il primitivo assetto urbanistico dei principali centri storici di Pescasseroli, di Opi e di Barrea. Oggi i motivi che invitano all’istituzione di un’area faunistica del lupo sono altri. Infatti questo nobile predatore non corre più un immediato pericolo di estinzione, la sua presenza nel territorio nazionale è in continua espansione e i suoi individui superano certamente quota cinquecento, anche se, pur in presenza di normative di tutela, i lupi morti per bracconaggio, avvelenamenti, incidenti stradali, barriere ecologiche non possono far ritenere del tutto scongiurato il rischio di scomparsa. Oggi l’istituzione di un’area faunistica del predatore, che rappresenta una delle componenti decisive dell’equilibrio naturale e della biodiversità ed è certamente la specie animale più importante che abbia colonizzato l’Appennino, si fonda su progetti di educazione ambientale, programmi di studio e di ricerca, iniziative culturali, ed afferma una memoria storica di presenza e di rapporto con gli insediamenti umani.


Per contro un’area faunistica non è uno zoo dove gli animali selvatici chiusi in anguste gabbie vengono esposti alla curiosità dei visitatori: si tratta invece di aree di due-cinque ettari di radure e di bosco dove il branco dei lupi ricostituisce la sua organizzazione sociale e la gerarchia degli individui, e, vivendo in uno stato di semilibertà accettabile, arriva anche a riprodursi. Le recinzioni dell’area non sono visibili ed i visitatori, che certamente molto numerosi perché forte è il richiamo, non hanno neppure la certezza di avvistamento, anche se questo è favorito dal posizionamento dei carnai che rende probabile l’emozionante vista del lupo nel suo ambiente naturale e nella suggestiva illusione di assenza di barriere. Perché proprio a Pratolino Proporre un’area faunistica nel parco di una delle più prestigiose ville pubbliche di Firenze, potrebbe sembrare un’iniziativa azzardata ed avulsa dal territorio. Ma va innanzi tutto ricordato che storicamente il lupo non è estraneo a Pratolino, anzi Monte Morello ha costituito fino ad un paio di secoli fa un importante areale di presenza di questo carnivoro come lo testimonia la toponomastica locale. Inoltre il lupo è ormai vicino: due sue carcasse sono state recentemente trovate nelle vicinanze di Pratolino

ed i segni della suo presenza, seppur rari e sporadici, sono stati rilevati non molto lontano. Ad ogni modo l’iniziativa proposta è stata meditata a lungo e viene avanzata dopo che tutti gli aspetti progettuali sono stati verificati. • La compatibilità con le caratteristiche della fruizione pubblica e con le attività in corso nel parco, soprattutto con quelle del Laboratorio di Educazione Ambientale e del CEDIP che potranno trovare ampio utilizzo di questa struttura e con le attività di ricerca e di studio e sperimentazione di alcune facoltà dell’Università toscane che già hanno operato nel Parco. • L’inserimento di questi programmi nei progetti a medio e lungo termine della nuova istituzione del Parco Mediceo. • L’interesse che può certamente suscitare nell’Amministrazione del Comune di Vaglia , sul cui territorio insiste Villa Demidoff. • L’accettazione da parte dell’opinione pubblica di un progetto che si incentra nella presenza del lupo. Si ricorda che l’area faunistica del Parco d’Abruzzo fu realizzata in una regione con forte presenza di pascoli e quindi molto ostile al lupo, ma che dopo un accurato processo informativo fu recuperata una discreta accettazione in conseguenza anche allo sviluppo economico dovuto soprattutto alla forte affluenza turistica che proprio

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la realizzazione dell’area faunistica aveva determinato. Gli stessi risultati si sono avuti con l’analoga realizzazione della Comunità Montana del Monte Amiata. In ogni caso sarà opportuno promuovere un preventivamente accurato processo di informazione al fine di rimuovere tanti errati preconcetti sul lupo e per pubblicizzare correttamente l’iniziativa. • L’impatto ambientale della struttura è quasi nullo in quanto le recinzioni sono invisibili e le struttura del posto di osservazione del tutto insignificante. • Gli aspetti della fattibilità ampiamente verificati, come gli adempimenti di gestione. • Le spese della realizzazione dell’impianto, anche se non trascurabili, sono giustificate dall’incremento del

numero dei visitatori del parco. Mentre le spese di gestione, come già sperimentato nelle aree già esistenti, sono veramente modeste. • Inoltre è stata progettualmente posta la massima attenzione non solo per escludere fughe di lupi (rischio in realtà inesistente in quanto questi animali sono fortemente territoriali e legati al branco), ma anche per evitare rischi ai lupi stessi. L’area faunistica del lupo in Villa Demidoff, oltre a costituire una realizzazione di alto profilo culturale, sarà un ulteriore motivo di stupore del Giardino delle Meraviglie ed il buon Gigante dell’Appennino non potrà certo dolersi di veder tornare in Pratolino, misterioso ed elusivo, il più nobile e generoso predatore.

centro visita pubblico

carnato AREA DEL LUPO

punto osservazioni

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copertura in lastre di PVC

rete metallica

tavolato

OSSERVATORIO

PERCORSO PROTETTO

PIAZZALE DELLA QUERCIA

AREA DEL LUPO

muro

fossato

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Duccio Berzi Ha iniziato a seguire i lupi nel 1993 per una tesi di laurea in Scienze Forestali, svolta nell’Appennino della provincia di Firenze; da quel momento lo studio per il predatore è diventato la passione dominante, che gli ha permesso con tanta fatica di avvicinarsi al predatore e conseguentemente di conoscere ogni angolo del nostro Appennino, coordinando le ricerche, sperimentando le diverse tecniche di studio, e vivendo, grazie al lupo, impagabili emozioni che spera di trasmettere alla piccola Viola. Negli anni ha collaborato con vari gruppi di ricerca faunistica e con alcune riviste di natura. Attualmente lavora nell’ambito della valorizzazione culturale e ambientale del territorio e continua sempre ad occuparsi di lupi, come responsabile del C.S.D.L.

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Giovanni Valdrè Docente universitario di psicologia sociale, membro della World Commission on Protected Areas dell’IUCN e di numerosi comitati scientifici e autore di molte pubblicazioni e ricerche sull’ambiente naturale protetto. Ha svolto la sua attività di etologo dagli anni settanta quando le prospettive di sopravvivenza del lupo nel nostro paese avevano raggiunto il momento più critico, ma nel momento in cui è cominciata una difficile e coraggiosa opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica a favore del nostro più importante predatore. Di questa lunga esperienza professionale, esercitata in ambienti ostili al lupo e a chi difendeva la sua sopravvivenza, in questa pubblicazione vengono riportati alcuni gustosi episodi e ricordi toccanti.

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Grafica ed impaginazione Michela Sarzotti e Francesco Scanu.


Finito di stampare nel mese di dicembre 2002 dalla Tipografia EmmeA di Scandicci.



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