UndergroundZine aprile 15

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ZILTY

“Il basso addormentato nel bosco” GENERE: Musica elettronica/drum and bass ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Zilty è un progetto molto particolare, ambizioso e simpatico allo stesso tempo. Una combinazione esplosiva fatta da Zilty, appunto, e B3st che sono rispettivamente basso e VST e Batteria e VST di questo progetto. Quindi si parla di musica elettronica e nello specifico delle sonorità molto, drum and bass e non solo. Questo EP è un continuo movimento e una continua variabile che sfugge al controllo dell’ascoltatore. Purtroppo di loro si sa nulla, il che non è sempre un bene, (lo scrivo da molto, dare informazioni sul proprio progetto serve a voi in primis) possiamo solo dire che in questo EP non è stato minimamente maltrattata nessuna chitarra. Ovvero in questo EP ci sono bassi, batterie e tanti VST (che per chi non è avvezzo sono strumenti sintetici dato che VST vuo dire: Virtual Studio Technology) la proposta della band se pur con premesse modeste dimostra tranquillamente che se si hanno le idee in testa ottime si ottengono ottimi risultati. Non dico molto della parte tecnica, dato che le composizioni sono ottime, le registrazioni sono più che dignitose e l’uso dei VST è fatto in modo splendido ed in alcuni casi direi che chi non è del “giro” faticherebbe a credere che sono sintetizzatori quelli che suonano (oltre al basso ed alla batteria). Questo è un EP che sia per chi è appassionato di musica elettronica a 360° che per chi ha la passione per la musica buona , troverà tranquillamente ottimi spunti, ottime riflessioni e ottime tracce. Per me le migliori sono “Neutral”, “Haste!”, “Sun-De-Rika” e “Lemon cake”. Concludo con un plauso a Zilty ed al suo “Il basso addormentato nel bosco” perché mi ha garbato oltremodo e mi ha permesso di spaziare un pochino “più in là” di quanto non fossi già diametralmente scollegato dai meccanismi di genere. Complimenti vivissimi e ve li consiglio vivamente. Ovviamente il voto è leggermente basso per il solo quantitativo di brani proposti (come da mia “politica” sulle recensioni) rispetto a band similari che hanno proposto un album intero.

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36 Crazyfists

“Time and Trauma” GENERE: Metalcore ETICHETTA: Spinefarm VOTO: 75/100

records

RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Nati nei primi anni 90, per la precisione nel 1994, ma “esplosi” alcuni anni dopo i 36 Crazifists arrivano dalle lande ghiacciate dell’Alaska, anche se ora da parecchio tempo si sono trasferiti prima a Seattle e poi in Oregon, con un mix di nu-metal e metalcore. I 36 Crazyfists hanno saputo conquistarsi il loro spazio passando da un “nu metal” di un certo tipo al metalcore anticipando molte altre band, tanto che possiamo dire che la loro “svolta” metalcore c’è stata già con il secondo album “Bitterness the star” del 2002. Di fatto con cadenza biennale la band ha proposto album, “A snow capped romance” del 2004, “Rest inside the flames” del 2008 fino a “Collisions And Castaway”. Ovviamente senza contare i 3 EP fatti ed il demo. In ogni caso dall’album del 2010 si presero una lunga pausa fino a pochi giorni fa con l’uscita di questo “Time and Trauma” che li fa ritornare visibili a tutti. La band, forte sia del nuovo contratto con Spinefarm e del rientro di Whitney alò basso, riprendono da dove ci avevano lasciato, e devo dire che le tracce che propongono ripagano in modo totale tutto il tempo che li abbiamo attesi. Strutturalmente e compositivamente parlando un lavoro egregio, di qualità e ovviamente dimostrano in più occasioni di essere capaci ed abili di un certo tipo di suono. Ovviamente al post produzione ed il mastering sono ottimi e con suoni abbastanza in linea con il genere ma la band si permette anche alcune “svasature” più vicine ad un certo tipo di Nu metal (o per chi mi conosce crossover). Forse il fatto di non essere al 100% “coerenti” con un certo stile preteso nel metalcore permette loro di essere più liberi, ma di fatto di non ricevere sempre i risultati di seguito aspettati. Credo che questo sia un problema comune a molte band che vogliano andare oltre i soliti schemi. Brani come “11.24.11”, la tilte track “Time And Trauma”, “Lightless” , “Also Am I” e “Silencer”danno le dimensioni del cd. Menzione va alla traccia “Marrow” che ospita la voce femminile di Stephanie Plate, aumenta la caratura del cd. Concludendo questa mia recensione direi che il lasso di tempo è servito alla band per riorganizzarsi e riorganizzare le idee, sembra quasi che un lustro per loro non sia passato, certo è che debbono a mio avviso recuperare il “tempo perso” in visibilità e far più live possibili per rinfrescare la mente di chi se li stava scordando e far presente che esistono a chi non li ha conosciuti prima. Complimenti.

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DOOMRAISER

“Reverse (passaggio inverso)” GENERE: Doom ETICHETTA: Bloodrock records VOTO: 88/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Band nata nel 2004 con l’intenzione di dire la loro in ambito Doom, la cosa interessante è che nella bio dichiarano apertamente che il loro interesse è di fare Doom senza interesse di innovazione o di stravolgere il genere, ma “solo” (e dire solo è piuttosto riduttivo a mio avviso visto quello che fanno) di trasmettere al meglio delle loro abuilità il feeling e l’attitudine del genere e con quattro album un demo, due 7 pollici un 12” all’attivo, di qualità, direi che la loro personale mission è raggiunta. Come se non bastasse in questi anni hanno calcato diversi palchi e condiviso stage con nome quali: Orange goblin, Electric wizard, Crowbar, Sleep, Red fang e molti altri. Compositivamente parlando, buone le scelte fatte dalla band melodie che abbracciano in modo oscuro rimandi ai St. Vitus, a “certi” Black Sabbath e ai Cathedral. Inoltre sono udibili alcuni arrangiamenti tipici dei My dying bride dell’ultimo periodo e nello specifico vocale molto vicino a Danzing. Cosa non da poco è la capacità della band di inserire anche rimandi stoner, con degli sprazzi quasi in stile Kyuss e come se non bastasse in una traccia la band riesce ad inserire un clavicembalo ed un organo (suonati da Labes C. Necrothytus degli Abysmal Grief)ed un violino(suonato da Valentina Rocchi). Sia chiaro che i rimandi ci sono, ma non sono copiature anzi, la band dimostra abilità compositiva di livello alto. La band forte di un passato non da sottovalutare lo dimostra anche in studio con dei takes ottimi; tutti gli strumenti si sentono in modo eccellente avendo dimensione e spazi ottimi e senza che le frequenze di uno strumento possano in qualche modo “intasare” quelle degli altri. Chitarre granitiche pesanti e monolitiche si affiancano ad un basso assolutamente distorto e corpulento, tutto contornato da una batteria semplice ma con immenso groove e con la voce che a questo “regalo oscuro” mette il fiocco. Ottimo anche il lavoro di mastering da parte di Billy Anderson, che ha già lavorato con band quali Eyehategod, Mr. Bungle e Sleep, che ha aumentato il pathos delle tracce. Le tracce che più danno le coordinate della band sono “In winter”, “Ascension: 6 to 7”, “Mirror of pain” , come sempre vi si esorta a prendere copia di questo album e poterlo ascoltare e che possiate in tranquillità scegliere le vostre personali composizioni. Concludendo ottimo ritorno della band capitolina e ottimo disco da ascoltare e riascoltare più e più volte. Consigliatissimo.

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ENTHEOGEN

“Moons Of Jupiter” GENERE: Stoner/sludge/post metal ETICHETTA: drustvo jupiter/

sikk fukk records VOTO: 85/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Gli Entheogen, band dedita ad una forma piuttosto particolare di metal strumentale, dato che troviamo delle forme tipiche dello stoner, dello sludge, di prog e di death metal tecnico; quindi non è così scontato poterli categorizzare. La band nasce nel 2008 in Slovenia ed ha partecipato con alcuni brani in alcune compilation prima di uscire con il loro album d’esordio nel 2013 “Moons of Jupiter” ed è l’album che andremo a recensire. Ma perché fare ora la recensione di un album del 2013? Chiederete voi, presto detto, la band ha fatto uscire il 29 dicembre dello scorso anno il DVD collegato a questo album recuperabile sul bandcamp della band stessa e con i video delle ultime 4 tracce, ovvero le 4 lune di Giove “Io”, “Europa”, “Ganymede” e “Callisto”. “Moons Of Jupiter” è un concept album, se non fosse chiaro nelle righe precedenti, sulla missione spaziale STS-334 “Galileo” lanciata appunto verso Giove e le sue lune e le sette tracce sono le fasi della missione spaziale, passando quindi da “Venus” fino a “Callisto”. Compositivamente parlando è un continuo cambio di emozioni e di sensazion e se pur è un album strumentale non è per nulla noioso o pesante, ma l’ascoltatore ha l’opportunità di destreggiarsi attraverso le composizioni in modo più che ottimale e senza problematiche. Come se non bastasse la band dimostra sia abilità nella composizione che nella post produzione dando dimensione e spessore ad ogni strumento in modo più che eccellente. Personalmente non riesco a trovare una o più tracce di interesse, dato che a mio avviso tutte sono di massimo interesse, perché sono tutte legate in modo impalpabile l’una all’altra e il tutto senza risultare minimamente una traccia sola o senza dare l’impressione di perdita di composizione. Ottimo lavoro, più di altre volte vi esorto a prendere copia di questo album e farlo vostro. Che dire… Nulla se non che la band ha a mio avviso bisogno di più visibilità rispetto a quella che ha avuto sino ad ora, composizioni ottime, post produzione eccellente e un’idea fuori dal comune. Consiglio vivamente questo lavoro a tutte le persone che sono attratte dalla musica, indipendentemente dal genere. Certo ora li si aspetta per il nuovo lavoro e speriamo che arrivi il prima possibile.

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INIOR

“Hypnerotomachia” GENERE: Prog ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 85/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Gli Inior si formano nel 2012, hanno comunque alle spalle anni di presenza musicale. I due compositori Marco Berlenghini e Flavio Stazi facevano parte degli “Apple Device” band progressive rock romana attiva nella scena live locale dal 2007 al 2010, danno vita a questo nuovo progetto che trova una sua dimensione fisica con l’album “Hypnerotomàchia” che vuol dire:“combattimento per amore in sogno” in greco. Tra il 2013 e il 2014 vengono fatte le registrazione e possiamo trovare al loro interno le mani di: Daniele Pomo alla batteria e Riccardo Romano al mixaggio. Hypnerotomachia esce in formato digitale il primo novembre 2014 ed è distribuito in versione CD dalla BTF etichetta italica piuttosto conosciuta. Diciamo che già dalle prime note possiamo tranquillamente immergerci in un suono tipicamente anni settanta, quello in cui band come PFM, Banco del Mutuo Soccorso, Area e Le Orme facevano scuola. Strumentalmente gli Inior sono più che preparati e il risultato compositivo e post produttivo è assolutamente sopra la media. Grandi abilità non solo a scriver musica ma anche a suonarla e a dare il giusto spazio ad ogni parte ed a ogni singolo strumento, che sia acustico, che sia elettrico e che sia distorto. Sia chiaro abbiamo tra le mani non solo dei brani strumentali, ma i due tendono a prediligere le parti strumentali a quelle “classiche” con la voce.Tracce quali “ Stain of steel”, “The paper ship”, “Ini.or”, “ From blue to red” e “Dust” sono le varie dimensioni su cui la band decide di muoversi e dare la propria vision del prog rock del nuovo millennio. Come sempre vi esortiamo a prendere copia dei cd che recensiamo per poter in primis farvi una vostra personale idea delle, e sulle, canzoni migliori del disco e in secondo luogo per supportare band valide. Concludendo, un album che di certo farà la felicità degli appassionati del prog, di chi ha in testa una visione particolare della composizione musicale e diciamocelo, per tutti coloro che hanno piacere nella buona musica. Complimenti vivissimiLe assurde disavventure di Fiorino non finiscono mai e le racconta in “Caratteri Dominanti” e “Borghesia Napoletana”, due ibridi di rock progressivo che riescono a creare una fusione particolare e distintiva affrontando tematiche che noi tutti ben conosciamo. L’album si conclude con “Stoner di Portorotondo”, traccia dai ritmi lenti e accordature basse con una voce melodica e una produzione di vecchio stampo che induce a rievocare atmosfere tipiche di località turistiche e dei loro avventori.

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KPANIC

“Panic station” GENERE: Crossover ETICHETTA: BBHells records VOTO: 75/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

I Kpanic nascono nel 2012 come band alternative rock a Perugia, e loro ci dicono che le origini dei primi brani era un mix tra numetal (crossover è il termine più appropriato, ma è un’altra storia) grunge, new wave dark e “post”punk (chi ci legge da parecchio sa che il termine “post” ad un genere che tutto sommato è vivo non riesco a capirlo fino in fondo). Nel 2013 esce il loro primo “vagito” muisicale dal titolo “Asylum” ed è un lavoro che consta la bellezza di undici tracce, a fine 2014 esce un EP per la BBHELLS Records e con l’ingresso del nuovo cantante. Questo EP e la firma del contratto permette alla band di calcare molti palchi interessanti con alcune band che si chiamano: Korn, Cure e Subsonica. Alla fine dello stesso anno esce anche il loro primo video e diciamochelo, l’EP di cui sopra ha un nome ed è “Panic station” e lo andiamo a recensire proprio ora. La composizione è oggettivamente influenzata dalla scena crossover di fine anni 90 che venne chiamata “Numetal”, si sente moltissimo un approccio vicino a band quali Korn, per l’appunto, Deftones ma c’è un quid particolare e personale che permette ai Kpanic di dire la loro in un genere di cui si è parlato tanto e che in tante situazioni venne vessato (specie agli esordi). Chitarre molto corpose e granitiche, un basso ben presente e molto “walking bass” sotto un certo aspetto, batterie che ricordano i Korn, come scelte ritmiche, di “Life is a peachy” e la voce particolare e molto avvolgendo pur avendo punte di caustica aggressività. Ottima anche la produzione, che dimostra una visione a lungo spettro della band, dato che non suona per nulla “italiano” ma ha un sound estremamente americano e ciò permetterà certamente alla band di andare oltre i confini del nostro Stivale. “U’n’me”, la opener “Play hard” e la canzone che da origine al nome di questo EP “Panic station” sono le dimensioni su cui i Kpanic stanno inserendo i loro componimenti, direi che se questo è il new deal della band è più che buono. Come sempre ascoltatelo e fatevi una vostra personale idea. Forse la scelta di fare un EP e non un secondo album “intero” è stata una buona prova per rodare gli apprezzamenti della band. Se resteranno su questi binari certamente potremmo sentir parlare ancora dei Kpanic e di certo in modo positivo. Complimenti alla band.

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MANACH SEHERATH “Manach Seherath”

GENERE: Heavy ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 65/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Provenienti dalla regione Campania i Manach Seherath si propongono a noi come band a cavallo tra power e symphonic metal, con questo EP di tre tracce. La band napoletana, nata nel 2012 da un’idea del cantante, come spesso accade trova una lineup stabile solo dopo un periodo di rodaggio e di “cambi fisiologici” che permette a loro di trovare idee e forme per poter incidere questo cd. Hanno, compositivamente parlando, delle idee interessanti, ma purtroppo si perdono in alcune scelte in fase di mixaggio e in fase di mastering. Scelte che possono essere in parte capite visto il primo loro approccio allo studio, ma che vanno corrette il prima possibile per evitare il ripetersi della cosa: la tastiera troppo presente e talvolta persino soffocante. Si stente troppa tastiera e troppa poca chitarra. La batteria con i volumi sballati dato che il rullante è invasivo in modo assurdo. Il basso non si sente, in parte perso nelle frequenze della batteria e in parte soffocato dalla tastiera. La voce troppo impostata ed effettata, tanto che in un punto di “All in All” il cantante non usa la voce impostata e par che sia un’altra persona a cantare. Inoltre, sempre paralndo di voce, capisco il voler ripercorrere certe scelte di band quali Grave digger, Dragonforce o addirittura Manowar, ma certi acuti non sempre aiutano e non sempre sono sinonimo di qualità o capacità. Sia chiaro la band nel complesso è godibile, e ripetiamo essendo al primo lavoro alcune cose sono giustificabili, ma un prossimo lavoro con errori così non sarebbero “cosa buona e giusta” e per la band e per chi li ascolta. Di certo saranno interessanti per chi vive in funzione del power epic, ma per poter andare più lontano ci sono parecchi accorgimenti da fare. Per ora promossi attendiamo che spostino leggermente il loro timone.

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MANHUNT “Fake”

GENERE: Thrash ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 55/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

I Manhunt, band thrash metal di Torino, dopo i consueti cambi di formazione, fecero uscire il loro primo Ep composto da cinque pezzi nel lontano 2008. La band ce lo propone ora e devo dire che ci sono una serie di dubbi che mi assalgono mentre lo ascolto. La musica di questa band si basa principalmente su quello che fu il thrash americano anni 80 e primissimi 90. Per capirci Testament e Metallica, con tanto di tentativo di riproporre lo stesso stile di voce e certi tipi di vocalizzi particolarmente riconducibili ai singer delle due band citate prima. Non ho compreso fino in fondo le scelte della band sia in ambito compositivo che in ambito esecutivo e di quanto accade in fase “di mixer” . I tentativi di “incattivire” il suono velocizzandolo o usando il vocalizzo in growl o in scream, non convince fino in fondo, perché chi canta in quelle specifiche forme di canto non era particolarmente convinto nel lontano 2008. Le chitarre sono troppo impastate, mentre una fa un riff, l’altra fa un mini solo che non viene percepito se non come “rumore di fondo”, il basso sovente prende troppo spazio a mio avviso. Inoltre capisco il voler fare thrash old school, ma nel thrash old school c’era e c’è un meccanismo di refrain che rimane in testa e qui in questi cinque pezzi purtroppo non ne ho trovato alcuno. Cioè pur essendo composizioni interessanti non rimangono in mente e ciò e male. Facendo un ragionamento a “posteriori” questo demo è servito per migliorare i propri standard, dato che a due anni da questo lavoro è stato fatto uscire un altro EP, credo però che questi EP (questo e il suo “successore”) sarebbero stati più utili se recensiti nel periodo di uscita, in modo da dare i punti su cui lavorare di più. Di poco sotto la sufficienza per questo primo loro lavoro, anche volendo usare le “attenuanti” del primo lavoro.

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MANHUNT

“Experimental human cruelty” GENERE: Thrash ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 60/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

“Experimental Human Cruelty” è un EP autoprodotto dai Manhunt, band Torinese, uscito nel 2010. Il gruppo suona thrash metal particolarmente old school, ad esclusione se vogliamo dell’uso della voce che “percorre” più vie passando dal pulito allo scream ed il growl. Abbiamo già parlato di loro più approfonditamente dato che i Manhunt ci hanno fatto avere praticamente tutta la loro produzione dagli esordi ad oggi. Tecnicamente quello che propongono è ben composto e ben registrato, manca un pochino di appeal e di confidenza con il mixer però. In più di un’occasione in queste tre tracce che compongono l’EP-demo d’esordio ho potuto percepire in modo invasivo il basso a discapito delle chitarre che risultavano in modo massiccio in secondo piano, assoli esclusi, inoltre anche la batteria troppo ovattata sui tamburi e i piatti lasciati allo “stato brado” con tutta la dinamica del piatto ad entrare nel microfono e quindi da li alle nostre orecchie. Altra cosa che in parte è mancata, ma oggettivamente stiamo parlando di un album che ha fatto il suo tempo, dato che è di fine maggio 2010, un ritornello o una melodia che si intricasse nella memoria dell’ascoltatore. Questa mi par sia mancata. Nel complesso essendo materiale di cinque anni fa non mi resta che dire che non fu male, che alcuni errori del precedente lavoro vennero corretti, ma non tutti purtroppo, ma che c’era e c’è da modificare una serie di scelte e proseguire con l’evoluzione. Inoltre prima di questo lavoro e dopo “Fake” la band fece uscire “Priestholocaust” come singolo nel 2009 e di fatto è una traccia in “versione 1.5” nel senso che migliore del primo lavoro ma ancora acerbo come questo secondo EP. Sufficiente, ma per poco.

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MANHUNT “Manhunt”

GENERE: Thrash ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 75/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

I Manhunt, band che nacque a Torino nel 2005, per mano dei due chitarristi Massimo e Matteo. Come sempre accade i cambi di line up sono all’ordine del giorno, in questo caso addirittura uno dei fondatori venne sostituito. Dopo diversi live e due EP di cui abbiamo fatto già in queste pagine recensione siamo approdati al full lenght. Interessante poter sentire l’evoluzione della band che ha fatto tesoro dell’esperienza passata ed ha dimostrato maturità di fronte ai microfoni e di fronte al mixer portando alle nostre orecchie un album lavorato in modo ottimo sia per le composizioni che per arrangiamenti, orchestrazioni e post produzione. Canzoni in pieno stile old school thrash, con un occhio puntato sempre verso i Testament, ma con un sapore attuale e soprattutto con una cura delle tracce interessante, perché abbiamo la possibilità di poter percepire ogni strumento, le dinamiche e le abilità di ogni strumentista e le abilità vocali del cantante che comincia a trovare una propria dimensione senza provare a scimmiottare nessuno . Unica cosa che stride un pochino è il gruppo di parti in pulito che non sembrano essere parti ottimali di nessunno dei due vocalist della band. Nel complesso canzoni come “Satana”, “Magdeburg”, la nuova versione di “Vendetta” (traccia già presente in Fake)e la versione “rivista e corretta” di “Priestholocaust” è piuttosto interessante. Direi che vale la pena entrare in possesso di questo cd e valutare di persona quali sono le canzoni che più attraggono la vostra mente. Concludendo quetsa recensione, devo ammettere che dal primo lavoro del 2008 ad oggi la band ha macinato non solo anni e chilometri, ma anche esperienze che sono serviti a sollevare lo standard delle loro uscite da studio. Complimenti alla band, consigliatissimi per gli amanti del metal vecchio stile.

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MUTONIA

“Blood red sunset” GENERE: Stoner ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

I Mutonia band proveniente dal Lazio e nello specifico da Ceprano, band che di fatto ha proposto una forma distonica rispetto alle normali formule di promozione delle band. Nel 2009 nascono e si presentano al pubblico con un live, si avete capito bene, come prima produzione che racchiude le serate della band dal 2010 al 2011 chiamando l’album “Mutonia live! 2010-2011”, quindi l’anno dopo, il 2012, propongono un Demo dal titolo “Gain from waste” ed a fine 2014 escono con l’album intero “Blood red sunset” che andremo a recensire. La particolarità di questa band sta anche nelle scelte musicali dato che i primi due lavori sentono molto l’influenza del punk rock, dell’alternative rock e sotto un certo aspetto anche del grunge. Le scelte sonore cambiano leggermente dopo il demo tanto che la band prende più una piega stoner e la possiamo sentire in questo nuovo album. Compositivamente parlando “Blood red sunset” si conforma ad uno stoner rock molto anni ’90, con forti rimandi a band quali Kyuss, Queen of the stone age e , strano a dirsi, Nirvana. La voce per l’appunto ha una fortissima componente roca ed un utilizzo della stessa molto simile a quella di Cobain. Sinceramente a livello produttivo mi sarei atteso un pochino più di cura della post produzione, perché se pur rimanendo sopra media, trovo alcune parti ancora da “sgrezzare” e rendere interessanti . Certo mi si potrebbe contestare il fatto che lo stoner e lo sludge sono tutt’altro che puliti e tutt’altro che limpidi, ma anche in quei frangenti ci sono “soglie minime”, purtroppo il basso si confonde sovente con le frequenze di alcuni tamburi e con i riff della chitarra, il che, essendo un trio, non da molto spazio di fatto al signore delle quattro corde. Il che a mio avviso è un punto scomodo, non è funzionale per la band che il basso sia percepibile chiaramente solo nei momenti in cui la chitarra fa i soli. “The soldier”, “Lucky Jordan”, “Over limit”, “Death master”, “Otium” e “Planet ass” sono canzoni ottime per dare la dimensione delle abilità della band. Come sempre dico e consiglio di dare un ascolto al cd in modo da farvi il vostro personale piacere e il vostro personale giudizio in merito. Concludendo la mia recensione, auspico che la band lasci da parte il cordone ombelicale che ancora li lega ai gruppi stoner e grunge anni 90 in modo da trovare un proprio modus operandi ed un proprio piacere personale a creare una via e non a percorrerne una già indicata da altri.

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MYRKGRAV “Vonde Auer”

GENERE: Folk ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Myrkgrav one-man band, dietro al quale nome sta la mente e le abilità di Lars Jensen, e dedita ad un folk metal scandinavo piuttosto interessante e leggermente fuori dai canoni dell’attuale folk metal. Dopo l’uscita di “Sjuguttmyra”, questa volta la band si presenta con un singolo dal titolo “Vonde Auer” in due versioni. Prima è la versione della band, quindi una versione tradizionale della stessa traccia. Come si è accennato poso sopra quello che si sente è un folk metal scandinavo, quindi con testo in lingua nativa e con cori estremamente epico, una “spruzzata” di strumenti folk e classici e quindi il risultato è se pur in pieno ambito folk ha delle scelte fuori dal comune che rendono questo singolo molto interessante. Anche i passaggi vocali da voci impostate e pulite a scream e di nuovo a voci pulite danno una marcia in più. La versione tradizionale è un bellissimo componimento fatto da archi e nulla più. Per essere precisi lo strumento è l’hardingfele, una specie di violino tradizionale norvegese, suonato per l’occasione da Olav Luksengård Mjelva ospite in questo singolo. Che dire… Singolo ottimo e abilità di Jensen oltre ogni più rosea aspettativa. Di solito in situazioni del genere non darei alcun voto per la presentazione di un solo brano e di così “breve” minutaggio, ma faccio uno strappo alla mia personale regola e darò voto, ovviamente basso per coerenza, ma fidatevi che Myrkgrav è un progetto veramente interessante e di livello superiore alla media. Speriamo solo che la band possa far uscire il prima possibile un seguito a questo singolo.

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NILEXISTENCE

“Existence in revelation” GENERE: Death ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 65/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Due trace violente sono quelle chef anno da “companatico” alla copertina piuttosto particolare, e molto in stile Seth Siro Anton aggiungerei, ma come sempre andiamo per gradi: la band si forma alla fine del 2014 dalle ceneri dei Disfigured dead, di fatto i due brani erano già composti, per le parti di chitarra e di batteria, nel 2013 ma basso, voce e le tracce addizionali vennero aggiunte l’anno successivo. Che dire… I due brani sono poco per poterci fare un’idea completa della band, ma di certo possiamo tranquillamente asserire che quello che fanno lo fanno bene e con grande abilità. Blastbeat ultra veloce, chitarre affilate e voce cavernosa e oscura, si dovrà sentire il prossimo lavoro con il nuovo cantante per poter valutare meglio la voce (in queste due tracce fatta alternativamente dal batterista e da uno dei chitarristi. Purtroppo a nostro avviso ci sono due cose che non tornano: La prima il basso si confonde in modo abbastanza pesante, ovvero non si percepisce proprio. La seconda un suono abbastanza poco funzionale per la doppia cassa, non mi è chiaro se triggerata male o se modificata in modo frettoloso in fase di mixing. Sia “The quietus” che “Scream from silence” sono brani che nel complesso acchiappano e che hanno un loro presonale appeal, ma ci par troppo poco per poter dare un voto alto. Attendiamo la band sulla media o meglio ancora sulla lunga distanza in modo da poter dare un voto più alto. Per ora sono promossi, ma il voto resta basso per le sole due tracce proposte.

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OBDUKTION

“Mors janua vitae” GENERE: Death metal ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Combo ellenico questi Obduktion che ci propongono un Promo-EP di due tracce di death metal duro e granitico. La band nasce nel lontano 1995 per mano di George “Obduktion” Bitzos e le influenze principali sono quelle delle band death di quel periodo, quindi Obituary, Deicide, Bolt thrower; ma come sempre accade la ricerca di un proprio sound porta la band a lasciare in parte le radici iniziali. Il debut album è del 2002 per la NMC music dal titolo “Encounter in a dream”, uscito dopo alcune demo e promo tra il 1996 e il 2001, ma ci sono cambi di line up, e nel 2004 trovano un nuovo cantante Takis “V.O.T.” Dakoulias già fondatorte dei “Darkness it shall be”. Nel 2008 esce il secondo album “II” e grazie a questo album la band si imbarca in una serie di live con nomi del panorama estremo di tutto rispetto: “Kaamon”, “Asphyx”, “Absu”, “Belphegor”, “Enthroned”, “Handful of hate” e molti altri. Dopo tre anni la band fa uscire il terzo lavoro dal titolo “Pain chronicles”. Quindi arriviamo a fine 2014 con la proposta di questo “Mors janua vitae” promo-EP di pura violenza. Strutturalmente e compositivamente parlando la proposta degli Obdukton è ottima e ben calibrata sui registri di un death metal vecchio stile, ma con l’attenzione alle sonorità odierne e con registri e lavorazioni odierne. Dimostrazione che si possono fare canzoni death metal con l’attitudine dei primi periodi senza perder di qualità e dando delle botte sonore indiscutibili. Si passa dalle cavalcate di blastbeat a parti rallentate in midtempo senza alcuna problematica. Le chitarre sono assolutamente taglienti la voce è cavernosa e profonda a dar ancora più violenza alle sonorità degli strumenti. La batteria è un treno in corsa. Il basso purtroppo si percepisce bene solo nelle parti rallentate, dato che in quelle veloci si confonde in parte con la batteria e in parte con le chitarre, peccato. Altra pecca è la tonalità con cui i due brani sono composti, troppo simili (oserei dire con un 80% di certezza che sia la stessa) è par così che sia una canzone sola mentre sono due. Personalmente, tolto il problema di tonalità, apprezzo sia “King of terrors” che “Lordship of superior” sia per attitudine sia per composizione e lavoro di post produzione. A chiusura di questa rece, complimenti alla band ellenica per le abilità presentate su questo EP, spero di poter sentire altro materiale, magari sulla lunga distanza, in modo da poter assaporare meglio le capacità degli Obduktion. UNDERGROUNDZINE


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PHANTASMAL

“The reapre’s forge” GENERE: Black/ thrash ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 65/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

I Phantasmal sono un duo americano, formatisi nel 2012 by Wraith (chitarre e drums) and Psychopomp (chitarra e voce). Quello che andremo a recensire è il loro esordio dal titolo“The Reaper’s Forge” ; strutturalmente siamo ad ascoltare un EP di tre tracce molto old style. Questo lavoro è uscito il 4 Novembre 2014 in musicassetta e formato digitale. Devo dire che sta ritornando in auge in ambito estremo la musicassetta, non so se per un piacere personale oppure per un meccanismo elitario, ma tutto sommato poco me ne cale, andiamo a ragionare delle canzoni. La combinata di thrash, death e black tipico della fine degli anni 80 e I primissimi degli anni 90 farà la felicità di parecchi fans vecchio stile. Strutturalmente la loro proposta musicale ricorda a tratti i Venom di “At war with satan” e altri lavori di band quali Pestilence e Coroner. Dal mio punto di vista, se pur interessanti le composizioni, trovo il risultato troppo legato al periodo sopra indicato, ovvero un suono “troppo vecchio” e delle scelte post produttive non sempre in linea con l’era in cui siamo. Capisco il voler fare metal old style, ma forse qualche scelta differente in ambito di mastering ed in ambito di mixing avrebbe sicuramente giovato di più ai brani proposti. Che dire in conclusion, di certo le trace di questo EP saranno la gioia degli appassionati del thrash, principalmente, e del black metal anni ‘80 (che ora non è più considerate black metal). La titletrack “The reaper’s forge”, “The ethernal campaign” e “Queen nightshade” sono tre tracce che possono essere apprezzate solo dagli amanti del metal di trenta anni fa. Ottimo solo per gli appassioanti

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RECENSIONI

THE PASSION OF OUR SOULS “Soulmates”

GENERE: Melodic Death ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 65/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Provienti dalla Finlandia i The passion of our souls sono un duo composto dalla singer Julia Mattila e da Samuli Tuomas Mäkelä, che si occupa di tutti gli strumenti e della composizione, e si propongono al mercato musicale con questo EP di death metal con forti connotazioni melodiche. La band è freschissima di nascita, dato che sono nati nel 2014 e nel previssimo tenpo hanno già reso disponibile il loro esordio su quattro tracce e reperibile sia in quasi tutti i digital store e con la possibilità di aver copia fisica contattando direttamente la band tramite il loro bandcamp. Le quattro tracce di “Soulmates” sono effettivamente, come presentazione della band inviataci, del death metal infarcito di melodie e facendo tesoro delle attività di altre band meoldic metal che girano in Finlandia e nel resto della Scandinavia si sentono e si apprezzano le combinate tra death e melodie cathcy e ruffiane. Delle composizioni, nulla da dire, molto interessanti e se pur aggressive di veloce impatto auditivo e che nel complesso non sono nemmeno discordanti, portentosa la prova vocale di Julia che si destreggia in modo egregio nelle melodie pulite e in modo dignitoso nel growl e nel semiscream. Alcune scelte sonore però, per quanto ci riguarda, sono poco convincenti. Il suono della batteria non è ottimale, il rullante e i tom troppo secchi e da un certo sapore di “artefatto” nel senso che suonano troppo di “plastica” rispetto ad esempio ai piatti o alla gran cassa. Per il resto nulla da dire, basso e chitarre si sentono in modo egregio e con buone scelte di post produzione. Tra le canzoni degne di nota diremmo tranquillamente “Give Me Your Soul” e “Till Death Do Us Part”, rispettivamente opener e ultima traccia di questo EP. Anche voi potrete, ascoltando i quattro brani dell’EP, trovare ottime melodie e grintose parti melodic death , volendoli ricondurre ad alcune band potremmo dire: Sentenced e Arch Enemy in primis ma non solo. Concludendo, attendiamo la band al prossimo lavoro, possibilmente un full length, per poter meglio assaporare la dolce cattiveria dei The passion of our souls. Comunque più che promossi.

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THE TRUE ENDLESS “Legacy of hate”

GENERE: Black ETICHETTA: Aphelion Productions VOTO: 80/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

I The True Endless sono attivi da parecchio, per la precisione dal lontano 1998, credo di essere uno dei pochi fortunati ad avere il loro primo demo in cassetta, tra demo, EP, split cd, Live e full length i The True Endless sono estremamente prolifici nella scena black metal italiana e potrei dire uno dei capisaldi dell’ underground BM italico. Se escludiamo EP, Demo, Live e Split cd comunque la band ha prodotto ben sette album. Se dovessi inserire tutti i loro lavori, avremmo la bellezza di quarantacinque titoli. Purtroppo o per fortuna in tutti questi anni hanno avuto diverse sorti le lineup, tanto che alcuni membri presenti in questo album non sono quelli che attualmente suonano all’interno dei The True Endless. I due membri fissi sono M. (Skoll, Emortualis, A Forest, Darkness, Torvara ed Ex Opera IX) e Soulfucker e c’è stato attualmente, un cambio alla batteria. Ora il ruolo di dramme è ricoperto da Algol (già membro dei Forgotten Tomb ma come bassista). Del lavoro di cui andremo a parlare oggi “Legacy of hate” è uscito per Aphelion production in digipack ed a tiratura limitata di mille copie, quindi fate in fretta perché potreste restare senza copia. La proposta dei TTE è chiara: black metal scandinavo vecchio stile. Quindi i “dibulus in musica” si sprecano, blasbeat incessanti e cavalcate frenetiche delle corde e violenza vocale vomitata a velocità incredibile. Il tutto comunque scandito e condito da frammenti di midtempo piuttosto epici e cori in pulito veramente epici. Interessante dimostrazione la loro per un fatto importantissimo: fanno black metal, lo fanno in modo violento e se vogliamo grezzo, ma assolutamente non si perde la qualità del suono. A dimostrazione che non basta buttarla in “caciara” per far black metal e che comunque ci va un certo stile e una certa cura sia nella composizione che nella post produzione e negli arrangiamenti. Questo album è la palese dimostrazione che la band non si nasconde dietro al fattore “underground” per dare agli ascoltatori lavori di bassa qualità; Il mixing è stato fatto da Stefano Ferrian (Ex Psychofagist) e il mastering presso gli Endarker studios (Studio del bassista dei Marduk). La qualità compositiva e post produttiva è palese e “tangibile” in queste sette tracce e di livello assolutamente superiore alla media dell’”underground”.

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Personalmente le tracce “Perverse vision”, la title track “LEgacy of hate” e “Listen” sono canzoni che danno la dimensione in cui i The True Endless si muovono, come sempre vi consiglio vivamente di prendere copia di questo album, più di altre volte anche vista la limitatezza delle copie, ascoltatelo e fatelo vostro in modo da poter decidere in autonomia quali possono essere i “capitoli” che vi hanno appassionato di più. “Legacy Of Hate”, concludendo questa mia recensione, è sicuramente uno di quei lavori di alto livello qualitativo che si trovano nel nostro territorio e sono dimostrazione che non è necessario andare al di fuori dell’Italia per trovare musica di qualità anche in ambito estremo.

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WORSELDER

“Where we come from” GENERE: Thrash/groove ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 78/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Woeselder vengono dalla Francia e quello che stiamo per recensire è il loro primo lavoro uscito nel 2011. La scelta musicale che la band propone è un mix interessante tra Thrash (o groove metal, a piacere) e alcuni accorgimenti N.W.O.B.H.M., del caro vecchio hardcore costa est e persino delle situazioni vicine al power (ma più per quanto riguarda la voce). Primo lavoro dal titolo “Where we come from” (e ne parleremo anche del loro ultimo lavoro nella prossima recensione) molto interessante ed uscito nel 2011. L’album in questione è completamente scaricabile sul bandcamp della band. Composizioni interessanti, post produzione ottima, ogni strumento è percepibile in modo ottimale, la scelta della doppia voce maschile con un clean voce molto corposo e di abilità canora oltre la media e un growl veramente cattivo ed arrabbiato. Buonissima anche la prova di basso, che sovente in ambito metal non si sente in fase di post produzione; in questo caso la cura è stata tale al punto di dare spazio, doveroso, allo strumento che con la batteria da il groove alle band. Ammetto che forse avrei preferito delle sonorità più “rotonde” per la batteria e un pochino meno di code delle dinamiche dei piatti. Il primo più per piacere personale che non errore vero e proprio, ma per i secondi sarebbe stato un bene per le tracce, dato che in alcuni punti i piatti risultano leggermente invasivi. Personalmente ho apprezzato molto “A trip into your soul”, “Low down”, “Homeland” e “6 days”, rigorosamente in ordine sparso e come spesso dico entrate in possesso di questo album e ascoltato fino a trovare le vostre tracce preferite. Ancor di più che non avete la scusa che l’album costa dato che è in free download. Concludendo che l’esordio della band è più che interessante e che vale la pena seguirli anche per i prossimi lavori e, magari, per i live se foste per caso nei pressi di un loro concerto o se verranno un giorno o l’altro in Italia. Complimenti alla band.

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WORSELDER “MMXIV”

GENERE: Thrash/groove ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 75/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Woeselder vengono dalla Francia e sinceramente non l’avrei detto dal suono che hanno. Suono granitico che abbraccia sia il thrash attuale che certi suoni tipici della new wave of british heavy metal (principalmente nella voce) suona in modo veramente massiccio. Quello che propongono con questo “MMXIV” è un EP di pura energia. La cosa ancora più spiazzante è il fatto che questo EP, come il loro precedente lavoro recensito in queste pagine, è disponibile in free download sul loro bandcamp e devo dire che non me lo sarei aspettato, per l’alta qualità delle tre tracce. Composizioni tutt’altro che banali e post produzione più che buona e noto che rispetto al precedente lavoro hanno modificato alcune scelte. Dimostrazione che si può ottenere un buon risultato anche in “autoproduzione” e che non c’è per forza bisogno di avere la casa discografica per poter proporre musica di qualità. Delle tre tracce presenti “The sickening”, “Home of the grave” e “The heaven” ho apprezzato l’abilità di poter inserire più generi e più arrangiamenti pur rimanendo coerenti al feeling dell’EP e vi consiglio vivamente di andare sulla loro pagina e godere delle loro tracce. Concludendo direi che questi quindici minuti scarsi di EP sono ben spesi e ottima forma di carica, magari per potersi riempire di energia prima di andare al lavoro. Complimenti alla band, uncai cosa come sempre il voto non sarà alto solo per il quantitativo esiguo di tracce proposte, ma di certo è un EP di tutto rispetto.

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MICHELE MARAGLINO “Canzoni contro la comodità” GENERE: Cantautorato italiano ETICHETTA: La Fame Dischi VOTO: 80/100 RECENSORE: Lidel

Nuovo album di Michele Maraglino dal titolo “Canzoni contro la comodità, edito da La Fame Dischi. Si ha a che fare con il cantautorato italiano, spruzzato di un filo di rock mai invadente. I testi sono molto validi, mi riferisco soprattutto a “Triste storia” e “I miei coetanei” (pezzo davvero bello!!!). C’è anche un po’ di elettronica in “La vernice”. L’album, poi, continua su questo stile, ma, a dire il vero, non annoia chi ama questo genere, soprattutto perché molto difficile da rendere “vivo” e non banale, come invece spesso succede.

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NINE RULES “Ninerules”

GENERE: Pop, rock, trip hop ETICHETTA: La fame dischi VOTO: 85/100 RECENSORE: Lidel

La genesi di questo omonimo dei Nine Rules è molto particolare: 2 fratelli che pur vivendo ad oltre 2000 km di distanza, han creato un album di 9 pezzi molto particolare ed avvolgente. “Airport” è figlio del trip hop di matrice inglese degli anni ‘90, “Soldier of fortune” aggiunge anche un pò di elettronica “pura” nel pezzo, “The march” è una canzone sorretta da chitarra acustica e svariati sample. Il resto dell’album continua così. mi sento di dire che il risultato finale è molto buono, maturo e di ampio respiro internazionale.

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VALLY MEMORY “Selfshot”

GENERE: Punk, bubble pop ETICHETTA: VOTO: 85/100 RECENSORE: Lidel

“SELFSHOT” è il primo Ep solista di Vally Mellory,cantante della band bolognese “Free Procrastination”. Contiene 4 brani improntati su sonorità melodice punk, quasi bubble pop punk di band meteore come Shampoo o delle Elastica, “Selfshot” è il pezzo (carino a dirla tutta) di apertura e si mantiene su queste coordinate, “Dirty touch” si “incattivisce” un pò e si stampa subito in testa, “Come to me” è discretamente groovosa nel suo incedere con qualcosa di elettronica al suo interno, “Tonight” è il pezzo con piu’ tiro e punk dell’ep. Punti di forza sono la voce (perfetta e capace di avere personalità) e la scelta di fregarsene bellamente di alcune “mode” del momento.

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PROGRESSIVEXPERIENCE “Inspectra”

GENERE: ProgRock ETICHETTA: VOTO: 70/100 RECENSORE: Max “doctor” Ugolini

Non sempre quando si recensisce un disco lo si riesce a capire appieno fin dai primi ascolti. Ammettiamo infatti di aver incontrato notevoli difficoltà nell’apprezzare come si merita questo “Inspectra”, terzo lavoro della progressive band fiorentina Progressivexperience. Non tanto, come spesso accade per tante band del filone progressive, a causa di un’intrinseca difficoltà di fruizione derivante dalla scrittura di queste quattordici composizioni, quanto piuttosto per le scelte a livello di suoni, le quali purtroppo non ci hanno del tutto convinto. Solamente dopo ripetuti ascolti, riuscendo a passare oltre a scelte sonore cui i nostri padiglioni auricolari non sono abituati, siamo riusciti ad entrare nel mood del disco e abbiamo potuto quindi rivalutarlo con una mentalità più aperta. Questo è per dirvi che nell’ascoltare “Inspectra” occorre abbandonare le aspettative cui le mega-produzioni ultimamente sfruttate in ambito prog ci hanno abituato: come succedeva per i due capitoli di “Road Salt” dei Pain Of Salvation, le scelte sonore qui sono assai diverse e molto più ‘low fi’ di quanto ci aspettassimo. Ma questo non depaupera per fortuna il disco della fantasia compositiva che i Nostri sono stati in grado di riversare in questi solchi, anzi, in qualche modo questo suono povero ed elementare finisce per sposarsi bene con le fumose atmosfere noir del concept ivi narrato, ambientato nella San Francisco degli Anni ’50. Un concept cupo e plumbeo, pieno di atmosfere rarefatte e dilatate, viste come attraverso il filtro di un film in bianco e nero, atmosfere che vengono perfettamente rispecchiate dalla musica, anche essa dai toni eterei e rarefatti. “Inspectra” è un disco che nel suo incedere e nelle sue atmosfere ricorda (con le dovute proporzioni) l’immortale “A Pleasant Shade Of Grey” dei Fates Warning, e mostra la stessa tendenza di quel capolavoro ad alternare parti sospese e fragili a massicce ed elettriche aggressioni metal. La voce del singer Giovanni Valente, già presente sul primo album della band, si conferma di prima qualità, cangiante e mutevole come quella di Ray Alder: sono infatti gli echi proprio del singer dei Fates Warning stesso, di Geoff Tate e del Devon Graves degli Psychotic Waltz a mischiarsi nella sua timbrica, con un risultato certamente degno di nota e sempre adeguato ad ogni emozionale passaggio del concept.

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Il drumming del leader Lastrucci, seppur come già detto non supportato a dovere dalla scelta dei suoni, risulta anch’esso eclettico e fantasioso, in grado da solo di riempire adeguatamente i ‘buchi’ lasciati nei momenti di pausa delle chitarre o durante i frequenti inserti acustici. “Inspectra” è appunto un disco che preferisce lavorare a livello dell’integrazione degli strumenti e alla creazione di un atmosfera retrò, lugubre e noir, che faccia da cornice al dramma d’amore che si consuma su questi solchi acustici. Un album più poetico che d’impatto, dai colori sfumati piuttosto che accesi; un album che, come detto all’inizio, va apprezzato dopo ripetuti ed attenti ascolti. Certo, avesse goduto di una scelta di suoni migliore non avremmo avuto dubbi ad inserire “Inspectra” fra gli Hot Album della settimana, ma così come è… rimane un bel disco, apprezzabile però da una cerchia minore di utenti.

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THE CYON PROJECT “Tales Of Pain”

GENERE: Alternative Stoner ETICHETTA: VOTO: 65/100 RECENSORE: Max “Doctor” Ugolini

Esordio tramite pavement per the Cyon project autrice di un debutto sulla lunga distanza di tutto rispetto che accomuna suoni heavy stoner e ritmiche che a tratti sfiorano il nu metal.Tales of pain vive di questi contrasti a partire dal vocalis con una timbrica post grunge.Per il resto il lavoro è un’autentica rivelazione già dalla prima canzone” joe”sorta di spiazzante intro tra Morricone e un certo southen rockper poi arrivare all’esplosione di “cheesy song” seguita dallo splendido singolo “mr.creosote”.Ritmiche grevi e debordanti di groove lasciano spazioad un feeling con ottime melodie sinfoniche.,cesello di una incontrovertibile originalità,ed è tutto in perfetta armonia tanto che i due brani a metà disco (phantom limb e isaac foretold it)risultano i più riusciti di questo album.In raise your head affiorano spunti progressivi che creano un’ottima variante al già molto originale songwriting del disco dando l’idea di essere davvero davanti ad un combo fuori degli schemi.

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LUCA BRETTA “Disconnesso”

GENERE: Pop/Rock ETICHETTA: ( R )esisto VOTO: 65/100 RECENSORE: FreeZone

Un giovanissimo Luca Bretta, classe 1991, è artefice di un Pop/Rock melodico ma non banale. “Disconnesso”, questo è il nome del suo ultimo lavoro, il disco contiene 14 tracks le quali ti avvolgono nelle argomentazioni giovanili attuali, come ad esempio “Visualizzato” scritta in seguito ad un’invasione di social network che ci rende sempre più dipendenti. La tracklist propone pezzi interessanti, come “Stonato” un brano che ricorda i migliori Weathers arricchiti da un caloroso arrangiamento di tastiera evidenziando quanto bisogna essere stonati per vivere. L’album continua grintoso ed energico con un misto di canzoni che spaccano e ballate sdolcinate come “La solita storia”, “La mia cameretta” e“Una serata diversa” che portano a vecchie storie sentimentali chiuse nel cassetto e mai dimenticate. Il sound ed i testi non sono dei più maturi, questo spicca subito sin dal primo ascolto, però è un susseguirsi di brani dove i teenager ci si possono rispecchiare. Nel complesso l’album è carino, orecchiabile e di sicuro interesse per gli amanti del genere.

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MATTEO TONI “Nilla Villa”

GENERE: Rock ETICHETTA: La Fabbrica VOTO: 85/100 RECENSORE: FreeZone

Classe ‘75 Matteo Toni propone il suo stile minimale ma molto energico e originale, miscelando egregiamente generi come il rock, crossover , funky, reggae ed hip-hop definendolo lui stesso “Surf Metropolitano”, si completa con il socio Giulio Martinelli alla batteria creando un connubio di percussioni e distorsioni di alto livello. Assieme arrivano sino all’inverno del 2014 con l’uscita del nuovo album “Nilla! Villa!” “Caos Adoremus” apre le danze, qui Toni sprigiona la sua lap-steel, con un’energia esponenziale, il pezzo scatta con un ritmo incessante la promessa del disco. “Il Tempo dei Morti Viventi”e “Musica Porno” sono energia musicale, brio, foga a briglie sciolte, alcuni toni sonori vintage e la voce fanno da marchio di fabbrica dando equilibrio alla miscela lasciando intuire che quella promessa potrà essere mantenuta, perché genuina e sostenibile. Matteo Toni a questo punto non ha più freni e si lascia andare con “La fine del Mondo”, un’opera di auto-ricostruzione, col suo mid-tempo da bar, quasi una ballad d’amore e frustrazione, mentre “Kebabellaria” appare come un omaggio ai migliori blues-man vissuti, una perla all’interno di questa opera, “Dammi una sigaretta” e “Pietro e Maria” intermezzano succosamente il percorso fino a raggiungere il pezzo che da il nome all’album “Nilla! Villa!”, punteggiata da distorsioni lancinanti sorrette da sincopate pompate e percussioni rabbiose, spiaggia, cuffie, sole, questo è il mix giusto per assaporare il succo di questa traccia. L’album si conclude seguendo la scia “summer” lasciata dalla precedente, con “Credi ancora nel grande blu?” e “Squalo”, due pezzi che dispongono di un suono che ormai fa da marchio di fabbrica e si trovano a loro agio provando che la formula è vincente. In una tracklist di 10 brani Matteo Toni racchiude la sua esperienza musicale, comunicandolo in maniera indelebile all’ascoltatore.

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MODERN FOCA

“Mi Conosco Dalla Nascita” GENERE: Electro Funk ETICHETTA: IRMA Records VOTO: 80/100 RECENSORE: FreeZone

I Modern Foca (motherfucka) nascono a Milano nel 2013 e sono formati da Antonio Schiano, Matteo De Marinis e Mirko Iapicca. Conoscendosi durante il diploma di Audio Engineer i tre portano avanti il lo progetto ironico, fresco il tutto condito con una sapiente concentrazione di sintatizzatori. Dopo breve tempo restano solo Antonio e Matteo, diventando un duo non abbandonano il loro percorso, anzi lo proseguono raggiungendo risultati importanti. “Mi Conosco Dalla Nascita”, questo è il loro primo album ufficiale da poco uscito, i testi a molti risulteranno senza significato, in realtà sfottono la società, successo e soldi, e lo fanno in un modo del tutto originale e completamente al di fuori di tutto. Ogni track è una chicca e nasconde metafore che possono essere colte nell’immediato, ma che amalgamate con le loro basi non scontate, raggiungono quasi la perfezione insieme al loro significato. I Modern Foca dimostrano di essere molto abili nei giochi di parole e negli scioglilingua eseguendoli ad una velocità pazzesca a volte condite di rime in extrabeat. Album davvero promettente, sostanzialmente in “Mi Conosco Dalla Nascita” convivono due anime, quella di implacabile censore dei vizi della società contemporanea e quella da cazzaro, la prima è quella che prevale nel lavoro e rimane l’altra che a volte soverchia la prima, ma in ogni caso è assolutamente un’opera degna di nota.

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PER

“Wandering” GENERE: JazzRock ETICHETTA: Irma Records VOTO: 75/100

RECENSORE: FreeZone

I PER (Piccolo Ensemble Reloaded) sono una formazione isolana costituita da Elia Casu alla chitarra, Matteo Muntoni al basso e Stefano Vacca alla batteria, ampliandosi con collaborazioni per voce, sax e tromba escono con il loro progetto “Wandering”. Il disco, per la maggior parte strumentale è suddiviso in quattro brani ed appare come un disco scrupoloso , frutto di un’intensa registrazione, si nutre di sentimenti, orgoglioso e con la voglia di segnare per quanto possibile questi anni, “Wandering” è molto vicino ad essere un concept il cui tema centrale è molto comunicativo, un inno che rappresenta un nostalgico ritorno dei fine anni ‘60 arricchito da sonorità moderne quali synths, elettronica, sampler, ecc. “Wandering” è la conferma di un team e di un’idea vincente, un lavoro caldo e affascinante, in definitiva è un lavoro ben confezionato, un omaggio per l’ascoltatore, legittimo e onesto, non c’è un solo secondo del disco che si possa definire brutto o mal eseguito.

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P.O.M.A. “Trilogy”

GENERE: Experimental Rock/Noise ETICHETTA: Indipendente VOTO: 80/100 RECENSORE: FreeZone

Il progetto P.O.M.A. nasce a Chieti dall’incontro casuale di due artisti uniti dalla voglia di creare una sperimentazione musicale influenzata da generi come: noise, ambient, punk, ecc. Ascoltando il loro nuovo EP “TRILOGY”, mi viene in mente una citazione (non vi dirò di chi, vi lascio la curiosità) che più o meno fa così “parlare di musica è come danzare di architettura”, perché certe volte è davvero difficile riassumere in poche righe un album come questo. “TRILOGY” è un disco che pretende concentrazione, ma ripaga con uno spiraglio sulla follia musicale, è un EP intellettuale perché i P.O.M.A. non scelgono mai la via più breve per realizzare una canzone. “TRILOGY” è una costruzione musicale fatta da tre stratificazioni sonore dove ogni nota è al suo posto e sono rispettivamente “Morning”, “Afternoon” e “Night”, nulla è come ci si aspetta, ma tutto è inaspettatamente incastonato, non lascerà indifferente nessuno, lo si amerà o lo si odierà. Potrebbe sembrare un EP angosciante, le canzoni sembrano invocare un’apertura che poi non arriva, ma questo è parte del gioco, i P.O.M.A. interpretano la crisi dell’espressione artistica e la sua rinascita, è un mutamento avvenuto in molte discipline dal cinema alla pittura ma pochi riescono a scriverlo su spartito.

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ROSAFANTE “Rosafante”

GENERE: Indie/Alternative Rock ETICHETTA: Indipendente VOTO: 70/100 RECENSORE: FreeZone

I Rosafante nascono nel Novembre del 2013 da quattro ragazzi provenienti da realtà artistiche diverse, da subito trovano un grande affiatamento musicale tanto da portarli in studio di registrazione per poi uscire nel 2015 con il loro primo EP. Composto da 7 brani l’omonimo album contiene testi dove vengono sublimati sia il lato più selvaggio e carnale sia l’apatia della provincia cronica. Una sequenza mozzafiato , ed in mezzo a tanto splendore passano quasi in secondo piano composizioni che potrebbero essere potenziali singoli, brani che non risultano banali e riempitivi. I Rosafante dimostrano che la possibilità di cantare rock in italiano senza apparire ridicoli o scontati esiste. Non voglio essere esagerato ma potrebbe essere il nuovo album rivelazione del Rock italiano.

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SOPHIE LILLIENNE “The Fragile Idea”

GENERE: Trip-Hop ETICHETTA: WTII Records VOTO: 85/100 RECENSORE: FreeZone

Sophie Lillienne è un progetto Trip-Hop/electro-alternative nato dalla geniale mente di VeZzO, già musicista, cantante e produttore vanta collaborazioni in tutta Europa, realizzatore, sempre sotto il nome di Sophie Lillienne, di remix per band nazionali ed internazionali come, solo per citarne alcune, Massive Attack, Deftones e Bologna Violenta. “The Fragile Idea” è un viaggio musicale, composto da strumenti, dub e la migliore elettronica, per servire la più incredibile ricetta aggiornata di trip-hop in circolazione. L’album si presta a comparire negli scaffali del modernariato , convincente per rispolverare la formula originale, mesciando egregiamente ricordi dal passato e squarci verso il futuro. Tracks come “No Angel in Bristol”, “Immigrants”, “Indie Girl” e “Wondering” sono dominate da un’atmosfera ipnotica, notturna e penetrante. Il campionario è molto vasto e comprende intervalli classici, ritmi sincopati ed inni elettronici che restano indelebili, è un trip-hop puro che potrebbe suonare di vecchio per alcuni, ma la cattiveria e la ricercatezza ritmica farà ricredere nell’immediato. Per chi ama questo genere musicale sarà un piacere immergersi in queste ritmiche acide e tenebrose. “The Fragile Idea” diventerà di sicuro un album chiave della cultura urbana della nuova società metropolitana.

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TUTTONERO! “Tuttonero!”

GENERE: Alternative/PunkRock ETICHETTA: I dischi del Minollo VOTO: 70/100 RECENSORE: FreeZone

I Tuttonero! nascono nel 2013 a Torino spinti dal desiderio di raccontare il lato oscuro della quotidianità. Freschi freschi escono nel Febbraio 2015 con il loro omonimo album Tuttonero!, con il suo stile originale e caratteristico a tratti morriconiano anni 80, per intenderci un sound western. L’apertura del disco “La gente media” è folgorante, ammiccando decisamente nel riff di chitarra, il ritmo serrato prosegue direttissimo sostenuto dal basso incalzante che spicca per l’incisività e per la pulita aggressività. Pezzi come “Brunch”, “Cronaca nera”, “Bisogna aver paura” e “Canzone popolare” potrebbero sembrare dei classici senza tempo che chiunque può avvicinarsi ad ascoltare. Temi politici e non sullo sfondo dei loro testi, nel complesso un ottimo lavoro, canzoni che catturano e coinvolgono, questo rende l’album ancora più affascinante e di valore per il gruppo, queste sono tracks non per teenager ma per ascoltatori vogliosi di vivere la loro vita all’insegna di una ribellione non autolesionistica bensì rassicurante di divertimento ed emozione. Forse inaspettatamente i Tuttonero! accentuano una loro fase alternative tirando fuori capolavori senza raffinatezza e intimismo, solo forza e potenza.

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EVA’S BORDERLINE “Ep”

GENERE: Punk ETICHETTA: VOTO: 72/100 RECENSORE: Milo

Vengono da Bari e si sono formati nel 2009 prendendo ispirazioni da gruppi come L7 e Hole. Negli anni,la formazione si stabilizza in quella attuale e portano a termine le registrazione del loro primo omonimo EP. Le tracce presenti sono 6 tra cui un bell’intro strumentale che scalda e prepara l’ascolto per i pezzi che seguono. Le sonorità sono grezze, 100% old school , si sentono tantissimo le radici del punk 77 sia anglosassone che quelle nostrane anni 80. Un esempio di tutto questo è l’unica canzone cantanta in lingua madre ,VIVO NEL VELENO, che ricorda un po’ alcuni lavori dei NEGAZIONE. L’album si chiude con un inno all’amore verso la bibita ufficiale del gruppo e non solo.(PERONI MY LOVE) Idea carina , non del tutto originale eh, ma ci sta… Le canzoni si fanno ascoltare bene, non risultano essere noiose, le idee di base sono buone, peccato che a volte sembrino lasciate a metà e non del tutto sviluppate. Trattandosi del primo EP comunque sono dettagli che passano in secondo piano… Ragazzi complimenti per il vostro lavoro, noi alziamo in alto le nostre Peroni brindando a voi , in attesa del vostro primo full-lenght.

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PAPA ROACH “F.E.A.R.”

GENERE: Alternative / numetal ETICHETTA: Eleven seven music VOTO: 80/100 RECENSORE: Milo

Grande ritorno quello dei PAPA ROACH che con F.E.A.R. (FACE EVERYTHING AND RISE) continuano il loro cammino musicale iniziato nel lontano 1993. Certo c’è da dire che negli anni Jacoby e soci hanno svoltato decisamente pagina per quanto riguarda il genere proposto,passando da un NUMETAL poderoso ad un altrettanto poderoso ALTERNATIVE ROCK. Gli anni d’oro del NUMETAL purtroppo sono finiti e loro sono riusciti a non crollare e reinventarsi nuovamente come band e confermando a tutto il mondo ,con i loro ultimi album, quanto siano completi a 360°. Possono piacere come no, ma non si può dire che non siano dei grandi musicisti e animali da palcoscenico. Anche in questo album le sonorità sono un mix tra riff potenti e graffianti e melodie più dolci in cui le linee vocali di Jacoby si stendono a meraviglia. L’intero album , uscito in gennaio e lanciato dal video che da il nome all’album (FACE EVERYTHING AND RISE), contiene pezzi molto radio friendly e che ben si apprestano alle rotazioni su canali musicali e radio. Un ottimo lavoro commerciale ,non c’è che dire!!! Da ricordare la collaborazione di MARIA BRINK de IN THIS MOMENT su BROKEN AS ME e GRAVITY. Un album che sarà sicuramente apprezzato sia dai vecchi fan che dai nuovi, grazie alla capacità dei PAPA ROACH di mantenere vivo quell’animo NUMETAL che li ha regalato il meritato successo.

PAPA ROACH are finally back, and with FEAR (FACE EVERYTHING AND RISE) continue their musical journey began back in 1993. Indeed it must be said that, over the years, Jacoby and friends have certainly turn over a new leaf regarding the genre proposed, from a mighty numetal to an equally powerful ALTERNATIVE ROCK. The golden ages of the Nu Metal are sadly over, and they have been successfull in innovate themselves as a band, proving to the whole world, with the last albums, how much they are a 360 degrees rock band. You can’t expect everyone to like them, but it’s hard to deny thet they are great natural musicians with great stage presence. In this album the sounds are a mix between powerful riffs and biting and sweetest melodies in which the vocal lines of Jacoby merge very well. The whole album, released in January and launched by the video that gives its name to the album (FACE EVERYTHING AND RISE), contains pieces very radio friendly and ready to spin on music channels and radio. A great commercial work, no doubt about it !!! It should be remembered the collaboration of MARIA BRINK from “ IN THIS MOMENT” on the songs BROKEN AS ME and GRAVITY. An album that will surely be appreciated by both old fans as well as new, thanks to the ability of PAPA ROACH to keep alive that numetal soul that gave them the deserved success.

UNDERGROUNDZINE







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