UndergroundZine Dicembre 2014

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RECENSIONI

AEVUM

“Impressions” GENERE: Gothic metal ETICHETTA: Fuel record-Red VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro

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Schümperlin

La band di Torino si propone a noi con loro esordio sulla lunga distanza con un cd di circa 11 canzoni. Dico di circa, perché nelle 11 tracce troviamo diversi intermezzi strumentali da un minuto poco meno. Detto questo la loro proposta è un mix tra i gothic metal stile ultimi Therion, il Power con voci femminili mistificato da taluni come gothic metal (ricordo sempre che non basta un corpetto ed una cantante donna che fa lirica o simil lirica per fare gothic), rimandi orchestrali alla Haggard e un piccolo cameo particolare legato alla formazione molto singolare ovvero la band si propone con tripla voce femminile e doppia maschile, basso, batteria, chitarra e ben due tastiere con ovvi rimandi di arrangiamenti e sonorità. Tendenzialmente la loro proposta musicale è piuttosto interessante vuoi per la gestione della doppia sezione di tastiere – synth, vuoi per la gestione di più voci, anche perché non vi è soltanto la voce femminile e la voce maschile in pulito ma abbiamo anche il growl e lo scream maschile e alcune parti di voce femminile non in lirico. Questo permette di articolare meglio quello che la proposta della band torinese; unica pecca in ambito vocale, a mio avviso, è l’uso esagerato della “proto” lirica, anche questo problema derivato derivante da una sovraesposizione di band che non sono gothic (vedi Nightwish, vedi Epica etc...) e presentati come tali che come marchio di fabbrica hanno il canto lirico o simil lirico. Sono certo che la band usando meno canto lirico avrebbe potuto proporre al mercato un prodotto differente e certamente molto più interessante accattivante rispetto a quello che ultimamente si sta sentendo in ambito. Come ho detto già più volte bisogna riuscire ad andare oltre lo “standard” e riuscire a proporre un qualche cosa di oggettivamente nuovo, perché sia per quanto riguarda le registrazioni da studio che le registrazioni fatte in casa, si sente sempre più spesso del materiale di alta qualità e di conseguenza per poter andare oltre e poter essere soggetti che possono in qualche modo primeggiare, per forza bisogna trovare una variante, una variabile un quid che dia questo stacco e che dimostri la differenza.

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Va comunque dato merito alla band sia per le capacità e anche per una scelta a mio avviso molto coraggiosa che quella di cantare sia in lingua inglese che in italiano; cosa piuttosto interessante è inusuale ripeto, anche perché creerebbe - crea un distacco da quelli che possono essere i possibili rimandi di fans esteri. Una problematica a mio avviso della band è la lunghezza esagerata di alcune tracce che creano un piccolo problema all’ascoltatore medio, perché canzoni che vanno oltre i 10 minuti sono assolutamente particolari e interessanti in prima battuta, ma in seconda istanza crea non pochi problemi all’ascoltatore che in più di un’occasione si ritrova a pensare di ascoltare una seconda o una terza canzone e invece è ancora la canzone precedente, quindi un distacco troppo marcato tra le varie parti composte così marcato crea comunque un problema a mio avviso a l’ascoltatore medio che in questo momento usufruisce della musica in generale. Sia chiaro non è un demerito, anzi, ma da esperienza vissuta in passato brani troppo lunghi portano ad essere saltati con più facilità di altri brani. Emozionalmente devo dire che tracce quali “Blade’s Kiss”, “ Il lamento della ninfa” e “Monsters” sono delle tracce di alta qualità e che presentano le varie sfaccettature della band agli ascoltatori. Considerate che la band non è nuova di questi lidi nel senso che prima di arrivare a questo album ha già avuto l’opportunità di poter dare alle stampe dare visibilità a un ep che ha preceduto l’uscita di questo album dimostrando continuità nella composizione e facendo tesoro della precedente esperienza. Concludendo questa mia recensione, complimenti alla band per il coraggio e la dedizione del loro progetto, alcune cose da correggere e migliorare e ve li consiglio.

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ALITOR

“Eternal depression” GENERE: Thrash metal ETICHETTA: Witches brew VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Gli Alitor sono serbi e fanno uscire l’album d’esordio per la Witches Brew, dal titolo “Eternal Depression”, dopo l’Ep “Embittered” del 2012. Quello che propongono è un mix di thrash old school e death primi anni 90 con dei risultati complessivamente interessanti. La capacità tecnica dei quattro musicisti provenienti da Indija è interessante e di immediato impatto. Certamente se state cercando la novità assoluta, non la troverete con questa band, ma se volete delle sonorità di un certo periodo rivitalizzate e riviste con il gusto odierno direi che avete tra le mani un buonissimo prodotto. Buone le registrazioni e la post produzione. Azzeccati gli arrangiamenti e le “varizioni sul tema” proposte dagli Alitor. Thrash old school, dicevo, di chiaro impianto statunitense east coast, perciò cavalcate velocissime e martellanti. I rimandi a band come Forbidden, Testament, Anthrax e Death Angel si sentono in modo piuttosto marcato. Otto pezzi compongono questo esordio che dimostra che gli esordi fatti in modo raffazzonato non esistono più, se si vuole fare il salto di qualità e che come spesso dico non c’è sempre bisogno di andare oltre oceano per trovare suoni e sensazioni di qualità. “Realm of grief”, “Eternal depression”, “Embittered” e “Nothing lasts forever”, sono brani che mi hanno riportato indietro di parecchi anni dandomi una carica mica male. Come sempre fate vostro il cd e ascoltatelo in modo da potervi fare la vostra personale top songs e poter ritornare “indietro nel tempo” e poter assaporare quello che una band thash dovrebbe fare. Unica nota negativa direi la durata, quaranta minuti son pochini e volano via velocemente, e la copertina che è troppo retrò, certo non è a livelli di altre proposte dello stesso genere che mi è capitato di recensire in questi ultimi tempi, ma si poteva far di più. Come ho detto siamo di fronte ad un esordio, quindi ci sono tempi e metodi per poter migliorare sia per i minutaggi che per la parte grafica. Concludendo, buona prova per la band e consiglio questo album non solo agli appassionati sfegatati del thrash old school, ma anche per tutti coloro che hanno apprezzato ed apprezzano il thrash fatto come si deve. Gli Alitor sono un band da tenere sott’occhio perché certamente usciranno con delle chicche a mio avviso.

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ANGEL MARTYR “Angel Martyr”

GENERE: Heavy metal ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 45/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Gli Angel Martyr vengono dalla Toscana e nascono nel 2010 grazie a Tiziano “Hammerhead” Sbaragli (voce degli Etrusgrave) e Tiziano “Atreiu” Cosci (degli Ormgarth). Come sovente accade ci sono cambi di lineup ed assestamenti fino a quando, negli ultimi mesi del 2012, il bassista Dario “Destroyer Rostix” Rosteni entra nella band e con l’ingresso di Francesco Taddei, ex batterista degli Etrusgrave si arriva a “chiudere il cerchio”. L’EP a mio avviso è per i soli appassionati viscerali verso alcune sonorità piuttosto datate e per alcuni gruppi in particolare. Ovvero la band è PALESEMENTE appassionata di Iron Maiden, Manowar, Running wild e Helloween e propongono più che un tributo a queste band e a queste sonorità. Ho scritto “soli appassionati viscerali” perché vi sono una serie di errori in fase di registrazione e post produzione piuttosto grossi e grossolani, che farebbero già storcere il naso, come ho fatto io, a chi mastica o ha masticato in ambiente “tecnico” non solo per le composizioni ed i testi, purtroppo a mio avviso i testi particolarmente stereotipati e con fortissima impronta delle band epic e power epic poco sopra nominate, ma anche per quanto riguarda i riff assolutamente scontati e in alcuni casi mi ricordavano mostruosamente gli Iron dei primi tempi. Come se non bastasse ci sono dei cali di volume durante i brani e non mi è chiaro come mai ciò possa accadere. Non capisco se è un errore del fonico (se c’era), di chi gli ha fatto il mastering (se è stato fatto mastering) oppure se è una scelta voluta e pretesa dalla band che a mio avviso risulta piuttosto inutile. E devo dire che ho provato ad ascoltare i brani su più di un supporto e su più di uno stereo (credendo in prima battuta che il problema fosse il mio cd e/o il mio iPod) ma il risultato non è cambiato. Purtroppo non posso neppure dare il beneficio del dubbio e della prima prova su disco, perché va bene tutto… ma ci sono band che all’esordio e in autoproduzione come loro fanno uscire dei suoni migliori anni luce rispetto a questo EP-Demo. In chiusura, capisco il voler supportare il metal Italiano, ma la cosa va fatta se ci sono dei presupposti più concreti e purtroppo per me in queste cinque tracce non ce ne abbastanza. Non nego che la band abbia potenzialità e capacità, solo che un questo EP-Demo li ha espresse male, vuoi per il cordone ombelicale che li lega alle band da cui loro traggono ispirazione, vuoi per la fretta di uscire con un proprio prodotto, vuoi per la lavorazione fatta in casa e alla “vai che se suona grezzo piace di più” che purtroppo non piace di più da almeno 10 anni. Consiglio mio per la band, andate in studio di registrazione serio e fate un mastering serio delle vostre canzoni, ne va del vostro lavoro e del vostro investimento UNDERGROUNDZINE


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BLACK CAPRICORN “Cult of black friars”

GENERE: Doom/Stoner ETICHETTA: Stone Stallion Rex VOTO: 80/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Il terzo album in poco più di 3 anni per i cagliaritani Black Capricorn, cosa assai non scontata in questi periodi di lunga gestazione tra un album e l’altro, che si propongono con un doom dalle influenze stoner e quasi sludge. Dalla loro nascita, nel 2007, ad oggi la band ha attraversato diversi cambi di lineup passando dal trio al quintetto tornando trio su questo lavoro( Fabrizio Monni alla chitarra e voce, Virginia Piras al basso e Rachela Piras alla batteria e voce), ma devo dire che la formula, o per meglio dire la parte centrale della band è rimasta dando delle soddisfazioni sonore non da ridere. Doom molto psichedelico e rimandi allo stoner più grezzo e atavico rendono questo “Cult of black fiars” una delle pietre fondanti del doom nostrano. La bellezza di queste canzoni sta nella capacità di sembrare simil a molte band, ma di fatto risultare al contempo distanti dalle stesse, creando una malia particolarissima e definendo oltre ogni dubbio che la band ha un suo sound ben definito e una sua anima che scaturisce dalle casse in modo assolutamente spettacolare. Tecnicamente ottimo lavoro di registrazione, di post produzione e di arrangiamenti, siamo di fronte a delle composizioni in pieno stile doom psichedelico, o doom stoner che dir si voglia, con riff accattivanti ed ipnotici e tempi rallentati che rendono oppressivi i riff di chitarra e amplificano le sensazioni lisergiche. Nulla da dire quindi nel complesso; forse in alcuni passaggi avrei ridotto le dinamiche dei piatti ancora un pochino per renderli meno invasivi, ma è più un piacere personale che un errore. Certo si sente la mancanza di assoli più corposi ma tutto sommato anche in questo frangente è più un piacere personale che un errore vero e proprio. Interessanti anche le comparsate di alcuni artisti chiamati con i loro strumenti ad esempio il flauto di Alessandra Cornacchia e le chitarre di Luca Catapano e Mr. Toro

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Sicuramente tra le tracce che più di altre mi hanno colpito troviamo “ Anima Vagula Blandula”, “Hammer of the witches“, “Cat people” e “Automium” , ma direi che alche le altre tracce che compongono questo album hanno una loro speciale dimensione e possono portarvi in luoghi acustici non così comuni e non sempre percepiti. Concludendo complimenti alla band per questa nuova uscita e per le canzoni proposte. Vi invito calorosamente ad entrare in possesso del loro album e di godere delle sonorità del “capricorno nero”. Ennesima dimostrazione che la buona musica c’è anche in Italia e non solo all’estero

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BLACKDAHLIA “Fragments”

GENERE: Gothic metal ETICHETTA: Areasonica VOTO: 75/100

records

RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Attivi in Puglia da cinque anni, sono nati nel 2008, i Blackdahlia si presentano a noi, e a voi, con la loro prima prova in studio dal titolo “Fragments”. Come se non bastasse il loro esordio è sotto l’etichetta Areasonica Records. Otto tracce di gothic metal fatto come si deve. Nel senso che applicano gli stilemi classici del gothic, in tutte le sue sfumature, inserendo rimandi tipici del gothic rock e del gothic dark ovvero riff corposi ma non troppo pesanti, elementi di elettronica, leggeri, e refrain accattivanti. Il tutto utilizzando la voce femminile SENZA il cliché del protolirico, che sinceramente trovo piuttosto stucchevole in questo periodo. Va detto che la band in più occasioni ricorda Evanescence e Lacuna coil, ma questo non ferma per nulla la band al “già visto e già sentito” anzi, loro cinque riescono a declinare le sonorità delle due band, che certamente hanno dato loro spunti, creando un proprio sound ed una propria anima. Tecnicamente un lavoro più che buono, ottime le composizioni, buone le registrazioni che permettono all’ascoltatore attento di poter godere delle sfumature e delle dinamiche di ogni strumento senza perdersi nessun feeling e restando ammaliati dalle loro sonorità. Buoni anche gli arrangiamenti e gli innesti inusuali per il gothic metal più classico, ma in linea con il complessivo delle loro composizioni. Le uniche critiche che mi sento di muovere sono a livello grafico e a livello di “mancata prova”. Lla copertina e il booklet in generale sono un pochino troppo “artefatte” nel senso che sono eccessivamente troppo anni ’90 sia per la qualità della computer grafica utilizzata per la copertina e sia per quello che riguarda l’interno del booklet piuttosto scarno e poco “accattivante”, ma essendo esordio possiamo tutto sommato soprassedere. Va detto però che la band dovrà fare un passo avanti per il prossimo lavoro. Per quanto riguarda invece il “mancata prova” credo che pur avendo una loro ben distinta anima ed avendo declinato i loro gusti musicali, la band avrebbe potuto provare ad osare di più facendo in modo di portare le proprie idee ad un livello superiore. Ma come per la copertina anche per questo “errore” possiamo tranquillamente soprassedere ed attendere il loro prossimo lavoro.

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Sinceramente le canzoni che più mi hanno colpito sono “Falling down” in entrambe le versioni ( esiste una versione “radio edit”), “Wounds”, “Lost in the daylight” e “Fly”. Come sempre vi esorto a fare vostro il cd per poter valutare di vostro orecchio quali possono essere i brani a voi più congegnali. Questo dei Blackdahlia è un disco, concludendo, ben fatto e ben prodotto unica cosa che mi sento di dire, rimarcando quanto sopra esposto, di fare attenzione per i prossimi lavori di esprimere di più il proprio “se” interiore ed osare di più, per evitare che la band si ritrovi tra le tante altre band abili e meritevoli, ma non eccellenti. In ogni caso, come a volte scrivo: “Buona la prima!”

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BLAST OFF “World of lies”

GENERE: Thrash metal ETICHETTA: Suspiria Records VOTO: 69/100 RECENSORE: Alessandro

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Blast Off band ispanica dedita ad un thrash old school, nata nel 2011 e con un nuovo EP da presentarci. Questo EP che andremo a recensire è il loro secondo lavoro, prima di “World of lies” diedero alle stampe due anni fa “Devious Insane”. Ma entriamo più nel merito delle quattro tracce proposto dal combo spagnolo Il lavoro è stato registrato Ultrasound Studios di Braga, molto quotato e già incontrato come “forgia” di altro materiale spagnolo in ambito thrash e death. Musicalmente i rimandi a band come Anthrax, Testament, Exodus e i primissimi Metallica sono più che palesi. Fuor di dubbio che con questi presupposti e con queste scelte sonore, non posso minimamente gridare al cd epocale… ma devo ammettere che comunque la proposta è piuttosto gradevole e accattivante. Tecnicamente il lavoro è fatto bene; suoni ben calibrati, strumenti che si sentono in modo pulito e chiaro dando l’aggressività sonora che serve e la voce più vicina a Kreator e vagamente a Sodom (forse per il fatto che non vi sono variazioni di sorta). Anche in questo caso, come per altri valutati nel mio passato recente la carenza più grossa è l’artwork troppo banale e prevedibile. A cercare brani più interessanti di altri direi “Hunter of evil” e “Blackout”. Le altre due tracce “Magnicide” e “Government of money” si difendono sia chiaro, ma le prime due sono quelle più accattivanti a mio parere. Concludendo questa mia, direi che siamo di fronte ad un lavoro nel complesso positivo, certo c’è molto da smussare ancora per arrivare ad un album intero, ma direi che i presupposti ci sono tutti. Attendiamo i Blast Off “alle termopili” del cd completo, questo “world of lies” fa ben sperare.

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CIRCLE OF INDIFFERENCE “Shadows of light”

GENERE: Death metal melodico ETICHETTA: Recods of indifference VOTO: 95/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

I Circle Of Indifference sono la creatura del polistrumentista Dagfinn Övstrud, nata lo scorso anno come one man band. La stranezza di questa one man band è l’uso di sessions reclutati in giro per il mondo: Brandon Leigh Polaris dal Belgio, Tyler Teepe dal Canada, Nikki Monney (per la traccia otto) dagli USA, e il remix da parte di Ayrbars Altay per la traccia dodici dalla Germania. Il risultato è un album esplosivo e che potrebbe tranquillamente insegnare a molte band “blasonate” come dovrebbe essere un album di metal estremo. “Shadows Of Light” è un album a dir poco clamoroso; sia perché è un debutto e sia per le capacità espose in tredici tracce, per la verità nove vere e proprie più un intro, un remix ed un outro. Sia chiaro qui il songwriting è veramente oltre ogni più rosea aspettativa. Grandi momenti di aggressività con melodie che esistono, sono presenti ma non invasive, midtempi che anticipano un blastbeat distruttivo e dei rallentati che aumentano intensita di pathos sonoro. Sia chiaro nulla che possa esser avvicinato al prog death alla Opeth o alla Obscura, ma tecnica e sentimenti lanciati sul pentagramma veramente a profusione continuata e continuativa. La post produzione è poi qualche cosa di spettacolare, tutti gli strumenti sono calibrati in modo egregio e con delle soluzioni veramente spettacolari. Se dovessi a tutti i costi provare ad avvicinare a badn già esistenti direi che come attitudine siamo vicini a band del calibro di “Edge Of Sanity” e vagamente per le parti elettroniche i ” Pain” dei primi quattro lavori (il periodo tra “Dancing with the death” e “Pain”) . La cosa più interessante di tutto questo è che ci si avvicina, ma prende di fatto una sua personalissima deriva e crea in tutto e per tutto un suono suo ed un suo personale mood. “Evil”, “Darkness”, “I child but not”, “Another day in paradise”, “Push”, la title track “Shadow of light” e “This is not the end” sono gli esempi di cosa Dagfinn Övstrud abbia pensato, compost suonato e fatto suonare sotto la bandiera de “Circle of indifference” .Fatevi un favore, prendete il prima possibile questo album ne vale ogni singolo secondo d’ascolto ed i soldi spesi per averne copia. Siamo di fronte ad un album che sarà sicuramente nella mia top ten di questo 2014. Ve lo consiglio in modo massiccio, volete del metal estremo e suonato bene? Volete del materiale senza compromessi con abilità e capacità da vendere? Volete sentire della musica fatta come si deve? Se a queste domande avete risposto si, non è importante se a una sola o a tutte e tre, dovete avere questo cd.

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CONTROSIGILLO “Baghdad”

GENERE: Heavy ETICHETTA: DeathStorm VOTO: S.V.

Records

RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Tornano sulle scene i Controsigillo con questo vinile 7” dal titolo ‘Baghdad’. Di fatto un singolo a mio avviso, due tracce che precedono l’uscita del prossimo loro album, previsto per il 2015. Li avevamo lasciati con l’ultimo album in studio dall’omonimo titolo del 2012 (che abbiamo recensito qui ) che fu poi seguito nel 2013 da ‘Live From The Past’. La formazione è appena cambiata ovvero alle pelli ora c’è Loris Poletti che oltre alle batterie nella band si occupa delle parti di tastiera. Rispetto ai precedenti lavori c’è un salto di qualità ulteriore per quanto riguarda la produzione. Buona sia nel brano “pesante” che in quello acustico, forse nel brano acustico avrei preferito un pochino più di effetti alla voce che risulta troppo scarna e la doppia cassa un suono leggermente differente, più “rotondo” e cupo. Ma detto questo noto che tutto il singolo ha un’impronta mediorientaleggiante, sia per quanto riguarda “Baghdad” che per “Lupen 3: le memorie di Zazà”. Le uniche criticità che trovo son una la scelta dell’artwork troppo minimale, poco accattivante e “monocromatico” a mio avviso e la B-side del singolo troppo lunga e poco fruibile. Poi possiamo anche ragionare del fatto che “alla vecchia maniera”, quando i 45 giri uscivano frequentemente, le B-side dei singoli erano le valvole di sfogo creativo delle band, mentre la “A-side” erano il singolo da radio; se ragioniamo in questi termini direi che la canzone da oltre sette minuti va anche bene. Per i testi, fatti entrambe in italiano, per il primo molto pregno e intenso ma il secondo un filino debole a mio avviso. Essendo un singolo non darò voto, conoscete certamente la mia “politica”, ma devo dire che i ragazzi sembrano lanciati piuttosto bene, aspettiamo il nuovo lavoro per il 2015 e vedremo cosa faranno i Controsigillo.

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DIMENZION: PSYCHOSPHERE “Collapse”

GENERE: Industrial metal ETICHETTA: Crime records VOTO: 78/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Dimenzion: Psychosphere band dedita ad un industrial metal di qualità e di un certo livello. La band è norvegese e dimostra che non ci sono solo blackster all’interno della Norvegia. Questo “Collapse” è il loro sesto album; prima di esso hanno prodotto “DNA pianto effect”, “Trilogy from beyond” EP, “TRinity adn beyond” EP, “Trenches” EP e “DImenzion: Psychoisphere” EP. Ma come sempre addentriamoci meglio nel loro ultimo lavoro. I brani sono composti in modo molto accurato e riprendono a più riprese, pur usando un proprio stile, alcuni dei più famosi gruppi della scena industrial metal quali: Type O Negative, Rammstein, Nine inch Nails (dei primi tempi) e a vaghi tratti anche i Fear Factory. I pezzi sono stranamente lunghi rispetto allo standar attuale, ma la cosa non fa che farmi piacere. Ottimi gli arrangiamenti e gli innesti campionati e di synths. Voce urlata ma tratti melodica, chitarre pesanti ma con ampi sprazzi di melodia, sezione ritmica che alterna stacchi più veloci ad altri più soft. Notevole anche la post produzione che dimostra oltre ogni ragionevole dubbio che la band sa il fatto suo. La proposta dei Dimenzion non è distante dalle altre band di industrial che hanno già fatto delle releases in passato e che stanno riproponendo ora certi suoni, ma devo dire che lo fanno in modo piuttosto personale e riescono a dare delle sensazioni interessanti pur non potendo urlare alla novità assoluta. Tracce quali “The machine”, “Fury”, “Epistemophobia” e “Psychodrom” sono esempio di quello che la band è in grado di comporre e di fare. Come sempre vi esorto ad ascoltare il cd, a farlo vostro e a decidere quali sono le tracce che più di altre vi sono piaciute, io vi ho dato le mie. Per concludere la band norvegese propone un approccio molto fisico ma non eccessivamente brutale o “sintetico”. La proposta è un equilibrio tra aggressività e melodia, tra rimandi sintetici e bordate dirette. Come ho detto non sono una novità assoluta, ma hanno un piglio molto interessante e vale seriamente la pena ascoltarli e provare a seguirli durante i loro live.

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DUNGORTHEB “Extracting souls”

GENERE: Death metal ETICHETTA: Great Dane VOTO: 70/100

Records

RECENSORE: Alessandro

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I francesi Dungortheb hanno una cadenza quasi quinquennale ovvero: il loro debutto sulla lunga distanza, avvenuto nel lontano 2003 a titolo “Intended To…” venne seguito cinque anni dopo, nel 2008, con “Waiting for silence”; sono passati sei anni ed ora ci propongono un nuovo lavoro dal titolo “Extracting souls”. Ad ogni uscita una canzone in più La proposta musicale dei ragazzi d’oltralpe è un death metal abbastanza swedish style con composizioni “infettate” anche dal thrash-death. Sinceramente le composizioni non sono malaccio, ma con tutto quello che esce, anche in ambito death metal, devono provare i Dungortheb ad andare oltre i “compitini” e provare soluzioni nuove. La voce di Grégory ‘Pass’ Valentin, pur restando “fedele” ad un growl “strozzato”, non risulta particolarmente incisivo; dipende forse dal fatto che rimane troppo poco profondo e a volte troppo “mononota”. Interessanti invece i riff delle due chitarre per mano di Durin e Pierrat. Dignitose le parti della sezione ritmica ad esclusione di un basso che a volte manca, nel senso che si confonde e non spicca. Direi che le canzoni che mi sono piaciute di più di altre sono “ A red night”, “6:43”, “When I belive I live” e “From memorie sto silence”. “Extracting Souls” nel complesso è un cd con i canoni del death metal odierno, pulito, aggressivo e curato, che di fatto sale rispetto alle sonorità “caserecce” ma ancora in grado di dare delle bordate di cattiveria. In definitiva la band fa un buon lavoro, un cd che è una giusta combinazione per chi non è avvezzo alle sonorità troppo old style e nel contempo non apprezza molto le derive melodiche che stanno andando per la maggiore in questi ultimissimi anni. Un platter di nove tracce più intro ed outro che può regalare delle emozioni.

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EX-TRIM

“Non plus brutal ver 2.14” GENERE: Crossover ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 75/100 RECENSORE: Alessandro

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Gli EX-TRIM si presentano come la risposta italica al crossover , ma andiamo per gradi. La band nasce nel 2012 con palese rimando visivo a band quali Slipknot, Disturbed, Otep and Co... Il loro è un crossover (mi spiace ma mi rifiutai negli anni di definire il crossover “NuMetal” e non credo di doverlo fare ora a parecchi anni di distanza) cantato rigorosamente in italiano scelta coraggiosa, e forse un pochino scellerata a mio avviso, ma che con il sound della band ci sta comunque molto bene. Il loro lavoro che qui andiamo a recensire si chiama “ Non plus brutal ver 2.14”ed è il loro album d’esordio ed è veramente una botta deep in your face. Produzione di alto livello, suoni calibrati in modo ottimo, arrangiamenti taglienti, il mastering tipico di lavori similari e comunque ogni strumento è sentito dal primo all’ultimo suono che lo strumento ha da fare, senza perdersi e senza mischiarsi con altri. A dimostrazione (ennesima) che se vuoi qualche cosa fatto bene, hai da crederci e sudare per averlo e non è questione di esordio o di primo lavoro che tenga. Composizioni in linea con un certo crossover e testi di pura aggressione contro un certo stato delle cose e duna certa società degradata e degradante. Direi che le canzoni “Sepolto vivo”, “Martirio”, “Distruzione totale”, “Venix hardcore”, “Spaghetti brain” e “Sei! 66” hanno le caratteristiche per farvi capire cosa sono e come suonano gli EX-TRIM. Come sempre fate vostro il cd e valutate le vostre top songs. Concludendo direi due cose, in primo luogo complimenti alla band per la proposta e per il loro esordio così corposo. Valutazione mia personale la band dovrebbe valutare (scusate il giro di parole) la possibilità di cantare in lingua straniera se vuole andare a “prendere” più mercato e più fans, dato che in Italiano si rischia di rimanere troppo nel “sottobosco” sonoro. In secondo luogo a voi che mi seguite vi invito a prender e una copia di questo “Non plus brutal ver. 2.14” perché ne vale veramente la pena.

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EXHUMIND “Exhumind”

GENERE: Heavy metal ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro

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Giovani leve metalliche crescono mi verrebbe da dire… I ragazzi di Fabriano sono molto giovani (tutti nati tra il 1990 e il 1994), ma nel contempo determinati e prolifici. E’ da poco più di un anno ( 20 ottobre 2013) che la band esiste e già propongono un Demo/EP di tre brani di heavy metal. La combinata delle loro abilità e delle loro attitudini porta all’orecchio dell’ascoltatore una serie di composizioni buone, anche se leggermente acerbe, e degli arrangiamenti piuttosto variegati e discreti. La parte secondo me da “migliorare” è il decidere il genere, nel senso che alcune canzoni sono più hard rock oriented ed altre quasi thrash. Lo dico più per la band che non per voi che mi leggete, dato che le proposte dei tre brani sono piuttosto interessanti, ma leggermente slegate tra loro e a dirla tutta band che si possono “permettere” di suonare più generi, e nello tesso album, pur restando coerenti so contano sulle dita di una mano e in numero dispari inferiore a 5. Il problema non è il poter fare più di un genere nello stesso lavoro ma il fatto di voler accontentare tutti, disattendendo di fatto molti e risultando quindi “nella media”. Pregio va alla voce di Cinzia che propone un cantato femminile ottimo e che non propone la solita solfa del protolirico solo per il fatto di essere donna, magari in alcuni casi trovare una nota leggermente più bassa permetterebbe a lei di dare acuti più lunghi e meno forzati. Essendo solo tre brani direi a tutti voi di ascoltare questo Demo e poterlo quindi assimilare, ma volendo a tutti i costi dare una top song direi quella che porta il nome della band “Exhumind”. Concludendo, il voto è basso solo per l’esiguo numero di brani che non mi permette di entrare meglio nemme “corde” della band, ma di certo questi tre brani permettono a chiunque di capire che c’è del potenziale e pure di alta qualità. Ragazzi continuate così.

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Personalmente sono stato colpito da tracce quali “Devouring me”, “The grey machine” (e la sua la ghost track), “Prometheus Scars” e “Psycho crave”. Come spesso dico ascoltate questo album e fatevi la vostra personale top songs. Quello che voglio però aggiungere è che la band merita attenzione per il lavoro che ha fatto fino ad oggi e per quello che è questo album in particolare, a mio avviso particolarmente maturo evariegato. The Fifth Fury è sicuramente un buon album, ma è mancante di un “quid” che possa far fare un nuovo salto di qualità alla band, speriamo che con il prossimo album ciò possa accadere. Alla band dico di continuare verso la trasformazione che hanno cominciato con “Earth-sick” in modo da potersi differenziare da molte altre band di death tecnico. Album consigliato agli amanti del death e della musica fatta come si deve.

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EYES IN THE VOID “Eyes in the void”

GENERE: Death metal ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

EP di debutto per gli Eyes In The Void, gruppo austriaco attivo dal 2012 (alcuni gigs su tutti: la finale del metalcamp Austria, l’aver aperto a Milking the goatmachine e The Agonist ) e dedito ad un death metal con venature melodiche vagamente alla “At the gate”. Ci propongono quattro tracce davvero interessanti. Tecnicamente hanno fatto un buon lavoro di composizione, magari qualche sprazzo in più di estro ed avrebbero avuto un proprio sound, molto in linea con i canoni del death melodico; riff taglienti e ritmiche devastanti tutto contornato da una voce potente e possente. Le accelerazioni accompagnate da stacchi e da midtempi cadenzati creano una buona alchimia e dimostrano che la band oltre alla capacità ha anche pathos. Fatto salvo che oltre agli At the gates ho sentito anche delle reminiscenze di In flames, ci sono degli spunti molto interessanti e di dimostrata attitudine. Come spesso dico in questi casi, nulla di male per essere il primo lavoro, ovviamente con la prova sulla “lunga distanza” certi rimandi così marcati dovranno andare a sparire, per il semplice fatto che la band dovrà creare un proprio sound. Le canzoni che mi sono piùaciute più delle altre direi “Words Of Violence” e “No savior”, ovviamente “Run” e “Death awaits” non sono male anzi, ma come sempre volendo trovare le punte di diamante direi le prime due. Fate vostro questo EP, in modo da poter assaporare il sound della band. Concludendo, gli Eyes In The Void si dimostrano abili tecnicamente e attitudinalmente capaci di proporre in studio e su cd le loro idee e i loro brani, ora non manca che un album intero in modo da poter saggiare le capacità del combo viennese. Consiglio alla abnd di continuare su questo percorso, ma provando a crearne uno proprio in modo da non esser più legati troppo ai “padri”. A voi cari lettori esorto a cercare un contatto con la band e a prender copia del loro EP, ne vale la pena.

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FORGED IN BLOOD “demo(n)14”

GENERE: Heavy metal ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 60/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

I Forged in blood si formano nel 2008 da due ex membri dei Toxyc youth,ma fino al 2011 la lineup continua a cambiare, ma a fine 2012 la band riesce a trovare una quadra e a poter quindi presentarsi live e registrare il loro primo demo. Musicalmente sono heavy classico, con qualche rimando a certe sonorità epic e power dei primi anni 90. Le registrazioni sono state fatte ai Cellar Door Studios e prodotte da Gianluca Amendolara,( produttore vicino a nomi come Punkreas, Pornoriviste e altri). Il demo è scorrevole, forse troppo scorrevole… magari con delle risoluzioni sonore un pelino troppo retrò, ma credo che se la band avesse avuto in mente di ricreare le sonorità della nwobhm ci è riuscita abbastanza bene. Certo magari qualche “variazione sul tema” e magari qualche “aggiornamento” di suoni avrebbe giovato, ma solo per il fatto che ci sono tantissime band che ora come ora si rifanno ai suoni di venti e trenta anni fa, ma ad alcuni riesce meglio ad altri meno. Inoltre risultano a mio avviso un filino “easy listening” nel senso che non calcano la mano in nessuna parte e restano quindi nel “mezzo” di troppe risoluzioni sonore e di troppi arrangiamenti scontati. Io personalmente avrei evitato il rullante così presente. Mi è poco chiaro il voler somigliare, a livello vocale, a Bruce Dickinson e risultare un mix tra David Bowie e Blaze Bayley. Le chitarre “costrette” a mio avviso, nel senso che poco “partecipi” dei brani e quasi interessati a trasmettere tecnica e basta al posto di tecnica ed emozioni. Il basso poco presente a mio avviso, ma anche in questo caso c’è da capire dove la band volesse puntare. Se l’idea era di suonare alla Iron Maiden diciamo che il risultato non va bene, se l’idea era di suonare heavy classico manca un pochino di spunto da parte del basso. Inoltre capisco la voglia di retrò, ma non mi è chiaro perché in ambiente thrash old school e heavy “classico” si facciano ancora copertine così esageratamente vecchie. Capisco tutto, ma avendo di fatto utilizzato della computer grafica per fare quella copertina, magari un minimo di accortezza in più avrebbe giocato a favore, almeno quello visivo, della band.

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Direi che le quattro tracce sono piuttosto equivalenti, non vi sono punti di maggior spicco rispetto ad altre, di certo questo è un demo only for die hard fans del genere nwobhm. In definitiva se la band per il prossimo futuro farà delle piccole modifiche e degli accorgimenti potrà sicuramente ottenere maggior interesse da parte di tutti, per ora posso sicuramente consigliare di seguire la band a chi è fanatico del metal classico anni 80 e che non vuole minimamente delle novità o delle varianti.

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HIGHWAY DREAM “Wonderful race”

GENERE: Hard Rock ETICHETTA: Street symphonies VOTO: 78/100 RECENSORE: Alessandro

records

Schümperlin

Highway dream debuttano, grazie alla Street symphonies records. La band proviene da Cremona, nasce nel 2008 e dopo alcuni assestamenti di lineup registrano il loro primo EP nel 2009; dopo 5 anni di lavorazioni e di live la band si presenta con “Wonderful race” e se non lo si sapesse che sono italiani, si potrebbe dire tranquillamente essere band americana di hard rock. Le radici della band sono ben piantate negli anni d’oro, quantomeno per me, del hard rock ovvero gli anni ‘70/’80. Inoltre la voce femminile crea un quid in più e rende più accattivanti le note che escono dallo stereo. Tecnicamente hanno fatto un buonissimo lavoro, partiture ben strutturate, tipiche del genere ma non scontate o banali. Buone le idee anche per gli arrangiamenti e per le post produzioni. Tutti gli strumenti sono articolati in modo da dare il loro apporto ed evitando di dare troppo spazio a questa o quello strumento o anche lasciare e far permanere la voce troppo sopra le righe. Forse avrei preferito delle sonorità differenti per la batteria, più “ruspanti” rispetto a quelle proposte, ma siamo più in ambito di piacere personale che non di errore. Diciamo che le canzone come “Unbelieveable”, “Wonderful race”, “Highway Dream”, “Many Reasons” e “Some Stars” rendono edotto l’ascoltatore delle abilità e delle capacità che la band ha sia dale canzone più articulate a quelle più radio oriented e easy listening. Come sempre sono canzoni che vi ho inserito in ordine sparso e senza una scala di gradimento, ma solo di indicazione. Come scrivo ogni volta date un ascolto e valutate voi le vostre preferite. Concludendo, e tirando le somme, si è atteso parecchio per l’esordio sulla lunga distanza e devo dire che l’attesa si è ripagata. La band ha delle abilità interessanti e le capacità per andare avanti e farsi sentire, mi raccomando però non abbassare l’asta della qualità,. Perché l’hard rock è un genere particolarmente esplorato ed “esploso” da parecchio, quindi la differenza tra una continuazione el’oblio è proprio la qualità. A voi che mi leggete consiglio l’acquisto se avete bisogno di un album che vi accompagni durante un lungo viaggio.

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HUMMANO

“We hate you all!!!” GENERE: Deathcore ETICHETTA: Blood fire VOTO: 68/100

death

RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Gli Hummano sono una band spagnola che si presenta a noi con il loro nuovo cd ‘’We hate you all’’. Prima di questo album la band ha già dato alle stampe un demo nel 2011 “Pordetralus” e un album “Is the shit” nel 2013. C’è da dire immediatamente che il libro non è da giudicare in funzione della copertina. La band fa un set fotografico piuttosto risibile, come si può notare dalla copertina. Si propongono in copertina, ma devo dire tutto il cd nel complesso, con gli stilemi del glam più grezzo e buzzurro anni ‘80, ma la loro proposta è un deathcore piuttosto aggressivo e molto americeggiante. Strutturalmente nulla da dire, suoni pompati in puro stile ‘’Loudness war’’ (per chi non sapesse di cosa parlo è una “tecnica” di post produzione che porta a comprimere e normalizzare i suoni fino ad ottenere non più una serie di forme d’onda, ma una “muraglia” sonora compatta facendo guadagnare in spinta ma perdendo in dinamica) risoluzioni ed arrangiamenti in linea con il genere e con le aspettative del pubblico. Unica cosa la mancanza di innovazione (immagine esclusa). Nulla da dire quindi per le proposte sonore, se non che non sono innovative, buoni i takes delle voci, delle chitarre, di basso e di batteria. Ma come ho detto poco sopra mancano di un proprio piglio e sono ancora troppo legate a band che i quattro ispanici apprezzano. Purtroppo la band non va oltre i ‘’compiti’’ previsti e non sento delle variabili che possano far salire la band oltre la soglia delle band brave che fanno lo stesso genere. Sia chiaro la band è brava e le canzoni sono belle solide, ma la variabile in questo periodo è sapersi sollevare dalla media, perché in studio, e a volte da casa, vi sono prodotti della stessa qualità e di conseguenza emergere e sfondare sono diventati obiettivi più ardui da raggiungere. Emozionalmente parlando ‘’Wtf?’’, ‘’Omphaloseptic’’ e ‘’Pseudosocial’’ sono brani interessanti e validi per comprendere le abilità della band. Come sempre fate vostro il cd e ascoltatelo, deciderete voi poi quali sono i brani che più vi appagano. In chiusura di questa mia posso dire che la band è interessante, come interessante è il loro ‘’We hate you all!’’, unica cosa consiglio alla band di andare oltre gli standard sonori per poter emergere meglio. Consigliata a chi ama i Devildriver, i Black dahlia murder, gli Architects e gli Hatebreed.

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IN YOUR FACE “Artic//antartic”

GENERE: Metalcore ETICHETTA: Blood fire VOTO: 80/100

death

RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

In your face, “nomen homen” oserei dire. La band spagnola arriva direttamente in faccia all’ascoltatore (come il suo nome indica) con un metalcore di chiaro stampo americano e con venature death. Formatisi nel 2008 dal Dùrcal (nella zona di Granada), propongono al pubblico nel 2010 e nel 2012 due lavori, un EP dal titolo omonimo ed un singolo “Océano del odio”, in autoproduzione e questo album invece sotto la blood fire death dal titolo “Artic//antartic”. Il cd è stato registrato a Madrid (Il Metal Factory Studios, Alex Cappa) ed è stato fatto mastering in Portogallo (Erik Monsonís). Devo dire che il lavoro è stato fatto in modo egregio, se pur rimanendo in modo ossessivo legato a tutto il processo tipico del metalcore, sia per quanto riguarda le composizioni sia per quanto riguarda la parte “visiva”. La band si attiene alle formule classiche del metalcore, quindi chitarre pesanti, droppate e “cubiche” con classici stacchi moderati . Il basso che tendenzialmente segue le linee della chitarra. Voce che cambia da growls a semi scream a momenti più “melodici” e batteria tipica da metalcore che favorisce l’headbanging. Devo dire che in alcuni punti mi ricordavano però gli In flames e gli Hatebreed, forse è quello che mi ha permesso di poterli apprezzare di più. Nel senso che si, sono metalcore ed hanno fatto le cose in quel modo e con quello stile, ma hanno provato ad osare un pochino aggiungendo materiale “esterno” al metalcore puro. “Zenith” che è anche uscito come loro primo video, “Polar”, “Green soldiers”, “climax” e “Abyss planet” sono tracce che mi hanno colpito. Prendete il cd ed ascoltatelo e fatevi una vostra idea ben precisa delle capacità della band. Tirando le fila, direi che il cd, in digipack oltretutto, della band è un buon prodotto, se pur rimanendo in ambito metalcore tentano almeno di staccarsi (musicalmente parlando) dal già sentito e dal già visto e ci riescono piuttosto bene. I fans dei Gojira potrebbero apprezzare parecchio le abilità di questi ragazzi e non solo loro.

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Concludendo se cercate novità assolute o formule mai viste, non è questo il cd per voi. Nel senso che qui non ci si inventa nulla, ma si porta avanti un genere che si avvale della semplicità , del feeling e del groove che porta con pochi accordi e con poche scale. Gli inside the hole cercano di mettere certamente del loro e ci riescono molto bene a mio avviso. Il cd fluisce in modo ottimo e con una certa piacevolezza. Direi che potrebbe essere la colonna sonora per le vostre ferie. Ottima (ri)proposta degli Inside the hole, ve li consiglio e a loro consiglio di uscire il prima possibile con un album di inediti.

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ISENBLAST

“ Unleashing the demon” GENERE: Black metal ETICHETTA: In satana’s

custody records/ Demon breath production

VOTO: 68/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Isenblast da Detroit, che, dopo l’uscita di due demo giungono a questo ep composto da quattro pezzi di death-black vecchio stile. Quando dico vecchio stile ricorda in modo massiccio le sonorità death delal fine degli anni 80 e del black primitivo di inizio anni 90. Per dare dei rimandi conosciuti direi i Dissection dei primi album, i Tiamat dei primi due album (fino a “the astral sleep” per capirci) e sotto un certo aspetto anche un filino i Darkthrone per attitudine di arrangiamenti. Tecnicamente un lavoro fatto con criterio e con un certo gusto per sonorità di un tempo. Va detto che pur non presentando nulla di nuovo, propongono un ottimo connubio tra sonorità di altri tempi e apprezzabilissimi risoluzioni moderne. Il cd pur suonando “old style” non ha quella cosa che si può definire come mancanza di talento nascosta dietro al genio. Ovvero la band sa fare in suo lavoro e lo fa bene dando all’ascoltatore un prodotto dignitoso e valido, senza mistificare con la “rozzezza” il cd e le tracce. Le uniche cose che mi sento di muovere come critica la chitarra solista che a volte non è ad un livello sonoro ottimale e i soli piuttosto “scontati” e la copertina troppo “retrò” e troppo abbozzata. Come dico sempre non è solo la musica la cosa importante in un cd. Molto interessante come uscita per gli appassionati della vecchia guardia di death- black senza mezzi termini. “Unleash the demon scourge” e “Nocturnal offering” le canzoni che delle quattro spuntano in modo più preponderante. Se siete interessati e o appassionati della vecchi scuola del metal estremo questo è certamente un EP che dovete avere, per gli altri può essere interessante per sentire che a distanza di anni ci sono delle nuove proposte che pescano dalle profondità del tempo e dello spazio più oscuro. Non aspettatevi però materiale nuovo e mai sentito, perché non lo è, ma ripeto, è un buon approccio al death.

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MAAHLAS

“Nightmare years” GENERE: Death black metal ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 95/100 RECENSORE: Alessandro

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I Maahlas sono una delle mie scoperte “fotoniche” del 2014. Nel senso che un album di questa caratura e di questo peso specifico capita poche volte durante l’anno. Un vero capolavoro. Purtroppo, uno degli errori di molte bands, le notizie che ho su questa band non sono moltissime, salvo che i due musicisti assolutamente spettacolari ufficialmente in line-up dei Maahlas, il polistrumentista Cüneyt Çağlayan ed il cantante Levent Ultanur, nonostante vivano in Norvegia, sono evidentemente di origine turca. Detto questo, un dubbio mi assale ovvero: come mai i Maahlas sono ancora in “fascia autoprodotta”? Perché una band con queste capacità e con queste abilità non ottiene il riconoscimento dalle etichette? Questa è l’ennesima considerazione e l’ennesimo dubbio in merito a certe scelte di dubbia entità da alcuni “addetti ai lavori” tra case discografiche e distributori. La band è stata in grado di intessere abili rimandi a band di alto livello, vedi Opeth dei primissimi album e arrangiamenti alla Soilwork, con ottime soluzioni sonore; il tutto miscelato da ottime liriche e corposi growls. Ascoltare “Nightmare Years” porta il death-black ad un livello superiore. Non c’è solo l’aggressività e l’ultraviolenza, ma troviamo anche degli ampi spazi di progressione sonora spettacolare. Un ottimo esempio di prog death (come vennero definiti i primi in flames e i primi dark tranquillità negli anni 90). Sinceramente non riesco a trovare pecche, quasi ad aver di fronte un album perfetto. Sinceramente più di altre volte ho faticato per poter inserire solo alcune tracce, come top songs, direi sicuramente “Sun of the summerian”, “A false world”, “An ancestral memory”, la title track “Nightmare Years”, “The birth of sentience” e “Of hypocrisy, hate and fall”. Come non mai vi esorto ad ascolare questo album per poter meglio capire cosa intendo e potervi fare una vostra personalissima idea di cosa ho (e avrete) in mano. Un disco baciato da un’illuminazione sia per il songwriting che dalle scelte correlate, arrangiamenti mastering etc…, e ottima proposta del duo.

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Speriamo che a breve possano godere di un contratto discografico e di una marcia in piÚ per le loro prossime uscite. Complimenti alla band, vi consiglio vivamente cari lettori di avere il prima possibile una loro copia non ve ne pentirete sia voi che amate il metal estremo che chi ascolta qualsiasi frangia del metal ed è appassionata di musica fatta bene e di sonorità ricercate.

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MINDCRIME

“Checkmate the king” GENERE: Hard rock ETICHETTA: Red cat VOTO: 65/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Situazione particolare per questo album. I Mindcrime sono una band romana dedita ad un certo hard rock con venature prog, nata come idea di fare da cover band dei Queensrÿche, la band oltre ad avere questi natali ha usato il proprio nome come simbolo e tributo ai Queensrÿche, dato che “Operation: Mindcrime” è il terzo album della band americana. Come sovente accade da cover band si passa a fare materiale proprio ed ecco che esce il loro “Checkmate the king”. Come ho accennato in incipit “Particolare”, particolare perché i presupposti sono più che ottimi e le opportunità musicali “sulla carta” sono tante, purtroppo dall’attitudine alla passione passando poi per il cd e le note le cose cambiano e non poco. Partendo dal fatto che la band ha delle potenzialità e delle capacità non indifferenti (ci tengo a rimarcare la cosa), vedi sia per la passione che inserisce nelle melodie e nelle composizioni che negli arrangiamenti, ottime le proposte da parte di ogni musicista, ma la “grana” o, per dirla meglio, il problema sorge con i suoni. Suoni assolutamente piatti, secchi, senza nessuna “spinta emotiva” e senza enfasi, fino al punto di risultare assolutamente sciapi. Sciapi e piatti in relazione a quello che si sta ascoltando ed alle attitudini proposte dalla band come “preambolo”. Mi spiego meglio, il cd è più che dignitoso,al pari di certe proposte uscite in questi mesi, ma mi sarei aspettato tanta cura sia nella composizione che nella post produzione e nel mastering, anche perché ne si presentano come, usando delle scappatoie per giustificare certi errori, band che fa musica concettuale e neppure siamo di fronte alla più scalcinata one man band di black metal che vuole registrare materiale in modo raffazzonato e “sporco” per risultare più “grim and frostbitten”, anzi… Purtroppo ciò che non c’è stato è la cura maniacale per il “risultato finale” e la cosa si fa risentire non solo sulla breve ma anche sulla lunga distanza. Anche perché band con meno esperienza dei Mindcrime e con meno attitudine alla composizione ed agli arrangiamenti sono stati in grado di far uscire suoni dai loro cd molto accattivanti, ovviando il problema della mancanza di accuratezza compositiva con quella della cura nel suono.

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Tracce quali: “Once upon a day”, “We Were Dreaming”, “War in the name of peace”, “Stormchild”e “You always believed In me” sarebbero state delle vere e proprie hits (in ambito hard rock e prog rock) se avessero avuto dei suoni migliori e se in alcuni casi certi meccanismi troppo retrò non fossero stati utilizzati. Concludendo questa mia, torno a ripetere che il lavoro avrebbe, in effetti, un certo appeal ed un buon “numero” di qualità per esser preso in considerazione; ma il problema è, e rimane, la scarsissima cura nei suoni e il risultato finale che pare esser più che raffazzonato. A mio avviso più della metà della “magia” di questo album si è persa in quel modo. Inoltre c’è da tener presente che oggi come oggi in Italia ed all’estero (pur restando nella “sola” Europa) esistono decine e decine di band che propongono i loro album di hard rock e di prog rock a cadenza quasi mensile (e ne sappiamo qualche cosa visto che parecchie passano per queste pagine) e non solo in auto produzione ma pure da label più o meno grandi, le quali sovente fanno un lavoro di correzione con le band per la post produzione, perché:” il cd DEVE suonare bene, se no non vende come dovrebbe” e questo è un aspetto che non deve mai essere sottovalutato.

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MONUMENT OF MISANTHROPY

“Anger mismanagement” GENERE: Death black metal ETICHETTA: Great dane records VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro

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I Monument of misantrophy sono usciti a fine gennaio 2014 in autoproduzione, e grazie ad una campagna di crowdfunding, con questo “Anger mismanagement”. In questi mesi però viene rieditato dalla francese Great Dane Records. La band franco-austriaca è il nuovo side-project del batterista dei Necrophagist, Romain Goulon, il quale si divide i compiti all’interno del gruppo con Jean-Pierre Battesti, alle chitarre e al basso, e con George ‘Misanthrope’ Wilfinger, vocalist (appunto il membro austriaco della band) e in questa fase di assestamento, è stato aggiunto alla line-up un secondo chitarrista, Joris LeNeutre. L’idea della band è di riportare in auge il death metal anni 90 ma con le moderne capacità tecnologiche, oltre a quelle dei singoli musicisti, e già dal primo ascolto direi che l’obbiettivo è stato centrato. Ovviamente, se siete alla ricerca di sonorità “mai sentite” forse non è il vostro album, ma se volete della violenza regalata a piene badilate questo è un lavoro ottimo, magari un pochino troppo corto, che propone dei blastbeat e dei riff chitarristici piuttosto taglienti con dei growls al vetriolo e il tutto viene condito con una post produzione limpida se pur compatta e distruttiva. Essendo un amante del death metal primi anni ’90, quello che propongono come band è assolutamente un lavoro ottimale e farà la felicità di più di un fans della vecchia guardia e potrà comunque ammaliare le nuove leve senza nessunissimo problema. Magari il prossimo album avrà una composizione leggermente differente che permetterà di avere delle composizioni di maggior “freschezza” malsana e che possano elevare la band come interessa. “Carnal offering”, “”Entering a new state”, “Retarded phrase mongers” e “Malformation”sono le tracce che mi hanno fatto tornare indietro di anni. Molto interessanti e valide. Personalmente mi ha lasciato perplesso le parti in scream di George Wilfinger, perché troppo forzate e non completamente congeniali alla sua voce. Come esordio ci siamo, ora aspettiamo il loro prossimo lavoro, magari più lungo di questo “Anger mismanagement”, per poter vedere come la band si evolverà e farà di conseguenza evolvere il suo sound.

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NAGA

“Voglie diverse” GENERE: Pop rock ETICHETTA: La locomotiva VOTO: 60/100 RECENSORE: Alessandro

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I Naga sono un quartetto milanese all’esordio assoluto. Il nome della band si rifà ad una figura di uomo-serpente presente nella mitologia vedica e induista: considerati spiriti della natura, protettori di fonti, pozzi e fiumi, i Naga portano pioggia e fertilità, ma anche terribili disastri, come inondazioni e alluvioni. La formazione è un quartetto Detito ad un pop rock con venature alternative e una spruzzatina di hard rock “Voglie diverse” è composto da otto tracce decisamente a fuoco ma con un futuro incerto a mio avviso, Mi spiego meglio la band basa troppo, per non dire tutto, sulla Voce della cantante, che se pur brava si ritrova sulle spalle un gravoso compito, ovvero quello di (ri)tirare in alto le sorti della band. Il che rende il lavoro della cantante oltremodo pesante a mio avviso. Il disco è ben confezionato, forse troppo: arrangiamenti ottimi, una strizzatina d’occhio all’elettropop, che è toranto in auge in alcuni ambienti “alternativi”, un piede piazzato nell’ A.O.R. e un rimando agli Skunk Anansie abbastanza marcato. Il problema è che il tutto vien suonato con precisione ma senza troppa anima, almeno così traspare all’ascolto. Cantando la band in italiano voglio spendermi in un paio di ragionamenti anche relativamente le liriche (cosa che non sempre faccio lo ammetto). Partendo dal presupposto che ogni artista ha il dovere e la libertà di esprimersi come meglio preferisce, ma ci sono delle situazioni e delle scelte che poi hanno dei contraccolpi, dal mio punto di vista la rima baciata è troppo esasperata nelle liriche, manca solo “cuore, sole, amore” il che rende meno incisiva la proposta della band. Canzoni come “1,2, me”, “Non sogno”, “Se cadono i tuoi pezzi”, “Ottenebra” sono brani in linea con le abilità della band, dategli un ascolto e valutate quali sono i brani che per voi sono più intensi. Devo ammettere che personalmente ho trovato difficoltà a scegliere questi brani, non per qualche cosa particolare, solo che le tracce non restano facilmente in mente e si rischia di non dare una seconda o terza possibilità alle tracce.

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In conclusione, si ha la sensazione di essere davanti a una band “molto fumo e poco arrosto”, una band interessata a costruire brani solidi, con il tentativo di esser accattivanti per la massa, ma poco coraggiosi e assolutamente senza innovazione e senza quella che è presentata come “novità ed eccentricità”. Un disco che lascia l’ascoltatore con un bruttissimo pensiero ovvero: I NaGa potrebbero fare molto di più lasciandosi andare anche solo un pochino, ma che non fanno per paura di essere fuori standard”. Alla band va la sufficienza perché è tecnicamente fatto bene, ma è la parte empatica che manca e quindi non si va oltre i 60 centesimi; inoltre voglio premiare il grossissimo lavoro di Lela che si è poderosamente sbattuta per alzare l’asticella delle tracce, ma da sola non può certamente far miracoli.

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NECROPOLI “I”

GENERE: Doom-Avantgarde ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 95/100 RECENSORE: Alessandro

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Progetto particolare questo “Necropoli” un mix tra avant garde e doom ma di quelli fatti veramente bene e con una capacità di trasmettere sensazioni ed emozioni assolutamente fuori da ogni regola. Personalmente è dal periodo dei Celestial Season di “Solar lovers” che non sentivo un album di questa caratura. La band nasce a Roma come incontro tra Rodolfo Baroni e Dario Fabiani e come progetto da studio, ma in questi ultimi periodi la band ha avuto diversi cambiamenti, in primis l’abbandono di Rodolfo che lascia di fatto in mano a Dario tutta la composizione, l’inserimento di David Unsaved alla voce (già cantante per gli Ennui) e la band sta lavorando con Francesco Romano alla batteria in modo da poter portare il prima possibile su di un palco le proprie canzoni. “I” è la loro prima proposta ed è un concentrato di energia oscura e di emozioni contrastanti oltre ogni limite. A livello tecnico un lavoro eccellente nessuna sbavatura, nessun problema tecnico di sorta, materiale composto, arrangiato e post prodotto in modo ottimale. Unica cosa che magari funziona meno è la lunghezza dei brani, siamo mediamente oltre i dieci minuti a traccia, ma questo non è prettamente un errore è solo per un fattore di fruibilità a più ampio raggio delle loro canzoni. A livello emozionale mi ha colpito la suite da oltre dieci minuti dal titolo “Ashes of my soul” e “Silence await me” (la traccia più lunga di questo EP-LP da oltre diciassette minuti). Sicneramente avrei inserito anche le altre tracce come canzono degne di nota, dato che “Inner space”, “A step” e “Curriculum vitae” hanno una loro speciale incastonatura all’interno di questo album, ma dovendo dare precedenza a quelle che più di altre mi hanno colpito ho deciso di menzionare come migliori canzoni “Ashes…” e “Silence…” A chiusura di questo mio viaggi onirico nella “Necropoli” vi consiglio vivamente questo lavoro se volete un album che sia doom allo stato puro e con possibilità di allargare le sonorità alla sperimentazione ed alla passione più sfrenata di sonorità cosi cariche e così intense da esser fuori dal tempo e fuori dalla standardizzazione.

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STEVE FOGLIA

“Steve in wonderland” GENERE: Hard Rock ETICHETTA: Self Produced / Atomic Stuff VOTO: 87/100 RECENSORE: Alessandro

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Steve Foglia si presenta con il suo secondo album solista; per chi non lo conoscesse Steve Foglia è un batterista di talento e con la capacità di spaziare in più frangenti della musica. Ha suonato tra gli altri con i Jennifer Scream e Rebel Addiction; inoltre con parecchie special guests sia in questo suo ultimo lavoro che nel precedente. Anche qui giusto per far due nomi: Adam Bomb, Mike Vescera, Thomas Silver, Blaze Bayley (Se non conoscete questi nomi, avete un grosso problema secondo me). L’album è stato interamente prodotto dallo stesso Foglia, come per il mixaggio con l’aiuto di Edoardo Tavani, mentre per il mastering Foglia si è avvalso delle abili mani di Dario Mollo (The Cage, Tony Martin, Voodoo Hill e Glenn Hughes). Di fatto la proposta di Foglia è oltre ogni modo curata e interessante, un connubio di suoni e di sensazioni hard rock con un certo sapore “vecchio stile” senza perdersi in “copia e incolla” e neppure senza rischiare di cadere nel “già visto e già sentito”. Ascoltando le varie tracce che compongono questo album l’ascoltatore verrà catapultato nella personale “Wonderland” di Steve Foglia che è “ripiena” di suoni alla Bad Company, Uriah Heep, Deep Purple e Glenn Hughes oltre a delle digressioni in generi che con l’hard rock nudo e puro non hanno nulla in comune ma che creano delle corpose e piacevolmente inaspettate “variazioni sul tema” hard rock. Suoni etnici, percussioni antiche, riff e groove dal blues, dal funky e dal pop rock, un vero e proprio mondo sonoro ben orchestrato e ottimamente prodotto. Riuscire a trovare un brano poco funzionale o “fuori posto” è cosa più che ardua, personalmente le canzoni come “Numbers”, la opener “Fight for justice”, la cover “We’re american band” dei Grand funk railroad, “Club 27” e “Walking in wonderland” sono le pietre su cui si basa la costruzione del sound di Steve Foglia e di questo “Steve in Wonderland”. Concludendo, siamo di fronte ad un vero e proprio lavoro titanico che rende omaggio sia al hard rock che alle abilità di Steve e dei guests che si sono mossi come un’unica onda per arrivare alla “spiaggia” di un ottimo cd. Complimenti vivissimi.

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WIS(H)KEY

“V.i.o.l.e.n.t. c.h.a.p.t.e.r” GENERE: Death metal ETICHETTA: Blood fire death records VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Wis(h)key band ispanica attiva dal 2011 e con alle proprie spalle ben tre album. Il primo omonimo del 2011, il secondo “Manifesto of new standards” del 2013 (i primi due album sono stati autoprodotti dalla band) e questo “V.i.o.l.e.n.t. c.h.a.p.t.e.r “ per la blood fire death (che devo dire che sta promuovendo delle band di qualità in questo ultimo periodo). Quello che loro chiamano groove metal, per me equivale thrash alla Pantera e, ma devo dire cheil loro “groove metal” è piuttosto interessante e differente sia dai Pantera che da quello che è definito ora come “Djent” ( Nota al di fuori della recensione in quanto tale: tra le altre cose già in passato faticavo a comprendere nuovi termini per generi musicali codificati ed esistenti, ora che si arriva anche ad usare le onomatopee faccio ancora più fatica). La capacità di questa band è quella di prendere il meglio dei propri idoli e dei generi ad essi correlati e farne una propria personale composizione. Chitarre belle corpose, un a sezione ritmica che è leggera come un trituratore industriale e una voce che ha il suo bel peso e riesce sia ad andare nel growl e nel vocalizzo aggressivo sia in parti melodiche. Nulla da dire infatti nelle proposte di questo EP composto da quattro tracce inedite ed una loro canzone in versione acustica; versione che fa capire le reali capacità della band sia in fase violenza gratuita quando in melodia e momento di introspezione. “Anthem of pestilence”, “Danse macabre” due dei punti più alti di questo EP, purtroppo una delle pecche più grosse di questo EP è che essendo un EP non do doom o di altri generi particolarmente prolissi in composizione per traccia e l’EP si conclude abbastanza velocemente; la chiusura viene data proprio alla versione alternativa ed acustica di “Alone” (e scopro che è una canzone del loro precedente lavoro) molto interessante e melanconica. senza dubbio i Wis(h)key sono una formazione che bisogna tenere d’occhio e in considerazione per il futuro, perché se non cambiano modus operandi avranno una lunga carriera. Vi consiglio vivamente di avere il prima possibile una copia del loro ultimo lavoro, non ve ne pentirete. Come spesso spiego il voto relativamente basso è dovuto alla combinata delle poche tracce e del minutaggio ridotto del lavoro, ma questo non deve considerarsi un lavoro poco sopra la media anzi.

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FUTEISHA “Dannato”

GENERE: Psichedelia/pop/noise ETICHETTA: Brigadisco VOTO: 63/100 RECENSORE: DroB

Album difficile questo firmato Futeisha, un argentino girovago e dannato come i suoni che emette, così acustici con quelle chitarre lineari e saltellanti - Ragadi nel cuore- ma tanto malate e contaminate da un tappeto sonoro bizzarro, dissonante e, appunto, psichedelico. 10 tracce in cui l’elettronica ed il blues fanno una rissa mentre le voci della città stanno a guardare -il colore verde-, dove la desolazione abbraccia i fumi dell’alcool -Una ma§ana-. Estratti punk, composizioni al limite del noise, un mondo sonoro malsano ma interessante per questa commistione tra concreto, popolare e arido o elettronico. Il prodotto della contaminazione tra culture diverse e (ipotetici) generi musicali.

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LA TARMA “Antitarma”

GENERE: Cantautorato/pop ETICHETTA: Qui Base Luna VOTO: 79/100 RECENSORE: DroB

La Tarma è Marta, 24 anni, emiliana. Certo è che la maturità di alcuni album tradisce totalmente l’età di cantautori che a volte solo l’Italia può fornire, perché fortuitamente cresciuti sotto la stella di autori di spessore o casualmente incappati nei dischi giusti al momento giusto. Comunque sia, La Tarma si aggancia agli apparati uditivi suggerendo spunti di riflessione importanti ed intensi, dove il riferimento letterario si fa guida alla decodifica di certe esperienze concrete. Antitarma è un album variegato dove le orchestrazioni sono ben strutturate e suggeriscono riferimenti ed ascolti importanti, da Cristina Donà mentore alla Rettore nell’attitudine più barocca, senza dimenticare l’enorme Battiato - Il sosia, Mongolfiera -. Icastica è esempio di composizione pop, moderno ed elettronico ma la classicità della melodia vocale la rende ampia, universale. Fiori neri ci porta in atmosfera Scisma e Matia Bazar, romantiche armonie spezzate da un approccio rock è più rude.Ottime soluzioni anche nelle ritmiche -La bellezza delle cose- sempre di gusto e mai invasive, specie nelle drum machine. Insomma, senza voler svelare troppo l’universo Tarma, si può dire che abbia mangiucchiato la storia musicale italiana dolcemente rigurgitando qualcosa di memorabile che va ascoltato con attenzione.

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NOUS AUTRES “La città mancata”

GENERE: Cantautorato folk/pop ETICHETTA: autoproduzione VOTO: 69/100 RECENSORE: DroB

Baccini e Belli sono solo due nomi che all’improvviso ci tornano alla memoria ascoltando questo “la città mancata” dei Nous Autres, o almeno il suo incipit. Ovviamente non in un senso strettamente comico (Zona transito, grande esempio anche per le capacità compositive, gusto in suoni ed arrangiamento). Un album che esalta il racconto dei menestrelli più maturi, che si son nutriti appieno di storie e di musica (Introduzione, col suo inizio psichedelico e sognante) in una tracklist che progressivamente ci induce a riflettere, a volte in maniera più rock, più intensa come in Nervi rotti dove la ritmica si fa cadenzata, seria e più presente a suggellare l’importanza degli altri strumenti (come nel solo di chitarra quasi floydiano) e delle immagini del testo. Ottimo lavoro proprio per la capacità di condurre l’ascolto attraverso una miriade di spunti e sorprendendo per la varietà delle orchestrazioni, che possono convincere e metter d’accordo generi diversi.

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PUSH BUTTON GENTLY “URU”

GENERE: Alternative rock ETICHETTA: Autoproduzione VOTO: 70/100 RECENSORE: DroB

Questa formazione comasca attinge il proprio tappeto sonoro dalla scena pop britannica senza mai cadere nel citazionismo o nell’inseguimento pedissequo di un unico modello. Ci sono i Blur, si, come da presentazione stessa della band, ma ci sono molti richiami anche a Beatles o ad un alternative rock d’oltreoceano di rimando a Sonic Youth - forse per via di alcune soluzioni armoniche, magari solo qualche distorsione chissà -. Il fatto è che il progetto è ambizioso e ben riuscito, c’è del potenziale e tante idee in questo URU, come fosse una creatura proveniente dallo spazio e la si dovesse conoscere. Ascoltare ad esempio You Are You o Turnaround per capire che l’orchestrazione dei brani è davvero variegata e difficilmente ascrivibile ad un genere. Lo stesso materiale strumentale -Idyll ad esempio- è suggestivo ed interessante. Premete play quindi, ma con delicatezza.

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SAINT LAWRENCE VERGE “This is the way”

GENERE: Cantautorale ETICHETTA: Autoproduzione VOTO: 60/100 RECENSORE: DroB

Racconta molte cose questo lavoro, un album soffuso e sommesso. Le voci sussurrate accompagnano in maniera prettamente narrativa gli arrangiamenti di un cantautorato maturo e molto personale, con variazioni quasi classiche - come il piano in Ascension in golden storm -. Le chitarre acustiche suggeriscono di sedersi e lasciarsi andare ad un viaggio introspettivo che catalizza l’attenzione - A decade - oppure distrae senza però passare in sordina. Three Guns Lullaby è esempio di canzone nel senso popolare del termine dove il cantautore si prodiga anche in chitarre più surf o western (almeno, questa la sensazione nell’ascoltare certe soluzioni), All in faded days è uno strumentale di sicura atmosfera, mentre pensiamo che proprio le voci sempre sussurrate possano essere l’elemento dinamicamente più debole del progetto proprio perché non offrono a volte lo spunto per variazioni d’ascolto.

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SAISON DE ROUILLE “Dèroutes sans Fin”

GENERE: Noisy blues dark rock ETICHETTA: Autoproduzione VOTO: 76/100 RECENSORE: DroB

Un viaggio malato attraverso gli antri più cupi del rock, quelli contaminati dalla tossicità del verso poetico alla Velvet Underground e dalla vena industriale degli Psychic Tv passando per noise e dark wave. Le voci, come detto, sono recitate, strozzate e cantilenano arie difficili e rauche degne del locale più fumoso di Parigi. La musica prettamente percussiva stende tappeti cadenzati e gravi, dove feedback e saturazioni si alternano a chitarre quasi grunge per il suono grezzo e scarno - Deroutes sans fin in cui proprio il sottotesto chitarristico rende più interessante il brano -. In effetti come da presentazione ciò che di primo acchito lascia perplessi è ascoltare un album del genere in lingua francese, abituati forse alla dolcezza che certe sonorità dovrebbero suggerire. Invece proprio questa dissonanza rende il tutto ancora più intrigante - Impasse nella sua lentezza rende questa idea in maniera straziante - e le ritmiche marcianti rafforzano la sensazione di disagio che questo lavoro trasmette. Consigliato a chi guarda alla Francia come al songwriting di Gainsburg ed al beat dei Daft Punk.

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TEARGAS “Life digest”

GENERE: Space-rock ETICHETTA: Autoproduzione VOTO: 65/100 RECENSORE: DroB

Steve Foglia si presenta con il suo secondo album solista; per chi non lo conoscesse Steve Foglia è un batterista di talento e con la capacità di spaziare in più frangenti della musica. Ha suonato tra gli altri con i Jennifer Scream e Rebel Addiction; inoltre con parecchie special guests sia in questo suo ultimo lavoro che nel precedente. Anche qui giusto per far due nomi: Adam Bomb, Mike Vescera, Thomas Silver, Blaze Bayley (Se non conoscete questi nomi, avete un grosso problema secondo me). L’album è stato interamente prodotto dallo stesso Foglia, come per il mixaggio con l’aiuto di Edoardo Tavani, mentre per il mastering Foglia si è avvalso delle abili mani di Dario Mollo (The Cage, Tony Martin, Voodoo Hill e Glenn Hughes). Di fatto la proposta di Foglia è oltre ogni modo curata e interessante, un connubio di suoni e di sensazioni hard rock con un certo sapore “vecchio stile” senza perdersi in “copia e incolla” e neppure senza rischiare di cadere nel “già visto e già sentito”. Ascoltando le varie tracce che compongono questo album l’ascoltatore verrà catapultato nella personale “Wonderland” di Steve Foglia che è “ripiena” di suoni alla Bad Company, Uriah Heep, Deep Purple e Glenn Hughes oltre a delle digressioni in generi che con l’hard rock nudo e puro non hanno nulla in comune ma che creano delle corpose e piacevolmente inaspettate “variazioni sul tema” hard rock. Suoni etnici, percussioni antiche, riff e groove dal blues, dal funky e dal pop rock, un vero e proprio mondo sonoro ben orchestrato e ottimamente prodotto. Riuscire a trovare un brano poco funzionale o “fuori posto” è cosa più che ardua, personalmente le canzoni come “Numbers”, la opener “Fight for justice”, la cover “We’re american band” dei Grand funk railroad, “Club 27” e “Walking in wonderland” sono le pietre su cui si basa la costruzione del sound di Steve Foglia e di questo “Steve in Wonderland”. Concludendo, siamo di fronte ad un vero e proprio lavoro titanico che rende omaggio sia al hard rock che alle abilità di Steve e dei guests che si sono mossi come un’unica onda per arrivare alla “spiaggia” di un ottimo cd. Complimenti vivissimi.

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GENERAL STRATOCUSTER & THE MARSHALS “Double trouble”

GENERE: Classic Rock ETICHETTA: Red Cat Records VOTO: 70/100 RECENSORE: Max

doctor rock Ugolini

Apertura sontuosa con Drifter per la voce di Jack Meille(ex tygers of pan tang) e soci ,brano migliore di questo secondo lavoro dove tutto trasuda America ma che ci presenta un gruppo italianissimo,storie rock blues circolano fra le note dei vari pezzi tra echi zeppeliniani e rimandi agli stones degli inizi,tutto a partire dal cantante vecchia volpe del palco, plantiano quanto basta nel suo strillare .Nove potenti canzoni,nuove secche e brucianti che ci portano a spaziare con passione estrema nell’universo classic rock. Da segnalare cute evil angel che ci riporta ai rolling stones di gimme shelter e brown sugar e don’t be afraid of the dark stratosferica ballata hammond alla rival sons. Double trouble è in essenza un lavoro vario per gli amanti di questo sound datato ma anche una piacevole compagnia per l’ascolto di un rock comunque ispirato e credibile per tutti.

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MOOSEEK “Leaf”

GENERE: Alt-pop, alt-rock, electro ETICHETTA: VOTO: 65/100

RECENSORE: Max

doctor rock Ugolini

I Mooseek sono: Elisa Pucci alla chitarra e voce, Fabio Brignone al basso, synth e cori e Davide Malvi alla batteria e sequencer, per un trio indie proprio niente male. Il loro sound è liberamente ispirato a quello di gruppi come Blood Red Shoes, MGMT e Yeah Yeah Yeahs, per un risultato che non brilla per originalità :Grande perizia strumentale della ritmica e voce femminile conturbante che assembla pezzi che presi uno per uno starebbero bene in un ideale dj set per far muovere e ballare a tempo di indie rock e elettronica ,dove chitarre fulminanti si mescolano con sapienza ai synth. Il discorso è un po’ diverso quando si considera il lavoro nella sua unicità’ le canzoni andando ad incastrarle le une con le altre come i tasselli di un puzzle, hanno un contenuto artistico che ne risulta limitato. Si tratta di un ‘opera comunque affascinante se vestita in un certo contesto e lì consumata..Insomma come si comprende, due letture sono possibili e sono fra loro divergenti per molti aspetti come ho cercato di esemplificare, brani che presi l’uno per l’altro riescono a coinvolgere ma presi insieme sono tutti troppo simili..E’ certo che alcuni brani estrapolati dal disco sono gioielli che splendono di luce intensa ma il contesto totale è per certi versi opaco. Cito a memoria due brani che mi hanno maggiormente allertato per qualità’: numbers e Bad thing che in leaf sono piccoli capolavori come anche A room & a Kitchen o In Sleepers peraltro.

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NOON

“775 Lumiére” GENERE: Stoner Rock ETICHETTA: Desert Fox Records VOTO: 70/100 RECENSORE: Max

doctor rock Ugolini

Fra le pieghe dei brani riferimenti distinti a gruppi come black sabbath o karma to burn per citare i primi due che mi vengono in mente ,ma come potrete immaginare sono solo richiami di sonorità .i NOON sono un gruppo che nei nove brani dell’album propongono all’ascoltatore un ricco rifting inebriante fatto di chitarre dense presenti e determinanti nella struttura dei pezzi. Una rocciosa sezione ritmica costituita dal basso di Caterina Mozzi e dalla batteria di Alberto Maffi e peculiare è l’utilizzo della voce femminile di StefaniaSalvi(nello stoner non è usuale ) e quella dell’altro chitarrista Marco Murtas. Influenze doom , punk e psichedeliche arrichiscono il contesto stoner che permea tutto il lavoro con risultati che spingeranno l’ascoltatore a non perdere di vista questo gruppo.

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ALLDWAYS

“La ricostruzione del distrutto” GENERE: Hardcore ETICHETTA: VOTO: 85/100 RECENSORE: Lidel

Hardcore e torino, un binomio indissolubile. Queste parole descrivono al meglio quanto fatto dai Torines “Alldways”, attivi dal 2001. L’album di 9 pezzi si chiama “La ricostruzione del distrutto” e contiene 10 pezzi hardcore non noiosi, mai banali, figli di band come frammenti, bellicosi e negazione. Il disco esce per il mercato italiano grazie alla co-produzione della Scatti Vorticosi Records e della Sailors Overdrive Records e grazie all’etichetta Hitting Bottom Records anche per il mercato giapponese. Già la prima canzone che poi dà il titolo all’album colpisce subito l’attenzione per una costruzione “raffinata” e sicuramente energica, dopo una serie di canzoni abbastanza omogenee, arriviamo dritti alla quinta traccia “Sullo schermo” che è tra le mie preferite dell’album: tutto è perfetto! “Km” continua a mantenersi ad alti livelli, “La voce ferma in gola” è un curioso ibrido post punk\ hardcore, “Sanremo” ha degli spunti molto interessanti come l’intro e lungo la canzone fanno capolino soluzione tipiche dei mai troppo compianti “fluxus”, le ultime 2 tracce nulla tolgono e nulla aggiungono. Di sicuro abbiamo di fronte una band ben rodata, affiatata e capace di regalare in sede live delle esibizioni molto appaganti.

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LATEX TEENS FIRST ATTACK “Age of pandora”

GENERE: ETICHETTA: Supermarchè erotique VOTO: 80/100 RECENSORE: Lidel

I Latex teens first attack han sfornato un lavoro di 6 pezzi Supermarchè erotique davvero niente male, pur essendo strumentale, tranne per Latex. Si passa da atmosfere alla Mike Patton schizzato come nell’opening Lasagni ad una sorta di free jazz impastato con chissà cosa nella seguente Corri pilotto, corri, c’è molta psichedelia in Oh my gong, Latex è una suite di 12 minuti ipnotica, chiude Un bacio per te che mostra una tecnica ancora piu’ elevata di quanto dimostrato prima. Mi sarebbe molto piaciuto sentire queste canzoni supportate da una voce degna.

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LES DIE “Les die”

GENERE: Punk, stoner, hard rock ETICHETTA: VOTO: 80/100 RECENSORE: Lidel

Les die è il nome di una band con influenze stoner\ hard rock con una attitudine punk nella fisicità con la quale eseguono i 4 pezzi a mia disposizione. Cantato urlato al limite dello sclero piu’ totale. Extravirgin è quanto appena scritto, Give me the truth odora di hardcore e deserto, Emperor è sulle stesse coordinate del pezzo precedente, Silence è il pezzo piu’ violento e putrido di questo demo. Ben fatto ragazzi!

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