UundergroundZine gennaio 2015

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RECENSIONI

ANDY MARTONGELLI “Spiral Motion”

GENERE: Rock strumentale ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 78/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Andy Martongelli si presenta con il suo nuovo lavoro da studio e lo fa con l’apporto di grandi nomi della scena delle 6 corde e non solo. Oltre alla band che lo segue formata da Brendan Farrugia al basso, Corrado Rontani alla batteria, Enrico Marchiotto loop e Tastiere e Franz Bazzani come tastierista in due brani, inserisce nelle sue tracce Massimo Pirotti alle tastiere in due brani, Paolo Caridi alla batteria in un brano, e ben quattro axe man e nomi di fama internazionale. Alex Stornello (Angel & Demons) Michael Angelo Batio (Nitro e Batio), Dave Reffet (Guitar Wolrd Magazine) e Dave Martone. Andy Martongelli, al secolo Andrea Martongelli caposaldo degli Arthemis, propone di fatto un album di manierismi e prodezze sulla chitarra. Per quanto riguarda le composizioni nulla da dire, tutte improntate a dare grande spazio e lustro al suo strumento, ma senza rendere di secondo piano gli altri strumenti. Come spesso accade nei cd di musica strumentale, specie metal e rock, si sente la mancanza della voce; ma non è questo il caso. Le composizioni sono tali per cui la mancanza della voce non crea nessun tipo di “affossamento” delle strutture compositive. Le scelte di orchestrazione ed arrangiamento sono di alta qualità e rendono in modo ottimo le canzoni proposte. “Spiral Motion” è quindi un album interamente strumentale, se non siete appassionati di queste tipologie di album potreste trovarlo alla lunga troppo pesante, che propone la visione personale di Andrea in un ambito diverso dagli Arthemis. Inoltre le incursioni in altri ambienti sonori, svisate che passano dal rock al prog ed al power e persino spruzzi di elettronica riescono a dare una dimensione “altra” alle composizioni. Devo dire che pur non essendo un grande estimatore dei cd di musica moderna strumentale, il cd mi ha preso e mi ha fatto stare incollato alle casse dalla prima all’ultima nota. Brani come”Infected garbage blues”, “Screaming ninja”, “Father” ,“Dead symphony” e “Cyber hammer of the gods” sono le cartine tornasole di questo “Spiral Motion”. Concludendo, ottima prova di Martongelli e buonissimo album. Complimenti sinceri e ve lo consiglio non solo se siete amanti delle sei corde, ma se siete alla ricerca di materiale fresco e composto come si deve.

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RECENSIONI

BHLEG

“Draumr Àst” GENERE: Black ETICHETTA: Bindrune

Recordings Nordvis Produktion

VOTO: 85/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Bhleg band svedese, di Göteborg per la precisione, che pur restando principalmente dedita a del black metal vecchio stile, loro risultano speciali. Vi sono alcune varianti rispetto al “tema principale” del black ovvero delle variazioni folk acustiche ed alcune ambient; questo permette di assaporare un aumento di intensità delle composizioni della band, ma andiamo per gradi. I Bhleg (termine proto-indoeuropea che vuol dire “brillare”) sono un duo fedeli a radici del black, ma si sente anche una nuova dimensione oltre a quella del blastbeat, dei trentaduesimi in doppia cassa e lo scream. Questa nuova dimensione è legata forse ad ispirazioni di band quali Ulver e Burzum degli ultimi periodi. La band nelle proprie note dice di voler aspirare a brillare con il loro “Draumr Àst” (in islandese vuol dire Sogni d’amore), album d’esordio, con questo mix di melanconia e di rabbia misto ad atmosfere rarefatte e a picchi di innegabile ispirazione oscura. Tecnicamente la band, come molte estere, non hanno nulla da rimproverarsi per la parte post produttiva, la parte compositiva e le orchestrazioni. Tutto fatto in modo assolutamente corposo e compatto, dando un senso ad ogni singola traccia e proponendo un filo conduttore ideale tra una traccia e l’altra. Inoltre pur restando principalmente negli standard black, l’aver dato apertura ad altre sonorità ed altri arrangiamenti permette di poter affermare che la band va oltre le “solite cose” e riuscire ad andare oltre in un periodo di stagnazione di molti generi non è poca cosa. “Kosmos pulsådra”, “Alyr”, “Skymningsdrömmar” e “Stjärnkartans väv” sono degli esempi delle abilità e delle capacità della band e di quanto espresso poco sopra. Come sempre vi esorto a far vostro questo album e ad ascoltare le canzoni dei Bhleg per poter decidere quali possano essere le tracce più vicine al vostro piacere. I Bhleg sono una piacevole scoperta. Sono una band di oggi con uno spirito antico. Questo spirito non è una brutta copia del passato, ma una vera e propria rinascita dello spirito che fu il motore che fece nascere il movimento black metal scandinavo degli anni 90 dello scorso secolo. I Bhleg propongono oggi una strada nuova, una visione profonda, cruda e primordiale, ma prima di tutto molto vera e genuina. CVomplimenti alla band per aver fatto un lavoro così corposo e interessante, ve li consiglio non solo a voi appassionati di metal estremo, ma a tutti voi che avete interesse per la musica suonata e composta oltre gli stilemi rigidi.

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DIAMANTE

“Ad vitam reditus” GENERE: Hard rock ETICHETTA: Atomic Stuff VOTO: 85/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Nuova band proposta da Atomic Stuff e come è già accaduto in passato così anche con questo album abbiamo di fronte una band di qualità. E i Diamante non sono da meno. “Ad vitam reditus” è il terzo album dei Diamante che propongono un mix di hard rock blueseggiante con “infezioni” di rock prog anni 70. La band è “targata” 1994, ma arriva all’esordio discografico nel 2000 con “Riflesso”, al quale segue nel 2007 il secondo lavoro dal titolo omonimo. Purtroppo nel 2011 una disgrazia si porta via il tastierista Nicola ma la band, dopo un periodo di riflessione, decide di proseguire e viene inserito Alan Garda per proseguire il lavoro di Nicola all’interno della band. Ed ecco che arriva a noi questo “Ad vitam reditus”. Di primo acchito la proposta musicale mi ricorda in parte anche i Timoria del periodo “Colori che esplodono” e “Storie per vivere”, ma la band sa articolare le composizioni e gli arrangiamenti in modo da risultare un poliedro con moltissime sfaccettature tanto da inserire la cover di Branduardi “Ballo in fa diesis minore” e rimaneggiare alcuni brani rimasti incompleti di Nicola Zanoni e di un brano del vecchio album rivisto e riarrangiato. Ottime le composizioni, buonissime le orchestrazioni e gli arrangiamenti. Gli astrumenti sono un turbine di note e sensazioni che collegano tecnica a musicalità e ad abilità empatica. L’unica pecca che trovo è il cantato in italiano. Nel senso che non è un errore in quanto tale, anzi è una scelta molto coraggiosa, l’unica problematica è che a mio avviso il loro sound è più che internazionale e purtroppo non c’è molto mercato per il materiale in lingua italiana. Vi segnalo “Vedi fratello”, “Gloria”, “Io sono… e sarò”, “Profumo d’oriente” e “Respirare te” come tracce degne di nota. Ovviamente “fuori classifica” c’è anche la “Ballata in fa diesis minore”. Confido nel vostro ascolto per poter apprezzare in modo completo le mie parole, ma soprattutto le loro canzoni. Concludendo questa mia recensione complimenti alla band che ha saputo coniugare sonorità estere quali suoni tipici di band storiche quali Deep Purple ed Uriah Heep (giusto per far due nomi) con il prog rock nazionale come i Biglietto Per L’inferno e PFM (principalmente per certe ricercatezze sonore, arrangiamenti particolari e per gli hammond e i moog) con band più leggere come i Timoria. Cari lettori queste sono delle preziosità che abbiamo sul suolo italico e che varrebbe la pena poter spingere e promuovere in modo massiccio e massivo.

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DISSORTED “I”

GENERE: Thrash ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 63/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

I Dissorted sono una band proveniente dalla Germania si propongono come band thrash vecchio stile e con un appeal piuttosto interessante. I rimandi a band quali Sodom, Exodus, Testament, Kreator e Anthrax si sentono in modo molto forte. La stranezza di questa band è che dal 2004 (data di nascita della band) ad oggi non ha rilasciato alcun lavoro, va detto che parte di questa problematica deriva da diversi cambi di line up che la band ha subito fino a poco tempo fa, quando riuscendo a trovare l’alchimia tra i membri hanno potuto portare le proprie idee in studio, registrarle e quindi proporle a noi. Tecnicamente il lavoro è in linea con le band di cui sopra, riff martellanti, voci veloci e aggressive, sezione ritmica a compressione e canzoni con stilemi thrash rispettati. Il problema dal mio punto di vista, unico concreto a mio ascolto, è quello… ovvero non hanno minimamente aggiunto nulla a quello che è l’attuale panorama del thrash e del thrash old school. Capisco che suonare alla “vecchia maniera” va fatto in un certo modo, ma il problema è che se si fa troppo “alla vecchia” si rischia di sentirsi dire:”per ascoltare i cloni, meglio gli originali”. La cosa spiace e non poco, dato che la band dimostra di avere carattere e di avere tecnica, ma resta a mio avviso troppo legata ai “padri “ ispiratori. Nei poco più di venti minuti che compongono questo EP direi che canzoni come “The new world” e “Operation observation” sono due chiari esempi di ciò che la band è in grado di proporre ora. Come sempre prendete il cd e fate vostro il suono dei Dissorted in modo da trovare le vostre tracce preferite. In chiusura consiglio alla band di staccare il cordone ombelicale che li legga alle band che ho indicato e di esagerare nelle composizioni; di osare risoluzioni differenti in modo da ottenere un lavoro originale e fuori dagli schemi in modo da poter primeggiare in un genere che ha detto già molto e che è stato sondato praticamente in ogni sua parte. Aspettiamo di sentire il loro prossimo lavoro, sperando di non dover attendere altri dieci anni.

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DUIRVIR “Idho”

GENERE: Atmosferic black/death ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 65/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

I Duirvir nascono dalla mente di Iskhathron e Ithydvea, i due chitarristi, nel 2011. In seguito si uniscono il bassista Galar e il batterista Rashgroth, con l’intento di suonare death metal alla Amon Amarth. Nel 2013 esce il loro del loro primo demo “Duir” e rappresenta, dalle note biografiche della band, l’evoluzione iniziale da soluzioni “melodic death” ad uno stile definito come black/doom atmosferico. Ma andiamo a parlare del loro nuovo lavoro “Idho”, EP dalla durata di quasi trentacinque minuti, e notiamo che in parte le note biografiche trovano “corpo” nelle sonorità proposte in questo cd. Effettivamente la band prende a piene mani sia in ambito black metal che in ambito doom. Strano ma vero potreste dirmi, ma consideriamo che alcune band dei primordi del black hanno usato per sonorità rallentate e sepolcrali. Ancor di più che oggi va di “moda” il depressive black e il Sucide depressive black, che riprendono l’attitudine a suoni rallentati e doom mischiandoli ad atmosfere particolari, pur mantenendo l’indole black. La cosa interessante è che non sempre questi cambi di tempo sono, in genere, ben calibrati. Eppure i Duirvir riescono con una loro alchimia personale a mettere insieme stacchi lenti e acustici a passaggi di blastbeat in modo assolutamente naturale e senza sbavature di sorta. Noto con piacere un’accuratezza quasi maniacale per i suoni e per gli arrangiamenti. Solo alcuni stacchi acustici non li ho molto capiti, ma qui siamo più in ambito emotivo che non di errore tecnico; forse alcune composizini sono troppo prolisse, non per il genere ma per la gestione della band. Nel senso che sembra in alcuni casi che la band abbia inserito riff su riff senza controllare fino in fondo la coerenza della composizione, il che a livello compositivo è un problema, ma lo è di peso più grande se all’ascolto risulta fuorviante o destabilizzante. Devo dire anche che a mio avviso l’unica parte “death pura” rimasta nella loro composizione è la voce in growl, perché per il resto delle composizioni trovo molto black e molte atmosfere. “Winter Solstice”, “In death in faith in blood” e “On the mounds of the past” sono le tracce che più di altre mi hanno colpito e mi hanno preso. Concludendo, buona prova per la band, diciamo loro solo di porre in essere alcune accortezze per il prossimo futuro e a voi di seguire la band, perché nel complesso hanno da dire e da far sentire delle buonissime idee. UNDERGROUNDZINE


RECENSIONI

EMREVOID “Riverso”

GENERE: Death ETICHETTA: Drown VOTO: 70/100

Within Records

RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Gli Emrevoid arrivano dalla Romagna,propongono un black/death di ampio stampo anni 90, forte è la connotazione di Morbid Angel’s addicted, e cantato in tialiano. Scelta coraggiosa per la band, che in rarissimi casi ha permesso di valicare le Alpi. Va detto però che in ambito estremi la “limpidezza” del vocalizzo e la “perfetta comprensione” del testo va quasi in secondo piano. Nessuna innovazione, va ammesso. La band propone gli stilemi classici del death/black fine anni 90. Anche loro entrano in quello che potrei definire una nuova ondata di death old school. La cosa in parte mi fa piacere, dato che mi riporta indietro nel tempo, ma che lascia un pochino l’amaro in bocca dato che non vi è una vera e propria innovazione; pare che l’innovazione stia nel suonare “alla vecchia maniera” lasciando da parte una serie di ammennicoli e amenità che nel tempo si sono inserite nel death. Forse è questa una delle caratteristiche di punta degli Emrevoid. Certo sia chiaro non è che fanno il copia e incolla di Napalm Death e di Morbid Angel, la band riesce a dare una sua “dimensione” alle composizioni più agè, ma di fatto si sentono tantissimo le loro radici e i loro padri putativi musicali. Inoltre va detto che per quanto riguarda le registrazioni avrei preferito un pochino di più di accuratezza per i suoni della batteria, dato che risultano troppo lunghe le code dei piatti e un filino troppo soffocati rullante e cassa. Ma per il resto nulla da dire. Ottime le chitarre sia per il suono sia per la prestazione, interessante anche il fatto di poter percepire e gustare il basso. Voce assolutamente da oltretomba. Produzione azzeccata a mio avviso. Personalmente la opener “Patibolo”, “Hic et nunc” e “Mostro” sono le canzoni che in questo EP mi hanno più colpito. Non c’è molto altro da dire, se non che i fan del death vecchio stile saranno assolutamente contenti della proposta della band. Per un album sulla “lunga distanza” ci sono ancora un paio di cosine da affinare, ma direi che nel complesso ci siamo. Come spesso dice vale la pena dare una possibilità alle nostre band prima di “cercare altrove” la musica fatta bene.

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HAATE/CHIRAL “Where the mountains pierce the nightsky”

GENERE: Ambient dark/black ETICHETTA: Sixsixsixmusic VOTO: 78/100 RECENSORE: Alessandro

HAATE

Schümperlin

CHIRAL

HaatE e Chiral sono i progetti solisti di due musicisti italiani, chi mi segue da qualche tempo ha potuto saggiare le recensioni dei precedenti lavori di Chiral. La proposta di questo split cd è molto interessante, poche tracce ma dalla durata notevole e con una pregevole capacità di rimanere coerenti in tutta la loro durata e di risultare tutt’altro che stucchevoli o noiose. Ovviamente se siete appassionati sia di dark/ambient (per quanto riguarda HaatE) e in ambito black atmosferico per Chiral. La particolarità sta nell’accostare due generi che di base non avrebbero nulla a che spartire, ma che di fatto per attitudine dei due “deus ex machina” e per l’attitudine delle due frange dei generi vi sono punti di contatto. In occasione di questo split cd le due band decidono di utilizzare materiale edito ma con una nuova veste che materiale inedito. Per quanto riguarda HaatE, apre le danze con un brano inedito “ The Crystal Pathway”, poi andando a terminare la sua sezione riproponendo “Crystal” e la prima parte di “As The Moon Painted Her Grief”, tratte dall’omonimo album. A Chiral spetta il compito di chiudere lo split cd e lo fa rielaborando delle tracce che sono presenti sul cd d’esordio “Abisso” (recensito nel numero di novembre), presentando, di fatto, in una sola lunga traccia di venti minuti intitolata “Everblack Fields of Nightside”. Ottime le tracce, sognanti e nello stesso tempo gravi e sinistre. Sinceramente non trovo problematiche particolari o errori di sorta, i due progetti viaggiano in modo spettacolare tra vacuità sonoree spirituali e le riempiono delle loro impressioni e delle loro visioni. Notevole oltremodo la rielaborazione di Chiral che di fatto abbandonando parte delle bordate estreme propone una trasversalità non da tutti e una poliedricità interessante. “Where The Mountains Pierce The Nightsky” è uno split cd veramente interessante e di forte pregio. Combinazione azzeccatissima di questi due progetti che propongono materiale oggettivamente di alta qualità ma non di uso “comune” e neppure da ascoltare a “tempo perso”. Questi sono brani che si ascoltano e si fanno ascoltare sono se si è concentrati. Complimenti a tutti e due.

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IATO

“Dialektik” GENERE: Death ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Gli Iato nascono dalle ceneri degli Ejaculazione, nella provincia di Cagliari nel 2011. La proposta misicale è piuttosto particolare. Nel senso che si sentono in modo massiccio le influenze di band quali Nile e Dying Fetus, ma la band canta in italiano. Ma andiam per gradi, un minimo di storia ci va dato che è la prima volta che trattiamo gli Iato. La band nel 2011, proprio dopo la nascita propone al pubblico il loro EP “Marchio di fabbrica”, ma come spesso accade ci sono degli assestamenti e delle modifiche di lineup da gestire. Nel 2013 con il nuovo membro la band si muove per proporre nuove canzoni e nuove proposte musicali. Tanto che la band esce con “Dialektik”, quale nuovo EP. Tecnicamente il lavoro è ben registrato e con una qualità piuttosto alta. La band dimostra che pur essendo in ambito di metal estremo e pur essendo al loro secondo EP sanno benissimo come fare ad ottenere certi risultati. In barba a chi millanta il bisogno di budget milionari e produzioni hollywoodiane. Chitarre taglienti come rasoi e basso e batteria morbida come un bombardamento. A differenza di altre volte il cantato in italiano non è penalizzante, per il semplice fatto che non è immediatamente percettibile e dubito che all’estero se ne faranno cruccio; cosa che per altri generi crea non pochi problemi purtroppo. Emotivamente le tracce che mi hanno colpito sono “Padronanza”, “Spirito di adattamento” e la titletrack “Dialektik”. Assolutamente devastanti e di impatto immediato. Come spesso consiglio ascoltate e fate vostro il cd in modo da trovare le vostre canzoni preferite. Nota in chiusura della recensione: l’EP è in tiratura limitata di sole 100 copie, quindi chi prima arriva meglio si accomoda (come si diceva una volta). Per cui fate in fretta a recuperare copia del loro EP. Ottima prova per la band, ve li consiglio.

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KALI YUGA “ KY”

GENERE: Alternative rock ETICHETTA: 800a Records VOTO: 77/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

I Kali Yuga arrivano dalla Sicilia e hanno alle spalle una bella gavetta, la band è “targata” 1992. Il loro intento già dagli albori fu quello di inserire diversi generi che passavano dal grunge (particolarmente in auge in quel periodo) a sonorità più hardcore e punk, fino a delle “spruzzate” di funky ed alternative rock. La band si trasferisce da Palermo e va in quel di Torino e ha alcuni cambi di lineup; il batterista viene sostituito da quello che poi diventerà il batterista dei Marta sui tubi, Ivan Paolini. Il primo loro lavoro è del 1993 al titolo “The under water snake is waiting” per la Vacation house records. Dopo diverse vicissitudini la band si scioglie nel 1999, ma nel 2012 la band decide di riformarsi e proporre il loro nuovo lavoro “Stoned without the sun” pubblicato per la Qanat Records nel 2013 ed ora siamo di fronte al nuovo lavoro: “KY”. Le sonorità che primeggiano in questo lavoro sono ovviamente rimandi al grunge dei periodi “dorati” ed all’alternative rock in voga in questi ultimi cinque anni. Buonissima la prova in studio per la band. Hanno dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio di sapere bene cosa fare e come fare a far ancora musica. Composizioni semplici ma efficaci, arrangiamenti e orchestrazioni in linea con il genere proposto e ottime le risoluzioni post produttive. Li inserisco nel filone dell’alternative rock più che nello stoner, perché le sonorità sono più puntate verso lidi grunge e alternative, ma non mancano soluzioni e suoni riconducibili allo stoner. Unica cosa che a mio avviso si sente in più punti un “collegamento” molto vistoso verso una band europea di pari abilità e pari capacità dal nome” Motorpsycho”. Forse questo tributo troppo marcato potrebbe alla lunga rischiare di adombrare il buon lavoro della band. “9.04 (Here she comes)”, “B Love S”, “Idols”, “Drunk ‘n’ sad” e “The world outside” sono i brani che mi hanno colpito più di altri. Come sempre dico prendete il cd (ma in questo caso è meglio dire il vinile) e far vostro le tracce. Il disco molto interessante a mio avviso e ve lo consiglio, specie se siete alla ricerca di un tuffo nel passato e nei “gloriosi” anni ‘90, speriamo che la band possa andare avanti nel migliore dei modi e continuare a comporre in modo genuino e solido come ha fatto con questo album, magari liberandosi un pochino dalle “sirene” provenienti estero.

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KYNESIS “Kali Yuga”

GENERE: Post metal ETICHETTA: Red sound records Music force

Discover music VOTO: 89/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

I torinesi Kynesis si propongono come band “post metal” (chi ci legge da qualche tempo sa che fatico a capire alcuni nomi di “generi” quando i “vecchi nomi” sono ancora validi e funzionali, ma sto maturando il convincimento che sia un problema mio) ed ascoltando questo loro ”Kai yuga”sento fortissimi rimandi a band quali Cult of Luna. La band ha cominciato il suo cammino prima con sonorità goth, ma non trovando la giusta combinazione o forse volendo andare oltre gli schemi, la band Torinese ha deciso di optare verso sperimentazioni e verso nuovi lidi. Il risultato di questa nuova deriva è il loro esordio dal titolo “Kali Yuga”. Stando in ambito prettamente tecnico i Kynesis propongono delle ottime composizioni a cavallo tra doom, hardcore, death e ambient con molta sperimentazione e molte proposte fuori da schemi standard tipici, tanto che a fianco a tracce aggressive troviamo dei momenti di pura poesia acustica e il tutto senza minimamente risultar forzato o poco funzionale. Il tutto comunque ha ovvie radici piantate nel metal estremo. Nulla da eccepire per quanto riguarda sia le scelte post produttive, che quelle di registrazione e composizione; ennesima dimostrazione che se si vogliono fare le cose con criterio e con capacità si possono fare senza per forza dover avere alle spalle major o chi sa quali produttori. “Karma”, “Redrum”, “Enter the dark age”, “The screamer” e “Pancosmic being” sono degli esempi chiari di quello che la band è in grado di fare. Più di altre volte vi esorto a cercare il cd, uscito nei primi giorni di novembre scorso, ascoltarlo e decidere quali sono le tracce che più di altre sono nelle vostre “corde” “Kali Yuga”, concludendo, è un album che colpisce al primo impatto, permette di apprezzare le sfaccettature che la band ha “scolpito” nel pentagramma. Come spesso dico, di fronte a ottimi lavori, che non vi è alcun bisogno di andare al di fuori della penisola italica per poter godere di ottimi artisti e di ottime proposte ed è ciò che i Kynesis hanno fatto. Spero per loro che continuino in questo modo e che ci possano esser altri lavori di questa qualità e con questa alta sperimentazione.

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LILYUM

“Glorification of death” GENERE: Black metal ETICHETTA: Nacked lunch VOTO: 68/100 RECENSORE: Alessandro

records

Schümperlin

Dopo tre anni di “silenzio” i Lilyum tornano alla ribalta con un nuovo lavoro. I lilium sono band di black metal italiana. La loro proposta è particolare dato che il lavoro è demandato principalmente a Lord J. H. Psycho e Kosmos Reversum. Il primo è ai synth, le linee addizionali di chitarra, basso, tastiere e compositore, arrangiatore per alcune tracce, mentre il secondo è compositore della maggior parte delle tracce, alle programmazioni, alle percussioni e le chitarre oltre che produttore del lavoro. In aggiunta a loro due si innesta Xes alle voci. Questo è il loro secondo lavoro dopo dal titolo “Glorification of death” dieci trace di malvagità sonora a tiratura limitata a 500 copie. Devo dire che musicalmente è una proposta interessante, ma con delle cose da migliorare. Capisco l’uso delle drum machine e dei synth, ma con la tecnologia odierna le batterie me le sarei aspettate un filino meno “di plastica”. Ripeto capisco la drum machine ma con il suono così asciutto e secco risulta leggermente stucchevole. Apprezzabilissimo il basso, che a differenza di molte proposte black, si sente e si percepisce in modo ottimale. Alcuni passaggi invece di chitarra non mi sono chiari, nel senso che non capisco se il suono è quello di una chitarra suonata solo su di una corda, oppure se è un synth che “si accorpa” al suono di una chitarra. Voce cavernosa e al vitriolo come il genere richiede, anche se in alcuni punti, specie sui mid tempo, ricorda molto le voci doom alla Celestial Season dei primi tempi. “Christ will fall”, la title track “Glorification of death”, “Mater pestis” e “Extinction” sono le cartine tonrasole della proposta della band. Come sempre vi consiglio di dare un’ascolto alle tracce e farvi la vostra personale lista di top song. I Lilyum ci propongono la loro versione di black metal, lavoro interessante se pur con delle correzioni da fare (per il prossimo lavoro ovviamente) e con delle buone idee. Se cercate una novità musicale non è una delle prime scelte, ma se cercate materiale black metal piuttosto interessante questo è l’album che può fare al caso vostro.

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MIRKO RUSSO

“Don’t miss the show” GENERE: Strumentale ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 69/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Mirko Russo ha una passione per l’hard rock strumentale, e lo propone a noi con questo “Don’t miss the show” e con gli undici brani di cui è composto questo suo esordio. La tecnica chitarristica è in primo piano ovviamente e si destreggia bene, anche nelle versioni acustiche e nelle ballads e non solo nei pezzi “strong”. Mirko è “una one man band” in tutto e per tutto. Ha registrato ogni parte da solo e “in proprio”. Certo nota di merito per questo, anche perché dimostra di avere una certa abilità ed una certa capacità di base nel fare un lavoro in casa di questo tipo con dei risultati più che apprezzabili. Unico problema a mio avviso che in alcune parti si sentono delle carenze sia per le scelte di tipo tecnico, non essendo lui un fonico ne un mixerista principalmente, sia di tipo gestionale. La sezione ritmica è si precisa, sia per il basso che per la batteria, ma non è minimamente incisiva. Anche perché, specie la batteria, ha alcuni problemi tecnici quali: le code dei piatti troppo invasive nei pezzi e strutturalmente le parti composte di batteria risultano alla lunga troppo piatte e monotone. Ottime invece le parti di chitarra, ovviamente direte voi fidatevi che non è sempre scontata come cosa, e ripeto abilità assolutamente visibili, udibili e tangibili per Mirko e direi che parte degli errori presenti sugli altri strumenti possono essere tranquillamente pesati in modo più leggero; certo è che in un futuro prossimo questi piccoli inciampi devono esser modificati e corretti. In particolare “Spaces”, “Here” e “Silvermoon” sono i brani che più di altri danno la dimensione in cui Mirko si muove e spazia le sue abilità. Inoltre in “Here” sento un rimando ad un classico, penso sia un tributo che Mirko fa ad una delle sue band preferite, che non vi dico; dovrete scovarlo da soli ascoltando il cd. Concludendo, questo primo lavoro è nel suo complesso riuscito, solo che per non sembrare, il prossimo cd, un lavoro a metà Mirko dovrà lavorare tanto sulle composizioni degli altri strumenti e nello specifico con la batteria, oppure optare per un cd di sola musica di chitarra senza altri strumenti insieme e dare una versione più intimistica ed emozionale delle sue composizioni. Altra possibilità per Mirko è di permettere ad altri musicisti di partecipare al suo progetto, pur rimanendo il “Deus ex machina” ma questo potrebbe permettere al suo progetto di avere all’interno delle composizioni maggior personalità e maggior varietà.

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MISTY MORNING “GA.GA.R.IN.”

GENERE: Doom ETICHETTA: Magick

Science Records Doomanoid Records

VOTO: 90/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

I Misty Morning, proveninenti da Roma, sono a mio avviso una rivelazione. Come portare avanti l’eredità dei Cathedral senza dover restare invischiati in meccanismi di tributo e di “copia e incolla” ecco come potrei definirli in una semplicissima frase. La band formatasi ufficialmente nel 2007 si propone come una band di doom metal, ma di quello seminale con palesi rimandi ai già nominati Cathedral e aggiungerei anche band del calibro di Black sabbath e St. Vitus. Il nome dell’album “GA.GA.R.IN.” oltre a rimandare al cognome del noto astronauta russo è l’acronimo di Galactic Gateways for Reborn Intellects. Questo possiamo considerarlo tranquillamente un concept album di quelli fatti con tutti i crismi e con delle sonorità di altri tempi e con una fortissima carica emozionale. Ma andiamo per gradi. Assolutamente nulla da dire per la parte tecnica, tutto è stato curato in modo maniacale ed ottimizzato per dare non solo all’ascoltatore un cd di qualità, ma certamente anche per poter rendere più palpabili le sensazioni che la band ha voluto trasmettere. Dalle tracce più brevi alla suite di oltre dieci minuti tutto è ottimo. Buona la prova vocale, che passa da un melodico basso ad un aggressivo di forte impatto. Chitarre e basso che tessono melodie arricchite dalle tastiere e una batteria ossessiva e cadenzata devastante. Persino l’artwork è perfetto e curato, cosa non sempre presa in considerazione dalle bands, e rende molto bene il senso di ciò che ci sarà all’interno. Molto carina è anche la versione che la band fa del classico di Branduardi “Ballo in Fa diesis minore”, molto particolare, pur restando fedele all’originale. Ho fatto veramente fatica a dover fare la “selezione” dei pezzi migliori, dato che a mio avvisot questo è uno dei top album del 2014; macome spesso faccio voglio darvi delle “suggestioni” e delle indicazioni sonore legate alla band e quindi: brani quali “Mourn O’ whales”, “Doomzilla”, “A new cosmology”, la title track “Ga.Ga.R.In.”(sia in versione “normale” che la bonus track) e “Sonnet” sono esempi di quello che i Misty morning sono in grado di proporre e capaci di trasmettere. Fate vostro assolutamente questo album, ne vale la pena.

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A fine di questa mia recensione, vi esorto a seguire la band, a comprare il loro cd e a supportare una band che vale veramente tanto. Lo so che l’ho scritto sovente, ma… “quanno ce vò ce vò!” questo è un esempio di quante bravissime band ci sono sul suolo italico, senza minimamente uscire dai nostri confini ed avere musica di altissima qualità. Gli amanti del doom, e non solo, potranno sicuramente apprezzare a pieno le note del viaggio proposto dai Misty morning. Complimenti alla band e continuate così.

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NASTY FARMERS “Nasty Farmers”

GENERE: Grunge ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 80/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Forte del fatto che non mi manca molto per arrivare a 40 anni, e forte del fatto che certi periodi storici li ho vissuti direttamente i Nasty farmer, band proveniente da Pontedera, mi riporta a piè pari a quando avevo poco più di 18 anni e infuriava la moda del Grunge e del Seattle sound. La band è nata un anno fa dalla mistura di alcuni membri attivi delal scena punk rock e grunge della provincia pisana. E meno di un anno dopo propongono al pubblico il loro disco d’esordio omonimo; e a differenza di moltissime band l’esordio lo propongono già “sulla lunga distanza”. Partiamo subito con una fortissima nota di merito, tutto l’album è registrato con strumentazione vintage, in analogico e con una mimimale “intromissione” di software per la post produzione. Come sta accadendo da qualche tempo a questa parte i musicisti, principalmente in ambito pop e rock pop ma si sta cominciando ad allargare anche ad altri generi questa scelta, decidono di riappropriarsi degli studi di registrazione e dimostrare coi fatti di aver suonato effettivamente tutto nel cd e non soltanto modificando un “rettangolino” in una griglia all’interno di un software. Di fatto proppongono un disco “nudo e crudo” che di certo ricalca in modo massiccio il sound di Seattle della seconda metà degli anni 90 (un fortissimo rimando su tutti “Alice in chains”). Certo non sarà innovativo, di sicuro non sarò a dichiarare che è la rivelazione sonora dell’anno o del secolo; ma caspita era da parecchio che non entravo in possesso di materiale suonato al 100% e che non avesse “ritocchi” e modifiche tramite i vari cubase, protools etc… Inoltre devo ammettere che è ben fatto e curato nei dettagli. Tecnicamente nulla da dire, suono caldo corposo e pulito, pur tenendo una certa “polverosità” tipica del grunge e del blues misto al rock. Emotivamente devo dire che canzoni come “The dark passenge”, “Cougar”, “Go top low”, “Grilled squid” e “Walk on by” sono palesi “semi” delle piante che cresceranno se darete opportunità alla band di seminare nelle vostre orecchie. Concludendo ottima la prova dei “contadini cattivi”, aspettiamo che facciano il prossimo capitolo della loro personale saga, complimenti vivissimi e continuate così. Magari, unica cosa che mi sento di dire, provate a staccarvi un pochino dalle “sonorità” degli Alice in chains per valorizzare di più il vostro personale songwritting.

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REBIRTH OF ENORA “Downgrading”

GENERE: Metalcore ETICHETTA: MYO agency VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

I Rebirth Of Enora, li vidi per la prima volta a Bologna nel 2012 durante un mini festival e già allora promettevano piuttosto bene con il loro metalcore aggressivo e incazzato. Già allora pprezzai sia la proposta live che il cd d’esordio che acquistai. A distanza di più di due anni noto un miglioramento nelle composizioni e negli arrangiamenti e la voglia di staccarsi dagli stereotipi del metalcore che sta cominciando a “calare” come interesse per la versione “pura”. “Downgrading” è il nome del loro secondo EP, si caratterizza dal metalcore standard per le contaminazioni massicce che la band propone. Abbiamo rimandi di dub, di contaminazioni elettroniche da un lato e dall’altor orchestrazioni e tracce tipicamente di musica classica. Dando di fatto sia connotazioni epiche e corpose ma anche stacchi tutt’altro che prevedibili e interessanti mix. Unica nota un pochino di “calo” è l’innesto di ritornelli troppo simili a lavori di Bullet for my valentine et simila che sinceramente lascerei a “boy band” e non ad un gruppo, che se pur giovane, sta osando e sta andando verso un percorso personale. A livello tecnico nulla da dire, produzione molto alta, suoni controllati e scansionati al centesimo di secondo per risultare massicci e di impatto massivo e con i “crismi” del genere (anche se loro stanno andando, spero, verso lidi personalissimi). Personalmente ho apprezzato “Suffucatd shouted words”, “Bring my life back”, “Venomous tears” e la canzone che prende il nome dalla band “Rebirth of Enora”. In conclusione, si può dire che questo secondo EP dei Rebirth… sia un’ulteriore prova delle abilità e capacità della band. Dimostrazione pratica di come si riesce a seguire e progredire in ambito musicale senza dover per forza fossilizzarsi sui canoni e sullo “standard” di questo o quel genere. Gradirei magari poter apprezzare un loro album intero.

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STONE CIRCLES FUZZ ORCHESTRA “Stone circles fuzz orchestra” GENERE: Stoner ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 78/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Band toscana dal nome particolare e ancor più particolare è il loro suono. Non per il genere che porpongono, loro fanno dello stoner rock con venature alternative/grunge ma per il fatto che sono accordati non a 440Herz ma ben si a 8 Herz sotto, ovvero 432Hz conosciuta anche come “La Verdiano”. Non starò a farvi la storia dell’accordatura e delle implicazioni storiche e scientifiche sui 432Hz, ma sappiate che il suono che ne esce, in concerto con i riff è qualche cosa di assolutamente differente dalla normalità. La band nasce un anno fa come tributo ai Pearl jam , e devo dire che si sente principalmente nella voce rimandi al Vedder and Co., dopo di che decide di andare verso lidi personali e proporre canzoni inedite cambiando anche nome da “Ten jam” a “Stone…” , in un anno sono stati in grado di proporre un album da sette tracce più una cover e passare da suonare canzoni di altri a inediti propri in modo assolutamente naturale e interessante, liberandosi quasi completamente dei rimandi ai gruppi a cui la band si ispirò durante la sua formazione. Tecnicamente nulla da dire, ottime le canzoni per quanto riguarda le composizioni, per gli arrangiamenti e per le registrazioni. Sporche e polverose quanto basta, ma cariche di tecnica e prive di cliché prevedibili o standardizzati. Potrei quasi dire che gli Stone circe fuzz orchestra possono essere a mio avviso la risposta Italiana ai Queen of the stone age. Unica cosa che non ho percepito molto bene la slide guitar (o meglio la lap steel guitar), perché sembra più la classica sei corde con lo slide; e anche il piano moog non ha avuto a mio avviso lo spazio che meritava. Secondo me sono gli unici due strumenti che sono rimasti un po’ troppo “indietro” con i volumi. Non escludo che sia stata scelta decisa dalla band, ma risulta penalizzante per quegli strumenti. Ma detto questo ottima prova della band e carina anche la traccia in italiano. E la versione loro di “Something in the way” dei Nirvana. Sicuramente canzoni come “Death for dummues Vol 2.0”, “Death for dummie Vol. 10.”, “Moona”, “Gods hangover (L’ottavo giorno dio si svegliò)” e “How to approach… in the way” sono delle dimostrazioni delle capacità della band, menzione a parte la cover dei Nirvana, dato che la band riplasma un classico rendendolo altro.

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Inchiusura faccio i complimenti alla band per la proposta sonora, per la scelta coraggiosa di non conformarsi ai 440 Herz dando alle proprie composizioni un sound particolare e accattivante. A voi tutti consiglio vivamente di seguire la band e supportarla perchĂŠ ne vale veramente la pena. Compplimenti ragazzi, buona la prima come si suol dire, mi raccomando continuate cosĂŹ.

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THE LAST VINCI “The last vinci”

GENERE: Alternative rock ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

La band si presenta in modo molto particolare: “The Last Vinci è la band nata tra Torino e Cork (IE) nel 2012, capitanata dal cantante e chitarrista Alessandro Vinci (ex No Conventional Sound) con il supporto della band torinese Satellite.( vincitrice di Stati Generali Del Rock/Arezzo Wave 2014 N.d.A.)” Direi che come presentazione è piuttosto interessante e d’impatto. La band è particolarmente indirizzata a sonorità anni ‘90 ed a certo grunge, nonché alle frange iniziali dell’alternative rock italiano dei primi del 2000. Sento rimandi palesi a una coppia di band in particolare ovvero i Foo Fighters, per quanto riguarda l’estero, e i Piemontesi Rego Silenta. Devo dire che in più occasioni la band ha saputo gestire in modo valido le proprie composizioni e non cadere nel mero “copia e incolla”. Valide anche le scelte in ambito di studio, con post produzioni ottime e non invasive, capaci di far sentire le abilità di chi suonava gli strumenti e permettendo all’ascoltatore di percepire le sfumature di ogni strumento. Forse un pochino meno di code dei piatti avrebbe giovato, ma tutto sommato siamo di fronte ad un primo lavoro ed “errori” di questo tipo possono essere tranquillamente concessi. Simpatica citazione che apre il cd (che in qualche modo mi ricorda alcuni intro di un album dei Queen of Stone age), ovvero del maestro Oogway di Kung Fu Panda, “Il passato è storia il futuro è mistero,ed oggi è un dono, per questo si chiama PRESENTE”. Diciamo che magari con tutto quello che passa sui social come aforismi e frasi ad effetto, perde un pochino di intensità, ma ci sta nel complesso del cd e nel mood dello stesso. Unico dubbio forte è la gestione dei testi, che in alcuni punti è troppo in stile “Spaghetti english”vuoi per la dizione e vuoi per le costruzioni delle frasi. Va ammesso però che se cercate la novità compositiva o la “cosa mai sentita” non è il caso specifico, nel senso che la band propone gli stilemi tipici dell’alternative rock, ma in questo caso non è certo un demerito, anzi; i The last vinci dimostrano, con questi undici brani (dieci proprie ed una cover), che le capacità di creare delle novità pur restando entro i canoni del genere ci sono e “la magia” è possibile.

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Brani come “Follow your order”, “Damned”, “Next killer”, “Every movie ends” sono le dimostrazioni di quanto scritto fino a questo momento. Come sempre fate vostro il cd e decidete le vostre personali top songs. In conclusione devo dire che il lavoro nel complesso è ben fatto, ne vale la pena ascoltarlo e seguire la band. Buona la prima

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THE STICKY FINGERS LTD “The sticky fingers LTD” GENERE: Hard rock ETICHETTA: Logic(il)logic VOTO: 79/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Sticky Fingers LTD, realtà in quel di Modena, Vignola per la precisione, nata da un’idea del chitarrista Lorenzo Mocali, hanno debuttato lo scorso mese per l’etichetta Logic(Il)Logic con il loro album omonimo, carico di hard rock e di rock blues. infiammati dal blues e dai suoni americani. Il La band nasce come rock band dedita a sonorità rock e blues anni 70 e 80 con forte influenza di Rolling stones (visto anche il nome), Beatles, Cream e Lynyrd Skynyrd.Nel 2013 cambiano nome aggiungendo li “LTD” anche, credo, per non esser confusi con le cover band dei Rolling stones e per andare oltre le cover e proporre materiale proprio. La particolarità di questo “Sticky Fingers LTD” è la commistione tra il hard rock e il classico blues americano, passando da suoni anni settanta ai più odierni senza il minimo problema e senza lasciare l’ascoltatore spiazzato. Musicalmente la proposta è più che ottima, dalle canzoni quasi glam a quelle southern rock passando per dei rimandi quasi rockabilly; tutto all’insegna del hard rock più puro ed energico. Buone le scelte di arrangiamenti e orchestrazioni, tutti gli strumenti sono percettibili al loro “massimo splendore” senza perdere per la strada alcunché. Buone le batterie che sono corpose e senza sbalzi di volumi, stessa cosa vale per il basso e le chitarre. Ottima anche la prova della voce. “ (Do you feel my) Sticky Fingers”,” It ain’t over”, ” Rain keeps fallin”, “Jailhouse tonight” e “Sweet delight” sono I brani che più mi hanno preso sugli altri. Direi che la band in qualche tratto mi ha ricordato sia I Cinderella di “Long cold winter” e I Jackil di “Push come to shove”. Come sempre, ascoltate il cd e decidete le vostre personalissime top songs. A chiusura devo dire che il lavoro di questa band è assolutamente ottimo, vale la pena seguirli (so che lo scrivo spesso, ma se le band che recensisco spesso fanno dei buoni lavori devono essere supportate e va sempre fatto notare). Ennesima prova di una band che sa il fatto suo e che non ha nulla a che invidiare ad altre band “più blasonate” d’oltreoceano o al di fuori dei nostri confini. Unica cosa, mettete la stessa cura nella grafica oltre che nelle composizioni, anche l’occhio vuole la sua parte, la copertina e il logo secondo me sono poco incisivi. Comunque complimenti ragazzi.

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WITHDRAW/DEMENTED “Things change others remain” GENERE: Death ETICHETTA: Great Dane Records VOTO: 75/100 RECENSORE: Alessandro

WITHDRAW

Schümperlin

DEMENTED

Siamo di fronte ad uno split tra due band francesi dedite ad un metal estremo, o per meglio dire due visioni similari ma non identiche del death metal. Partiamo dai Withdraw, sono una band dedita ad un death metal old school nata nel 2004, dopo due demo uscirono con il loro primo album “Skull of weak” nel 2009 quindi fecero uscire il loro secondo album “The strongest will” quindi arrivarono a noi con questo split cd. I Demented nascono invece nel 2008 e particolarmente prolifici hanno proposto nel 2009 il loro demo, nel 2010 il loro primo album “Fields of suffering”, due anni dopo il secondo album “Across the nature’s stillness”, nel 2013 firmano per Klonosphere in modo da rendere disponibile il loro secondo album tramite Season of mist. Quindi siamo al 2014 e a questo split. Lo split si divide in tre canzoni per band e le prime tre spettano ai Withdraw, la proposta è molto sullo stile delle vecchie band death metal fine anni 80 e primi anni 90, ma con un quid in più. L’uso prolungato di midtempo che spezzano e creano atmosfera alle parti in blastbeat. Pur notando un buon lavoro in registrazione trovo non sempre ad hoc le scelte in post produzione. Il basso è molto impastato con la batteria e con parte della chitarra e spesso non si sente, escludendo ovviamente le parti in cui è preponderante. Della batteria certe scelte, specie per quanto riguarda il rullante, mi lascino perplesso, risulta troppo secco e troppo “casalingo”. Ma per il resto sono tre bordate in piena faccia. Direi che “Plague strike years” è delle tre la canzone che più mi è piaciuta dei Withdraw. Per quanto riguada i Demented, pur avendo un approccio diretto e distruttivo anche loro, hanno ua visione delle composizioni differenti dai colleghi Withdraw. La band si avvale di sonorità e composizioni più vicine al death metal odierno. Scelte differenti, quindi, non solo in ambito stilistico ma anche post produttivo Il basso e le chitarre si sentono in modo chiaro, la voce è ovviamente al vetriolo come death metal pretende. Unica cosa non mi torna anche in questo caso è il suono di alcuni tamburi della batteria troppo ovattati e con le code dinamiche dei piatti piuttosto smorzata che riduce l’impatto emotivo delle canzoni.

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Personalmente ho apprezzato molto “Clearminded” tra le tracce proposte dai Demented. Concludendo un buon split cd, ottimo per gli amanti del death metal e le sonorità di un certo spessore e di un certo peso. Fuor di dubbio che se state cercando la novità e/o l’evoluzione qui non c’è. C’è del death metal vecchio stile e con la voglia di far male.

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ACTION DEAD MOUSE E L’AMO GENERE: post ETICHETTA: VOTO: 75/100

rock\hardcore, alternative

RECENSORE: Lidel

L’AMO

ACTION DEAD MOUSE

Split tra gli “Action dead mouse” e “L’amo”. 1 solo pezzo a testa. Gli “Action dead mouse” propongono un pezzo lungo ben 9:40 minuti dal titolo “I nomi delle ossa” con influenze alternative alla “Fluxus”, post rock, post hardcore per un risultato davvero notevole. L’altro pezzo è dei “L’amo” e si chiama “Stronza” , ancora piu’ lungo ( 10:10 minuti ) che è un pelo piu’ grezzo e sanguigno come impatto, avendo come riferimento il vero alternative italiano. 2 pezzi interessanti.

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BACKJUMPER “Haze”

GENERE: Post ETICHETTA: VOTO: 80/100

rock. post hardcore, metal

RECENSORE: Lidel

“Haze” è l’album dei Backjumper, 9 canzoni che affondano nel post hardcore, post rock ed atmosfere claustrofobiche, “Whoreship state”, il pezzo d’apertura è la migliore spiegazione possibile per descrivere i backjumper e si accorda perfettamente con quanto scritto prima, “Two sided dagger” continua con quanto proposto prima, “The blessing” ha delle bellissime aperture vocali melodiche (uno dei pezzi migliori dell’album), andando avanti si arriva a “Wolves at my door” con rimandi ai Dillinger the escape plan degli esordi, penultimo pezzo è “Lowlife” che ha molto punk e metal dentro di sè ed è un pezzone, chiude alla grande “No coming back”.

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BURNING NITRUM “Molotov”

GENERE: thrash metal ETICHETTA: Punishment 18 records VOTO: 80/100 (musica) 40/100 (voce) RECENSORE: Lidel

I Burning Nitrum sono una band di thrash metal anni 80 suonato come si deve con però un “difetto” che poi vi spiegherò in maniera approfondita . 9 pezzi piu’ intro compongono l’album di debutto “Molotov”, pubblicato da Punishment 18 records. dopo l’intro si parte subito alla grande con remote of death, che però per me in alcuni punti è rovinato da un cantato fastidioso che mi ha fatto davvero chiedere: ma perchè usare quei pseudo urletti??? Ottimi cori . “Apocalypse of pain” continua a martellare alla grande mettendo in mostra un bel groove, peccato che ci sia ancora quella voce che davvero mi sembra una martellata alle palle. “High speed bangers” profuma di bay area anni 80 nel suo iniziare lento per poi dare corpo come nelle migliori produzioni metallica e company. Tutto l’album dal punto di vista della musica, cori, produzione è davvero da applausi (per me sarebbe uno tra i migliori del 2014) ma la voce in molti frangenti (sempre per me) rovina l’album, tanto è che prima di arrivare a scrivere cose del genere l’ho ascoltato 3-4 volte a distanza di giorni, con l’unico risultato di vedere la mia insofferenza crescere di piu’. Ora capisco voler cercare di dare una voce originale, ma tutti sti urletti a me han fatto passare la voglia di ascoltare. Consiglio al cantante di lasciar da parte quelle cazzate perchè la voce ce l’ha e si sente, però non in questo modo! Per questo album ho messo 2 voti: uno solo musica ed uno voce.

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DEERIVE

GENERE: Pop rock, brit rock, indie ETICHETTA: VOTO: 70/100 RECENSORE: Lidel

Deerive è una band di genova che suona un indie alternative con testi in italiano, l’album è di 8 pezzi e troviamo come influenze anche band tipo Coldplay ed in generale del brit rock. “Wow” inizia a prendere vita dopo 1:20 minuti di inizio, “Si inizia male” è un bel pezzo frizzantino che parte con un basso distorto e poi si vira nel brit rock, mi è piaciuto molto l’attacco della voce ed un plauso lo merita il testo, “Finalmente” è una canzone molto tranquilla, adatta come sottofondo in un qualche pub londinese mentre da seduti si osserva fuori, “Amavo la nebbia” ha un buon tiro, tutte le altre canzoni restano su questo stampo.

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DERVISHO “Dervisho”

GENERE: Alternative ETICHETTA: VOTO: 85/100

brit rock, indie

RECENSORE: Lidel

I Dervisho sono una band troppo, troppo, troppo legata a quanto fatto dagli Arctic Monkeys negli anni addietro. Può andare benissimo prenderli come ispirazione, ma da qui alla quasi emulazione denota mancanza di personalità. L’ep “Dervisho” è suonato ed interpretato benissimo, quindi se a voi non interessa quanto appena letto, avete trovato la band che fa al caso vostro. Basta che sentiate pezzi come “Dervisho” o “New hit”. In quest’ultimo caso le similitudini sono palesi, il pezzo comunque è una bomba. “Brought back feelings” mette in mostra una tecnica spaventosa per il tiro con il quale i ragazzi han suonato, “Darda” chiude questo ep in modo adeguato. I Dervisho mettono in mostra delle capacità tecniche mostruose, il cantante è bravo. Se solo riuscissero a tirar fuori un briciolo di personalità propria, non mi sorprenderei nel vederli nelle classifiche che contano (ovviamente estere).

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I PICARI

“Radiosi saluti da Fukushima” GENERE: Rock, ETICHETTA: VOTO: 80/100

avant punk

RECENSORE: Lidel

I Picari con l’album “Radiosi saluti da Fukushima” propongono un rock molto sghembo, testi molto particolari che sembrano quasi far parte di un progetto avant punk. “Agenzia delle entrate”, il primo pezzo (degli 8 presenti) rispecchia quanto appena scritto, “Marlene” sembra quasi una filastrocca nel testo e la storia raccontata è affascinante per come è stata costruita, “Buoni propositi” sembra quasi una canzone da big band intesa come numero di musicisti coinvolti, arriviamo al quinto pezzo che poi dà il titolo all’album: canzone molto allegra, testo geniale, tutto perfetto! le restanti canzoni continuano su quanto descritto. La band è molto intelligente sia come approccio nella musica che per quanto riguarda i testi. Molto interessanti.

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INTERCEPTOR

“Wise is the beast..but the hunter doesn’t know” GENERE: Thrash ETICHETTA: VOTO: 90/100

metal

RECENSORE: Lidel

Gli Interceptor sono una band di puro thrash metal, l’album di 10 pezzi + intro si chiama “Wise is the beast.. but the hunter doesn’t know”. dopo un intro maestoso ma per me palloso in pieno manowar style, si passa al primo pezzo “Sturm und drang” e giu’ di doppia cassa, ignoranza, anni 80 e testosterone come se non ci fosse un domani, voce potentissima da applausi. “Insane by wrath” persegue nel suo massacro senza pietà per la gioia di chi ama questo genere, “Flag of the falling peace” mette il buonumore anche se si è depressi da far schifo e la voglia di spaccar tutto è altissima, passiamo a “Cryptonomicon”, il pezzo migliore dell’album per me: violenza, violenza e cori anni 80 super ignoranti. Il resto continua con quanto scritto. L’album mi ha messo in pace e se dovessero suonare nella mia zona, ci andrei molto volentieri a sentirli. Band da prendere come esempio se si vuole rinverdire alla grande i fasti di uno stile musicale da ascoltare e vivere.

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LA FINE

“Scontento” GENERE: Post rock, hardcore, noise ETICHETTA: Superdoggy music VOTO: 90/100 RECENSORE: Lidel

“Scontento” è il nome dell’album di 7 pezzi dei La Fine con influenze hardcore, noise e post rock di scuola americana, il tutto supportato da dei testi ben fatto. “Precipizio” è un gran pezzo violento ma allo stesso tempo intelligente nella sua progressione. “La nostra vita fra mille morti” ha molto del post rock e noise, “Cemento” alterna momenti quasi riflessivi a veri e propri scleri, si arriva al pezzo piu’ cazzuto “Verrà la fine”, un’orgia di cattiveria, noise e depressione, chiude “Perchè la gente nasce”, un pezzo nero come la pece con un testo di altissimo livello. Album che mi ha ben impressionato.

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MY SPEAKING SHOES “Siamo mai stati” GENERE: Post ETICHETTA: VOTO: 60/100

rock, noise, alternative

RECENSORE: Lidel

I My Speaking Shoes han realizzato 11 canzoni in bilico tra post rock e noise scuola italiania dal titolo “Siamo mai stati”. Il primo pezzo “Estatina” è quasi un pop rock un pelino piu’ graffiante del solito, le cose cambiano in meglio con “Baba yaga” che tira fuori le balle e colpisce senza pietà, “Calci” prosegue con la canzone di prima, la traccia 5 “Siamo mai stati” è abbastanza indie nella sua costruzione ed ha una atmosfera quasi sognante grazie al fatto di essere strumentale, “Sirene” è uno dei pezzi piu’ concitati, “Fondo” è il pezzo nel quale la voce fornisce la sua prestazione migliore in assoluto, idem in “Tagli”. Questo album se dal punto di vista musicale è valido, non mi sento di dire lo stesso la voce che spesso ho trovato fastidiosa e che mi ha fatto passare la voglia di ascoltare l’album, le cose sono 2: o vi focalizzate su pezzi come “Fondo”, “Tagli” per poter sfruttare come si deve la voce a vostra disposizione o prendete una seconda voce da dedicare agli altri pezzi. Non è cattiveria e nemmeno per fare lo snob, parlo da ascoltatore. Avete delle ottime potenzialità, nell’album si sente benissimo che siete molto abili nella musica ma con una voce del genere onestamente non scommetterei su di voi e non ascolterei una seconda volta il vostro album . Ecco spiegato il motivo del voto molto basso che non vi rende giustizia che se dovessi basarmi solo sulla musica sarebbe sull’80\100.

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NARCOSYNTH “The first fist”

GENERE: Thash metal ETICHETTA: VOTO: 70/100 RECENSORE: Lidel

Ep di 3 pezzi per i Narcosynth dal titolo “The first fist”. Il genere è un thrash metal anni 80 con qualcosa preso da stili piu’ moderni. “Highlighted by dismay” ha un cantato un pò vicino al cantante dei metallica mentre la velocità è su ritmi lenti per essere thrash metal, “Demolition mind” alza il tiro per un pastoso pezzo discretamente veloce e godibile, “Infernal crown” si mantiene su buone velocità, piglia bene sin dall’inizio e viene lasciato un discreto spazio al basso nel mix (cosa spesso tralasciata). Questo ep è ben suonato, purtroppo per loro uguale a milioni di altri lavori sentiti in passato, la voce merita, il gruppo gira bene. Ora i ragazzi devono trovare un pelino di personalità e per me poi dovrebbero riuscire a ritagliarsi il loro spazio senza troppi problemi.

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RAIN! BUT DISSIDENT

GENERE: Alternative, noise ETICHETTA: VOTO: 90/100 RECENSORE: Lidel

I Rain! But Dissident sono una band molto particolare già dalla line up: 2 bassi, batteria, stop. “I like it” è un pezzo acidissimo, frutto di un camion di trip fatti tutti in un colpo, basso distorto, voci e cori davvero alternative, “Lsd” sembra il frutto di una jam session scaturita dall’assunzione di questa sostanza, “Requiem for a dream” ha uno dei bassi con un suono stile “down” ed in genere su un rock metal stoner bello incazzato, cantato discretamente sclerato, “The old” è un pezzo “ambient” ed un pò sinistro che poi esplode in quasi noise, “The white light” è acid noise sperimentale, chiude “The wrestler” che mostra altre interessanti soluzioni, non banali e di effetto. Spesso si usa il termine “alternative” a sproposito, questa band invece lo è davvero. L’ep mi è piaciuto molto, piu’ di quanto mi aspettassi. Se siete stufi delle solite cose, ascoltate i Rain! But Dissident. Per me uno dei lavori del 2014.

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RISE OF REASON “Rise of reason”

GENERE: Metal, hard rock ETICHETTA: VOTO: 80/100 RECENSORE: Lidel

11 pezzi per l’album omonimo dei Rise Of Reason con molto metal e hard rock, supportato da una voce dal sapore molto blues. “Rise of quebec” mette in primo piano la voce su una base di scuola metal abbastanza vicino alla scuola americana moderna, andando avanti si arriva “Gravity you”, una splendida ballata con parti elettriche ed ancora la voce sugli scudi ad innalzare il mood della traccia, “Trip in the sky” è un pelo piu’ incazzata, altra bella ballata “Nothing back in time”, l’album in generale mostra il meglio di sè quando la band suona pezzi meno tirati nei quali la voce (da applausi) è molto ben indovinata.

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SONS OF LAKES PARK “Last day of school...”

GENERE: Punk, melodic hardcore ETICHETTA: VOTO: 70/100 RECENSORE: Lidel

Ep di 6 pezzi da parte dei Sons of Lakes Park dal titolo “Last day of school...” con influenze punk californiano in primis. “Sunrise of generation” è un pezzo pop punk vicino ai sum 41 ed alle band di quel periodo, “Maybe but not today” aggiunge un pò di piu’ la componente rock, “Last day of school...” contiene qualche accelerazione quasi melodic hardcore con dei buoni cori, andando avanti si arriva all’ultimo pezzo “Walking on park’s way”, il pezzo piu’ originale e migliore dell’ep, suggerirei a loro di seguire questa strada.

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TBP

“Musical Colors” GENERE: Hard Rock/Heavy Metal ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 98/100 RECENSORE: Paolo

TBP è un progetto di Mario Contarino. Un giovane batterista, che costretto da una distrofia, smette prematuramente di suonare. L’amore per la musica lo porta a comporre tutte le parti di ogni strumento con software musicali. Dopo la sua prima uscita, totalmente sintetica (Universe of Emotions), va vivere la sua musica in “Musical Color”. Scritta sempre al computer, ogni traccia è stata risuonata da famosi musicisti, tra cui figurano anche Gianni Rojatti (Dolcetti) e Giacomo Castellano (produttore dell’album oltre che “ospite msicale”). Un grande “cast” per un ottimo album, che spazia dall’hard rock, al glam, passando per del sano e classico heavy. Mario si lamentava per una certa “rigidità” dei suoni di batteria e chitarra del suo precedente lavoro, sentiva la mancanza di quello che era il suono vero dello strumento e l’energia del musicista. Un lavoro, principalmente strumentale ma con delle ottime tracce cantate al suo interno, su cui spicca Reach For The Sky con un ottimo tiro, graffiante al punto giusto. Orient Express, apre il disco in maniera magistrale, con un riff stupendo, che passa poi a fare da accompagnamento agli assoli che conducono la canzone come se fossero un traccia vocale, alternando con buona dinamica, parti rilassate a parti più veloci. In Musical Colors si sentono suoni che portano a pensare agli anni ’80 quando tastiere e guitta hero spopolavano. Con J i toni si calmano, e con andamento rilassato ci porta verso territori di pura sperimentazione progressive come The Scorpion, che per certi versi potrebbe ricordare qualche take di un certo Steve Vai… Il ritmo sale ancora con Cry For Nothing con la cantata Wishing Well per arrivare a concludere con la mia preferita, l’ottima Good Luck che fonde tappeti di tastiere ad una linea solistica (con uno suono che potrebbe ricordare forse Santana) che non fa sentire la mancanza della voce, con uno dei migliori riff di tutto l’album secondo me. Tutto l’album è un insieme di piccole gemme, ogni canzone è quasi un mondo a se stante, con il suo genere, i suoi suoni (si passa da suoni “british” alla marshall, a suoni “american” guardando ai moderni suoni mesa) e miscela ottimamente riff e melodia, con pezzi armonizzati su due tonalità, cavallo di mattaglia di gruppi come Iron Maiden o gruppi Power scandinavi.

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Avrei preferito più pezzi cantati, ma è solo un mio gusto personale; i pezzi strumentali sono comunque di notevole spessore, ed eseguiti magistralmente dagli interpreti. Da tenere in considerazione anche l’ artwork dell’album, che porta la firma di Nello dell’homo, artista napoletano specializzato nelle grafiche riguardanti i progetti musicali. L’illustrazione ritrae i colori della musica che fuoriescono da un woofer, una splendida resa grafica della metafora del titolo dell’album. In conclusione un album eccellente, frutto di passione e impegno, il risultato che si ottiene quando si rincorre un sogno.

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BEATS ME

“Out of the box” GENERE: Power pop / punk rock ETICHETTA: VOTO: 70/100 RECENSORE: Milo

Con questo disco farete sicuramente un salto indietro nel tempo e sarete catapultati alla fine degli anni ’70, dove il power pop ed il garage la facevano da padrone nei live club underground. Erano gli anni d’oro, quelli dei Ramones e degli Heartbrakers gruppi che hanno lasciato un segno indelebile nelle pagine musicali mondiali. Ma torniamo ai giorni nostri e ci spostiamo a Roma, dove appunto risiedono i BEATS ME, power trio che irrompe in una scena musicale stanca e senza stimoli, per presentarci il loro nuovo album OUT OF THE BOX . Il genere che prevale è il garage, con moltissime influenze punk rock. I dodici pezzi si fanno ascoltare tranquillamente e possono piacere anche a chi non ama propriamente queste sonorità. Buone le capacità di scrittura e arrangiamento di questi ragazzi che sono riusciti , pur rimanendo su un genere abbastanza chiuso a se stesso, a non cadere nel banale o nel tunnel del già sentito. Complimenti, continuate così!!!

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RECENSIONI

MARSH MALLOWS “V”

GENERE: Hardcore melodico ETICHETTA: Indie box VOTO: 80/100 RECENSORE: Milo

Ritornano dopo una lunga pausa di 6 anni e lo fanno nel migliore modo possibile, pubblicando un nuovo album, il quinto, dal titolo “V”. Loro sono i MARSH MALLOWS e non hanno bisogno di presentazioni, in fin dei conti 16 anni di carriera non sono pochi, e molti di voi saranno cresciuti con le note di questi ragazzi. Le canzoni risentono della maturazione avvenuta in questi anni e forse questa cosa non accontenterà tutti i vecchi fan che magari si aspettavano un disco molto più hardcore e sulla linea degli album storici. “V” pur mantenendo il marchio di fabbrica dei MM sulle sonorità, risulta essere molto più rock e continua il cammino che la band aveva iniziato con il disco precedente. Un cammino che, come accennavo poco fa, vede un percorso di maturazione globale a 360°. Del tutto inaspettate le cover in acustico di “ALIEN” e “CIVIL WAR” , rispettivamente Pennywise e Motorhead, che assolvono egregiamente alla chiusura dell’album, spegnendo dolcemente i fuochi accesi dai potenti riff delle 13 canzoni che compongono il disco.

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RECENSIONI

NOBODY WILL CARE “Serious stuff”

GENERE: Pop punk ETICHETTA: VOTO: 72/100 RECENSORE: Milo

SERIOUS STUFF è il primo EP dei NOBODY WILL CARE , band Bolognese formatasi nel 2013 dalle ceneri degli HEAD ON COLLISION. L’EP è stato presentato il 12 settembre 2014 ed è composto da sei tracce registrate e mixate allo Studio 73 da Riccardo “Paso” Pasini. Il primo singolo, “Pretenders” è uscito in anteprima il 12 agosto 2014, ed il 13 settembre dello stesso anno è uscito in anteprima su BlankTv il video girato dal regista Claudio Stanghellini. Il genere che ci propongono questi ragazzi è un pop punk che si rifà a gruppi come NEW FOUND GLORY, FOUR YEAR STRONG e A DAY TO REMEMBER. A livello strumentale questi ragazzi sono riusciti a creare veramente un bel prodotto, forse unica nota dolente è un po’ la mancanza di personalità e originalità che li porta a copiare un po’ troppo i loro beniamini, ma è una cosa naturale e sono sicuro che con il tempo questi ragazzi riusciranno a trovare una loro identità di gruppo. Da non perdere di vista!!!

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