UndergroundZine Giugno 2014

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Biografia

I Prologue Of A New Generation nascono nel 2012, dal bisogno di sfogare la creatività di cinque ragazzi di trento. Mirko, Dionis,Nico, Cris e Toni si trovano in sala prove con l’obbiettivo di portare a Trento un genere pesante, tecnico e complesso. Trovano la loro strada con le prime cover degli August Burns Red, con le quali vincono il premio giuria del Coveroltre festival. Poi la voglia di fare della musica firmata da loro è forte ed escono i primi singoli “Reborn” e “HY-breed”, gasati dal ritorno del pubblico sono costretti a far arenare il progetto della omonima demo “REBORN” che non verrà mai rilasciata, a causa del coinvolgimento della band a festival grossi come Alberepark, Sot ala Zopa. Rain fest ed altri. Poi nel giro di due mesi la Band sforna 5 pezzi e decide di registrare una demo dal titolo “Written, Buried and Forgotten” che contiene un singolo “Tell me” e 5 inediti, il tutto incentrato sulla perdita dei valori che ci stà contagiando tutti. “In una società che offusca e schiaccia i giovani e le nuove idee, l’unica speranza per cambiare qualcosa siamo noi stessi.” L’EP è stato registrato tutto in casa di Alessandro Mariotti (Custom Vibes), che ha collaborato con il progetto da molto tempo, e con Daniele Durato (Dauda music).

“L’ingranaggio ormai è partito, il prologo della nuova generazione è appena nato ma già urla con forza la sua rabbia”

Lineup

Mirko-Voice Tony-Drums Cris, Nico- Guitars Dionis-Bass


INTERVISTA di Martina Tosi

Ciao e benvenuti sulle pagine di UndergroundZine, parlateci un po’ di come nasce la vostra band e perché? La band nasce a fine 2012 con la formazione attuale, dopo dei mesi in cui Mirko(voce), Toni(batteria) e Cris(chitarra) lavoravano ad un altro progetto che si è arenato con l’uscita dalla band di due componenti. Si aggiungono Nico(chitarra) e Dionis(basso), e con loro si inizia a comporre pezzi per il progetto Prologue Of A New Generation. Le necessità erano varie, la più forte era sicuramente quella di sfogare un po’ di rabbia su uno strumento, e canalizzare l’ispirazione in qualcosa di concreto. Il genere è uscito così per caso, arriviamo tutti da ambiti musicali abbastanza diversi, dall’Hardcore al Deathmetal, dal Grunge al Reggae e questo ha influito sicuramente alla direzione che abbiamo preso, sperimentare e innovare, un genere in evoluzione come il Metalcore era adattissimo.

Come mai avete scelto questo nome Prologue of a new generation e che significato ha? Il nome è stato scelto proprio perché cerchiamo di portare della novità sul palco, non il solito show da nostalgici del metal anni ’80 , non volevamo riproporre un suono già vecchio alla nascita, quindi “Prologo di una nuova generazione” ci suonava bene alle orecchie. Non è una critica ai gruppi che han scelto strade diverse dalla nostra, ogni gruppo si esprime come meglio crede, l’importante è esser felici di quello che si crea e convinti del risultato finale.


Quali sono le tematiche principali dei vostri testi? C’è un argomento, in particolare da cui traete maggiore ispirazione? Le tematiche sono varie, si parla del rapporto tra uomo e natura ormai alterato e malato(The Last Wolf), della situazione sociale in cui si vede un essere umano sempre più simile ad una macchina da manovrare(Human Connection), e poi tematiche personali come la perdita di un legame sentimentale o fisico(Lost). “Tell Me” che parla della sensazione di pace che troviamo in sala prove o con la gente sotto il palco, in quel momento siamo realmente noi stessi, vedere i volti di amici e sconosciuti felici per quello che stanno vedendo e sentendo è una sensazione impagabile. Per poi arrivare alla Title Track del nostro EP-“Written, Buried and Forgotten”, che critica la perdita di valori della nostra società, in cui il rispetto per gli altri è ormai un ricordo lontano, tutto è solo basato sui soldi, e siamo tutti molto più egoisti e interessati solo ad apparire meglio degli altri.

Qual è stata la reazione della critica di fronte al vostro ultimo album, i riscontri da parte delle redazioni sono stati buoni? Abbiamo fatto il Release Party del nostro EP al THE MIDDLE a Mezzolombardo, e solo in quella sera abbiamo fatto un centinaio di ingressi e una quarantina di EP venduti, per ora il lavoro che abbiamo registrato ci sta dando grosse soddisfazioni come ritorno di pubblico. Le redazioni ancora non hanno avuto modo di ascoltare nulla, siamo disponibili a mandare il nostro EP a tutte le WEBZINE e Redazioni che sono interessate. Ci trovate su Facebook : https://www.facebook.com/pages/Prologue-of-a-New-Generation/157365867650199? ref=hl O via mail ad: Anarkanton@yahoo.it

Qual è la canzone che vi soddisfa di più del vostro ultimo album e perché? A livello affettivo sicuramente “Tell Me”, ci abbiamo lavorato molto per renderla al meglio, l’abbiamo proposta la prima volta al Sot Ala Zopa, quando abbiamo suonato su quel palco da brividi, la gente era carica e ci ha trasmesso molto. In generale credo che tutti e 5 amiamo suonare “Written, Buried and Forgotten”, da una gran carica live.


Come s è evoluta nel tempo la vostra band? Dopo aver partecipato a parecchi contest, che raccomandiamo a tutte le band emergenti, visto che è l’unico modo per emergere dal mucchio, ci siamo decisi che era il momento di incidere. Da quel momento credo che la voglia di far sentire la nostra musica abbia accantonato ogni cover, forse l’evoluzione più grossa per un gruppo è questa, capire quando è il momento di mollare la presa salda su dei pezzi che impari a casa e porti a prove già fatti e finiti da altri e cercare di fare un passo oltre e testare la propria ispirazione.

Avete in programma dei Live? Cercheremo sicuramente di suonare per tutta l’estate, in contemporanea stiamo scrivendo nuovi pezzi, e chissà che non esca un altro singolo a breve. Di confermati ci sono: -MasoginocchioROCK il

31-05.2014

-Doss Trento al RAINFEST

06-05-2014

-Moon Club a Mirano-VENEZIA

07-05-2014

-Chalet Pub a LECCO

07-09-2014

Progetti futuri? Stiamo cercando di lavorare ad un video ufficiale di un altro pezzo dell’EP, dopo che abbiamo registrato il primo Live Video con i ragazzi di /QDA pictures e probabilmente non tarderemo ancora molto. E poco per volta a prove stiamo componendo pezzi nuovi, tra cui una collaborazione con dei componenti di un gruppo REGGAE di amici e parenti(chi ha orecchie per intendere ha inteso) molto conosciuto a Trento, vedremo cosa ne esce. Pensiamo che abbia i lati positivi e quelli negativi come tutto, certamente non abbiamo mai apprezzato le speculazioni che le case discografiche fanno sugli artisti, a maggior ragione quelli emergenti, e quindi se un gruppo vuole far sentire la propria arte in freedownload è liberissimo di farlo, parlo a nome mio (Mirko), ho sempre comprato i CD dei gruppetti emergenti che mi piacevano, credo sia giusto aiutare le piccole realtà con due spiccioli e permettere loro di registrare nuovo materiale, quindi ragazzi, internet da visibilità e scaricare è ormai l’abitudine, ma se un gruppo vi piace supportatelo e comprate il loro materiale. Questo è il video Live al The Middle: http://www.youtube.com/watch?v=dUZrEEw9HI0


Cosa vi piace e cosa non vi piace della nostra franzine UndergroundZine? Crediamo in tutte le realtà che spingono i giovani e i gruppi emergenti! Speriamo sia un mondo in crescita, ci sono tanti gruppi che meritano i loro spazi, e molti meriterebbero dell’attenzione che spesso è focalizzata sui grupponi che suonano da vent’anni e vanno avanti per forza d’inerzia.

Ringrazio molto e come sempre l’ultima parola va alle band per le conclusioni. A risentirci e buona fortuna per i prossimi lavori! Grazie a voi per la possibilità! E grazie a tutti quelli che han letto tutti i miei deliri! Noi siamo i Prologue Of A New Generation! Stay WILD!

intervista a cura di Martina Tosi


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ensi

PROLOGUE OF A NEW GENERATION Written, buried and forgotten

one

I prologue of a new generation sono una band trentina nata nel 2012, quindi piuttosto giovane, con idee molto chiare. La loro proposta è un metalcore con influenze death e qualche passaggio di Djent. La stranezza della band sta nell’aver composto alcuni singoli come “Hy breed” e “Reborn” averli fatti uscire e quindi composto un demo che non ha mai avuto la luce, demo dal nome “Reborn”; questa scelta dovuta alla loro partecipazione a grandi eventi e festival che li hanno tenuti lontano dalla finalizzazione del demo, la band ha di fatto composto altro materiale, in pochissimi mesi, con cui “riempire” questo EP dal titolo “Written, buried and forgotten” composto da sei brani di cui uno è il singolo “Tell me”. Gli stilemi applicati dalla band sono quelli tipici del metalcore con influenze death. Molto curata devo dire la post produzione e la parte di mixaggio pur ammettendo la band di aver fatto in casa la parte di registrazione. Diciamo che magari per un lavoro più completo come un album consiglio comunque di avvalersi di uno studio professionale, non perché aborri la produzione in casa, ma se si vuole andare oltre all’underground, e/o se si vuole dare più corposità e più riscontro al proprio prodotto ed alla propria creatività bisogna fare l’investimento dello studio professionale. Personalmente ci sono delle carenze, derivate dalla produzione casalinga, sulle parti vocali che in alcuni punti, specie quelli in pulito che sono poco “spinte” da doppia voce corretta. Nel senso che si sente il raddoppio della traccia vocale, ma è troppo bruitale e non armonizzata rendendo meno di quello che avrebbe potuto. Buona invece la sezione ritmica che da uno slancio non male e il basso che a tratti mi ricordava vagamente quello dei korn. Le chitarre fanno il loro lavoro in modo ottimale, ma anche in questo frangente un filino in più in ambito di studio ed avrebbero spaccato molto di più. Interessanti a mio avviso le tracce “Human connection”, “The last wolf” e il singolo “Tell me”. Concludendo direi che come prima prova, escludendo i due singoli, abbiamo un buon lavoro, la band dimostra l’attitudine giusta e le idee ci sono. Bisogna solo che vengano un filino affinate e il gioco è fatto. Promossi, in attesa di un album intero.

VOTO: 67/100 Genere: Metalcore-deathcore Etichetta: Autoprodotto

Alessandro Schumperlin


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LA FINE DI SETTEMBRE “La fine di settembre”

GENERE: Alternative Rock ETICHETTA: Dreamingorillarecords VOTO: 75/100 RECENSITRICE: Aylashes

“La Fine Di Settembre”: progetto alternative rock nato nel 2013 dall’incontro dei fratelli Grosso con il batterista Nicolas Gargini. Dopo un anno di vita danno alla luce il loro primo EP che prende il nome della band. Il loro lavoro si presenta, in parte, come la prima frase del pezzo che lo apre: “scorre come un fluido denso”. D’altro canto, nota che può essere ritenuta doppiamente positiva o negativa, manca la lentezza tipica di un fluido denso che scorre. “La Fine Di Settembre” ha davvero pochi attimi di respiro. Si lascia ascoltare molto facilmente pur non cadendo nel banale. Si apre con il brano “Il Mio Eco”, a parer mio un’ottima scelta dal momento che la canzone è ritmata e carica al punto giusto. Prosegue con altri tre pezzi: “Il Cammino Di Un Illuso”, “Polvere” e “Il Dialogo”. Si conclude con “Inafferrabile”. Anche in questo caso ci troviamo davanti ad un’ottima scelta,: il brano si conclude dicendo: “vorrei restare sveglio e non soffrire più.”, accompagnato da una musica carica ma umile, niente acuti o virtuosismi esagerati da finale. La prima fatica dei tre ragazzi di Savona già dal primo ascolto risulta essere ben curato e, soprattutto coerente. Ci vogliono però più ascolti per cogliere quei particolari molto ben pensati che, vuoi per colpa del primo ascolto, vuoi per colpa dei pochi attimi di tranquillità dei brani, vengono nascosti. Piccole perle si possono trovare nei cinque brani, soprattutto a livello di collegamento tra testo e musica. Premettendo che personalmente credo sia impossibile giudicare un testo dal momento che si tratta di un qualcosa di così personale che neanche parlandone per ore con l’autore si avrebbero abbastanza argomentazioni per poter oggettivamente definire un testo valido o meno, ci sono da sottolineare delle sottigliezze. Nel dettaglio certe immagini create sono molto belle, ad esempio il “guardami come se fossi un loto bianco”, o “é invisibile ciò che separa luna e verità”, ed ancora “osservo con attenzione il vento dell’emozione, mi perdo nel suo rumore, mi confonde”. Facendo un passo indietro, però, queste immagini, come i piccoli particolari della musica, si perdono. Concludendo trovo il lavoro molto valido, un 75/100 è più che meritato, il mio consiglio è solo uno: osate di più, le idee particolari ci sono, valorizzatele! E c’è sicuramente da riconoscere la cura con la quale è stata costruita la grafica dell’EP: Bravo, Manuel Mozzone.

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SETTIMO CERCHIO “L’Altro Sè”

GENERE: Alternative metal ETICHETTA: Alkemist Records VOTO: 80/100 RECENSITRICE: Aylashes

“Settimo Cerchio”, progetto nato nel 2007 dalle menti di Francesco e Giandomenico che, incontrato Simone e dopo varie peripezie burocratiche, lancia “L’altro Sè”. L’album si presenta come una bomba ad orologeria, caricata da un ottimo mix di alternative rock e una voce graffiante su breakdown di taglio tipicamente metalcore. Il tutto è accompagnato da testi che, come dice il secondo pezzo, ”Croce e Delizia”, “cercano senso ad ogni evento anche se non sognano più”. Non posso non nominare il video ufficiale di “Deliriapatica” girato da Giuseppe Bruno. Esso si presenta come un agrodolce girato alla Lewis Carroll. La canzone, proprio come Alice Nel Pese Delle Meraviglie “distrugge” l’idea di favola tipica, smonta quella che è l’idea di vita come favola. L’album, nel suo complesso è completo, è coerente con lo stile generale e si fa ascoltare. C’è un’ottima alternanza tra momenti di tranquillità con una voce pulita che poi si trasformano in riff che diventano quasi inni, cantati da una tagliente voce in scream. “Onirica”, il cui ritornello mi ricorda incredibilmente tanto “Duality” degli Slipknot, è un ottimo esempio di questa alternanza. Per quanto mi riguarda credo che l’apertura e la chiusura di un album siano quasi l’aspetto più importante di cui importarsi decidendo la tracklist. Il progetto “Settimo Cerchio” è riuscito ad aprire intelligentemente “L’altro Sè” con un richiamo all’infanzia dato dall’intro di “Aborte”. L’ha concluso altrettanto bene con una frase che, se ricollegata al tour nell’infanzia del primo pezzo, sembra un appello a non perdere il proprio tempo. “Non c’è ritorno se disprezzi il tempo, hai un altro giorno.”, da qui in poi il brano prende una vena strumentale, un momento di batteria quasi elettronica, come a dire “svegliati!”, sfocia nella tranquillità del momento di riflessione. 80/100 è il voto che “L’altro Sé” si merita. Sono proprio curiosa di sentire il lavoro del progetto parallelo del trio: “L’ultimo Atto”, il quale si presenta come band metalcore e sta girando il video ufficiale di “Croce e Delizia”.

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BRENT STEED

“Horror avenue N°7” GENERE: Ufo space rock ETICHETTA: autoproduzione VOTO: 45/100 RECENSORE: DroB

Incipit altisonante per questo progetto solista a nome Brent Steed. Hard rock in libertà introdotto da Horror avenue, stile circus-cabaret Kiss style, epico come genere richiede. Si prosegue con tracce tese (Space kravboy) in cui l’arrangiamento rock cede un po’ il passo ad un gusto di matrice pop (Mother!) con alternanza obbligata di strofa/ritornello risultando comunque piacevole all’ascolto. Unica pecca dell’intero lavoro è il sound troppo digitale che non giova all’economia dell’album. L’hard rock ha forse bisogno di più sangue ed anima e certe soluzioni possono fornire l’erronea idea che il prodotto sia confezionato in studio e non “vivo”. Questo approccio più macchinizzato rende molto su tracce come Down on me, una quasi ballad in cui il pattern elettronico fornisce un buon tappeto per costruire un lento contaminato nei generi e per far emergere la chitarra ora acustica e la melodia il cui timbro ricorda i Poison. Probabilmente è questo che si intende per ufo space rock, una commistione tra la radice classica e la resa totalmente digital che dovrebbe contribuire a svernare anche le tracce più retrò (Liar o She’s just a punk, di rimando a Motley Crue). Per evitare di “non uscire vivi dagli anni ‘80” e relegarsi ad un pubblico di soli nostalgici si dovrebbe guardare proprio a questa contaminazione senza timore così da allontanare lo standard che pone brani come Into your heart nell’area Top Gun O.s.t.

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DADATRA “DadaTra”

GENERE: Rock, psychedelic, ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 56/100

pop

RECENSORE: DroB

L’impressione che di primo acchito si riceve all’ascolto di Dada Tra è che i brani siano belle canzoni ma di una qualità -e durata- atta a farle dimenticare. Spieghiamo il concetto in questo modo: se si tengono a mente super-band del calibro di Mike and the Mechanics ad esempio, oppure di Dave Matthews Band, si tiene a mente in automatico una levatura eccezionale, musicisti preparatissimi ed orchestrazioni mature e ragionate (Shine today). Nello stesso tempo però, difficilmente arriva col pensiero ed il ricordo la loro musica. Un pop rock davvero piacevole, maturo appunto, al quale non manca nulla -ottimi arrangiamenti, melodie senza tempo ed un pizzico di tecnicismo che arricchisce ogni parte di cui queste tracce sono composte- ma forse mancano di quella seppur piccola dose di follia o stranezza che le renda memorabili (Oltre). Sporcare, inquinare leggermente brani come Recovery Signs potrebbe, all’avviso di chi scrive, trasmettere con più cuore questa musica ed evitare di catalogarla come un album chitarrocentrico di classic rock. Perché le basi ci sono, le idee sono solide e le capacità nemmeno a menzionarle (Recovery signs e Grand wormwood di rimando ai migliori Porcupine Tree), però...

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DOM THE SLEAZE “Cellar Demo(n)s”

GENERE: Alternative-pop ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 65/100 RECENSORE: DroB

Cinque canzoni presentate sinteticamente dal solista ispirato Dom the Sleaze. La pagina Bandcamp recita “5 canzoni registrate male per il vostro piacere”, contrariamente infatti le tracce sono ben confezionate e contribuiscono piacevolmente all’ascolto. Qualche pecca nel missaggio forse, ma non stiamo a sottilizzare soprattutto quando le idee ci sono e sono buone. Un pop rock anglofono, che a tratti rimanda agli Stone Roses ed alla scena brit dei ‘90 (My static course ad esempio), melodie accattivanti inserite in contesti semplici, dove i pattern ritmici lineari accompagnano orchestrazioni interessanti, con buone aperture e memorabili ritornelli. Un pizzico di psichedelia, suoni a volte saturi e distorsioni leggere riempiono gli spazi completando il quadro non del tutto nuovo (The shield) ma davvero efficace. Wavering times rimanda poi vagamente alle composizioni dei primi Blur, e con questo vogliamo augurarci che la strada per questa band sia prolifica allo stesso modo.

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INCOMODO

“Un po’ di silenzio” GENERE: Rock alternativo ETICHETTA: Produzioni mammut VOTO: 66/100 RECENSORE: Drob

Un po’ di silenzio è album dal titolo fuorviante e ossimorico. Ed anche per questo risulta piacevole. Derivazioni e divagazioni grunge, post punk senza sosta oppure obbligatoria continuità: la title track può rimandare con vaghezza ai Foo Fighters o Placebo più diretti, In fede Infame alla scena di Seattle dei genuini esordi così come Sensi di colpa, ma in tutti i brani si può leggere in calce una firma personalissima, soprattutto nelle soluzioni melodiche e nella timbrica che svelano fortunatamente il background più nostrano e più di valore. Orchestrazioni altrettanto mature nella rielaborazione di sonorità non totalmente innovative ma con forti idee di base ed ottimo gusto nella stesura delle canzoni. Un sapore malinconico arricchisce l’intero lavoro soprattutto nei brani più acustici (Sai ti dirò) anche se la scaletta sembra indebolirsi man mano che si procede nell’ascolto - E’ andata così si avvicina pericolosamente alle corde dei Negramaro- con virate improvvise che forniscono buoni scossoni (Miyagi’s little tree) di melvinsiana memoria, catturando di nuovo attenzione con brani come Mescalina il cui testo molto forte risulta ancor più interessante. Album vario e ben strutturato, consigliato per ascolti alternativi.

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SELICA Ep

GENERE: Crossover/hardcore ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 50/100 RECENSORE: DroB

Tre brani datati e targati 2012 per presentare questa band pesarese che suona hardcore/ crossover ispirato ai ‘90. Tracce eseguite magistralmente ma che portano con sè il fardello di appartenere ad un genere sfortunatamente chiamato nu metal che ha goduto di un’ampia risonanza ma ha avuto vita breve, forse prematuramente scomparso. Gli arrangiamenti sono molto validi, di rimando ai Deftones nelle caratteristiche più romantiche o ai Machine Head o Biohazard nei momenti più metallici e crossover, dove batterie intricate ispessiscono muri sonori potenti e melodie spezzate e molto ritmiche. Per amatori.

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SPIRAL69 “Alone”

GENERE: Alternative - electro ETICHETTA: Rehab records/ Irma VOTO: 80/100

records

RECENSORE: DroB

Pare non ci sia bisogno di presentazioni per questo trio romano, già amato da Lou Reed e componenti dei Placebo. Si presentano con un nuovo lavoro di 6 brani davvero accattivanti che miscelano perfettamente elettronica e rock, suoni maturi e sonorità oscure. Non convince sempre la pronuncia della lingua inglese ma non saremo qui a cercare un unico neo al cospetto di una proposta finalmente nuova e potente. Una band che come poche, negli ultimi tempi, sa scrivere canzoni. Di quelle che rimangono, quelle che ci si ritrova a cantare o tamburellare semplicemente perché le ritmiche di questo album sono trascinanti e le melodie altrettanto (Naked, Rose), esattamente come memorabili sono i suoni di sintetizzatore di depechemodiana memoria (You’re mine) e ben dosate le orchestrazioni - archi o pianoforti molto malinconici così come organetti (Rose)- che lanciano la band in un contesto dal respiro internazionale possibilmente al di fuori dei generi precostituiti (Cruel). Complimenti.

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SWALLOW MY PRIDE “Cleo”

GENERE: Stoner rock - grunge ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 60/100 RECENSORE: DroB

Nella presentazione di questo progetto si legge della sua recente nascita e del bisogno di dedicare il senso dell’album alla tragedia dell’alluvione Cleopatra che ha investito la regione d’appartenenza del duo nuorese. Stoner rock - grunge - rock ‘70 è dichiaratamente il sound suonato e ricercato e ne abbiamo la conferma dai primi accordi. Tracce ben suonate, potenti, scandite. Unica pecca forse il missaggio troppo pulito che non rispecchia la ruvidità del genere, ma poco influisce sull’efficacia delle canzoni. Il duo si avvale peraltro di validi ospiti che arricchiscono l’intero lavoro (Immigrants dove l’alternanza delle voci rende il genere corale) e sviluppa l’EP in cinque brani -ultimo un mash up- alternando lenti cadenzati quasi acustici (One) a brani serrati di kyussiana memoria (Puzzle). Il singolo Rivality è forse il manifesto-riassunto della band: potenza dello stoner contaminata da sonorità malinconiche del grunge con melodie non innovative ma ben calibrate.

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VOLDO

“Hella Maluka” GENERE: Stoner / psichedelia ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 68/100 RECENSORE: DroB

Si viaggia pesanti dalle parti toscane dei Voldo. Una band scura ma non cupa, totalmente in preda al delirio psichedelico che solo -ma non esclusivamente- lo stoner può fornirci nei tempi moderni. Cow e Drogo sono perfetti esempi di questo iter, ritmiche cadenzate alle quali è difficile negare l’oscillazione della testa accompagnate e mai sovrastate da riff pesanti e memorabili. Voci utilizzate come strumento non accessorio, a volte appena sussurrate, a volte in maniera più incisiva e tagliente come in Bleed che può ricordare i Pontiak in una versione meno progressiva e più etno. Suoni e soluzioni che forse vogliono risultare più tribali, più carnali anche, in questo rito di passaggio che è la musica dei Voldo. Anche nei momenti più modernisti in cui una batteria triggerata introduce ed ispessisce una chitarra clean - Chora- si nota quanto queste atmosfere siano inspirate ed espirate da un bagaglio etno-antropologico. Bizzarro come la varietà della tracklist porti poi l’ascolto su un piano più progressivo ed ironico (Donor) a ricordare senza dubbio i Primus con attitudine più metal, oppure alla crudezza e violenza bruta di Liar, per poi tornare a virate psichedeliche in cui flanger e stacchi space giocano con l’attenzione dell’ascoltatore. Ne vedrete - o immaginerete- delle belle.

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MR BOONEKAMP “Turn off fake reality” GENERE: Punk, ETICHETTA: VOTO: 90/100

rock, stoner, grunge

RECENSORE: Lidel

I Mr Boonekamp sono una band veneziana stoner\punk amante delle distorsioni e dei suoni belli grassi, untissimi e puzzolenti. L’album dal titolo “Turn off fake reality“ contiene 9 pezzi piu’ un intro. Partendo dalla seconda traccia (nonchè primo pezzo vero e proprio) “Splatters“, abbiamo subito un assaggio di quanto anticipato prima: distorsioni grosse, batteria mid tempo, basso incazzato, sudore ed il vento del deserto a fare compagnia all’ascoltatore, “Problems“ alza il tiro grazie ad una batteria che non lascia spazio per tirare fiato, “Couple of bitches“ è presa dai ruggenti anni 90 di band come Kyuss, “Surgery“, mi duole ammetterlo ma mi ricorda troppo una canzone dei nirvana che adesso non mi viene il nome, “Carmageddon“ è testosterone a 10mila, “Reality“ inizia subito con dei bei riffoni spaccaossa (ottimo pezzo!), i restanti pezzi continuano su quanto ascoltato. Una band molto interessante.

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ZEMAN “Zeman”

GENERE: Indie, ETICHETTA: VOTO: 90/100

rock, alternative, punk

RECENSORE: Lidel

Dico subito una cosa per far capire cosa penso di questo ep degli zeman: voglio sentire assolutamente altre loro canzoni! Zeman è una band di Trieste, autrice di una interessante commistione tra post punk ed indie, possono far venire in mente i Block Party con un basso molto piu’ punk con atmosfere prese anche dagli Arctic Monkeys. si inizia subito con “non posto” che è un bel modo di inizare: basso leggermente distorto, cantato molto convincente, atmosfere punk\indie e qualche retrogusto jazz, “Fermo” profuma di Londra senza se e senza ma, molto Block Party nel suo incedere (star fermi è impossibile), “Milano e gli amici moderni” ha un qualcosa di new wave\dark mischiato all’indie inglese, “Se tornerà il sole” è forse il pezzo più diretto dell’ep con un bel doppio cantato molto incisivo. Gli Zeman sono una nuova band tra le piu’ promettenti del panorama italiano e meritano davvero di emergere. Dal vivo scommetto che sono molto energici. Bravissimi!

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CAELESTIS “Heliocardio”

GENERE: Rock ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 65/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

Dopo numerose produzioni di e su Cataldo Cappiello, i Caelestis prima erano una one-man band, ma da questo album “ Heliocardio” non è più così. Ovvero Cappiello ha trovato altri due membri fidati con cui condividere il progetto, e nello specifico: si aggiungono Flavio Staiano alla batteria, e Vera Clinco alla voce. La proposta dei Caelestis è un rock particolare che ricorda molto certi Carnberries e in un certo senso anche alla Paola e Chiara (ma solo per il fatto di aver deciso di armonizzare la voce e sovrainciderla dando l’effetto controcanto tanto utilizzate dalle due artiste pop) e per i testi cose alla Carmen Consoli; il risultato è tanto cristallino quanto etereo e non di primo impatto. Pur essendo questa loro proposta un’autoproduzione, la band dimostra capacità attitudine e abilità compositive di livello superiore ad un prodotto gestito in modo autonomo. Certo siamo in un campo particolare, dato che c’è una forte sperimentazione da parte del trio, buonissime le idee, sonorità liquide a cavallo tra ambient e avantgarde con poi il corollario di vocalizzi di Vera che aumentano il pathos delle composizioni. Devo dire che non ho trovato nulla fuori posto se non un piccolo problema in ambito di batteria. Nel senso che la batteria non era ben calibrata: troppo soffocata per quello che concerne i tamburi e i piatti forse troppo poco curati nel senso che le dinamiche erano troppo presenti. Inoltre in più parti il basso è troppo in saturazione e non sempre “convincente”nel momento di focus su di “lui”. Va comunque preso in considerazione il fatto che il passaggio da one man band a gruppo vero e proprio può creare dei “dissesti” e delle variabili da dover, e poter, rivedere sul lungo termine. Personalmente molto carine sono “Crollano le stelle”, “Anatomia spaziale” e anche la cover con cui chiudono l’EP ovvero “E poi silenzio part II” Che è cover di Red sky. Concludendo, EP interessante e dignitoso nel suo complesso, ottimo per meditazione e per momenti di relax. Di certo ci sono i margini per migliorare e credo che la band nel prossimo futuro migliorerà. Promossi in attesa di un album completo.

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RECENSIONI

VV.AA. (KROWOS, MYSTICA NOX, MORS SPEI)

“Under the veil of death split”

KROWOS

GENERE: Black metal ETICHETTA: Black orgon VOTO: 58/100

records

RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

MYSTICA NOX MORS SPEI

Devo dire che era da parecchio che non mi capitava di recensire uno split cd, e devo che è sempre qualcosa di particolare da dover recensire. A volte le band che stanno all’interno dello split non hanno nulla a che fare tra loro se non un senso di amicizia e di condivisione di palco o di esperienze comuni, a volte fanno parte della stessa casa discografica e a volte sono accomunate dal genere. Il CD contiene sette brani, rispettivamente: due dei Krowos, tre Mystica Nox e due di Mors Spei. Lo split è dedicato alla morte e, sia il titolo, che le mummie delle catacombe dei cappuccini di Palermo in copertina non lasciano dubbi. Purtroppo a mio avviso però trovo le proposte dei tre gruppi troppo simili e se non ci fossero alcuni piccoli tratti di distanza tra una band e l’altra sembrerebbe di ascoltare il cd di una band sola. I due pezzi dei Krowos ci presentano una serie di imprecisioni a mio avviso, le chitarre si mischiano troppo e risultano più un tappeto che contorna la voce fin troppo effettata e un basso che fa una strana melodia. Il primo brano “In Hora Mortis Nostrae” vive di ritmiche tipiche di un black-doom molto rallentato. Diverso accade con il secondo brano; nelle quali note troviamo una aumento di velocità della band, se pur c’è questa mania di effettare la voce che già in scream ha la sua trasfigurazione non comprendo fino in fondo. “The Ravens Of The Hidden Path”, questo il nome del secondo brano, ha anche al suo interno un midtempo doom, segno che la band ha una certa affinità con quel genere e con quella contaminazione. Come inizio non mi entusiasma al 100% per pura mancanza di finezza nella post produzione. I brani dei Mystica Nox hanno una produzione leggermente più pulita e si attestano su suoni e composizioni più violente e più classiche del black metal primo periodo. “Crushed From Gloom” riucorda sotto certi aspetti i Darkthrone, per fortuna senza dover ascoltare la quasi immancabile cover di Transilvanian hunger (N.d.A. ultimamente nei demo, EP e promo che mi arrivano in ambito black c’è sempre la cover del classico dei Darkthrone, per fortuna questa volta no).

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Anche per la seconda traccia “Moment Of Cruelty” siamo in pieno black metal old school, comprese alcune imprecisioni sia di batteria si a di chitarre. Con “Under The Occult Visions” si allaccia in modo indissolubile al secondo brano senza far sentire la differenza... Direi che i Mystica Nox hanno assorbito bene la lezione dei maestri scandinavi, ma che non evolvendo la “lezione”, hanno semplicemente fatto un “cut and paste” delle attitudini del black metal anni 90. Le capacità tecniche per rielaborare la proposta in chiave più personale ci sarebbero anche, non capisco come mai non abbiamo voluto osare di più. La chiusura spetta ai Mors Spei che ci presentano un sound tendente al depressive black . Ammetto di non esserne un fan n°1 del depressive black metal, ma mi è già capitato di recensire materiale simile, ma di spessore leggermente superiore a questo. Entrambi i brani hanno una durata tra gli 8 e i 9 minuti e si “muovono” su canoni di non sempre facile comprensione. La voce è utilizzata come un qualsiasi altro strumento, senza dare un “quid” aggiuntivo in quanto voce; la batteria non sempre distinguibile al meglio e con le chitarre che fatto un immenso tappeto distorto. Purtroppo riesco poco a comprendere i brani e a dare un ragionamento nel complessivo sia di “B.M.A.” che di “Shadow of the burning empire”. Così a orecchio sembra quasi che la band non sapesse bene fino in fondo come ottenere sia certi suoni che certe atmosfere ed ha fatto l’errore di infilarci un po’ tutto…Troppe strade prese per lo stesso brano finiscono con il lasciare a bocca asciutta tutti. Capisco l’intendo della Black Orgon, capisco le tre band, ma credo che in alcuni brani ci siano delle carenze (spero di no), o delle sviste grossolane più che delle scelte di minimalismo dettate dal genere o dalla vena compositiva della band; questo fa scendere la qualità dello split nel suo complesso. Ovviamente avendo pochi brani per band ed avendo trovato queste “magagne” non mi è possibile dare un voto alto, pur sentendo la genuinità dell’intendo, ma esorto tutte e tre le band ha mettersi sotto non solo nella parte di mastering e di post produzione, molto importanti in questo momento storico, ma anche in ambito di composizione e di registrazione in modo da rendere al massimo la propria musica, perché come dico sempre: non necessariamente il “necro, gelido, minimale e oscuro” equivale a forza a sonorità raffazzonate e carenza delle basi della musica.

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RECENSIONI

BLOODHUNTER “Bloodhunter”

GENERE: Death metal ETICHETTA: Suspiria Records VOTO: 79/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

I Bloodhunter sono una band Galiziana nata nel 2008 e dopo diversi cambi di line up hanno potuto trovare una formazione stabile solo nel 2012, formazione che ha permesso di registrare un demo uscito l’anno scorso dal titolo “The first insurrection “ed approdare alla Suspiria records che ha prodotto questo album, omonimo, di death metal tecnico e rabbioso uscito il 23 aprile scorso in formato fisico e il sei maggio per la versione digitale. Va detto che prima di questo album la Suspiria records con la band hanno fatto uscire il singolo “Ages of darkness” . Partiamo dal principio la band esordisce con un platter da undici canzoni di pura rabbia e cattiveria in formato sonoro. Bordate non di tutti i giorni e, cosa più particolare, che chi canta non è un uomo! A cantare in questo modo così carico e rabbioso è una donna. Il suo growl è devastante e intenso e sinceramente se non avessi visto le foto avrei creduto fosse di un uomo. Buone le chitarre, veramente molto taglienti e devastanti, il basso molto rotondo e ottimo collante tra batteria e resto della band. Unica pecca a mio avviso la batteria, che se pur suonata con energia e precisione non rende molto in termini di suono. Risulta troppo secca e senza rotondità e in alcuni punti è persino troppo alta rispetto al resto della strumentazione, quasi a “primeggiare” con la voce. Ad esclusione di questo piccolo intoppo la produzione è interessante, le composizioni se pur rapportandosi al death metal classico hanno delle sfrenate forme di alterazione e notevoli tecnicismi a rendere il tutto di media superiore a tante altre produzioni death. Carini anche gli intro di alcune canzoni prese da film famosi (ascoltate le tracce e trovate le citazioni). Personalmente ho gradito oltremodo canzoni come “The first insurrection”, “Dying sun”, “Ezequiel 25,17”, “Come to me sorrow”, “Ages of darkness” e il brano che da il nome alla band ed al cd “Bloodhunter”.

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Di certo i Bloodhunter si faranno sentire nuovamente e sono certamente una sferzata di aggressività nel panorama del metal estremo. Di sicuro vi posso dire che non si potrà fare il paragone con gli Arch enemy (se magari vi fosse venuta in mente la possibilità di un assioma tra loro e la band teutonica), siamo in altro ambito e volendo altro genere. Buona la prova sul full lenght, mi aspetto molto da questa band in futuro, magari con un pizzico più di accortezza sulla batteria, ve li consiglio vivamente non solo a voi Deathers ma a tutti gli appassionati di metal estremo e di tecnica.Purtroppo ad eccezione di alcuni riff che ricordano alcune band, per l’atmosfera creata non perché si è di fronte ad un “cut and paste”sia chiaro, e si fanno ricordare in modo leggero, il resto dell’album manca di una spinta da parte di una o due canzoni “singolo” che possano spingere il complesso intero dell’album o quella “melodia” che faccia da collante dalla prima all’ultima traccia al di fuori delle tematiche trattate. “Vésanie”, dunque, è un cd che va preso nel suo complesso, come spesso accade con i concept album, in cui ogni brano è un tassello che ha un suo spessore definito e che complessivamente compone questo quadro a tinte forti. Se proprio devo trovare alcune tracce che più mi hanno colpito direi “Allégorie”, “Dialyse”, “De lumière, d’obscurité” e “Dans ma chair”. Gli Azziard, pur senza inventare nulla di nuovo per il black, riescono comunque a creare un buon lavoro e un discreto groove con questo loro secondo album. Album che si lascia ascoltare in modo più che piacevole, e con un pizzico di personalità che non guasta, specie in questo momento storico. Non siamo di fronte ad un disco epocale, ma di certo si tratta di un prodotto di buona qualità; e mi sento di poterlo consigliare senza problematiche sia agli amanti del black che a quelli del death.

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DEATHLESS LEGACY “Rise from the grave”

GENERE: Horror Metal ETICHETTA: Danse macabre records VOTO: 95/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

Fantastico debutto dei toscani “Deathless Legacy”, tra le altre cose la cantante Steva e il batterista Frater Orion sono già passati su queste pagine col “Progetto Sommossa” alcuni mesi fa, ma andiamo oltre . Formatisi nel 2005 su iniziativa di Frater Orion e Steva La Cinghiala, iniziano la loro avventura come tribute band dei leggendari Death SS, ma nel giro di pochissimo decidono di sentirsi pronti a proporre materiale originale e non di meno originale è la loro proposta visiva e teatrale di un concerto, recuperando delle forme d’arte trasversale che nel rock e nel metal si erano perse. Dopo diversi cambi di line up ed addirittura un cambio di nome (causato anche da questioni di Copyright di natura non musicale) la band riesce ad avere un contratto discografico con una label tedesca la Danse macabre records, che crede in loro e nel loro debutto “Rise from the grave” che andremo a valutare insieme. A livello tecnico devo dire che ho trovato un lavoro di alta qualità, ben composto, assolutamente ben arrangiato e ben suonato; solo in alcuni punti avrei preferito una chitarra più rotonda e meno “zanzarosa” e dei tamburi più corposi, ma siamo più nel piacere personale che non nell’errore vero e proprio. Magari è persino stata una scelta stilistica consapevole e potrebbe darsi che non ho carpito io questa sfumatura, se così fosse me ne dispiace ma non era chiara. Degna di nota la prestazione di “Steva la cinghiala” alla voce, che ci permette di ascoltare una voce femminile che non rimane negli orridi e qualunquistici cliché del proto lirico o del finto arrabbiato. Steva propone la sua voce sia nelle parti melodiche che nelle parti roche, senza continuità apparente rendendo personale e speciale il cantato dei Deathless legacy ed andando fuori dagli schemi soliti del cantato femminile. Loro sono inquadrabili nel filone del “Horror metal”, voi che mi leggete da parecchio sapete che non amo i “finti” generi o i neologismi per dare un tono ad una musica ben definita; ma in questo caso siamo di fronte ad una novità per quello che compete l’Italia, o quantomeno non è consuetudine, e quello che è il metal in genere.

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Ovvero riportare un pochino di teatro e di teatralità nelle performance canore metal, quasi a voler riportare in auge una specie di Gran Guignol, frammezzato da rimandi misterici ed occulti, di cui la band ha dimostrato di averne destrezza e conoscenza. Un punto di incontro direi tra King Diamond, Rob Zombie e Steve Sylvester. Sia per le musiche che per i testi, che sono tutt’altro che scontati e tutto fuorché banali. Emozionalmente questo “Rise from the grave” è un bel problema. La band il suo lo sa far bene non solo in impianto tecnico ma anche in feeling, le canzoni entrano morbosamente nella vostra testa e non vi lasciano per niente al mondo. La più ossessivamente appiccicosa è “Bow to the Porcellan Altar”, sia per l’erotica carica che per la semplice quanto disarmante attitudine della band in questo brano. “Queen of Necrophilia”, che tra le altre è anche video e primo singolo, è notevolmente interessante. “Octopus” e qui ci soffermiamo per la comune passione per gli scritti di Abdul Alhazred o per meglio dire agli scritti di H.P. Lovecraft e del ciclo di Cthulhu; ma aggiungerei anche “Killergeist”, “Devil’s Thane e “Step Into The Mist”. Come sempre dico “ascoltate il cd e fatevi una vostra top songs” in questo caso più di altri c’è da sbizzarrirsi. Personalmente ne avrei aggiunte altre, ma o rischiavo di fare una track by track (e dubito che molti di voi l’avrebbero letta) o peggio ancora mi sarebbe toccato inserire tutti i brani. Dato che hanno una peculiarità ed un senso all’interno del cd pur essendo di “generi” differenti (non ultimo persino un flamenco metal). A chiusura di questa mia recensione fiume, vi consiglio vivamente la band, ne vale la pena sia per il prodotto di livello, sia per la capacità intrinseca di mischiare suoni umori e atmosfere in modo egregio e fuori dal comune; ve li consiglio anche perché abbiamo l’opportunità di avere “in casa” quello che NORMALMENTE andiamo a cercar “fuori casa” (chi ha detto Gwar? Chi ha detto Lordi? Chi ha detto King Diamond?). Poi diciamocelo se leggete i testi vi accorgerete, come ho scritto sopra, che non sono i soliti stereotipi o le solite “storie” gia viste e già sentite; ma siamo di fronte ad una certa capacità ed un certo spessore. Personalmente alla band dico solo di continuar così, magari qualche accortezza in più per il prossimo futuro in ambito di mastering per poter aumentare la caratura del cd e potrete creare il “cd perfetto”, e a tutti voi auguro un buon ascolto e buona “resurrezione dalla tomba”.

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FRENTRUM Demo

GENERE: Black metal ETICHETTA: Autoprodotto/Land Of Fog Records VOTO: 65/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

Questo demo nasce o rinasce, vedrete poi perché ho scritto così, nel 2013 e trae le proprie composizioni e le proprie radici dal black metal della prima metà degli anni 90. Infatti Ant mente della band tiene a sottolineare che i due brani originali sono stati composti tra il 1996 e il 1997, mentre l’immancabile Transilvanian hunger ci riporta ai fasti del black metal di quel periodo. Ant è anche leader dei Malanoctem e in un momento di pausa di questi ultimi Ant decide di ridare lustro a quelle che furono le sue composizioni di quasi venti anni fa. Nelle note della band i Frentrum ammettono di non voler proporre nulla di nuovo, ma affermano con forza di presentare ai più (che potranno avere tra le mani questa cassetta messa in circolo in quantità limitata e numerata) cosa fu e cosa è il black metal per Ant ovvero:”Carnalità, spirito, intraprendenza, fiamme e concessioni alla priorità più oscura”. Infatti le due tracce, in primis, sono esenti da post produzione e da mastering di sorta e la cosa si sente. Esasperazione di minimalismo e di ricerca e recupero di sonorità oscure e di un periodo che fu l’età d’oro del black metal. Certo se non si è appassionati di questo genere e di queste sonorità così scarne e ostiche sarà difficile aprezzarle. Va detto che seppur senza molti fronzoli e senza una post produzione, e con i limiti del caso, i Frentrum riescono in qualche modo ad appassionare e ad essere interessanti. Direi che sia “Dalla profondità dell’uomo” che “E che tornino a bruciare” sono due brani che riportano alla luce un certo tipo di suono ed un certo tipo di “far musica”. Sulla cover non mi esprimo dato che oramai è troppo utilizzata. Negli ultimi mesi ho notato che in ambito black, e a volte pure nel death, si pensi a coverizzare solo “Transilvanian hunger” quasi come se il black metal iniziasse e finisse con quella canzone. A chiusura di questa mia devo dire che, se pur molto vicino a quello che ora vien definito depressive black metal, i Frentrum danno un loro apporto all’attuale scena black metal dimostrando nei fatti che passione, cuore e idee sono la base per qualsiasi cosa indipendentemente dal genere. Peccato aver poco più di un quarto d’ora con tre brani. Attendiamo il prossimo futuro per poter ascoltare, magari, nuovi lavori dei Frentrum e magari più corposi. Inoltre novità di questi giorni i Frentrum sono stati presi sotto la Lando of fog records.

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I WILL KILL YOU “Extrema Putrefactio”

GENERE: Death-Brutal metal ETICHETTA: Inverse Records VOTO: 90/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

Nati da un idea di LM, gli “I will kill you”, approdano in questi mesi alla label finlandese Inverse Records. Il combo si presenta come “Extreme obscure metal” band, va detto che quello che propongono a mio avviso è del death metal veramente brutale e con una tecnica non comune. Come mettere insieme i Cannibal corpse con i Dimmu borgir di Stormblast e i Dark tranquillity di The gallery. Anyway, facciamo un pochino di storia della band, dopo fisiologici assestamenti che dal 2010 al 2013 li hanno accompagnati, riescono ad avere una lineup concreta che ha permesso loro di concludere e finalizzare il proprio debutto, solo dopo un EP uscito nel 2011 dal titolo “Plastination” che ha avuto un buon riscontro di pubblico e di critica. “Extrema Putrefactio” nome del album che da loro il debutto, ripeto, trovo una commistione così eterogenea, ma incredibilmente complessa e funzionale da restarne ammutolito. Sembra impossibile ma il combo siculo ce l’ha fatta, brutalità e tecnica allo stesso tempo. Compositivamente parlando una ventata di aria “fresca” in un genere che di fatto era diventato autoreferenziale e monotono. Per le parti di registrazione, mixaggio, post produzione e mastering la band ha fatto un buonissimo lavoro, forse avrei tenuto in alcuni punti la doppia cassa più presente, ma siamo più in ambito di piacere personale che non in ambito di errore o mancanza. La voce passa da un gutturale profondo ad unno scream devastante, la sezione ritmica nel complesso è una macchina macina bpm e le chitarre risultano mostruosamente taglienti e compatte allo stesso tempo. Come se non bastasse ci sono poi passaggi in acustica e innesti “narrativi” che creano archetipi nuovi e una nuova visione delle prospettive per il death e per il metal estremo nel suo complesso. Emozionalmente devo dire che è stato abbastanza faticoso trovare le top songs, ma direi la title track “Extrema putrefactio”, “Ante mortem”, “Die”, la opener “Fragment abnegations” e “Casket garden”. Ma come sovente scrivo ascoltate il cd completamente e fatevi una vostra serie di top songs. Concludendo, bellissima prova degli I will kill you che riescono a dare un nuovo “verbo” al termine brutal death, ottimo debutto questo “Extrema putrefactio” che spalanca la band in un modo realmente più ampio, dimostrando nei fatti che il metal estremo non è solo estero, ma che anche noi Italiani sappiamo dire la nostra e possiamo dir la nostra portando idee nuove. Promossi con lode.

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MALAURIU

“Presagi di morte” GENERE: Death-black ETICHETTA: Melqart productions VOTO: 63/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

I Malauriu, provenienti dalla Sicilia e nello specifico da Sciacca in provincia di Agrigento, esordiscono con il loro EP dal titolo “Presagi di morte” portando nuova luce (o dovrei dire ombra) sulla trinacria terra già nota ai più per il black metal degli inchiuvatu ed i progetti del Deus Ex machina conosciuto con il nome di Agghiastru. Ma andiamo per gradi, la band si è presentata a noi con questo EP dopo neppure un anno dalla loro nascita e, escludendo alcuni termini dialettali come il loro nome, con gli inchiuvatu non hanno molto a che spartire se non la Regione di provenienza; per loro il metodo ed il modo di suonare si rifà tantissimo al metal estremo scandinavo, con i testi in Italiano, cosa da un lato da premiare certamente per la loro voglia di far metal con la nostra lingua ma credo che la scelta li penalizzerà non poco per quanto riguarda la diffusione. Il loro “Presagi di morte” , EP di ben sette tracce tenendo conto dell’intro e delloutro, dimostra a livello tecnico una serie di piccoli errori, capibili ed accettabili per quanto riguarda la loro prima uscita. In primissima istanza intro ed outro molto più alti come volume rispetto al resto delle tracce e le dinamiche dei piatti che sono completamente inserite nelle tracce arrivando a creare un alone aggiuntivo di “noise” e rendendo meno pulito l’ascolto. Questa ultima potrebbe però essere una scelta stilistica della band che posso non aver compreso fino in fondo. Di certo mi sarei atteso di sentire il blastbeat in modo più marcato e non come “contorno”. Capisco che il black metal è violenza, rabbia e forza bruta, lasciando in un angolo preziosismi e tecnica sopraffina; ma un minimo di cura nella post produzione per rendere più corposa questa violenza sonora avrebbe giovato molto specie poi sentendo quelli che sono intro ed outro dell’EP. Devo dire che “Oltre la soglia” ha dei potenziali interessanti, come “Culto del caos” che ricorda molto un certo black metal primevo e carina è anche “La tribù dei giudei” anch’essa figlia di band come Immortal Dark Throne etc... .

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In chiusura di questa mia recensione, tirando le somme di quanto espresso in precedenza, siamo di fronte ad una band che ha un buon lavoro, ma che altrettanto ne ha molto da fare per affinare le composizioni, dato che ci sono le idee ma sono ancora un pochino troppo grezze. Di certo non c’è l’innovazione, se è quella che cercate, ma una propria personale interazione con quelli che sono i padri del black metal nord europeo. Personalmente sono certo che gli appassionati del black metal più intimo e germinale apprezzeranno moltissimo questa prova dei Malauriu; personalmente mi aspetto che il nuovo lavoro sia più articolato w un pochino più curtato per quanto riguarda la post produzione, in virtù dell’esperienza accumulata nel frattempo. Quindi buon ascolto dei Malauriu e buon lavoro a loro.

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MATRA

“Root2thesky” GENERE: Alternative rock ETICHETTA: (R)esisto VOTO: 87/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

Musicalmente i MATRA sono l’anello di congiunzione tra alternative rock psichedelico, grunge e hard rock anni 60 e 70. Per dirla in poche parole è come sentire i Queen of the stone age che duettano con i Pearl jam, i Beatles e i Monster magnet. MA andiamo , come sempre, per gradi. Questo “Root2thesky” è il secondo album della band; band che nasce nel 2003 in quel di Milano con l’intento, a mio avviso ben riuscito, di miscelare più anime della stessa essenza ovvero il rock più grezzo e più primordiale, e forse il più gestibile a livello di attitudine ma che deve avere solide basi di tecnica e di groove. Questa loro scelta fa uscire nel 2006 il debut album dal titolo “Missione delta”. Purtroppo dal 2007 al 2010 vi sono stati diversi avvicendamenti che hanno ritardato l’uscita del secondo album. MA ora abbiamo il famigerato secondo album e devo dire che l’attesa è stata ben ripagata, infatti il 15 aprile scorso è uscito per (R)esisto e devo ammettere che la proposta pur affondando le radici nel rock e nello stoner più primevo ha una sua personale declinazione ed un suo personale fascino rendendo “Root2thesky” un lavoro fuori dal comune. Un basso corposo e importante, una batteria mai scontata forse con troppe dinamiche dei piatti, ma pur sempre ottimale, delle chitarre assolutamente spaziali e una voce che pur rimanendo ruvida e “ruspante” non fa mai mancare un certo appeal ed una certa grazia. Personalmente i loro dieci pezzi mi hanno fatto scatenare dalla prima all’ultima nota. Musica tanto genuina quanto corposa e verace. Scoccia solo che questo album non duri di più, forse è questo il vero peccato. Canzoni come “Black mantis”, “Crumbling world”, “Deal”, “Big mama’s burning”, “Shangai killer orang-utang” sono le cartine tornasole delle abilità e delle capacità della band, ma fidatevi che anche le altre canzoni non sono da meno. Si passa da sonorità simili a quelle del Seattle sound a rimandi della beat generation fino ad addentrarci in più psichedelici e polverosi riff si stoner. La cosa assolutamente geniale è la capacità della band di far coesistere tutte queste anime in un solo album senza dare il minimo errore e senza risultare stucchevole. Concludendo questo “Root2thesky” è un bellissimo esempio di album versatile e completo in ogni suo frangente. Intenso, corposo eppure leggero e godibile allo stesso tempo, ottimo come colonna sonora per un viaggio lungo, perché basta farlo ripartire nel caso si dovesse fermare il lettore, buono epr voler dar sfogo ad un momento di sano divertimento rock and roll e musicalmente è suonato e composto in modo ottimo.

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RED SKY

“Solo musica a riempirmi gli occhi” GENERE: Rock crossover ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 65/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

Di Red sky parlammo tempo fa nella recensione del suo EP “Tra l’ombra e anima” nel lontano 2011 (recensione che trovate qui) dal 2011 ad oggi di cose ne sono cambiate molte per Red sky, ha creato un album dal titolo “Origami”, ha fondato gli Ideogram, ha fatto il “red sky show” annettendo alla musica l’immagine accompagnandosi al pittore Gianfranco Caruso; ha dato una sua personale variazione a se stesso nel senso che con “Origami RMX” ha dato una svolta a quello che fu “il Red sky del 2011”. Passato da sonorità vicine ad un certo avantgard metal più verso un crossover tra metal, rock e rap. Devo ammettere che questo cambio, pur restando di livello alto-altissimo di qualità, mi ha spiazzato e non poco. Trovo le partiture composte molto interessanti e, ripeto, di grande qualità ma non capisco fino in fondo la scelta del “rap” o del “simil-rap” utilizzato per le liriche di questo EP composto da sei brani. La produzione è di certo alta, buone le post produzioni, interessanti gli arrangiamenti e alcune scelte stilistiche, nulla segna un calo di qualità rispetto ai lavori primevi ma non riesco a percepire lo stesso feeling e la stessa empatica passione che mi aveva travolto con il primo lavoro. Concettualmente non è un errore, ma più un ragionamento di “gusto personale”. Certo passare da sonorità liquide e pink floydiane alla TiamaT di “Deeper kind of slumber” a cose molto più vicine a Fedez e Fabri fibra ma con le chitarre pesanti e gli strumenti suonati veramente e non campionati comunque da un rimando differente. Devo dire che “Neve” è una delle canzoni che più mi ha appassionato, poi “Il prezzo” per il testo veramente evocativo con una buona “cornice” sonora e “Fin che morte non ci separi”. In conclusioni devo dire che questi sei pezzi che compongono “Solo musica a riempirmi gli occhi” comunque dimostrano le capacità tecniche e l’ecletticità di Red sky, resta comunque aperta, a mio avviso, la questione canto nel senso che forse avrebbe avuto più presa se non fosse stato rap oriented.

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NOCTURN DEAMBULATION “Specular Writing”

GENERE: Death-prog metal ETICHETTA: Ekleipsi/Wildness/Kitty On Fire records VOTO: 95/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

La band viene fondata nel giugno 2007, in Francia è un progetto personale destinato allo sviluppo e di arricchimento tecnica musicale al fine di rendere accessibile al pubblico la loro musica. Così , a fine aprile 2008, il primo demo intitolato “ Specular writing: Preliminary Before the redemption “ Da non confondersi con questo album, ma vi dirò meglio dopo, fornisce la base concettuale di questo progetto a molte influenze musicali. La band tiene a far sapere che loro sono partiti con influenze quali: Necrophagist, Sleep Terror, Death, Glass Casket... ma anche Yngwie Malmsteen, George Friedrich Handel, Johann Sebastian Bach, Arcangelo Corelli e Johann Pachelbel per quanto riguarda le sonorità classiche. Nel marzo del 2011 esce l’album “ The grand opening “, confermando il desiderio di evolvere e sviluppare un mondo vario il suono della band restando comunque ben strutturato e riconoscibile. In questo album la band dice di aver tratto ispirazione da nomi quali: Abigail Williams, Poison The Well, The Dillinger Escape Plan, Between The Buried And Me e 1349. Nell’aprile scorso c’è stata l’uscita di “ Secular Writing “, che ha riportato in auge le tracce del primo demo, ovviamente rivisto e riarrangiato, ed ha permesso alla band di aggiungere altri brani e dare più corposità al cd nel suo complesso. Ma entriamo nello specifico. Ad un primo ascolto si può già toccare con mano le attitudini e le capacità della band, che sono notevoli ed alte. Incroci di scale armonizzazioni devastanti, blastbeat inarrestabili e una voce che passa dal sussurro ad essere dolce come l’acido solforico. A mio avviso questo Specular writting è un top album per questo 2014. Certo mi direte voi: “neppure siamo oltre la metà del 2014…” fidatevi che dubito fortemente riuscirete a trovare composizioni così di alta qualità. Inoltre la band non si limita alle mitragliate, ha pure stacchi calmi e arpeggi soavi, che preannunciano ovviamente della cattiveria in arrivo. Un album che difficilmente ho potuto avere il piacere di ascoltare. Inoltre le tracce che superano i cinque minuti sono moltissime e nessuna di queste da la possibilità di poter minimamente stancare o annoiare.

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Emotivamente parlando ho apprezzato moltissimo canzoni come “Abomination and damnation”, “Sweet smell of rotten flesh”, The scientific headway:Human deconstruction”, “Cricothyroidotomy in A#minor” e “Path of no return”. Diciamo che di otto trace segnarne cinque è solo per evitare di inserirle tutte, anche se non ci sarebbe stato nulla di male a mio avviso, dato che sarebbe assurdo e poco funzionale per voi che leggete. Vi esorto però ad ascoltarlo e a capire quale sia stata la mia difficoltà a dover decidere di lasciarne alcune fuori. Concludendo bellissimo album e nulla da dire. Ascoltate questo “Specular writing” ne vale veramente la pena. Ottima la produzione, ottime le idee e ottimo cd. Band promossa, complimenti.

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VALPURGA “Dark forces”

GENERE: Black metal ETICHETTA: Winterrealm VOTO: 68/100 RECENSORE: Alessandro

records

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Dark forces è il nome del primo lavoro dei Valpurga band dedita ad un black metal di chiare estrazioni scandinave. Purtroppo la band non ha dato molto da saper di se. Sappiamo solo che provengono dalla Sardegna, ma quello che è stata la “genesi” dei Valpurga ci manca come ci manca eventuali pregressi dei membri. Come dico sovente, più informazioni si danno è meglio è per chi legge e per la band specie se sono alle prime proposte sonore. Ma andiamo oltre. La band come dicevo propone un black metal di tipo scandinavo, con rimandi lievi a soluzioni thrash, questo non vi faccia storcere il naso dato che i tre brani che compongono questo EP-demo sono di alta qualità sia per le composizioni, che non si limitano a blastbeat e trentaduesimi come se non ci fosse un domani, ma articolano bene il tutto. Inoltre nota non da poco alla voce c’è una ragazza che, seppur con una forte dose di riverbero che secondo me riduce l’impatto della sua voce, dimostra una certa capacità ed un certo appeal non da poco; capace di “pettinare” tanti cantanti uomini e persino diversi blasonati. A livello di post produzione, arrangiamenti e composizioni dico che ho apprezzato molto la voce, escludendo la l’eccessivo uso di riverbero, bune le chitarre taglienti e devastanti, buona la prova della batteria anche se in alcuni punti l’ho sentita un pochino troppo in secondo piano. Il basso purtroppo si confonde con le rasoiate della chitarre ed è un peccato a mio avviso. Di certo essendo un primo lavoro, la band ha tempo e margini per poter migliorare e progredire. Personalmente ho apprezzato moltissimo “Beyond the shade of veil” veramente molto evocativa e che rende molto bene l’attitudine e la capacità attuale della band. Concludendo:” buona la prima” come si suol’ dire. Di certo gli appassionati di black metal e di metal estremo in genere avranno di che deliziarsi. Attendo “sulla lunga distanza” i Valpurga per poter dare una valutazione superiore. Va comunque detto che la Winterrealm records con questa band ha fatto, a mio avviso, un buon acquisto ed ha nel proprio roster una band che darà certamente ottimi frutti. Inoltre a differenza di molte prime proposte di demo-EP abbiamo si poce tracce ma sono di minutaggio più che dignitoso e non annoiano.

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RECENSIONI

CRANCY CROCK “Moderno Medioevo” GENERE: Punk ETICHETTA: VOTO: 85/100

rock

RECENSORE: Zanko

Lo ammetto, sarò di parte, ma recensire una band che ho visto dal vivo almeno una decina di volte, e con la quale una volta ho anche diviso il palco, non mi consente di essere del tutto neutrale. Crancy Crock, punk rock band bergamasca arrivata a 17 anni di vita, con questo Moderno Medioevo, firmano il loro quarto lavoro ufficiale. Il disco è bello, carico, potente, sporco e sudato, il punk rock lascia anche spazio a qualche inserto metal, la band è cresciuta, ed è matura, e lo si sente sia dai testi taglienti che prendono di mira la nostra società distorta e malata, sia dall’attenzione e precisione che c’è nei suoni, ritmiche di basso e batteria che danno la carica (e che carica), e chitarre veloci che alternano distorsioni punkeggianti a parti più ricercate e ben definite. Poi oltre ad una buona linea vocale, c’è un utilizzo di doppie voci e cori, che riempono e caricano ancora di più, il risultato è un disco che sembra essere un pugno nello stomaco, di quelli che ti lasciano per qualche secondo senza fiato. La traccia 3 è ADESSO, che è il dialogo sul concetto temporale tra Lord Casco e il Colonnello Nunziatella (balle spaziali). REBUS è probabilmente il pezzo meglio riuscito, infatti è stato anche girato il video ufficiale. Comunque a tutti gli amanti del Punkrock nazionale, consiglio vivamente questo disco, e se potete andate a vederli dal vivo, perché non si può spiegare ciò che succede ai loro concerti.... L’avevo detto che sarei stato di parte.

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RECENSIONI

THE OPHELIA’S REVENGE “Time has come”

GENERE: Metal hc ETICHETTA: 12Lineerecords VOTO: 80/100 RECENSORE: Milo

Esce per la 12 LINEE RECORDS “TIME HAS COME” secondo lavoro per questa band capitolina che vede una formazione per ¾ al femminile. Le 7 canzoni che compongono il cd sono caratterizzati da sonorità prettamente Hardcore anche se in più di qualche passaggio fanno capolino sonorità che tendono molto allo stoner e al metal d’oltreoceano. Sonorità pesanti e riff veloci accompagnano linee vocali graffianti e piene di rabbia che toccano l’apice nei punti “Growl” e “Scream” per poi lasciare spazio anche a piccole parti melodiche che non vanno comunque ad intaccare la struttura della canzone stessa, ma aiutano a rendere il pezzo ancora più potente. Una produzione davvero ben curata e completa.. Consigliatissimi!!!!!!

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