UndergroundZine Luglio 2014

Page 1



















Biografia L’Eco del Baratro viene da Pieve di Bono (TN) ed è composto da Stefano (chitarra e voce), Francesco (basso e voce) e Dennis (batteria). Dopo alcuni anni passati suonando cover e dopo un cambio di formazione i tre hanno iniziato a comporre pezzi propri. Influenzati da svariati tipi di rock scrivono canzoni a più mani che ricordano l’alternative, post-hardcore, noise americano. Chitarra e basso seguono linee diverse su un ritmo spesso ossessivo, quasi ballabile, e ognuno dei due cantanti recita il proprio testo ignorando con piacere quello dell’altro. Lo scorso 2011 è uscito Caro Estinto, il primo album autoprodotto che racchiude in dieci pezzi un percorso iniziale di ricerca, lavoro e sperimentazione. Attualmente il gruppo sta scrivendo nuovi pezzi che in parte saranno presentati in un Ep di prossima uscita e che promette un suono ancora più potente e maturo.

Lineup

Stefano-Guitar&Voice Dennis-Drums Francesco-Bass&Voice


INTERVISTA di Martina Tosi

Ciao e benvenuti sulle pagine di UndergroundZine, parlateci un po’ di come nasce la vostra band e perché? La nostra band nasce dieci anni fa dall’incontro di tre persone con gusti musicali diversi, caratteri diversi, background musicali diversi, ma con la stessa voglia di gridare al mondo la loro rabbia e il loro dolore.

Come mai avete scelto questo nome Eco del Baratro e che significato ha? L’Eco penso sia l’unica risposta che ci aspettiamo di ricevere dal Baratro che rappresenta la nostra civiltà odierna. Inoltre il Baratro ben rappresenta i luoghi dove siamo nati, valli chiuse e selvatiche, non solo a livello naturale ma anche umano.

Quali sono le tematiche principali dei vostri testi? C’è un argomento, in particolare da cui traete maggiore ispirazione? Il nostro è un viaggio individuale e individualista, le tematiche e gli argomenti vengono dal profondo di ognuno di noi. Questo è ben rappresentato dalla dicotomia dei due testi e delle due voci, soprattutto nel primo album “Caro Estinto”.

Qual è stata la reazione della critica di fronte al vostro ultimo album, i riscontri da parte delle redazioni sono stati buoni? Il nostro ultimo album è stato accolto con interesse da parte di molte testate indipendenti online. Il giudizio è in generale positivo e questo ci ha aiutato a capire che, rispetto al primo album, siamo sulla strada giusta.


Qual è la canzone che vi soddisfa di più del vostro ultimo album e perché? La canzone che più ci ha dato soddisfazione del nostro ultimo album è Sballata, della quale esiste anche un video su youtube. E’ il pezzo più semplice, ma anche il più riuscito. Un’ulteriore conferma al fatto che non è la complessità che determina la qualità.

Come s è evoluta nel tempo la vostra band? Come molti inizialmente siamo passati dalle cover alla produzione di pezzi nostri. A livello di scrittura della nostra musica stiamo cercando di smussare alcuni spigoli che erano troppo vivi. La differenza è quella che si sente da “Caro Estinto” ad “Azione”. Vogliamo cercare di risultare meno estremisti, ma senza prostituirci. Pensiamo che per noi l’estremismo sia stato un grande guscio nel quale nascondersi per non dover affrontare il mondo. Quei tempi sono passati, ora vogliamo dimostrare che abbiamo qualcosa da dire e che qualcosa sappiamo fare.

Avete in programma dei Live? Abbiamo appena suonato al festival “Nei Meandri di Agrone” a Pieve di Bono, in collaborazione con la nostra etichetta Toten Schwan di La Spezia e gli amici del Comitato Organizzatore. Per noi è sempre difficile trovare un posto dove suonare e un pubblico adatto. In realtà non abbiamo neanche la pretesa. Preferiamo suonare poco dal vivo e solo per gente che apprezza veramente come è successo in questa occasione.

Progetti futuri? Stiamo lavorano su un progetto molto ambizioso che si concretizzerà nel prossimo album. Le novità saranno molte, ma preferiamo non anticipare nulla. Alcuni pezzi sono già pronti e siamo entusiasti perché anche in questo caso vediamo che c’è un’evoluzione in corso. Nel breve periodo invece vogliamo ripubblicare il nostro primo album “Caro Estinto” in edizione remaster perché la prima edizione era molto penalizzata dal fattore produzione. Inoltre abbiamo idee per qualche video per lanciare almeno un secondo singolo da “Azione”.


Che ne pensate della musica in freedownload? Pensiamo che sia il futuro, se non già il presente. Infatti cercheremo di rendere la nostra musica fruibile da tutti in modo completamente gratuito. Il concetto di album, inteso come cd commerciabile, è finito e ce ne siamo accorti cercando di vendere “Azione”. Ovviamente a carico del musicista restano tutti gli oneri economici, ma c’è anche da dire che i prezzi per realizzare un album sono molto calati negli ultimi anni. Quello che è certo è che la libertà dell’artista in questo tipo di discorso sarà totale e questo ci piace.

Cosa vi piace e cosa non vi piace della nostra franzine UndergroundZine? Ci piace il fatto che riuscite a mettere in contatto musicisti underground da tutta Italia con la vostra rivista e con iniziative quali Trentino vs Sardegna alla quale abbiamo partecipato. Il formato della vostra rivista è molto curato e di grande qualità fino al dettaglio anche se, e questa è l’unica critica, è un po’ complesso per il gruppo dare un link diretto alla pagina che parla di lui.

Ringrazio molto e come sempre l’ultima parola va alle band per le conclusioni. A risentirci e buona fortuna per i prossimi lavori! Grazie a voi per l’interesse che ci avete sempre dimostrato. Speriamo di avere presto altro materiale da farvi valutare. Alla prossima.

intervista a cura di Martina Tosi


rec ECO DEL BARATRO Caro Estinto

ensi

one

Gli Eco del Baratro, band giovane che risiede in Trentino Alto Adige, apre la sua carriera con un album completo e complesso. Stanno cercando, da un annetto a questa parte, di promuoversi con questo “Caro Estinto”, uscito ufficialmente nell’estate del 2010. La band trentina (formata da Stefano Nicolini alla chitarra e voce, Francesco Armani basso e voce e Dennis Valenti alla batteria) propone un rock particolare, un melting pot di sonorità partendo dai primissimi Litfiba (per capirci il periodo di Eneide di Crypton) con sonorità dei Diaframma e dei CCCP fedeli alla linea, con un più “moderno” grunge e l’ormai strautilizzato “alternative rock”. Che sia chiaro che in questi pezzi non si trova un quid di banale o di già visto, purtroppo però siamo arrivati al punto in cui viente tutto categorizzato in modo sbrigativo come “alternative rock” ecco perché dico strausato. Questa serie di influenze le si sentono sia nella voce principale, che riprende moltissimo Piero Pelù come vocalizzi e come capacità interpretativa ed emozionale, che nella parte di testi al cui interno troviamo il dark wave italico e il post punk di Diaframma e CCCP. Inoltre i testi sembrano a tratti tipici di un cantautore per la cura e la poesia che viene inserita. Per la parte compositiva il trio si “aggira” nelle stesse tipologie stilistiche dei gruppi sopracitati, facendo un buon lavoro per essere un’autoproduzione ma speriamo che nel prossimo futuro possano avvalersi di tecnologie superiori o di più tempo da dedicare alla postproduzione ed al mastering, perché sono convinto che i numeri ci siano e sarebbe ottimale far valere al meglio le capacità che il trio ha al suo inteerno. Inoltre, sempre a livello vocale, trovo comunque non sempre convincente la seconda voce o che crei una dissonanza non voluta e stucchevole per chi ascolta rispetto alla voce principale. La band ha tutte le carte in regola per emergere, ma consiglio vivamente di spendere qualche prova in più prima di entrare in sala di registrazione (per il prossimo futuro ovvio) in modo da rendere più scorrevoli i nuovi pezzi. Nel senso che in più di un’occasione ci sono stati degli “stop and go” all’interno delle canzoni che lasciano l’amaro in bocca a chi ascolta. L’esempio lampante di ciò è “Assalto alla Baionetta”; escludendo quella traccia direi che i punti più alti che ho trovato nel cd sono: “Ballo Selvatico”, “La Spia Lampeggia la riserva non perdona”, “All’altezza dello Sterno”, “Ti Ascolto” e “Due per due cinque”.


Forse qualche accuratezza in più, come dicevo prima, sulla parte compositiva (per evitare che ci siano sbalzi strani di pathos) e qualche minuto in più per la postproduzione non avrebbe fatto male, ma per essere il primo album(e prima uscita) del gruppo direi che questo “Caro Estinto” è un buonissimo biglietto da visita per il mercato italiano e per la scena rock Italica. Mi sento di aggiungere che i ragazzi hanno dimostrato buonissimi presupposti per darci grandi soddisfazioni nel prossimo futuro. Sarebbe logico dare supporto alla band ed al loro cd, acquistatelo se siete appassionati di rock fatto bene e che ha una certa introspezione emotiva. VOTO: 68/100 Genere: alternative rock

Alessandro Schumperlin 22 Maggio 2012


rec ECO DEL BARATRO Azione

ensi

one

Eco del baratro è un power trio. una di quelle band dritte, veloci e smanianti che assalgono con l’atmosfera di una fabbrica abbandonata e la delicatezza di un machete. Picchiano duro, portando il loro post-hardcore/ noise molto lontano e molto in profondo nell’apparato uditivo di chi ascolta. Il nuovo album Azione entusiasma soprattutto per la quarta traccia, Sballata, una quasi hit no-wave di quelle che ci piacerebbe ascoltare al volante, soli, con le lacrime agli occhi. Di pari violenza e potenza si ascolta volentieri Testa di Cane, con un basso possente ed una dinamica che non lascia fermi i piedi. Altri episodi memorabili Nuovo Giorno dove una attitudine di faith-no-moreriana memoria ci lascia in attesa di altro a seguire, incontrollabile crescendo, e Il nemico sbagliato, per lo stesso approccio di natura crossover. Se riuscissimo ad immaginare un Piero Pelù in splendida forma dato in pasto ad una band del calibro dei FNM di cui sopra, avremmo una vaga idea di ciò che urla questo lavoro,molto aperto al contemporaneo ma ironicamente contenente molti richiami alla cultura rock nostrana. Attacchi che evocano i migliori brani grunge o alternative e riff malinconici senza tempo. Molta compattezza nel suono, un muro ben costruito nella sua semplicità, anche se non stupiscono allo stesso modo tutte le parti vocali. Testi ben calibrati che però non sempre vengono premiati da una metrica efficace che ben si adatti a musica di respiro internazionale. Un’ attitudine aggressivo-depressiva che fa riflettere, vuole scuotere, forse anche aprire gli occhi. La band trentina urla la sua smania “da una valle, nel nulla, rock, rumore, un messaggio di fede e speranza”. La eco si diffonde e ripete inesorabile. VOTO: 60/100 Genere: post-hardcore / noise

DroB



RECENSIONI

ARRJAM

“Session one” GENERE: Rock ETICHETTA: autoproduzione VOTO: 78/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

“Session one” è il primo prodotto di una band particolare, gli Arrjam band formata da Il Daz dei Vicolo inferno, da Got, Moretti butcher e Mauroman. Da considerare che la band fa presente di essere alla ricerca di altri artisti perché il loro progetto è quello di una band “itinerante” che possa ischiare più esperienze e più influenze e collaborazioni. Musicalmente li categorizzo, restringendoli non poco, con un generico rock. La realtà è la capictà musicale di questi artisti di passare dal classico rock al funky anni settanta, e non solo, a sfumature jazz e fusion, senza disdegnare delle piccole sconfinate in ambiti più pesanti. Le dodici tracce (di cui le ultime due sono versioni alternative di “Very nice”) sono particolarmente inconsuete e saranno la gioia degli amanti della muscia senza regole ma con una forte componente di tecnica mista alla passione ed al feeling. Uniche due pecche a mio avviso alcuni passaggi di doppia cassa che sono troppo smorzati; certo la band non fa ne death metal ne power, e quindi non ha da far sentire a tutti i costi il suono della doppia cassa ma se viene messo, risulta poco funzionale a mio avviso se risulta, ripeto, soffocato. Seconda cosa non ho capito molto la versione “radio” di “Very nice”, quantomeno l’avrei vista bene come b side del singolo di “Very nice” (nel senso che se si inserisce una radio version o ha più senso per me in una versione da singolo oppure in versione bonus track in una possibile edizione alternativa di questo album). Nel complesso devo dire che emozionalmente mi ha preso tutto il cd, ad esclusione di una traccia che è nel mood del platter ma che non mi ha colpito molto (ma non saprete qual è). Detto questo direi che “Out of control”, “Very nice” sia in versione orchestrata che in versione “normale”, “Scream for” e “Ali” sono le canzoni che vi daranno il senso di questa band che è particolarmente sopra le righe. Concludendo, abbiamo di fronte un buon lavoro di composizione, di jam session, di abilità musicali non comuni, servono solo alcune accortezze a mio avviso e il gioco è fatto. Assolutamente consigliato agli appassionati della musica in quanto tale, libera il più possibile da rimandi strani e da categorizzazioni troppo “strette”. Buon ascolto

UNDERGROUNDZINE


RECENSIONI

BLOOD THIRSTY DEMON “Reborn”

GENERE: Heavy-horror ETICHETTA: C.M.Releases / Fall Of Eden Records VOTO: 75/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

Sui Bloody thirsty demons, e del suo fondatore Cristian Mustaine, ci sarebbe da dire un sacco di cose ma vedrò di essere il più coinciso possibile e di dare spazio alle parole di e su questo nuovo album. Dal 1997 ad oggi la band ha prodotto: sei full-length un paio di Lp (7” e 12”) un paio di dvd live ed alcune altre uscite tra EP e ristampe. Come se non bastasse Cristian Mustaine ha persino aperto una propria casa discografica in aggiunta a quelle che si sono susseguite nelle produzioni dei lavori della band ed ha in ballo anche un altro progetto gli “Human degrade”. Di fatto si dovrebbe però definire i Blood thirsty demon, ora come ora, come una one man band; dato che Cristian Mustaine è impegnato con tutti gli strumenti, la voce e le registrazioni. Per chi non sapesse o non conoscesse la band, sono dediti oramai da alcuni anni al heavy metal classico con una fortissima componente horror; sia chiaro non quella alla Murder dolls, ma bensì quella più curata e più barocca alla Mercyful Fate, alla Black widow e alla King Diamond giusto per fare tre nomi (ma ne potremmo fare molti di più). Va però detto che Cristian non ha le stesse corde vocali del “Re diamante”, ma opta per una formula più cattiva ed aggressiva ovvero utilizza formule vicine allo scream per i suoi cantati. Per il resto ripercorre in modo egregio gli stilemi dell’heavy - thrash. Di certo le influenze di LaRocque si sentono molto per l’uso della chitarra e per certe risoluzioni sonore. Complessivamente il lavoro a livello tecnico è molto interessante; certo se siete alla ricerca, ripeto, di sonorità punk rock (cosa che ultimamente non ho capito perché viene legata all’horror rock e horror metal) avete sbagliato registro. I BTD prendono ripeto a piene mani nella “palude” del metal classico e lo fanno piuttosto bene. Escludendo la cover dei Black widow “Hail satan”, devo dire che le altre tracce che mi hanno parecchio colpito sono “Black insanity”, “Shame of the priest”, “Witches revenge” e la title track “Reborn”. Alla fine i Blood thirsty demon ci propongono un loro nuovo album, piuttosto articolato se pur conforme alle stilistiche della band ed agli stili ed archetipi tipici del heavy classico. Purtroppo questo rimanere fedele a quelle stilistiche compositive rischiano alla lunga di far calare l’interenne nell’album per chi vuole la novità e cerca la variante. In definitiva dico che è un buon disco sia se siete appassionati del heavy classico e del horror metal ma è anche una buona via per potersi approcciare a questo progetto.

UNDERGROUNDZINE


RECENSIONI

CHIRAL

“Winter eternal” GENERE: Death-Black ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 65/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

Chiral è il nome di una one man band, nata nel gennaio 2014, e si rimane abbastanza di stucco per la qualità proposta di questo mix tra black e death prog all’interno del promo dal titolo “Winter Eternal”. La band decide di dare alle stampe un promo di soli tre brani, quasi un singolo di altri tempi, come assaggio di ciò che è in grado di fare e di comporre. Le influenze di un certo death svedese si sentono (l’ispirazione di Dan Swano si sente molto, ma non è l’unica) buono l’approccio agli strumenti nel complesso ma forse la chitarra risulta un pochino troppo “avanti” rispetto al resto delle strumentazioni. La cosa interessante è che le abilità compositive riescono a rendere le tracce doppiamente interessanti. Da un lato troviamo un certo sapore per la novità e il meltin’ pot di generi e dall’altra una certa voglia di rendere omaggio ai propri idoli senza però entrare nel meccanismo di “fotocopia”. Unica pecca di questi tre brani, oltre ad esser pochi dato che avrei gradito un album intero viste le premesse, è forse un paio di errori in post produzione per quanto riguarda la batteria che risulta piatta nei suoni. Facendo un volo di gabbiano per provare a dare le punte di diamante di questo promo, direi che sia “Sulfur” che “When prayers will have nothing left to say” e “Eternal winter day” hanno le carte in regola per essere top song. Pecca vera in ambito extra compositiva: la copertina è oggettivamente poco curata. La “banda nera” da cui spunta il titolo del promo non è il massimo, ancor meno vedere che il moniker della band ha più di un “font” tra quello del cd fisico a quello del presskit (il che non volge a favore della band). Capisco la voglia di far uscire il proprio lavoro, ma la cura per la composizione deve viaggiare di pari passo con la cura della copertina e delle grafiche. Speriamo di risentire a breve la band e di fargli un fortissimo “in bocca al lupo” per il prossimo lavoro specie poi dalla news arrivataci durante la stesura di questa recensione ovvero: dall’uscita di questo Promo la band ha avuto la possibilità di avere un contratto discografico con la Black plague records, per il prossimo lavoro dal titolo “Abisso” e dovrebbe uscire per la fine di giugno.

UNDERGROUNDZINE


RECENSIONI

CHORIACHI “S.U.R.F.F.E.R.”

GENERE: Stoner ETICHETTA: Red Sound VOTO: 85/100

Records

RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

“S.U.F.F.E.R.” o meglio “ Set Us Free From Evil Rewards” è la seconda prova in studio per i Choriachi, band bolognese che prova ad emergere dalle “nebbie” dello stoner e da quelle delle varie band che stanno abbracciando questo genere. Mi spiego, sto notando che da alcuni mesi a questa parte è un fiorire di band stoner quasi, e ripeto QUASI, come avvenne circa cinque-sei anni fa con il folk metal. Ovviamente la band ha parecchio da dire e da far sentire. In primis si nota molto la cura nelle composizioni, tanto che loro riescono, come poche altre band italiche e straniere a fare, riescono a miscelare in modo ottimo il southern rock con il doom più anni settanta e a rendere tutto più psichedelico e cupo. Grandi abilità da parte di chitarra, basso e batteria, ma la parte più corposa la fa la voce che passa da registri rochi e sporchi a melodie canore di tutto rispetto, dimostrando una poliedricità nel cantato e dimostrando che ci va capacità, passione e abilità e non solo grezza rabbia. Sia chiaro che anche gli altri strumenti danno la stessa dimostrazione, abilità tecnica e passione serve per poter far qualsiasi tipo di canzone ben strutturata e ben riuscita. Unica pecca se vogliamo il basso un pochino troppo presente e che smorza in più punti la chitarra, ma escludendo questo il lavoro è ottimo. Come se non bastasse la band vi da la possibilità o di sentirli acquistando il cd fisico in formato jewelbox, oppure tramite lo streaming del bandcamp. Il mio consiglio è di supportare il gruppo con l’acquisto del cd fisco, perché se lo merita e ne vale la pena. Delle sei tracce che compongono questi cinquanta minuti di musica di qualità direi “Pentagruelion” che è cantata in italiano tra le altre cose, “Red capricorn” e “Marijuanaut (part 1&2)”. Per la verità anche le altre tre tracce meritano menzione Alla fine dei conti questo “S.U.F.F.E.R” è un viaggio attraverso altre sonorità e attraverso delle abilità indiscutibili. Personalmente uno dei migliori album del genere di questo primo semestre 2014. Ve lo consiglio come colonna sonora di questa afosa estate che si sta avvicinando.

UNDERGROUNDZINE


RECENSIONI

COIL COMMEMORATE ENSLAVE “L’infinita vanità del tutto”

GENERE: Black metal ETICHETTA: autoprodotto/ATMF records VOTO: 75/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

Provengono dalla Basilicata i “Coil Commemorate Enslave”, band black metal che da poco ha fatto uscire “L’Infinita Vanità del Tutto”, concept album di debutto ispirato e dedicato all’opera di Giacomo Leopardi, e più nello specifico prendendo in considerazione l’opera i “Canti”. Quindi ci troviamo di fronte a del black metal cantato in italiano, ma le alte aspettative che avevo purtroppo non sono state confermate da quanto ascoltato. Inoltre notizia interessante riguardante la band, durante la stesura di questa recensione la band ha firmato un contratto con la ATMF records. Tecnicamente abbiamo di fronte un buon lavoro, nel senso che la band propone un black metal con venature atmosferiche; le composizioni sono piuttosto curate pur rimanendo fedeli alle basi del black metal. Buoni anche gli arrangiamenti ed il mixing finale che permette di poter assaporare ogni singolo strumento, forse fin troppo pulito per essere black metal old style, ma ripeto tutto sommato ci sta anche bene. Buone le proposte sonore quindi ovvero: la cura degli strumenti, citata sopra, viene perpetrata in modo da poter assaporare le capacità tecniche della band, forse troppo tecnici per il genere (o forse sono io troppo abituato ad ascoltare nel black metal chi fa solo un paio di riff in trentaduesimi). La proposta dell’outro semplicemente recitato dalla voce di Valter Zanardi con sottofondo di chitarre spezza quello che è il resto del composto, addirittura portando la band verso lidi dark ambient che nulla hanno a che fare con il black metal, ma non basta a mio avviso (inoltre a fine dell’outro la band ha inserito una ghost track strumentale anch’essa molto vicina a sonorità dark ambient). Quantomeno a livello emotivo ed emozionale. Ripeto, la stranezza sta nel fatto che il lavoro dei “C.C.E.” è tecnicamente di livello alto, e forse dovrei dire altissimo, ma che ha un meccanismo, almeno per me, di distanza empatica ovvero non riesco ad avere un rimando emotivo ascoltando, e l’ho fatto più volte, il loro album. Non so se è perché ho sempre avuto un problema di “digestione” di Leopardi, resomi odioso a causa di errati maestri negli anni della scuola, o perché non trovo una “quadra” tra le parole e la musica. Concludendo direi che se vi interessa la tecnica, la rabbia e la cattiveria profusa a piene mani questo è certamente un buonissimo lavoro ed è il cd che stavate aspettando. Ai C.C.E. auspico di poter riunire in modo più intenso “l’anima” e il “corpo” delle loro canzoni.

UNDERGROUNDZINE


RECENSIONI

EMILIO DE BIASE

“Interplanetary Voyage Aboard A Six Strings” GENERE: Strumentale rock/prog/fusion ETICHETTA: Videoradio VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

Emilio De Biase nasce nel 1976 a San Giovanni Rotondo, inizia a studiare chitarra a 14 anni, e tre anni più tardi si iscrive al Conservatorio “Umberto Giordano” di Foggia. Nel 96 fonda i Nox perpetua che prooneva un mix tra death metal, prog classica e fusion. Nel 2001esce il Demo della band che riceve parecchi riscontri positivi dalla critica. Tra il 2005 e il 2010 insegna al Civico liceo musicale comunale di Torremaggiore e forma un ensamble chitarristico dal nome “Axemania”, Ensamble in continuo mutamento e movimento. Tra 2010 e 2014 fonda gli Age of time e tramite Videoradio stampa “Attimo” album di pop rock. Nel frattempo si “permette” anche la stesura finale e registrazione del suo progetto solista, che andremo a recensire, e un progetto futuro dal nome “The etereal room” e a breve anche il secondo album degli Age of time. Oggi il chitarrista, dicevo poco sopra, pubblica tramite, sempre, Videoradio il suo primo album solista dal titolo “Interplanetary Voyage Aboard A Six Strings”. In ambito tecnico nulla da dire, composizioni ineccepibili, arrangiamenti ottimali e proposte sonore di un certo livello. Unica pecca la troppa tecnica. Mi spiego meglio: di album strumentali e nello specifico di axe man se ne sentono, e ne ho sentiti e recensiti diversi, e devo dire che tendenzialmente vi è sempre una miscela tra le scale, i riff e le melodie in modo da render si omaggio alle capacità ma anche al feeling ed al groove. Dal mio punto di vista Emilio ha dimostrato grande capacità tecnica, immense conoscenze delle sei corde, famigliarità assurda con lo spartito e con i cambi di tempo e di andamento, buonissime le capacità di post produzione e mastering ma poca empatia con l’ascoltatore medio. Le undici canzoni che compongono l’album sono praticamente un assolo continuo. Ripeto ben composto, ben suonato, ma forse un po’ troppo esasperata come proposta.

UNDERGROUNDZINE


Ripeto capisco che in un album strumentale di un chitarrista gli assoli siano la parte principale, ma non è possibile a mio avviso aver praticamente solo scale e contro scale, si va nell’autoreferenzialità e si fa perdere attenzione a tutta la composizione nel suo complesso e alle abilità di Emilio nel comporre tutte le canzoni. Delle tracce avrei difficoltà a darvi quelle migliori, sia perché sono, ripeto, composte e suonate bene ma non lasciano una sensazione se non si è particolarmente appassionati dei super tecnicismi e dei cd di soli virtuosismi. Dal mio punto di vista questo è un cd per i palati particolarmente fini e per chi è appassionato, ripeto, ai virtuosismi portati all’eccesso. Voto sicuramente sopra la sufficienza per le capacità, ma l’empatia che manca l’ha ridotto sensibilmente. Consiglio per il prossimo futuro di non far solo assoli e non solo scale a meno di non voler rimaner nella “nicchia” dei super virtuosi.

UNDERGROUNDZINE


RECENSIONI

ETHERNAL SILENCE “Raw poetry”

GENERE: Goth-power ETICHETTA: Underground symphony record VOTO: 69/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

Gli Ethernal silence vengono da Varese, nascono nel 2008 e nel 2011 arrivano ad avere una line up stabile che permette loro di poter registrare il promo “Darkness andr regret” di 4 pezzi nel 2012. A fine 2013 entrano in studio per la registrazione di questo che è il loro debutto dal titolo “Raw poetry”, come avete letto poco sopra ovviamente, come se non bastasse il loro debutto è suggellato dalla firma per la Underground symphony records. Compositivamente parlando siamo di fronte al classico platter di power con venature goth e con la voce femminile (vedi Epica, vedi Nightwish). La differenza sostanziale è l’uso della voce di Marika che evita, e mio avviso fa benissimo, la “solita pesudo cantata in lirico femminile”. Di questo, chi mi legge sa che non mi torna la scelta del lirico a tutti i costi, ma pare sia una scelta “sine qua non” che le bands che si rifanno a Epica e Nightwish debbano fare. Cosa che per altro non ho mai capito, sembra che se si fa power e alla voce ci sia una donna sia per forza goth, perché ha il corsetto, e come se non bastasse le voci femminili debbano avere il canto pseudo lirico o lirico se no vi è peccato mortale. Ma andando oltre, le batterie sono buone, forse un suono più rotondo avrebbe aiutato, ma siamo in questo caso nel meccanismo del piacere personale che non nell’errore, il basso si sente e fa un buon lavoro, ma avrei gradito un filino più di corposità per lo strumento. Le chitarre nella media del genere, purtroppo in alcuni casi sono un filino coperte dalle tastiere. Buona la parte compositiva meno quella di arrangiamenti. Nel senso che avrei preferito dei suoni differenti delle tastiere oltre ai classici “archi” ed alcuni suoni tipici da Nightwish. Inoltre non mi pare convincente fino in fondo la voce maschile che spunta in alcune parti e risulta forse un filino troppo “timida” e poco incisiva. Magari meglio averla come voce di rafforzo nei cori che non in sparuti momenti che non riescono a dare una dimensione completa della capacità vocali e provare ad utilizzarla di più. Emotivamente direi che mi hanno colpito “Forlorn farewell”, “December demise”, “Incubus” e “Braving my destiny” In chiusura direi che di margini di miglioramento ce ne sono, la band può certamente progredire ed andare oltre gli attuali limiti e di sicuro poter raggiungere buoni livelli. Lo consiglio per chi ha voglia di ascoltare una band nostrana che fa un buon lavoro di power-goth.

UNDERGROUNDZINE


RECENSIONI

EYES ‘N’ LIPS

“Pornostar for president” GENERE: Hard rock ETICHETTA: Street symphonies records-Atomic stuff VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

Debut album dei Eyes’N’Lips, band milanese che fa del hard rock con venature sleaze anni ’80 la propria bandiera. La band nasce nel 2011, ma le note della band affermano che comunque i primi contatti tra il batterista Vik e il chitarrista Gypsy c’erano stati nel 2009; in quel periodo crearono gli “Snipers”, ma per problemi interni alla band Vik e Gypsy decisero di “cambiare aria” e quindi dalle cenere degli “Snipers” sono nati questi “Eyes’n’lips” trovando in Mr scorpion il vocalis giusto e in Swiff il bassista. Diciamo che, indipendentemente alla passione della band per il sunset boulevard tutto non è solo “circoscritto” alla Los Angeles dei tempi d’oro del glam e di quello che ora vien definito Hair metal, anche delle occhiatine ai D.A.D. e in alcuni frammenti gli Scorpions si sentono oltre che a band come Warrant, Cindarella, Faster pussycat e gli Immancabili Mötley Crüe. Devo dire che tutto sommato hanno fatto un buon lavoro, pur non avendo inventato nulla e pur non presentando nulla che possa essere innovativo del genere; ma come sovente dico, non sempre la “novità” è segno di evoluzione. Unica cosa avrei puntato ad altri registri vocali, nel senso che in più di un’occasione all’interno di tutto il cd si sente che la voce viene spinta troppo in acuti che possono essere deleteri per il cantante a lungo termine e comunque troppo riconducibili ad altri “mostri sacri”. Secondo me il rischio più alto è che la band possa sembrare più una band che va oltre al “tributo” ai propri idoli. Inoltre capisco il suono delle chitarre il ’80 style ma magari un filino meno “secche” e si sarebbe potuto avere una resa migliore. “With you”, “Fuckin’ obsessive”, “Soldier of love” e “Come away, come away with me” sono I brani che meglio rappresentano la band in questo momento e in questo loro debutto. Concludendo non male il loro esordio, ma certo mi permetto un consiglio a loro: andate oltre la barriera della reverenza verso i grandi del passato, o vi troverete nel lungo termine ad aver poco in mano. A voi fans degli anni ottanta e della pozione magica “sex, drugs and rock and roll” vi consiglio vivamente di acquistarli e di supportarli fortemente, credo che ne resterete colpiti in modo importante; un ottimo lavoro di glam sleaze, ma solo se siete amandi “die hard” di quelle sonorità.

UNDERGROUNDZINE


RECENSIONI

HELL’S GUARDIAN “Follow your fate”

GENERE: Death melodico ETICHETTA: autoprodotto VOTO: 80/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

Il combo bresciano è l’opposto degli Orden Ogan, nel senso che se le immagini degli Orden davano da pensare ad una band pagan o black, mentre fanno power, loro dalla copertina non fanno power e neppure epic, ma una forma di death metal influenzato da rimi marziali più vicini la viking. Ma andiam per gradi; la band nasce nel 2009 e nel 2010 fanno uscire il loro demo omonimo e autoprodotto. Alla fine del 2013, dopo una serie di live fatti con band del calibro di Furor gallico, Vision divine, Folkstone e Evenoire, si “rinchiudono” e registrano il nuovo lavoro ovvero “Follow your fate”. Musicalmente interessante dato che le influenze di band quali Amorphis, In flames e in parte Ensiferum si sentono. Buone la sessioni ritmiche, basso e batteria, interessanti le chitarre che però avrei preferito leggermente più alte come volume, la doppia voce pulito e grolw che rende ancor più coinvolgente l’ascolto. Forse nei ritornelli con la voce pulita sarebbe stato meglio aggiungere una voce in più a spingere meglio l’enfasi. Buona anche la parte di arrangiamenti che amalgamano bene i vari feeling delle canzoni e portano l’ascoltatore in questo undici tracce alla scoperta delle abilità degli Hell’s guardian. Magari per il futuro, e per non sconvolgere l’ascoltatore medio, utilizzerei altre copertine. Meno powerose e con meno rimandi ai Blind guardian. Nota importante all’interno delle undici tracce abbiamo la bellezza di cinque special guests rispettivamente: Lisy Stefanoni (cori, flauti e voce in quattro brani), Davide Cantamessa (scream vocals in due brani), Maurizio Carrion (guitar solo in una traccia), Fabrizio Romani (guitar solo in un brano), Sabrina Moles(voce narrante in un brano). Non vi dico quali, dovete acquistare il cd per saperlo. Musicalmente devo dire che mi hanno colpito i brani “Neverland”, “Silence in your mind”, “My prophecy”, la title track “Follow your fate”, “Away from my fears” e “Middle earth”. Brani azzeccati e dimostrativi delle capacità compositive e attitudinali della band. Direi che questo è stata una bella scoperta, ovvero non mi sarei atteso una freschezza compositiva di questo tipo e una capacità nella post produzione al debutto. Inoltre oltre all’aspetto tecnico ci metto anche quello del feeling che la band ha saputo trasmettere in modo egregio. Promossi, ragazzi mi raccomando continuate così.

UNDERGROUNDZINE


RECENSIONI

PARTY ANIMALS “Light a fan cool”

GENERE: Hard rock ETICHETTA: Street symphonies VOTO: 78/100 RECENSORE: Alessandro

records

Schumperlin

I party Animals nascono nel 2011 e l’anno dopo escono con un EP dal titolo “Rock ‘n’Roll” che gli permise di poter solcare parecchi palchi blasonati, vedi condividere il palco con i Bad bones, Tuff e gli Elvenking. Ora esce il loro debut album dopo la firma con la Street symphomies records. Ma andiamo per gradi, dall’uscita del EP a questo debutto vi è stato un cambio di lineup che ha visto la sostituzione della cantante Sabrina con Andreina nel giro di poco. Partendo già dal titolo che dalle nostre parti ha un senso molto più goliardico e liberatorio che per il resto del mondo. La proposta della band è del caro e corposo hard rock, con venature 80. La composizione è curata bene, la registrazione anche, notevole la voce femminile che crea una marcia in più rispetto al “solito” hard rock, oltre ad andare più lontano del solito cliché della voce femminile che a tutti i costi deve fare il lirico o lo pseudoliricio; ottimale anche la parte di mixing e di mastering, forse avrei preferito una sovra incisione delle chitarre per le parti di assolo delle stesse. Nel senso che l’assolo con il solo basso a sorreggere la chitarra risulta un pochino troppo scarna, ma detto questo il lavoro è tecnicamente ben fatto. A me ha gasato tantissimo un brano come “Hellfire”, come “Set me free” e “Fuck yuo baby”, “A new day” una traccia che parte come una ballad ma che si evolve in modo molto carico, mentre “Lace and spurs” ballad immancabile in un album di hard rock. L’album nel suo complesso è una botta di energia e di carica al fulmicotone. Consigliatissimo per gli amanti della musica grintosa e con sostanza. Alla band rifaccio il mio consiglio di mettere sotto una traccia di chitarra ritmica durante gli assoli, dato che il basso da solo non basta e a voi cari lettori vi consiglio di avere tra le mani al più presto “Light a fan cool” ed urlarlo a più non posso (avrete un buon motivo per mandar la gente a quel paese senza essere malmenati, alla fine state cantando una canzone).

UNDERGROUNDZINE


RECENSIONI

RABHAS

“Demolizione” GENERE: Death-thrash ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 60/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

Band nata a Bologna nel 2010 per volere di due amici che vogliono proporre il loro modo di veder la musica e di interpretare in generale il metal estremo. Riescono a completare la formazione e a dare un’idea di massima come fonti di ispirazione (Morbid angel, Deicide, Suffocation, Grave, Unleashed, Napalm death, Brutal Truth). Va fatto presente che Alessandro e Daniele (due dei quattro che compongono la band) hanno fatto parte di band quali: Buoi omega e 2minutadreka, il primo, e Kadath ed Elements for echo, il secondo, mentre Cristian e Antonio principalmente hanno fatto parecchia jam o progetti estemporanei. La band ha creato prima di questo esordil “sulla lunga distanza” un demo nel 2013, chiamandolo “Demo 2013” e alcune delle canzoni di quel demo sono ora in questo album di esordio; ma entriamo nel vivo della recensione. Dal mio punto di vista devo dire che se pur trovando una certa genuinità ed un certo appeal in quello che si sente in questo album, trovo degli errori ed in fase compositiva ed in fase di post produzione. L’intro non mi è chiaro o meglio ricorda il periodo grind dei Napalm death, peccato non aver poi “continuità” con il resto del materiale proposto dalla band; stessa cosa accade con l’outro che ricorda più del noise e devo dire che un minuto e mezzo di inneschi e “tremolate” mi lascino dubbioso. Le chitarre in più punti restano troppo mischiate e poco chiare; spiccano un pochino di più nei soli, ma non basta. Stessa cosa accade anche al basso, ovvero particolarmente mischiato e poco incisivo, ad esclusione dei passaggi in mid-tempo in cui si può percepire in modo molto chiaro e dimostra di esserci e non sembrare una “chitarra aggiuntiva”. La batteria non mi convince per i suoni e in alcuni punti le dinamiche dei piatti entrano troppo negli altri strumenti. I testi in italiano, se pur cantati in growl profondo non convincono.

UNDERGROUNDZINE


Capisco la voglia di riportare un certo death-thrash anni ‘80 e ‘90 ma per farlo non c’è bisogno di far perdere in qualità; si può benissimo fare del metal estremo restando fedeli alle origini ma evolvendo il suono e le forme compositive, se no è un meccanismo che a mio avviso invece di mantenere viva l’attenzione porta ad affievolire l’attenzione e a rendere autoreferenziale la cosa. Purtroppo a mio avviso la proposta dei Rabhas è ancora acerba, o forse troppo legata ad un passato che, se pur glorioso e carico di ricordi per un diversamente giovane come me, non convince fino in fondo. Spero che la band per il prossimo lavoro trovi una quadra espressiva differente, questo non vuol dire fare altro ma solo focalizzare di più le energie e provare a far metal estremo ma non rimanendo così troppo incuneati in una formula datata e poco proficua, quantomeno per la parte di post produzione. Devo ammettere che do la sufficienza più per invogliare la band a far meglio in futuro, ma altrettanto ammetto che se perpetrassero con questa formula compositiva dubito che potrebbero in futuro aver ancora la sufficienza. Album sicuramente consigliato solo ai fans del death e thrash, con venature HC e grind, anni 80 e primissimi 90.

UNDERGROUNDZINE


RECENSIONI

POINT TO HEAD “Point to head”

GENERE: Thrash death ETICHETTA: autoprodotto VOTO: 63/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

I point to head sono un trio di Velletri che porpongono un thash death con vaghe reminiscenze con l’hardcore e in alcuni punti del grind. Si presentano, poco devo dire, al pubblico con questo loro primo lavoro omonimo e autoprodotto. Dico che si presenano poco, dato che non hanno dato molte informazioni, cosa che non fa mai bene secondo me specie se si è agli esordi… Ma detto questo devo dire che musicalmente hanno un quid interessante. A livello tecnico non ho trovato grossi errori di composizione e di post produzione; avrei magari preferito il volume della voce leggermente più alto rispetto alla batteria, troppo presente a mio avviso, inoltre ho dei dubbi di “coesione”. Mi spiego meglio, non ho molto capito il nesso dell’opener con il resto del cd, non mi è chiaro uno strumentale, “lingua morta”, da oltre due minuti che pare più un intro particolarmente lungo per la canzone successiva e non uno strumentale a tutti gli effetti; stranezza aggiuntiva mi capita ascoltando la canzone che chiude il “Point to head”. In “The most normal thing” ci sono troppi generi insieme nella stessa canzone e non permette a mio avviso di potersi approcciare al loro album in modo chiaro; unica via possibile è andando alla canzone successiva. Stessa malia avviene con la canzone conclusiva “Orifizio del cardias” che par più una traccia “New age” con i suoni di temporale, di uccellini e in lontananza delle chitarre e la batteria che restano piuttosto in sottofondo. Capisco il voler spaziare e il non volersi dare un “limite” di genere, ma così mi par esagerato. Personalmente mi sono piaciute “Dead end”, “Gr(a)ind life” e “Solder of joy”. Come sempre dico fatevi la vostra top songs ascoltando il cd. Concludendo, dando alla band le attenuanti del primo lavoro, direi che sono comunque una band da tenere in considerazione. Certo a loro consiglio di focalizzare di più le idee compositive e di evitare il più possibile il meltin’ pot, quantomeno fino a che non riusciranno a dare un filo conduttore a tutte le varianti e variabili dei vari generi che vogliono inserire nel loro cd.

UNDERGROUNDZINE


RECENSIONI

ALESSANDRO BEVIVINO “Quando Tutto Ebbe Inizio” GENERE: Spaghetti western ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 50/100 RECENSORE: Max

rock blues

doctor rock Ugolini

Portatore sano di follia spiazzante Selvaggia e teatrale, un’ep suonato in acusticoe sorprendente sulla parte delle note’/Break I Like (Gamba Rotta) strumentale che apre ,che come esplicano le note di copertina e racconta di un lavoro sporco ,quello del bounty killer il tutto ambientato in una sorta di western immaginifico partorito dal nostro artista che ha nel di svolgersi di questo pezzo il mondo violento di questa figura oscura e senza scrupoli’/Canta/Fuoco’che prosegue la storia ,di questo mini concept western messo in scena or ora in un saloon dove il nostro cacciatore di taglie trova ristoro in un certo senso nel suo essere vagabondo con il sesso a pagamento ,scena sin troppo didascalica nella costruzione. ‘Freak’ cover dei Days of new che per il sottoscritto è il brano migliore nella versione che ne fa’ Bevivino con tonalità da hard rock oscuro potente e incisivo ‘Caorle’ancora uno strumentale a chiudere questo lavoro dove si disegnano inverni trascorsi dall’autore nella città veneta ,un sottofondo di chitarra con gabbiani ,piogge e temporali a colorare l’affresco rimembrante.

UNDERGROUNDZINE


RECENSIONI

EX-EGO

GENERE: Rock, ETICHETTA: VOTO: 45/100

Grunge, Alternativo

RECENSORE: Max

doctor rock Ugolini

Sinceramente un lavoro piatto e forse anche inutile questo ep non dice nulla se non la volontà del combo calabrese di tentare di tirare fuori le problematiche che li circondano e localmente c’è una reminiscenza con un presunto rocker emiliano che forse risulta l’univa nota curiosa,il discernere musicale è un già sentito ……….nulla di originale sotto il sole di Calabria ,nessuno aspetta il capolavoro ma almeno un barlume di personalità.Dal lato musicale /tecnico le note positive suonano bene e sono ben prodotti,ma è il loro rock intimorito che ci lascia sgomenti.

UNDERGROUNDZINE


RECENSIONI

LE ORIGINI DELLA SPECIE “Un attimo di eternità”

GENERE: Rock ETICHETTA: VOTO: 50/100 RECENSORE: Max

doctor rock Ugolini

Un lavoro che parrebbe transitorio rispetto alle potenzialità della band trentina .13 pezzi compresa la cover di Battisti che personalmente trovo di troppo e neanche tanto riuscita, “Giardini di marzo” in una versione stucchevole. Gli altri pezzi sembrano avere almeno musicalmente un ardore ben delineato non seguiti sempre da testi e metriche compenetranti e armoniose con le tessiture chitarristiche. Le prime tracce lasciano ben sperare un rock manierato nulla di originale ma suonato con inattaccabile onestà artisticaIl sound si presenta potente e compatto anche sulle altre tracce, ma anche troppo uguale a se stesso per farmi sobbalzare dalla poltrona. Nulla da eccepire sulla performance peraltro intrisi da un uso calibrato dell’elettronica specialmente nella cover e in alcuni altri pezzi è presente in modalità incisiva e pregnante.

UNDERGROUNDZINE


RECENSIONI

OLDTHINK

“Between Pain And Love ” GENERE: Alternative rock ETICHETTA: Rehab records/ VOTO: 70/100 RECENSORE: Max

Irma records

doctor rock Ugolini

Classic rock per il primo ep del gruppo laziale,cinque tracce intrise di riff ,note suadenti non ancora stelle ma piccoli astri luminescenti di una luce propria per quanto ci è dato ascoltare. Betweet Pain And Love title track costruita con un intro effettato su un tappeto di ritmi blandi per poi arrivare ad un suono deciso e grintoso. Little queen è invece una ballata dagli schemi collaudati ma non per questo meno efficace dove tutto si ritrova dall’incedere lento all’assolo di chitarra finale Not The Last Song tende a confondere le acque inizialmente per poi assurgere a frequenze rock più concilianti e convincenti con incedere avvolgente che concupisce l’attenzione dell’ascoltatore. Whats is life,ancora qualcosa di diverso e spiazzante ma il sound resta assolutamente rock e convincente nel suo incedere originale e altresì orecchiabile,paradossalmente un pezzo oseri dire ballabile ,nella sua accezione più alta. When The Shadow will Reach Me va a chiudere questo ep con un’altra ballad in crescendo che stupisce nella sua intensità e nel corpo costruito con capacità e ingredienti miscelati alla perfezione ,visto il risultato. un presagio ,questo lavoro per qualcosa di più elaborato nel suo divenire creativo.

UNDERGROUNDZINE


RECENSIONI

ENLOVESKI promo EP

GENERE: post grunge ETICHETTA: Autoproduzione VOTO: 68/100 RECENSORE: Drob

EnlovesKi Piacevole album proto-grunge, inteso come genere rock/hard rock sanguigno e genuino, con testi sentìti e non frivoli. Questa formazione rimanda a tutta quella scena gloriosa dei ‘90 che cambiò a suo modo le sorti del rock tutto. Strategicissima (se voluta) la scelta di pubblicare su Spotify indicando come artisti simili One Direction, David Guetta ed altra robetta commerciale in modo da collezionare più click ma anche scuotere un po’ gli ascoltatori di “quella” musica. Il promo si apre con Waiting for the rain, perfetta summa di matrice stoner, riff pesante e cadenzato, memorabile all’ascolto immediato. Stacchi ben posizionati che introducono o caricano un ritornello semplice ed efficace. Proseguiamo con Thirty Days che appare quasi una ballad con cui cullarsi dolcemente ma nasconde nel suo evolversi un’anima cupa di Tooliana memoria, o in alternativa Alice in Chains che ritroviamo nei cori e nella melodia tutta. La malinconia di Koru non tradisce il mood dell’album, e si presenta come “classico” non risparmiando uno spazio ad un bel solo nell’apertura del finale. Boarman e Taxidermy sono brani dello stesso spessore ma si rifanno a quelle “sincopi” di più moderna attitudine (sempre di rimando i Tool) con solida struttura e bei suoni di basso e batteria. Chiude The Split, incisiva e con potenzialità di singolo dato l’impeto dei suoni, la forza della melodia e una mitragliante batteria. Solo dopo aver scritto la recensione ci si accorge che la tracklist offerta da Spotify è assolutamente randomica, quindi unica soluzione è cercare EnlovesKi ed ascoltarne l’album per intero.

UNDERGROUNDZINE


RECENSIONI

LA NEVROSI

“Altro che Baghdad” GENERE: Rock / Alternative ETICHETTA: Cinico Disicanto VOTO: 65/100 RECENSORE: DroB

Napoli stupisce sempre per la freschezza delle sue proposte, e questo La nevrosi è frutto dell’anima più rock e sanguinolenta della città partenopea. Testi diretti, duri, disincantati, sciorinati su tracce rock alternative potenti ed efficaci. Il missaggio privilegia molto le voci che rimangono sempre davanti e fanno da colonna portante a tutto l’album, un cantautorato aggressivo per chi ha voglia di aprire le orecchie a verità anche scomode. Gli arrangiamenti maturi offrono episodi notevoli come La tua canzone, una ballata progressiva e romantica, oppure Ogni notte è così, che viaggia dritta nella wave con inserti di synth e chitarre che rimandano vagamente ai Placebo. Scivola è più debole nella melodia della voce, a tratti statica rispetto all’orchestrazione tutta. Vedrai Vedrai è poi dosata cover di un brano di Tenco, ottimi riferimenti quindi alla base, mentre brani più moderni come Il sapore che ha, oppure Perché non sono così, riflettono ascolti d’oltremare con stacchi e suoni molto più commerciali, non per forza in accezione negativa. Vale la pena evidenziare alla fine la prima traccia Altro che Baghdad, potente rock che introduce un po’ il mondo de La nevrosi e l’ultima La tua vita sarà, denso orchestrale alla Battiato che stupisce per la solidità e l’emozione.

UNDERGROUNDZINE


RECENSIONI

DECOMPOSIZIONE HC “Demo-lizione”

GENERE: Hardcore, ETICHETTA: VOTO: 75/100

Metal, Punk, Crust

RECENSORE: Lidel

I decomposizione hc sono una band proveniente tra le zone alto vergante arona , il genere (come lascia intuire il nome) è hardcore con testi in italiano. Il demo in mio possesso si chiama “Demo- lizione” e contiene 5 pezzi. Le influenze sono hardcore degli anni 80, metal. Il demo in sè non sarebbe male ma il mixaggio\masterizzazione è parecchio mediocre e se da un lato potrebbe risultare “affascinante” per chi ama i suoni putridi, d’altro canto penalizza (secondo me) il gruppo in termini di resa su cd che potrebbe essere notevolmente superiore. Al punk hc classico di “frutti marci”, si passa all hc con influenze quasi crust di “Astinenza programmata”, “Brucia” è quasi piu’ sul punk come velocità, “Sbirri stato mafia” sembra presa di peso dagli anni 80, “Noia” si avvicina molto a quanto fatto dai Cripple bastard (da rivedere totalmente la seconda voce(?) che ho trovato fastidiosa, ridicola ed altamente penalizzante). A parte questi errori creati dall’inesperienza, la band piacerà sicuramente agli amanti del genere, i ragazzi sono bravi e han messo quasi tutto a fuoco quello necessario per produrre un album capace di interessare. Un consiglio: registrate dove volete ma mixaggio \ masterizzazione cercate bene! Ci sono moltissimi studi non solo italiani che fan questi servizi via online a prezzi molto competitivi e con una validissima resa.

UNDERGROUNDZINE


RECENSIONI

EDWARD IN VENICE Demo

GENERE: Screaming ETICHETTA: VOTO: 95/100

melodic hardcore

RECENSORE: Lidel

“Edward in venice” è una band “screaming melodic hardcore” di Pesaro. Il demo in mio possesso, di 4 pezzi è un concentrato di tecnica, classe, talento, suonato e registrato con uno standard altissimo. Già il primo pezzo “17th october” fa capire che qui non abbiamo di fronte una band di incapaci, la canzone è perfetta: trascinante, cantante stratosferico, esibizione impeccabile e suoni iper professionali, “Bring home the bacon” è hardcore di scuola strung out con uno screamo degno delle migliori band americane e con notevoli intrecci di chitarre, supportate da cori fantastici, “Looking inward” è un calcio alle parti basse senza se e senza ma, capace nel contempo di essere molto catchy, “The son of no one” è una canzone molto post hardcore con elementi nu metal, con cori che da soli valgono un bel 10 ( il pezzo forse migliore nel complesso ma anche gli altri, come avete modo di sentire, sono notevoli). Forse potrò sembrare esagerato in questa mia recensione, ma scommetterei chiunque a dire che questa è una band italiana. Non posso fare nessuna critica se non che per loro sfortuna, sono nati in italia.

UNDERGROUNDZINE


RECENSIONI

INJURI

“Dominhate” GENERE: Thrash metal ETICHETTA: Ferocious records VOTO: 85/100 RECENSORE: Lidel

Gli Injury sono una band thrash metal old school della provincia di Reggio Emilia, l’album di 10 pezzi “Dominhate” è edito dalla etichetta statunitense “Ferocious records”. Già dal primo pezzo “the shadow behind the cross” e da quello seguente “drop the bomb”, gli amanti dei riff granitici di scuola thrash bay area troveranno pane per i loro denti. L’acceleratore resta pigiato anche in lost generation, “Slaves of our fears” è la sagra dello shredding, “10.000 graves” ricorda una via di mezzo tra gli Overkill ed i veri Metallica, andando avanti si arriva al pezzo numero 8 “Annihilated by propaganda” che è una vera sberla di come il thrash metal deve essere, gli ultimi 2 pezzi continuano con quanto proposto. L’album è decisamente godibile, molto di piu’ di tante band che vorrebbero essere pesanti ma risultano essere cattive come bambi ( il cerbiatto).

UNDERGROUNDZINE


RECENSIONI

SOUTH BRIDGE “Our driving force” GENERE: post ETICHETTA: VOTO: 90/100

hardcore\metal\ scream

RECENSORE: Lidel

I South Bridge sono una band di Napoli, genere post hardcore\metal\ scream, il loro ep di 6 pezzi si chiama “Our driving force”, dopo una intro tra l’altro molto carina, si passa al primo pezzo vero “1b walkin dead” con bei chitarroni in bella vista, batteria incazzata e voce in stile screamo molto convincente, “Look up” è hc a rotta di collo con molto metal e chi si è visto, si è visto (tanta cattiveria ragionata non fine a sè stessa), “Fields of dreams” inizia in maniera velocissima, senza lasciare respiro, break melodico ottimo, “Endless engine” ha dei cori iniziali da stadio su una base hc di pregevole fattura con assoli di chitarre ben eseguiti, “Entry #37” dopo un intro di chitarra, sfocia in un post hardcore discretamente lento per poi virare in una mazzata alla quale restare indifferenti è ardua impresa, “The last entry” è un pezzo che subito dopo 2 secondi entra in testa (cosa notevole) e non mi sorprenderei nel vedervi muovere il capoccione. Band molto brava, registrazione di valido livello. Da vedere live per poter godere appieno della potenza in loro possesso.

UNDERGROUNDZINE


RECENSIONI

SPLIT AT THE SHEELS “Prossemica”

GENERE: Hardcore, metal, metalcore, grunge ETICHETTA: VOTO: 75/100 RECENSORE: Lidel

Gli Split at the sheels sono una band con influenze hardcore, metal, metalcore, grunge. L’ep di 5 pezzi + 2 intermezzi, si chiama “Prossemica”, il primo vero pezzo è la seconda traccia “Monologue” e parte benissimo, poi però la band entra un po’ in territori lambiti dal metalcore lento ed il mio interesse va a farsi benedire (peccato perchè la canzone ha un potenziale enorme), “Era of a thousand” resta in binari piu’ hardcore (quello molto contaminato odierno) ed il risultato è molto valido, “wrangle” ha delle chitarre ibride tra grunge\ metal\hardcore ed una batteria bella stronza, chiudono “Code of the onions” e “Rottweiler” (quest’ultima con le chitarre migliori di tutto questo ep nonchè il pezzo che piu’ osa del lotto), entrambi i pezzi nulla tolgono e nulla aggiungono al resto. L’ep sicuramente avrà degli estimatori, l’unica pecca è data dalla voce che è praticamente sempre in screamo e alla lunga mi ha annoiato a morte. Nonostante questo, i ragazzi sono bravi e la registrazione è ottima.

UNDERGROUNDZINE


RECENSIONI

MOT LOW

“Il ritorno della mezza stagione” GENERE: Garage ETICHETTA: VOTO: 70/100

Punk, PostPunk, Lo-fi

RECENSORE: Rob

Da Torino, quattro individui piuttosto strani. Ma partiamo subito col descrivere le canzoni de “Il Ritorno Della Mezza Stagione”, album dal sapore low-fi, scelta soprattutto di necessità, ma anche piacere. Con “Apocalisse”, subito un inizio energetico, il ritornello rimbomba nel cervello, ben costruita la parte strumentale, tutto miscelato in modo impeccabile, insomma una canzone fresca, accattivante, di stile l’aggiunta dei cori. L’inizio promette bene. “All’estero”, primo singolo estratto dall’album, con relativo video, rispecchia in pieno lo stile della band, con la batteria che dà la spinta in più,la chicca inaspettata, è però la versione “ballata” aggiunta alla fine,con l’audio come in lontananza, o come se provenisse da vecchie casse di uno stereo, che viene però interrotta all’improvviso da un click. In “Finito”, batteria e basso creano la spina dorsale, bella la combinazione, ma sembra qualcosa di già sentito, niente di eccitante, troviamo la stessa struttura musicale per “F.Alberoni”, qui ho trovato bello lo sfogo contro la routine e noia quotidiana. Ne “Il ritorno delle mezze stagioni”, raggiungono il picco massimo di qualità, il pezzo meglio riuscito dell’album, benfatto il crescendo strumentale, dove mettono in mostra la loro vena più melodica, senza tralasciare il testo, raccontando un piccolo spaccato di contemporaneità, riguardante le mode, “le ovvietà e il luogo comune”, da inno la frase: “nessuno è diverso finchè non gli dici che non lo è, omologarsi è sempre stato così comodo”, incornicerei queste parole, unica pecca il bridge che non convince del tutto, ma va benissimo comunque, eccezionale. “Anche stasera non ci siamo divertiti”, altra canzone dal sapore pessimista, testo semplicemente vero, che ancora una volta si concentra sulle abitudini, senza però tralasciare mai il lato comico delle cose. Ecco che poi arriva, tra l’osceno, l’ironico e il fuori di testa, la cover di “Voglio andare a vivere in campagna”, oltretutto prossimo singolo e in questi giorni si sta realizzando anche il relativo video, una scelta del genere fa capire la stoffa del gruppo, per me una vera a propria prova di coraggio, dimostrazione di fegato, e un vero e proprio gusto dell’orrido.

UNDERGROUNDZINE


Scherzi a parte, c’è da dire che con un gesto del genere puoi cadere facilmente nella stupidità, invece loro sanno bilanciare l’ironia e sinceramente non riesce nemmeno malissimo la loro western/cover. “Lontano dai pasti”, ricorda vagamente qualcosa di fine anni 80’ trascinati dal basso, fino al ritornello, che risulta lineare, la canzone termina dopo poco più di tre minuti, fino a ritrovarci di fronte ad una delle migliori canzoni dell’album, la ghost track è una chicca in vero stile punk, garage, veloce e sporca. I Mot Low non si fanno scrupoli, suonano senza fronzoli e se ne fregano di giudizi e pensieri altrui, fanno come gli pare, determinazione e rassegnazione, ironia e serietà, sincerità ma anche cinismo, tutto sullo stesso livello.

UNDERGROUNDZINE







Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.