UndergroundZine Maggio 2015

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RECENSIONI

ATHESIS “Athesis”

GENERE: Power/thrash ETICHETTA: autoprodotto VOTO: 50/100

RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Formatisi sul finire del 2012 per volontà di Andrea Daniele, gli Athesis devono il loro nome al fiume Adige ed al suo nome originario, elemento centrale su cui ruotano i testi e l’ispirazione artistica del gruppo. A completare la formazione troviamo: Andrea Sorice, Claudio Ena ed Andrea Orsino. I due Andrea, insieme ad Andrea Daniele facevano un tempo parte di una band thrash metal chiamata “Deathkall”ed invece Claudio Ena aveva già avuto modo di collaborare con lo stesso Daniele nel progetto solista di quest’ultimo, i Wicked Bluesman. “Non tutte le ciambelle riescono col buco!”… Questo secondo me potrebbe essere il riassunto in una frase di questo EP. Nel senso che capisco che i cliché del power pretendano trovare gli acuti in falsetto e queste note sparate a toni quasi da ultrasuoni; ma se questi acuti vengono piazzati quasi a caso, se le chitarre non vengono valorizzate e la batteria risulta in più punti troppo posticcia il risultato esce claudicante. Stessa cosa capita con la copertina che risulta troppo abbozzata. È sempre brutto sentire degli EP che hanno potenzialità avere un risultato mediocre per scelte di post produzione e per dover seguire in modo rigido(ma poco funzionale) gli stilemi del genere. Carina e ottima la capacita del cantante di passare da pulito a growls, oltre che lievemente fuori dai soliti schemi, ma gli acuti in falsetto non vanno per nulla bene ne per come sono posizionati e neppure per la funzionalità dei brani. Meglio rimanere con il pulito “normale” ed il growl che non il falsetto. Le chitarre sono ben suonate ma post prodotte in modo dubbio (o forse neppure post prodotte), la batteria escludendo i suoni usati danno delle buone ritmiche, stessa cosa il basso che se si esclude i momenti in cui si confonde con la cassa e le note basse delle chitarre dimostra capacità. Per quanto riguarda le buone le idee proposte dalla band, il risultato è sotto il livello delle aspettative minime. Capisco l’esordio ma alcune scelte sono errate in modo macroscopico, quindi spiace per la band ma questo EP risulta scarso. Athesis rimandati ‘’a settembre’’ per gli esami riparatori. Per quanto si possa ragionare di album autoprodotto, il disco è comunque “visibilmente” infarcito di sbavature e le carenze più grosse si trovano in ambiente di post produzione e di gestione dei volumi.

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BARYNOYX “Trias”

GENERE: Alternative ETICHETTA: autoprodotto/ New Dimensional Era/ Ghost Label Record/Crashsound VOTO: 65/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

I Baryonyx sono una band nata nel 2008 e dal 2009 ad oggi hanno prodotto un disco, un singolo e partecipato a diverse compilation . Fa un pochino strano avere ora tra le mani il loro EP, ma non sono i primi a decidere di fare scelte differenti e non sempre “in linea” con quanto previsto dal mercato. L’EP è del 2012 ed arriva a noi in relazione della firma del contratto di distribuzione e produzione della band con alcune realtà discografiche inglesi. Musicalmente la band si pone a cavallo tra il vecchio grunge e l’alternative rock di fine anni 90. Strutture carine, e vagamente radio oriented, ricordano in modo latente sia i Ministri che gli Afterhours. Pur avendo una produzione non eccelsa, visti i trascorsi della band, i Barynoyx riescono a far spiccare nei punti giusti gli strumenti, evitando di rendere troppo asettico il suono ma pure, dicendolo in romanesco, senza “inciafrujiare” le note e dando all’ascoltatore un EP da cinque tracce che sia pulito come suono ma che renda la rabbia e l’aggressività che la band vuole trasmettere con “Trias”. Nulla di nuovo si intenda, alla fine è alternative rock anni ‘90, ma la band riesce a dir la sua in modo piuttosto gradevole e senza sbavature di sorta. “Via” e “L’orizzonte degli eventi” sono due dei brani che potrebbero farvi da bussola per capire il percorsi della band. Come sempre vi esortiamo a prendere copia di quanto viene recensito per potervi fare una vostra personale top songs list. Concludendo risultato più che discreto, platter nel complesso buono per chi è particolarmente appassionato del genere e per chi vuole un EP leggero ma godibile di rock italiano. Il consiglio per la band èerò è di ampliare i propri ascolti di riferimento e di applicarli in composizione e in post produzione, dato che l’alternative anni 90 cantato in italiano ha fatto il suo tempo e rischia di portare con se la band.

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CATACUMBA - ABIGAIL TAEKAURY - THE TRUE ENDLESS “Region of the underworld”

GENERE: Black metal ETICHETTA: Fallen angel production VOTO: 75/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

CATACUMBA

ABIGAIL

THE TRUE ENDLESS

Split cd particolare, all’interno troviamo Quattro band dello scenario underground black metal mondiale Partiamo con i Catacumba band proveniente da… e dedita a delle sonorità BM classiche scandinave, con frammezzi di midtempo e tempi rallentati oltre alle immancabili cavalcate in doppia cassa e chitarre al fulmicotone. Voce arsa e sepolcrale come da “standard” del genere con l’aggiunta di parti in growl che aumnta il pathos delle tracce. Pur essendo metal estremo loro hanno un suono pulito unico neo a mio avviso la versione di mixing alternativa di “Narcomagik” che non valorizza bene la traccia, ma risulta poco più di una traccia da demo in cassetta anni ottanta. Stessa cosa per la traccia “Sphere of silence” che subisce un calo di qualità, derivante principalmente dalla post produzione. Delle quattro tracce dei Catacubas due hanno un ottimo appeal e due sono troppo “underground” e risultano apprezzabili solo per i fans die hard del genere. “A chant for bacchus” e “Temple of bones” sono le canzoni che possono rappresentare la band in modo dignitoso. Per quanto riguarda gli Abigail sono di… e musicalmente sono una versione dei Motorhead con la voce scream e la velocità leggermente aumentata. Apprezzabili e interessanti e nelle quattro tracce presentate danno una loro versione del loro modo di vedere il black metal; tutto sommato potremmo definire la loro scelta molto vicina al death and roll di qualche anno fa, quindi potremmo dire che è black and roll. Rispetto alla band precedente propongono un livello post produttivo grezzo ma non calante, persino nelle due tracce live. “Fire after fire” e “Satanik metal” sono le canzoni che più rappresentano la band in questo split cd I Taekuary riportano la “lancetta” dello split verso il più arcaico, primordiale e violento black metal scandinavo. Palesi rimandi a band quali Marduk, Mayhem e Darkthrone. Bordate devastanti di blastbeat, voce sulfurea e chitarre taglienti ed esplosive.

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“Killing Racist” e “Way of blood” sono i brani che danno le coordinate sulle quali la band si presenta e si proponte. A chiusura di questo split abbiamo i nostrani The true endless che con tre brani chiudono questo split.Per quanto riguarda loro abbiamo già trattato il loro ultimo lavoro in questo numero strutturalmente la loro attitudine non si discosta minimamente a quanto indicato in precedenza, ma aggiungeremmo, non per campanilismo ma per dati oggettivi, delle quattro band la migliore in ambito di post produzione e di mixing. Suono oscuro e minimale ma pulito e chiaro allo stesso tempo. Che di fatto permette all’ascoltatore di carpire meglio il suono e di vivere la rabbia e la cattiveria sonora della band. “Black swamp” e the “Yoke” sono le canzoni che spiccano, non ho indicato la terza per il solo fatto che è una cover ma sarebbe stata da segnalare anch’essa Concludendo ottimo lavoro di collaborazione tra più band e dislocate in diversi continenti. Album da avere se siete fans della fiamma nera del black metal.

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COUNTRY CORPSE “Protozoan in love”

GENERE: Stoner ETICHETTA: Skatti Vorticosi Records, Omoallumato Records, Gufo Records, Mescaleros Crew, Area Pirata VOTO: 75/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Band spezzina nata nel 2008 e dedita ad una mistura particolare di generi tutti partiti dal “fusto arboricolo” del rock, ci sono rimandi stoner, ci sono rimandi grunge e vagamente sludge e vagamente noise ma persino a certe attitudini doom ed al caro vecchio hardcore statunitense di inizio anni 90 (principalmente per la voce) e certi arrangiamenti hard rock. Rispetto a molte altre proposte stoner, quella dei Country corpse ha anche alcune attitudini grunge a livello compositivo. Interessanti le composizioni e le scelte dei volumi, che permettono di sentire ogni singola sfumatura delle loro strumentazioni. Come sempre in uso a questo genere troviamo il basso ben presente e saturato, le chitarre distorte e una batteria se pur minimale, ben corposa e che fa fluire in modo lisergico le tracce di questo lavoro della band. Come si è scritto poco sopra le parti vocali hanno delle differenti attitudini e delle diverse scelte di registro vocale che da un minimo di variabilità aggiuntiva alle canzoni. La post produzione e il mastering sono di buon livello come le altre scelte da banco mixer. Quindi di fatto i Country Corpse dimostrano abilità anche le scelte del banco di regia e non solo. “Angel cake”, “Selfish embrace”, “Worthless” e “Weird PX” sono i brani che danno più il senso dell’anima di questo album; passiamo da sonorità più hard rock a quelle più doom e articolate. A termine di questa recensione diremmo: plauso alla band per aver provato a dare la loro “versione dei fatti” con “Protozoan in love”, unica pecca è che la qualità sonora e l’abilità proposta, certamente alta, è in linea con quelle di altre band del genere; quindi per poter emergere hanno da dover trovare altre vie per arrivare a livelli superiori.

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EIN SOF

“Clouds Hunger” GENERE: Post rock ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 68/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Gli Ein sof sono un progetto dei fratelli Fabio (Ex Furor gallico, Humms, cowboys for Dimebag) e Dario (Old morgen) Gatto e propongono un suono liquido ed evanescente con questo loro primo prodotto Clouds hunger. Tre tracce di rock contaminato da sonorità particolari che passano dal metal odierno alla psichedelica anni settanta. La complessità delle canzoni dimostrano abilità nei due fratelli in ambito compositivo ed esecutivo. La cosa particolare è il fatto che questi tre brani, che compongono il loro EP, sono stati registrati, programmati ed eseguiti completamente in casa e post prodotti “in proprio”. Questo a dimostrazione che avendo le giuste strumentazioni e i giusti intenti si arriva ad ottenere un lavoro equiparabile ad uno studio di registrazione professionale. Ad esclusione della prima traccia che, tra le altre cose da il nome al cd, ha anche al suo interno un testo “Cho:a” e “Vishnu vacuum” sono pezzi strumentali che dimostrano le abilità dei due fratelli per i loro rispettivi strumenti (chitarra e basso) oltre ad una certa affinità per il resto degli strumenti inseriti nelle tracce. Concludendo, bella prova e siamo in attesa del secondo capitolo, possibilmente on più brani. Vi consiglio questo EP se volete delle sonorità differenti dal solito e se volete cercare delle canzoni che vi permettano di viaggiare con la testa, pur restando fermi. Come spesso accade per EP e mini cd con pochi brani diamo un basso voto per il solo fatto del quantitativo esiguo di brani e non certo per la mancanza di capacità. Attendiamo quindi, rinnovando l’invito, alla band di proporre nel prossimo futuro materiale nuovo.

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EMORTUALIS

“Rewritten by death” GENERE: Death metal ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 58/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Questo album è il trasporto in formato cd e digitale di due demo ed un live degli Emortualis che “per ora” hanno deciso di non far uscire altro materiale. Di fatto è un progetto death metal di M. (Ex Opera IX, The True endless, Skoll e molti altri progetti) che propone registrato in classico death metal old school style, vuoi anche perché è materiale risalente al periodi 1992-1993. La band nata nel 1989 e nel 2003 ha terminato momentaneamente l’attività. Come poco sopra indicato la band dopo il live ha deciso di sciogliersi ed i suoi membri hanno deciso di dare sfogo alle loro vene artistiche in altre band ed in altri progetti. La proposta sonora è datata e ne risente anche il passaggio in digitale. L’attitudine della band a rimanere in ambito underground e fedele alle forme compositive dei primi anni 90 si percepisce già dalle prime note. L’aria che “tira” all’interno di questo “Rewritten by death” è dei vecchi Pestilence, dei vecchi Obituary e dei vecchi Benediction. Se pur interessanti le composizioni subiscono “pesante dazio” di una post produzione e di un mastering quasi inesistente che non aiutano minimamente a far emergere le attitudini e le abilità dei musicisti. Resta inteso che di fatto questo cd è un portare in digitale quelli che furono i nastri (perché in quel periodo i demo uscivano in musicassetta) con tutti gli onori e gli oneri del caso. Ci fosse stata, presumiamo, possibilità di ripulire leggermente le tracce e di dare una minima post produzione la risoluzione dell’album sarebbe stata esponenzialmente più elevata. Dispiace, perché le abilità e le idee ci sono, ma quello che si sente è particolarmente ovattato per gli strumenti a corde, risulta troppo secco il suono del rullante e dei tom, mentre i piatti risultano troppo invasivi con le code delle dinamiche che entrano e inglobano molte delle frequenze degli altri strumenti. Stessa cosa avviene con le tracce live inserite che risultano ancora più ovattate rispetto a quelle dei demo. Carina la versione death di “La bamba” e di “O’ fortuna”, “Written by death” e “Hellraiser” sono canzoni che possono dare il senso che anima gli Emortualis.

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Concludendo questa nostra, anche se vi sono degli ottimi spinti e delle potenti idee sono minate dalla produzione troppo grezza e troppo minimale. Dispiace, nuovamente, perchĂŠ ci saremmo attesi con il riversamento in digitale piĂš pulizia nel suono. Rimane certamente un prodotto di nicchia per gli appassionati del genere e degli affezionati della fine degli anni 80 e dei primi anni 90 del death metal. La band fa sapere che lo scorso anno ha deciso di riformarsi e di ridare vita al progetto, attendiamo quindi di poter sentire del nuovo materiale e di poter ascoltare cosa la band sarĂ in grado di produrre.

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INSANE THERAPY

“The decline of the human race” GENERE: Deathcore ETICHETTA: Sliptrick records VOTO: 78/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

“The decline of the human race” è il nuovo lavoro degli Insane therapy. La band nasce nel 2009 e l’anno successivo la band decide di far uscire il primo loro lavoro, un EP, in autoproduzione dal titolo “Veil of silence”. Dopo varie vicissitudini arriviamo al loro primo full grazie anche ad un contratto discografico. Questo infatti è il debutto discografico per la band, che grazie alla collaborazione di Sliptrick Records, che gli permette di esprimere in nove canzoni un concentrato di adrenalina, rabbia e cattiveria sonora riconducibile sia al Deathcore, che a certe frange di Brutal death. Gli insane therapy di fatto si presentano a noi con la delicatezza di uno schiacciasassi e la gentilezza di una badilata sui denti. Con una produzione bella corposa e le composizioni, se pur senza innovazioni particolari, veramente compatte premettono all’ascoltatore di godersi quest’ondata di schiaffi sonori e di potersi caricare con le ritmiche della band. La band parte a cannone senza lasciare spazio a respiri o dubbi all’ascoltatore. Mitragliate di batteria e chitarre senza sosta, persino nei midtempo abbiamo una ferocia non daa tutti; la voce passa dallo scream al growl (sia quello più profondo e oscuro a quello quasi hardcore) senza minimi cali di tensione. Soggettivamente parlando canzoni quali, “The end of the line”, “Masochistic act”, “Fuck you all” e “Never live to regret” sono i cardini su cui si poggia il concept dell’ album che la band ha deciso di proporre. Concludendo questa proposta degli insane therapy è un lavoro veramente uscito bene. Complimenti alla band per le capacità a dimostrazione che anche l’Italia può dir la sua in ambito di metal estremo. Sia chiaro che questo è un album che non rinnova il panorama ma che nella sua lineare durezza dimostra quante e quali abilità possono nascondersi nei loro pentagrammi.

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MAYFAIR FM

“Into the valley of darkness (where hell is a state of mind)” GENERE: Industrial/elettronica ETICHETTA: VOTO: 85/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Abbiamo già trattato in passato i Mayfair FM recensendo “The scraped void” e la band si ripropone a noi con il loro nuovo lavoro. Proseguono le scelte sonore del precedente cd, ma portano una ventata di maturità nel comporre e nel registrare. Sonoricamente (neologismo tutto mio) parlando, per chi non avesse letto questa recensione (qui a pagina 30 e 31) la band è a cavallo tra Mailyn Manson del periodo “antichrist” e “mechanical animal” e NiN di “Pretty hate machine” con l’aggiunta di arrangiamenti grunge (a cavallo tra Alice in chains e Stone Temple pilots), vagamente doom ed elettronici (stile Subsonica). Di fatto la band percorre nuovamente questi sentieri assolutamente fuori dagli schemi, pur dimostrando abilità e capacità nel rendere meno ostiche le proprie composizioni e dando di fatto grande risalto agli arrangiamenti ed alle orchestrazioni. Il loro album, il tredicesimo per la precisione, si articola su ben 13 tracce il suono è ossessivamente avvolgente. La voce riesce a creare delle alchimie a cavallo tra il malsano e il sognante; il tutto in modo assolutamente normale e semplice. Le partiture sono, come per il precedente lavoro, ben mature ed articolate in modo da dare degli ottimi rimandi all’ascoltatore e a continuare a lasciare di stucco chi ascolta questo album. “Leech”, “Where my heart is turn asunder”, “Enchanted fools”, “Step in shit”, “Over the falls” sono le tracce che potrebbero farvi capire le abilità dei Mayfair FM. Ancor più della scorsa volta vi esorto a prendere copia di questo lavoro e a goderne delle canzone. Ne vale veramente la pena. Concludendo questa recensione, nuova prova positiva della band che dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno di prove dimostrative, le abilità e le capacità di cui è capace. Ancora oggi la band sembra essere senza etichetta e di questo continuo a non capacitarmene, ottimi lavori lasciati all’autoproduzione. Complimenti e ve li consiglio vivamente.

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MISTWEAVER

“Nocturnal bloodshed” GENERE: Melodic death metal ETICHETTA: Suspiria records VOTO: 78/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Band ispanica dedita al death metal con attitudine alle atmosfere oscure e cupe. Nati nel 2000 con il loro EP di esordio “Sol obscurabitur”, l’anno dopo uscirono con il loro primo album dal titolo “Dreams domain” e nel 2002 addirittura il seguito dal titolo “The aftermath”, quindi poterono suonare al Milwaukee metal fest nel 2003 e due anni dopo, (2005) uscì “Age of darkness”. Nel maggio del 2008 incontrarono Andy LaRocque per registrare in Svezia il loro “Tales from the grave”. Come spesso accade ci sono state delle sostituzioni della lineup originale e dopo un periodo di assestamenti sono giunti ora al nuovo lavoro dal titolo “Nocturnal bloodshed “ ed è quello che andremo a recensire. Musicalmente interessanti ma non eccessivamente innovativi. Valide le opzioni di arrangiamenti leggermente fuori dai canoni standard del death attuale, si avvicinano sotto un certo aspetto al doom ed al goth dei primi anni ‘90. Di conseguenza saranno la gioia di chi, come molti di noi, hanno vissuto quel periodo. Per capirci sotto un certo aspetto ricordano i TiamaT di “Aastral sleep” e “Sumerian cry” e i Paradise lost fino ad “Icon” con una spruzzata dei Therion (quelli fino a “Theli”). Composizioni quindi di qualità ma non particolarmente innovative. Arrangiamenti ispirati e interessanti, grazie anche alle orchestrazioni che arricchiscono ancor di più il suono delle tracce. Buone le abilità dei musicisti “davanti” al mixer e ottime le scelte “dietro” al mixer che permettono di godere a pieno delle abilità dei Mistweaver. “End of time”, “Perpetual darkness”, “God is dead”, “Hell’s arrival” e “Pandemonium” sono le canzoni che danno la dimensione su cui la band definisce il proprio suono. Prendete copia del cd, fate del bene alla band e fate del bene a voi, e fatevi una vostra top songs list. Prova più che discreta di questa band, di fatto prova a riportare in auge un sottogenere rimasto un pochino in ombra in questi ultimi anni, quantomeno quella parte di death melodico che affonda le radici compositive e stilistiche negli archetipi di fine anni 90.

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NYNFEA “Nynfea”

GENERE: Alternative rock ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 65/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Band di Roma nata nel 2010 che propone un rock alternative di classe ma standardizzato in chiave rosa. Interessante il fatto che l’album, a detta della band, è stato composto e registrato in 3 giorni e ora lo possiamo sentire “nello splendore del tecnicolor”. La proposta sonora è un rock alternative cantato in italiano. Nulla di particolare se non che alla voce c’è una ragazza che prova a dare una visione differente, oserei dire quasi “dell’altra metà del cielo”, di come possiamo declinare il genere alternative rock. Purtroppo dal mio punto di vista pur presentando una visione professionale e qualitativamente alta delle composizioni non brillano di luce propria. Ricordano moltissimo le composizioni di band storiche del genere e non basta il cantato particolare di Monyva per poter urlare al nuovo e alla grande idea. Inoltre il cantato a cavallo tra il roco alla Nannini e un parlato quasi affaticato sulla lunga risulta leggermente stucchevole. Le parti di basso risultano molto interessanti e permettono alle tredici tracce di avere lo strumento per quello che è. Nel senso che troppo spesso in ambito rock e metal ho riscontrato che il basso è praticamente uno strumento di “contorno” mentre in questo lavoro ha una sua dimensione ben definita. La batteria fa il suo dovere e le sonorità non sono invasive o mal registrate; sulle chitarre avrei osato di più come risoluzioni sonore, ma è più una questione di gusto personale che non un errore vero e proprio. Nel complesso quello che ho sentito è materiale tutto sommato valido, ripeto senza urlare alla novità, e brani come “Controcorrente”, “Scacco matto” “Falsi gesti”, “Inferno” e “Eterna e oscura” sono brani che danno il senso delle abilità compositive e sonore della band. Concludendo questa mia recensione, album che non toglie e non aggiunge nulla alla scena dell’alternative rock italica, dal mio punto di vista per poter “uscire dal guscio” la band ha da dover andare oltre gli stilemi classici e stravisti e straascoltati del genere, perché il rischio è che a parità di qualità a farla da padrone saranno le scelte più ardimentose e le più fuori schema per primeggiare in un genere già saturo di band di alta qualità.

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OMRÅDE “Edari”

GENERE: Avant garde metal/industrial ETICHETTA: My Kingdom music VOTO: 78/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

La band particolare quella degli Område, anzi quasi una one man band, che ricorda a più riprese i NiN e gli Ulver (dell’ultimo periodo) in più forme ed in più scelte. Album elettronico con forti connotazioni ambient e industrial. Edari è particolarmente intricato ma di forte impatto sia emotivo e sonoro. Di certo le abilità di Jean Philippe Ouamer e Christophe Denhez sono indiscutibili. La combinazione di rimandi elettronici aumentano il pathos delle composizioni. Per quanto riguarda l’esecuzione essendo per buona parte in ambito sintetico quindi nulla da dire. Di certo quello che colpisce è l’abilità di gestire post produzione e gli arrangiamenti. Inoltre grande prova per la chitarra e per la voce e notevoli sono le guest star all’interno delle tracce ovvero: Guillaume Bideauz (ex Scarve, Mnemic, One Way Mirror), Asphodel (ex Pin Up Went Down, Penumbra) per la parte vocale, Leo Sors and Damien Legret per il sax, Kriss Mndra (Master Crow) per le trombe Luxurious agony, aben dor, mann forelder, satellite and narrow sono canzoni veramente intense e ispirate. A fine di questa mia recensione direi che è un album fuori dalle formule canoniche ma che purtroppo risente pesantemente delle influenze di Reznor e degli Ulver. Di certo se cercate materiale diverso dal solito, gli Område sono tra i gruppi da avere assolutamente; se cercate delle forme compositive “non conformi” ma in grado di dare delle ottime sensazioni e di trasporre in musica emozioni quali ansia e malinconia questo è il cd che fa per voi.

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REQUEIL MORBIDE “Morbid collection”

GENERE: Brutal death ETICHETTA: Great dane records VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Band francese nata nel 2000, e giusto per far capire come si è mossa la band ci limitiamo a darvi i “dati” delle loro uscite: nel 2001 uscirono con il loro primo lavoro dal titolo “Mental torture”, nel 2002 “Never morbid enough” secondo EP, sempre nel 2002 uscì il loro album “Hurt by human race”, quindi 2006 “Waste of senses”, “A neverending fight” nel 2008 e nel 2011 “Only hate left” ed arriviamo a questo “Morbid collection”. Chiederete giusta mente ma cosa fanno? Come suonano? Bene loro fanno del sano brutal death old school ovvero del brutal fatto come si deve. Compositivamente parlando nulla da eccepire nel senso che sono di fatto death vecchio stampo, volendoli avvicinare ad alcune band, sotto alcuni aspetti mi ricordano gli Aborted e i Tortured soul, doppio pedale a manetta, una batteria devastante, un growl in tre “forme” differenti (e non solo lo stra usato pig squeel), chitarre assolutamente taglienti e massive. Anche per loro, come in molte band del genere estremo, purtroppo risulta quasi assente il basso; nel senso che è a sorreggere le chitarre e non a creare groove con la batteria. Ma a volte questo meccanismo funziona e bene. Se volete note nuove o sonorità mai sentite non è il cd che fa per voi ma se volete invece delle badilate sonore alla vecchia maniera avrete pane per i vostri denti. Concluderei dandovi alcune delle tracce per me interessanti esempio “Untolerance to furstration”, ”Whit his fate”, “Nnightmarish collapse” e “The suffering remains”. Se volete delle bordate devastanti questo è il cd che fa per voi.

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RUDISCAVE “Rust”

GENERE: Grunge ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Rudyscave offrono un poderoso salto nel passato americano. Cosa voglio dire, bhé… è presto detto, se infilate il loro cd “Rust” nel lettore sarete avvolti da un’ondata di suoni di Seattle arrivati direttamente tra il ‘92 e il ’95. Grunge allo stato puro in quasi tutte le sue sfaccettature, con un occhio alle attuali sonorità. La voce, di Gian Maria Vannoni, ricorda a tratti quella di Vedder ma anche sotto certi aspetti quella di Cantrell e di Staney. Le chitarre ricordano a più riprese i maggiori gruppi, sia per composizione che per esecuzione, del Grunge di quel periodo (Stone Temple pilots, Alice in chains, Pearl jam, Soundgarden giusto per indicare i primi gruppi che mi sono venuti in mente ascoltando questo album) e la sezione ritmica, basso e batteria per chi non fosse avvezzo, è ovviamente di stile e con un certo groove che attira e che amalgama il tutto. La cosa particolare è che pur componendo in modo “così datato” la band porta una ventata di freschezza utilizzando arrangiamenti e post produzioni attuali derivate dal suothern rock e dall’hard rock a stelle e strisce. Se cercate il suono nuovo o la novità compositiva assoluta cercate altrove, ma se volete un album sincero schietto e ben amalgamato “Rust” è l’album che fa per voi. Personalmente ho trovato interessanti brani quali “Offering”, “Monkey”, “Runlet”, “Precipitate” e “Levitate”. Come sempre scrivo, prendete il cd, ascoltate, assimilatelo e decidete quali sono i brani che fanno al caso vostro. Un album concreto, in conclusione, che di certo non passerà inosservato ed ennesima dimostrazione delle abilità compositive ed espressive dei nostri musicisti e di quanto sia “facile” ottenere anche in autoproduzione un lavoro di alta qualità.

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SAINTS TRADE

“Robbed in paradise” GENERE: Hard rock ETICHETTA: Logic(il)logic VOTO: 75/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Classe ‘75 Matteo Toni propone il suo stile minimale ma molto energico e originale, miscelando egregiamente generi come il rock, crossover , funky, reggae ed hip-hop definendolo lui stesso “Surf Metropolitano”, si completa con il socio Giulio Martinelli alla batteria creando un connubio di percussioni e distorsioni di alto livello. Assieme arrivano sino all’inverno del 2014 con l’uscita del nuovo album “Nilla! Villa!” “Caos Adoremus” apre le danze, qui Toni sprigiona la sua lap-steel, con un’energia esponenziale, il pezzo scatta con un ritmo incessante la promessa del disco. “Il Tempo dei Morti Viventi”e “Musica Porno” sono energia musicale, brio, foga a briglie sciolte, alcuni toni sonori vintage e la voce fanno da marchio di fabbrica dando equilibrio alla miscela lasciando intuire che quella promessa potrà essere mantenuta, perché genuina e sostenibile. Matteo Toni a questo punto non ha più freni e si lascia andare con “La fine del Mondo”, un’opera di auto-ricostruzione, col suo mid-tempo da bar, quasi una ballad d’amore e frustrazione, mentre “Kebabellaria” appare come un omaggio ai migliori blues-man vissuti, una perla all’interno di questa opera, “Dammi una sigaretta” e “Pietro e Maria” intermezzano succosamente il percorso fino a raggiungere il pezzo che da il nome all’album “Nilla! Villa!”, punteggiata da distorsioni lancinanti sorrette da sincopate pompate e percussioni rabbiose, spiaggia, cuffie, sole, questo è il mix giusto per assaporare il succo di questa traccia. L’album si conclude seguendo la scia “summer” lasciata dalla precedente, con “Credi ancora nel grande blu?” e “Squalo”, due pezzi che dispongono di un suono che ormai fa da marchio di fabbrica e si trovano a loro agio provando che la formula è vincente. In una tracklist di 10 brani Matteo Toni racchiude la sua esperienza musicale, comunicandolo in maniera indelebile all’ascoltatore.

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SHARDANA

“No cadena, no presoni, no spada, no lei” GENERE: Death/Thrash ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 80/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Shardana popolo antico che terrorizzava il mar mediterraneo, attorno al 2000 avanti Cristo e il gruppo ha trovato forte impatto e affinità tanto da chiamarsi così, un modo per inserire più generi con la radice d’origine e dare una propria visione del viking, del black e dell’heavy classico. Musicalmente molto strani, a tratti ricordano band power in altri momenti tipici rimandi folk metal, in alcuni passaggi ricordano band thrash e death. Quindi non è immediato il processo di ‘’incasellamento’’ della band. Il che è contemporaneamente interessante e scomodo allo stesso tempo. Interessante perché la band è stata in grado di pensare oltre gli schemi e puntare più in alto di quanto mediamente vien fatto ma dall’altra una scelta del genere riduce la possibilità alla band di essere interessante per i defender di tutti i generi sopra indicati. Ottime scelte post produttive, buone le abilità compositive e interessantissimi gli arrangiamenti proposti. Come se non bastasse alcune canzoni sono state cantate in dialetto Sardo della zona Campidanese. Inoltre in questo album trovano spazio delle collaborazioni di e con: Antonio Sanna e Michele Sanna dei COMA, Massimiliano Viani, Edoardo Fanni dei Lightless moor e Raphael Saini dei Cripple bastards “Streams of blood”, “Kadesh”, “Me, wolf”, “Sa sedda e su diaulu” e “Enemies come from the sea” sono le tracce che più di altri mi hanno colpito e che certamente in qualche modo entreranno anche nelle vostre top songs. Concludendo ottima prova della band. Consiglio spassionato puntare a definire le composizioni in un solo genere oppure esasperare la scelta in modo estremo questa poliedrica attitudine, in modo da andare in modo massivo oltre i normali schemi prestabiliti. Consigliamo a voi lettori di entrare in possesso di questo album, perché ne vale la pena e non ve ne pentirete.

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SILVERBONES

“Between the devil and the deep blue sea” GENERE: Heavy metal classico ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 60/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Band nata nel 2013 nella zona di Conegliano, la band dimostra il proprio attaccamento a certi stili e meccanismo sonori del vecchio heavy metal anni 80 e da poco hanno fatto uscire il loro primo lavoro dal titolo “Between the devil and the deep blue sea”. La band ci fa sapere che stanno iniziando già i lavori di registrazione del loro primo album, ma andiamo per gradi. Batteria un filino secca, per quanto riguarda rullante e tom, ma poco convincente per quello che concerne i piatti a cui è stata lasciata quasi tutta la coda delle dinamiche di tutti i piatti il che oltre a risultare invasiva come scelta, interferisce con tutti gli strumenti. La cosa risulta piuttosto strana perché la band ha ammesso di aver utilizzato una batteria programmata dato che non ha trovato un batterista che potesse andare bene per il loro modo di suonare. Il fatto è che essendo batteria programmata avrebbero potuto scegliere suoni migliori e poter quindi ottenere un risultato migliore. Chitarre senza bassi e con medi quasi inesistenti. Un tentativo un pochino abbozzato a ricordare le chitarre dei primi iron maiden. Basso interessante che, per fortuna, sopperisce alla mancanza dei bassi delle chitarre di cui sopra, ma non basta e a più riprese si mischia con le casse e ricorda pesantemente le cavalcate fatte da Steve Harris. Anche le composizioni paiono un tentativo un pochino abbozzato di riproporre le gesta del new wave of british heavy metal degli anni ottanta e di un certo epic metal teutonico (Running wild e Grave digger per capirci e sono due band che risultano tra le ispiratrici del gruppo). Voce interessante ma con effetti troppo anni ‘80 (purtroppo non siamo noi ad esser ripetitivi, ma le scelte della band ad essere puntate verso quel decennio musicale) che riducono le abilità potenziali del frontman. Purtroppo le scelte da mixer sono state tutto fuorché ottimali a nostro avviso. Di certo i Silverbones faranno la felicità di più di un fans del heavy classico, ma di certo non potrebbero aver appeal verso chi cerca suoni moderni e non necessariamente alla ricerca del nuovo genere o fans del metalcore della prima ora, ma solo composizioni ed arrangiamenti meno datati. Sufficienti, ma con livello di interesse limitato ai soli fans della musica di trenta anni fa. Sono appena sufficienti, ma per il loro prossimo lavoro dovranno fare molta attenzione alla post produzione ed al mastering, se no non andranno molto lontano.

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RECENSIONI

STAINED BLOOD “Hadal”

GENERE: Death ETICHETTA: Blood fire & Death VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Gli Stained blood si presentano a noi a distanza di due anni dal loro debutto dal titolo “One Last Warning”. Forti della precedente attività proseguono il loro cammino sul death con venature melodiche di qualità. Ma andiamo a presentare e recensire questo loro nuovo lavoro dal titolo “Hadal”. Le fonti di ispirazione della band sono abbastanza “tangibili”, per chi segue il filone, e si nota anche nel logo ovvero si rifanno particolarmente ai “Black Dahlia Murders”, ma aggiungono al loro sound alcune peculiarità del deathcore, che pare vada per la maggiore in questo periodo, con i tempi rallentati e cadenzati. Lasciando un pochino da parte il cordone ombelicale a cui sono legati, bisogna ammettere che il lavoro fatto in studio è più che buono, le registrazioni sono ottime e la post produzione è di alto livello. Le chitarre affilatissime si possono percepire in modo ottimo e goderne sia nei momenti di aggressività massima che persino negli stacchi e nei rallentati. La batteria devastante e con il basso creano un rullo compressore continuo. La voce crea quelle sonorità aggiuntive e mette il punto esclamativo sulle loro composizioni. Personalmente tracce quali “Perpetual”, “U-530”, “Hundred heads snake” e “Stargazer” sono i brani che possono tranquillamente essere indicati come i più significativi dell’album per capire meglio come la band si ”muove” all’interno del pentagramma e in che modo da sfogo alla rabbia interiore. Concludendo, un album compatto, che pur provando ad aggiungere delle novità e delle modernità si staglia in ambito death melodico in modo massivo. Un consiglio spassionato alla band è quello di “staccarsi dal nido” e provare a muoversi in modo completamente autonomo. Buon lavoro nel complesso e band promettente e convincente .

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RECENSIONI

FOLLY AMATEURS

“Every Story Has A Beginning” GENERE: FolkRock ETICHETTA: Indipendente VOTO: 85/100 RECENSORE: FreeZone

Per metà italiano e per metà tedesco, Luca Monterosso Wittmann (in arte Folly Amateurs) ha un passato da batterista nella scena musicale padovana in gruppi come Pornopilots ed Epic Monday. Non trovando una propria soddisfazione personale passa a suonare la chitarra da solista, solo così riesce a pubblicare il suo primo EP “ Every Story Has A Beginning”. La prima canzone deve essere fighissima, e in questo caso ci siamo, il pezzo è accattivante e prende subito l’acoltatore, chitarra eseguita alla grande in puro stile folk/rock. Le tracks continuano a tratti lente, ma trascinanti e ben strutturate, senza accorgersene si inizia a dondolare la testa, e questo mostra talento sopratutto per quanto riguarda la parte compositiva. La voce riempe sapientemente i brani e li rende interessanti anche con una cassa appena accennata. I ritornelli rimangono in testa, merito delle strofe, quelle che si possono cantare tutti insieme anche senza accompagnamento. Un’EP che ha tutto ciò che deve avere, un’ottima scelta del sound, folk quasi country per certe sonorità. Pollice in sù.

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