UndergroundZine Settembre 2014

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Biografia

La band nasce nel 2008 dall’incontro di Marcello (batteria, ex “Jengyska” e “Little Mattew band”), Gabriele (voce e chitarra) ed Andrea (chitarra e cori). Dopo un lungo periodo di assestamento in cui si succedono una serie infinita di bassisti, come in una ideale quadratura del cerchio entra a far parte del gruppo Nicola che già aveva collaborato con Marcello in un precedente progetto musicale. La band così formata inizia pian piano a macinare concerti nei vari locali e feste della provincia suonando soprattutto cover indie rock. Successivamente ad inizio 2010 decidono di concentrarsi esclusivamente nella creazione di materiale proprio ed primi risultati di tale lavoro culminano nell’autoproduzione di una mini-demo di tre pezzi. Il 2011 vede l’uscita dal gruppo di Andrea e l’inizio di un periodo di pausa dell’attività live necessario a trovare un degno sostituito. Dopo una lunga ricerca subentra Denis già chitarrista di Raindogs e Radiodays. Il gruppo così riparte ed inizia a lavorare a nuovi pezzi cercando di creare un sound che abbia un proprio stile e una propria personalità. Quello che ne risulta, seppur ricco di influenze riconducibili a certe sonorità indie rock, è una miscela di generi e attitudini frutto soprattutto delle diverse passioni musicali dei componenti. Attualmente il gruppo è impegnato nelle ultime fasi di realizzazione del primo album presso il TBSOD studio.

Lineup

Gabriele Valentini (chitarra e voce) Marcello Mattevi (batteria e cori) Nicola Andreatta (basso e cori) Denis Rossi (chitarra, effetti)


INTERVISTA di Martina Tosi

Ciao e benvenuti sulle pagine di UndergroundZine, parlateci un po’ di come nasce la vostra band e perché? La band nasce nel lontano 2008 dall’incontro fra Gabriele e Marcello, incontro reso possibile grazie ad un amico comune, Nicola, che dal 2010 entra a far parte lui stesso del gruppo come bassista. L’inizio è stato direi senza grosse pretese ma con il passare del tempo il progetto è cresciuto di’importanza fino all’entrata nel gruppo di Denis nel 2011 che ha portato la stabilità che mancava. Di li a oggi tutti gli sforzi sono stati direzionati nella nascita di “Desirevolution”, il nostro primo disco che speriamo di farvi avere al più presto.

Come mai avete scelto questo nome The Matleys e che significato ha? Il nome è stata una scelta della prima ora e confesso non ha chissà quale profondo significato. Ci serviva un nome che suonasse bene, facile da ricordare e da scrivere anche se il paradosso è che in praticamente tutte le locandine viene puntualmente storpiato.

Quali sono le tematiche principali dei vostri testi? C’è un argomento, in particolare da cui traete maggiore ispirazione? I nostri testi parlano sopratutto di esperienze personali, stati d’animo e riflessioni sul presente. Riteniamo importanti i messaggi delle nostre canzoni ma da sempre preferiamo dare maggior importanza alll’aspetto musicale e agli arrangiamenti perché la ricerca della sonorità giusta è il nostro vero “lavoro di squadra”


Qual è la canzone che vi soddisfa di più del vostro ultimo album e perché? Ce n’è più d’una. Da Yell, un pezzo molto melodico e “diretto” che abbiamo scelto come primo singolo ed è di recente composizione a Patrice Pepper che è un vecchia canzone forse un po’ lontana dalle nostre sonorità attuali ma di cui ci è piaciuto molto il lavoro che è stato fatto su di essa in studio di registrazione. Menzione particolare poi per “Ain’t no place for John” un vecchio pezzo che abbiamo totalmente stravolto e dove siamo riusciti a creare degli arrangiamenti e delle sonorità che ci hanno particolarmente soddisfatto.

Come si è evoluta nel tempo la vostra band? La band ha subito diversi cambi di rotta a livello musicale. Un po’ per il susseguirsi di cambi di formazione un po’ per la “crescita” del gruppo in quanto tale che ha privilegiato più la produzione di pezzi propri al mero approccio cover-band. Per rendere l’idea siamo partiti da suonare cover punk hardcore melodico al riarrangiare un pezzo storico come “Somebody to love” in una veste alternative rock, quasi noise rock (il risultato ci è talmente piaciuto che abbiamo deciso di inserirla come unica cover all’interno del nostro album).

Avete in programma dei Live? In questo momento stiamo concentrando le forze sull’ultimazione del disco, e quindi ci siamo presi il mese di giugno per completare gli ultimi dettagli. Abbiamo in programma sicuramente la presentazione dell’album di cui stiamo definendo data e luogo. Per il resto non abbiamo ancora date certe ma ci hanno già contattati per un paio di live in luglio di cui daremo notizia non appena saranno confermati.

Progetti futuri? Il nostro più grande obiettivo per il futuro sarebbe la realizzazione di un secondo disco, il che potrebbe sembrare prematuro visto che nemmeno è ancora uscito il primo, ma il fatto è che ci siamo così divertiti nell’ultimo anno ad arrangiare i nuovi pezzi che già siamo di nuovo in fase creativa.


Che ne pensate della musica in freedownload? Ti dico solo che abbiamo tutte le intenzioni di rendere scaricabile gratuitamente il nostro disco!

Cosa vi piace e cosa non vi piace della nostra franzine UndergroundZine? Chiunque dia anche un minimo spazio a band come la nostra che ovviamente non ha alle spalle produzioni, case discografiche o quant’altro merita il nostro pieno appoggio

intervista a cura di Martina Tosi


rec MATLEYS Desirevolution

ensi

one

Una rilettura di “Somebody to love” sporca e vitale chiude l’album del combo trentino ma è tutto il lavoro ad essere ammiccante con alcune preziose pietre grezze, indie rock forse ancora da far crescere ma a tratti già a livelli compositivi di tutto rispetto come “Mr.wolf” terza traccia dall’impeto impenitente e irriverente così come “Pixie” che brilla di luce propria una sequenza sonora che chiuderei con “Ain’t no place for John!” chitarre pulsanti nel dirigere il groove della loro musica verso l’ascoltatore ignaro e verso quello acculturato che si lascia trasportare nel fluire delle note e nelle ritmiche suadenti, incisivamente suadenti. “Yell” è un’apertura sontuosa un esaustivo biglietto da visita per il proseguono mentre “The winter song” una ballad con un intro lisergico e un divenire avvolgenteil sound parrebbe a cavallo fra i ’70 e gli ’80 ma in linea di massima risulta fresco e convincente. “Flash” vede la partecipazione di Michle Vicentini (“Bastard sons of dioniso ) le note si fanno piu’ oscure sincopate il canto è sempre preciso. Le tracce rimanenti vagano verso ballad piu’ dilatate “You walk my friend” “Patrice Pepper” sono una sorta di un solerte trip visionario quanto basta raccolto in curvature mentali corroboranti.

VOTO: 80/100 Genere: Indie /alternative rock

Max Doctor Rock Ugolini



RECENSIONI

ABYSMAL GRIEF

“We lead the procession” GENERE: Doom ETICHETTA: Horror Records (LP) -Terror from Hell Records (CD) -Terror from Hell/Horror (Tape) VOTO: 75/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Raccolta che racchiude il periodo che fa dagli anni ‘90 a al 2009 Abysmal Grief. Per chi non li conoscesse sono portabandiera di quella che potremmo definire scena dark-doom italiana. Questa raccolta contiene otto tracce registrate tra il 1998 e il 2009 contenente le versioni alternative di alcuni loro cavalli di battaglia e quattro tracce inedite. La particolarità di questa uscita non è che abbiamo tra le mani un best of o un greatest hits, ma come ho scritto poco sopra ci sono delle tracce alternative, delle versioni live e alcune canzoni riviste e recuperate appositamente per questo cd. Possiamo tranquillamente dire che il lavoro presentato dagli Abysmal grief è sia per i fans sfegatati che per chi vuole avvicinarsi per la prima volta alla band genovese. Cosa da tener presente a mio avviso che la band, come del resto anche altri grandi nomi della scena italiana come Paul Chain, sono da considerarsi come anello di contatto tra il metal e il dark ed hanno portato avanti un certo sound indipendentemente dalle mode. Essendo però un “recupero” di vecchio materiale e di registrazioni live, la produzione è quella dei tempi in cui vennero registrati, quindi piuttosto datata, ma pur sempre interessante se pur la qualità non sempre particolarmente eccelsa. Va detto che però, a mio gusto personale, la cosa prende un certo sapore ed una certa aura oscura aggiuntiva aumentando di fatto il pathos di tutto il cd; non riuscendo quindi a darvi quelle che possono essere le punte di diamante di questa raccolta, vi invito una volta di più ad ascoltare il cd e a farvi una vostra personale idea. Attenzione ad una cosa: la pubblicazione di questa raccolta oltre che su cd (con il video di “Sinister Gleams” come bonus dall’album “Feretri”) avverrà anche su vinile (limitato a 500 copie) e cassetta (100 copie) quindi se siete della specie di collezionisti compulsivi delle versioni speciali, qui vi potrete sbizzarrire, ma fate in fretta che le copie sono poche. Concludendo, buona prova questa raccolta dei Abysmal grief, ve li consiglio vivamente se volete ascoltare del doom-dark fatto come si deve e fatto da una band italiana.

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ABOUT ABORTIONS “Substance of my psychosis”

GENERE: Depressive black metal ETICHETTA: Autoprodotto/CVLMINIS

Rigorism Productions VOTO: 45/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Gli About Abortions si definiscono un “duo man band” che propongono “depressive suicidal black metal”, purtroppo per me questo è già un campanello d’allarme… Mi spiego meglio: cosa vorrebbe dire un duo mab band? Basterebbe dire “duo” o “band”, che senso ha dover sottolineare anche il termine “man”? Sia chiaro non è che ho preconcetti, ma purtroppo noto che in molti, troppi direi, si “buttano” con definizioni stravaganti e puntano ultimamente a questa frangia del black metal un po’ per moda e un po’ per, non me ne vogliano i cultori del dsbm, un malcelato senso di disagio verso la musica e di elitarismo. Nel senso che quelli che lo fanno per moda sono deprecabili e basta, Ma gli About Abortions non sono tra questi, mentre chi lo fa per eccessivo elitarismo o per un malcelato disagio verso la musica in generale mi lasciano da un lato basito e dall’altro non mi spiego questa ricerca di elitarismo da dove proviene. Purtroppo sono pochi che lo fanno con un concetto che sta dietro alle parole ed alla musica e purtroppo per quanto sento gli About Abortions non sono, per ora, tra quelli che lo fanno con un concetto alle loro spalle. Quantomeno non un concetto musicale… Di certo avranno ragionato ed espresso le loro emozioni e i loro stati d’animo nei testi, ma non nelle musiche. Il loro ‘Substance Of My Psychosis’ è estremamente farraginoso per quanto riguarda la composizione e soprattutto la gestione della post produzione. Tutti gli strumenti sono in secondo piano per far spazio, eccessivo, ad una voce che è troppo esasperatamente avanti rispetto al resto degli strumenti. Inoltre l’uso di questo scream così acuto fino ad arrivare nel falsetto mi ricordano uno o due band che nei primi del 2000 erano dileggio e scherno anche di appassionati di black metal. Capisco il “grimm”, il “frostbitten”, il “necro” ed il “minimale”, ma qui siamo oggettivamente quasi alla parodia. Il punto è che tutto ruota sul piacere di ascoltare la voce. Una voce che per come è registrata e post prodotta nel cd o piace e non piace: e a me, pur non volendo minimamente questionare sulla parte emotiva espressa dalla band, proprio non piace e la trovo disturbante e stucchevole. La cosa che dispiace è dover affossare una band che tutto sommato qua e la porta delle cose interessanti, ma sono sporadiche e sono tutt’altro che supportate dalla produzione, vedi alcuni passaggi di piano e di arpeggi di chitarra, come alcuni passaggi di batteria, ma purtroppo queste punte massime non aiutano minimamente a sollevare le sordi di questo album.

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Dal mio punto di vista questo è un acquisto SOLO ed ESCLUSIVAMENTE per appassionati di depressive suicide black metal, chi non ha la passione per il depressive non troverà nulla di interessante in questo album. Consiglio alla band, meno elitarismo di facciata e più lavoro di post produzione per amalgamare al meglio le voci con gli strumenti.

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BARBARIAN SWORDS “Hunting rats”

GENERE: Doom-black ETICHETTA: Blood fire Death VOTO: 68/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Band nata in Spagna nel 2011 dalle idee di due “fratelli di sangue” dopo aver visto un concerto degli Eletric Wizard. L’idea è di portare il doom nel black metal o il black nel doom. Dopo aver fatto uscire nel 2012 un deno dal titolo “Crusader of the apocalypse” la band ha composto nel frattempo il materiale per il secondo lavoro e primo album a tutti gli effetti, che è quello che andremo a recensire ma poco dopo le registrazioni la band avuto un cambio di line up che ha coinvolto la batteria. Ma entriamo nel merito del cd. Di fatto quello che ho scritto un po’ per gioco e un po’ no è di fatto effettiva realtà. Ovvero i Barbarian sword musicalmente sono in tutto e per tutto doom, di quello particolarmente lento e cadenzato, ma la voce ed i testi sono quelli classici del black metal. Quindi se non siete aperti di mente, lasciate stare perché fareste parecchio fatica ad apprezzare. Va detto comunque che nel complesso la band fa un buon lavoro a livello compositivo e a livello di arrangiamenti, inoltre la “mossa” della voce black destabilizza ma allo stesso tempo ha una sua dimensione ed un suo perché. Unica pecca a mio avviso è la post produzione degli strumenti. La batteria non è ben calibrata e alcuni livelli sono troppo differenti tra tamburi e piatti, il basso a volte si perde come suono con le chitarre e le chitarre le avrei preferite più piene e non così “ronzanti”. Inoltre la voce è troppo alta rispetto al resto e in alcuni punti copre eccessivamente gli strumenti, ad esclusione della batteria. Nota positiva, dal mio punto di vista personalissimo, la band propone la bellezza di oltre un’ora di musica, cosa che ultimamente non è così frequente vedere. A me sono piaciute “Hunting rats” che è la title track, “My realm – the frostland inquisition”, “Doomed bastards” e “Pentecostal black punishment”. A chiudere questa mia recensione, vi consiglio questa band solo se siete appassionati di metal estremo e non storcerete il naso a sentire urla e vocalizzi al vetriolo su tempi che a malapena raggiungono gli 80 battiti al minuto medi.

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CICONIA

“The moon sessions” GENERE: Strumentale ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 82/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

La band che andrò a recensire proviene dalla spagna e dopo la bellezza di 18 anni di vita musicale del fondatore, Jorge Fraguas al basso, si è costituito questo progetto di musica strumentale dalle variegate influenze e sonorità. La band di fatto nasce nel 2013 e a fine dello stesso anno, avendo una line up solida formata da David Manso e Javier Altonaga alle chitarre ed Alexi Zoreda alla batteria, entra in studio per poter registrare questo album “The moon sessions”. Devo dire che l’unica grossa pecca che si sente in questo album è la mancanza di una voce. Si capisco, che essendo un album di musica strumentale non ci va la voce, ma le loro tracce anelano una voce. Detto questo la loro proposta è oggettivamente impeccabile, pur rimanendo nell’ambito del virtuosismo e della musica più vicina al prog, ma con influenze di altri generi quali un certo gothic ed un certo avantgarde, non è un album che scoccia o che stufa, anzi. Ottime le composizioni, articolate mai scontate ma non noiose o di virtuosismo eccessivo. Ottima la post produzione, forse un pelino in più di rotondità sui tamburi sarebbe stata gradita (ma questo è più un piacere personale che non un errore). Pur avendo a che fare con tracce che mediamente superano di gran lunga i sei minuti, le canzoni che mi hanno dato più sensazioni sono quelle più lunghe dell’album. Quindi vi direi tranquillamente “Chrysalis”, “Hampstead head”, “Tentenublo” e “Msical oscilating critein”. Concludendo questo è un album da mediazione, molto evocativo e di ottima fattura. Dalla mia avrei voluto sentire cosa saregge accaduto se ci fosse anche una voce a dar la “cornice” a questi brani ma è un buon cd anche così come i Ciconia l’hanno pensato. Buona prova per loro e ottimo debutto.

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COLLEZIONISTI DI EMOZIONI “Attimi di follia”

GENERE: Spoken words ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 50/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

A distanza di quasi un anno dalla prima recensione, la trovate nel numero di ottobre 2013, tornano i collezionisti di emozioni. Sono un duo provenienti dall’Emilia romagna e la loro proposta musicale è molto simile agli spoken words ed all’arte concettuale portata in musica. Fisicamente hanno migliorato di molto la parte di registrazione, ma c’è ancora molto da fare. In due tracce si sente il metronomo che va avanti per tutta la traccia e persino oltre... Detto questo ripeto il miglioramento c’è stato, le composizioni continuano a essere delle declamazioni di poesie con un sottofondo musicale. Come per il secondo prodotto siamo a poco più di 8 minuti in tutti, dato che le poesie sono piuttosto corte ma comunque migliori di quello che proposero quasi un anno fa sia per composizione musicale sia per registrazione. Come per la passata recensione ve li consiglio se avete la passione per le poesie con sottofondo o per gli spoken in genere. Rispetto alla scorsa recensione mi sento però di poter dare un voto per il miglioramento ottenuto dal duo e li esorto a continuare su questa linea, ma a migliorare durata e a valutare la possibilità di controllare il metronomo.

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DARK LUNACY “The days of victory”

GENERE: Death metal melodico ETICHETTA: Fuel records- Self VOTO: 95/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

A quattro anni di distanza dal loro ultimo lavoro in studio “Weaver of forgotten”, e dopo non molto dall’uscita del live a Città del messico (già recensita su questa zine tempo fa) i Dark lunacy tornano sul mercato mondiale con un disco interamente ispirato alla gloriosa epopea Russa dal titolo ”The day of victory”. Non a caso, la data scelta da Mike Lunacy e soci per l’uscita di questa grande opera è stata fissata per il 09 Maggio 2014, giorno in cui la Russia festeggerà il 69° anniversario della grande vittoria contro l’invasore. La produzione è di altissimo livello e di qualità molto alta. Non mi sarei atteso nulla di differente… La band è più che rodata e con esperienze più che consolidate e sanno benissimo come stupire e come emozionare l’ascoltatore. Le composizioni hanno un forte impatto sia per le parti più brutali che per l’innesto di midtempi e passaggi rallentati e più melodici. Come se non bastasse vi sono la partecipazione di Paolo Ojetti (Infernal poetry) ospite come backing vocals in alcuni pezzi e di Giuseppe Cardamone (Duality, Oloferne) agli archi e dulcis in fundo l’innesto dei cori originali dell’Armata Rossa, utilizzati in modo assolutamente magistralmente. Questa combinata rende ogni brano particolarmente marziale e con una corposità di altissimo livello. Io risento sotto un certo aspetto le sonorità marziali di “The diarist” del 2006, ma più aggressive, più violente e le parti di archi che vengono ad aggiungere altra carne al fuoco, non in modo quasi barocco come avveniva con “The diarist” ma più con momenti di malinconica armonia che aumenta esponenzialmente il pathos di tutto il cd. Emotivamente parlando ho faticato a trovare le “punte di diamante” di questo album, ma come sempre per darvi un mio personale apporto vi dirò quelle che più delle altre mi hanno colpito, confidando nel vostro ascolto per potervi fare una vostra idea. “From Don to the sea”, “Red block”, “The decemberists”, “Anthem of red ghosts” e “Victory”. Ripeto questo è un otimo album e credo fermamente che le trace che vi ho indicato sono solo una parte dei grandi brani che troverete all’interno del cd. In chiusura, nuovo tassello per i Dark Lunacy che ci deliziano con il loro “The days of victory”. Acquisto obbligato per chi è appassionato di musica fatta come si deve.

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DARKNESS BY OATH “Seeds of desolation”

GENERE: Swedish death ETICHETTA: Erzsebet records

Indar productions VOTO: 90/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Band piuttosto longeva e con un buon numero di album al proprio attivo. Band formatasi nel 2002 e dal 2004 ha sfornato la bellezza di sei album, apparendo in una compilation tributo ai Dark tranquillità (recensita su queste pagine tempo fa) avendo tra le altre delle guest star nei loro precedenti lavori mica male. Giusto per capirci nel cd del 2012 avevano Anders Björler (At the gates, ex-The Haunted) e Mario ILiopoulos (Nightrage). Inoltre la band ha presenziato a più di 120 show tra cui diversi festival quali “Revoltallo festival” (Spagna), “Barbarian fest” (Belgio) e “Zabbaduschder open air” (Germania). La band ha concluso le registrazioni di questo che è il loro ultimo lavoro “Seeds of desolation” a dicembre scorso ed è uscito da poco per Erzsebet records e Indar production, album di dodici brani, di cui uno una cover di un brano assolutamente inaspettato. La proposta è di un death metal tipicamente svedese, io personalmente sento le influenze di Dan Swanö e dei suoi At the gates come sento in certi passaggi un certo appeal con i dark tranquillità. La cosa peculiare è a mio avviso che pur stando su quelle sonorità e proponendo dei rimandi più o meno palesi verso lo swedish death la band ispanica ha saputo dare una propria entità ed una propria dimensione senza dover essere legata alle sonorità dei padri seminali del filone. Ottimo lavoro a livello compositivo e a livello di post produzione e mastering. Batterie corpose, piene e mai scontate, basso udibile e “tangibile” per i feeling che crea, chitarre devastanti e voce deflagrante. La dimostrazione non solo che le basi sono state “comprese” ma che anche il resto delle “lezioni” sono state capite dal combo Ispanico in modo più che lodevole ed hanno permesso loro di dare alla luce a un cd veramente ottimo. Le tracce più significative in questo “Seeds of desolation” sono molteplici e come sovente mi capita con i lavori fatti veramente bene è difficilissimo trovarne solo alcune che possano essere considerate le “migliori”. Provando comunque a non fare un torto a tutto il cd direi “Immortality’s dream”, “Gates of madness”, “Real silence”, “Lunatic’s smile”, “The dull blow of death” e “From land of hate”.

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Menzione particolare è la cover, che fino ad ora ve ne ho parlato ma di fatto non vi ho ditto qual è? La canzone più conosciuta di Coolio e L.V. fatta per un film ed è “Gangsta’s paradise”. Questa canzone viene presa, aperta, rivoltata e ricomposta dal quintetto in modo assolutamente fuori dal comune e con una nuova identità. Non avrei mai detto che potesse essere una traccia death metal. Concludendo complimenti alla band che ha saputo creare un gioiello nella scena death e a portare avanti un pensiero lungo più di dieci anni. Vi consiglio vivamente di averne copia perché ne vale seriamente la pena e non solo per gli appassionati del death o dello swedish death ma di tutti coloro che hanno a cuore la musica metal suonata bene.

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ELITARIA

“Widescreen satanas” GENERE: Black metal ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 78/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

Dopo tre anni dal loro primo full-length Ngc 666 (New Galaxies Catalogue 666) gli Elitaria tornano sulla scena con un nuovo lavoro, sempre autoprodotto, che pur avendo dei rimandi “cyber” nella copertina ci riporta a certe origini del black metal, pur inserendo delle minime tracce di materiale sintetico (sempre in linea con la copertina, o meglio in linea con il concept che hanno in mente). “Widescreen Satanas”, nome della nuova fatica della band, è un EP di un certo livello su tutti i fronti. A livello tecnico, propongono una produzione pulita e allo stesso tempo intima e personale, a dimostrazione che si può arrivare alle sorgenti del black metal senza dover per forza abbandonare sia la qualità compositiva che le abilità in fase di post produzione. In “Widescreen Satanas”, gli Elitaria propongono un suono cattivo, violento “antihuman” ma con una nitidezza del suono non da tutti; a dimostrazione che non c’è bisogno del “canta tu” per far black metal di qualità. I puritsi potrebbero obbiettare che vi sono delle “intrusioni” sintetiche non possono esser accomunate al true norvegian black metal. Direi che forse ci si è evoluti anche nel black metal dal lontano 1997; detto questo devo dire che le tastiere così accennate e tutt’altro che invasive rispetto al più “visto” black sinfonico è una scelta assolutamente azzeccata e di grande impatto sonoro. Ricorda sotto certi aspetti gli Aborym di “With no human intervention”. L’unico dubbio che mi viene è dettato principalmente dall’ Intro, seppur strumentale e moto carico di pathos, l’ho trovato forse un pelino troppo lungo e questa lunghezza non ha aiutato molto come per altro anche l’outro. Forse avrei puntato ad un intro ed un outro molto brevi per poter inserire eventualmente un brano in più, alla fine quasi cinque minuti tra intro ed outro mi par troppo. Ottima la scelta dei suoni e delle composizioni che rendono molto bene quello che gli Elitaria vogliono trasmettere con il loro “concept”.

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A me personalmente sono piaciute molto “Ragnaroek propaganda”, “Dawn of mecha” e “Widescreen satanas part II” che rendono moltissimo il senso di alienazione che la band vuole trasmettere. Come sempre fate vostro questo cd ed ascoltatelo bene e trovate le vostre tracce preferite. In conclusione, una produzione piuttosto interessante e ben costruita, anche se vi sono ancora delle parti da calibrare meglio specie per i suoni cyber, ma credo fermamente che la band non faticherà ad assestare con il prossimo lavoro un miglioramento anche su quel frangente. Gli Elitaria hanno dimostrato di saperci fare con questa loro ultima fatica e meritano ben più di un ascolto e ben più di un singolo apprezzamento. Promossi

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EPISTHEME

“Descending patterns” GENERE: Prog thrash ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 69/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

EpisTheme è una band catanese, nata nel maggio del 2010, da un’idea del bassista Riccardo Liberti, già attivo, in ambito underground con band quali: Noble Savage, Dark Maze, Denied, Kem in Eye e My First Damnation. Fino a quando non vennero inseriti nella band il batterista Daniele Spagnulo (Devuoring Sorrow, Jem in Eye) e il chitarrista Francesco “Seven” Coluzzi il progetto resta uno studio project. Solo che manca un cantante e fino al 2012 non riescono a trovarlo. Ma vi sono alcuni cambi di lineup quindi arriviamo al 2014 con la lineup stabile con l’uscita di “Descending Patterns”, che è figlio di questo percorso non senza ostacoli protratto dalla band. Se dovessi giudicare dalla “copertina” questo disco direi che saremmo di fronte ad un album di death metal, magari di quello ultratecnico, ma non è così. Ovvero la tecnica c’è ma è improntata principalmente al prog con qualche “svasatura” verso il thrash, principalmente per le parti vocali rabbiose ed alcune scelte di drop di chitarra. Buona la proposta di Correnti che spazia, come testé segnato, che oltre alle parti rabbiose c’è anche una certa abilità ed una certa melodia nella voce. Unica cosa che è leggermente claudicante è nella parte di registrazione, nel senso che in più occasioni, durante le parti veloci, si sente un retro suono di basso poco funzionale; in più di un’occasione ho sentito il basso “friggere” quasi fosse in saturazione e personalmente avrei aperto di più i livelli dei piatti, che mi paiono un filo troppo ovattati, ma poca cosa per la verità. Tolto queste due imperfezioni, abbiamo un buonissimo lavoro da parte della band nel complesso compositivo, post produttivo e di arrangiamenti. Buona prova dicevo per quelle che sono le proposte della band catanese. Personalmente “Erase that frame”, “Shade my way” e “Blindside” sono brani che possono darvi la dimensione su cui si appoggiano gli Epistheme e le loro abilità compositive. Siamo di fronte ad un esordio che ha delle potenzialità, di certo c’è da lavorare ancora, per poter andare oltre il “già sentito” ed oltre il “si fa così per restare coerenti al genere”. Consiglio spassionato per la band è di osare sia nelle composizioni che negli arrangiamenti, se no rischiano di rimanere nella media e quindi di non spiccare mai. A voi che mi leggete comunque vi esorto ad ascoltare il cd che la band ha fatto e di seguirne le evoluzioni, sono certo che ne rimarrete positivamente colpiti e non ve ne pentirete.

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FUTEISHA “Dannato”

GENERE: Musica sperimentale ETICHETTA: Brigadisco /Old Bicycle records VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Il termine Futeisha è un nome proveniente dal lontano Giappone ed è il nome di una società segreta anarchico femminista giapponese. Il progetto nasce dall’idea del polistrumentista piemontese Juan Francisco Scassa di origini argentine e con un passato scritto anche a Kyoto. Il suo debutto si intitola “Dannato”, uscito nei primi giorni del luglio scorso, e vede la produzione in cassetta, scelta tanto ardita quanto inconsueta di questi tempi, tramite Brigadisco e Old Bicycle records. Di fatto questa è arte sperimentale ed utilizza il frangente della musica. Ci sono dieci tracce che non hanno la composizione classica di strofa ritornello, ma un fluire di note e di articolazioni tutt’altro che omogenee e tutt’altro che conformi. Di fatto se non si è appassionati della musica in senso più ampio e completo si potrebbe trovare piuttosto stucchevole questo album. Personalmente ammetto che anche per me è stato un filino difficile poterlo articolare e poter dare un certo senso alle mie parole qui scritte. Si passa da momenti vicini all’atmosferic, passando per delle tracce più simili a pop, ad altre di impatto dark vecchia scuola a rimandi quasi rumoristici e a immancabili tocchi di elettronica. A livello di qualità sonora siamo veramente in alto, ma ripeto, non è semplice comprendere ai primi ascolti ciò che sta dietro a questa proposta sonora. Non saprei cosa consigliarvi come canzoni di punta, dato che le dieci canzoni sono di fatto una legata all’altra pur restando assolutamente a se stanti. Quello che posso dire è che se non amate la musica sperimentale di certo questo lavoro non fa per voi. L’unica cosa che posso dirvi è di fare in fretta se volete questo viaggio lisercio nella Dannazione di Futeisha, dato che le copie disponibili sono solo 100 e sono numerate. Bello? Brutto? Decidete voi. Ascoltatevelo e datevi le risposte.

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HANGARVAIN “Best Ride Horse”

GENERE: Hard rock ETICHETTA: Red cat records VOTO: 80/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

Gli Hangarvain sono una band proveniente da Napoli e sinceramente se non avessi le informazioni su di loro avrei detto che sono una band che arriva dagli USA per le sonorità e l’attitudine che propongono. Notevole dimostrazione, come dico da anni, che non c’è bisogno di andare oltre il “rubicone”, ma che se si sta anche nel nostro “stivale” ci sono band di grande abilità e grande capacità. Gli Hangarvain propongono un rock con forti rimandi al southern rock americano e con delle leggerissime venature country di nuova generazione. La band nasce nel 2006 e dopo alcune vicissitudini si arriva al 2013 quando viene registrato questo “Best ride horse” da cui viene tratto nel giugno del 2013 il primo singolo “Free bird” che ottiene risultati molto interessanti. A novembre dello stesso anno esce il secondo singolo “Through the space and time” e a maggio di quest’anno esce il terzo singolo “Get on” e nel contempo anche il cd completo sotto red cat records. A livello tecnico nulla da dire, ottime le prestazione di tutti i membri della band. Buone le chitarre, ottima la sezione ritmica con basso e batteria a dare la spinta necessaria ai brani, calorosa e avvolgente la voce. Come ho annunciato prima essendo un cd a cavallo di alcuni generi molto conosciuti, non c’è nulla di nuovo, se è la novità a tutti i costi che cercate, ma di certo una proposta musicale di alto livello e grande passione oltre che capacità; ci aggiungo una cosa che non sempre la “novità” è un bene e non sempre c’è da dover andare oltre. In questo caso basta e avanza la voglia e la carica che la band ci infonde in questi dieci brani. Escludendo i tre singoli molto intensi e azzeccatissimi, che ho già nominato poco sopra, per dar lustro al loro lavoro la band a mio avviso crea con “Father shoes”, “Hesitation” e “Way to salvation” il sestetto di top songs. Come sempre fatevi la vostra top songs ascoltando il cd nel suo complesso.

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“Best Ride Horse” è la migliore risposta alla domanda: “Ma in Italia ci sono band capaci di fare hard rock e southern rock di qualità?”. Vi consiglio l’acquisto di questo album perché sarà la colonna sonora delle vostre ferie o di un vostro viaggio lungo le strade del mondo. Complimenti alla band che ha saputo creare delle sonorità e delle emozioni sul pentagramma assolutamente non comuni e soprattutto dimostrando che c’è ancora molto da dire in ambito di hard rock e di southern rock.Ripeto capisco che in un album strumentale di un chitarrista gli assoli siano la parte principale, ma non è possibile a mio avviso aver praticamente solo scale e contro scale, si va nell’autoreferenzialità e si fa perdere attenzione a tutta la composizione nel suo complesso e alle abilità di Emilio nel comporre tutte le canzoni. Delle tracce avrei difficoltà a darvi quelle migliori, sia perché sono, ripeto, composte e suonate bene ma non lasciano una sensazione se non si è particolarmente appassionati dei super tecnicismi e dei cd di soli virtuosismi. Dal mio punto di vista questo è un cd per i palati particolarmente fini e per chi è appassionato, ripeto, ai virtuosismi portati all’eccesso. Voto sicuramente sopra la sufficienza per le capacità, ma l’empatia che manca l’ha ridotto sensibilmente. Consiglio per il prossimo futuro di non far solo assoli e non solo scale a meno di non voler rimaner nella “nicchia” dei super virtuosi.

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RECENSIONI

HUMAN DEGRADE “Forced depression”

GENERE: Thrash ETICHETTA: C.M. Releases VOTO: 67/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Human degrade è il moniker che sta dietro a Cristian Mustaine e Andrea Löbbia e il loro esordio discografico si propone di portare un certo tipo di sonorità che par non vada più di moda, ma che per chi è appassionato la moda non aveva e non ha alcuna importanza. Questo “Forced depression” è un album di thrash metal vecchio stampo e con tutti i crismi. Come ho scritto negli Human degrade c’è Cristian Mustaine, padre dei Blood Thirsty Demons (che abbiamo recensito pochi numeri fa). Ma la proposta musicale pure restando fedele alle formule del compositore dei B.T.D. è comunque differente per appeal e per attitudine. Siamo di fronte a del thrash vecchio stile, molto vicino a quello che fu il suono degli Annihilator, agli Exodus e sotto un certo aspetto ai Sodom, ma più per certi arrangiamenti, per tutta una serie motivi musicali e attitudinali. Che sia chiaro che la band non ha intenzione, nei fatti, di innovare o di fare qualche cosa di nuovo, ma è palese che la scelta sia stata fatta con coscienza e con volontà di proporre e riproporre sonorità di un certo tipo e soprattutto di un thrash old school che non è mai stato di moda ed è per questo che risulta intramontabile. Le chitarre, il basso, la batteria e la voce sono registrate in modo ottimo e propongono un suono si “vecchio” ma pur sempre corposo e di qualità. Personalmente ho apprezzato molto canzoni come “Scarso f the mind”, “King of fools”, “Out of my way”, “Neitonen morten” e “Rotten inside”. Come sempre fatevi la vostra personale top songs ascoltando il cd. Concludendo, buona la prima, come si suol dire. Gli Human degrade hanno dimostrato che ci va attitudine, passione e amore per un certo tipo di musica per poterne far uscire un feeling appezzabile e godibile. Di certo questo sarà un gioiello per i thrasher più scatenati ed amanti del vecchio stile, credo comunque che sarà positivamente apprezzato anche da chi non è completamente “nel genere” ma che apprezza la musica fatta come si deve. Promossi.

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MAINPAIN

“The empirical shape of pain” GENERE: Heavy ETICHETTA: Diverso edizioni musicali VOTO: 72/100 RECENSORE: Alessandro

Schumperlin

I MainPain sono una band della provincia di Novara. Nati nel 1996, escono con il loro primo EP dal titolo “Painted” nel 2001, dopo parecchie vicissitudini e cambi di lineup arrivano al 2007 con il debutto dal titolo “Food For Thoughts” (uscito per Powerzone records/Metal factory), che contiene alcune canzoni del primo lavoro ma riviste. Ora si presentano al pubblico con il nuovo lavoro dal titolo “The empirical shape of pain” (uscito per Diverso edizioni musicali). La proposta della band è un heavy classico, maiden oriented, con dei rimandi abbastanza marcati ad un certo thrash metal anni 80-90 (vedi alla voce Megadeth). Tecnicamente il percorso compositivo della band si è evoluto dagli albori ad oggi, portando un buon risultato su cd, buone le composizioni, intriganti gli arrangiamenti e discrete le scelte di post produzione. Forse avrei preferito un basso meno eccessivo, in alcuni passaggi addirittura tenta di sovrastare le chitarre, ed una batteria che risulta piuttosto altalenante per quello che competono i livelli; in più punti risulta troppo “nascosta” per quello che servirebbe nelle parti in midtempo principalmente. Ma nel complesso il cd è godibile ed è ben suonato. Nota non chiara ai miei occhi come a distanza di più di dieci anni ci siano ancora brani del primo demo presenti nel nuovo lavoro. Cosa che per altro fecero già nel cd di debutto, come ho scritto poco sopra, capisco il voler riproporre il vecchio materiale con la nuova line up più stabile e più affiatata, ma se per l’esordio era quasi capibile inserire tre dei quattro brani di “Painted” con il secondo lavoro mi sembra poco proficuo proporre “Blood Arena”. Quantomeno, vista la modifica degli arrangiamenti e delle parti canore avrei gradito una cosa tipo “Blood Arena 2014” (lo dico con cognizione di causa avendo il loro “Painted” con cui far raffronto) in modo da dare una giustificazione, quantomeno etica, della nuova versione della traccia. “Wake Up The Sleeping Giant”, “The spiral”, “Kiss of death” e “The empirical shape of pain” sono le canzone che più di alter mi hanno colpito all’interno di questo platter a livello emotivo. Come sempre vi esorto ad ascoltarvelo e a farvi la vostra top songs. Concludendo, il lavoro è buono, certo farà la passione di più di un defender e di più di un appassionato dell’heavy classico; auspico che per il prossimo lavoro propongano solo brani inediti per dimostrare l’avanzamento delle composizioni e per staccarsi dal loro stesso passato, che non va rinnegato ma non può esser continuamente riproposto. Promossi.

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RADIOCROMA

“Il corso dei balocchi” GENERE: Sperimentale/ Alternative ETICHETTA: Red cat records VOTO: 85/100 RECENSORE: Alessandro

rock

Schümperlin

Gruppo della provincia di Frosinone, composto da Alessandro Toto, Gianluca Materiale e Mauro Serra. Nascono nel 2012 ma hanno all’attivo quattro ep dai titoli “Toys”, “Buongiorno/Goodnight”, “Nell’anno del Signore” e “La spartumacciata” usciti con i nomi di Pentotal e Nohayabanda. Già con questi ultimi, Mauro Serra (detto “Tranquillo”) entra a far parte della band con la qualifica di “compositore della parte video” e in questo cd presentato come “Videocartoni”. I Radiocroma, oltre a proporre musica tuttaltro che di facile “inquadratura” comprende anche la parte “visiva” tanto che il cd ha una traccia video per ogni canzone, in modo da dare una visione a 360 gradi dell’arte di questa band che va oltre alla “sola” musica. Diciamo che per poter dare una valutazione di massima direi che quello che la band propone è un misto tra musica rock, musica tradizionale e una forma tipica dei cantautori, pur restando una band e non un cantautore, e musica pop anni 80 e 90. La cosa particolare e strana è che questi mix sono assolutamente geniali e senza una forzatura e i testi così surreali e privi di un’apparente connessione con la realtà sono a contorno e corollario assolutamente degno. Tecnicamente nulla da dire, lavoro fatto in modo ottimo, buonissimi i componimenti, sconcertanti e spiazzanti gli arrangiamenti e notevoli i suoni proposti. Quindi la band ha messo in pratica le esperienze passate ed ha dato libero sfogo alle proprie attitudini, senza far perdere nulla all’ascoltatore. Emozionalmente sono stato preso dalla prima all’ultima nota, quindi non saprei cosa indicarvi per dare le “punte di diamante” come mio solito, più che altro perché i Radiocroma inseriscono nel loro “Il Corso dei Balocchi” una galleria di quadri tutti a se stanti e nello stesso tempo legati da un filo conduttore tanto grottesco e alienante quanto reale e tangibile. Ci sono rimandi di “Sul ciglio della strada” tanto quanto “Timido Attanasio” o “Pasquale nel cubo” oppure “La bolla” o “Luna perdente” e così via, rischierei di segnarvi tutte le canzoni del cd, perché questa sarebbe la fine che andrei a incontrare. Più di altre volte vi dico ascoltatevi il cd e fatevi una vostra personale idea. Se volete un album assolutamente fuori dagli schemi e con un attitudine al grottesco e al’inconsueto, con l’opportunità di avere una visione grafica delle composizione questo è il cd per voi. Unica avvertenza è quella di avere la mente aperta di accettare un meccanismo che è tutt’altro che “normale” e “consueto”.

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RANSOM CALL

“Creatures on the loose” GENERE: Horror rock ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 60/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Nati poco più di un anno fa, nello specifico agli inizi del 2013, in Slovenia i Ransom Call si presentano al pubblico con questo EP autoprodotto composto da quattro brani. La band ci fa sapere che ha cominciato da subito a scrivere pezzi propri, senza quindi passare dal periodo di cover, ed ha puntato sul mix di heavy metal, sleaze metal e horror punk. Per capirci le influenze di band quali : Murderdolls, Sister, Wednesday 13, Ragdolls... etc si sentono in modo massiccio, specie Murderdolls e Wednesday 13. Nota particolare, pur avendo una “vita passata” piuttosto breve la band prima di arrivare alle stampe di questo EP ha comunque subito diversi cambi di lineup. Dal mio punto di vista la composizione è troppo legata alle band da cui traggono spunto. Mi potreste dire che ciò non è un male, vero…peccato che in primo luogo manca la stessa produzione corposa e rotonda, in secondo luogo è oggettivamente la band è “Murderdolls victim”. Questo è a parer mio il primo problema di questo cd, il secondo problema deriva dalla post produzione poco accurata, la batteria ha i livelli assolutamente sballati. Tom e timpani alti mentre rullante e piatti bassi, ma non solo rispetto a se stessa, ma anche rispetto al resto degli altri strumenti. Chitarre non particolarmente alte nei momenti clou e la voce troppo alta sul resto degli strumenti. Il mio consiglio per il futuro è di attendere qualche settimana in più e perderci qualche ora in post produzione e in mastering in modo da proporre un lavoro ottimale e di forte impatto. Carine a mio avviso sono la openere “Freakshow” e “Cemetery queen”. Non che “Vicious mind” e “Exorcist” siano brutte, ma semplicemente per poter dare un’idea delle tracce che in qualche modo hanno un pochino di personalità in più. Concludendo, un lavoro che è nel complesso sufficiente, ma che presenta forti punti di miglioramento che la band dovrà attuare nel prossimo futuro. Personalmente sono dell’idea che questo EP sarà interessante ai fans dei Murderdolls e di Wednesday 13, meno per gli altri. Promossi, ma con un piccolo dubbio.

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RIOT OF VIOLENCE “Planet of the rapes”

GENERE: Death melodico ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 80/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Band proveniente da Barcellona i Riot of violence sono usciti con il nuovo lavoro che fa la smorfia ad un titolo importante del cinema mondiale ovvero “Planet of the Apes” lo trasforma nel “ Planet of the Rapes”. La band nasce nel 2006 e dopo un primo demo e un album di debutto nel 2011, la band ha iniziato a farsi notare tra la scena underground spagnola. La band si propone con un death metal con influenze principalmente melodiche, ma con qualche sprazzo di thrash moderno. Strutturalmente le nove tracce che compongono questo cd sono in linea con il genere e di buona fattura. Non inventano nulla, ma quelle che sono le composizioni sono ben fatte, granitiche quanto servono e violente se pur non invasive e a questo va unito una produzione eccellente da parte delle sapienti mani di Edgar Beltri (Hyde Abbey, Bustin’ out e altri). Buone anche le post produzioni, tutti gli strumenti si sentono in modo ottimale e con un certo calore per ogni strumento. Batterie devastanti, basso corposo, chitarre taglienti e massicce e voce cavernosa e profonda. Unica pecca, il fatto di non aver aggiunto nulla rispetto a quanto le band adese a questo genere attualmente propongono e la cosa risulta un pochino limitativa per loro e per le capacità che hanno dimostrato a più riprese di avere un questo platter. Certo la band si districa tra mid tempo cadenzati e sfoghi di ultraviolenza e velocità, ma questo non è abbastanza per poter affermare che siamo di fronte ad una novità. Sia chiaro la proposta della band catalana è oltre il “buono”, solo che ho il sospetto che se la band non deciderà di osare di più si troverà tra le tante band di death metal che sono brave e che hanno una buona proposta, ma simile a quella di tante altre. Personalmente ho trovato molto interessanti canzoni come “I am the battlefield”, la title track “Planet of the rapes”, “Transhuman dystopia” e “March of squeralers”. Concludendo, ottima seconda prova della band consigliatissimo agli amanti del death metal fatto bene e con delle solide proposte. Unico consiglio per la band, mi ripeto, osate di più e create una novità se no rischierete sul lungo periodo di finire nel “calderone” delle altre band brave ma che non hanno il “quid” in più.

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SILENT SUFFOCATION “Silent suffocation”

GENERE: Symphonic metal ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 45/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

I Silent suffocation arrivano da Palermo ed hanno alle loro spalle, se pur nati nel 2011, un corposo cambio di line up e di moniker della band. Capisco il voler uscire con un proprio prodotto, capisco la voglia e la fregola, ma ci sono un sacco di errori nelle composizioni e nella post produzione che pur volendo mettere le “attenuanti” del primo lavoro non si può prescindere e non si può far finta di nulla. La voce e le tastiere sono parecchio avanti rispetto al resto delle strumentazioni, le batterie sono troppo secche e poco incisive, ci sono dei passaggi tra arpeggi di chitarra e tastiere che sinceramente sono piuttosto disturbanti, il basso praticamente inesistente (ad esclusione di un passaggio o due). Le chitarre hanno un minimo di “visibilità” uditiva durante i soli, ma i suoni sono piuttosto imbarazzanti, nel senso che suonano come se fosse un lavoro dei primi degli anni ’90. Il che non è disdicevole, se fosse fatto in quegli anni o se fosse un palese tributo a quel periodo; fatto salvo che ora come ora ci un sacco di accorgimenti ed una miriade di opportunità anche a prezzi accessibili per poter rendere meglio i suoni di chitarra, di tastiera, di basso e di batteria. La cosa positiva è la voce, sia femminile che maschile, che nel caso femminile per fortuna non è in simil lirico o pseudo lirico, ma dimostra una certa abilità ed una certa capacità di canto senza dover andare in quelli che sono considerati stilemi “sine equa non” (chi mi legge sa di cosa parlo). Per quella maschile se pur leggermente “indietro” rispetto alla voce femminile crea un buon groove nel complesso. Sinceramente, ripeto, le parti acustiche sono interessanti e ben composte, ma non bastano rispetto al resto delle parti delle canzoni stesse. Senza contare che in più riprese non ho capito il nesso tra un riff e l’altro e i cambi di tempo non sempre omogenei e funzionali. Troppa fretta e troppa foga non hanno permesso di poter gustare al meglio le capacità che la band ha al proprio interno. Consiglio mio è di ragionare meglio sulle composizioni e sull’amalgama dei riff, far delle pre produzioni, con le pre produzioni in mano ragionare di arrangiamenti, registrare e poi ragionar sulle post produzioni e sul mastering. Se no il risultato sarà sempre sotto le aspettative e insufficiente.

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SERGEANT HAMSTER “Sergeant Hamster” GENERE: Stoner/ ETICHETTA: Tone VOTO: 75/100

Psychedelic rock Deaf Records

RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

I Sergeant Hamster nascono a Palermo nel 2007 a opera di Giorgio Trombino (chitarra) e David Lucido (batteria), quasi immediatamente raggiunti da Silvio “Spadino” Punzo al basso e Simone Trombino, voce solista della band. Tutti i componenti degli Hamster provengono da esperienze stilisticamente diverse e radicate nell’humus musicale palermitano (Furious Georgie, Haemophagus, The Smuggler Brothers, Elevators to the Grateful Sky, etc...) Inizialmente con il nome di Delta 9, il gruppo compone da subito musica propria ispirata tanto a gruppi di portata generazionale come Black Sabbath, Hawkwind e Blue Cheer, oltre ad alcune band del filone stoner-doom e rock-psichedelico più “recenti” quali Kyuss, Fu Manchu, etc… . Dopo una demo autoprodotta, l’EP “Star Messenger” pubblicati nel 2008 e nel 2009 ed un paio di partecipazioni a compilation stoner/doom la band ha uno stop forzato dal 2010 ai primi del 2013 a causa di un cambio di line up, seppur con un full-length album già scritto ancora nel cassetto. Nel luglio 2013 la band riparte con la formazione stabile per registrare il primo album vero e proprio, album uscito per Tone Deaf Records in LP/digital download. Ma entriamo nel vivo della recensione, la band propone gli stilemi classici di uno stoner rock con forti influenze doom e rimandi alla psichedelica dei primi anni 90. La combinata a mio parere vincente per loro è l’aver declinato con la propria attitudine ed il proprio animo sia lo stoner che va tanto di moda ora, con il rock anni settanta e le psichedelie di nuova generazione senza rischiare di andare in “campi” lunghi e durate troppo esasperanti che in ambito psichedelico ancora, troppo spesso, la fanno da padrone. Riff diretti, accattivanti e sornioni ma non scontati o prevedibili sono la base da cui la band parte . I rimandi ai Black sabbath, ai Fu Manchu e ai Kyuss sono particolarmente tangibili, inoltre sento un pizzico di Seattle sound (nella fattispecie Alice in chains) che crea una distonia gradevolissima. Tecnicamente hanno fatto un ottimo lavoro di studio. Tutti gli strumenti si sentono in modo ottimo e chiaro, pur mantenendo una certa alea di “grezzume” e di “sporco” che serve a dar calore e feeling.

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Emozionalmente mi sono piaciute moltissimo canzoni come “Firmament’s way”, “Supergiant”, “Good man”, “Sleepless” e “Universe ride”. Come sempre sono in ordine rigorosamente sparso e come sempre vi esorto ad ascoltare il loro cd in modo da farvi la vostra top songs. Concludendo, la band ha dato una prova più che buona delle proprie abilità e capacità, certo di fatto non hanno inventato un genere ma hanno saputo declinare, come ho scritto sopra, le “basi” dello stoner rock e del rock psichedelico in modo da dare un proprio contributo al genere in quanto tale. Magari con un suono leggermente meno “italiano” e più “internazionale” potranno esser presi in considerazione dal pubblico d’oltre confine in modo massiccio. Promossi.

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SITRA’S MONOLITH “Sitra’s monolith”

GENERE: Southern rock ETICHETTA: Video radio VOTO: 90/100 RECENSORE: Alessandro

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I Sitra’s Monolith sono un gruppo nato nel 2012 grazie a Fabrizio Zambuto, chitarrista dalle notevoli e corpose qualità tecniche (diplomato nel 2006 in conservatorio e laureato poi nel 2009) non che dai passati particolarmente interessanti ( giusto per far due nomi: Dave Weckl, Melvin Lee Davis) che, affiancato da membri di altrettanta esperienza quali il bassista Michele Mora e il batterista Manuel Togni (Kee Marcello, Uli Jon Roth, Stu Hamm, Ule Ritgen) creano un disco che fa sentire il tipico suono degli stati del sud degli USA. Un connubio tra southern rock, blues, polvere e paludi della Louisiana. Compositivamente parlando nulla da dire, ottime le proposte del trio, a livello di post produzione e di mastering altrettanto ottime le scelte della band. Le qualità e le abilità si sentono già dai primissimi secondi. Se non si sapesse che sono un trio tutto italiano, si potrebbe tranquillamente pensare che questa band sia uscita da uno degli stati della bible belt. Come se non bastasse Fabrizio riesce a dare delle impronte vocali, oltre a quanto già fa con la chitarra, particolari per ogni brano rendendo la cosa ancora più accattivante ed interessante. Togni e Mora sono una macchina da groove assolutamente spettacolare. La band riesce a ricordare i grandi del southern rock e del rock and blues americano, con qualche occhiatina al country e al hard rock più leggero e easy. La cosa interessante è che questo trio ha i numeri per poter stare nella “sezione” ipertecnicistica della musica, eppure loro preferiscono “la sostanza” ed il feeling piuttosto che la fredda tecnica e lo dimostrano nei fatti con questo platter di emozioni, di sudore, di sole e di paludi cajun. Sicuramente sopra le righe abbiamo brani come “Not in words”, “Painted face”, “Somebody”, “Fall on me” , “Long dark night” e “Breaking bad”. Ma come spesso accade ho fatto fatica a trovare e segnalare queste sole tracce, avrei tranquillamente potuto inserirle tutte e dieci come top songs. Quindi ancor più del solito acquistate il cd e ascoltatelo fino a farvi una vostra personale top songs list. Concludendo questa mia, la band ha dimostrato, nei primi secondi della prima canzone, di aver stoffa abilità capacità e tecnica senza dover andare nell’ultra tecnicismo e dando una bella botta di emozioni oltre che di note suonate in modo egregio. Assolutamente da avere questo Sitra’s monolith e certamente da dover supportare e seguire il più possibile questo formidabile trio.

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STORM CRY

“Beginning of darkness” GENERE: Melodic death metal ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 75/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Gli Storm cry sono una band death metal melodico proveniente da Venezia, (come spesso dico se aggiungete le note di bio voi faccio meno fatica io a ricercare info; non è per me ma per voi) nata nel 2010. La band propone un death metal tecnico con tendenze alle “incursioni” melodiche. Sotto un certo aspetto assomigliano ai Dark Lunacy, recensiti in questo numero, ma con meno “marzialità” ed in parte ai Dark Tranquillity. Cosa che a mio avviso è più che positiva, dato che non ci sono strane derive verso il metalcore; non che abbia qualche cosa contro il metalcore, ma ho notato che le band che negli ultimi periodi puntano al death melodico, “sforano” sistematicamente nel metalcore perdendo parte della geniunità del death. I venticinque minuti che compongono questo EP sono articolati in sei tracce, o meglio cinque tracce ed un intro. Tenendo conto questa è la prima prova della band, siamo di fronte ad un buon prodotto. Composizione interessante, se pur non possiamo urlare alla novità, gli Storm Cry riescono ad articolare delle meccaniche di notevole interesse. Buoni gli arrangiamenti e più che discrete le registrazioni. Unico dubbio su alcune scelte di post produzione. Buoni i suoni della batteria, ad esclusione di alcune code dei piatti leggermente troppo lunghe per i miei gusti, non chiari i suoni del basso che sovente si mischiano in modo indissolubile con le chitarre perdendosi, salvo alcuni punti, e le chitarre ottime nei riff portanti ma meno nei soli, come sonorità ripeto. Per la voce avrei preferito meno effettistica, ma solo per poter apprezzare a tutto tondo il growl così possente e cavernoso, ma in questo caso siamo più in ambito di piacere personale che non un effettiva mancanza o errore. La opener, “The sun die here”, “The SYS” e la title track “Beginning of darkness” sono le canzoni che più mi hanno colpito di questo EP, come sempre date un ascolto a tutto “Beginning of darkness” in modo da farvi una vostra idea precisa di chi siano gli Storm cry. In chiusura di questa mia recensione, faccio un augurio di lunga vita alla band, che se lo merita, sperando che i prossimi lavori arriveranno a breve e che possano essere curati al 1000% in modo da lanciarli, come meritano, nel firmamento. A voi tutti appassionati di metal suonato bene vi consiglio vivamente di cercare, supportare e seguire la band.

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TETROLUGOSI “Tetrolugosi”

GENERE: Dark wave ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 87/100 RECENSORE: Alessandro

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I Tetrolugosi nascono nel 2013 a Ripatransone nelle Marche. Il duo è composto da Sara Paradisi (tastiere, cori, theremin) e Camillo Perazzoli (tastiere, voce, basso). Nel 2014 viene alla luce il loro primo disco omonimo, che andremo a recensire. I Tetrolugosi ci tengono a farci sapere che: si dedicano al culto del gufo e partecipano ai solstizi berberi. Detto questo entriamo meglio nei Tertolugosi, la proposta che loro fanno a livello sonoro ha un certo sapore “antico”, ovvero si rifanno molto ad una certa dark wave anni 80 che sinceramente è molto accattivante e con un certo fascino e mi chiedo come mai non sia “ritornata” in auge. Sonorità molto cupe, quasi da film dell’orrore d’annata frammisto a vocalizzi femminili molto eterei in contrapposizione alla voce molto profonda maschile, ma che ha comunque un buon spettro vocale e lo si sentirà durante tutto il cd. In tutto questo i sintetizzatori e l’elettronica fa da corollario e da cornice a queste atmosfere d’altri tempi. Compositivamente parlando ottimo lavoro, per quello che riguarda la post produzione c’è da lavorarci ancora per affinare alcune cose, ma abbiamo un ottimo esordio per la band marchigiana. Personalmente ho adorato dalla prima all’ultima nota, mi ha riportato indietro nel tempo pur sentendo la freschezza delle composizioni e potendo saggiare il fatto che il duo ha si le radici piantate nella tradizione dark wave, ma ha una propria entità ed una propria anima e declina le sonorità del passato con le tecnologie odierne e con il gusto attuale. Volendo dare comunque alcune tracce come rimandi di un certo livello direi senza colpo ferire: “Till we are buried”, “The golden bug”, “Tonight the dead can dance”, “Filthy sinner”, “The vampire bat” e la simpatica e quasi dance “Tastaferro”. In conclusione questo esordio per i Tetrolugosi è più che azzeccato. Se siete amanti della dark wave non potrete non avere questo album nella vostra collezione. Ci aggiungiamo che tutto l’album è ascoltabile su youtube.

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THE ABI

“Lost picture” GENERE: Dark ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 72/100 RECENSORE: Alessandro

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Nuovo lavoro per i The ABI. Come per i precedenti lavori il sound ed il feeling rimangono gli stessi, quindi introspettivi e minimali pur restando carichi di atmosfere ed evocative immagini. La cosa particolare è che pur avendo tra le mani una “raw version”, in parte per ammissione dello stesso creatore, le canzoni hanno un potenziale non indifferente e secondo me servirebbe solo un piccolo aggiustamento da farsi con alcuni volumi ed alcune saturazioni e ci troveremo di fronte ad un nuovo gioiello che i The ABI ci hanno abituato a sentire e godere. Rispetto ai precedenti lavori come The ABI, forse anche seguendo il precedente lavoro di alcuni mesi fa “The depth of the shade”, decide di andare con il primo lavoro intero e non più con un nuovo EP; la cosa mi colpisce da una parte, ma permette a me come ad ogni ascoltatore di godere di minutaggi più ampi delle sue pennellate sonore. Purtroppo anche questa volta si sente troppo marcatamente la batteria che è il punto claudicante di tutto il platter, come del resto anche nei precedenti lavori, e purtroppo mi vedo costretto a dover rivedere la valutazione a ribasso. Capisco che non è sempre facile trovare i musicisti adatti e magari anche i plug in migliori, ma il ripetere lo stesso errore più volte non è sempre salutare (In barba al detto: “se fai un errore da live ripetilo in modo da farlo sembrare una variazione cercata”). Emozionalmente sono rimasto sconcertato da canzoni come “Jesus”, “There in waiting”, “Greet you” e “In the shade of the night”. Canzoni che risuoneranno nell’intimo di ogni ascoltatore, canzoni assolutamente intense, intimistiche e contestualmente anche invasivamente detonanti. Non potrete assolutamente estraniarvi da queste note e da questo sussurrio che è marchio di fabbrica dei “quadri sonori” di The ABI e di Andrea Braina. Concludendo, un plauso a The ABI che ha saputo ancora una volta creare un’alchimia, in attesa di poter sentire la versione definitiva delle canzoni e con una post produzione superiore, è pur sempre una gemma preziosa questo “Lost picture”, magari è da affinare ma basta veramente un nonnulla.

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THE ABI

“Dust of slumber” GENERE: Dark ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 72/100 RECENSORE: Alessandro

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Che i The ABI fossero prolifici lo sapevo, ma non credevo fino a questo punto. Dopo la raw version di “Lost…” ci sono arrivati in redazione altri due lavori della one man band, uno è questo “Dusto of slumber” e l’altro lo leggerete nella prossima recensione. Anche in questo caso marchio di fabbrica che non delude, pur essendo ancora al primo mixaggio. Il Deus ex machina che sta dietro a The ABI sta producendo a più non posso e non si esclude, questa è un’indiscrezione, che possa in un futuro prossimo esibirsi live ed avere dei membri con cui condividere queste visioni. In attesa che arrivi anche per questo album il mixaggio finale torno a ripetermi, quasi fosse una nenia, che il lavoro è di buona fattura; ha solo da dover esser affinato in un paio di punti quali la batteria e poche altre finezze, per passare da una fase “intimistico personale” acerba ad una più matura. Non voglio ripetermi, anche perché questa uscita, come per “lost pictures” e la prossima che recensirò, sono versioni non definitive ma trovo delle ottime potenzialità e delle buone atmosfere. Emozionalmente mi hanno toccato tracce come “Night”, “Too late”, “Running over” e la title track “Dust of slumber”. Canzoni che toccheranno l’animo di ogni ascoltatore, canzoni assolutamente intimistiche e per alcuni versi legate a doppio filo con la dark wave anni ottanta, pur andando verso altri lidi (vicini, molto vicini . Come sempre date un ascolto al materiale di The ABI e capirete cosa intendo e non potrete fare a meno di seguire le evoluzioni sonore di questa band. A fine di questa mia, ed attendendo che arrivi il mixaggio finale, vi esorto a seguire la band ed a godere delle sue gesta sonore. Di certo non ne resterete delusi.

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RECENSIONI

THE ABI “ To forget”

GENERE: Dark ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Ultima prova dei The ABI, come già preannunciato anche questo è un raw mixing, interessante. Dopo la raw version di “Lost pictures” e “Dust of slumber” chiudiamo il trittico con questo “To forget”. Mixaggio primevo, ma ottime sensazioni e grandi potenzialità delle tracce. Come in passato “The ABI” Come marchio non delude assolutamente. Ora come ora, pere non ripetermi e non riscrivere ciò che ho già espresso nelle precedenti opere die Tha ABI, mi limiterò a scrivere che siamo in attesa della definitiva post produzione, che come per i precedenti lavori ottime composizioni e sognanti atmosfere, che spero per la band in un lavoro che possa spingere più in la le evocative note della loro produzione e che come per i precedenti lavori se siete interessati alla musica fatta con il cuore oltre che con le abilità questo è un cd per voi. Canzoni come “Star fallen”, “The landscape is empty”, “Stay behind” e “Promises” sono le dimostrazioni di quanto fino ad ora ho asserito. Come sempre ascoltate il materiale per farvi una vostra personale lista di canzoni preferite. Come sovente dico seguite la band, ne vale la pena. In conclusione, e sapendo di aver detto poco in questa, ma principalmente per evitare di ripetermi e di riproporre il concetto espresso poche pagine indietro, vi esorto a seguire la band ed ad attendere che il mix finale sia disponibile all’ascolto.

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THE BLACK RAIN “Water shape”

GENERE: Hard rock ETICHETTA: Atomic VOTO: 89/100

stuff records

RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

I The Black Rain sono al secondo album e lo fanno uscire per Atomic stuff records. La band nasce a Bologna nel 2002 ma dovrà attendere fino al 2010 per giungere alla propria formazione definitiva. Nel 2011 la band decide di formalizzare il proprio esordio discografico con “Night Tales”, registrato e mixato da Luca Bignardì e distribuito dalla Street Symphonies. Al cd è seguito un tour promozionale che li ha visti approdare in Francia e che gli ha fatto guadagnare la partecipazione alla trasmissione di punta del primo canale televisivo per share in Grecia. La loro formula è particolare pur avendo da un lato una forte radicazione al hard rock ma nel contempo un appeal differente dal classico Hard rock. Nel senso che la base è pesantemente hard rock, ma la band si lascia, specie con la voce e alcune effettistiche delle chitarre, a occhieggiamenti verso il grunge con rimandi più o meno palesi a Vedder e soci. Il lavoro fatto sul pentagramma è molto interessante, buone le scelte compositive, ottime le formule di post produzione e di arrangiamenti, forse avrei gradito più spinta alla voce durante i ritornelli con seconde voci per dar più corpo ai ritornelli e per non lasciare “sola” la voce nei crescendo delle tracce. MA diciamo che questo non è del tutto un errore o una mancanza. Interessante il risultato finale delle parti strumentali. Il basso si sente in modo chiaro e rende molto. La batteria con dei bellissimi suoni caldi e corposi, le chitarre veramente determinanti sia nelle parti melodiche che nelle parti tirate e ottimi i soli proposti. LA voce è un gradino sopra la media dei cantanti hard rock. Veramente complimenti alla band per il bel lavoro proposto e composto. “Robert Johnson”, “Brand New Shoe”, “Without Love”, “Flamenco Dancer” e “King Of Stone” sono le tracce che mi hanno colpito di più, anche in questo caso vi avviso che le altre tracce sono di altissima qualità e che hanno una loro speciale presenza e speciale bisogno di ascolto. Come sempre vi esorto ad ascoltare il platter e farvi una vostra personale “top ten” delle tracce . Per i Black Rain vedo e prevedo una portentosa carriera, fatto salvo che restino fedeli a questa forma di composizione. Sarebbe superfluo scrivere che il secondo lavoro della band è ottimo, che in Italia abbiamo buonissimi musicisti e che loro ne sono un esempio. MA lo scrivo lo stesso dato che credo che non sia mai superfluo e che non sia mai tempo “sprecato” far sapere le capacità e le abilità che abbiamo. Ascoltate questo “Water shape” e seguite i Black rain. Ne vale la pena.

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THE BLACK ROOK “The black rook”

GENERE: Heavy metal classico ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

La band nasce un anno fa a Rio de Janeiro per mano di Flavio Senra e Ruben Lessa e quello che vogliono fare è del caro e vecchio heavy metal. La cosa interessante è come in meno di un anno abbiano già proposto un album completo e di qualità alta. Strutturalmente quello che fanno è proporre a loro modo quello che loro considerano metal, pur restando un filino troppo legati alla classicità ed agli stilemi tipici di band quali Dio, Judas Priest, Iron Maiden e volendo certi rimandi alla Manowar. Strutturalmente le canzoni sono tutte con impronta anni 80, e da li non si scappa, ma vengono proposte piuttosto bene. Avrei gradito qualche “variazione” sul tema specie per le parti di sezione ritmica ed alcune personalizzazioni delle chitarre, ma tutto sommato è un lavoro di qualità tenendo presente che è un esordio e tenendo presente che la band ha meno di un anno di vita. A parte il fatto che non abbiano inventato nulla in questo album, le proposte sonore sono interessanti specie per gli amanti del heavy classico. Forse un paio di effetti di distorsione differenti per la chitarra avrebbero già di base aumentato l’interesse e la varietà delle canzoni proposte. Buone anche le doppie voci che aumentano l’enfasi e le dinamiche dei piatti che se pur presenti non sono invasive, invece sarebbe stato meglio alzare leggermente i volumi di registrazione dei tamburi e del basso che restano un pelino in ombra rispetto al resto. Interessanti le canzoni “Heart of steel”, la tilte track “The black rook”, “Rats”, “Unfortunate” e “Madman in chains”. Come sempre fate vostro il cd e datevi una vostra top songs. Io come sempre vi do solo degli spunti tecnici e le mie personali emozioni. Concludendo questo è un cd ottimo per gli appassionati del metal anni 80 e del filone del heavy classico e il new wave of british heavu metal. Di certo i The black rook sono una particolare sorpresa che arriva dal Brasile, ve li consiglio; per la band auspico che possano dare una loro visione del heavy classico senza restare troppo legati al passato. Ci sono molti esempi di band che pur rimanendo fedeli al passato hanno fatto una loro personale interpretazione, spero che in futuro facciano la stessa cosa anche loro.

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THE D “Alf”

GENERE: Indie rock ETICHETTA: ( R )esisto VOTO: 67/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Band proveniente dalla provincia di Avellino, con poderose influenze indie e brit pop rock. La band nasce nel 2010 e dopo la classica gavetta fatta di live e di registrazioni arrivano con questo EP autoprodotto, prima, ed ora uscito ad inizio di maggio tramite la ( R )esisto. Devo ammettere che dalla copertina mi sarei atteso della musica ska o quantomeno un album in tipico stile mod, ma come sovente dico “non giudicare il cd dalla copertina” (parafrasando un antico detto). Ascoltando “Alf” devo dire che il lavoro dei The D è piuttosto interessante se pur le influenze di band per loro seminali si sentono, e forse un pochino troppo, ma la band riesce in qualche modo a dare una propria versione di sonorità tipiche di Artic monkeys, di The Hives, di Kasabian, di Jet e di We are the scientists. Strutturalmente l’unica pecca che ho trovato è di forma duplice. La prima questo cordone ombelicale cosi fortemente attaccato alle “basi” di queste band a cui il gruppo si rifà, ma credo che nel prossimo futuro la band riuscirà a trovare una sua dimensione a tutto tondo e potrà creare di propria iniziativa le sonorità dei The D senza doversi appoggiare alle più blasonate band americane e britanniche della scena indie. La seconda pecca è la formula troppo prevedibile delle strutture delle canzoni ovvero “verso-ritornello-verso” senza alcuna variazione sostanziale e senza alcuna “spregiudica tessa” nel provare a fare qualche cosa di differente. Delle cinque tracce proposte in “Alf” ho trovato molto interessanti la opener “First man (almost) on mars”, “Man of clapham” e “Abbot & Costello”. Come sempre fatevi la vostra top songs dopo aver ascoltato il cd. Nota interessante è la versione alternativa del loro primo singolo uscito nel 2012, la versione “iniziale” la potrete trovare sulla loro pagina di Facebook. Concludendo “buona la prima” direi, certo rimarco il fatto che la band debba scrollarsi di dosso il fardello delle band da cui si è ispirata per dare una propria versione dell’indie e della visione musicale della band, ma per il resto è un EP più che godibile.

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THE MEATFÜCKERS “Porn again”

GENERE: Death metal ETICHETTA: Sex’n’Leather/Asenath records VOTO: 65/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

I The Meatfückers provengono dal Messico e visivamente mi ricordano molto I Pungent Stench di “Club Mondo Bizzarre”, musicalmente sono un mix tra brutal death e black metal. Nati nel 2006 hanno aperto per i Cannibal corpse quindi hanno fatto uscire il loro debut album dal titolo “Gangbang from hell” registrato due anni dopo la loro fondazione, ma per loro problemi l’uscita venne posticipata. Nel 2009 fecero uscire una collezione di singoli dal titolo “Sex overlords”. Dopo alcuni cambi di lineup si arriva al 2012 per le registrazioni di “Porn again”, che non vedrà la luce se non nel 2013, prima su iTunes quindi in cd fisico a fine 2013 e a metà di quest’anno anche la versione in vinile. Compositivamente parlando “nulla di nuovo sotto al sole”, nel senso che è il classico platter di deathblack con chiari riferimenti alla fine degli anni 80 e i primi degli anni novanta, sia come composizione (appunto) sia per quanto riguarda la produzione. La batteria non equalizzata come ci si aspetterebbe, dinamiche dei piatti di dubbia funzionalità e distorsioni degli strumenti a corda assolutamente anni 80 e leggermente ronzanti. Non escudo che certi “fruscii” e certi “suoni” siano stati inseriti volutamente per dare un effetto vintage alle loro tracce. Il problema di questo album è proprio quello di presentare un lavoro che di fatto è ”vecchio” nei suoni e nelle composizioni, con alcuni errori di post produzione (ripeto non so se voluti o casuali; se casuali non va bene, se voluti c’è una logica che non comprendo ma si entra quasi più nel piacere personale che nell’errore) che rendono poco appetibile l’ascolto, ad esclusione di chi è appassionato del death-black in versione lo-fi. Volendo trovare qualche traccia carina, direi “Lady baphomet” usata tra le altre come canzone per una compilation di metal spagnolo della rivista “Exumed movies”, “The filth”, “True fuck of evil” e “Copulation tenebrae”. Queste ultime più per goliardia e per ricordo di testi in stile Venom che per altro. Concludendo direi che la band, e il cd più nello specifico, propone materiale per i fans della vecchia scuola, quindi del death metal old school, difficilmente faranno presa sugli amanti del metal odierno. Consiglio mio personale o si “estremizzano” e vanno più verso il brutal o il black, ma migliorando il suono, oppure migliorano il suono e basta, ma il suono a da migliorare. Promossi ma con riserva.

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THE SUNBURST “Tear off the darkness” GENERE: Alternative rock ETICHETTA: Red cat records VOTO: 79/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

I The Sunburst sono liguri (Savona) e da quello che si sente non lo si direbbe per nulla. Il loro suono è tipicamente made in usa, cosa molto interessante, perché permette alla band a mio avviso di andare oltre le alpi e poter quindi proporre la musica in un mercato molto più ampio. Checché se ne dica moltissimi lavori di qualsiasi genere suonano “italiano” per certe sonorità e certi arrangiamenti e questo non sempre piace al grande pubblico e i The sunburst sono riusciti a superarlo. Ma andiam per gradi… Un paio di note biografiche sulla band, per chi non li conoscesse, la band nasce nel 2012 per mano di Davide Crisafulli (cantante e chitarra ritmica) e Luca Pileri (chitarra solista) a cui si aggiunge la sezione ritmica nelle persone di Stefano Ravera alla batteria e Francesco Glielmi al basso. Registrano nel 2012, con la vecchia formazione, un Ep dal titolo “New dawn rising” ai Nadir Studios, sotto le cure di Tommy Talamanca ottenendo recensioni positive, facendo diverse date dal vivo . Poco dopo l’ingresso in studio vi è un cambio di line up, tanto che le parti di basso in questo cd sono ad opera di Carlo La Marca, i The Sunburst si ripropongono al pubblico con il loro esordio “ Tears Off The Darkness” uscito per la red cat records. Il loro “Tears Off The Darkness” è un album di rock a 360 gradi. Loro trovano la spinta dalle “radici” del’hard rock e si spingono fino alle “cime” dell’alternative e di un certo metal fine anni 90 e le influenze usa si sentono pur risultando un cd di una certa caratura e di un certo livello qualitativo alto e soprattutto di una propria anima e di un proprio “corpo” autonomo. Tecnicamente il lavoro è piuttosto corposo e variegato, le composizioni strizzano l’occhio a band quali Altered bridge, Alice in chains, Muse, 30 seconds to mars e vagamente anche agli Shinedown e addirittura ad un certo sapore BLS (non intendo la manovra di rianimazione ma i Black Label Society) pur, ripeto, rimanendo con un proprio “io” ben definito ed una propria entità. Ottimo il lavoro svolto sia in studio di registrazione (fatto al greenfog) che nel mastering (fatto al Ithil world) gli strumenti suonano in modo egregio e sono tutti ben percepibili e senza sbavature di sorta; unica pecca se vogliamo è che a mio avviso pur provando a dare una variante al tema “rock alternative” la band non abbia osato fino in fondo e si sente ancora un certo cordone ombelicale radicato nel genere.

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“Left behind”, “The flow”, “Follow me” e “Another day” sono le cartine tornasole delle abilità della band. Come sempre in ordine sparso e a piacere mio. Vi esorto ad acquistare il cd in format fisico o in digitale e proverete le stesse sensazioni che ho provato io nel ascoltare questo “Tear off the darkness”. Concludendo direi, come ho detto qualche decina di volte, che non ho dubbi sulle qualità delle nostre band quando si tratta di musica di qualità, come sovente dico non c’è per forza da cercare oltre i confini italici i bravi e i meritevoli, molto spesso li abbiamo in casa e i The sunburst ne sono un esempio. Ve li consiglio vivamente sia se siete amanti del rock alternative, il rock in genere, dell’hard rock che del metal. Promossi.

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THE PURPLE STRAWBERRY JAM

“The purple strawberry jam” GENERE: Strumentale ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 85/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Progetto solista, e quasi one man band, di chitarra spaziale della giovane chitarrista Anna Lisa Spatola, la quale è stata, tra le altre cose, co-fondatrice e chitarrista delle Nagyrev, gruppo attivo dal 2000 al 2010; questo suo progetto solista nasce dall’esigenza personale di dare vita a qualcosa di differente e di completamente suo. Anna Lisa infatti suona praticamente ogni strumento in questo album, ad esclusione delle tastiere in un paio di brani e del kazoo a fine album, e ci porta ci porta in territori dell’eccellenza chitarristica, dove gente come Steve Vai, Satriani, Malmsteen e Zappa sono di casa (giusto per fare due nomi). Il suo approccio agli strumenti ed alla composizione permette di godere di tutte le sfaccettature che lei stessa da alle composizioni. Materiale che si avvicina sovente al funky, alla fuzion ed al rock psichedelico, sotto un certo aspetto, dando di fattouna complessità ed una corposità alle canzoni senza risultare ne pesante ne stucchevole. Pur non amando particolarmente gli album solo strumentali, se non d’atmosfera, devo dire che questo “The purple strawberry jam” mi ha colpito particolarmente e in modo molto positivo. Personalmente “Smooth dragonflies and busy bees”, “Beware of the dog” e “Defeating the final boss” sono le trace che second me danno il senso, o il riassunto, delle abilità di Anna Lisa sia come compositrice che come musicista a 360gradi. Concludendo bellissima proposta, e come si suol dire in questi casi: “Buona la prima” ovviamente se continuerà su questo terreno cari lettori avrete di che sbizzarrirvi ad ascoltare musica di un certo livello, fatta bene, composta bene, registrata bene e post prodotta bene. Se Anna Lisa deciderà di dedicare le sue capacità verso altri lidi, seguitela ne vale veramente la pena. Ottimo lavoro.

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DIFFERENCE “Agosto divide” GENERE: Dirty ETICHETTA: VOTO: 80/100

pop

RECENSORE: Max

Doctor Rock Ugolini

Dieci tracce per questo lavoro del duo romano che dimostrano una buona vena creativa grunge blues di buona fattura con momenti sporchi quanto serve e momenti più lineari ma altrettanto convincenti, testi in italiano e un cantato a volte graffiante a volte tendente alla melodia nella sua accezione più vera. “Agosto divide” apre che ci ricorda i grandi Black Keys pur rimanendo su binari ricercati nel sound e con riff che fioriscono con equilibrio nell’incedere del pezzo. “Quello che conta” e “Dissaporeoscillano” da atmosfere nirvaniane ad un certo pop punk supportato da una voce importante melodica e graffiante per certi versi ricordandoci il buon Manuel Agnelli. “Tempesta magnetica” e “Io non ci credo” strizzano l’occhio ad una certa scuola di punk italico con una sezione ritmica piena e diretta che ci avvolge nel suo costruirsi. “Adesso lo sai” è il brano che preferisco che raccoglie sia il blues che il grunge in in una sintesi direi emblematica. Maurizio Lollobrigida ed Enrico Strina sono i componenti di questo duo un fonico ed un recensore amalgamati ‘si bene da poter costruire in ogni suo lato il loro lavoro artistico in tutte le sue sfaccettature tecniche e artistiche ed il risultato è convincente dai Pixies ai Nirvana per arrivare ai White Stripes il loro lavoro è da fini cesellatori!

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DILIS

“L’alba negata” GENERE: Cantautorato/ Pop ETICHETTA: BulbArtWorks VOTO: 70/100 RECENSORE: Drob

Un intenso EP di canzoni solide, cantautorato italiano di ottima levatura proposto da questo Dilis di Napoli. Tante diverse voci nelle orchestrazioni con un equilibrio davvero notevole nel comporre brani limpidi, passionali e malinconici come la nostra migliore tradizione sa fornire. Si inizia con un quasi fuorviante folk rock (L’alba negata) il cui riff principale ed una chitarra in un background sognante ispessiscono la linea vocale, ne “Le nostre mani” cala il ritmo a favore di un romanticismo più evidente, il testo ci porta verso la fine di una storia quando tutto resta immobile mentre ci si perde..la batteria marciante scandisce questi momenti. “Addio Razionale” conferma la portata di queste canzoni, una ballad matura sospesa nel tempo che potrebbe seguire una matrice compositiva alla C.Consoli. Chiude l’Ep “Lontano da tutto”, altra ballad dall’orizzonte più ampio, progressiva nei suoni e nella stratificazione degli strumenti, piacevole ed altrettanto struggente, indebolita forse solamente dai momenti di alto registro della voce, un po’ fuori dall’atmosfera creata ma che rimane pur sempre densa ed interessante.

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LE MURA DI MOS

“Come sempre non sai più” GENERE: Indie rock/ Alternative ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 60/100 RECENSORE: Drob

Le mura di Mos sono una band del modenese che suona compatto e variegato indie/alternative. Brani a tratti complessi, ricchi negli stacchi (Tereza) e generosi di idee. Buoni i suoni, arrangiamenti maturi (Cambiare forma), la voce forse ogni tanto fuori, separata dal resto per timbrica o per soluzioni melodiche non vincenti. “Il primo giorno di primavera” emerge sul tappeto rock per una attitudine più popolare e morbida, corale, “Tungsteno” di contro riporta a solide basi di Placebo memoria, wave tirata melodica con ritmiche serrate e frammentate. Ci si prodiga in variazioni sul tema, così in “Cambiare forma pt 1 e 2” si tende alla suite progressiva con piacevoli risultati. Un lavoro davvero ben fatto che, anche se non tenderà a stravolgere la scena attuale potrà sicuramente aggiungere massa muscolare al rock nostrano.

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MELANCOLIA “Major”

GENERE: Pop/ Rock ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 67/100 RECENSORE: Drob

L’ep Major dei roman-leccesi Melancolia presenta 4 tracce di un sano pop italiano. Pop rock per la precisione, con sonorità variegate molto piacevoli all’ascolto. Le ritmiche semplici e cadenzate accompagnano molto bene le canzoni, ricchi di chitarre sognanti (Più in la) L’impressione è dalla prima traccia che la voce debba riscaldarsi ed iniziare a riscaldare l’ascoltatore. La melodia è dolce, accattivante come una filastrocca un po’ strozzata perché la si canta da adulti. “Sciame” ha questa chitarra leggera che saltella malinconica su ritmi diretti al trotto ed un tappeto di acustica molto piacevole ed una duplice voce. La più bluriana “Mare?” è un po’ lo stacco dell’ ep, veloce e più rock, come se i Velvet avessero ritrovato la strada di casa, nella melodia e nel ritornello originale. Stacco improvviso ulteriore nel finale di “Chiave di plastica”, primo singolo che rimanda agli Afterhours psichedelici, in un’accezione più pop o solare se si preferisce, ma è difficile utilizzare questo termine, le atmosfere sono comunque sommesse. Buon arrangiamento d’effetto, una summa dell’espressione Melancolia.

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100 SCIMMIE EP

GENERE: Alternative ETICHETTA: VOTO: 90/100 RECENSORE: Lidel

L’ep di 100 scimmie è un concentrato di tematiche ed atmosfere claustrofobiche dei Tool, la prima canzone “100 scimmie” illustra per bene quanto ci si può aspettare da questo ep di 4 canzoni, “Un nuovo gioco” ha un non so che di funky all’inizio e resta in ambiti alternative oscuri, “Un suono terribile” è tutto fuorchè quanto recita il titolo del pezzo, “Fiele” affonda invece nell’alternative italiano di classe. Un gran bel ep.

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CIMICI “Cimici”

GENERE: Punk77 ETICHETTA: VOTO: 85/100 RECENSORE: Lidel

Cimici è il nome di una band molto legata al punk 77 sia come suono che come attitudine. Gli 8 pezzi contenuti nell’album omonimo sono cantati in italiano. “Ritorno alla terra” e “Indigestione” sono 2 intelligenti scelte per aprire l’album, “Mi sono innamorato di te” sembra essere un tributo ad oscure band sepolte nella storia, bel pezzo con un testo malatissimo, “Il mio scatolo” è una bordata senza controllo, idem “Schizofrenia” all’inizio che poi si adagia su un qualcosa assimilabile agli Skiantos (grazie anche ad un testo stralunato), gli ultimi 2 pezzi “La corona invisibile” e “ncmr” nulla tolgono e nulla aggiungono. L’album ha un buon equilibrio in generale, la registrazione un pò vintage aiuta a far emergere lo spirito della band in modo adeguato. Consiglio di vederli live.

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IRREVERENCE “Shreds of humanity”

GENERE: Thrash metal ETICHETTA: Nadir music\ VOTO: 85/100

Audioglobe

RECENSORE: Lidel

Gli Irreverence sono una band thrash metal che strizza l’occhio a sonorità moderne. L’album edito da Nadir Music si chiama “Shreds of humanity” e contiene 10 pezzi maligni e fetenti al punto giusto. La prima traccia “Dark fields” ha un bel basso di scuola Cannibal Corpse ed è cazzuta come si confà a tale genere, “Shreds of humanity” è una canzone thrash con influenze Slayer nelle parti lente, “React, reborn” è la classica fucilata che è sempre benvoluta, “Paradox” è shredding selvaggio, “Discordianism” non lascia un solo secondo di respiro, le restanti canzoni si mantengono sullo stile sentito nelle prime 5 canzoni. Un album con molti punti a favore: ottima resa sonora, voce non ridicola ma molto convincente, scelta del suono del basso indovinatissima. Un bel disco, niente da dire!

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L’INVERNO DELLA CIVETTA

“L’inverno della civetta” GENERE: Indie, Punk, HardRock, Industrial, Cantautorale ETICHETTA: Dreamingorillarecords Taxidriverstore VOTO: 70/100 RECENSORE: Lidel

L’inverno della civetta è il nome di un progetto nato nello studio di registrazione fondato dieci anni fa dai Meganoidi in collaborazione con due etichette indipendenti liguri quali la Dreamingorilla Records e Taxi Driver Records. Questo album racchiude svariati artisti provenienti da band come Meganoidi, Numero 6, Isaak, Od Fulmine, Kramers, Bosio, Eremite, Gli Altri, The Washing Machine, Giei, Madame Blague, Demetra Sine Die, Lilium, Merckx, Mope (l’unico ospite è Izio Orsini dei Jackie o’s farm e La notte dei lunghi coltelli). Essendo una specie di compilation, è difficile catalogarlo: si passa dal post rock hardcore di territori del nord ovest, indie ibrido in amaro, a canzone quasi cantautoriale di morgengruss ok,all’industrial di bantoriak, per poi trovare canzoni hard rock sanguigne nel continuo dell’album. Personalmente l’album non mi ha detto niente e nemmeno mi ricordo una sola canzone (ed ho ascoltato l’album per intero 2 volte). Detto questo e voglio precisarlo, non incontra i miei gusti ma sicuramente ci sarà chi riuscirà a capirlo e ad amarlo. Un plauso per l’artwork, bellissimo, ordinato.

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ROCKAZZI “Rockazzi”

GENERE: Metal ETICHETTA: VOTO: 75/100

Hard Rock

RECENSORE: Lidel

I Rockazzi sono una band hard rock di Roma, dotata di una ottima tecnica individuale. Contrariamente a quanto potrebbe suggerire il nome, non abbiamo di fronte una band demenziale. Le 8 canzoni compongono l’album dal titolo omonimo della band. Come influenze ci sono il metal tecnico, hard rock ad essere sugli scudi. La scelta del cantato italiano onestamente l’ho trovata forse un po’ penalizzante perchè le canzoni meritano un panorama internazionale e forse la lingua inglese sarebbe stata probabilmente piu’ indicata. “p.e.s.a” ha dei riffoni metal di scuola americana, “Alieno” è un pezzo molto catchy, “Angelica” è un pezzo abbastanza tecnico e ben riuscito, idem tutti gli altri pezzi girano bene ma lo ripeto, l’italiano per me li penalizza un poco, idem il nome che lo reputo fuorviante per quanto propongono. dal punto di vista musicale meritano un bel 9.5 e sono una ventata d’aria fresca nel panorama attuale.

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SECOND BRAIN “Synthesis”

GENERE: Free ETICHETTA: VOTO: 90/100

form metal

RECENSORE: Lidel

Album di debutto per la band internazionale Second Brain (Roma, Foggia, Buenos Aires), che definisce il proprio stile come “free form metal”, il titolo di questo album, formato da 8 canzoni si chiama “Synthesis” ed è molto interessante. Già dalla prima canzone “Hierachies” si capisce come il percorso scelto sia ben diverso dai soliti cliché: è una canzone tecnica con qualcosa di “epico” nell’incedere ma è allo stesso tempo di una violenza ragionata non indifferente, “The sins of others” sembra quasi passare attraverso la pelle all’inizio poi diventare piombo all’improvviso, un massacro! “Rise of the last” dopo un inizio “shock” diventa un frullatore di cattiveria per poi entrare in ambiti electro metal ed infine lascia spazio ad una canzone lenta, malata con improvvise sfuriate, “The deranged” ha un non so di j-rock iniziale per via dell’assolo di chitarra, anche qui abbiamo una canzone medio lenta che alterna parti veloci, da segnalare l’ottimo lavoro delle chitarre, “Insects” inizia subito in modo “cafone”, giusto per mettere in chiaro l’attitudine del pezzo, chiudono “Not any more...”, “Before the end” e “Final eclipse” che continuano con quanto proposto prima. L’album ha l’enorme pregio di non suonare compresso come molte produzioni orientate nel metal, bensì c’è un senso di “ariosità” e di intelligenza nell’aver lasciato da parte il loud a tutti i costi a favore di un suono piu’ dinamico. Un album capace di differenziarsi e ricco di idee ben sfruttate. Bravissimi!

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AGAIN I HEAR

“The illusion of choice” GENERE: Hardcore melodico ETICHETTA: VOTO: 82/100 RECENSORE: Milo

“..Cosi come la fenice rinasce dalle proprie ceneri ecco che dalle ceneri dei Raising Compromise, Muttley, Fingerbang, Almost monkey e Not your friend nascono gli AGAIN I HEAR ..” Gli AGAIN I HEAR si formano nei primi mesi del 2011 e già dopo pochi mesi pubblicano il loro primo EP che comprendeva 3 pezzi. THE ILLUSION OF CHOICE, loro primo full lenght ,invece ha visto da poco la luce, e presto sarà disponibile su Spotify e Itunes . Il genere che ci propongono questi ragazzi palermitani e’ un bello e classico HARDCORE MELODICO che si rifà ai grandi nomi che hanno fatto la storia del genere a cavallo tra gli anni 90 e 00 quali NOFX LAGWAGON NO USE FOR A NAME etc etc… Il disco suona davvero molto bene, e non ha nulla da invidiare alle produzioni di gruppi esteri che vengono osannati qui da noi. Bellissima l’idea di concludere con la versione acustica di “HOLD ON” che tra l’altro è anche una delle mie preferite. Consiglio vivamente a tutti gli amanti del genere e ai nostalgici delle sonorità anni 90 di fare un salto sulla pagina bandcamp degli AGAIN I HEAR e vedrete che non riuscirete più a toglierveli di testa.

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GIOVENTÙ BRUCIATA

“1996-2013 – la nuova carne!?!” GENERE: Punk ETICHETTA: Brigadisco VOTO: 80/100 RECENSORE: Milo

E’ uscito il primo di Giugno in edizione limitata di 300 copie questa raccolta che racchiude la storia del gruppo GIOVENTU’ BRUCIATA. Come loro stessi ci spiegano in un comunicato stampa questo album doveva essere stampato 10 anni fa, ma purtroppo il gruppo si sciolse.. all’inizio pensarono di pubblicarlo come un “testamento” ma alla fine il master rimase chiuso in cassetto.. e proprio questo master segna il grande ritorno di questo gruppo che decide di tornare a calcare una scena mai abbandonata del tutto.. Nel disco trovano spazio brani storici che han segnato l’inizio di un’era e brani molto più recenti ed inediti, registrati tra il 2001 e il 2004. In mezzo a tutto questo non potevano mancare un paio di pezzi cover di gruppi che han fatto la storia del genere. Gli anni purtroppo passano per tutti , ma devo dire che la carica e la rabbia che caratterizzavano i GIOVENTU’ BRUCIATA non sono venute meno nel corso degli anni. Spaccano come sempre!!! Il disco è davvero ben fatto e ben studiato e la cosa che lo rende ancora di più appetibile è la limitatura a sole 300 copie..

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ONE LAST YARD “Now or never”

GENERE: Easycore/ Pop punk ETICHETTA: VOTO: 80/100 RECENSORE: Milo

Loro sono gli ONE LAST YARD, vengono da Bologna, si sono formati nemmeno un anno fa e sono qui per presentarci il loro primo EP NOW OR NEVER. Innanzitutto complimenti per la grafica della copertina, non passa per nulla inosservata, e diciamocelo chiaramente.. chi non vorrebbe entrare in uno studio di registrazione ed essere seguito da un tecnico come quello in copertina? Il cd è composto da 4 pezzi che racchiude l’essenza del gruppo stesso che propone un genere che spazia dal POP PUNK all’EASYCORE ispirandosi a nomi quali BLINK182, GREEN DAY, SUM41, ZEBRAHEAD fino ad arrivare al gruppo di maggiore ispirazione per la band stessa, ovvero gli A DAY TO REMEMBER . L’Ep parte con la title track NOW OR NEVER pezzo bello tirato e caratterizzato da sonorità melodiche ma graffianti al punto giusto. Segue Y.A.R.D. che con il cantato simil rap mi ricordano molto i primi ZEBRAHEAD. SCARS è la classica ballad malinconica che non può mancare in scaletta, molto bella e per nulla banale. Chiude questo ep CAN YOU FEEL ME NOW brano spinto e pesante ma melodico e easy-listening allo stesso tempo..molto radiofriendly. Ragazzi, che dire.. unica pecca di questo Cd è purtroppo il numero dei pezzi, ma siamo convinti che molto presto ci delizierete con un album vero e proprio. A tutti i lettori consiglio vivamente di ascoltare e supportare questo gruppo, perché se lo meritano veramente.

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RECENSIONI

RUGGINE

“Progressivo regresso” GENERE: Hardcore ETICHETTA: Give Respect Records VOTO: 85/100 RECENSORE: Milo

Ritornano tra le nostre pagine i RUGGINE band HARDCORE proveniente da Milano. PROGRESSIVO REGRESSO e’ il loro nuovo EP , uscito un paio di mesi fa, con il quale hanno nuovamente confermato le loro attitudini e capacità in una scena che seppure abbastanza underground vive e gode di ottima salute. Il disco parte subito in quarta e non delude minimamente le aspettative di chi si appresta ad ascoltare questo nuovo lavoro. Le sonorità sono quelle che hanno sempre caratterizzato i RUGGINE , che hanno saputo mantenere integra la rabbia e la loro potenza sonora senza cadere in facili banalismi musicali. Tra le canzoni ,tutte molto ben fatte e strutturate, voglio menzionare XENOFOBIA che cattura con un giro iniziale ipnotico e PERSEVERANZA in cui vediamo la partecipazione di MARTY dei FEED ME MORE. Che altro aggiungere? Correte immediatamente ad ascoltare questo EP e supportate l’underground, SEMPRE!!!

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