Bollettino ufficiale dell’UNEBA Unione Nazionale Istituzioni e Iniziative di Assistenza Sociale
n. 9/10 - 2014 anno XXXX Poste Italiane SpA spediz. in abb. post. 70% - C/RM/DBC
“Cantico” delle Creature
La terra è ancora Gaia?
“ O
ggi la Terra non è più “Gaia”. Questo nome le fu dato dagli scienziati per significare che il pianeta va considerato come un essere vivente: Gaia infatti era il nome greco della dea protettrice del nostro mondo. San Francesco, nel Cantico delle Creature, loda il Signore per “sora nostra Madre Terra, la quale ne sostenta et governa…”, considerandola quindi un dono vivente di Dio. Oggi l’Organizzazione Meteo Mondiale ci annuncia che la vivente è malata grave e rischia di morire, e i nostri nipoti con lei.
Il morbo mortale è l’aumento nell’aria dei “gas serra” (anidride carbonica, metano e altri), che trattengono il calore solare, proprio come i vetri all’interno di una serra. Dal 1990 al 2013 abbiamo raggiunto le 396 parti per milione di tali gas nell’atmosfera. Possono sembrare poche, ma una crescita della temperatura media del pianeta, anche di pochissimi gradi, avrebbe effetti disastrosi quali lo scioglimento dei ghiacci polari, la crescita del livello dei mari, la scomparsa di diversi arcipelaghi e città costiere, nonché violente perturbazioni atmosferiche. Gaia si difende utilizzando l’anidride carbonica per la crescita delle piante terrestri e marine e per una serie di altre interazioni fra terra aria e acqua. Ma nel 2013, Madre Terra non è riuscita a svolgere questo compito: abbiamo prodotto troppa anidride carbonica e abbiamo abbattuto troppi boschi, cementificato troppi terreni e sparato troppi proiettili. Varie regioni sono state desertificate. La combinazione delle forze positive che ci garantiscono la vita e che Francesco loda, sia una ad una sia nel loro insieme, non hanno retto all’inquinamento, sotto la spinta degli egoismi che lo determinano. Se è difficile mettere d’accordo i membri di un condominio sulla distribuzione del riscaldamento, sarà forse impossibile accordare gli Stati grandi e piccoli, industrializzati ed emergenti, per una politica comune delle emissioni. Impossibile e pure necessario. Un buon precedente, in proposito, è rappresentato dall’accordo che fu raggiunto per la riduzione del buco dell’ozono: quest’ultimo gas forma una cupola nell’alta atmosfera che fa da scudo alla nocività dei raggi solari. Si è trattato però di una soluzione abbastanza semplice: eliminare in tutto il mondo l’uso di alcuni gas industriali nemici dell’ozono stesso. Il 19 dicembre ricorrerà la Giornata Mondiale dell’Ozono, e la saldatura completa del “buco” viene calcolata per il 2050, secondo lo studio dell’ONU. Ma anche questo documento segnala l’urgenza di lottare contro il riscaldamento climatico.
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A quest’opera può contribuire ogni cittadino con una riduzione del proprio consumo di energia (auto, motori, elettrodomestici etc.), con scelte più intelligenti negli acquisti, con la raccolta differenziata dei rifiuti, con l’evitare sia gli sprechi sia l’inquinamento delle acque, con il rispetto e la cura delle piante. Nessuno osi uccidere il Cantico delle Creature! Domeni co Vol pi In copertina: 4 ottobre, le creature vogliono cantare. 21 settembre 2014, il mondo intero ha marciato per difendere il clima.
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SOMMARIO 3 In crisi anche la speranza? 6 Povertà e poveri nella lunga crisi 9 La scuola oggi e la sua funzione tra passato e futuro 12 L’età da inventare 14 Ripensare il terzo settore 17 Volontariato e appalti 19 Il servizio civile nazionale “universale” 21 Il lavoro volontario nei dati dell’Istat 23 Norme giuridiche e Giurisprudenza 24 Colpo d’ala
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In crisi anche la speranza? il rapporto caritas 2014 di Maurizio Giordano
E’
suggestivo, purtroppo negativamente, il confronto che il direttore della Caritas don Francesco Soddu fa, nell’introduzione al Rapporto 2014 sulla povertà e l’esclusione sociale. Il confront o ri guarda i l cl i m a che gl i operatori Caritas – principale ed originale fonte dei dati e delle riflessioni – percepivano nel 2012 (epoca del precedente Rapporto. fiduciosamente intitolato “I ripartenti”) e quello percepito nel 2013-2014; suggestivo e anticipatore di quello che solo ora stanno scoprendo centri studi, stampa e televisione. Due anni fa la finestra aperta su povertà croniche e nuove, sempre gravissima, indicava tuttavia una serie di percorsi di risalita. Emergeva nel complesso una grande vitalità delle comunità locali, promotrici di esperienze di ogni tipo per contrastare le tendenze di impoverimento e marginalità sociale e un desiderio di ripartire, espresso da molte persone in difficoltà: affiorava la volontà di rimettersi in gioco, l’aspirazione a migliorare la propria situazione. Le richieste alla Caritas non riguardavano soltanto sussidi economici, beni materiali o protezione per la notte, ma anche orientamento a servizi, riqualificazione professionale, formazione e recupero della scolarità perduta. Questa volontà di ripartenza si è oggi quasi completamente esaurita. Soddu con molta efficacia parla non di “ri-partenti”, ricordando il titolo del Rapporto 2012, ma di veri e propri “partenti”: italiani ch e s em p re p i ù n u m ero s i v an n o all’estero, immigrati che tornano nel Paese di origine, aziende che si riposizionano all’estero o che vengono acquisite da imprese straniere. E’ come se la lunghezza della crisi e l’inadeguatezza delle risposte politiche ed economiche sia a livello nazionale che europeo abbiano finito per fiaccare ogni residua capacità di reazione nelle persone.
Gli operatori delle Caritas diocesane sottolineano anche l’evidente incapacità dell’attuale sistema di welfare di farsi carico delle nuove forme di povertà, delle nuove emergenze sociali derivanti dalla crisi economico-finanziaria e gli effetti negativi delle politiche di austerità sulle stessa spesa sociale tradizionale, con il progressivo inaridimento del welfare pubblico nella scuola, nella sanità, nel socioassistenziale, ecc.
L’evidenza dei dati statistici Alcuni dati ci aiuteranno a meglio comprendere la situazione fotografata da 814 Centri di ascolto relativi a circa il 60% delle diocesi. Viene confermata la presenza di una quota maggioritaria di stranieri (61,8%) rispetto agli italiani (38,2%). La quota di italiani è più forte nel Sud (59,7%). Si tratta in prevalenza di donne (54,4%), di coniugati (50,2), disoccupati (61,3%). Hanno figli il 72,1%. Sono separati o divorziati il 15,4%. Il 6,4% è analfabeta o completamente privo di titolo di studio. Nel corso del 2013, il problema del bisogno più frequente degli utenti dei Centri di Ascolto Caritas è stato quello della povertà economica (59,2% del totale degli utenti), seguito dai problemi di lavoro (47,3%) e dai problemi abitativi (16,2%). Tra gli italiani l’incidenza della povertà economica è molto più pronunciata rispetto a quanto accade tra gli stranieri (65,4% contro il 55,3%). Più elevata la presenza di problemi occupazionali tra gli immigrati ri spet t o agl i i t al i ani (49, 5 cont ro i l 43,8%). Interessante notare come i problemi familiari siano più diffusi tra gli italiani (13, 1% rispetto al 5, 7% degli stranieri), mentre la situazione appare rovesciata per quanto riguarda i problemi abitativi, più diffusi nella componente s t rani era del l ’ut enza (17, 2 cont ro i l 14,6%). Una fetta cospicua di utenti ri-
STATO SOCIALE chiede beni e servizi materiali (34,0%). Vi sono poi le persone che richiedono al Centro di ascolto l’attivazione e il coinvol gi m ent o di sogget t i ed ent i t erzi (26,8%) o che richiedono orientamento a s ervi zi o i nform azi oni s u m i s ure/prestazioni socio assistenziali disponibili nel territorio (10,3%). Un aiuto economico è richiesto in modo esplicito da una minoranza di persone (10,7%). La ridotta entità di tale è riconducibile alla crescente presenza nelle diocesi di altre misure di sostegno economico (micro credito familiare o d’impresa, Prestito della Speranza, fondi diocesani di solidarietà, ecc.).
I genitori separati
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Molto interessanti, anche per i risvolti sul sistema dei servizi alla famiglia, i dati della prima indagine nazionale sulla condizione di vita dei genitori separati, finalizzata a far emergere soprattutto il legame tra rottura del rapporto coniugale e alcune forme di povertà/disagio sociorelazionale. La rilevazione si basa su 466 interviste a genitori separati, presso Centri di Ascolto (36,9%), consultori famil i ari (33, 5%), servi zi di accogl i enza (18,5%) e mense (8,2%). Dai dati empiri-
ci si evidenzia: • un forte di s ag i o o ccupazi o nal e degli intervistati con il 46, 1% in cerca di un’occupazione; • dopo la separazione di mi nui s ce notevolmente la percentuale di coloro che vivono in abitazioni di proprietà o in affitto e aumentano le situazioni di precarietà abitativa (coabitazione con familiari ed amici, strutture di accoglienza o dormitori, alloggi impropri); • il 66,1% no n ri es ce a pro v v edere all’acquisto di beni di prima necessità e, dopo la separazione, aumenta il ricorso ai servizi socio-assistenziali del territorio: centri di distribuzione beni primari (49, 3%), m ens e (28, 8%), em pori/magazzini solidali (12,9%); • dopo la separazione s i ev i denzi a un aumento (66,7%) dei disturbi psicosomatici; il 68% dei padri intervistati riconosce un cambiamento importante nel rapporto con i figli a seguito della separazione (per le donne, il 46,3%).
Le iniziative anticrisi e l’Europa debole Nel Rapporto vengono anche presentati i risultati del V° Monitoraggio nazionale delle iniziative anticrisi economica pro-
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m osse dal l a C ari t as e dal l e Di ocesi . Emerge un proliferare di progetti e di attività, per fronteggiare l’emergenza sociale con la presenza, aggiornata a dicembre 2013, di 1.148 iniziative raddoppiate in soli quattro anni: microcredito per famiglie o imprese (143 progetti); fondi diocesani di solidarietà (163 progetti); prassi locali di erogazione di denaro a fondo perduto a persone in grave difficoltà, diffuse in 198 diocesi su 220; 139 sportelli diocesani di consulenza/orientamento del lavoro; sportelli o progetti di orientamento sul fronte casa attivi in 68 diocesi; empori solidali/botteghe di vendita agevolata o grat ui t a i n 109 di oces i ; cart e acqui sto/buoni spesa per il supermercato, attive presso 57 diocesi; progetti di taglio sperimentale o innovativo (215). In una prospettiva comunitaria il rapporto contiene anche una sintesi del II° rapporto sulla crisi economica in sette Paesi “deboli” dell’Unione Europea (Italia, Portogallo, Spagna, Grecia, Irlanda, Romania, Cipro), curato da Caritas Europa con dati e testimonianze relative all’impatto della crisi dell’Unione Europea, le forme di intervento delle Caritas nei vari Paesi e una serie di valutazioni e raccomandazioni rivolte alle istituzioni europee. Alla fine del 2012 la disoccupazione appariva significativa in tutti i Paesi del Rapporto, con particolare riguardo alla situazione della Spagna e della Grecia (circa un quarto della popolazione in età attiva), mentre l’Italia è in linea con i dati medi europei per quanto riguarda la disoccupazione totale, ma in grave ritardo per quel-
la giovanile. Secondo i dati Eurostat, alla fine del 2012 il 25% della popolazione europea (124,4 milioni di persone, un quarto del totale) era a rischio di povertà o esclusione sociale; 4 milioni in più rispetto al 2011. Negli stati membri l’infanzia rappresenta il gruppo sociale a maggiore rischio di povertà: nel 2012 il 27,0% dei minorenni europei era a rischio di povertà ed esclusione sociale, rispetto al 24, 3% degli adulti (tra i 18 e i 64 anni d’età) e al 20,5% degli anziani (con più di 65 anni). Un bambino su cinque nell’UE è a rischio di povertà. Le Caritas dei Paesi deboli evidenziano alcune tendenze comuni di impoverimento, che appaiono più significative soprattutto per quanto riguarda i Paesi storici dell’Unione Europea (Spagna, Portogallo e Italia). In Portogallo aumentano del 107% le famiglie assistite dalla Caritas; in Spagna aumentano del 77,7% le persone assistite. Emergono dalla crisi nuove forme di povertà e nuove domande sociali, che interpellano le comunità locali e richiedono l’attivazione di rinnovate forme di intervento da parte delle Caritas. Non manca in nessuno dei P aesi coinvolti l’erogazione di aiuto materiale, più evidente ed esclusivo nel caso di Cipro, Romania e Grecia, mentre nelle Caritas di più antica istituzione (Spagna, Italia, Portogallo), l’azione di solidarietà materiale si accompagna ad attività di animazione pastorale, iniziative formative, di studio e ricerca, di lobby e advocacy nei confronti delle istituzioni pubbliche.
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on pretendiamo che le cose cambino se continuiamo a farle nello stesso modo. La crisi è la miglior cosa che possa accadere a persone e interi paesi perché è proprio la crisi a portare il progresso. La creatività nasce dall’ansia, come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ dalla crisi che nascono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato. Chi attribuisce le sue sconfitte e i suoi errori alla crisi, violenta il proprio talento e rispetta più i problemi che le soluzioni. La vera crisi è la crisi dell’incompetenza. Lo sbaglio delle persone e dei paesi è la pigrizia nel trovare soluzioni. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una lenta agonia. Senza crisi non ci sono meriti. E’ nella crisi che il meglio di ognuno di noi affiora perchè senza crisi qualsiasi vento è una carezza. Parlare di crisi è creare movimento, adagiarsi su di essa vuol dire esaltare il conformismo. Invece di questo, lavoriamo duro! L’unica crisi minacciosa è la tragedia di non voler lottare per superarla.
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Albert Einstein (1879 - 1955)
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Povertà e poveri nella lunga crisi di Renato Frisanco
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a povertà è un fenomeno in crescita costante negli ultimi anni attraversati da una crisi economica e del mercato del lavoro che è strutturale e quindi di lungo periodo, crisi che è stata finora fronteggiata con misure di austerità e che ha determinato una consistente perdita del potere di acquisto delle famiglie (-13% del reddito medio dal 2008). La crisi e i relativi rimedi hanno allargato la tipologia delle persone e delle famiglie in difficoltà, distinte tra quelle che sono in stato di povertà “relativa” - vivono al di sotto dello standard medio di consumo o di reddito propri della società attuale - e quelle che si trovano in una situazione di povertà “assoluta”, in quanto prive di risorse per acquistare beni di prima necessità indispensabili per la sopravvivenza. Alle tradizionali categorie di poveri si aggiungono i piccoli artigiani/lavoratori autonomi che chiudono l’attività, i disoccupati di età matura e di lungo termine, i padri separati, le donne che partoriscono figli e perdono il lavoro o lo lasciano in mancanza di strutture per l’infanzia, le vittime dell’usura, i lavoratori precari che non possono permettersi una casa o un tenore di vita soddisfacente (“working poors”), fino ai “consumatori compulsivi” indebitati per un tenore di vita incompatibile con la diminuzione del budget familiare. Un’intera generazione di giovani vive un rapporto con il mondo del lavoro fatto di precarietà, provvisorietà, insoddisfacente redditualità e lunga attesa prima di un inserimento stabile. Si assiste ad uno scivolamento dei ceti medi verso posizioni di pauperismo, per uno spostamento verso il basso dell’intera distribuzione dei redditi, da cui i poveri “giacca e cravatta” e con la sindrome della quarta settimana. Le misure della diffusione della povertà sono in realtà delle misure dell’estensione della disuguaglianza che una situazione di più ridotte risorse tende ad accentuare.
Interrogativi – possibili risposte La povertà è anche un indice di “disfunzionamento” sociale, perché produce esclusione rispetto all’accesso ai beni disponibili, esclusione che di fatto limita l’esercizio di diritti sociali fondamentali, oltre a costituire un alto costo per la società e un freno per la sua crescita in quanto chi è povero non può contribuire allo sviluppo della società come richiesto a tutti i cittadini dalla nostra Costituzione. Gli ultimi dati ISTAT 2013 sulla povertà parlano chiaro: 3,2 milioni di famiglie sono in condizione di povertà relativa e 2 milioni vivono al di sotto di standard di vita decorosi. Se le prime rimangono sostanzialmente stazionarie le seconde aumentano per cui negli ultimi 6 anni (2008-2013) i più poveri sono raddoppiati, passando da 3 milioni a 6 milioni. Le cifre sono al riguardo impressionanti nel Mezzogiorno dove risiede più della metà dei poveri. Fin dal Rapporto della C ommissione di indagine sull’esclusione sociale 2010 emergeva un fenomeno della povertà in Italia più grave di quello europeo per più indicatori: tasso di disoccupazione, disoccupazione giovanile e concentrazione territoriale della povertà. Le domande chi ave per comprendere questo fenomeno sono: chi è povero? Quali sono le cause della povertà? Quali le conseguenze della povertà? Come la si può affrontare? Analizzando la definizione di povero emerge che lo è: • chi subisce i cambiamenti della società e del mercato del lavoro (ad es., congiunture macroeconomiche, disoccupazione, modelli di consumo e relativo sovraindebitamento). Nell’attuale crisi del sistema produttivo - solo nel 2013 in Italia hanno chiuso i battenti due aziende ogni ora1 - è la perdita del lavoro a determinare in mi-
1 Dati rilevati da Cribis D&B del gruppo CRIF (il database creditizio italiano) e riferiti da Ananasso A. , in Ogni ora chiudono due aziende emorragia senza fine per la crisi, ‘la Repubblica’ 19.01.2014, pag. 21.
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sura più estesa fenomeni di povertà con un “effetto domino” che intacca tutti gli aspetti della vita delle persone; • chi ha meno risorse in termini di istruzione, reddito, salute, alloggio, rete sociale e familiare; • chi non è protetto dal welfare perché “escluso” dalla società o non è “in contatto” con i servizi disponibili o perché, come i nuovi poveri, non chiedono aiuto perché vivono la loro condizione come una colpa o una vergogna da nascondere. Le caus e della povertà possono essere quindi molteplici e tra loro intrecciate, dipendenti da situazioni di crisi del sistema socio-economico (es. disoccupazione) come da aspetti di fragilità della persona o della famiglia (es. bassa scolarizzazione, numerosità della prole, insufficienza reddituale) o da eventi negativi che intervengono nella vita (es. malattia, infortunio, sfratto) senza che la persona stessa possa trovare nella famiglia e/o nel sistema di welfare un aiuto concreto e sufficiente per affrontarli. Chi è povero è per lo più vittima di svantaggi mul ti pl i . Infine anche le co ns eg uenze della povertà sono svariate; sono strettamente connesse al vissuto della persona - con un impatto psicologico che genera perdita dell’autostima o depressione - e hanno effetti sociali negativi quali esclusione sociale, perdita di sicurezza, violenza, au-
mento della criminalità. In generale è una condizione che produce effetti cumulativi di disagio sociale che la confermano e la sanzionano. In mancanza di azioni di contrasto che ne spezzino la catena perversa e multipla di causa-effetto essa tende a riprodursi ineluttabilmente dai genitori ai figli generando un vero e proprio “ci cl o del l a po v ertà”. Infatti, la condizione di povertà di una famiglia con più figli compromette lo sviluppo e il destino sociale di questi e avrà effetti negativi sul clima interno, esacerberà il conflitto tra i coniugi e tra questi e i figli, che saranno più facilmente vittime di violenza (con possibile ricorso ad affidamenti e limitazione della potestà genitoriale). Questi interiorizzeranno complessi di inferiorità sul piano culturale e sociale, che li indurrà ad avere scarsa autostima e quindi a chiudersi nella loro omologa e ristretta cerchia di amici. Il fatto di non poter utilizzare le migliori opportunità ricreative, sportive e culturali nel tempo libero ridurrà le loro potenzialità di socializzazione così come i mezzi e gli stimoli evolutivi necessari ad una adeguata realizzazione in questa società. Ne seguirà l’uscita precoce dalla scuola e l’accesso a qualunque impiego immediatamente disponibile, sottoremunerato, in nero o dequalificato, con frequenti cambi di impiego o di posto di lavoro, senza crescita reale di professionalità. Saranno al-
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tresì a maggior rischio di fare scelte alternative a quelle legali.
Uscita di sicurezza? Come uscire da una situazione come l’attuale, con quali politiche sociali e misure specifiche? Una riduzione significativa della povertà sarebbe possibile anzitutto a fronte di un altro - ma oggi improbabile - “miracolo economico” del Paese, alla stregua di quanto è avvenuto nei primi anno ’60 del secolo scorso. Ma forse anche una ripresa economica - di cui beneficerebbero largamente i giovani disoccupati - non basterebbe se non accompagnata da una politica di contrasto effettivo della povertà che riconosca il problema come una priorità per il Paese. L’Italia è tra i pochi Paesi europei dove manca una misura di sostegno al reddito per i poveri - oggi ribattezzata in “sostegno alla inclusione attiva” (Sia) - aggravata dal fatto che sono in difetto politiche di sostegno delle famiglie, a partire dai nuclei più vulnerabili e numerosi. L’esigenza di introdurre una forma di sostegno al reddito, nazionale e di tipo universalistico, è stata costantemente avanzata dalle Commissioni di esperti che da molti anni studiano il fenomeno della povertà e ribadita da quella presieduta dal precedente Ministro del Lavoro Giovannini. Per ora gli interventi pubblici appaiono frammentati come quelli che riguardano gli anziani, per i quali c’è la pensione sociale e l’integrazione al minimo, i disabili gravi che possono ottenere l’assegno di indennità per l’invalidità civile. Altri strumenti sono gli assegni al nucleo familiare che, pur finalizzati al sostegno delle famiglie a reddito modesto e con figli, sono destinati solo ai lavoratori dipendenti, mentre la Carta acquisti (nuova social card) è attiva solo in alcuni comuni e diretta esclusivamente alle famiglie con figli. Invece il bonus di 80 euro del Governo Renzi non riguarda i cosiddetti incapienti e i disoccupati e quindi i più poveri che rimangono ancora una volta esclusi dal sostegno al reddito di cittadinanza. Altre misure configurano veri e propri trasferimenti che favoriscono gli abbienti, escludendo i più poveri: dalle detrazioni fiscali fino all’esenzione dall’IMU sulla prima casa, quando si sa che la maggior parte dei poveri rientra in quel quasi 20 per
cento di famiglie che vivono in abitazioni prese in affitto. La Pubblica Amministrazione italiana infatti distribuisce aiuti e sostegni un po’ a caso, senza scoprire chi realmente è bisognoso. Come è avvenuto in passato con l’aumento delle pensioni basse che ne ha beneficato in buona parte chi dichiarava un reddito non corrispondente al suo alto tenore di vita. La pratica iniqua di trattare in modo uguale i ricchi e i poveri - i “disuguali” come direbbe don Milani - si verifica anche nelle realtà locali. Esemplare è stata l’introduzione nel 2007 da parte del Comune di Milano di un bonus libri di 200 euro per ogni bambino che iniziava la scuola media. Occorre una politica nazionale più coraggiosa che istituisca una forma di sostegno all’inclusione attiva dei poveri permettendo al tempo stesso - pena la sua non sostenibilità - una revisione complessiva del sistema di protezione sociale e quindi degli oneri pubblici per gli attuali “ammortizzatori sociali” che, come sono gestiti, non garantiscono diritti certi, mentre incentivano clientelismi, abusi (vedi invalidità civile) o un loro uso improprio (la cassa integrazione straordinaria può durare anni?). Infine è possibile parlare di povertà e impostare le misure più idonee al suo contrasto senza interpellare i poveri riconoscendo il loro specifico sapere sul tema? Non è forse opportuno che nelle commissioni di esperti, a livello europeo, nazionale e locale, vi siano rappresentanze di poveri in grado di fornire delle dritte necessarie alla comprensione di tale condizione? E’ evidente che occorre però uscire dallo stereotipo dei poveri come persone passive che esprimono un’elevata domanda di assistenza e che pesano negativamente sulla spesa sociale come destinatari permanenti di interventi pubblici. Come attesta una diretta testimone del fenomeno, Carine Valden Elsut2, «per combattere questa lotta noi vogliamo contribuire col nostro sapere. A causa delle esperienze che viviamo, il nostro è un sapere diverso dal vostro, noi sappiamo delle cose che voi non potete sapere, nem m eno i ricercatori più colti le possono sapere... La sfida più grande è incrociare il nostro sapere e le nostre pratiche, il sapere e le pratiche dei poveri, con il sapere di chi ha studiato. Solo così potremo porre fine a miseria e povertà».
2 Esponente del Movimento Internazionale ADT-Quarto Mondo che ha ispirato la Giornata Mondiale di Lotta contro la Povertà”. Cfr., Per un nuov o sapere sulla pov ertà, Fondazione Internazionale Don Luigi Di Liegro e Labos - Laboratorio per le Politiche Sociali, 2011.
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La scuola oggi e la sua funzione tra passato e futuro di Renato Frisanco
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a inizio un nuovo anno scolastico che si porta con sé non pochi problemi: edilizia in parte obsoleta e scuole bisognose di essere messe in sicurezza perchè ai limiti dell’agibilità, organici incompleti e insufficienti, classi numerose, inserimento crescente e non facile dei figli degli immigrati, difficile rapporto con il mondo del Data la sua quotidiana lavoro, strumenti evoluzione, affronteremo didattici da aganche nel prossimo numero giornare, carenza di risorse econol’argomento “scuola” miche anche per alla luce delle definitive la normale gedecisioni del Governo stione (dalla manutenzione al riscaldamento dei locali) e altro ancora. La scuola è poi alle prese con le difficili sfide della società odierna di cui è componente importante ma niente affatto impermeabile. Il suo ruolo e la sua importanza vengono messe in crisi soprattutto per la difficoltà a coniugare i suoi due principali compiti: trasmettere il sapere e la cultura del passato e preparare i giovani alla società in cui vivranno. Come può la scuola conciliare i due compiti se non è in grado di stare dietro ai cambiamenti della società ma ne subisce i contraccolpi e le contraddizioni che la caratterizzano nel nuovo millennio? E’ questo il motivo che induce l’ennesimo disegno di riforma della scuola che il governo intende presentare considerando la scuola non «un problema ma un asset strategico del nostro Paese» assicurando la formazione del “capitale umano” quale prima risorsa su cui investire per lo sviluppo. D’altra parte le 43 mila scuole italiane (pubbliche e non) rappresentano la più grande infrastruttura sociale per l’Italia quindi, come è stato sostenuto al recente F o rum nazi o nal e del l e S cuo l e Aperte, costituiscono un ”bene comune” per eccellenza del Paese. Nonostante questo la spesa pubblica a so-
stegno dell’istruzione è diminuita di quasi 1 punto percentuale tra il 2000 e il 2010 (da 9,8% a 8,9%, Rapporto Censis 2013), pur se l’Italia detiene il minor tasso assoluto e relativo di diplomati e laureati rispetto alle medie OCSE. Ad aggravare il quadro vi sono i numerosi e simultanei problemi di tipo epocale - e di portata non sempre nazionale - che percorrono l’attuale società e che richiedono soluzioni attualmente non disponibili. I problemi sono quelli di una crisi economica e del mercato del lavoro - con il relativo tasso di disoccupazione giovanile - che non hanno precedenti in quanto connessi ad un modello di sviluppo inadeguato nell’attuale mondo globalizzato. Questo porta con sé tensioni a tutti i livelli: sociale, culturale, politico, religioso, oltre che economico, rendendo labili o insufficienti i confini nazionali e determinando conflitti bellici ed esodi incontrollabili di popolazioni. Vi sono poi i contraccolpi negativi dell’attuale modello di sviluppo sull’ambiente, sull’erosione delle non illimitate risorse naturali, sulla non sostenibilità degli attuali comportamenti di consumo. Infine con l’indebitamento delle amministrazioni pubbliche e il venir meno delle garanzie dello Stato sociale si accentuano le disuguaglianze con relativi problemi di coesione sociale. La crisi strutturale in cui si dibatte il nostro Paese è drammatica anche perché chiede risposte urgenti ma in realtà possibili solo a fronte di cambiamenti culturali che normalmente si determinano nel medio-lungo periodo.
Il volano scuola In questo scenario la scuola può svolgere un ruolo di consapevole volano di cambiamento solo se prima assume il cambiamento a paradigma interno di riferimento. Quali sono quindi le cose da cambiare in
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seno alla scuola italiana all’esordio del nuovo anno scolastico? Se ne propongono qui, sinteticamente, tre e tutte della stessa importanza quali diverse sfaccettature di una dom anda di m aggi ore qu al i t à del l ’offerta scol asti ca. Il pri mo cambi amento fa riferimento alla necessità di avvicinare la scuola ai processi di modernizzazione della società e al mondo produttivo dove le persone si realizzano portando un beneficio all’intera società. Tali processi derivano da una visione consapevole della realtà odierna in cui cambia il modo di imparare (non più solo sui banchi di scuola), di lavorare (creazione di nuove forme e modalità di lavoro, valore dell’iniziativa personale, nuove forme contrattuali e mobilità lavorativa), di comunicare (multimedialità, ricorso ai social network…), processi che sono innescati anche dall’innovazione tecnologica. Quest’ultima però non viene sufficientemente sfruttata sul piano della formazione dei nuovi cittadini. Come collegarla alla scuola? Occorrerebbe ad esempio, inserire nei piani di ristrutturazione edilizia l’obbligo di predisporre delle infrastrutture digitali e rendendo obbligatoria, almeno nelle scuole superiori, una formazione sulle competenze digitali. Ora solo il 20 per cento delle aule scolastiche è connesso in rete. D’altra parte una scuola che ignora il computer - ma deve essercene 1 per ogni studente - non è una scuola per la società attuale e per quella prossima ventura. Nelle nostre scuole i computer non ci sono, se ci sono non si sa usarli o non vengono usati sfruttando le loro grandi potenzialità come strumenti di apprendimento quotidiano. Con tali strumenti i cittadini, una volta usciti dal percorso scolastico, si confronteranno per l’inevitabile informatizzazione in tutti i campi della vita sociale e dei servizi (dalle attività produttive e commerciali, ai pagamenti elettronici, alla gestione della cartella sanitaria informatizzata) semplificando obsolete procedure e migliorando l’efficienza complessiva del sistema. Una maggiore connessione della scuola con l’esterno richiede anche il superamento di una cesura tra istruzione e formazione professionale, tra scuola e mondo lavoro - favorendo una maggior conoscenza di quest’ultimo e il continuum curricolare tra l’uno e l’altro - così come tra scuola e territorio, mettendo a disposizione dei quartieri spazi aperti, aule, biblioteche e palestre per favorire nuove forme di relazione improntate a rapporti di responsabilità e fiducia (ad
es. scambi e incontri tra generazioni) e per creare opportunità, alimentare esperienze formative, creative e di integrazione con la possibilità di ridurre anche la dispersione scolastica. In secondo l uogo occorre ri qual i fi care l a scuol a pubbl i ca dotandola delle risorse necessarie altrimenti crescerà la scuola privata, anche di qualità, ma a pagamento e quindi a disposizione dei ceti più privilegiati allargando la forbice dell’ineguaglianza sociale che ha una radice nelle diverse opportunità culturali di cui dispongono i cittadini. Dare centralità alla scuola nelle politiche nazionali significa operare per lo sviluppo del sistema Paese e per la sua democrazia. In terzo l uogo, proprio riconoscendo la centralità della scuola, si tratta di favorirne il cambiamento interno migliorando la qual i tà del l ’o fferta fo rmati v a su tre fronti: 1) selezione e ampliamento della classe docente con un rinnovamento generazionale degli organici dato che l’età media dei docenti italiani è la più alta in Europa (51 anni, il 40% ha tra i 50 e i 59 anni a fronte del 20% dell’UE e il 12% è costituito da ultra60enni). Come è possibile altrimenti sostenere che «la scuola e il mestiere di insegnante hanno a che fare non con il presente, con la società come è adesso, ma con il futuro e con la società come sarà nei decenni successivi»?1 La carenza degli organici è oggi palese a fronte di un aumento degli studenti (+64 mila nell’a.s. 2012-2013 e numero di docenti invariato) determinando un fenomeno di sovraffollamento scolastico, ovvero la formazione di “classi pollaio” con una difficoltà maggiore per insegnanti mediamente “anziani” - a tenere il controllo della classe e contemporaneamente a portare avanti la didattica. I tagli più ingenti dei docenti si sono avuti al Sud causando l’eliminazione del tempo pieno e aggravando i fenomeni di dispersione scolastica che in questa area del Paese raggiunge picchi del 40%; 2)
la preparazione dei docenti e l’introduzione di criteri di incentivazione per chi si impegna di più e meglio
1 Cfr. Parisi Domenico www.trovarsiinsieme.it
SCUOLA
nell’insegnamento sperimentando con coraggio e convinzione nuove modalità e tecniche didattiche nel segno della flessibilità organizzativa. La loro formazione è da aggiornare rispetto ai tre tipi di competenze: quella di sci pl i nare, in ordine ai concetti basilari di un sapere specifico e loro evoluzione nel tempo; ad esempio, comprendere le fasi storiche di una società e quindi cause ed effetti del loro succedersi è più importante che conoscere singoli fatti e nozioni elementari; quella di datti ca, imparando ad utilizzare i migliori software disponibili (sistema operativo win 8 professional) per insegnare meglio e trasmettere un metodo di studio e di ricerca della conoscenza agli studenti, per affinare capacità di comprensione e di analisi critica rispetto ad un sapere che viene acquisito in gran parte e in molti modi fuori dalla scuola; allora è più importante formare competenze che attuare programmi; quella ci vi ca, che abilita i docenti a diventare dei tutor in grado di orientare gli studenti rispetto alla complessità della vita sociale e al loro essere cittadini attivi e responsabili; 3 ) l’assunzione più convinta da parte dell’istituzione scolastica di svolgere un ruol o educati vo gl obal e, in grado di connettere istruzione (conoscenze), for-
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mazione professionale (applicazione pratica di tali conoscenze nei diversi profili professionali, cultura del lavoro creativo), crescita umana e formazione civica (assunzione di una responsabilità come cittadini, di una cultura della solidarietà e multietnica). In questo modo la scuola diventa un luogo che forma competenze da riconoscere e da potenziare così che ogni studente diventi consapevole di quello che vale e si sappia servire delle sue risorse affrontando in modo efficace le questioni importanti della vita e imparando a conoscere i vari aspetti della realtà, sia dal punto di vista analitico che con capacità di sintesi. Questo permetterà a ciascun studente uscito dalla scuola di accedere a qualunque opportunità di formazione nella sua vita futura, professionale e non, nel segno della lifelong learning (si pensi all’importanza della formazione a distanza). La scuola è anche un laboratorio di inclusione e integrazione sociale, nonché di formazione di soggetti critici e creativi nella società che abitano e quindi di cittadini attivi e in grado di contribuire al suo cambiamento. Pertanto non si può non auspicare una scuola che sia in grado non solo di trasmettere sempre meglio le conoscenze, ma anche di far comprendere il presente e di avviare gli studenti viverlo da protagonisti.
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L’età da inventare di Giovanni Santone
nel sostenere costi e spese, ma anche nell’accudire i nipoti. Al riguardo esprimevo qualche considerazione sulla necessità di mantenersi in forma attraverso un complesso di iniziative aventi l’obiettivo di promuovere l’integrazione sociale e la partecipazione attiva, per contrastare la solitudine e per coltivare capacità relazionali e costruire legami di solidarietà. Sempre sull’invecchiamento attivo mi ha colpito una pagina del Corriere della Sera del 10 giugno 2014 che dà una interessante informazione su una iniziativa di qualche tempo fa – oggi consolidata – voluta dalla Famiglia Ferrero (quella della “Nutella”). Trattasi della creazione di una Fondazione, che ha come scopo di “investire su bambini e anziani”. Nasce nel 1983 come “ Opera sociale Ferrero”(onlus) con finalità di “Lavorare, Creare, Donare”, magari insieme con i nipotini, che hanno qualche cosa da insegnare ai nonni, come l’uso del computer. Non mi dilungo, ma sottolineo la presenza in tale Fondazione di circa 1800 exdipendenti della terza età, considerata “una fase di ricchezza da valorizzare”. Essi sono impegnati in attività sociali almeno una volta la settimana. Non dubito che esistano analoghe iniziative sparse per l’Italia. Interessante sarebbe conoscerle e magari portarle come esempio da imitare. Quello di cui si è fatto cenno riguarda gli anziani “normali”. Altra cosa è il mondo, sempre più numeroso, delle persone con problemi di diversa natura, che manifestano una autosufficienza più o meno ridotta. Le risposte sono differenti e anche onerose, in tutti i sensi, sia per le famiglie che hanno a carico l’anziano in difficoltà, sia per gli enti che, in caso di difficoltà delle famiglie, dovrebbero assumersi l’onere finanziario.
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’anno 2012 è stato l ’Anno europeo del l ’i nv ecchi amento atti v o e del l a sol i dari età tra l e generazi oni . Nuov a Propost a l ’ha ri cordato nel n. 5-6/ 2012 con un arti col o dal t i t o l o Il w e l f are de i no nni . Con l’occasione sottolineavo che mi era parso interessante l’aggettivo attivo, che accompagna invecchiamento e solidarietà tra le generazioni. Così si riafferma che le persone anziane possono esprimere potenzialità nella azioni di solidarietà, riscoprendo valori di una civiltà dove l’anziano, senza esaltazione di un tempo passato, era il patriarca della famiglia e oggi può svolgere un ruolo di supporto alla famiglia dei figli,
Parto dalle risposte che vengono date oggi dalle RSA e in passato Case di Riposo private o IPAB. Fino a circa trent’anni fa la Casa di Riposo era generalmente il posto dove si depositavano gli anziani anche non autosufficienti. Gli interventi erano sostanzialmente di tipo assistenziale. Con stupore constatai di persona in quegli anni- in occasione di un corso per i medici, organizzato dall’Università di P adova su “igiene e assistenza all’anziano”- che il medico svolgeva all’interno solo attività di ambulatorio, senza essere al corrente dei problemi sociali e anche organizzativi, che coinvolgevano le
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persone. Poche iniziative di socializzazioni giungo quello che si vede ogni giorno: ace rari contatti con l’esterno. compagnamento della persona in carrozziNegli ultimi anni sono stati fatti molti pasna per una passeggiata nel quartiere e sosi in avanti. Vi sono esempi di radicale trasta nei giardini. sformazione di vecchie strutture, sia pubbliIn questo lo Stato si disinteressa, senza riche che private, in ambienti luminosi, in conoscere alle famiglie i costi che sostenspazi ampi e adeguati agli ospiti non autogono, né mi risulta che svolga attività di sufficienti, attrezzati di cucine, bar e sale preparazione di questi lavoratori. moderne, camere da letto con ogni comfort. Queste strutture a quante persone danno una Tornando all’inizio di queste note, una ririsposta? Non a molte. E quali altre soluflessione può riguardare tutte le persone zioni sono attive per gli anziani non autoche si affacciano sulla soglia di quella che sufficienti? viene definita terza età e del pensionamenUn po’ di numeri aiutano a conoscere la sito. A quale obiettivo si tende? Al riposo? tuazione. Ai ricordi del passato? Meglio se per Sono circa 5 milioni - come risulta dalle l’impegno, senza affanno, a favore di altre ultime statistiche - le persone anziane non persone, senza distinzione di età e di rapautosufficienti. porti di parentela. In effetti essere attivi La prima risposta dovrebbe essere quella nella solidarietà verso gli altri, oltre a condell’assistenza domiciliare pubblica, che tribuire a un servizio a favore di chi si purtroppo come appare dai dati più recenti trova in difficoltà, serve anche a se stessi ha subìto una contrazione. Per questo può come antidoto alla solitudine. In realtà contare su tale servizio meno del 5% degli continuare a essere attivi è un modo per interessati. E poi cosa si intende per assi non sentirsi vecchi e aiuta anche ad evitare stenza domi ci l i are? Un contatto sporadii rischi di una vecchiaia da non autosuffico o telefonico? Il pasto a domicilio? Interciente. venti infermieristici quando necessari? A Impegnarsi in attività creative per sé e per fronte di una migliore qualità dei servizi regli altri da un altro significato a periodi delsidenziali, che però risultano costosi (e le la nostra esistenza, come terza, quarta (e risorse per l’assistenza pubblica sono semquinta) età. Vi sono esempi di grande attivipre più ridotte) la risposta domiciliare non smo, indipendentemente dall’età. Per questo copre certo il fabbisogno. sarebbe meglio definire questo scorcio della E allora ecco il nuovo servizio, quello dei vita come età da inventare. lavoratori domestici (badanti) regolari (quale è il numero dei badanti che lavorano in nero?). Da una recent e ri cerca di “Quant’è bello ‘sto pupo, Sor…” “Gastone!”. A cli colf e patronato, “E’già a le pappe o ciuccia solo er latte? realizzata dall’Iref, risulE le vaccinazioni se l’è fatte? ta che nel 2012 tali laDe notte dorme oppure fa er puzzone?” voratori (prevalentemente donne) erano 993mila “Un friccico de fiato Sora…”Betta!” (solo 186 mila italiani). L’orario di lavoro è di 9 “Mejo de ‘sta cratura ‘n c’è gnisuno; ore al giorno, con uno però pure la vostra, sarvognuno, stipendio di 800 euro al nimmanco parla e già fa la ciovetta...” m es e. Qual i at t i vi t à svolgono? Dalla ricerca Così la terza età passeggia ar parco risulta: lavare le persoE pijanno a pretesto er nipotino ne, aiutarle nelle funzioni corporali, tenere in pè la vita privata s’apre un varco. ordine la casa, stirare e cucinare, pagare le bolSenza intaccà l’affetto pe’ la schiatta lette, controllare scadenli nonni allora allungheranno er ditino: ze al i m ent i e m edi ci er rimorchio pe’ loro è cosa fatta. ne…m a l ’86% svol ge anche compiti di tipo G. Paol o Manganozzi para-infermieristico. Ag-
Li nonni da passeggio
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Ripensare il terzo settore di Alessio Affanni
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l Sottosegretario del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Luigi Bobba, che ha collaborato attivamente alla stesura del testo della delega, ha illustrato la riforma del terzo settore, che mira a riordinare e innovare la legislazione in materia. Fra le novità più significative, la s empl i fi caz i o n e de l l e m o dal i t à c o n c u i un’as s oci azi one può ottenere i l ri conosci E’ stato presentato il 6 agosto, mento del in conferenza stampa, il disegno l a personal i t à g i uri di legge delega per la riforma di c a, la del terzo settore, dell’impresa creazi one di un regi sociale e del servizio s tro uni co civile universale del l e as s o ci azi o ni di terzo settore e la modi fi ca del l a l egi sl azi one fi scal e. I testi dei decreti legislativi, una volta approvati dal Governo e corredati di relazione tecnica, verranno trasmessi al Parlamento affinché le Commissioni competenti esprimano il loro parere, entro i trenta giorni successivi. Tutto l ’i ter si concl uderà v ero s i mi l mente nel 2 0 1 5 . Vediamo nel dettaglio cosa prevede la delega al Governo. I principali cri teri di retti v i g eneral i dettati al Governo: • riconoscere e garantire il più ampio esercizio del diritto di associazione, assicurando la più ampia autonomia statutaria e identificando specifiche normative promozionali; • riconoscere e favorire l’iniziativa economica privata, svolta senza finalità lucrative, diretta alla produzione o scambio di beni o servizi di utilità sociale o d’interesse generale; • riorganizzare e semplificare il procedimento per il riconoscimento della personalità giuridica e disciplinare il relativo regime di responsabilità limitata, anche
con riguardo alle risorse dell’ente e al suo indebitamento complessivo, mediante adeguate forme di pubblicità; • definire forme e modalità di organizzazione e amministrazione degli enti; • definire criteri e vincoli di strumentalità dell’attività d’impresa eventualmente esercitata dall’ente rispetto alla realizzazione degli scopi istituzionali, con un regime di contabilità separata; • prevedere una disciplina degli obblighi di controllo interno, di rendicontazione, di trasparenza e d’informazione nei confronti degli associati e dei terzi (anche con riferimento a eventuali compensi corrisposti ai componenti degli organi di amministrazione o agli associati); • riorganizzare il sistema di registrazione degli enti, secondo criteri di semplificazione, attraverso la previsione di un registro unico del terzo settore; • valorizzare il ruolo degli enti del terzo settore nella fase di programmazione, a livello territoriale, ed individuare criteri e modalità per l’affidamento agli enti dei servizi d’interesse generale; • prevedere strumenti che favoriscano i processi aggregativi degli enti; • prevedere che il coordinamento delle azioni di promozione e di vigilanza delle attività degli enti non profit, sia assicurato, in raccordo con i Ministeri competenti, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, anche mediante l’istituzione di un’apposita struttura di missione. Per quanto riguarda le atti vi tà di vol ontari ato e di promozi one soci al e, i decreti legislativi dovranno rispettare i seguenti principi e criteri direttivi: a) armonizzazione delle diverse discipline vigenti in materia di volontariato e di promozione sociale; b) promozione della cultura del volontariato tra i giovani, anche attraverso apposite iniziative da svolgersi nell’ambito delle strutture e delle attività scolastiche;
TERZO SETTORE
e) razionalizzazione delle categorie di lavoratori svantaggiati tenendo conto delle nuove forme di esclusione sociale; f) possibilità per le imprese private e per le amministrazioni pubbliche di assumere cariche sociali negli organi di amministrazione delle imprese sociali, salvo il divieto di assumerne la direzione e il controllo; g)coordinamento della disciplina dell’impresa sociale con il regime delle attività d’impresa svolte dalle Onlus.
Il Mi ni s t ro del Lav o ro Po l et t i e i l So t t o s eg ret ari o Bo b b a.
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c) valorizzazione delle diverse esperienze di volontariato, anche attraverso il coinvolgimento diretto delle organizzazioni di volontariato; d) riconoscimento e valorizzazione delle reti associative di secondo livello; e) revisione e promozione del sistema dei Centri di servizio per il volontariato e riordino delle attività e delle forme di controllo degli stessi; f) revisione e razionalizzazione del sistema degli Osservatori nazionali per il volontariato e per l’associazionismo di promozione sociale. Per quanto riguarda l’i mpres a s o ci al e, questi i criteri direttivi: a) qualificazione dell’impresa sociale quale impresa privata avente come proprio obiettivo primario il raggiungimento di impatti sociali positivi misurabili, realizzati mediante la produzione o lo scambio di beni o servizi di utilità sociale, anche attraverso l’adozione di modelli di gestione responsabili, trasparenti e idonei ad assicurare il più ampio coinvolgimento dei dipendenti, degli utenti e di tutti i soggetti interessati alle sue attività; b) revisione dell’attuale disciplina dell’attribuzione facoltativa della qualifica di impresa sociale e sua attribuzione di diritto alle cooperative sociali e ai loro consorzi; c) ampliamento dei settori di attività di utilità sociale e individuazione dei limiti di compatibilità con lo svolgimento di attività commerciali diverse da quelle di utilità sociale; d) previsione di forme di remunerazione del capitale sociale e di ripartizione di utili nel rispetto di condizioni e limiti prefissati;
Con riguardo al servi zi o ci vi l e uni versal e (si veda l’articolo alla pag.19), questi i criteri direttivi: a) previsione di un meccanismo di programmazione, di norma triennale, dei contingenti di giovani di età compresa tra 18 e 28 anni, che possono essere ammessi al servizio civile universale e di procedure di selezione ed avvio dei giovani improntate a principi di semplificazione, trasparenza e non discriminazione; b) definizione dello status giuridico dei giovani ammessi al servizio civile universale, prevedendo l’instaurazione di uno specifico rapporto di servizio civile non assimilabile al rapporto di lavoro; c) coinvolgimento degli enti territoriali e degli enti pubblici e privati senza scopo di lucro nella programmazione e organizzazione del servizio civile universale; d) previsione di criteri e modalità di accreditamento degli enti di servizio civile universale; e) previsione di un limite di durata del servizio civile universale che contemperi le finalità del servizio con le esigenze di vita e di lavoro dei giovani coinvolti; f) riconoscimento e valorizzazione delle competenze acquisite durante l’espletamento del servizio civile universale in funzione del loro utilizzo nei percorsi di istruzione e in ambito lavorativo. Previste anche mi sure fi scal i e di sos teg no eco no mi co per g l i enti del terzo settore, nel rispetto della normativa dell’Unione europea e sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi: a) definizione di ente non commerciale ai fini fiscali connessa alle finalità di interesse generale perseguite dall’ente e introduzione di un regime di tassazione agevolativo che tenga conto delle finalità dell’ente, del divieto di ripartizione degli utili e dell’impatto sociale delle attività svolte;
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b) razionalizzazione e semplificazione del regime di deducibilità e detraibilità dal reddito delle persone fisiche e giuridiche delle erogazioni liberali, in denaro e in natura, disposte in favore degli enti non profit; c) riforma strutturale dell’istituto della destinazione del 5 per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, razionalizzazione dei requisiti per l’accesso al beneficio, semplificazione e accelerazione delle procedure per il calcolo e l’erogazione dei contributispettanti agli enti; d) introduzione per i soggetti beneficiari del 5 per mille di obblighi di pubblicità delle risorse ad essi destinate; e) razionalizzazione dei regimi fiscali e contabili semplificati in favore degli enti non profit; f) previsione, per le imprese sociali: - della possibilità di accedere a forme di raccolta di capitali di rischio tramite portali online, in analogia a quanto previsto per le start-up innovative; - di misure agevolative volte a favorire gli investimenti di capitale; - dell’istituzione di un fondo rotativo destinato a finanziare a condizioni agevolate gli investimenti in beni strumentali materiali e immateriali (già autorizzata la spesa di 50 milioni di euro). g) introduzione di meccanismi volti alla diffusione dei titoli di solidarietà e di altre forme di finanza a sostegno degli obiettivi di solidarietà sociale; h) promozione dell’assegnazione in favore degli enti non profit degli immobili pubbliciinutilizzati, nonché dei beni immobili e mobili confiscati alla criminalità organizzata, anche al fine di valorizzare in modo adeguato i beni culturali e ambientali; i) revisione della disciplina riguardante le Onlus, in particolare prevedendo una migliore definizione delle attività istituzionali e di quelle connesse. Ci si auspica che da questa riforma possano derivare anche innovazioni importanti, su alcuni punti descritti di seguito. • Si ravvisa una certa mancanza di uniformità, a livello locale, dei criteri interpretativi per ottenere l’i s cri zi o ne nei reg i s tri pubbl i ci deg l i enti del t e rz o s e t t o re . In particolare, per l’iscrizione all’Anagrafe delle Onlus, si rileva una tendenza ad utilizzare criteri
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sempre più restrittivi: sarebbe quindi opportuna una presa di posizione in meri t o. C os ì com e è opport uno che l’Anagrafe delle Onlus diventi pubblicamente consultabile, per maggiore trasparenza. Come suggerito nel testo della delega, occorre una definizione univoca delle categori e di persone che possono essere consi derate “svantaggi ate”: sarebbe il caso di prevedere una norma che equipari i soggetti svantaggiati di una cooperativa sociale (legge 381/91) o i destinatari delle attività di una associazione Onlus (decreto lgs. 460/97) alla categoria più ampia di soggetti svantaggiati indicata, per le imprese sociali, dal decreto lgs. 155/2006. Oltre a semplificare le procedure per i l ri co no s ci mento del l a pers o nal i tà gi uri di ca per le associazioni e le fondazioni, sarebbe opportuno fare chiarezza anche sulla dotazione patrimoniale richiesta: potrebbe essere ipotizzabile un adeguamento alle disposizioni per le società di capitali (es. s.r.l.) per le quali, pur essendoci il medesimo regime di responsabilità patrimoniale, è sufficiente una dotazione patrimoniale notevolmente inferiore. Se si vuole sviluppare il welfare locale e il rapporto tra enti non profit e pubblica amministrazione sarebbe utile semplificare gli adempimenti richiesti per creare, ad esempio, una struttura di accoglienza per minori, anziani o disabili; oppure fare in modo che l’ente pubblico renda noto quali iniziative sarebbero di utile sussidio in quel dato territorio. La sussidiarietà tra pubblico e privato potrebbe tradursi in una “libertà di fare”, per l’ente non profit, che consenta di ottenere un riconoscimento/validazione ex post, superando così ostacoli burocratici o autorizzativi che inibiscono il nascere di nuove iniziative. Il concetto di “l ow profi t“ può essere una delle innovazioni per riformare le disposizioni dell’impresa sociale solo se si lega a specifiche agevolazioni: attualmente già può esistere una s.r.l. che nello statuto contempli una limitazione nella distribuzione di utili. Un’agevolazione, prevista anche nelle disposizioni della delega, potrebbe consistere in apposite disposizioni di minor imposizione fiscale o agevolative per gli investimenti privati, che possono favorire la nascita e l’attività di tali enti.
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Volontariato e appalti di Sergio Zanarella
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itorniamo ad affrontare di nuovo i l probl em a del l a part eci pazi one alle gare d’appalto da parte delle organizzazioni di volontariato, argomento su cui pi ù v o l te ho es cl us o che tale partecipazione sia possibile. Le gare di appalto sono inviti che gli enti pubblici rivolgono a soggetti privati, per partecipare all’assegnazione di veri e propri servizi di interesse pubblico, per cui occorre professionalità retribuita, continuità e obbligazionarietà. Tutte cose di cui il volontariato volentieri dovrebbe fare a meno senza aver timore di sentirsi sminuito nella sua funzione; difatti la L. 266/91 (Legge quadro sul volontariato) parla di spontaneità, libertà e gratuità. Tuttavia il i l Tar Bas i l i cata co n s entenza 2 3 g i ug no 2 0 1 4 , n. 4 1 1 , ha ri tenuto , nel l a s ci a di una g i uri s prudenza, nazi o nal e ed euro pea, che l e o rg ani z z az i o ni di v o l o nt ari at o ( e l e ONLUS ) po s s ano parteci pare al l e g are per l ’affi damento dei s erv i zi di tras po rto s ani tari o . L’appalto verteva sull’affidamento del servizio 24 ore su 24 di ambulanza e trasporto degli infermi. Le regole di gara prevedevano il criterio di aggiudicazione del prezzo più basso e la partecipazione era ammessa a cooperative, Associazioni di Volontariato e/o ONLUS. Di fronte alle due uniche offerte complete ricevute la Asl ha premiato in un primo momento l’Associazione di Volontariato che aveva presentato un prezzo più basso rispetto all’offerta di una cooperativa. Il rappresentante legale di quest’ultima, tuttavia, facendo leva su alcune sentenze di Tar, secondo cui le Associazioni di Volontariato non potevano partecipare alle gare di appalto in quanto l’utilizzazione dei volontari realizza un ipotesi di concorrenza s l eal e, aveva ot t enut o l’esclusione dalla gara dell’Associazione di Volontariato. Dopo una serie di osservazioni e considerazioni, il Tar ha evidenziato che in effetti è
vero che, dovrebbe essere impedita la partecipazione alle gare di appalti pubblici alle Associazioni di Volontariato e/o alle Organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), in quanto una siffatta part eci pazi one avrebbe provocat o un’alterazione della logica di mercato ed una turbativa al principio della libera concorrenza, a causa delle particolari agevolazioni fiscali di cui godono le suddette associazioni. I giudici hanno tuttavia ricordato che alla luce della recente evoluzione in materia di enti non profit, le associazioni di volontariato possono “essere aggiudicatarie di gare di pubblici appalti, in quanto l’assenza di fine di lucro non è di per sé in contrasto con la partecipazione ad appalti pubblici.” A ciò si aggiunga che alle associazioni di volontariato non è precluso assumere la qualificazione di imprese ai sensi delle disposi zi oni del Trat t at o i st i t ut i vo dell’Unione Europea relative alla concorrenza. In ques to co ntes to ev o l uti v o , fav o rev o l e al l a parteci pazi o ne del l e o rg ani z z az i o ni di v o l o nt ari at o i g i udi ci ammi ni s trati v i l ucani hanno ri badi to che l a l eg i tti mi tà di tal e parteci pazi o ne s i a da ri ntracci are anche nel l ’art. 5 , co mma 1 , del l a L. n. 2 6 6 / 1 9 9 1 . Questa norma – a gi udi zi o del Tar Bas i l i cat a – “nell’indicare le risorse economiche delle ONLUS, menziona, oltre ai “rimborsi derivanti dalle convenzioni” (cfr. lett. F), anche le “entrate derivanti da attività commerciali e produttive marginali” (cfr. lett. G).” Conseguentemente, ne deducono “[…] deve ritenersi che le associazioni di volontariato e/o le ONLUS hanno la capacità di svolgere attività commerciali e produttive e, dunque, possono anche partecipare alle gare di appalto, quando non risulta dimostrato che tale partecipazione non abbia il carattere della marginalità.”.
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Alla luce del quadro italiano ed europeo sopra esposto, i giudici amministrativi della Basilicata hanno riconosciuto che l’assenza di fini di lucro non esclude che le associazioni di volontariato e/o le ONLUS, anche se non iscritte alla C amera di C ommercio o al R egistro del l e i m p res e, p o s s an o es erci t are un’attività economica non costituendo l’iscrizione alla CCIAA un requisito indispensabile per la partecipazione alle gare di appalto. E’ proprio la tendenza sempre maggiore da parte degl i enti pubbl i ci ad avvalersi di organizzazioni di volontariato per lo svolgimento di servizi sempre più essenziali nella società ad aver portato “alla ribalta” il tema della partecipazione delle organizzazioni medesime alle gare di appalto da cui scat uri scono convenzi oni con l’amministrazione pubblica di natura comm erci al e. Invero, l o spi ri t o del l a L. 266/91 va inteso proprio in senso contrario, cioè come una procedura privilegiata per le organizzazioni di volontariato nello svolgimento di attività finanziate con soldi pubblici in quanto non realizzate in forma e modalità imprenditoriale e quindi non assoggettabile a tutte le procedure ad evidenza pubblica per la stipula di accordi commerciali con soggetti privati. Ques ta di s crepanza tra lo spirito della legge 266/91 e l’attualità delle azioni delle organizzazioni di volontariato do v rebbe meri tare un’attenta v al utazi o ne. Occorre comprendere, da un lato, l’effettiva “contemporaneità” della convenzione ex l. 266/91 e, dall’altro, la partecipazione delle associazioni di volontariato alle gare d’appalto. Al riguardo va fatta innanzitutto una prima distinzione di cui il Tar della Basilicata sembra non tener conto: le organizzazioni di volontariato pur essendo ONLUS di diritto non possono essere assimilate in tutto e per tutto alle ONLUS istituite ai sensi del decreto legislativo 460/97. Difatti la qualifica di ONLUS di diritto ha valenza solo ed esclusivamente ai fini delle agevolazioni fiscali, ma non comporta uniformità anche da un punto di vista strutturale e funzionale. Esempi pratici: se il legislatore stabilisce che chi fa una donazione ad una ONLUS può dedurre la donazione stessa dalle tasse, la stessa agevolazione verrà applicata anche all’organizzazione di volontariato iscritta
nei registri regionali/provinciale. Al contrario se una ONLUS ex d.lgs. 460/97 può retribuire tutti i propri associati la stessa cosa non può dirsi di una organizzazione di volontariato, in quanto la specifica normativa di settore (L. 266/91) esclude espressamente la possibilità di retribuire un associato. Allo stesso modo se una ONLUS può svolgere attività di natura commerciale e tale attività non comporta il pagamento di tasse sul reddito, lo stesso non può essere detto per una organizzazione di volontariato, poiché la normativa di settore non ammette la possibilità di esercitare attività commerciale, ma soltanto talune attività tipiche per la raccolta di fondi da utilizzare per i fini dell’Associazione. E’ in tal senso a mio parere che devono essere interpretate le attività commerciali e produttive marginali, poiché al contrario si rischia di trasformare quello che è uno strumento dell’Associazione in un fine. Per quanto riguarda le convenzioni, le organizzazioni di volontariato costituiscono partner privilegiati delle pubbliche amministrazioni, la l. 266/1991 consente, infatti allo Stato, alle regioni e alle province autonome, di stipulare convenzioni con organizzazioni di volontariato, “purché iscritte da almeno sei mesi in apposito registro regionale e purché dimostrino attitudine e capacità operativa”. Da quando ho iniziato ad occuparmi di terzo settore, intorno al 2002, ho sentito parlare di riforma della Legge quadro sul volontariato 266/91 e ciò non è ancora avvenuto. Il particolare periodo che stiamo attraversando e la prassi adottata dagli enti pubblici sembra però stiano spingendo ben lontano il volontariato da quelle che possono essere considerate proposte di riforma; si sta attualizzando e legittimando uno stravolgimento del ruolo e del valore del volontariato. La riforma della legge, nell’inerzia del legislatore, sta passando attraverso singole interpretazioni analitiche di casi particolari che rischiano di allontanarsi dal quadro generale entro cui i soggetti si muovono. Personalmente mi piace rimanere attaccato all’idea che le associazioni di volontariato producano beni relazioni difficilmente quantificabili economicamente e che la principale riforma sia quella di sollevare il più possibile le organizzazioni di volontariato da impegni burocratici che sottraggono tempo e risorse al perseguimento del fine di solidarietà.
SERVIZIO CIVILE
Il servizio civile nazionale “universale” di Daniela Russo Tra i punti di ri fo rma del terzo s etto re c’è anche i l s erv i zi o ci v i l e: s i prev ede i l s erv i zi o ci v i l e uni v ers al e. Co s a cambi erebbe? Come reso noto sulla pagina istituzionale internet del Governo, per quanto riguarda il servizio civile il disegno di legge delega del Parlamento richiede che i decreti legislativi - che il Governo dovrebbe emanare entro il 2015 - vadano nella direzione di: • istituire un servizio civile universale finalizzato alla difesa non armata attraverso modalità rivolte a promuovere attività di solidari et à, i n cl us i o n e sociale, cittadinanza attiva, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, paesaggistico e amb i en t al e del l a nazione, sviluppo della cultura dell’innovazione e della legalità nonché a realizzare una effettiva cittadinanza europea e a favorire la pace tra i popoli; • prevedere un meccanismo di programmazione, di norma triennale, dei contingenti di giovani di età compresa tra 18 e 28 anni, anche cittadini dell’Unione europea e soggetti ad essi equiparati ovvero stranieri regolarmente soggiornanti o partecipanti ad un programma di volontariato, che possono essere ammessi al servizio civile universale e di procedure di selezione e avvio dei giovani improntate a principi di semplificazione, trasparenza e non discriminazione; • definire lo status giuridico dei giovani ammessi al servizio civile universale, prevedendo l’instaurazione di uno specifico rapporto di servizio civile non assimilabile al rapporto di lavoro; • coinvolgere gli enti territoriali e gli enti pubblici e privati senza scopo di lucro; • prevedere criteri e modalità di accreditamento degli enti di servizio civile universale; • prevedere un limite di durata del servizio civile universale che contemperi le finalità del servizio con le esigenze di vita e di lavoro dei giovani coinvolti e della possibilità che il servizio sia prestato, in parte, in uno dei pae-
Il principio dell’universalità va interpretato come possibilità di aumentare il numero dei giovani avviabili al servizio civile
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si dell’Unione europea, nonché per paesi extra UE per iniziative riconducibili alla promozione della pace e alla cooperazione allo sviluppo; • riconoscere e valorizzare le competenze acquisite durante l’espletamento del servizio civile universale in funzione del loro utilizzo nei percorsi di istruzione e in ambito lavorativo. Alcune resistenze su questa proposta di riforma eranolegate all’ipotizzata copertura finanziaria del servizio civile universale (250 milioni di euro entro il 2015), poi superate prevedendo una copertura su tre anni e con l’obiettivo di avviare al servizio un numero di volontari crescente progressivamente, fino ad arrivare a 100. 000 nel 2017, con possibilità anche di flessibilità sulla durata del servizio civile, da 6 a 12 mesi. Ques ta l a pro po s ta di ri fo rma i n di s cus s i o n e . Ma at t ual me n t e i n v e c e , c o me funzi o na i l s erv i zi o ci v i l e? A decorrere dal 16 giugno 2014 e fino al 31 luglio 2014 gli enti di servizio civile iscritti all’albo nazionale e agli albi regionali e delle province autonome hanno potuto presentare progetti di servizio civile nazionale da realizzarsi in Italia e all’estero, al cui finanziamento sono state destinate le risorse relative agli anni 2014 e 2015, secondo quanto previsto nel Documento di Programmazione Finanziaria per l’anno 2014. Nello stesso periodo gli enti interessati hanno potuto altresì presentare progetti di servizio civile nazionale per l’attuazione del programma Garanzia giovani, finanziati con fondi comunitari (del programma Garanzia Giovani avevamo parlato nel numero scorso, luglio/agosto 2014, di Nuova Proposta). Qual i i ndi cazi o ni per g l i enti che i nt e n do n o av v i are p ro g e t t i di s e rv i z i o ci v i l e? Premesso che per il 2014 il termine di presentazione è scaduto, si possono comunque fornire utili indicazioni agli enti accreditati o in fase di accreditamento che intendono presentare progetti per le prossime scadenze, salvo verificare eventuali ulteriori provvedimenti di aggiornamento da parte del Dipartimento del Servizio
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Civile Nazionale o delle regioni, che potranno essere pubblicati nel frattempo. Va premesso che l’ente che presenta il progetto deve essere accreditato nell’albo nazionale (se ha sedi di attuazione di progetto in più di 4 regioni) o nell’albo regionale o della provincia aut o n o ma (s e h a s ede l eg al e n el l a reg i o ne/provincia autonoma presso la quale viene chiesto l’accreditamento e ha sedi di attuazione di p ro g et t o i n n o n p i ù di al t re 3 reg i o n i d’Italia). Le classi di accreditamento possibili sono 4, da scegliere in base al numero delle sedi di attuazione dei progetti e dal numero massimo di volontari assegnabili su base annua. Per quanto riguarda i progetti e gli enti propon en t i , ques t i do v ran n o p o s s edere t ut t e le caratteristiche indicate nell’apposito Prontuario, approvato con Decreto ministeriale il 30 maggio 2014 e contenente i criteri per la redazione e presentazione dei progetti, inclusi quelli per l’accompagnamento dei grandi invalidi e dei ciechi civili (tutti i progetti devono essere presentati on line, secondo le modalità indicate). Nel Prontuario sono allegate le schede da utilizzare, incluse quelle in cui vanno indicati i settori e le aree di intervento, i requisiti e le incompatibilità delle figure impegnate nella realizzazione dei progetti e la scheda curriculare del responsabile locale dell’ente accreditato e dell’operatore locale di progetto (OLP). Parti co l ari tà del pro g ramma Garanzi a Gi o v ani La procedura di presentazione dei progetti per il programma Garanzia Giovani sono le stesse previste per i progetti di servizio civile nazionale, con alcune particolarità. Primo elemento distintivo: è possibile presentare progetti di servizio civile nazionale in attuazione del programma Garanzia Giovani solo per sedi ubicate in Abruzzo, Campania, Friuli Venezia-Giulia, Lazio, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia e Umbria. Ulteriori elementi specifici, come chiarito da alcuni documenti esplicativi presenti nei siti internet istituzionali di alcune delle regioni interessate, è che deve tratt ars i di p ro g et t i p er un n umero l i mi t ato di volontari (da 4 a 6, per un avvio più veloce del progetto) e rivolti a giovani con bassa scolarizzazione o comunque che si trovino fuori dai processi di apprendimento o dal mercato del lavoro, prestando attenzione alla fase di formazione specifica (che dovrà trasferire ai volontari alcune capacità utili anche sul piano lavorativo, come l’attitudine a lavorare in team, ecc.).Ulteriori requisiti richiesti all’ente proponente riguardano le capacità organizzati-
ve e le risorse finanziarie aggiuntive derivanti dal programma Garanzia Giovani (visto che è richiesta rendicontazione e documentazione fiscale a parte). Chi v uo l es s ere… v o l o ntari o ? Al servizio civile volontario po s s o no part e c i p are giovani di età compresa tra i 18 e i 28 anni (28 anni e 364 giorni) rispondendo ai bandi degli enti che promuovono progetti: si diventa volontari a seguito di una selezione. Il servizio dura 12 mesi, sia per i progetti o rdi n ari ch e p er quel l i al l ’es t ero , co n una retribuzione mensile netta pari a 433,80 Euro, più un’indennità di 15 Euro al giorno per le permanenze all’estero. I requisiti richiesti per l’accesso al servizio volontario saranno di volta in volta indicati nei bandi pubblicati per ciascun progetto. Il 4 dicembre 2013 è stato pubblicato anche un bando per s trani eri , per cui hanno potuto presentare domanda di p art eci p azi o n e an ch e i ci t t adi n i dell’Unione europea, i titolari del diritto di soggiorno e del permesso di soggiorno di lungo periodo o asilo e i titolari di permesso per protezione sussidiaria. No n po s s o no pres entare do manda i giovani che abbiano già svolto il servizio civile (o abbiano interrotto, in passato, il servizio) né quelli che hanno in corso rapporti di lavoro o di collaborazione retribuita a qualunque titolocon l’ente che realizza il progetto, ovvero che abbiano avuto tali rapporti, nell’anno precedente, di durata superiore a 3 mesi. La domanda di partecipazione al progetto prescelto può essere presentata all’ente di interesse solo dopo la pubblicazione del relativo bando di selezione e nei termini previsti dal bando stesso. Al cuni dati e ri feri menti Dai dati pubblicati nel 2014 risulta che sono 15.102 i giovani volontari che hanno già iniziato l’anno di servizio civile nazionale, pari al 97,65% dei posti messo a bando. Le domande pervenute sono state decisamente superiori ai posti: 90.144 domande a fronte dei 15.466 posti disponibili (5,8 le domande pervenute per ogni posto). Per qualsiasi informazione, sia relativamente alle modalità per divenire ente accreditato sia per le modalità e i termini di presentazione dei progetti, si può visitare il sito della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale che è www. s e rv i z i o c i v i l e . g o v . i t e visitare, inoltre, le pagine istituzionali della propria regione di riferimento, nell’apposita sezione riguardante il servizio civile.
VOLONTARIATO
Il lavoro volontario nei dati dell’Istat a cura della Redazione La rilevazione sul “lavoro volontario” realizzata dall’ISTAT nel contesto dell’indagine 2012 sugli “Aspetti della vita quotidiana” è un primo tentativo di quantificare e qualificare i volontari tout court, le loro attività e l’impegno orario complessivo. Nel leggerne i risultati bisogna tener presente che essa non risolve il problema della definizione del volontariato il quale è tale se ha i requisiti necessari della gratuità e della solidarietà. Il criterio puramente economicistico assunto dall’ISTAT (conta tutto quanto è risorsa umana gratuita indipendentemente da cosa fa e perchè lo fa) serve a quantificare ciò che non è lavoro pagato ma non ciò che è servizio solidale agli altri. La definizione di volontario adottata dalla ricerca non è in linea con la legge 266/1991 e rischia di favorire una deriva concettuale e pratica verso un welfare del terzo settore.
Qual i dat i s o n o s t at i rac c o l t i ? Le informazioni che riportiamo sono tratte dal Report intitolato “At t i v i t à g rat ui t e a b e n e f i c i o di a l t ri – A n n o 2 0 1 3 ” . Il Rep o rt , p ub b l i cat o dall’Istat il 23 luglio 2014, contiene le rilevazioni effettuate nel 2013 ed è un’analisi frutto della collaborazione tra Istat, CSVnet (rete dei Centri di Servizio per il Volontariato) e Fondazione Volontariato e Partecipazione. L’utilizzo del Manuale OIL per misurare il fenomeno del volontariato in Italia (del Man ua l e a b b i a m o p a r l a t o n e l n um e r o di g e n naio/febbraio 2013 di Nuova Proposta) intende non limitare la rilevazione alle ore di attività svolte o al settore in cui operano i volontari, ma intende anche fornire elementi di misurazione dell’impatto sociale ed eco n o mi Pubblicati i risultati della prima co ap p o rt at o rilevazione sul lavoro volontario, dalla loro attività. utilizzando per la prima volta il Manuale OIL (Organizzazione Da l R e p o r t r i s ul t a c h e Internazionale del Lavoro) ci rca un i t aliano su otto svolge attività gratuite a beneficio di altri o della comunità. In Italia il numero di volontari è stimato in 6. 630. 000 persone. Sono 4. 140. 000 i cittadini che svolgono la loro attività in un gruppo o in un’organizzazione e tre milioni si impegnano in maniera non organizzata. Il lavoro volontario è più diffuso nel Nord del Paese. Nel Nord-est si registra la percentual e p i ù el ev at a (1 6 %), men t re i l Sud denota livelli di partecipazione più bassi (8, 6%). Gli uomini sono più attivi delle donne (13, 3% contro 11, 9%), per via di una maggiore presenza maschile nel volontariato organizzato. I volonta-
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ri appartengono prevalentemente alla classe di età 55-64 anni (15, 9%). Il contributo di giovani e anziani in termini di presenza attiva si mantiene, invece, inferiore alla media nazionale. La percentuale di chi presta attività volontarie cresce con il titolo di studio. Il 22, 1% di coloro che hanno conseguito una laurea ha avuto esperienze di volontariato contro il 6, 1% di quanti hanno la sola licenza elementare. Considerando la condizione occupazionale, i più att i v i ri s ul t an o g l i o ccup at i (1 4 , 8 %) e g l i s t uden t i (12, 9%). La partecipazione è, inoltre, massima tra i componenti di famiglie agiate (23, 4%) e minima tra i componenti di famiglie con risorse assolutamente insufficienti (9, 7%). L’impegno medio di un volontario è di 19 ore in quattro settimane. Il maggior contributo orario nelle attività di aiuto non organizzate è di donne e anziani. Superano il valore medio delle ore dedicate ad attività volontarie le persone con condizioni economiche ottime, i laureati, e le persone tra 55 e 74 anni. Co s a e me rg e dal l a ri l e v az i o n e ? Le attività svolte dai volontari nell’ambito delle organizzazioni sono diversificate e quasi un volontario su sei si impegna in più organizzazioni. Il 6, 5% dei volontari organizzati svolge attività dirigenziali. Le differenze di genere tra i volontari organizzati che svolgono attività riconducibili a questo tipo sono più che evidenti: su 100 volontari con un ruolo di dirigenza nelle organizzazioni, 73 sono uomini. Circa il 7% dei volontari (organizzati e non) svolge, nell’ambito delle attività di volontariato, professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione. Vi rientrano medici, veterinari, professori, avvocati, giornalisti, ma anche musicisti e cantanti.
VOLONTARIATO 22
Il 32, 3% dei volontari organizzati e il 16% dei volontari individuali si dedica ad attività tipiche delle p ro fes s i o n i t ecn i ch e. Si t rat t a di at t i v i t à s i mi l i a quelle dei tecnici dei servizi sociali (assistenti sociali, mediatori culturali, ecc. ), dei tecnici delle attività turistiche ed assimilate (animatori, guide, ecc. ) e degli istruttori di discipline sportive. La parte restante dei volontari di tipo tecnico si divide tra infermi eri , p ers o n al e g es t i o n al e/ ammi n i s t rat i v o e contabili. Il 5,9% dei volontari organizzati e il 5,5% dei volontari individuali svolgono attività che includono professioni esecutive tipiche del lavoro d’ufficio. In questo gruppo si collocano ad es. tutti i volontari che si occupano della segreteria e gli operatori telefonici. Il 23,6% dei volontari organizzati e il 44,3% dei volontari individuali svolgono attività riconducibili al settore dei servizi, come quelle connesse alla cura di bambini, anziani e malati (assistenti sociosanitari, babysitter, badanti) e quelle tipiche della ristorazione (cuochi e camerieri). Un’esigua percentuale di volontari svolge attività riconducibili all’agricoltura e all’artigianato (ad es. chi aiuta altre persone nei lavori agricoli) o attività operaie assimilabili alle professioni di conducenti di veicoli. Si tratta per di più di autisti di autoambulanze, pulmini per bambini, anziani, disabili e in generale di chi offre il proprio aiuto accompagnando in auto altre persone in situazione di disagio. Il 12, 5% dei volontari organizzati prestano attività che richiedono solo poche competenze di base: ad es. coloro che aiutano nelle attività domestiche persone in difficoltà o chi si occupa delle raccolte fondi in strada. Il volontariato organizzato è una pratica consolidata: netta prevalenza di chi si dedica alla stessa attività da tre anni o più, ma c’è una percentuale consistente anche di coloro che la svolgono da oltre dieci anni. I l 2 3 , 2 % de i v o l o n t a r i è a t t i v o i n g r up p i / o rg an i zzazi o n i co n fi n al i t à an ch e rel i g i o s e, i l 17, 4% in attività ricreative e culturali, il 16, 4% nel settore sanitario, il 14, 2% nell’assistenza sociale e protezione civile, l’8, 9% nelle attività sportive, il 3 , 4 % i n at t i v i t à rel at i v e al l ’amb i en t e e i l 3 , 1 % nell’istruzione e ricerca. Il 62, 1% dei volontari che operano in una organizzazione svolge la propria attività perché crede “nella causa sostenuta dal gruppo”. Sono più le donne, in particolare casalinghe, gli anziani e i residenti nelle regioni del Sud a trovare nelle proprie convinzioni o nel credo religioso la spinta motivazionale a prestare la propria attività di volontariato. I giovani fino a 34 anni e gli studenti sono, invece, incentivati dalla possibilità di stare con gli altri, conoscere n uo v e p ers o n e, ma an ch e da fat t o ri espressivo-esperienziali comemettersi
alla prova e valorizzare le proprie capacità, anche per aumentare le proprie prospettive di ricerca omantenimento di un lavoro. Il 49, 6% di chi presta opera di volontariato dichiara di sentirsi meglio con se stesso. L’attività volontaria organizzata si conferma, inoltre, come spazio in cui si produce un allargamento dei rapporti sociali e che contribuisce a migliorare le capacità relazionali. Per un a b uo n a p ercen t ual e di v o l o n t ari l ’at t i v i t à svolta “cambia il modo di vedere le cose” e consente di sviluppare una “maggiore coscienza civile” (testimonianza del ruolo formativo dell’attività volontaria organizzata). Qual i s t rume n t i di p ro mo z i o n e de l v o l o n t ari at o s i s t an n o di f f o n de n do ? Un primo interessante esperimento riguarda il tentativo di superare una nota difficoltà: fare incontrare la richiesta delle associazioni di volontariato che hanno bisogno di nuovi volontari e l’offerta di persone ch e s o n o di s p o s t e a fare v o l o n t ari at o , ma s p es s o non sanno dove e con chi farlo. A tale scopo alcuni Centri di servizio per il volontariato, operanti in ogni regione, hanno creato uno strumento che consente agli aspiranti volontari di conoscere quali associazioni sono presenti nel proprio Comune e di che cosa si occupano. Le associazioni operanti nel territorio di riferimento possono manifestare la richiesta di nuovi volontari e, quindi, ci ò co n s en t e di far i n co n t rare l a do man da co n l’offerta, soddisfacendo le due esigenze. Spesso il ruolo del Centro di servizio è proprio quello di verificare le due richieste, tramite colloqui che permetton o a g l i a s p i r a n t i v o l o n t a r i di s c e g l i e r e l’associazione più adatta. Un altro interessante progetto riguarda le associazioni impegnate nella sensibilizzazione al volontariato degli studenti delle scuole di vario ordine e grado. Vengono creati dei percorsi interattivi pensati per suscitare l’interesse dei ragazzi sulle tematiche della partecipazione eper mettere a fuoco o in discussione la percezione che si ha dell’impegno volontario. Sulla stessa linea anche i percorsi educativi volti a rafforzare la conoscenza dei diritti, delle responsabilità e delle opportunità connesse alla cittadinanza europea. Ci s o n o i s t i t ut i s co l as t i ci ch e, i n co l l ab o razi o n e con le associazioni di volontariato, oltre al percorso formativo dei giovani favorisconoanche quello esperienziale: per questo motivo in alcuni casi agli studenti viene offerta la possibilità di cimentarsi, sia individualmente che in gruppo, in brevi esperienze di v o l o n t ari at o al l ’i n t ern o del l e as s o ci azi o n i ch e propongono attività ad hoc. In questi casi, oltre a scoprire concretamente il mondo dell’impegno volontario, i ragazzi potranno ricevere il riconoscimento dei crediti formativi, secondo quanto previsto da l l ’ i s t i t ut o , e un a t t e s t a t o r i l a s c i a t o dal l ‘as s o ci azi o n e s cel t a, co n l ’i n di cazi o n e del l e competenze acquisite.
* a cura di Alessio Affanni e Sergio Zanarella
Norme giuridiche e Giurisprudenza n.158 STATO PERDITA DELLA QUALIFICA DI ONLUS Sentenza Corte di Cassazione n. 7311 del 28 marzo 2014
Previsto un Pi ano tri ennal e attuati v o deg l i i nterv enti e l’istituzione dell’Os s erv ato ri o reg i o nal e s ul l e pari o ppo rtuni tà e l a v i o l enza s ul l e do nne, con funzione di analisi, monitoraggio ed elaborazione di progetti per la promozione della cultura del rispetto e della dignità della donna.
La Cassazione, con la s entenza n. 7 3 1 1 del 2 8 marzo 2 0 1 4 , ha accolto un ricorso dell’Agenzia delle Entrate. Nel caso specifico, un’associazione è stata cancellata dall’Anagrafe delle Onlus in quanto - pur avendo previsto, nello statuto, lo scopo della formazione a favore di persone svantaggiate - in realtà svolgeva la sua prevalente attività nei confronti di studenti di istituti tecnici, insegnanti di scuola media, aspiranti educatori, ecc. anche con progetti di formazione finanziati dalla pubblica amministrazione e dal Fondo sociale europeo. Al riguardo, la Cassazione si allinea a una precedente pronuncia del 2013 in cui afferma che la nozione di “sv antaggio” individua categorie di persone in condizioni oggettive di disagio (si veda la Circolare del Min. Finanze n. 168 del 1998). La perdita dei requisiti ha determinato perciò la cancellazione dall’Anagrafe delle Onlus (impugnabile innanzi al giudice tributario, come chiarito dalla Cassazione, a Sezioni Unite, nella sentenza n. 1625/2010). In un’al tra recente s entenza, la n. 1 2 5 4 del 2 0 1 4 , la Cassazione ha anche precisato che, in caso di perdita della qualifica Onlus, la decadenza dai benefici fiscali si fa risalire retroattivamente al momento dell’accertamento della mancanza o della perdita dei requisiti richiesti e non dal momento della cancellazione dal registro (che avviene successivamente). Per l a On l us i n ques t i o n e, l a Cas s azi o n e h a accert at o l’esercizio di un’attività alberghiera, di natura commerciale. Ha quindi richiesto all’ente di versare le imposte per le quali aveva fruito di esenzione, poiché decadendo la qualifica di Onlus, si sono tramutate in imposte dovute e da versare.
Con Decreto Pres i dente del l a Reg i o ne del l ’1 1 no v e mb re 2 0 1 3 sono state approvate le “Linee guida per l’attuazione delle politiche sociali e sociosanitarie 20132015”. Il pri mo o bi etti v o operativo mira a rafforzare i meccanismi di governo dell’acces s o al s i s tema del l e cure do mi ci l i ari , in particolare i punti uni ci di acces s o (PUA) s ani tari . Vengono anche individuati i cri teri e l e mo dal i tà di acces s o ai fo ndi nonché le spese ammissibili per il potenziamento dei servizi di nido ed integrativi. Il Gruppo pi ano è la struttura tecnica preposta alla redazione del Piano di Zona. Ha sede in ogni Comune capofila ed è co mpo s to anche da rappres entanti di o rg ani s mi del terzo s etto re, la cui partecipazione va favorita, anche attraverso la costituzione del tav o l o di co ncertazi o ne s u l abo rato ri temati ci (area anziani, handicap, minori, ecc.). Definite anche l a p ro c e dura p e r l ’ ap p ro v az i o n e de i Pi ani di Zo na e l e mo dal i tà di ero g azi o ne del l e ri s o rs e.
REGIONI
TOSCANA
LAZIO
REGOLAMENTO IN MATERIA DI SERVIZI EDUCATIVI PER LA PRIMA INFANZIA
DISPOSIZIONI PER CONTRASTARE LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE Bollettino Ufficiale Regione Lazio n. 23 del 20 marzo 2014 Con la Leg g e Reg i o nal e n. 4 del 1 9 marzo 2 0 1 4 viene approvato il riordino delle disposizioni per contrastare la violenza contro le donne e per la promozione di una cultura del rispetto dei diritti fondamentali. Viene istituita, presso la Presidenza della Giunta regionale, la Cabi na di reg i a con il compito di coordinare gli interventi e il sostegno delle vittime e dei loro figli nonché l‘attivazione di una rete reg i o nal e anti v i o l enza di cui fanno parte le istituzioni, gli enti e le associazioni operanti nel settore. Si prevedono s trutture anti v i o l enza, pubbl i che o pri v ate, disciplinate da un autonomo regolamento interno, g es ti te da enti o as s o ci azi o ni che hanno tra g l i s co pi s tatutari l a l o tta ad o g ni fo rma di v i o l enza co ntro l e do nne ed i mi no ri .
SICILIA LINEE GUIDA PER L’ATTUAZIONE DELLE POLITICHE SOCIALI E SOCIOSANITARIE ‘13-’15 Gazzetta Ufficiale Regione Sicilia n. 52 del 22 novembre 2013
Bollettino Ufficiale Regione Toscana n. 37 del 31 luglio 2013 Con Decreto del Pres i dente del l a Gi unta reg i o nal e n. 4 1 / R del 3 0 l ug l i o 2 0 1 3 è stato approvato il Regolamento in materia di servizi educativi per la prima infanzia. Si definiscono i titoli di studio del personale, le funzioni e le attività di coordinamento gestionale e pedagogico relativo ai servizi, nonché il numero in educatori richiesti in base al numero di bambini presenti. Si prevede, inoltre, che tutti i nidi abbiano una carta dei s erv i zi e che in ogni Comune possa essere istituito un reg i s tro deg l i educato ri , da mettere a disposizione delle famiglie. Istituito anche il Co o rdi namento g es ti o nal e e pedag o g i c o de i s e rv i z i , di amb i t o co mun al e e zo n al e, co n l’obiettivo rendere omogenei i servizi offerti. Si introduce la possibilità di sperimentare servizi di accoglienza dei bambini da 3 mesi a 6 anni definendone gli standard (i “centri educativi zerosei”).
*consulenza per enti non profit - www.studiononprofit.it - www.facebook .com/studiononprofit.snp
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COLPO D’ALA
Questa pagina vuole essere un “colpo d’ala”, cioè una proposta per un momento di riflessione.
4 ottobre: FRANCESCO Ciò che l’uomo trova inutile, le cose più piccole, i più insignificanti silenzi, Dio li trova estremamente preziosi. Perciò io salverò ogni filo d’erba, perciò le creature dimenticate diventeranno le mie creature: gli emarginati, gli storpi, coloro che l’uomo non vuol ricevere nel suo cuore, ma che la morte abbraccia, questa sorella che io amo sopra ogni cosa.
da: Alda Merini, “Francesco – Canto di una creatura” Frassinelli, ed. 2007
Bollettino ufficiale dell’UNEBA - Unione Nazionale Istituzioni e Iniziative di Assistenza Sociale Direttore Responsabile: MAURIZIO GIORDANO Redazione ed Amministrazione: 00185 Roma - Via Gioberti, 60 - Tel. 065943091 - Fax 0659602303 e - mail: info@uneba.it - sito internet: www.uneba.org Autorizzazione del Tribunale di Roma N. 88 del 21/2/1991 Progetto e realizzazione grafica: www.fabiodesimone.it Stampa: Arti Grafiche Pomezia (Roma)
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Il giornale è inviato gratuitamente agli associati dell’UNEBA Finito di stampare nel settembre 2014