IL NOVELLARIO 1° VOL - DEMO

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LE POSTE AL PRIMO POSTO 13

CAPO I

LE POSTE AL PRIMO POSTO

D

a che parte cominciare, dopo uno sconvolgimento del genere che altro che il “quarantotto” di undici anni prima? Grazie alla guerra-trabocchetto architettata da Camillo Benso di Cavour, a Napoleone III che voleva una più solida barriera tra sé e l’Austria, a un po’ di sommosse e alla spedizione dei Mille, il panorama geopolitico italiano è stato stravolto. Il Piemonte si è esteso a quasi tutta la penisola, anche se i referendum cosiddetti popolari voluti dai Savoia per tranquillizzare l’alleato d’oltralpe dimostrano che l’ampliamento non è dovuto a conquista ma alla volontà degli Italiani. E visto che ormai non si può più parlare di Regno di Sardegna o di Stati sardi, quando il 17 dicembre 1860 arrivano i risultati degli ultimi Plebisciti, anche Umbria, Marche, ex-regno di Napoli e Sicilia sono dichiarati “parte integrante dello Stato Italiano” e si dà il via alla creazione di un nuovo Regno. Un passaggio che, almeno sul piano formale, è alquanto rapido: sciolto sùbito a metà dicembre il vecchio Parlamento subalpino, già in gennaio si tengono in tutta Italia le prime elezioni (in cui però votano solo gli uomini, e soltanto se hanno un certo reddito). Così il 18 febbraio 1861 si insedia a Torino il primo Parlamento italiano, il quale offre a Vittorio Emanuele II la corona di Re d’Italia, che evidentemente esiste già; e infatti il 20 febbraio Vittorio Emanuele II tiene il Discorso della Corona, anche se solo il 17 marzo accetta formalmente il titolo di Re d’Italia “per sé e i propri discendenti”. Ma senza cambiar numero, come sarebbe logico. Ma se l’Italia è quasi del tutto unificata – mancano all’appello solo parti del Veneto e il cosiddetto “Patrimonio di San Pietro”, ovvero il Lazio – in effetti lo è solo di nome: nelle regioni meridionali spadroneggiano i “briganti”, con l’appoggio di molti nostalgici dei Borbone, di chi ha visto colpiti i propri interessi nel passaggio di bandiera e dai molti delusi dai nuovi governanti che hanno portato non l’attesa redistribuzione delle terre ma solo nuove tasse e la leva militare obbligatoria. Ed è una vera e propria guerra, che comporta 7.000 caduti in combattimento e 2.000 persone giustiziate, ovvero più morti che in tutte le guerre del Risorgimento. Inoltre popolazione ed economia sono e restano ancora a lungo molto disomogenei. In particolare fra gli Italiani è molto alta la percentuale di analfabeti e le condizioni di vita sono molto arretrate, soprattutto nelle campagne, nel meridione e nelle isole. Limitate le industrie, presenti in poche regioni e penalizzate dalla tariffa doganale sarda che favorisce le importazioni a scapito delle manifatture locali. Scarse le risorse dello Stato, gravato di debiti e con un bilancio dissestato, come dopo ogni guerra. Dilaniata l’Autorità centrale in un troppo lento passaggio alla modernità. Con in più un parlamento e un governo senza reali poteri, specie dopo la morte del Conte di Cavour, e con una corte impicciona. Soprattutto con un capo assoluto la cui persona è ancora “sacra e inviolabile”, un re che detiene il potere esecutivo, il diritto di veto sulle leggi approvate dal Parlamento, il comando supremo delle forze armate, e può dichiarare guerre, firmare paci e stringere alleanze in segreto, senza informare nessuno. Cose che Vittorio Emanuele II prova persino a fare subito per mettere in ginocchio l’odiata Austria. Finanziando fra gli altri anche Garibaldi perché fomenti rivolte nei Balcani; solo che l’Eroe usa i fondi per tentare dalla Sicilia un’altra marcia su Roma, che stavolta verrà bloccata nel sangue sull’Aspromonte; e la sua ferita lacererà ancor più l’Italia. Come inizio non c’è davvero male. Comunque, quando fa la sua comparsa sulle carte geografiche il primo Regno d’Italia veramente italiano, la posta è al suo top, anche se dipende dal ministero dei Lavori pubblici al pari del telegrafo, il cui ruolo resta però accessorio. In pratica il servizio postale è l’unico vero mezzo di comunicazione a cui tutti fanno ricorso: autorità e privati, nobili e borghesi, ricchi e poveri, persino gli analfabeti grazie agli scrivani che tengono banchetto agli angoli delle strade di ogni città. Un solido pilastro sociale, che infatti non solo è disponibile ogni giorno dell’anno, comprese le feste comandate, ma non conosce soste neppure in tempo di guerra, raggiungendo senza interruzioni persino i territori nemici, al massimo con qualche deviazione di percorso. Per questo è tra i primissimi problemi che vengono presi in considerazione da governanti e amministratori del nuovo Stato italiano, prima ancora che questo abbia ufficialmente un nuovo nome. Al punto che le Poste italiane debuttano ancor prima che si annunci formalmente che il nuovo Stato è un Regno, cosa di cui nessuno aveva mai dubitato. Festeggiamenti a Torino, capitale del nuovo Stato

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