UNIONE EUROPEA
MIUR
REGIONE CAMPANIA
Istituto Tecnico Agrario Statale “G. Fortunato”
Istituto Professionale di Stato per l’Agricoltura e l’Ambiente “M.Vetrone”
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Animali dell’Università degli Studi della Basilicata
Consorzio per la Sperimentazione, Divulgazione e Applicazione di Biotecniche Innovative
Università Popolare del Fortore
Associazione In.Fo.Giò
Cooperativa Agricola “S. Lucia” a r.l.
Cooperativa Agricola “Colline Alto Beneventano” a r.l.
In collaborazione con:
EUROPEA – Italia Piano di Intervento CIPE/IFTS Ricerca (Delibera 83/03) “L’ISTRUZIONE E LA FORMAZIONE TECNICA SUPERIORE PER LA RICERCA NEL MEZZOGIORNO” Rif. Reg.: 558_CAM_SA
QUALITÀ, TIPICITÀ, TRASPARENZA LAVORO REALIZZATO NELL’AMBITO DEL CORSO I.F.T.S. “TECNICO SUPERIORE PER LE PRODUZIONI VEGETALI” PROFILO PROFESSIONALE: TECNICO SUPERIORE PER IL RISCONTRO TIPOLOGICO E QUALITATIVO DEI PRODOTTI AGROALIMENTARI
A cura di: C. Agostinelli, V. Cimmino, G. Murolo
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UNIONE EUROPEA
MIUR
REGIONE CAMPANIA
Istituto Tecnico Agrario Statale “G. Fortunato”
Istituto Professionale di Stato per l’Agricoltura e l’Ambiente “M.Vetrone”
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Animali dell’Università degli Studi della Basilicata
Consorzio per la Sperimentazione, Divulgazione e Applicazione di Biotecniche Innovative
Università Popolare del Fortore
Associazione In.Fo.Giò
Cooperativa Agricola “S. Lucia” a r.l.
Cooperativa Agricola “Colline Alto Beneventano” a r.l.
In collaborazione con:
EUROPEA – Italia
Coordinamento lavoro:
Agostinelli Carmine - Cimmino Vincenzo - Murolo Giuseppe
Comitato Tecnico Scientifico Presidente: Componenti:
Murolo Giuseppe (EUROPEA) Agostinelli Carmine (Università Popolare del Fortore) Agostinelli Salvatore (Cooperativa “S. Lucia”) Barone Raffaele (ITA “G. Fortunato”) Cimmino Vincenzo (In.Fo.Giò) Cristofaro Antonio (IPSAA “M. Vetrone”) Gambacorta Emilio (Università degli Studi della Basilicata) Matassino Donato (ConSDABI) Scarpa Pasquale (Regione Campania)
FEBBRAIO 2009 2
SOMMARIO
Introduzione: qualità, tipicità, trasparenza …....……………………………………………
4
1
Tutti gli alimenti in cinque gamme ………………………………………………………………
5
2
La qualità e la sicurezza nell’agroalimentare: aspetti e prospettive ……………..
9
3
La tipicità, una risorsa per turismo e cultura ……………………………………………….
28
4
Una guida ai prossimi mille anni di agricoltura …………………………………………….
34
5
Qualità dei prodotti ortofrutticoli ………………………………………………………………..
49
6
Applicazione delle norme di qualità e nazionali …………………………………………..
65
7
Servizio di controllo …………………………………………………………………………………….
84
8
I prodotti di IV gamma: aspetti fisiologici e tecnologici ……………………………….
99
9
Il mais e i suoi derivati …………………………………………………………………………………
133
10
I costi della non qualità nelle aziende vinicole …………………………………………….. 148
11
Elementi di Marketing …………………………………………………………………………………
160
3
INTRODUZIONE: QUALITA’, TIPICITA’, TRASPARENZA Presso l’istituto tecnico di Eboli (SA) si è svolto da dicembre 2007 ad aprile 2009 un corso di Formazione tecnica superiore del tipo CIPE-IFTS Ricerca, dal titolo “Tecnico Superiore per le produzioni Vegetali - profilo professionale: Tecnico Superiore per il riscontro tipologico e qualitativo dei prodotti agroalimentari”. Nell’ intervento formativo, realizzato da docenti ed esperti di rilevante esperienza, si è avuto modo di analizzare i diversi aspetti della filiera ortofrutticola esaminando questioni di fisiologia, tecnica culturale, allestimento e valorizzazione delle produzioni, caratteristiche della qualità e della tipicità. Detti aspetti sono poi stati operativamente riscontrati in attività di Stage realizzati sia in aziende agro-alimentari sia presso istituzioni di ricerca o commerciali quali il Centro di ricerche sperimentali in agricoltura “Basile Caramia” di Locorotondo, i mercati generali di Brescia, etc… L’idea di realizzare tale Corso era stata discussa ed approvata durante incontri internazionali organizzati da un progetto denominato FANCAM, formazione agronomica per nuove competenze in una agricoltura multifunzionale, coordinato dal Prof. Emile Bestand, ispettore dell’insegnamento agrario di Gembloux (Belgio). Nell’ultimo periodo formativo gli aspetti più importanti sono stati riassunti in undici lezioni registrate da uno dei tutor del corso, il dr. Germano Barone. L’elaborazione e il riordino delle registrazioni viene presentata perché gli allievi possano riscontrare quanto nel lungo periodo corsuale hanno appreso. Giuseppe Murolo (Presidente del Comitato Tecnico Scientifico)
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CAP1: TUTTI GLI ALIMENTI IN CINQUE GAMME
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1ᵃ gamma – Alimenti freschi Prodotti vegetali, frutta e alimenti di origine animale freschi, quindi materie prime originali così come ottenute dalla produzione primaria agricola o dalla pratica dell’allevamento o della pesca, eventualmente con l’utilizzo della refrigerazione, cioè il mantenimento di temperature tali da ridurre l’evoluzione dei metabolismi fisiologici (nel caso di vegetali e frutta) e dello sviluppo di microorganismi alterativi o patogeni (sia nel caso di vegetali e frutta che soprattutto per i prodotti di origine animale).
2ᵃ gamma – Alimenti inscatolati Alimenti chiusi ermeticamente in recipienti rigidi o flessibili (generalmente scatole cilindriche in banda stagnata o in vetro, ma anche in contenitori plastici accoppiati o meno con una lamina metallica) ma in grado di venire trattati termicamente, dopo il riempimento e la chiusura, per permettere la distruzione dei microrganismi alterativi e patogeni e consentire così la conservazione per un lungo tempo (mesi o anni) in condizioni di conservazione non controllate (condizioni di temperatura e umidità relativa ambientali, quindi casuali). In alternativa possiamo trovare prodotti ottenuti con trattamento termico precedente al confezionamento ed effettuato direttamente sul prodotto alimentare, non confezionato. La successiva chiusura in confezioni avviene in condizioni asettiche, ottenendo comunque il medesimo risultato di ottenimento di alimenti con elevata shelf-life in condizioni ambientali.
3ᵃ gamma – Alimenti congelati e surgelati Comprende i prodotti in cui l’uso delle basse temperature non solo comporta la riduzione della velocità delle reazioni metaboliche e dello sviluppo microbico, ma induce anche variazioni nello stato fisico e quindi nella struttura del prodotto, attraverso la cristallizzazione delle molecole d’acqua che avviene nel corso del congelamento. Su tale principio si basano sia la conservazione per i periodi medio-lunghi di materie prime tal quali e congelate in grosse quantità, sia la conservazione di prodotti a base vegetale, tal quali o preparati in pietanze più o meno elaborate, sottoposte a congelamento rapido dopo confezionamento in astucci o a congelamento rapido individuale (Individual quick freezing, IQF) e confezionati in materiale flessibile, generalmente in porzioni da uso unitario o familiare. In questi ultimi casi si parla di processi di surgelazione, come stabilito da idonea normativa. 6
4ᵃ gamma – Alimenti preparati pronti al consumo Tipologie relativamente nuove di prodotti alimentari, punto di incontro tra la richiesta di prodotti vicini al fresco per caratteristiche sensoriali - quali colore, sapore, aroma e texture (consistenza, croccantezza, ecc), quindi non sottoposti a trattamenti stabilizzanti – e la necessità di conservazione in imballaggi di facile uso (manipolazione e apertura) e con una vita commerciale più lunga del fresco tagliato domestico. Sono i cosiddetti minimally processed food o alimenti minimamente processati o trasformati al minimo, costituiti da insalate, carote, vegetali vari sottoposti a lavaggio, taglio in dimensioni ridotte ma anche frutta tagliata in fette, spicchi, rondelle e cubetti e confezionata, destinata alla conservazione refrigerata. Le caratteristiche qualitative che offrono tali prodotti, infatti, sono paragonabili a quelle del prodotto
fresco:
elevato
valore
nutrizionale,
con
caratteristiche
organolettiche
frequentemente più intense data l’accelerazione dei fenomeni di maturazione, e di conseguenza una gradita immagine di freschezza e genuinità. I metodi di conservazione adottati per i prodotti IV gamma si basano sull’utilizzo combinato di diversi fattori di stabilità. Il controllo dei fenomeni indesiderati che portano a degradazione dei prodotti di IV gamma viene realizzato mediante la combinazione di due o più interventi tecnologici, ciascuno dei quali realizzato in modo non drastico (mild), per non causare al prodotto danni provocati da processi tecnologici più severi che porterebbero sì alla stabilità microbiologica, ma anche ad una modificazione di aspetti sensoriali quali il colore e la texture e di alcune componenti nutrizionali. Tra le tecniche utilizzate ricordiamo i trattamenti di immersione (dipping) in soluzioni di sostanze ad azione antimbrunimento o protettive, il packaging, l’utilizzo di atmosfere modificate e la refrigerazione in fase di stoccaggio. Tali fattori sono in grado di apportare un certo “ostacolo”
sia allo sviluppo microbico, sia all’attività degli enzimi responsabili
dell’imbrunimento e del rammollimento dei tessuti vegetali e non presentano alcun pericolo per il consumatore. Si tratta infatti di sostanze, quelle utilizzate per i pre-trattamenti, generalmente di origine vegetale, chimica o biologica ma comunque approvate e lungamente sperimentate per l’uso alimentare (ad esempio l’acido ascorbico, il citrico, il cloruro di calcio).
5ᵃ gamma – Alimenti preparati e cotti pronti al consumo Prodotti generalmente di origine vegetale che tradizionalmente, nella pratica gastronomica, vengono consumati dopo cottura: questi possono venire sottoposti a trattamenti termici e quindi confezionati, destinati alla conservazione allo stato refrigerato o congelato. Possiamo 7
utilizzare questi preparati come ingredienti per ulteriori utilizzi gastronomici (patate, spinaci, verdure a foglia, carote, ecc.) oppure prodotti finiti destinati al consumo dopo una fase di rinvenimento (verdure grigliate, pietanze pronte, primi piatti, legumi precotti, ecc.). Come già visto per la gamma IV, anche in questo caso i prodotti di origine animale possono rientrare in questa categoria della V gamma con alimenti pronti al consumo, o pietanze pronte, che hanno subito tutte le fasi di preparazione e cottura e sono confezionati in condizioni controllate. La conservazione dovrà essere effettuata in regime di refrigerazione (0-4 °C) fino al momento dell’apertura e successivo riscaldamento, in forno tradizionale, a microonde, a bagnomaria o a vapore. Tra i prodotti della V gamma troviamo i cosiddetti Cook chill, così come pietanze e semi lavorati vegetali o carnei che vengono sottoposti ad una fase di cottura dopo il confezionamento sotto vuoto (sous vide) e che possono quindi andare incontro a condizioni di sanificazione con il mantenimento di proprietà qualitative per quanto possibile simili al prodotto originale appena dopo preparazione e cottura. Nel caso di questa tipologia di alimenti, il tempo di vita commerciale potrà essere ben più lungo rispetto ai prodotti della IV gamma, arrivando fino a qualche settimana di shelf-life.
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CAP 2: «LA QUALITA’ E LA SICUREZZA NELL’AGROALIMENTARE: ASPETTI E PROSPETTIVE»
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Premessa In Italia il sistema Agroalimentare gode di una indiscussa vocazione alla qualità. Ciò è vero non solo per la fama delle nostre tradizioni gastronomiche ma anche al pregio delle materie prime agricole ed alla loro grande varietà dovuta alla felice e varie condizioni ambientali e culturali della nostra penisola. In particolare, la ricchezza e la varietà di tradizioni gastronomiche nel nostro paese rappresentano senz’altro un importante punto di forza in un contesto di apprezzamento crescente di prodotti tradizionali, diversificati e con un forte contenuto di tipicità. Puntare sulla qualità dei prodotti tipici come strumento di valorizzazione di sviluppo del territorio rurale. Queste funzioni sono complesse e richiedono capacità manageriali e investimenti specifici che non sempre sono alla portata delle imprese che operano nel settore agro alimentare del nostro paese, ma anche di altri paesi europei. Scopo di questa nota è di presentare brevemente il connubio tra Qualità e la Sicurezza nel settore Agroalimentare e lo sviluppo del territorio.
La Qualità e Sicurezza nel settore agroalimentare La qualità è un tema molto attuale anche se, in forme diverse, ha sempre accompagnato la vita dell’uomo. Nell’era della globalizzazione e della “mass customization” la competizione per la qualità, consistente nel creare qualità (del prodotto) attraverso la qualità (dell’organizzazione), con benefici anche in termini di efficienza e flessibilità, si inserisce nell’ambito della visione strategica complessiva e consente l’acquisizione e/o il mantenimento del vantaggio complessivo. L’Italia ha fatto del mercato agroalimentare uno dei suoi punti di forza, esportando con i suoi prodotti tipici la tradizione di un Paese che può vantare una cultura alimentare equilibrata e sana. La spesa alimentare annua è di 4.5 miliardi di euro (federalimentare, 2005). Il settore agroalimentare ha un fatturato totale di 107 miliardi di euro (Coldiretti, 2005). I dati, quindi, confermano il ruolo fondamentale che questo settore ricopre nell’economia italiana ed è quindi dovuta una particolare attenzione a questo argomento, per riuscire a comprendere le potenzialità di crescita nonché le criticità che interessano gli operatori del settore e soprattutto i consumatori. 10
L’approccio alla qualità adottato dalle imprese coinvolge l’intera organizzazione e presuppone quindi la predisposizione di elementi interagenti quali, ad esempio, le attività responsabilità, le mansioni, il cui insieme rappresenta il “mezzo” per raggiungere gli obiettivi di qualità. La qualità significa capacità di soddisfare esigenze esplicite o implicite, di tipo morale e materiale, sociale ed economico, proprie della vita civile e produttiva tradotte in forma di requisiti, non generici ma concreti e misurabili, attraverso adeguati processi di regolamentazione e normazione. Le esigenze che la qualità è chiamata a soddisfare possono essere di carattere primario, connesse cioè con la tutela di bisogni essenziali, quali la sicurezza, la salute e i diritti fondamentali delle persone in genere, o di natura accessoria, relative al soddisfacimento di esigenze materiali e spirituali che trascendono i bisogni essenziali, quali le prestazioni, l’affidabilità, la durata, la bellezza, il comfort e le caratteristiche qualitative in genere dei beni e servizi su cui si basa la vita economica e civile della società moderna. La qualità può avere, inoltre, una valenza essenzialmente “economica” (soddisfacimento di esigenze tecnicoeconomiche nel quadro di uno specifico rapporto contrattuale) o una più ampia valenza “sociale”, non necessariamente regolata da rapporti contrattuali diretti (es. qualità ambientale e altre forme di gestione socialmente responsabile dei processi produttivi e di servizio). In tutti i casi, la qualità deve essere “misurabile” ed i costi associati alla sua realizzazione e assicurazione (conferimento ai prodotti e servizi della capacità di soddisfare i bisogni correlati e relativa dimostrazione di conformità) siano essi a carico di singoli soggetti o della collettività devono essere commisurati ai benefici realmente arrecati, così come percepiti, spesso soggettivamente, dagli utenti della medesima. Le esigenze di qualità in campo alimentare rientrano, anche e soprattutto, nella categoria dei bisogni primari e sono altresì contraddistinte da una forte valenza sociale. Come tali, sono tutelate, in prima istanza, da apposita legislazione nazionale e/o sovra nazionale. Come per altre tipologie di bisogni, tuttavia, gli approcci volontari alla qualità sia di “sistema”, sia di “prodotto”, sia infine di “processo” fra loro complementari e sinergici, basati su scelte consapevoli ed impegnative degli operatori interessati, rappresentano strumenti, non solo propedeutici al rispetto delle leggi (azione di per sé reattiva), ma alla pro-attivi e di miglioramento. L’approccio di sistema è di tipo “indiretto”, in quanto non fa specifico riferimento a specifici requisiti di prodotto, ma assicura la capacità di un’organizzazione di strutturarsi e gestire le proprie risorse ed i propri processi produttivi in modo tale da identificare e soddisfare i bisogni dei clienti o delle parti interessate in genere. L’approccio di prodotto è di tipo “diretto”, poiché inteso ad accertare la conformità dei prodotti a determinati requisiti che ne caratterizzano “direttamente” la capacità di soddisfazione di bisogni. 11
L’approccio di “processo” tipico del settore in oggetto è basato sulla valutazione della capacità dei processi produttivi di fornire prodotti conformi ai requisiti applicabili e, come tale, rappresenta una via di mezzo tra i due approcci precedenti. Come ogni altra organizzazione produttrice di beni e servizi, le imprese agricole e l’industria agro-alimentare in genere, sono chiamate a realizzare e quindi assicurare al mercato inteso nella sua accezione più ampia come l’intero contesto socio-economico a cui si rivolgono, la qualità come sopra definita e nelle diverse forme applicabili, in misura proporzionata ai bisogni che sono tenute o si impegnano a soddisfare. A tal fine,devono identificare adeguatamente tali bisogni a partire da quelli esplicitati dai riferimenti normativi cogenti o volontari applicabili ed impegnarsi a porre in atto gli elementi (processi e risorse) necessari per il loro soddisfacimento. Così come per altri beni di consumo, la qualità dei prodotti alimentari (come capacità di soddisfazione dei bisogni del consumatore) è la risultante di un insieme di fattori, fra quali si citano (a titolo indicativo e non necessariamente esaustivo): - igiene e salubrità (sicurezza alimentare); - caratteristiche organolettiche e nutrizionali (sapore, odore, aroma, colore, componenti nutritivi, ecc…); - elementi di utilizzazione (conservabilità, facilità d’uso, tipo di confezionamento, ecc…); - fattori culturali (tradizione, appartenenza locale, genuinità, ecc…); - fattori etico-sociali (es. tutela dell’ecosistema, flora e fauna, inclusa l’assenza di crudeltà verso esseri viventi nei processi di produzione). A ciascuna di tali esigenze occorre dare risposta tramite individuazione dei requisiti che ne garantiscono il soddisfacimento (riferimenti regolamentari cogenti o normativi volontari) e verifica e attestazione della conformità a tali requisiti (certificazione di conformità). Nel tentativo di identificare gli elementi della qualità la dottrina si è ampiamente divisa e a tutt’oggi non è possibile tracciare una definizione univoca se non utilizzando le categorie concettuali assai elastiche adottate in sede ISO. La definizione ISO della qualità è peraltro stata riconosciuta come valida dalla stessa Commissione europea in una comunicazione dell’89 ove si legge che la qualità resta connessa alla idoneità del prodotto a soddisfare le esigenze degli utilizzatori e dei consumatori, vale a dire del “mercato”. La sicurezza alimentare costituisce il requisito di base che deve essere sempre e comunque soddisfatto, costituendo, come tale, un fattore pre-competitivo per gli operatori del settore; ed, si riferisce ad un insieme di prassi, da un lato, e di requisiti, da un altro lato, che mirano a garantire la buona qualità di un cibo o di una bevanda sotto il profilo igienico e sanitario.
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A livello mondiale, l’organismo che più si è impegnato in materia di sicurezza degli alimenti è la Fao congiuntamente con l’Oms. Nel 1963 le due organizzazioni hanno dato vita al Codex Alimentarius, un programma creato per sviluppare standard e linee guida orientate a proteggere la salute dei consumatori. In Europa, il concetto di sicurezza alimentare è diventato una priorità in tempi più recenti. La recente strategia comunitaria per la sicurezza alimentare è stata interpretata sin dai suoi esordi nel 1997 come un tentativo di dare risposte concrete sul piano della tutela della salute dei consumatori. Le principali linee guida sulla sicurezza alimentare sono racchiuse nell’ormai famoso “Libro Bianco” pubblicato il 12 gennaio del 2000, dove viene presentata, per la prima volta, l’intera strategia dell’Unione europea in tema di alimentazione. Nel libro vengono proposte una serie di misure che consentono di organizzare la sicurezza alimentare secondo un approccio completo ed integrato incentrato su quattro aspetti fondamentali: la creazione di un’Autorità alimentare europea autonoma in grado di elaborare pareri scientifici indipendenti su tutti gli aspetti inerenti sia la sicurezza alimentare che la gestione di sistemi di allarme rapido e la comunicazione dei rischi; un quadro giuridico che comprenda tutti gli aspetti connessi con i prodotti alimentari “dal campo alla tavola”; i sistemi di controllo armonizzati a livello nazionale e infine il dialogo con i consumatori e la altre parti coinvolte. Sotto il profilo strettamente “comunitario” il concetto di “qualità” ha subito negli anni notevoli cambiamenti che hanno largamente influenzato l’attività normativa e le politiche agricola e commerciale. Abbandonata la strategia degli esordi condizionata dal tentativo di disciplinare tutti gli aspetti tecnico-dimensionali e qualitativi per ciascun singolo prodotto l’azione comunitaria si è concentrata sugli aspetti legati alla tutela della salute dei consumatori dapprima per superare le residue resistenze alla libera circolazione degli alimenti ancorate ai confini tracciati dall’art. 30 CE (ex 36 CEE) quindi come vera e propria attuazione dei nuovi obiettivi comunitari sanciti dal Trattato di Maastricht. L’azione comunitaria sulla “qualità” ha dunque visto sul finire degli anni ’80 uno sdoppiamento fra gli aspetti tecnico-produttivi, lasciati alla “normativa volontaria” e gli aspetti legati alla tutela della salute e degli interessi dei consumatori protagonisti di una intensa attività normativa del legislatore europeo e nazionale. Tale attività non ha prodotto gli effetti sperati se è vero come la stessa Commissione osserva nel Libro Bianco del 2000 che molti degli scandali alimentari sul finire degli anni ’90 affondano le loro radici proprio nella incompletezza, disorganicità ed inefficienza del sistema normativo comunitario e nazionale in materia alimentare e che, per altro verso, l’azione della formazione volontaria è risultata piuttosto coerente. Con l’approvazione del regolamento europeo 2002/178 sono state identificate una serie di procedure unificate per garantire la qualità alimentare in tutti i paesi membri. Per operare 13
scelte di politica agro alimentare e sanitaria volte a garantire una sicurezza degli alimenti, è nata l’autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), con sede a Parma. L’interfaccia italiana dell’Efsa è il Comitato nazionale per la sicurezza alimentare, nato dall’intesa tra Stato, Regioni e province autonome il 17 Giugno 2004.
Gli strumenti a tutela della sicurezza e della qualità alimentare La “certificazione di processo igienico” secondo i principi del Codex Alimentarius e la norma UNI 10854. (haccp: Hazard Analysis Criticai Point) è un sistema che permette ad un’azienda che produce alimenti di valutare e stimare pericoli e rischi e stabilire misure di controllo per prevenire l’insorgere di problemi igienici e sanitari. L’HACCP rientra nei parametri usati per la tracciabilità di filiera. Il sistema di auto controllo igienico permette di prevenire in modo mirato eventuali problemi sulle singole fasi di produzione, senza concentrare l’attività di controllo solo sul prodotto finito. Questo metodo, perfezionato negli anni 60 negli Stati Uniti dalla NASA che necessitava di uno strumento che garantisse la sicurezza alimentare dei cibi nell’ambito dei progetti spaziali, è stato adottato in Italia in seguito alla pubblicazione del decreto-legge 155 del 1997. A partire da gennaio 2006 questo decreto è stato sostituito dal Regolamento dell’Unione Europea 852/2004 il quale obbliga tutti coloro che trattano alimenti (industria, ristoranti, bar, ecc.) ad adottare un sistema documentato di autocontrollo igienico, soggetto alle verifiche delle ASL. Il sistema HACCP inoltre, sempre a partire da gennaio 2006, in base al Regolamento dell’Unione Europea 183/2005, deve essere adottato dalle aziende che hanno a che fare con i mangimi per gli animali destinati all’alimentazione umana (produzione delle materie prime, miscele, additivi, vendita, somministrazione). Per esempio si applica alle agrarie e alle aziende zootecniche. La Commissione Europea, in data 16 novembre 2005, ha pubblicato una linea guida per l’implementazione
delle
procedure
basate
sull’HACCP
e
per
la
semplificazione
dell’implementazione dei principi dell’HACCP in certe tipologie di attività. Il sistema haccp è basato sull’applicazione di sette principi: 1. Individuazione dei pericoli ed analisi del rischio. 2. Individuazione dei CCP (punti critici di controllo) 3. Definizione dei Limiti Critici 4. Definizione delle attività di monitoraggio 5. Definizione delle attività di monitoraggio 6. Definizione delle attività di verifica 7. Gestione della documentazione
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Principio 1 Identificare i rischi potenziali associati alla produzione di un alimento in tutte le sue fasi, dalla coltura o allevamento al processo, alla produzione e distribuzione fino al consumo. Valutare le probabilità che il rischio si verifichi e identificare le misure preventive per il suo controllo. Principio 2 Identificare i punti, le procedure e le tappe operazionali che possono essere controllate al fine di eliminare i rischi o minimizzare la loro probabilità di verificarsi ( punti di controllo critici). Una fase rappresenta ogni stadio di produzione e/o manipolazione degli alimenti, comprendenti sia il lavoro agricolo che le materie prime, la loro ricezione e/o produzione, formulazione, processo, conservazione, trasporto, vendita e uso del consumatore. Principio 3 Stabilire i limiti critici che devono essere osservati per assicurare che ogni CCP sia sotto controllo. Principio 4 Stabilire un sistema di monitoraggio che permetta di assicurarsi il controllo dei CCP tramite un test, oppure con osservazioni programmate. Principio 5 Stabilire l’azione da attuare quando il monitoraggio indica che un particolare CCP non è sotto controllo. Principio 6 Stabilire procedure per la verifica che includono prove supplementari e procedure per confermare che il sistema HACCP sta funzionando efficacemente. Principio 7 Stabilire una documentazione riguardante tutte le procedure di registrazione appropriate a questi principi e loro applicazioni. Lo Standard ISO 22000:2005 costituisce una norma volontaria sulla sicurezza alimentare. E’ stato pubblicato dall’Ente di Normazione Internazionale ISO nel settembre 2005 e rappresenta il nuovo standard sulla sicurezza alimentare dei prodotti e dei processi: si pone come obiettivo il controllo sistematico di tutti i soggetti coinvolti nella catena alimentare, dai produttori primari ai distributori finali, per garantire una efficiente gestione dei rischi relativi alla sicurezza degli alimenti. Il gruppo di lavoro che ha partecipato alla realizzazione del documento è composto da esperti provenienti da 23 diverse nazioni e da rappresentanti di organizzazioni a livello internazionale, quali il Codex Alimentarius Commission (organizzazione creata al fine di sviluppare standard normativi per il settore alimentare), l’Associazione internazionale degli 15
Hotels e dei ristoranti, la Global Food Safety Iniziative (GFSI) e la Confederazione delle Industrie agro-alimentari dell’Unione Europea (CIAA). Secondo la nuova norma il sistema aziendale deve essere in grado di valutare tutti i pericoli che possono manifestarsi lungo la filiera alimentare, tenendo in considerazione i processi che la caratterizzano, gli ambienti in cui essi si svolgono e tutti i componenti del sistema produttivo alimentare. La compatibilità del nuovo sistema di gestione della sicurezza alimentare con modelli gestionali standardizzati, quali ISO 9000 e ISO 14000, permette alle organizzazioni coinvolte direttamente e indirettamente nel settore alimentare di poter implementare sistemi integrati di qualità, ambiente e sicurezza alimentare. Ulteriore obiettivo della norma è quello di armonizzare diversi schemi per l’igiene del cibo o HACCP basati su norme nazionali differenti (ad es. in Italia la UNI 10854), proponendo uno standard unico. Almeno allo stato attuale, lo Standard ISO 22000:2005 non rappresenta ancora una norma cogente per nessuna legislazione nazionale e tuttavia, di fronte al ricorrente clima di allarmismi che i consumatori vivono, dovuti alla crescente consapevolezza dei pericoli igienico-sanitari cui gli alimenti possono incorrere, costituisce un importante punto di riferimento per tutti gli operatori.
La tracciabilità La tracciabilità agroalimentare, così come è definita dal Regolamento n. 178/2002 che la rende obbligatoria, è la possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un alimento, di un mangime, di un animale destinato alla produzione animale o di una sostanza destinata o atta ad entrare a far parte di un alimento o di un mangime, attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione. Il regolamento impone a ogni operatore del settore l’obbligo di poter seguire e dimostrare, se necessario, il percorso di ogni alimento e di ogni materia prima che lo costituisce. E’ quindi una traccia che permette di ripercorrere a ritroso tutte le fasi della produzione, così da garantire la piena visibilità dell’intera filiera. La tracciabilità svolgerà la sua funzione di tutela ponendosi accanto all’applicazione dei metodi di autocontrollo HACCP e non sostituendoli, estendendo il suo sistema a tutta la filiera, responsabilizzando ogni operatore sul settore di sua competenza.
L’etichettatura L’etichettatura è lo strumento principale e più diretto per permettere ai consumatori di sapere cosa stanno comperando e quali caratteristiche hanno gli alimenti che portano sulle loro tavole. Così come la pubblicità, anche l’etichettatura non deve essere ingannevole e le sue 16
indicazioni devono essere facilmente comprensibili, visibili, leggibili, indelebili e in una lingua facilmente comprensibile (possono essere anche in più lingue).
I Marchi di Qualità Tutta l’Europa è ricchissima di una immensa varietà di prodotti alimentari, tuttavia quando un prodotto diventa conosciuto al di fuori dei confini nazionali si trova si trova in un mercato in cui altri prodotti si definiscono genuini e ostentano uno stesso nome. Questa concorrenza sleale non solo scoraggia i produttori ma risulta fuorviante per i consumatori. Per questa ragione nel 1992 la Comunità Europea ha creato alcuni sistemi noti come DOP, IGP e STG (Specialità Tradizionale garantita) per promuovere e tutelare i prodotti agroalimentari. La Denominazione di origine protetta (Dop) identifica la denominazione di un prodotto la cui produzione, trasformazione ed elaborazione devono aver luogo in un’area geografica determinata e caratterizzata da una perizia riconosciuta e constatata. Nell’Indicazione Geografica Protetta (IGP), il legame con il territorio è presente in almeno uno degli stadi della produzione, della trasformazione o dell’elaborazione del prodotto. Inoltre, il prodotto gode di una certa fame. Una Specialità Tradizionale Garantita (STG) non fa riferimento ad un’origine ma ha per oggetto quello di valorizzare una composizione tradizionale del prodotto o un metodo di produzione tradizionale.
La Qualità e Sicurezza dei prodotti tipici come leva di sviluppo del territorio rurale Per l’Unione Europea è il 1992 l’anno di nascita dei prodotti tipici, anno in cui vara i Regolamenti 2081/92 e 2082/92 che ne sanciscono la tutela e ne consentono il facile riconoscimento da parte di tutti i consumatori, anche quelli meno esperti, grazie al marchio europeo. Grazie a questo riconoscimento le caratteristiche di cui i prodotti tipici si devono fregiare: qualità e sicurezza si traducono in rispetto delle caratteristiche della cultura del territorio e dell’ambiente, inteso come combinazione tra i fattori naturali e il fattore umano, espressione diretta della cultura e della capacità dell’uomo di saper sviluppare processi produttivi. 17
D’altro canto i prodotti agro-alimentari possono essere considerati come la sintesi di un processo produttivo basato tutto su risorse locali che legano direttamente, e in forma diversa, il prodotto al territorio. A questo riguardo, oltre ai beni materiali, intesi come materie prime che provengono direttamente dalla regione, anche le caratteristiche climatiche, territoriali, le ragioni storiche, culturali nonché la tradizione permettono una sintesi di armonia che si materializza nel prodotto tipico. Ognuna di queste componenti diventa indispensabile e contribuisce a definire il livello di qualità del prodotto. E’ per questo motivo che gli attori locali vedono nel prodotto tipico un’opportunità per la creazione di valore. Esso assume le sembianze del cultural marker, come lo sono i dialetti regionali, le produzioni artigianali, il folclore locale, i sistemi di paesaggio di flora e fauna, le attività artistiche, la letteratura, i siti archeologici. … Il fattore “identità del prodotto tipico” diventa la molla per il miglioramento del benessere sociale e economico della comunità che si riconosce in esso. Come conseguenza, la comunità locale può utilizzare la valorizzazione del prodotto tipico come strumento di sviluppo rurale, nella misura in cui intorno al prodotto vengono attivate strategie collettive condivise legate alla valorizzazione delle risorse specifiche, e che consentono non solo la generazione di una rendita derivante dal legame irriproducibile del prodotto con il proprio territorio, ma anche la regolamentazione e distribuzione dei suoi benefici. Ecco che nasce e prende corpo così una possibile leva di sviluppo e rilancio del contesto rurale come patrimonio naturale e culturale insieme, grazie allo strumento del disciplinare di produzione che, garantito nella sua applicazione e reso visibile dal marchio europeo, dà risposta alle esigenze di tutela del consumatore e apre la strada allo sviluppo dei prodotti tipici come sinergia di cultura del territorio e capacità produttiva. L’espressione più compiuta ed ufficiale della tipicità agro alimentare è rappresentata dai prodotti a denominazione di origine protetta e da quelli a indicazione geografica protetta, istituite con il Reg.CE 2081/92 sostituito ad aprile scorso con il Reg. UE 510/06. Da un paio di anni il numero di DOP e IGP italiane ha superato quello francese, conseguendo il primato europeo. Questo traguardo viene comunemente interpretato come testimonianza, al tempo stesso, della spiccata vocazione nazionale alla qualità ed alla tipicità, e dalla dinamicità di questo segmento di mercato (Ismea, 2005). A seguito del grande impulso dell’ultimo decennio, il numero complessivo di DOP ed IGP è salito a 123. Di questi, sono 80 DOP e 43 IGP. Tuttavia, se si tenta di quantificare l’importanza economica effettiva di questi prodotti con i pochi dati disponibili, si ottiene un quadro pieno di ombre che impone riflessioni ben più approfondite. Complessivamente, il fatturato alla produzione dei prodotti DOP ed IGP
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ammonta a circa 9.2 miliardi di Euro che rappresentano il 9% (Coldiretti 2005) del fatturato complessivo dell’industria alimentare.
Tabella 1: Valore al consumo 2007 delle produzioni DOP e IGP italiane
COMPARTO
Valore al consumo (%)
Formaggi
52.9
Carni e Salumi
43.4
Ortofrutta
2.2
Olio di oliva
0.7
Altri prodotti
0.8
Totale
100
Fonte:Nomisma
Guardando ai singoli comparti si nota immediatamente che formaggi e salumi totalizzano, da soli, la quasi totalità del fatturato dei prodotti tipici con il 95% di questi circa i due terzi si devono ai formaggi mentre il restante terzo a salumi e carni conservate. Estremamente significativo sono i dati relativi alle tipologie dei prodotti certificati (figura 1) e la loro distribuzione geografica (figura 2). I dati mostrano inequivocabilmente che i comparti agroalimentare della grande maggioranza di DOP ed IGP ad oggi riconosciute sono sostanzialmente formaggi e ortofrutta, che da solo costituiscono il 64% del totale, e che la loro distribuzione geografica è concentrata maggiormente al nord. Ciò dipende, innanzitutto, dalla presenza di denominazioni ad alti volumi di produzione in queste categorie (per esempio Grana Padano, Parmigiano Reggiano, prosciutti di Parma e di San Daniele). Inoltre i valori calcolati sulle qualità certificate Dop e Igp denotano le lacune ancora esistenti nei sistemi di produzione di “nuove” e meno organizzate denominazioni riconosciute, in prevalenza nei comparti dei prodotti vegetali e degli oli extravergini di oliva. Purtroppo, molti operatori del settore sono convinti che la registrazione comunitaria di un prodotto Dop/Igp rappresenti il punto di arrivo di un’efficace politica di marketing. Viceversa questo traguardo è un punto di partenza a garantire un quadro di maggior sicurezza per lo sviluppo di un prodotto relativamente alla tutela giuridica all’interno del mercato comunitario. La conferma della polarizzazione dell’offerta tipica, è messa in evidenza dalla tabella seguente che riporta i primi 10 prodotti Dop e Igp italiani per valore al consumo. I primi 10 prodotti Dop 19
e Igp per valore valgono più di 7,5 miliardi di euro, l’87% dell’intero paniere italiano a marchio comunitario.
Prodotti
Valore al consumo
Prosciutto di Parma
1.937.238.480,0
Grana Padano
1.474.552.413,2
Parmigiano Reggiano
1.461.166.614,0
Prosciutto di san Daniele
852.280.000,0
Mozzarella di Bufala Campana
424.170.000,0
Gorgonzola
395.590.000,0
Mortadella di Bologna
385.000.000,0
Bresaola della Valtellina
220.000.000,0
Pecorino Romano
217.014.910,0
Speck dell’Alto Adige
180.912.700,0
TOTALE TOP TEN PRODOTTI DOP-IGP
7.547.925.117,2
Fonte: Nomisma
Le norme della serie ISO 9000 Criteri di scelta
ISO 9000-1
Norme di gestione per la qualità e di assicurazione della qualità – guida per la scelta e l’utilizzazione.
Assicurazione della ISO 9001
Sistemi
Qualità – modello per l’assicurazione della
qualità esterna
qualità nella progettazione, sviluppo, fabbricazione, installazione ed assistenza. ISO 9002
Sistemi Qualità - modello per l’assicurazione della qualità nella fabbricazione, installazione ed assistenza.
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ISO 9003
Sistemi Qualità – modello per l’assicurazione della qualità nelle prove, controlli e collaudi finali.
Conduzione
ISO 9004-1
aziendale
per
la
qualità
(quality
Gestione per la qualità ed elementi del Sistema Qualità – Guida generale.
management) Guide
ISO 9000-2
Norme di gestione per la qualità e di assicurazione della qualità – guida generale per l’applicazione delle ISO 9001-9002, 9003.
ISO 9000-3 Norme di gestione per la qualità e di assicurazione della qualità – guida generale per l’applicazione delle ISO 9001 allo sviluppo, alla fornitura e alla manutenzione del ISO 9000-4
software. Norme di gestione per la qualità e di assicurazione della
ISO 9004-2
qualità – guida per la gestione del programma della fidatezza.
ISO 9004-3
Gestione della qualità ed elementi del Sistema Qualità – guida per i servizi.
ISO 9004-4
Gestione per la qualità ed elementi del Sistema Qualità – guida per i materiali da processo continuo. Gestione per la qualità ed elementi del Sistema Qualità – guida per il miglioramento della qualità.
Il pacchetto ISO 9000 è costituito attualmente da 11 norme che possono essere suddivise in quattro gruppi. Lo sviluppo di un Sistema Qualità aziendale deve essere condotto facendo ricorso a tutti gli elementi, applicabili alle specifiche realtà, messi a disposizione da tale insieme.
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Norme recenti nell’agroalimentare La normativa che promuove o sostiene la qualità del settore agroalimentare è di emanazione piuttosto recente. Di seguito sarà esposta una breve rassegna che cerca di mettere in evidenza quegli aspetti delle normative che più esplicitamente si riferiscono alla qualità. REG CEE 2092/91, relativo al metodo di produzione biologico di prodotti agricoli e alla indicazione di tale metodo sui prodotti agricoli e derrate alimentari. REG CEE 2568/91, relativo alle caratteristiche degli oli di oliva e degli oli di sansa d’oliva nonché di metodi ad essi attinenti. Le successive modifiche ed integrazioni al regolamento sono inserite nella G.U.C.E. 656/95. Legge 164/92 “Nuova disciplina della denominazione d’origine dei vini”. Con tale normativa si punta all’ottenimento di produzioni di qualità tendendo a tutelare sia i consumatori finale che gli stessi produttori. La 164/92 fa espresso riferimento alla qualità e all’art. 1 cita testualmente: “per denominazione di origine dei vini si intende il nome geografico della zona viticola particolarmente vocata, utilizzato per designare un prodotto di qualità e rinomato, le cui caratteristiche sono connesse all’ambiente naturale ed ai fattori umani”. Oltre alla denominazione DOC e DOCG (denominazione di origine Controllata e Garantita), la Legge contempla la IGT (Indicazione geografica tipica), intesa come “il nome geografico di una zona utilizzato per designare il prodotto che ne deriva”. Il Ministero delle risorse agricole e forestali, poi, regolamenta l’istituzione di un Albo degli imbottigliatori di ciascun vino DOC; DOCG e IGT e l’istituzione di un Comitato Nazionale per la tutela e la valorizzazione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche tipiche dei vini, che ha competenza consuntiva, propositiva ed esecutiva sui vini. Legge 169/92 : “disciplina per il riconoscimento della denominazione di origine controllata degli oli di oliva vergini ed extravergini”. 22
La legge 169/92 introduce la DOC anche per gli oli. Il disciplinare di produzione di un olio DOC deve definire diverse condizioni di produzione: caratteristiche naturali dell’ambiente varietà degli oli pratiche di impianto e di coltivazione produzione massima di olive per ettaro e modalità di oleificazione caratteristiche fisico-chimiche ed organolettiche dell’olio prodotto nella zona certificazione delle associazioni riconosciute dei produttori che attestino la provenienza dalla zona vocata delle olive disposizioni circa il tipo e la capacità dei recipienti e le relative caratteristiche di confezionamento. Inoltre viene istituito il Comitato Nazionale per la tutela della denominazione di origine controllata degli oli. D M 15 dicembre 1992 Tale decreto attua il disposto dell’art. 12 della Legge 241/90 riguardante la determinazione dei criteri e modalità per la concessione di contributi per il riconoscimento e valorizzazione delle caratteristiche di qualità dei prodotti agricoli di cui alla Legge pluriennale per gli interventi programmati in agricoltura, n. 752/76. Il Decreto ammette: - progetti atti a realizzare programmi di tutela e valorizzazione delle caratteristiche di qualità dei prodotti agroalimentari individuati con denominazione di origine e con marchi collettivi; - Iniziative per la tutela delle denominazioni di origine e marchi di qualità. REG CEE 2078/92, relativo ai metodi di produzione agricola compatibili con le esigenze di protezione dell’ambiente e con la cura dello spazio rurale. REG CEE 2081/92 relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari. Si tratta di uno strumento normativo molto importante per la tutela delle produzioni tipiche locali di qualità. E’ prevista, infatti, la possibilità di richiedere il riconoscimento della DOP, denominazione di Origine Protetta, per i prodotti originari di una regione o di un determinato 23
luogo, la cui qualità o le cui caratteristiche siano dovute essenzialmente o esclusivamente all’ambiente geografico e la cui produzione, trasformazione ed elaborazione avvengano nell’area geografica delimitata. L’Indicazione Geografica Protetta IGP, invece, identifica solo la possibilità che la qualità sia in parte imputabile alla localizzazione geografica di produzione. Tra le produzioni agricole tale Regolamento esclude quelle del settore vitivinicolo e le bevande spiritose, contemplate dalla 164/92. Tale Regolamento è stato integrato con il REG CEE 2037/93 che stabilisce le modalità di applicazione del suddetto regolamento. REG CEE 2082/92 relativo alle attestazioni di specificità dei prodotti agricoli e alimentari. Regolamenta la cosiddetta “Attestazione di Specificità” intesa come un insieme di elementi che distinguono nettamente un prodotto agricolo o alimentare da altri prodotti o alimenti analoghi appartenenti alla stessa categoria. Tale Regolamento intende tutelare la tecnica di produzione più che l’origine del prodotto. Per poter ottenere il riconoscimento della “Attestazione di Specificità” un prodotto agricolo o alimentare deve essere prodotto utilizzando materie prime tradizionali oppure avere una composizione tradizionale o aver subito un metodo di produzione e/o trasformazione del tipo tradizionale. Per cui non può essere registrato un prodotto il cui carattere specifico risieda nella provenienza o nell’origine geografica o che risulti unicamente dall’applicazione di una innovazione tecnologica. REG CEE 1848/93 che stabilisce le modalità di applicazione del suddetto 2082/92 REG CEE 2540/93 relativo alle misure intese al miglioramento della qualità della produzione dell’olio di oliva Direttive CEE 46/92 e 47/92 in materia di produzione ed immissione sul mercato di latte e di prodotti a base di latte. DPR 54/97, recante l’attuazione delle direttive 92/46 e 92/47/CEE DPR 155/97, in attuazione delle direttive CEE 43/93 e 3/96 concernenti l’igiene dei prodotti alimentari
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DPR 156/97, in attuazione della direttiva CEE 99/93 concernente misure supplementari in merito al controllo ufficiale dei prodotti alimentari.
HACCP (HAZARD ANALYSIS CONTROL CRITICAL POINT) L’HACCP è un sistema di controllo del processo produttivo che permette di ottimizzare l’uso delle risorse, di eseguire i necessari controlli igienico-sanitari, concentrando l’azione di controllo nei punti critici. Analizzando solo i punti critici si evita un inutile dispendio di risorse, fornendo in tempi rapidi una serie di indici relativi alla performance del processo, consentendo di ripristinare le condizioni standardizzate dello stesso. Il principale obiettivo del sistema HACCP consiste nella prevenzione dei problemi legati alla sicurezza del prodotto agro-alimentare attraverso l’attuazione della sicurezza igienico-sanitaria in tutta la filiera produttiva. La direttiva sull’igiene degli alimenti 93/43 rende obbligatorio l’uso dell’HACCP, poiché all’art.3 recita : “le imprese del settore alimentare devono individuare nella loro attività ogni fase che potrebbe rivelarsi critica per la sicurezza degli alimenti e garantire che siano individuate, mantenute ed aggiornate le opportune procedure su cui è basato il sistema HACCP”. Le fasi di un sistema HACCP possono essere: 1. Identificazione ed analisi dei pericoli: un pericolo è stato definito come l’inaccettabile contaminazione biologica, chimica o fisica di un alimento. L’analisi del pericolo deve essere quantitativa: occorre considerare la gravità del pericolo (ad es. il deterioramento di un alimento è meno grave dell’avvelenamento da C. Botulinum) e il rischio, cioè la stima della probabilità che il pericolo possa concretizzarsi. Inoltre devono essere descritte le misure preventive di controllo per ridurre i pericoli. 2. Determinazione dei punti critici di controllo (CCP): il CCP è stato definito come “un punto, una pratica, una procedura, un processo in cui si può esercitare un controllo su uno o più fattori che, se controllati, possono minimizzare (CCP2) o annullare (CCP1) il pericolo”. In casi in cui il pericolo è grave e non si può assicurare un completo controllo (CCP2) occorrerà modificare il processo in modo da poter esercitare maggiore controllo sul pericolo, quindi trasformare quel punto in un CCP1. 3. Definizione dei limiti critici per ogni CCP: una volta identificati i punti critici di controllo bisogna applicare le misure di controllo grazie a parametri specificati. (es.: un limite critico può richiedere che un alimento sia formulato ad un pH 4.6 o inferiore per prevenire la crescita di microrganismi).
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4. Determinazione di un sistema di monitoraggio dei CCP: il monitoraggio implica sistematiche osservazioni e registrazioni dei fattori significativi per il controllo del pericolo. Il monitoraggio deve fornire l’informazione in tempo affinché si possa intraprendere un’azione correttiva per mantenere il controllo del processo. Se i CCP non risultano sotto controllo, cioè se sono al di sopra dei limiti critici, devono essere previste adeguate azioni correttive che non facciano pervenire il prodotto al consumatore. 5. Determinazione delle procedure di verifica al fine di verificare se sono stati adottati criteri appropriati e se tutti i CCP sono stati evidenziati. 6. Documentazione: per l’applicazione del sistema HACCP sono necessari dati precisi e costanti che devono essere registrati, quali: registrazioni di monitoraggio dei CCP, elenco delle deviazioni, elenco delle azioni correttive, elenco delle modifiche, dati di verifica.
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BIBLIOGRAFIA De Michelini, N. 1995. I Sistemi Qualità. Introduzione alle Norme UNI EN ISO 9000. Collegio professionale periti industriali di Roma e provincia. AA.VV. 1995. Normazione, certificazione, qualità. Le regole, le strutture. Ed. DINTEC. Roma AA.VV. 1995. Normazione, certificazione, qualità. Glossario. Ed. DINTEC. Roma. Multon, J.L. 1994. La qualitè des produits alimentaires. Politique, incitations, gestion et controle. Ed. Lavoisier. Paris Peri, C : 1994. Qualità: concetti e metodi. Ed. Franco Angeli. Collard, R. 1993. La qualità Totale. Ed. Franco Angeli. Reg. CEE 2081/92. G.U. delle Comunità Europee del 27.7.92. Reg. CEE 2082/92 G.U. delle Comunità Europee del 27.7.92. DPR 54/97. G.U. n. 59 del 12/03/97 DL 155/97. G.U. n. 136 del 13/06/97 DL 156/97. G.U. n. 136 del 13/06/97
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AICQ, Associazione italiana per la Qualità – Settore alimentare. Linee guida per l’applicazione della norma UNI-EN 29004 alle aziende agro-alimentari. Milano. 1992. UNI, Norme UNI-En serie 29000. Milano. 1988. UNI, Norma UNI-En 8402. Milano. 1988.
CAP3: LA TIPICITÀ, UNA RISORSA PER TURISMO E CULTURA
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Nel modello occidentale si confrontano sul mercato le imprese con i loro prodotti evidenziando ognuna la propria competitività. Il mercato, diventato da tempo dinamico, esigente e selettivo non ammette più l’esistenza di prodotti alimentari che siano di tanto pregio da vendersi da soli; questa norma, che non è scritta, ma è operante, avrebbe dovuto provocare l’organizzazione dei produttori italiani, che purtroppo non c’è stata, perché non è entrata nel costume commerciale delle piccole imprese. Oggi è la capacità di vendere e condizionare il processo produttivo per quantità e qualità, quando, fino a non molto tempo fa, non aveva alcun peso perché la concorrenza era risolta in modo automatico dall’offerta costantemente inferiore alla domanda. Così le produzioni tipiche e tradizionali italiane, pur costituendo un patrimonio unico al mondo per qualità, varietà e pregio, sono state trascurate sotto il profilo commerciale e, per questo, hanno dovuto accettare prezzi inferiori ai valori reali, non per demeriti intrinseci, ma per non essere stati accompagnati sul mercato dal necessario sostegno commerciale, a cui nessun bene può sottrarsi se vuole essere riconosciuto per quel che vale. Non può meravigliare allora che il prezzo del Parmigiano Reggiano non superi quello dello stracchino e quello del Prosciutto di Parma sia uguale a quello del prosciutto cotto. Occorre fare i conti, inoltre, con le turbative provenienti dal progressivo ampliamento dei mercati fino alla mondializzazione; il quadro di riferimento italiano oggi non è più quello di una volta; i nuovi e frequenti flussi mercantili hanno facilitato la pressione delle eccedenze alimentari delle regioni umide del Vecchio Continente sulle aree caldo aride dell’Europa Mediterranea, Italia compresa, che sono rimaste deficitarie, creando altre difficoltà ai produttori locali. Per fortuna ci sono rimasti i prodotti tipici e l’immagine con cui tengono alto il buon nome alimentare della Penisola. Un altro grosso ostacolo a complicare la vita dei prodotti tipici, rimasti a dominare i piccoli spazi, è rappresentato dalla Grande Distribuzione, che, richiedendo masse critiche elevate, beni adatti al self-service e standard di qualità, non prende in considerazione i bassi volumi di 29
offerta e le tipicità. Inoltre, con lo spostamento delle popolazioni dalle campagne alle città, si sono infranti gli equilibri preesistenti e la società rurale è stata ridotta ai minimi termini creando altre difficoltà; a questo occorre aggiungere il variare di continuo della propensione al consumo per la tirannia dei tempi alimentari e per la spinta dei media. Contemporaneamente l’offerta industriale si è concentrata per ridurre i costi e per accedere alla Grande Distribuzione e ha sviluppato il marketing, cogliendo alla sprovvista la piccola impresa che si è trovata polverizzata, disorganizzata, isolata e arretrata e, quindi, ancora più fragile e in balia del mercato. Hanno fatto eccezione i vini e, in parte, gli oli, che, per l’alta produzione italiana e per le difficoltà interne al comparto, hanno imboccato da tempo la strada dei mercati internazionali, in anticipo rispetto ai formaggi e ai salumi (nel vino e nell’olio sono presenti, inoltre, industrie medie e grandi con funzione trainante accanto alle piccole).
Quantità continentale vs. qualità mediterranea Tuttavia le tipicità alimentari, proprie delle aree mediterranee, mantengono buone potenzialità anche in presenza del mercato comunitario, che si potrebbero tradurre in opportunità di rilancio, se si mettessero a punto strategie commerciali di gruppo, mai attivate in passato. E’ il caso di riflettere sui due modelli principali di consumo presenti nel Vecchio Continente: quello mediterraneo, che è di qualità, nel quale prevalgono alimenti tipici e gastronomie tradizionali con prezzi alti (nonostante la sottovalutazione), e strutture organizzative deboli (artigiani, piccole industrie e cooperative agricole); quello continentale, che è standardizzato, con larga prevalenza di alimenti progettati e realizzati secondo gli standard preferiti dalla Grande Distribuzione e dal consumo con prezzi bassi, organizzazione efficiente (grandi concentrazioni industriali del Centro, Nord Europa e degli Usa) e servizi incorporati e aggiunti. Il modello continentale preme sulle aree mediterranee per sbarazzarsi di un concorrente scomodo e collocarvi, grazie a modernità ed efficienza, le proprie eccedenze, facendo leva sui prezzi, sulla comodità, sulla Grande Distribuzione e su quella organizzata, non congeniali ai piccoli volumi d’offerta. La nuova dimensione del mercato, accentuando la concorrenza tra gli alimenti tipici e alimenti di largo consumo, ha messo a dura prova la sopravvivenza dei primi per il potere contrattuale dei concorrenti e per le nuove aperture dei consumatori che, sottoposti a pressioni diverse, potrebbero convincersi ad apprezzare più la comodità d’uso degli alimenti che la qualità (vi è pero qualche timido segnale in controtendenza). 30
Queste emergenze emarginano di fatto i prodotti tipici che continuano a cedere sui prezzi, rimanendo i primi per qualità. Se finora non vi è stato cedimento sensibile nelle quantità prodotte, lo dobbiamo alle radicate abitudini alimentari dei consumatori di casa nostra e alla resistenza che artigiani e cooperative agricole hanno dimostrato di avere, scaricando sulle imprese familiari ogni tipo di difficoltà economica. Sul versante del consumo, dobbiamo rilevare che, se l’uomo del Mediterraneo rinunciasse alla propria storia e alla propria cultura (anche alimentare), finirebbe con ogni probabilità con l’appiattirsi in uno standard di vita insopportabile; salvare gli alimenti tradizionali dall’invadenza delle grandi concentrazioni industriali assume così il significato di difesa di un sistema produttivo (con tutto quello che segue) che si esprime per piccole aree e che potrebbe avere un’influenza determinante sul turismo, il quale è in forte espansione.
Turismo: occorre recuperare terreno Oggi dobbiamo difendere ad oltranza il nostro patrimonio alimentare tipico per non perdere la grande occasione del turismo. Dobbiamo ricordare che l’attività turistica provoca effetti sul reddito e sulla occupazione del territorio su cui viene esercitato, grazie alla teoria del moltiplicatore di Keynes, che risponde di fronte all’aumentare di una variabile esogena (considerata indipendente) con un effetto superiore nelle variabili endogene (considerate dipendenti), perché il flusso circolare della moneta fa emergere l’effetto delle immissioni addizionali di valuta, che, in forma di spesa pubblica, di investimenti, di flussi finanziari ecc. sollecitano positivamente lo sviluppo. Le spese dei turisti, allo stesso modo, costituiscono un flusso addizionale esogeno, che, sommandosi alla disponibilità endogena, accelera lo sviluppo; inoltre, la parte di moneta che continua a circolare all’interno dell’area, amplifica più volte l’effetto complessivo. Nel momento attuale, il turismo nel mondo è in forte espansione; iniziati negli anni Sessanta (100 milioni di arrivi circa), gli arrivi internazionali sono triplicati in un ventennio (1960-1980) e più che quintuplicati (564 milioni) in 35 anni (1995), con un trend che è destinato a mantenersi nel tempo; in aderenza, l’Organizzazione mondiale del turismo (Omt) ha previsto per il 2010 che gli arrivi raddoppieranno ancora una volta (un miliardo) e probabilmente andranno anche oltre grazie all’aumento medio previsto del 4,3% all’anno. Lo stesso fenomeno della globalizzazione, che si consoliderà nel XXI secolo, coinvolgerà ancor più le attività turistiche, accentuando gli spostamenti su lunghe distanze. In questo modo, il peso della componente turistica nel contesto dell’economia mondiale è destinato ad aumentare fino a raggiungere il primo posto tra le attività industriali e a 31
sviluppare un indotto ampio e complesso (trasporti, agro-industria ecc.). All’interno dell’Europa, l’Italia che può fregiarsi di un eccezionale patrimonio di risorse di diversa natura, in passato, non è riuscita ad utilizzarlo al meglio, tant’è che si è dovuta accontentare del quarto posto nel mondo per le presenze e del secondo per i ricavi (1997). Nel prossimo futuro, l’Italia e gli altri Paesi mediterranei sono destinati a continuare nell’espansione, ma con ritmi inferiori, tanto da retrocedere dal 30% del totale mondiale al 25% nel 2010, specie nel sud del Paese, dove il minore incremento annuo (2,2%), farà scendere l’Italia dal quarto al sesto posto dopo Cina, Usa, Francia, Spagna e Hong Kong. Secondo un recente sondaggio, i turisti stranieri vengono a visitare il belpaese per le sue grandi opere monumentali e artistiche, per l’accoglienza della gente e, in terzo luogo, per la tavola; allora non possiamo prenderci il lusso di rinunciare agli alimenti di qualità e alla gastronomia che ne consegue; occorre però, oltre alla valorizzazione della qualità alimentare, potenziare le infrastrutture, la recettività e l’organizzazione.
Il progetto “L’Acetaia d’Italia” Per fare qualcosa di utile, in questa direzione, dopo altre esperienze analoghe, sono coinvolto in una interessante iniziativa, che riguarda le province di Modena e Reggio Emilia insieme, le cui produzioni agroalimentari sono numerose, varie e di prestigio e potrebbero avvantaggiarsene, se se ne potesse migliorare ad enfatizzare l’immagine, trasferendo i benefici al territorio, a cui competerà sempre più il compito di produrre ricchezza e occupazione. L’occasione l’hanno offerta gli aceti balsamici delle due Province per la notorietà che hanno raggiunto sui mercati internazionali, così come è avvenuto all’inizio del secolo scorso a Parma con il pomodoro. La fortuna degli aceti balsamici di Modena e Reggio Emilia, che è conseguenza dell’ampia diffusione internazionale e dell’apprezzamento che hanno riscosso, ha fatto emergere, come mai era avvenuto in precedenza, i nomi delle due città. Ne sono buona testimonianza l’apertura di nuove acetaie e la scelta di quest’area con l’arrivo di importanti imprese del comparto, che ne hanno accentuato l’idoneità territoriale, dando origine a nuova ricchezza e a nuova occupazione. Vista la buona partenza, ho ritenuto che potesse essere utile insistere su questa via in considerazione della facilità con cui sembrano realizzabili gli obiettivi comuni anche ad altri importanti prodotti tipici. La storia, la tradizione, la cultura, la produzione e la stessa varietà degli aceti balsamici di Modena e Reggio Emilia nonché la notorietà raggiunta impegnano da una parte a mantenere distinti i diversi prodotti in modo da garantire la serietà di tutti attraverso la massima trasparenza e, dall’altra sollecitano il rilancio dell’intero territorio attraverso una serie di 32
iniziative coordinate, collegiali, per fare progredire i prodotti trainanti, anche se non ne avrebbero bisogno, e con loro, anche tutti gli altri degni di essere trainati. Così in aderenza a un programma predisposto ad hoc è stato preparato il marchio “ L’Acetaia d’Italia”, lanciato con un Convegno il 4 febbraio e ripreso con un altro il 12 marzo in attuazione del programma denominato “2002, Anno Dell’Aceto Balsamico”, che ha lo scopo di promuovere la nuova immagine alimentare delle due Province e di ottenere gli effetti conseguenti. Un ulteriore convegno si è tenuto il 13 Aprile. Scopo di questi incontri è illustrare le iniziative che verranno attuate per la promozione dell’aceto balsamico delle Province di Modena e Reggio Emilia. Con tali progetti si intende far conoscere ed apprezzare questo straordinario nostro prodotto tipico ai consumatori, in particolar modo a quelli italiani, che sembrano i meno consapevoli del suo grande valore. Tra le iniziative da attuarsi vi sono la creazione di una strada degli aceti balsamici, la realizzazione di un museo ed essi dedicato a Spilamberto (MO), e giornate di apertura delle acetaie al pubblico, con visite guidate. Un’altra iniziativa suggestiva prevede la ricostruzione storica in costume nella città di Piacenza del primo episodio documentato in cui si attesti la validità della tradizione e dei sapori locali (italiani). Nel 1046 Enrico III, Imperatore del Sacro Romano Impero Germanico, giunto a Piacenza inviò un messo a Bonifacio, padre della celebre duchessa Matilde di Canossa, col compito di ottenere un po’ di quell’ “aceto perfettissimo che è fatto di Canossa”. Il messo tornò dall’Imperatore con l’aceto balsamico in una preziosa botte d’argento. La ricostruzione in costume vedrà quindi la riproposizione in Piazza Cavalli, cuore di Piacenza, proprio del carro dei buoi trasportante la botte d’argento. Quello di Enrico III è il primo atto ufficiale (ad opera di un Tedesco, non di un Italiano!) di riconoscimento dell’alto valore della tradizione culinaria nostrana. Si tratta del primo episodio di un processo inarrestabile che porterà il tardo Medioevo e il Rinascimento (con l’affermazione dei Comuni e delle Signorie) a rivedere la classificazione in vigore sin dall’antichità vertente su cucina dei ricchi, a base di costose spezie provenienti dall’Oriente, e cucina dei poveri, basata sulle produzioni locali. La stessa evoluzione che portò l’affermazione della lingua volgare sul Latino, vide il prevalere sulla cucina “ricca” della cucina “povera” quasi priva di spezie, quella che è predominante ancora al giorno d’oggi.
Un carro trainante Negli obiettivi, la promozione dell’aceto balsamico deve fungere da “carro trainante” per l’intera produzione tipica delle Province di Modena e Reggio Emilia. Al contrario di Parma, che ha legato la sua economia prevalentemente all’agro-alimentare, i prodotti tipici di Modena e 33
Reggio sono rimasti in secondo piano rispetto ad altri settori industriali aggressivi presenti in loco, quali quello automobilistico (Maranello), tessile (Carpi), delle ceramiche (Sassuolo). L’aceto balsamico, forte dei suoi circa 200 milioni di euro di fatturato, realizzato per l’80% sui mercati esteri, ed in particolare in quei Paesi che ricercano sapori intensi per valorizzare i propri piatti, è risultato il miglior candidato a fungere da “ambasciatore” della tradizione culinaria delle due città emiliane.
CAP 4: UNA GUIDA AI PROSSIMI MILLE ANNI DI AGRICOLTURA
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Trentatre firme per un unico libro. Tanti sono, infatti, gli autori che hanno contribuito alla realizzazione delle 800 pagine de “L’Agricoltura verso il terzo millennio attraverso i grandi mutamenti del XX secolo”, volume freschissimo di stampa (ed. Avenue media, pagg. 800, € 22,00 – vedasi la cedola d’ordine in terza di copertina) e presentato ufficialmente durante l’inaugurazione, svoltasi il 15 aprile a Bologna, dell’Anno Accademico 2002 dell’Accademia Nazionale di Agricoltura, artefice e curatrice dell’opera. Raggruppandoli in 24 sezioni, il volume storicizza, esamina, rilancia i più importanti temi del mondo agricolo nazionale: ne affronta le radici storiche e ne disegna l’andamento lungo tutto il secolo scorso fino a fornire precise chiavi di lettura per quello che l’agricoltura è e rappresenta oggi ma anche quello che sarà e potrebbe essere nel futuro, immediato e non.
Un’indagine sul XX secolo L’”incipit” è di Luigi Cavazza, presidente dell’Accademia, che traccia un excursus storico-sociale dell’intero secolo XX con un occhio di riguardo verso il mondo della ricerca. Antonio Saltini, storico-saggista, affronta in “Scienza e tecnica agricola alle soglie del ‘900” il tema dell’agronomia nazionale recuperandone le radici e gli sviluppi dalla metà dell’Ottocento fino all’inizio del secolo da poco trascorso. Francesco Campus, dell’Università di Pisa, ne “L’evoluzione dell’economia agricola italiana nel XX secolo” si occupa e preoccupa di mettere in luce i mutamenti di maggior rilievo nel campo della popolazione agricola, delle innovazioni tecniche, degli interventi più importanti di politica economica nazionale e comunitaria e del reddito. Sempre nel “filone storico” s’inscrive l’intervento di Giorgio Amadei, dell’Università di Bologna, che con “Agricoltura e ideologie del Novecento” traccia il profilo dei vari “ismi” che hanno mutato profondamente l’attività agricola, e in particolare analizza il rapporto con il socialismo, o meglio con i socialismi del XX secolo.
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Dove termina Amadei, prosegue Andrea Segrè (Università di Bologna) con “Caduta e transizione dell’agricoltura socialista”: dalla caduta del muro di Berlino in poi, viene trattata la transizione nei Paesi dell’Est Europa con una sorta di “diario sul campo” sugli effetti dal comico al tragico. Con Ettore Casadei, dell’Università bolognese, il volume affronta anche la questione giuridica con un lavoro dal titolo: “Agricoltura e diritto: le principali vicende del ‘900 e le ipotesi del futuro”. Si entra, poi, in argomenti più specifici, sempre evidenziando il rapporto tra vicende agricole ed umane. Giorgio Stupazzoni (Presidente Isea) e Luigi Vannini (Università di Bologna) trattano de “L’uomo, la bonifica e il governo del territorio” e, quindi, della gestione, spesso conflittuale, di una risorsa fondamentale come l’acqua. Umberto Bagnaresi (Università di Bologna) firma una relazione su “Evoluzione e prospettive della selvicoltura italiana” e affronta un aspetto tenuto spesso a margine, e a torto, delle politiche agricole mentre è importantissimo per uno sviluppo equilibrato dell’intero sistema socio-economico. Da Renzo Landi, dell’Università di Firenze, viene il quadro storico de “La profonda evoluzione del “corpo agronomico” nel XX secolo” : quanto e come il mondo scientifico, tecnico e politico ha fatto e deve ancora fare per la salvaguardia del patrimonio culturale ed ambientale. Un “trio” di firme (G. Toderi, G. Baldoni e A. Nastri, dell’Università di Bologna) affronta “Il sistema colture erbacee nel XX secolo” ribadendone gli aspetti agronomici dell’evoluzione e le sue prospettive. A Silviero Sansavini (Università di Bologna) il compito di un’altra importante “pennellata” storica dedicata a “Un secolo e oltre di frutticoltura”.
Uno sguardo sulla zootecnia Un altro pool di autori, ovvero G. Rognoni, A. Caroli, A. Bagnato, G. Gandini, delle Università di Milano e Bari, dà il proprio contributo con “L’evoluzione del patrimonio zootecnico italiano del XX secolo” passando in carrellata tutte le specie animali interessate al tema. Dal “fronte zootecnico” provengono anche i lavori di Gianfranco Piva (Università Sacro Cuore di Piacenza), Umberto Chiappini (Università di Bologna) e Giulio Zucchi (Università di Bologna): il primo esamina le “Modalità di alimentazione degli animali in produzione zootecnica”, il secondo l’ ”Evoluzione dell’edilizia zootecnica in Italia” mentre Zucchi sterza verso il lato economico con ”I problemi economici e di mercato delle produzioni animali”.
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I problemi della chimica e le sue alternative Con Sandro Silva e Paolo Fontana (Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza) prende avvio un altro tema particolarmente significativo come la fertilizzazione e questioni annesse. Ai “Problemi attuali dopo un secolo di fertilizzazione” trattati dai due autori, seguono Pietro Catizone e Giovanni Dinelli (Università di Bologna) che parlano de “ Il controllo della vegetazione infestante”. Antonio Canova e Giorgio Domenichini (rispettivamente dell’Università di Bologna e del Sacro Cuore di Piacenza) trattano dei diversi tipi di difesa: “Evoluzione e problemi della difesa fitopatologica” il primo, e “La difesa entomologica delle colture” il secondo. Il tema tanto caro a Giorgio Celli (docente e noto curatore di programmi tv) dell’uso intelligente degli insetti viene illustrato nella relazione del tema: “La lotta biologica: stotia, tecniche e prospettive”.
Meccanizzazione e genetica Nel novero delle questioni agricole affrontate dal volume non poteva mancare la meccanizzazione agricola: Enzo Manfredi (Università di Bologna) ne disegna un quadro storico soffermandosi sull’evoluzione e i limiti fisici riscontrati nel secolo passato. Altro tema ben “caldo” è la genetica. Gian Tommaso Scarascia Mugnozza (Presidente dell’accademia delle Scienze detta dei XL) lo tratta nel suo lavoro che ha come titolo : “ Il miglioramento genetico delle piante agrarie in Italia nel XX secolo: realizzazioni e prospettive”. Sempre di genetica, ma sul versante zootecnico, scrivono anche Mario Bonsembiante e Giovanni Bittante (Università di Padova) nel loro “Il contributo della genetica al progresso delle produzioni zootecniche”. Chiude il volume Claudio Peri, dell’Università di Milano, con un testo che è un po’ la summa di quanto scritto prima se non altro perché discetta su ciò che dall’agricoltura, tramite le sue molte evoluzioni, passa poi sulle nostre tavole, ed ecco quindi il suo titolo: “Dalla produttività alla qualità e dalla qualità all’etica: come cambiano gli orizzonti della produzione alimentare
La certificazione ISO 9000 per Competere sul mercato 37
In un momento delicato, dal punto di vista dell’economia nazionale e di quella della imprese che fanno parte, soprattutto, in un periodo nel quale si fanno molte vuote parole sull’argomento della Qualità, è importante eliminare il più possibile equivoci e mistificazioni. L’obiettivo primario di un organizzazione, il fine per cui essa è stata concepita, non può e non deve essere confuso con gli strumenti per raggiungerlo e deve essere unico, appunto perché primario. Quella organizzazione che è l’impresa economica, produttrice di beni e servizi destinati ai consumatori, almeno nell’ambito delle economie capitalistiche, è stata concepita e strutturata per essere creatrice di beni e servizi attraverso il profitto; pertanto diremo che l’obiettivo primario dell’impresa è fare PROFITTO.
Come e Quando Nasce la Necessità della Qualità? ANNI ’50 e ‘60: A popolazioni appena uscite dal conflitto mondiale il problema che si imponeva era la carenza di beni da acquistare, carenza accentuata dalla necessità di sacrifici durante il lungo periodo bellico e dal desiderio di riguadagnare il tempo perduto e i consumi non consumati. L’industria occidentale capisce che lo strumento per raggiungere l’obiettivo primario (fare profitto) è il volume di produzione. Verso gli anni ’60 e ’70 si ha un notevole sviluppo dell’industria in generale; cresce il numero dei produttori, le tecnologie si sviluppo velocemente e ciò provoca un aumento impressionante delle qualità prodotte. Anche il mercato dei consumatori cresce numericamente, ma in modo meno violento di quello dei produttori. Inizia a farsi vivace il fenomeno della concorrenza, via via che le aziende produttrici cercano di aumentare il loro giro d’affari e le aree geografiche nelle quali esso si sviluppa. Pur rimanendo la domanda superiore all’offerta, la differenza tende a diminuire e il fenomeno della concorrenza fa sì che la aziende per fare profitto aggiungono ai volumi un secondo strumento i COSTI INDUSTRIALI; il prodotto viene posto sul mercato ancora in volumi crescenti, ma a prezzi inferiori alla concorrenza. Nascono così, le prime tecniche della politica del marketing. Occorre comprendere quali siano le caratteristiche maggiormente appetibili e svilupparne la presenza nei prodotti e la percezione da parte dei clienti.
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La riduzione dei costi di produzione diventa un imperativo; accanto all’attenzione delle tecnologie produttive si assiste al boom della meccanizzazione dei sistemi di movimento e trasporto interno che ridurranno lentamente il costo della mano d’opera. In questa situazione generale, per tenere conto delle esigenze del mercato verso una maggiore costanza qualitativa, si sviluppa il Controllo Qualità. La qualità è intesa come rivelazione e correzione dei difetti; poiché questi sono numerosi, effettivamente diminuire il livello di difettosità sul mercato è un costo non indifferente per le aziende sia in termini di personale dedicato al controllo, sia di riparazioni e rifacimenti. Verso gli anni ’70 e ’85 la qualità del prodotto diventa un argomento di vendita fondamentale; ad un cliente e a dei consumatori che sempre più esigono il rispetto delle caratteristiche di un prodotto denunciate dal fabbricante, in base al quale il prodotto è stato scelto per l’acquisto, occorre rispondere con una Qualità Tangibile, legata cioè ad ineccepibili caratteristiche dimensionali, estetiche, chimiche, fisiche del prodotto. Non
a caso la funzione qualità nelle aziende tende ad assumere la denominazione di
Assicurazione della Qualità; assicurazione del prodotto che sia conforme alle specifiche dettate del fabbricante. Per cui il terzo strumento per fare profitto è la QUALITA’. Quindi si sviluppano nuovi concetti per ottenere la Qualità Tangibile: - alla verifica finale del prodotto, selezione e riparazione, si integrano i concetti e le tecniche di prevenzione della difettosità; - la responsabilità sulla qualità viene riallocata nelle unità produttive e rinasce il concetto di autocontrollo; - al concetto di qualità = corrispondente alle specifiche, si sostituisce maggiormente quello di qualità = idoneità all’uso da parte del cliente/consumatore; - si sviluppa il concetto di SISTEMA QUALITA’ che sarà codificato nelle norme ISO 9000; - sotto lo shock del modello giapponese, riacquista particolare importanza la figura dell’uomo nel sistema azienda, come la forza principale che può contribuire al miglioramento. Dal punto di vista economico, quello che era un costo da sopportare, diventa uno strumento per aumentare il profitto da una parte, e per ridurne le perdite dall’altra. Dagli anni ’85 in poi, le cose per il settore industriale si complicano. Le prime complicazioni ci derivano dai clienti/consumatori che, trovandosi in una situazione di domanda inferiore rispetto l’offerta, può scegliere quel prodotto che più si adatta alle sue esigenze di qualità tangibile, alle quali potrà aggiungerne altre di QUALITA’ INTANGIBILE; cioè
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esigenze di natura psicologica o di status simbol (personalizzazione del prodotto, di tempi di consegna, di estetica, di manifestazioni di personalità, ecc.). La complicazione di cui si accennava all’inizio, viene dal fatto che mentre alla Q. tangibile esiste un limite costituito da -difetti zero-, alla Q. intangibile non esiste limite, poiché sarà sempre possibile aggiungere qualche prestazione e/o servizio che rendano il prodotto più appetibile da parte del cliente. Ecco, allora, che le aziende enfatizzano l’innovazione del prodotto per battere la concorrenza su qualcosa che renda il loro prodotto più appetibile nell’ambito della stessa tipologia di prezzo. La seconda complicazione viene dall’interno delle aziende stesse; raggiungere obiettivi di qualità totale, in una situazione di competizione abnorme, richiede un profondo cambiamento interno che comporta la riorganizzazione completa del modo di produrre e di fare industria. Questa nuova modalità va sotto il nome di TOTAL QUALITY MANAGEMENT, cioè il modo di gestire la qualità totale per il cliente, che coincide sempre più con gli strumenti di gestione dell’azienda intera.
Sistemi di Qualità secondo le norme ISO 9000 L’obiettivo prioritario della politica europea è stata la realizzazione di un grande mercato interno liberato dalle barriere fisiche, fiscali e tecniche tra gli stati membri, che ostacolavano la libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali in coincidenza con il realizzarsi del mercato interno europeo (1/01/1993), il ruolo giocato dal tema della qualità, in particolare per i prodotti agroalimentari, è stato sempre più dominante. Così la Commissione europea ha dato il via alla “POLITICA EUROPEA per la PROMOZIONE della QUALITA’”, che prevede di immettere sul mercato mondiale un prodotto europeo che si distingue per sicurezza, affidabilità e qualità e venga così preferito.
Criteri Definitori della Qualità La norma UNI EN ISO 8402 definisce la qualità come : “L’insieme delle priorità e delle caratteristiche di un prodotto e/o un servizio che conferiscono ad esso la capacità di soddisfare esigenze espresse o implicite”. Un prodotto quindi deve avere caratteristiche nutrizionali (capacità di soddisfare esigenze nutrizionali), caratteristiche solutistiche (benefici arrecati alla salute del consumatore dal 40
prodotto), caratteristiche igienico sanitarie (assenza dal prodotto di sostanze chimiche e/o microbiologiche dannose per la salute umana), caratteristiche organolettiche e commerciali. Il sistema qualità viene definito come “La struttura organizzativa, la responsabilità, le procedure, e i procedimenti messi in atto per la conduzione aziendale per la qualità”. Si arriva così alla QUALITA’ CERTIFICATA che si ottiene mediante un atto (certificazione) con cui una terza parte indipendente da assicurazione scritta che un prodotto, un processo, o un servizio sia conforme ai requisiti specificati.
Termini e definizioni della ISO 8402:1994 QUALITA’: Insieme delle caratteristiche di un entità che conferiscono ad essa la capacità di soddisfare esigenze espresse o implicite. POLITICA per la QUALITA’: Obiettivi ed indirizzi generali di un organizzazione per quanto riguarda la qualità, espressi in modo formale dall’alta direzione. GESTIONE per la QUALITA’: Insieme delle attività di gestione aziendale che determinano la politica per la qualità, con vari mezzi, quali, la pianificazione della qualità, il controllo, l’assicurazione e il miglioramento della qualità. SISTEMA QUALITA’ (SQ): Struttura organizzativa, procedure, processi e risorse necessarie ad attuare la gestione per la qualità. CONTROLLO della QUALITA’: Tecniche ed attività a carattere operativo messe in atto per soddisfare i requisiti per la qualità. ASSICURAZIONE (GARANZIA) della QUALITA’: Tutte le attività pianificate e sistematiche, attuate nell’ambito del sistema qualità e di cui viene data dimostrazione, messe in atto per dare adeguata confidenza che un’entità soddisferà i requisiti della qualità. MIGLIORAMENTO della QUALITA’: Azioni intraprese nell’ambito di un’organizzazione per accrescere l’efficienza e l’efficacia delle attività e dei processi a vantaggio sia dell’organizzazione, sia del cliente. 41
PRODOTTO: Risultato di attività e processi. SERVIZIO: Risultato della attività svolto nell’interfaccia tra fornitore e cliente, e di attività interne del fornitore, per soddisfare le esigenze del cliente. CLIENTE: Colui che riceve un prodotto da un fornitore. FORNITORE: Organizzazione che fornisce un prodotto cliente. PROCESSO: Insieme di risorse e di attività tra loro interconnesse che trasformano delle entità in ingrasso e delle entità in uscita.
Il Sistema Qualità: principi e strumenti Per il semplice fatto di stare sul mercato, ogni azienda possiede di fatto un suo sistema qualità, sostanzialmente efficace, ma esso deve essere formalizzato e documentato al fine di poter garantire veramente la qualità. Le strutture e le modalità produttive devono essere adeguate alle leggi, alle norme applicabili, ed eventualmente al disciplinare di produzione, oppure deve essere la validità equivalente di quelle esistenti. Tutti gli addetti determinano la qualità e devono far proprie le modalità di documentazione e la filosofia di affidabilità reciproca. Gli obiettivi del sistema qualità sono la formazione sul campo (dei prodotti) a ritmi compatibili, utilizzando in modo sinergico tutte le risorse già impegnate (assistenza tecnica). Inoltre è importante tutelare le specificità che valorizzano il prodotto e tener conto delle innovazioni delle tecniche di formazione (produzione). Gli strumenti del sistema qualità sono: - Responsabilizzazione del vertice aziendale. - Gruppo di lavoro interfunzionale di filiera e applicazione del metodo HACCP. - Prevenzioni lungo la filiera delle non conformità con rintracciabilità dei lotti produttivi. - Formalizzazione delle procedure operative di controllo e di documentazione. - Autocontrollo degli addetti con verifiche ispettive incrociate.
Per concludere…….., ogni sistema qualità è fondato su tre azioni: 42
a) Dichiarare ciò che si fa b) Fare ciò che si è dichiarato c) Poter dare dimostrazione di ciò che si è fatto. Infine, la valutazione di un sistema qualità deve rispondere a tre domande: a) Il sistema è correttamente definito e documentato? b) I processi sono attuati e realizzati come documentato? c) I processi sono efficaci per realizzare gli obiettivi prefissati?
Scopi ed Organismi della Normazione Prima di tutto sarebbe necessario definire il termine di norma: “Essa è un documento, prodotto mediante consenso e approvato mediante organismo riconosciuto, che fornisce per usi comuni e ripetuti, regole, linee guida e caratteristiche, relative e determinate attività ai loro risultati, al fine di ottenere il miglior ordine in un determinato contesto”. La normazione è “un attività svolta per stabilire, relativamente a problemi effettivi e potenziali, disposizioni per gli usi comuni e ripetitivi, mirati ad ottenere l’ordine migliore in un determinato contesto”. Lo scopo della normazione è quello di migliorare l’economicità del sistema produttivo attraverso la definizione e l’unificazione di processi e prodotti, delle prestazioni e delle modalità di controllo, di prova e collaudo. Essa facilita la comunicazione tecnica per mezzo dell’unificazione dei simboli, dei codici, e delle interfacce; inoltre promuove la sicurezza dell’uomo e dell’ambiente attraverso la definizione dei requisiti dei prodotti, processi e comportamenti. Infine salvaguardia gli interessi del consumatore e della collettività in generale. Gli strumenti della normazione sono: - La norma tecnica: sono specifiche tecniche la cui applicazione non è obbligatoria, ma solo consigliata. - La specifica tecnica: prescrive i requisiti tecnici che prodotti, processi o servizi devono soddisfare. - Il codice di pratica: è un documento che raccomanda regole pratiche o procedure per la progettazione, fabbricazione, installazione e manutenzione o utilizzazione di prodotti o strutture o apparecchiature. - La regola: documento emanato dalle autorità che contiene requisiti obbligatori. 43
- La regola tecnica: documento contenente un insieme di requisiti tecnici, eventualmente incorporando una norma, una specifica tecnica o un codice di pratica. La sua applicazione è obbligatoria. Gli enti di normazione sono tre: l’UNI, il CEN e l’ISO: L’ISO (INTERNATIONAL STANDARD ORGANIZATION), è stato fondato nel 1947, esso è composto da enti normatori di 90 paesi. Il suo scopo è di promuovere la normazione nel mondo , al fine di facilitare gli scambi di beni o servizi e di sviluppare a livello mondiale la collaborazione nei campi intellettuali, scientifico, tecnico ed economico, svolgendo la sua attività in tutti i settori ad eccezione di quello elettrico ed elettronico; esso è organizzato in 172 comitati tecnici, 653 sottocomitati, 1764 gruppi di lavoro, e 10 gruppi di studio. Il CEN (COMITATO EUROPEO DI NORMAZIONE), fondato nel 1961, è composto da enti di normazione di diciotto paesi membri della CEE e dell’EFTA (associazione europea del libero scambio). Lo scopo di questo ente è promuovere l’impiego delle norme internazionali ed armonizzare le norme su scala europea, allo scopo di facilitare lo sviluppo degli scambi dei prodotti e dei servizi, mediante l’eliminazione degli ostacoli creati da requisiti di natura tecnica. Esso svolge la propria attività in tutti i settori escluso quello elettrico e delle telecomunicazioni; infine esso è organizzato in 224 comitati tecnici le cui segreterie sono affidate ad uno dei paesi membri. L’UNI (ENTE NAZIONALE ITALIANO DI UNIFICAZIONE) fu fondato nel 1921 sotto il nome di UNIM. Esso è composto dal Ministero dell’Industria, Commercio ed Artigianato; Ministero degli Interni; dei Lavori Pubblici; delle Poste e Telecomunicazioni; della Difesa; del Commercio con l’Estero; dell’Ambiente; CNEL; CNR; ENEA; ISPESL; Università; Imprese; Associazioni di categoria; ecc. Il suo scopo è quello di elaborare, pubblicare e diffondere le norme, costituire archivi di norme nazionali ed estere, promuovere iniziative culturali nel settore normativo, mantenere i rapporti con i corrispondenti organismi a livello mondiale ed europeo e concedere il marchio UNI ai prodotti conformi alle proprie norme. Il suo settore di attività si esplica in tutti i campi ad eccezione di quello elettrico/elettronico, informatico e delle telecomunicazioni; esso è organizzato da 51 commissioni.
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Analisi dei Rischi e Controllo dei punti Critici Metodo H.A.C.C.P. DIR. CEE 43/93 (Hazard Analysis Critical Control Points) Questo metodo riguarda genericamente le dosi di accumulo chimico e attacchi microbiologici. Il comparto agroalimentare, anche dal punto di vista della qualità, caratteristiche del tutto originali, necessita di norme che garantiscano la solubrità del prodotto. La direttiva C.E.E. 43/93 obbliga le imprese europee dal 1/01/1998, operanti nelle diverse fasi di preparazione, trasformazione, fabbricazione, confezionamento, deposito, trasporto, distribuzione, manipolazione, vendita, o fornitura di prodotti alimentari, ad adottare, opportuni metodi di autocontrollo (H.A.C.C.P.) delle proprie attività. Raccomanda l’adozione del metodo haccp per evidenziare nella filiera produttiva i possibili rischi igienico sanitari, individuarne i punti critici, e prevedere per ognuno di essi modalità di controllo tali da prevenirli. La stessa normativa chiede agli stati membri la discrezionalità di raccomandare l’applicazione della serie ISO 9000, quale strumento di attuazione delle norme generali di igiene e dei manuali di corretta prassi alimentare. Secondo quanto stabilito dalla dir. 43/93 le aziende che adotteranno il sistema di autocontrollo, delle loro attività produttive, non avranno più controlli a campione sulle proprie produzioni da parte degli organismi di vigilanza (ASL, NAS) , ma limitarsi ad esibire la documentazione delle procedure di prevenzione e dei relativi risultati ottenuti, senza prelievo di campioni per le analisi. Mentre le norme ISO 9000 sono riferibili a qualsiasi settore di attività, il metodo H.A.C.C.P. è lo strumento di indagine specifico per le produzioni agroalimentari. Tutte le attività, la documentazione, e le regolamentazioni dell’H.A.C.C.P. sono contenute nelle norme ISO 9000 mentre buona parte delle regole contenute dalle norme ISO 9000 sono implicitamente previste dal metodo H.A.C.C.P.; in tale ottica, l’introduzione di tale metodo risulta efficace per allestire successivamente un sistema qualità basato sulle norme ISO 9000. In altre parole l’alternativa non è certificarsi o meno e cosa certificare. L’esigenza è di disporre subito un efficiente sistema di autocontrollo secondo l’H.A.C.C.P., tenendo presente che ogni azienda è diversa dalle altre e che non può esistere un metodo H.A.C.C.P. valido per tutte le aziende dello stesso settore produttivo. Una volta pervenuta a tale obiettivo l’azienda se esista una reale convenienza a perseguire fino alla certificazione del
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sistema qualità, sapendo che tutto quando già fatto è utilizzabile a questo fine e senza ulteriori aggravi di tempi e costi. ANALISI DELLA FRASE: Rischio = è una proprietà biologica, chimica, fisica in grado di rendere l’alimento non sicuro per il consumo. Controllo dei punti critici (C.C.P.) = un punto, una fase, o una procedura, dove possa essere applicato un controllo e sia consentito di prevenire, eliminare, ridurre a livelli accettabili ogni rischio per la sicurezza dell’alimento.
Documentazione del Sistema Qualità Per documentazione si intende “qualsiasi informazione scritta, illustrata o registrata che descriva, specifichi, documenti o certifichi le attività, le prescrizioni, le procedure, i risultati ottenuti”. Ogni azienda che abbia deciso di adottare un sistema qualità, deve documentare in maniera sistematica ed ordinata tutti gli elementi, i requisiti ed i provvedimenti adottati. Una appropriata documentazione in un sistema qualità ISO 9000 è essenziale per: conseguire la richiesta qualità di prodotto; valutare il sistema qualità; permettere il miglioramento della qualità; informare ed addestrare le risorse umane impiegate. Naturalmente una documentazione del SQ deve essere completa, chiaramente identificabile, leggibile, senza abrasioni o cancellature, rintracciabile, tempestivamente aggiornata, e conservata. Lo scopo della documentazione del SQ è garantire il raggiungimento della qualità richiesta al prodotto, valutare i sistemi qualità, migliorare la qualità, e mantenere i miglioramenti.
Il Manuale della Qualità DEFINIZIONE (ISO 8402) : Il Manuale della Qualità (MQ) enuncia la politica della qualità e descrive il sistema qualità di un organizzazione. Il manuale assicurazione qualità è un documento politico, nel quale generalmente viene chiarita la politica per la qualità; in esso vengono individuati ruoli e responsabilità dei lavoratori, e viene descritto il SQ aziendale, attraverso una rivisitazione dei singoli paragrafi della norma. Detto manuale documenta in maniera sintetica, ma il più possibile fedele, come un’azienda si sia organizzata funzionalmente per mettere in atto il SQ. E’ un documento a valenza esterna, e 46
rappresenta la base di valutazione da parte degli enti di certificazione e/o da parte dei committenti. IL MANUALE DELLA QUALITA’: - Descrive il modus operandi in materia di qualità dell’azienda in tutte le fasi del ciclo produttivo; - Riflette la realtà operativa dell’azienda; - E’ il manuale di tutte le funzioni; - Contiene solo le politiche o norme societarie e non le procedure; - La sua realizzazione necessita della collaborazione piena e fattiva di tutte le funzioni; - Costituisce il massimo della documentazione del SQ; Il MQ deve essere strutturato in modo da riflettere il SQ, deve essere di facile consultazione da parte del personale interessato a livello gestionale. Esso può essere arricchito con altri manuali aziendali. IL MANUALE DELLA QUALITA’ DEVE CONTENERE: - Stato di aggiornamento e numero di copia; - Criteri di controllo (emissione, verifica, approvazione, revisione, numerazione pagine, evidenziazione delle modifiche e archiviazione). - Indice con stato di aggiornamento delle sezioni; - L’introduzione che porta notizie sull’organizzazione e sul MQ stesso; - Lista di distribuzione; - Scopo e finalità; - Campo di applicazione ed estensione; - Riferimenti – norme; - Definizioni – terminologia internazionale, nazionale ed aziendale. Inoltre, il MQ è solitamente articolato in sezioni e se si fa riferimento ad una norma di AQ è conveniente usare la stessa paragrafatura. E’ pratico raccogliere la normativa del MQ in un raccoglitore ad anelli, in maniera tale da facilitare l’aggiornamento e consentire l’aggiunta di documenti. Infine se l’azienda serve più settori di mercato con differenti normative, è opportuno redigere una tabella di corrispondenza tra norma e MQ.
La tipicità dei Prodotti Agroalimentari La tipicità è definita come: “ La rispondenza del prodotto a particolari caratteristiche di origine, lavorazioni e proprietà organolettiche”. 47
La qualità dei prodotti di eccellenza o di categoria superiore come le specialità enogastronomiche è individuata e garantita da un marchio di produzione o distribuzione; l’uso di marchi d’eccellenza o tipicità interessa particolarmente il vino, l’olio, i formaggi e le carni. La corretta utilizzazione del marchio di qualità consente importanti vantaggi sia da parte del consumatore che per il produttore; infatti il primo viene garantito di ottenere un determinato standard qualitativo del prodotto, stabile nel tempo e certificato da appositi controlli. Il produttore può accrescere la sua competitività sul mercato grazie alla differenziazione della merce e alle garanzie che vengono offerte al consumatore. Per quanto riguarda i prodotti d’eccellenza e alle specialità enogastronomiche la nostra normativa nazionale ha recepito i regolamenti comunitari individuandone i marchi: D.O.P. (Denominazione di Origine Protetta); sono prodotti già conosciuti con il marchio D.O.C. e presenti da molti anni sul mercato dei vini, tale denominazione è richiesta per i prodotti originali dell’area geografica indicata sul marchio, anche il ciclo di trasformazione del prodotto avviene all’interno della stessa area. I.G.P. (Indicazione Geografica Protetta); tali prodotti sono sempre collegati ad un nome geografico, ma il loro ciclo di produzione deve avvenire necessariamente all’interno di un area geografica indicata. A.S. (Attestazione di Specificità); tali prodotti sono indipendenti dal luogo di produzione, ma vengono indicati e garantiti perché ottenuti attraverso una particolare tecnica e/o processi, oppure , da determinate e specifiche materie prime. Altri marchi nazionali adottati solo per i vin i sono: D.O.S. (Denominazione di Origine Semplice); indica i vini ottenuti da uve provenienti da vitigni tradizionali delle corrispondenti zone di produzione, vinificate secondo gli usi locali. D.O.C. (Denominazione di Origine Controllata); spettano ai vini che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nei relativi disciplinari di produzione. D.O.C.G. (Denominazione di Origine Controllata e Garantita); è riservato a vini di particolare pregio con caratteristiche e requisiti stabiliti per ciascuno di esso nei rispettivi disciplinari di produzione.
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I vini D.O.C. e D.O.C.G. rientrano nelle categorie dei V.Q.P.R.D. (Vini di Qualità Prodotti in Regioni Determinate), stabilita a livello comunitario e valida per tutti i Paesi membri. Oltre a questi marchi di tipicità vanno evidenziati anche quelli posti a garanzia delle produzioni biologiche che attestano anch’essi una specificità, determinata da tecniche di produzioni particolarmente attente al rispetto dell’ambiente e della salute umana; e il marchio – BIOLOGICO – è l’unica garanzia ufficiale di conformità sulle produzioni biologiche.
CAP5: QUALITÀ DEI PRODOTTI ORTOFLOROFRUTTICOLI
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VALUTAZIONE DELLA QUALITÀ DEI PRODOTTI ORTOFRUTTICOLI EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA DI QUALITÀ L’evoluzione degli scambi commerciali a livello internazionale dei prodotti ortofrutticoli allo stato fresco ha determinato l’esigenza di stabilire criteri di valutazione basati su parametri di qualità e di calibro identificabili attraverso una terminologia unica e di agevole interpretazione anche tra interlocutori di aree geografiche distanti e con differenti livelli di cultura e di sviluppo economico-sociale. I primi a stabilire degli standard merceologici per la valutazione della qualità dell’ortofrutta sono stati, negli anni ’20, la California, il Sud Africa ed alcuni Paesi europei, tra cui l’Italia. In Italia è stato istituito con legge del 23 giugno 1927 l’uso del “Marchio Nazionale per l’Esportazione (INE)”, a garanzia dell’osservanza dei requisiti merceologici previsti dalle apposite “Norme speciali tecniche” di qualità, riguardanti i principali prodotti ortofrutticoli esportati. Con il RDL 2213 del 20.12.1937, è stato sancito il rispetto delle norme di qualità per l’esportazione di alcuni prodotti ortofrutticoli, rendendo obbligatorio l’uso del Marchio INE, sigla identificativa dell’Istituto Nazionale per l’Esportazione che ne gestiva l’uso per legge. Nei 10 anni, tra il 1927 ed il 1937, l’uso del “Marchio INE” aveva avuto la funzione di marchio di eccellenza per alcuni prodotti esportati con tale contrassegno, mentre con l’entrata in vigore del citato Decreto Legge 2213/37, l’uso del Marchio assumeva carattere di obbligatorietà, per cui non veniva più consentita l’esportazione dei prodotti normalizzati sprovvisti del Marchio di Qualità, allo scopo di garantirne la qualità ed esaltarne la competitività nel commercio con l’estero. 50
La stessa legge vietava l’apposizione del Marchio a quei prodotti per i quali non era stata, ancora, emanata la “norma” per affermare, appunto, il concetto dell’abbinamento MARCHIONORMA-QUALITÀ, a garanzia della qualità del prodotto e dell’immagine dell’esportazione nazionale. Per questo motivo l’emanazione di norme nazionali di qualità per l’esportazione è stata continua per diversi decenni, regolamentando oltre 40 prodotti ortofrutticoli che rappresentano la parte più importante della produzione italiana del settore. Tali disposizioni nazionali per l’esportazione sono state progressivamente sostituite dalle norme di qualità emanate dalla Commissione CEE; ne restano in vigore 6 riguardanti altrettanti prodotti ortofrutticoli di interesse nazionale non normalizzati in sede comunitaria. Il marchio INE, registrato, a partire dal 1929, presso l’OMPI (Organizzazione Mondiale de la Propriété Intellectuelle) di Ginevra, e depositato nei paesi aderenti all’accordo di Madrid del 14 aprile 1981, in pratica in tutti i paesi del mondo con i quali l’Italia intrattiene rapporti di commercializzazione di prodotti agroalimentari freschi e trasformati, ha assunto la funzione di marchio di identificazione dei servizi agricoli dell’Istituto Nazionale per il Commercio Estero (ex Istituto Nazionale per l’Esportazione).
Regolamento CEE n. 1035/72 Nel dopoguerra la nascente Comunità Europea si è occupata della razionalizzazione del commercio dei prodotti agricoli con l’emanazione di specifici regolamenti, con riferimento agli standard qualitativi della “NORMA QUADRO” della Commissione Economica dell’ONU per l’Europa, intesa comunemente come “Protocollo di Ginevra sulla standardizzazione dei prodotti ortofrutticoli”. Il regolamento base, relativo all’organizzazione comune dei mercati nel settore ortofrutticolo e della politica agricola dei Paesi della Comunità Europea, oggi Unione Europea, è costituito dal Reg. CEE n°1035/72, che riunisce e codifica le norme di qualità, fissate, progressivamente, con precedenti regolamenti comunitari a partire dagli anni ’60, in sostituzione delle corrispondenti disposizioni nazionali esistenti.
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Le varie legislazioni nazionali, in genere, si distinguono dalle similari norme europee di qualità in base al principio ed alle finalità a cui sono ispirate. Le prime, come quelle italiane sopra accennate, sono disposizioni riferite a merce destinata all’esportazione e, quindi, finalizzate all’esigenza di difendere l’immagine del prodotto all’estero e di renderlo competitivo sui mercati internazionali, tenendo presenti gli interessi commerciali degli operatori nazionali, per cui vengono fissati degli standard piuttosto restrittivi concernenti la qualità del prodotto, la presentazione, il condizionamento, i tipi e le caratteristiche costruttive degli imballaggi. Le direttive nazionali, quindi, tendono a valorizzare il prodotto al fine di permettergli di “distinguersi” sui mercati esteri rispetto alla merce concorrente, fissando dei parametri merceologici di livello corrispondente alle caratteristiche produttive del Paese e, quindi, finalizzate indirettamente a promuovere il prodotto. Le indicazioni esterne e la presentazione tendono ad esaltare ed evidenziare l’offerta con “linguaggio” mirato e, di conseguenza, non solo i criteri fissati dalle legislazioni dei vari Paesi presenti sul mercato internazionale non sempre coincidono, ma viene usata una terminologia diversa per prodotti similari o un’indicazione simile per prodotti differenti, creando problemi di identificazione e di agevole interpretazione. La normativa comunitaria, invece, risponde principalmente all’esigenza di difendere gli interessi dei consumatori della Comunità e di fornire loro sufficienti garanzie per metterli in condizione di “sapere” quello che viene acquistato attraverso la semplice lettura delle indicazioni apposte all’esterno degli imballaggi, a prescindere dalla verifica diretta del contenuto, a garanzia del consumatore e degli operatori che rispettano l’applicazione delle norme, difendendoli da concorrenze sleali. Le norme comuni di qualità, comunque, se sono volte ad agevolare, da un lato, le scelte consapevoli del consumatore finale, dall’altro sono finalizzate a tenere nel giusto conto l’interesse economico dei produttori delle varie zone della Comunità, rispondendo a due principi fondamentali: 1. Standardizzazione dell’offerta al fine di immettere sul mercato prodotti dalle caratteristiche
merceologiche
ben
definite
che
forniscano
chiari
elementi 52
d’identificazione all’acquirente comune e precisi orientamenti al produttore, messo in condizione di effettuare razionali scelte sia per il prodotto da mettere a disposizione dell’operatore commerciale che dei circuiti distributivi idonei a rispondere alle esigenze del mercato. 2. Permettere a tutti i Paesi della Comunità di poter operare sul mercato internazionale, anche a quelli che, per condizioni ambientali e socioeconomiche sfavorevoli, hanno uno standard produttivo meno alto, rispetto ad altri più favoriti e con una specializzazione colturale più elevata. Ne consegue che le caratteristiche di qualità previste dalla normativa comunitaria sono commisurate alle esigenze delle zone più sfavorite, fissando dei requisiti minimi al di sotto dei quali non è consentita la commercializzazione dei prodotti all’interno della Comunità, né l’esportazione al di fuori di essa. Agli stessi standard qualitativi devono attenersi gli operatori dei Paesi terzi che intendono esportare nella Comunità, sempre a salvaguardia degli interessi dei produttori e dei consumatori di questa. In generale le legislazione comunitaria risulta, specialmente per i prodotti tipici di zone ad alta specializzazione colturale, meno restrittiva delle corrispondenti disposizioni nazionali, sia nella definizione delle caratteristiche merceologiche di qualità che nelle tolleranze, perché le prime si preoccupano, soprattutto, di garantire un livello minimo di qualità per tutta la massa di prodotto destinato al consumatore europeo, mentre le seconde sono finalizzate a valorizzare frutta e verdura in esportazione. Ne consegue che, se un da un canto, le norme comuni portano ad un appiattimento qualitativo dell’offerta, dall’altro permettono di raggiungere il grande risultato di livellare la massa di merce commercializzata nel mercato comunitario, rendendo tutti i consumatori europei in grado di effettuare le proprie scelte in funzione del diverso potere di acquisto, con la guida di una nomenclatura unica e generalizzata, corrispondente alle caratteristiche merceologiche indicate in etichetta. L’etichettatura riveste, quindi, particolare importanza poiché fornisce all’intera filiera distributiva informazioni precise e facilmente comprensibili per l’identificazione del prodotto, sulla natura e sulle caratteristiche di qualità, sull’origine e sul fornitore, fornendo una “carta di 53
identità merceologica”, scritta con linguaggio univoco e di agevole comprensione, anche per i non esperti del settore. Così la normativa comunitaria dà la possibilità ad ogni operatore di stare sul mercato e posizionarsi nella fascia commerciale compatibile con le proprie disponibilità produttive e, nello stesso tempo, permette ai vari consumatori di effettuare gli acquisti secondo le proprie possibilità economiche. Infatti viene offerta un’ampia possibilità di scelta, a partire da una categoria di “élite”, come la EXTRA, passando ad una categoria <I> di buona qualità ed ad una <II> che definisce un prodotto di qualità inferiore che, comunque, garantisce dei requisiti minimi di commercializzazione. Il produttore, in dipendenza del livello qualitativo che è in grado di raggiungere, può impostare la sua produzione, mentre l’operatore commerciale, in base alla merce di cui può disporre, è messo in condizione di stabilire il livello di selezione e condizionamento più utile e a quali fasce di mercato gli conviene orientare la propria attività distributiva. Significativa è l’indicazione dell’ORIGINE del prodotto in etichetta. Considerato, infatti, che un frutto della stessa specie e varietà presenta caratteristiche differenti in dipendenza della zona di produzione, specialmente quelle organolettiche che vengono influenzate in modo significativo dalle condizioni pedoclimatiche delle diverse aree coltivate, l’indicazione dell’origine rappresenta un mezzo efficace per la difesa della “tipicità” e del suo apprezzamento da parte del consumatore. Mentre l’indicazione dell’origine riferita alla zona di produzione è facoltativa, quelle relativa alla nazionalità del prodotto è obbligatoria, per cui sulle etichette del prodotto italiano deve comparire la dicitura ITALIA, altre indicazioni sulla provenienza regionale o locale sono ammesse a carattere aggiuntivo.
Norme di qualità Le norme comuni di qualità dei prodotti ortofrutticoli, la maggior parte delle quali sono riunite nel REG. CEE 1035/72 e recepite nel Regolamento di applicazione 2251/92, hanno una comune 54
strutturazione, la cui impostazione permette, indipendentemente dalla lingua, di capire le informazioni necessarie per l’identificazione del prodotto e le sue caratteristiche merceologiche. La norma è basata sul principio della garanzia del “minimo”, infatti definisce i requisiti di qualità che i prodotti devono possedere, dopo la selezione ed il condizionamento, fissando le caratteristiche minime generali e quelle specifiche delle singole categorie di classificazione, al di sotto delle quali non possono essere commercializzati.
Caratteristiche minime generali, valide per tutti i prodotti: a) I frutti devono essere puliti, interi, sani, esenti da danni e/o alterazioni dovute al gelo ed, in genere, agli agenti atmosferici che ne compromettono aspetto e serbevolezza e, quindi, si devono presentare privi di corpi estranei visibili e di umidità esterna anormale. b) I frutti devono essere stati raccolti con cura dopo aver raggiunto un grado di maturazione rispondente, per sapore, colorazione, odore ed altri elementi organolettici, alle caratteristiche tipiche della specie, del tipo e della varietà, tenuto conto della zona di produzione e delle esigenze delle operazioni connesse alla lavorazione ed al trasporto della merce e rispondere alle necessità commerciali del luogo di destinazione. c) Sulle caratteristiche organolettiche la norma fa riferimento ai requisiti comuni della varietà, della zona di produzione e dell’epoca di raccolta e, pur nella sua genericità, tale riferimento è un chiaro richiamo al principio della “tipicità” come elemento di identificazione e valorizzazione commerciale del prodotto.
Classificazione Come accennato, in genere i prodotti vengono dividi in 3 categorie di qualità: EXTRA, <I> E <II>, per le quali vengono definite le specifiche caratteristiche, in ordine decrescente, con riferimento ad aspetto esterno, forma, colore, calibro minimo ed altri elementi di valutazione dipendenti dai singoli prodotti, nonché disposizioni relative a condizionamento e presentazione.
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Vengono stabilite le scale di calibro o le pezzature, le tolleranze per singoli difetti e loro cumulo massimo e le possibili forme di condizionamento e presentazione, nonché le indicazioni esterne necessarie. Sull’imballaggio stabilisce soltanto dei criteri generali sul loro uso, al fine di assicurare una presentazione adeguata alla qualità della merce, seguendo il principio basilare della “OMOGENEITÀ” del contenuto di ciascun contenitore. Pertanto, ogni imballaggio deve contenere frutti della stessa specie, varietà, tipo, grado di maturazione, colore, categoria di qualità e calibro, che devono risultare nelle indicazioni esterne, come garanzia di selezione per l’intera filiera distributiva fino al consumatore finale. Per i tipi di imballaggio, ferme restando le disposizioni comuni di carattere generale, viene lasciata ampia libertà di scelta al Paese speditore di definirne le caratteristiche con disposizioni nazionali che, in genere, sono soggette ad una progressiva evoluzione in dipendenza delle mutevoli esigenze dei mercati di destinazione, dei costi di produzione, distribuzione e smaltimento, nonché della disponibilità di nuovi materiali di costruzione. L’imballaggio e la presentazione del prodotto assumono, quindi, un rilevante valore di identificazione e contribuiscono alla sua promozione ed alla valorizzazione dell’immagine sia del singolo speditore che dell’offerta della zona di provenienza.
Regolamento CEE N. 2251/92 Come evoluzione diretta del Reg. 1035/72, di cui recepisce per intero la regolamentazione sulla qualità, il 2251/92 della Commissione del 29 luglio 1992 riunisce in unico corpo ed armonizza le disposizioni relative ai controlli sull’applicazione delle norme di qualità degli ortofrutticoli freschi, definendo i criteri e le modalità in base ai quali accertarne la conformità alla normativa vigente. In detto Regolamento, che costituisce il riferimento di base dell’Organizzazione Comune del Mercato (OCM) per il settore ortofrutticolo, vengono indicati gli organismi competenti designati da ciascuno Stato membro per l’esecuzione dei controlli e le loro competenze, unitamente alle strutture operative necessarie per offrire sufficienti garanzie per la materiale applicazione delle norme.
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Per mettere ordine nel sistema distributivo e definire le figure operative impegnate nella filiera produttivo-distributiva dell’ortofrutta commercializzata allo stato fresco, sancisce l’esigenza dell’istituzione di un apposito REGISTRO degli Operatori e degli Importatori che intervengono durante il ciclo commerciale. All’art.1 del Regolamento 2251/92 viene stabilito che gli Stati membri eseguono i controlli di conformità previsti dal Regolamento CEE n. 1035/72, secondo le disposizioni di esecuzione dopo indicate. Nell’articolo 2 vengono precisati i punti salienti che rappresentano la materia del regolamento, specificando terminologia, attribuzioni e significati per ciascuno di essi, con meticolosità e ricchezza di particolari, come di seguito riportato: CONTROLLO DI CONFORMITÀ, qualsiasi controllo fisico e formalità amministrativa eseguiti da agenti specializzati degli organismi competenti designati dagli stati membri, per verificare la conformità degli ortofrutticoli alle norme comuni di qualità, secondo il metodo e le procedure del regolamento; CONTROLLO D’IDENTITÀ, qualsiasi verifica della corrispondenza tra i prodotti e i documenti o i certificati che li scortano; ORGANISMO COMPETENTE, l’organismo o gli organismi designati da uno Stato membro per l’esecuzione dei controlli di conformità previsti all’art.1; CONTROLLORE, agente abilitato dall’organismo competente ad eseguire il controllo di conformità e in possesso della formazione adeguata; MERCI, quantità di prodotti destinata ad essere commercializzata da un determinato operatore, presentata al controllo. Le merci possono essere identificate da un documento, essere composte da uno o più tipi di prodotti e comprendere una o più partite; PARTITA,
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quantità di prodotto presentata al controllo con le medesime caratteristiche per quanto riguarda: - identità dell’imballatore e/o dello speditore - origine - natura del prodotto - categoria di qualità - varietà o eventuale tipo commerciale - tipo di condizionamento e presentazione - calibro (eventualmente); COLLO, elemento di una partita, individuato dall’imballaggio e dal contenuto; OPERATORE, qualsiasi persona fisica o giuridica che presenta una merce ai fini della commercializzazione sul territorio della Comunità o dell’esportazione verso paesi terzi; IMPORTATORE, qualsiasi persona fisica o giuridica che presenta una merce di provenienza da paesi terzi ai fini dell’introduzione nel territorio doganale della Comunità; LUOGO DI CONDIZIONAMENTO, qualsiasi luogo in cui i prodotti sono soggetti alle operazioni di cernita, calibratura, imballaggio, marcatura ed eventuale magazzinaggio frigorifero; POSTO DI ISPEZIONE FRONTALIERO, qualsiasi posto di ispezione, come porto, aeroporto, posto di controllo stradale o ferroviario, che esegue i controlli all’atto dell’introduzione nel territorio doganale della Comunità. Esso deve essere attrezzato e predisposto ai fini della più efficace e rapida esecuzione dei controlli e dello scambio di informazioni con gli interessati e con gli altri posti di ispezione frontalieri della Comunità; CAMPIONATURA, prelievo di una certa quantità di prodotto (campione) all’atto del controllo di conformità; CAMPIONE ELEMENTARE, campione prelevato da una partita; CAMPIONE GLOBALE, pluralità di campioni elementari rappresentativi di una partita e prelevati in quantità sufficiente ai fini della valutazione globale della partita stessa; CAMPIONE RIDOTTO, 58
quantità rappresentativa di prodotto prelevata da un campione globale e di volume sufficiente ai fini della valutazione della partita in funzione di alcuni criteri. Più campioni ridotti possono essere prelevati da un campione globale. Nell’articolazione successiva le voci sopra indicate vengono approfondite ad una ad una, con precise indicazioni di carattere pratico ed applicativo al fine di conseguire, attraverso l’acquisizione di una terminologia definita, l’uniformità di applicazione delle norme e delle modalità di controllo per verificare la conformità dei prodotti su tutto il territorio dell’U.E. Si può affermare, quindi, che l’applicazione su tutto il territorio dell’Unione Europea delle norme di qualità dei prodotti ortofrutticoli commercializzati allo stato fresco, permette di identificare le caratteristiche merceologiche del prodotto in modo chiaro, uguale ed inequivocabile ad operatori e consumatori che riescono ad esprimere un linguaggio comune, consentendo, così, anche a distanza, di sapere di che prodotti si parla e diventa più facile vendere ed acquistare, superando l’eventuale clima di diffidenza nei rapporti tra le diverse parti contraenti a causa dell’incomprensione reciproca.
Rapporti con i paesi terzi Il Regolamento 2251/92 nel suo articolato passa a trattare dei rapporti con i paesi terzi, disciplinandone i rapporti basati sugli accordi maturati in seno ai lavori del WTO (ex GATT). Considerando che le disposizioni comunitarie si applicano anche ai prodotti importati dai Paesi terzi che sono tenuti a rispettare le norme di qualità comunitarie ed equivalenti e che, quindi, deve essere seguito lo stesso metodo di controllo, nel caso che alcuni dei Paesi esportatori verso la U.E. diano sufficienti garanzie di affidabilità dei propri servizi per l’esecuzione dei controlli alla spedizione, le autorità competenti possono essere riconosciute ufficialmente, dietro loro richiesta. La Commissione, accertato che vengano soddisfatte determinate esigenze e verificate le garanzie offerte dall’organismo di controllo del paese terzo e della sua disponibilità di personale e di attrezzature necessarie all’effettuazione dei controlli di conformità alle norme, può concedere il riconoscimento ufficiale per un periodo di 3 anni.
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Le merci provenienti dai Paesi terzi, il cui servizio ufficiale di controllo è stato riconosciuto dalla Commissione, sono scortate da un certificato di controllo attestante la conformità alle norme di qualità corrispondenti alla classificazione del prodotto, al momento dell’esportazione. Gli organismi competenti degli Stati membri verificano periodicamente la conformità dei prodotti provenienti da tali Paesi terzi e, qualora venga constatato che le merci ricontrollate non sono conformi alle norme di qualità, la non rispondenza viene segnalata dalla Commissione che revoca il riconoscimento concesso. Le merci provenienti dai paesi che hanno ottenuto il riconoscimento del proprio servizio, ma non sono accompagnate da certificato di controllo, o provenienti da un paese terzo, i cui servizi di controllo non sono riconosciuti, prima di essere immesse in libera pratica, cioè commercializzate, nel territorio comunitario, devono essere sottoposte a controllo dall’organismo ufficiale del Paese importatore.
Regolamento U.E. 2200/96 Naturale evoluzione dei Reg. 1035/72 e 2251/92 è il Reg. 2200/96 che disciplina l’organizzazione comune dei mercati (O.C.M.) relativamente ai prodotti ortofrutticoli allo stato fresco, con particolare riferimento alla commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli per i quali sono state fissate norme comuni di qualità, in tutte le fasi commerciali, comprese l’importazione e l’esportazione. All’art. 1 desina i prodotti riguardanti il regolamento elencati secondo la codifica europea, stabilendone negli articoli successivi la classificazione secondo un sistema di norme (per i principali prodotti ortofrutticoli vigono le Norme di qualità e di commercializzazione di cui ai REG. 1035/72 e 2251/92). Passa, quindi, a definire compiti e funzioni delle Organizzazioni dei Produttori, il loro accesso ai finanziamenti comunitari e procedure relative, in genere soggette alla presentazione di programmi operativi validi, di cui vanno definiti obiettivi e strategie, con particolare riferimento agli accordi interprofessionali ed alla aggregazione dell’offerta, anche oltre i confini nazionali o locali.
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Procedere, quindi, ad occuparsi della produzione e trasformazione dei prodotti agricoli con particolare attenzione all’impatto ambientale, per continuare a trattare l’annoso problema delle eccedenze e degli interventi di mercato, gli scambi con i Paesi terzi e controlli nazionali e comunitari congiuntivi, volti alla verifica dell’osservanza delle disposizioni dell’Unione Europea.
Controllo della qualità dei prodotti ortofrutticoli Nonostante la sua prevalente attività nel campo della promozione commerciale, l’ICE attua anche i controlli della qualità di alcuni prodotti agricoli e di quelli ortofrutticoli in particolare. In effetti l’Istituto, così come stabilito dalla legge 23.6.1927 n. 1272 che istituiva il Marchio Nazionale di Esportazione (INE), nasce proprio con il compito primario di ottenere una migliore qualificazione di alcuni prodotti agroalimentari destinati all’esportazione, quali frutta fresca e secca, agrumi ed ortaggi. Tale compito è stato ribadito anche dalle successive leggi di riforma dell’Istituto. In particolare l’art. 6 del D.P.R. n. 49 del 18/1/1990 ha previsto l’istituzione, all’interno dell’ICE di una Sezione Agricola Speciale con funzioni in materia di controlli sulla qualità di alcuni prodotti agricoli e di valorizzazione all’estero dei prodotti del settore agroalimentare. Anche l’attuale legge di riforma n. 68 del 25 marzo 1997 ed il successivo regolamento dello Statuto dell’ICE n. 474 dell’11.11.97 confermano che l’ICE
“effettua la promozione e
l’assistenza delle aziende del settore agroalimentare, nonché i controlli di qualità su prodotti ortofrutticoli, ai sensi della normativa vigente”. L’attività di controllo agricolo, espletata dal personale tecnico dell’ICE, interessa, al momento, i seguenti comparti: 1) Controllo di qualità per circa 40 prodotti ortofrutticoli commercializzati all’interno del mercato comunitario (incluso quello nazionale), in esecuzione di specifiche normative comunitarie (in particolare il Reg. CEE n. 2251/92 concernente i controlli sulla qualità degli ortofrutticoli freschi ed il Reg. CE n. 2200/96 relativo all’organizzazione comune dei mercati nel settore degli ortofrutticoli) e della corrispondente legislazione nazionale (DM n. 339/92, 72/93 e 393/95) che individua quali Organismi incaricati dei controlli, l’AIMA (con compiti amministrativo-gestionali) e l’ICE (con compiti di 61
controllo), prevedendo anche che i due Enti stipulino apposita convenzione per il rimborso delle spese sostenute dall’Istituto; 2) Controllo sistematico per i prodotti di cui sopra destinati e di provenienza dai paesi extracomunitari e per l’esportazione di altri 6 prodotti disciplinati da specifica normativa nazionale; 3) Applicazione della sanzionistica relativa ai punti 1) e 2) che discende da due diversi disposti legislativi, che prevedono procedure e modulistica differenti; 4) Controllo di qualità del riso, contrassegnato dal marchio INE, diretto all’export (R.D.L. 486 del 1928) e, dal 1981, anche del riso inviato in aiuto alimentare ai PVS; 5) Controllo import/export per fiori freschi recisi e verde ornamentale, in conformità ai Reg. CEE 234/68, 315 e 316/68, nonché ai D.M. 10.2.1976 e D.M. 20.10.1979; 6) Controlli fitosanitari su ortofrutta in export dietro convenzione con alcune Regioni (attualmente con Emilia Romagna, Veneto e Lombardia); 7) Controlli di qualità sul formaggio Pecorino romano e Pecorino siciliano esportati verso gli Usa ed il Canada (legge n. 106 del 10.3.1969 e successivo DM 10.12.69 che fissa le modalità per l’esecuzione dei controlli); 8) Controllo di tipo documentale sui vini destinati all’export verso gli Stati Uniti, Messico e Canada, per verificare la conformità della etichettatura alla norma UE, italiana ed americana; 9) Controllo sulla qualità del luppolo, previsto dal DM 2.7.81 del MINCOMES, in applicazione del REG:CEE n. 1646/78, limitato all’accertamento dei requisiti minimi per la sua importazione; 10) Controllo delle banane in importazione in esecuzione del Reg. CE 2898/95 e della nota n. E/597 del MIRAAF del 14.6.1996, con cui viene designato l’ICE quale organismo di controllo; 11) Formazione ed assistenza professionale degli operatori dell’intera filiera ortofrutticola, al fine del miglioramento qualitativo globale dei prodotti commercializzati.
Attività di controllo Da quanto sopra, appare un’attività complessa che pone obblighi ben precisi all’Istituto discendendo da impegni normativi a carattere rigido o, comunque vincolanti; in particolare, il settore ortofrutticolo, che rappresenta il comparto preminente dell’attività di controllo della rete periferica, presenta aspetti differenti a seconda della destinazione dei prodotti.
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I controlli all’esportazione comportano un numero annuo di oltre 55.000 controlli per l’ortofrutta, mentre circa 12.000 riguardano fiori verde ornamentale, effettuati in una innumerevole quantità di punti operativi sparsi sul territorio nazionale, mentre i controlli all’importazione
(ca. 2500 di ortofrutticoli, 12.000 di prodotti floricoli, 1000 di banane)
risultano concentrati in pochi porti ed aeroporti (soprattutto Savona, Genova, Livorno, Salerno, Ravenna, Trieste, Milano-Linate e Roma-Fiumicino). I controlli di conformità dei prodotti ortofrutticoli commercializzati nel mercato interno (UE) prevedono l’effettuazione di n. 150.000 controlli nelle diverse fasi (dalla spedizione alla distribuzione) e sono regolati da apposita convenzione con l’AIMA che per il triennio 1995-98 stabiliva un rimborso spese per l’ICE di 13,5 miliardi per campagna. Detti controlli vengono svolti dal personale della Rete Italia dell’Istituto in esecuzione di uno specifico programma concordato ed approvato dall’apposita Commissione ministeriale, suddiviso su base territoriale, tenuto conto delle realtà produttive e commerciali nelle zone di spedizione e del sistema distributivo nelle maggiori aree di consumo. La corretta esecuzione del programma concordato in seno alla citata Commissione ministeriale e la regolare produzione documentale, costituiscono la condizione indispensabile per poter percepire il rimborso finanziario da parte dell’AIMA, mentre la regolare applicazione della normativa comunitaria sulla commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli in ambito comunitario e nazionale, può rappresentare per lo Stato italiano la possibilità di sfuggire alla terza penalizzazione da parte della Commissione Europea. Il servizio di controllo, operante all’interno dell’Area Prodotti Agroalimentari, compatibilmente con le esigenze di razionalizzazione ed ottimizzazione delle risorse, contenimento dei costi e modernizzazione del servizio, deve far fronte alle incombenze dei controlli obbligatori all’esportazione ed all’importazione dei prodotti ortofrutticoli, agli impegni contrattuali assunti dall’ICE nei confronti con l’AIMA e di alcune Regioni ed agli adempimenti riguardanti altri comparti merceologici freschi e trasformati (formaggi, vino, riso), nonché alla formazione delle aziende e procedere alla programmazione per un prossimo futuro di un servizio per la certificazione della qualità dei prodotti agroalimentari. L’attuale organico della rete Italia comprende n. 134 tecnici di cui 40 agronomi e 94 periti agrari, la maggior parte dei quali presta servizio nei 16 uffici regionali della rete Italia, ed altrettanti Punti di controllo, aperti in sostituzione degli uffici provinciali, chiusi a seguito della 63
legge di Riforma dell’Istituto n. 68 del 25 marzo 1997 ed il successivo regolamento dello Statuto dell’ICE, n. 474 dell’11.11.97. Sono
principalmente
impegnati
nell’attività
di
controllo
di
qualità
dei
prodotti
ortoflorofrutticoli, gestita, per gli adempimenti amministrativi e per l’organizzazione del servizio, da 6 Coordinatori tecnici, con competenza su altrettanti aree interregionali, di seguito elencate, con relative sedi: 1. Area Nord-Ovest:
Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia
Genova
2. Area Nord-Est:
Veneto, Trentino A.A., Friuli Venezia Giulia
Verona
3. Area Centro-Nord:
E. Romagna, Toscana, Marche
Bologna
4. Area Centro:
Lazio, Abruzzo, Molise, Umbria
Roma
5. Area Centro-Sud:
Campania, Puglia, Basilicata
Napoli
6. Area Sud-Isole
Calabria, Sicilia, Sardegna
Reggio Calabria
Tutta l’attività di controllo viene coordinata a livello centrale dalle 3 linee tecniche dell’Area Prodotti Agroalimentari della sede di Roma, operanti in stretta collaborazione con Coordinatori tecnici dell’Area, sia a livello generale che nell’ambito di funzioni e singoli compiti specifici; in particolare: Linea Controlli di qualità, con particolare compito di provvedere alla gestione dell’attività di controllo; Linea Normative, preposta alla cura della produzione ed aggiornamento della normativa vigente a livello comunitario e nazionale; Linea Prodotti agricoli, demandata alla gestione degli Albi nazionali degli Esportatori ortoflorofrutticoli ed al Servizio Ispettorato sulle modalità di esecuzione dei controlli di qualità a livello nazionale, nonché alla promozione dei prodotti ortoflorofrutticoli.
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CAP 6: APPLICAZIONE DELLE NORME DI QUALITÀ COMUNITARIE E NAZIONALI
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LA NORMA DI QUALITA’ COME FATTORE DI COMPETITIVITA’ PER I PRODOTTI ORTOFRUTTICOLI Il settore ortofrutticolo occupa tradizionalmente una posizione di assoluto rilievo nell’economia agricola italiana, sia in termini di superficie investita (1,6 milioni di Ha, pari al 9,4% della SAU -superficie agricola utilizzata-), che di valore della produzione (28 milioni di ton per un valore di oltre 17.700 miliardi di lire, pari a circa il 30% della PLV agricola nazionale), nonché in termini di riflessi economici sull’intera filiera per ciò che riguarda le attività di tipo commerciale e industriale (mezzi di produzione, trasformazione, ricerca, imballaggi, ecc.) a monte e a valle del processo produttivo. In ambito comunitario l’Italia rappresenta il 1° produttore in assoluto con circa 28 milioni di ton, sul piano mondiale si colloca al 2° posto dopo gli USA. Mediamente la produzione italiana rappresenta il 27-28% della produzione UE ed il 4% di quella mondiale. Non mancano pertanto i presupposti per attribuire a questo settore un’importanza strategica per l’economia agricola italiana. Alla produzione ortofrutticola sono attive ben 1,1 milioni di aziende, che rappresentano il 36% del complessivo numero (3 milioni) di aziende agricole italiane. In termini quantitativi, dopo la rapida crescita verificatasi negli anni ‘50 e ’60 in coincidenza con la parallela espansione della domanda sia estera che interna, la produzione italiana, tenuto conto delle variazioni fisiologiche, a partire dagli anni ’70 si è stabilizzata su un livello di 27-30 milioni di ton. In questo settore il Paese copre abbondantemente il proprio fabbisogno (il grado di auto approvvigionamento raggiunge mediamente il 118%), accresce le disponibilità per l’export e contribuisce con circa il 30% alla formazione dei saldi attivi dell’agroalimentare (ortofrutta, vino e prodotti dell’industria agroalimentare) e mediamente con il 12% alla riduzione del saldo strutturale negativo della bilancia agroalimentare. Il saldo commerciale è sempre positivo (1.068.390 ton nel 1998), ma con tendenza alla graduale riduzione: -3,2% in quantità nel 1998 rispetto al 1997. Il saldo è passato infatti da 1,8 milioni di ton del 1995 a 1,6 nel 1996, a 1,1 nel 1997 e a 1,0 nel 1998, mentre in termini di valore è sceso rispettivamente da 1,8 a 1,5 ed a 1,3 miliardi di lire. Un segnale che prospetta future preoccupazioni per il settore.
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Evoluzione della produzione ortofrutticola italiana……… (000 ton) 2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
Frutta fresca
8.193
7.851
9.848
8.878
8.858
8.101
8.856
8.239
Agrumi
2.906
3.344
3.653
3.709
2.935
3.446
3.125
3.203
Frutta in guscio
220
273
216
200
223
220
211
223
Ortaggi
16.710 16.875 17.191 15.908 16.218 15.827 17.132 16.902
Ortofrutticoli tot.
28.029 28.342 30.908 28.696 28.235 27.594 29.324 28.567
Fonte. Istat
……..e di quella comunitaria (000 ton) 2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
Frutta fresca
52.174 45.475 58.761 50.217 49.874 46.705 52.102 48.407
Agrumi
9.057
Ortaggi e patate
98.151 94.831 100.208 98.040 93.698
Ortofrutticoli
159.382 149.200 169.064 157.854 152.974 149.978 163.637 152.379
8.894
10.095 9.597
9.402
8.983 8.853
8.193
94.290 102.682 95.779
Fonte: FAO
L’evoluzione del sistema distributivo L’evoluzione dei trasferimenti mondiali degli ultimi anni ha messo in evidenza 3 fenomeni molto importanti: 67
Una progressiva crescita degli scambi e dei consumi, che in virtù degli accordi WTO prospetta ulteriori incrementi futuri; La tendenza a concentrare i flussi verso i Paesi più industrializzati, ai quali è destinato infatti oltre l’80% del volume commercializzato a livello mondiale. Considerando che l’Unione Europea a 15 rappresenta in effetti l’area maggiormente industrializzata, su questa si concentra la maggior parte delle offerte con un’incidenza di ben 2/3 degli scambi mondiali del settore. Lo sviluppo della Grande Distribuzione nei principali Paesi consumatori ha via via prodotto profondi cambiamenti nei sistemi di commercializzazione. La domanda nella maggior parte dei Paesi industrializzati, oltre a crescere in termini quantitativi, è diventata sempre più esigente sul piano della qualità e dei servizi. A livello distributivo si è registrata una marcata concentrazione delle imprese attraverso la creazione di joint ventures, che hanno dato vita a grandi gruppi commerciali i quali curano gli approvvigionamenti all’ingrosso (centrali d’acquisto) per la G.D. e/o per la vendita al dettaglio. Si tratta di veri e propri colossi che sono in grado di controllare gran parte del mercato, assumendo così una posizione di oligopolio. Queste organizzazioni, specialmente nei Paesi ad economia più avanzata, sono andate via via acquisendo un crescente potere contrattuale, tale da consentire di far prevalere le proprie esigenze sugli operatori a monte della filiera, contrattualmente più deboli. Tende così inesorabilmente a sparire il piccolo fruttivendolo sotto casa per dare spazio alle grandi superfici dei supermercati, ipermercati, discount, hard discount, cash and carry, che rendono il mercato sempre più concorrenziale e globalizzato, nel quale la partita si gioca esclusivamente sugli elevati standards qualitativi, sul rapporto qualità/prezzo, sugli ampi assortimenti, sulla continuità delle forniture, sul rigoroso rispetto dei tempi di consegna e sui servizi che accompagnano e/o seguono il prodotto. I servizi contribuiscono in maniera determinante al successo delle offerte in quanto producono un importante valore aggiunto al prodotto e ne rafforzano la competitività nei confronti della concorrenza. I servizi sono sempre più richiesti ed apprezzati dagli acquirenti e possono incidere in maniera determinante sulla propensione all’acquisto, contribuendo efficacemente a formare la qualità totale.
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Nel formulare le richieste al proprio fornitore oggi si tende a non parlare più della conformità del prodotto alla norma di qualità, perché questa esigenza è ormai data per scontata, ma si insiste sulla richiesta di un prodotto con elevato contenuto di servizi per accrescerne la competitività. L’offerta di conseguenza non può più sfuggire alle ferree regole di una precisa programmazione degli acquisti messa oggi in atto dal sistema distributivo. Inoltre le grandi imprese della G.D., per resistere ai propri concorrenti, sono giocoforza obbligate a selezionare i propri fornitori in funzione delle loro capacità di offrire il prodotto alle migliori condizioni e nei tempi richiesti. Il fornitore incapace di soddisfare tali esigenze è fatalmente destinato ad uscire dal sistema e dal mercato. La logica di un siffatto sistema spinge indubbiamente la G.D. ad accrescere sempre più il proprio potere contrattuale ed a conquistare nuovi spazi per non indebolire la propria competitività. Oggi la G.D. detiene quote di mercato elevatissime (dal 70 al 90%) in Germania, Olanda, Belgio, Francia, ecc., dove le prime 6 o 7 imprese sono in grado di controllare i ¾ del mercato, mentre in Italia la G.D. pur progredendo si attesta intorno al 40%.
Le problematiche dell’offerta italiana Nonostante i molti aspetti positivi del settore ortofrutticolo italiano, esso è costretto a muoversi in un groviglio di problematiche di carattere strutturale che coinvolge sia la produzione che il commercio e che spesso frenano il processo evolutivo del settore, per il quale sono necessarie adeguate ed urgenti soluzioni. Di fronte ad una domanda progressivamente più forte, concentrata ed esigente, la necessità di dover aggregare adeguatamente l’offerta, appare assolutamente inderogabile. Ma mentre in diversi Paesi si sono fatti progressi in questa direzione, grazie soprattutto all’efficacia dell’interprofessione (vedi l’esempio dell’Olanda e della Francia), in Italia la struttura dell’offerta, salvo poche lodevoli eccezioni, è caratterizzata da una staticità che permane pressoché invariata da alcuni decenni, quando il nostro Paese rappresentava ancora il primo esportatore mondiale di ortofrutta, mentre oggi è relegato al 4° posto, dopo gli USA, Olanda, Spagna e attualmente sta per essere superato anche dalla Francia, proprio a causa della perdita di competitività delle proprie offerte. 69
Le cause di tale grave regresso, che produce negativi effetti anche sul mercato nazionale, vanno ricercate nelle problematiche che affliggono il settore e nelle carenze delle politiche adottate fino ad oggi per riconquistare la competitività. Vi è inoltre da sottolineare la pressoché inesistente interprofessione di filiera. Luci ed ombre caratterizzano dunque il settore, il quale, pur giocando un’importante ruolo nell’economia agricola italiana, evidenzia non pochi problemi che riguardano sia la produzione che il commercio; problemi che hanno assunto un carattere strutturale e che necessitano di cure radicali ed efficaci. A livello produttivo la struttura aziendale è estremamente polverizzata ed i costi sono troppo elevati per reggere la concorrenza. Il parco varietale, in particolare nel comparto agrumicolo, necessita di un’adeguata riconversione, di estendere il calendario di commercializzazione (la Spagna esporta arance fino ad agosto) e di ricondurre la coltivazione all’interno del suo alveo naturale: l’area vocata; diversamente il prodotto ben difficilmente potrà essere orientato al mercato. La scarsa propensione all’associazionismo, specie al Sud, aggrava il problema dei costi di produzione ed allontana il sistema italiano dai modelli avanzati del centro-nord Europa. La debolezza delle strutture produttive non consente la indispensabile concentrazione dell’offerta. Molte delle associazioni di produttori hanno un peso poco rilevante sul mercato e spesso anziché integrarsi entrano in concorrenza l’una contro l’altra. L’assenza di un’adeguata pianificazione della produzione per corrispondere alle esigenze del mercato, lascia spazio alla spontaneità ed alla improvvisazione tra i singoli produttori, le cui scelte finiscono spesso con il produrre eccedenze e deludere i mercati nazionali ed internazionali. Anche nella commercializzazione prevale il fenomeno della frammentazione. La scarsa concentrazione dell’offerta rappresenta spesso uno dei maggiori punti deboli del settore. Il solo commercio all’ingrosso è in mano ad un miriade di imprese (oltre 15.000) che operano per lo più a livello regionale o provinciale, con scarso potere contrattuale nei confronti della G.D.O. nazionale ed estera.
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Agli attori del commercio all’ingrosso si aggiungono anche diverse migliaia di piccoli e piccolissimi produttori, i quali in virtù del D.M. 393/95 hanno scelto di commercializzare direttamente la loro produzione assumendo così lo status di operatori. Anche nel commercio, salvi pochi lodevoli esempi di concentrazione, non piacciono le alleanze tra operatori; ciò lievita i costi, favorisce i conflitti commerciali e riduce la competitività dell’offerta avviata al mercato. Da un’inchiesta condotta alcuni anni fa dall’ICE sul mercato tedesco è emerso che la G.D. locale per acquistare 100 camions di prodotti in Italia ha bisogno di presentare circa 30 richieste di offerta a diversi fornitori, mentre per acquistare la stessa quantità in Spagna o in Francia ne bastano solo 10. E’ di tutta evidenza che in tale situazione l’acquirente tedesco, o di altri Paesi importatori, opererà una selezione dei fornitori perché anche la possibilità di razionalizzare
gli
approvvigionamenti e di ottimizzare i tempi e le risorse umane impiegate costituisce un importante elemento di competitività per la distribuzione moderna e può risultare determinate nella scelta del fornitore. Frequentemente emerge una carenza di equilibrio armonico tra offerta e domanda. L’offerta che arriva sui mercati appare spesso scoordinata e quantitativamente maggiore della domanda. Ciò, anziché aiutare il mercato, favorisce l’accumulo di eccedenze che appesantiscono il mercato, deprimono i prezzi e riducono la remuneratività delle vendite. I mali che hanno portato il settore alla realtà attuale, nella quale vediamo contemporaneamente un incremento tendenziale in valore alle importazioni (+3,9% nel 1998) ed una contrazione dei volumi in export (-1,2% nel 1998), non sono soltanto quelli attuali, ma anche quelli risalenti a qualche decennio fa. Già negli anni 60 e 70 la p.a.c. (politica agricola comune), se da un lato perseguiva lodevoli obiettivi, come quello di assicurare un reddito agli agricoltori, dall’altro per oltre un ventennio aveva fatto lievitare la spesa agricola a tal punto da assorbire la quasi totalità del bilancio comunitario, le cui conseguenze hanno portato a gravi distorsioni che hanno poi favorito la formazione di eccedenze di produzione ed hanno reso necessarie ulteriori spese per il ritiro e la distribuzione di tali eccedenze.
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Un meccanismo perverso che assunse un carattere strutturale per oltre un ventennio, al quale la CEE cercò di rimediare con misure di contenimento, ma in tanto in alcuni Stati membri (in particolare Italia e Grecia) il fenomeno aveva prodotto danni gravissimi, inducendo di fatto i produttori a stravolgere il concetto di ritiro, che dai più veniva interpretato non più come strumento per eliminare le eccedenze e le distorsioni sul mercato, bensì come obiettivo di produzione e come e vero sbocco di mercato parallelo alla vera commercializzazione. Le conseguenze di questo nefasto meccanismo pesano certamente ancora oggi sul settore, che soffre tuttora del retaggio della “cultura della non qualità” diffusasi in quel periodo, ma che ancora oggi mortifica la competitività dell’offerta italiana. L’antico antagonismo tra il mondo produttivo e quello commerciale italiano ha spesso ostacolato un’adeguata integrazione, che invece è necessaria per orientare la produzione al mercato. Anche tra produzione e commercio è necessaria una interdipendenza funzionale che consenta di unire tutti i soggetti della filiera e di modulare le funzioni per meglio rispondere alle sollecitazioni del mercato (interprofessionale). Produzione e commercio devono in sostanza costantemente interagire tra loro come due organi di uno stesso corpo, così come vuole anche lo spirito della nuova o.c.m (organizzazione comune di mercato). Così anche il sistema “tara merce” e le vendite in “conto commissione”, finalizzate spesso alle speculazioni, hanno fatto nascere molti avventurieri che hanno danneggiato l’immagine del made in Italy. Questi metodi oggi non hanno più avvenire. Oggi il mercato si orienta con successo verso una maggiore trasparenza attraverso la vendita “a collo” con garanzia del peso netto. L’offerta italiana deve abbandonare la sua vecchia impostazione basata sulla frequente saltuarietà ed improvvisazione delle forniture e sulla speranza nelle disgrazie altrui. Essa deve orientarsi verso un nuovo approccio basato sulla organizzazione e programmazione delle forniture, raccordata ad una pianificazione della produzione in funzione della domanda espressa dal mercato. Il settore va in sostanza ripensato in termini di interprofessione di filiera. Esempi efficaci di una perfetta integrazione in questo senso ce li offrono:
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L’Olanda dove tutti i produttori sono associati e commercializzano la produzione attraverso le aste, che sono sinonimo di perfetta standardizzazione, severi controlli, qualità costante e sicuro successo sul mercato, La Francia, dove dal 1983 l’Oniflhor ha dato vita ad una forte ed efficiente interprofessione di filiera per ogni singolo prodotto o gruppi di prodotti. All’Italia basterebbe copiare i buoni esempi degli altri. In sostanza la indispensabile crescita qualitativa del prodotto italiano, in un’epoca in cui i mercati si orientano verso la loro internazionalizzazione e globalizzazione, è stata mortificata dalle carenze strutturali del sistema produttivo e commerciale ed è stata ancora più frenata dal ventennale ritardo nell’applicazione delle norme di qualità sul prodotto commercializzato nel mercato nazionale. Infatti già dalla fine degli anni ’60, mentre gli altri Stati membri si adeguavano puntualmente alle disposizioni imposte dalla CEE in materia di controllo qualitativo sul mercato nazionale (Regolamento 2638/69), l’Italia, coincidentia oppositorum, non ha assolto il proprio dovere per oltre due decenni, fino al completamento del mercato unico europeo (1993). L’inadempienza è costata all’Italia ben due sanzioni amministrative (sentenza 322/82 del 1983 e sentenza 69/86 del 1987) comminate dalla Corte di Giustizia europea, ma ancor più gravi sono le conseguenze che il nostro Paese paga tutt’oggi: mentre nel resto della CEE si avviava efficacemente il processo di standardizzazione delle offerte, la non applicazione delle norme di qualità sul mercato italiano si è tradotta in una mancata acquisizione di una cultura della qualità da parte dei soggetti attivi nella produzione e nel commercio sul mercato nazionale. Ciò ha influito nel corso degli anni negativamente anche sulla qualità del prodotto (benché normalizzato) avviato oltre confine, rendendolo sempre meno competitivo di fronte alla crescente concorrenza internazionale. Il divario qualitativo tra le offerte italiane e quelle degli altri Stati membri è andato assumendo crescenti proporzioni, tali da relegare l’Italia dal 1° posto (anni 60 e 70), al 3° dopo Olanda e Spagna, tra i Paesi comunitari esportatori. Il regresso italiano diviene ancor più grave se si considera che si è verificato in un periodo (anni 70 e 80) in cui si è assistito ad una crescita degli scambi internazionali e dei consumi nei Paesi europei importatori, sul mercato dei quali l’offerta italiana, anziché conquistare nuovi spazi ha 73
segnato il passo e per alcune specie (limoni, cavolfiori, peperoni, ecc.) ha fatto registrare enormi regressi spingendosi verso il margine del mercato.
Evoluzione dell’export di alcune specie ortofrutticole (volumi medi annuali in 000ton) 1964-66
71-73 78-80 85-87 93-95 95
96
97
Arance
162
116
128
165
148
145
126
100
Mandarini
32
9
8
6
13
10
12
10
Limoni
350
280
204
136
43
62
54
39
Mele
523
426
369
394
456
530
449
514
Pere
192
291
188
79
143
132
180
135
Cavolfiori
142
129
82
58
94
125
27
17
Cipolle
47
54
94
57
46
59
53
53
Insalate
94
87
56
90
45
63
54
47
Fagiolini
28
27
26
3
4
5
2
2
Pomodori
38
15
20
19
86
114
123
133
Peperoni *
*
48
82
48
10
11
10
9
Agli
11
12
8
5
6
7
7
7
* prodotto non ancora soggetto a controllo qualitativo Fonte: elaborazione ICE su dati Istat
Inoltre si è avvertito un calo di competitività del prodotto italiano anche sul mercato nazionale, sul quale è andata crescendo la domanda verso i prodotti di importazione, che dai volumi trascurabili degli anni 80 ha raggiunto i 2 milioni di ton nel 1992 e 2,2 milioni nel 1998 per un valore di 3.240 miliardi. Le cause di questo fenomeno sono da ricercare principalmente nel fatto che, nonostante l’abbondante offerta indigena sul mercato nazionale, i prodotti eteri fanno presa sul consumatore italiano e si affermano grazie al loro elevato standard qualitativo, alla impeccabile presentazione ed alla perfetta identificazione attraverso una corretta e completa etichettatura. 74
A dimostrazione di questo trend occorre aggiungere che l’import non coinvolge tanto una tipologia di prodotti complementari all’offerta italiana (es. ananas, avocado, mango, ecc.) o di prodotti in contro stagione il cui import sarebbe giustificato, quanto un gruppo di specie tipicamente mediterranee (pomodori, peperoni, arance, clementine, limoni, ecc.) che dovrebbero avere maggiori difficoltà di penetrazione sul nostro mercato tenuto conto dell’enorme offerta indigena. Essi riescono invece ad entrare in diretta competizione con le offerte italiane, dalla quale queste ultime ne escono sconfitte per insufficienza di requisiti qualitativi e/o di identificazione e/o di valore aggiunto.
Evoluzione dell’import di alcuni prodotti mediterranei (000 ton) 1977
1987
1989
1991
1993
1995
1996
1997
Pomodori
2
12
19
40
41
32
57
30
Peperoni
1
12
20
20
35
36
40
38
Arance
*
*
*
*
31
41
57
64
Limoni
*
*
*
*
17
18
28
41
Clementine
5
5
4
5
15
42
38
40
di cui da (quote % del 1995): pomodori:
Spagna 69, Belgio 15, Olanda 10, Francia 5
peperoni:
Spagna 81, Olanda 11, Francia 3, Germania 1
arance:
Spagna 87, Francia 5, Olanda 4, Grecia2
limoni:
Spagna 75, Olanda 17, Francia 5, Portogallo 3
clementine:
Spagna 91, Francia 7, Olanda 1, Germania 1
* divieto di importazione (anche dai Paesi UE) per motivi fitosanitari. Fonte: elaborazione ICE su dati Istat
Gli agrumi rappresentano forse il segmento più emblematico per quanto riguarda le debolezze strutturali dell’offerta italiana: export in calo (da 248.000 ton del 1996 si è passati a 197.000 nel 1997 e a 202.000 nel 1998), import in ascesa (da 164.000 ton del 1996 è salito rispettivamente a 195.000 e a 216.000). Nel 1995 gli agrumi acquistati all’estero 75
corrispondevano in quantità a poco più della metà di quelli esportati; nel 1997 l’import ha pressoché raggiunto il volume esportato; mentre in termini di valore il sorpasso è già avvenuto nel 1994 e da un anno all’altro l’incremento medio dell’import viaggia ad una media intorno al 50%. La situazione si è ulteriormente aggravata dal luglio 1999 a causa della liberalizzazione dell’import di agrumi dai Paesi terzi. L’interscambio commerciale evidenzia anche che mentre la quota di esportazione ortofrutticola si attesta mediamente sul 13% della produzione, la corrispondente quota del segmento agrumi si dimezza (7% circa) rispetto alla media complessiva ed il consistente volume di agrumi diretto al mercato nazionale (circa 2 milioni di ton di fresco) non riesce ad arginare i crescenti flussi d’importazione, che nel 1998 ci sono costati ben 250 miliardi. Tenuto conto del fatto che la barriera fitosanitaria è già caduta in luglio 1999 con il D.M. 8 luglio 1999 che recepisce la direttiva UE 1999/53, il pericolo di un’esplosione dell’import di agrumi a partire dalla campagna 1999/2000 va preso in seria considerazione per le conseguenze sul piano economico e sociale che ne potrebbero derivare, soprattutto in ambito regionale. Un quadro ben poco esaltante per un Paese che si colloca al 2° posto nella produzione agrumicola europea.
Gli organismi internazionali di normalizzazione Le considerazioni fin qui esposte indicano che la concorrenza sul mercato non la si vince facendo leva sul prezzo, abbassandolo, ma elevando la qualità ed il valore aggiunto dell’offerta, per i quali il consumatore è disposto a pagare qualcosa in più (sul mercato italiano i pomodori spagnoli, belgi e olandesi, le clementine spagnole, i cavolfiori di Bretagna, ecc, raggiungono quotazioni pressoché doppie rispetto a quelle delle corrispondenti offerte italiane), ma non è disposto ad acquistare un prodotto privo di requisiti minimi, neanche ad un prezzo stracciato. Ragion per cui oggi più che mai il settore ortofrutticolo italiano ha bisogno di far luce sulle sue dense ombre e di recuperare il terreno perduto. Oggi più che mai diviene urgente incrementare la diffusione della cultura della qualità sul mercato globalizzato, per non soccombere di fronte alla concorrenza estera. Un grosso e determinante contributo in questa direzione proviene dalle norme di qualità, le quali rappresentano un importante ed incisivo fattore di competitività per essere vincenti sul mercato. Della norma di qualità si iniziò a parlare con la fine della seconda guerra mondiale allorquando la ripresa degli scambi internazionali di prodotti agricoli fece avvertire la necessità di 76
regolamentare la commercializzazione per consentire al consumatore di acquistare i prodotti secondo i propri gusti e le proprie disponibilità economiche, sulla base di un equilibrato rapporto qualità/prezzo senza essere indotto in inganno. Si iniziò così ad affrontare le problematiche sulla qualità anche per i prodotti ortofrutticoli, definendo per ogni singola specie di parametri di selezione, calibrazione, condizionamento, presentazione ed identificazione riconosciuti a livello internazionale. Gli organismi internazionali che si occupano di normalizzazione sono: La Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite (ECE/ONU) che ha sede a Ginevra. Le norme elaborate dall’ECE/ONU rappresentano il più importante punto di riferimento normativo al mondo. Esse sono applicate su base volontaria in fase di esportazione negli scambi internazionali. All’ECE/ONU aderiscono 68 Paesi. Il CODEX ALIMENTARIUS, un organismo creato negli anni ’60 per volontà della FAO e dell’OMS. Il Codex ha sede a Roma presso la FAO, conta 165 Paesi aderenti. La sua attività di normalizzazione è riferita agli aspetti igienico-sanitari dei prodotti agroalimentari. Produce 2 tipologie di documenti: a)
il codice d’uso, cioè una guida di comportamento per assicurare che i prodotti conservino le condizioni di qualità ottimali dalla partenza all’arrivo, allo stoccaggio ed alla distribuzione;
b)
standards di qualità e sanità che prevedono prescrizioni per l’impiego di determinate sostanze additive (es.: pesticidi, conservanti, ecc.) sui prodotti immessi in commercio, per la loro etichettatura, ecc.
L’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). Ha sede a Parigi e raggruppa 24 Paesi membri. Opera nella standardizzazione dell’ortofrutta dal 1960 e produce delle brochures interpretative partendo dai testi di norma ECE/ONU, che vengono arricchite con fotografie che evidenziano le prescrizioni qualitative, il limite accettabile per un determinato difetto, ecc., allo scopo di poter orientare l’operatore verso una corretta interpretazione ed applicazione della norma. L’UNIONE EUROPEA, ha iniziato l’attività di normalizzazione nel 1962 adottando il Regolamento 23, che ha avviato la graduale realizzazione del mercato unico europeo per gli ortofrutticoli. L’Italia aderisce a tutti i citati organismi. Mentre le norme ECE/ONU, Codex ed OCSE sono di tipo raccomandativo e si applicano all’export, quelle della UE sono obbligatorie in tutti i 15 Stati membri e si applicano in tutte le fasi della commercializzazione, sia nel mercato unico europeo che nell’interscambio con i Paesi terzi. 77
Gli obiettivi che questi organismi hanno inteso perseguire attraverso la normalizzazione dei prodotti ortofrutticoli sono: definire la qualità commerciale degli ortofrutticoli e garantirla attraverso i controlli; assicurare un adeguato reddito ai produttori; valorizzare le loro produzioni e facilitarne la commercializzazione; eliminare dal mercato quei prodotti di qualità scadente, che potrebbero turbare il mercato stesso; adeguare la produzione alle esigenze del consumatore ed orientare l’offerta al mercato; armonizzare attraverso le norme il linguaggio dei vari soggetti della filiera, per consentire una interpretazione univoca della norma e pari opportunità per tutti i soggetti del mercato; facilitare gli scambi internazionali, razionalizzare la distribuzione e mettere a disposizione dei consumatori prodotti di qualità definita e ad un prezzo equilibrato.
La norma di qualità L’elaborazione di una norma parte da un modello di norma base denominata norma quadro, un testo a carattere orizzontale che va sotto il nome di “Protocollo di Ginevra sulla standardizzazione dei prodotti ortofrutticoli”, predisposto dall’ECE/ONU. Dovendo facilitare gli scambi, la norma quadro tiene conto delle diverse situazioni produttive che per taluni prodotti (es. le mele) possono avere estremamente variabili, giacché la coltivazione può avere luogo in una vasta gamma di fasce climatiche. Del resto i parametri utilizzati, per poter raggiungere gli obiettivi fissati dagli organismi normalizzatori, devono essere di facile interpretazione e la loro applicazione deve essere accessibile a qualsiasi tipologia di operatore, anche il più piccolo. La norma di qualità, pertanto, non rappresenta uno strumento rigido e non penalizza nessuno, bensì si propone come una indispensabile guida per orientare il prodotto al mercato. Essa è di facile interpretazione ed applicazione da parte di tutti i soggetti che operano lungo la filiera ortofrutticola. La norma offre all’operatore la possibilità di raggiungere facilmente lo standard qualitativo che il mercato richiede e gli assicura il collocamento del prodotto. Essa diviene così anche un efficace strumento per gestire il mercato, in quanto contribuisce al mantenimento del suo equilibrio e della sua trasparenza, prevenendo inutili speculazioni e pericolose distorsioni. Inoltre favorisce la libera concorrenza e tende, grazie alla maggiore trasparenza del mercato, a 78
migliorare i prezzi corrisposti al produttore, ad evitare possibili contenziosi ed a ridurre le perdite. Gli obiettivi della trasparenza sul mercato e la prevenzione di azioni speculative si realizzano grazie al fatto che le diverse offerte che si incontrano sul mercato si esprimono con un linguaggio comune, trasparente e comprensibile a tutti: il linguaggio della norma di qualità. Così anche a distanza è facile capire di che frutta si parla ed è più facile venderla. Se un importatore di Berlino chiede al fornitore di Latina 30 ton di Kiwi di cat. I e calibro 70, o l’acquirente di Stoccolma chiede a Bolzano 50 ton di mele, cat. II, cal. 70-75, nonostante i due interlocutori si servono delle rispettive lingue nazionali, si ci intende senza difficoltà alcuna e senza dovere necessariamente vedere la merce, poiché tutti i soggetti grazie alla norma parlano la stessa lingua. Nella Comunità Europea il processo di normalizzazione inizia nel contesto della organizzazione comune di mercato (ocm), messa in atto con l’obiettivo di fissare delle regole comuni da applicare in modo univoco in tutti gli Stati membri. L’ocm è stata avviata nel 1962 con il Regolamento 23 che ha creato le basi per la graduale realizzazione del mercato unico dei prodotti ortofrutticoli. Successivamente tali regole sono state integrate con il Regolamento 1035 del 1972 e nel 1996 con il Regolamento 2.200 per aggiornare le regole comuni in funzione dell’evoluzione dei mercati. L’organizzazione comune di mercato stabilisce, tra l’altro, che: i prodotti ortofrutticoli destinati al consumatore possono essere classificati in base ad un sistema di norme comuni, il detentore pro-tempore dei prodotti per i quali sono adottate delle norme può commercializzare tali prodotti soltanto se conformi alle relative norme in qualsiasi fase della commercializzazione. Egli è responsabile della conformità, le indicazioni previste dalla norma in materia di etichettatura devono essere riportate su uno dei lati dell’imballaggio, per verificare se i prodotti normalizzati sono conformi in qualsiasi fase di commercializzazione, gli organismi designati eseguono il controllo di conformità. Sulla base di queste regole fondamentali nell’Unione Europea dal 1962 ad oggi sono state adottate 33 norme di qualità che si riferiscono a circa 36 prodotti ortofrutticoli. Ma a livello internazionale sono disponibili 48 norme elaborate dall’ECE/ONU di Ginevra, ciascuna delle quali si riferisce ad un singolo prodotto. Tali norme, come noto, si applicano negli scambi internazionali nella fase di esportazione.
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Delle 48 norme ECE/ONU oggi esistenti, 33 sono quindi state adottate anche in sede UE. Tra le restanti norme ECE/ONU ve ne sono alcune che rivestono una notevole importanza per l’Italia (per broccoli e finocchi l’Italia ha il primato della produzione in Europa), quali ad esempio:
Broccoli
Noci in guscio
Castagne
Patate novelle
Cavolo rapa
Patate da consumo
Finocchi
Rafano
Mandorle in guscio
Ravanelli
Vi sono inoltre altri prodotti, quali il Radicchio ed i Loti, per i quali sarebbe utile dotarsi di specifiche norme UE per valorizzare l’offerta italiana sui mercati di consumo. Per i radicchio ed i loti non esistono norme ECE/ONU, ma soltanto vecchie norme elaborate in sede nazionale. E’ pertanto auspicabile che a Bruxelles si possa presto avviare la discussione sull’elaborazione di queste norme. La norma di qualità stabilisce i requisiti minimi di qualità commerciale che i prodotti devono possedere per essere immessi nei circuiti commerciali, requisiti relativi al grado di maturazione, all’igiene, alla sanità, all’integrità, all’assenza di difetti di forma e di sviluppo, ecc. E’ assolutamente necessario quindi rispettare una condizione minimale perché: il prodotto che non possiede i requisiti minimi fissati dalla norma non può essere commercializzato, la condizione è appunto minimale e non esaustiva perché allorquando il prodotto conforme viene immesso sul mercato, la sfida si gioca sui requisiti qualitativi aggiuntivi che vanno aldilà di quelli minimi (es.: azzeramento delle tolleranze, perfetta omogeneità di forma e di colore dei frutti, commercializzazione di prodotti delle classi di calibro superiori escludendo per es. la cat. II, ecc.) e sui servizi, i quali costituiscono un importante valore aggiunto che consente all’offerta di diventare competitiva e vincente sul mercato. La norma di qualità fissa tre livelli diversi di qualità attribuendo ad essi altrettante categorie differenziate: la “Extra”, che rappresenta l’eccellenza del prodotto, destinata a chi è disposto a pagare un elevato prezzo, la categoria “I” con caratteristiche qualitative che pure si attestano su un elevato livello qualitativo, la categoria “II”, con un livello qualitativo inferiore, ma nel rispetto almeno dei requisiti minimi. 80
Altrettanto importanti nella norma sono le prescrizioni relative alla calibrazione. In genere per ogni prodotto è fissata una scala di calibrazione e l’operatore deve identificare il calibro corrispondente al suo prodotto ed indicarlo in etichetta. Poiché la norma non vuole essere rigida e vincolante, ma intende dare a tutti gli operatori la possibilità di accedere al mercato, essa prevede determinate tolleranze sia sui requisiti qualitativi, sia sul calibro, che sono differenziate in funzione della categoria di qualità. Non meno importante è il rispetto del parametro “omogeneità” del prodotto. Il contenuto di ogni imballaggio deve essere omogeneo e deve comprendere prodotti della stessa origine, varietà, categoria di qualità, calibro e deve avere un grado di maturazione uniforme. Inoltre la parte visibile del contenuto dell’imballaggio deve essere rappresentativa dell’insieme: vale a dire che il prodotto condizionato negli strati inferiori deve essere identico a quello dello strato superiore. E’ appena il caso di ricordare che la famigerata pratica dell’accoppatura, che trova purtroppo molti sostenitori specialmente in Italia e che ha per lungo tempo mortificato la competitività e l’immagine del prodotto italiano, rappresenta un pessimo esempio di standardizzazione e spinge l’offerta verso il margine del mercato. Sul mercato non c’è spazio per questa dannosa pratica. Accoppare significa darsi la zappa sui piedi. Tra le finalità importanti del processo di standardizzazione c’è anche la identificazione del prodotto che si palesa attraverso l’etichettatura. Gli elementi indicati in etichetta costituiscono una vera e propria carta di identità del prodotto posto in vendita. Il potenziale acquirente può così essere informato dell’origine del prodotto, dello speditore, della variètà, categoria, calibro, ecc., e può così stabilire un giusto rapporto qualità/prezzo e decidere a ragion veduta sull’acquisto. Quando alla qualità del prodotto si affiancano una buona presentazione, l’omogeneità e l’identificazione si costruisce anche l’immagine, che valorizza ulteriormente il prodotto, lo qualifica, ne esalta il gradimento da parte del consumatore ed incide positivamente sulla sua propensione all’acquisto. Quando alla qualità del prodotto si affiancano una buona presentazione, l’omogeneità e l’identificazione si costituisce anche l’immagine, che valorizza ulteriormente il prodotto, lo qualifica, ne esalta il gradimento da parte del consumatore ed incide positivamente sulla sua propensione all’acquisto. L norma di qualità, in definitiva, costituisce uno strumento essenziale per la valorizzazione dei prodotti ortofrutticoli. Essa non va pertanto interpretata come elemento di disturbo per l’operatore, bensì deve essere vista nella sua giusta ottica di strumento di marketing, di guida verso il mercato, nonché di regolatore del mercato stesso, giacché attraverso l’eliminazione 81
del commercio del prodotto scadente si assicura il collocamento di quello conforme, si garantisce la trasparenza delle contrattazioni ed un più elevato reddito ai produttori ed agli operatori della filiera. Prima di concludere, dopo aver esaminato le non poche ombre che si addensano nel panorama ortofrutticolo italiano, è il caso di porre l’accento su un aspetto del settore che, una volta tanto, prospetta un’importante evoluzione positiva per il comparto: la concentrazione dell’offerta. Dopo molti decenni del secolo appena trascorso caratterizzati da una serie di problematiche di tipo strutturale a carico sia della produzione, che del commercio (polverizzazione delle aziende produttrici, associazionismo pressoché inesistente, assenza di programmazione della produzione in funzione del mercato, assenza di equilibrio tra offerta e domanda, antagonismo tra produzione e commercio, ecc.) nei tempi recenti il settore ortofrutticolo italiano si sta orientando verso una vera svolta che rappresenterà un vero salto di qualità verso la concentrazione dell’offerta. Le o.p (organizzazioni dei produttori), che rappresentano gli elementi portanti della nuova o.c.m. (organizzazione comune dei mercati) ortofrutticola, della quale garantiscono, al loro livello, il funzionamento decentrato, possono consentire di far si che ad una domanda sempre più concentrata, si realizzi un adeguato raggruppamento dell’offerta all’interno di tali organizzazioni di produttori. Così nell’ambito del POM (Programma Operativo Multiregionale), di cui al Regolamento UE 2081/93, Obiettivo1, l’offerta italiana di ortofrutticoli si orienta verso la concentrazione e la gestione in forma aggregata per meglio corrispondere alle esigenze attuali del mercato, con particolare riferimento alla G.D.O. Per fronteggiare efficacemente i fattori che frenano lo sviluppo delle produzioni agricole, in particolare quelle del Meridione, si sono costituite recentemente le MOC (Macro Organizzazioni Commerciali), le quali rappresentano efficaci strumenti di filiera nell’ambito dell’obiettivo 1. La MOC rappresenta un vero e proprio organismo interprofessionale in quanto comprende al suo interno i produttori, i trasformatori, i distributori e le società di servizi, i cui compiti si riferiscono alla organizzazione, programmazione e valorizzazione-qualitativa e commerciale della produzione. I principali obiettivi della MOC, in antitesi alla frammentazione dell’offerta, sono: coordinare le azioni dei singoli soci dalla fase di programmazione a quella della commercializzazione del prodotto in funzione della richiesta del mercato;
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integrare la filiera tra produttori, operatori commerciali, industriali ed erogatori di servizi; programmare la produzione quali-quantitativa per adeguarla alla richiesta del mercato, in particolare della GDO; realizzazione di strutture atte a gestire in modo ottimale la produzione aggregata; elaborazione di disciplinari di produzione per qualificare l’offerta e garantirla anche sul piano della sicurezza igienico-sanitaria; implementare un sistema di garanzie per la tutela dell’ambiente. Le MOC attive nel settore ortofrutticolo riconosciute dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali sono le seguenti 7: CMPOVERDE MOC s.r.l.
Policoro (MT)
MOC CIRO s.r.l.
Scafati (SA)
MOC MEDITERRANEO s.r.l.
Policoro (MT)
MOC MERIDIANA s.r.l.
Stornara (FG)
ORTOSARDA MOC s.r.l.
Cagliari
UNACOA s.p.a.
Battipaglia (SA)
UNO MOC s.p.a.
S. Genn. Vesuviano (NA)
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CAP 7: SERVIZIO DI CONTROLLO
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IL CONTROLLO DEI PRODOTTI ORTOFRUTTICOLI: FINALITA’, NORMATIVA E MODALITA’ DI ESECUZIONE. I Prodotti ortofrutticoli allo stato fresco commercializzati nell’Unione Europea (originari dei Paesi membri, importati, esportati) sono soggetti a norme comuni di qualità che discendono da appositi regolamenti. La necessità di fissare le norme di qualità è nata dall’esigenza di instaurare una politica agricola comune che realizzasse un equilibrio tra offerta e domanda dei prodotti, tenendo conto anche degli scambi con i Paesi terzi e, nel contempo, eliminasse dal mercato prodotti di qualità non soddisfacente, orientasse le produzioni in modo da soddisfare le esigenze dei consumatori garantendo anche un equilibrato rapporto qualità/prezzo e facilitasse le relazioni commerciali sulla base di una concorrenza leale, contribuendo in tal modo a migliorare la redditività della produzione. Nell’Unione Europea il processo di normalizzazione inizia nel contesto della organizzazione comune di mercato (OCM), messa in atto dalla CEE con l’obiettivo di fissare delle regole comuni da applicare nella stessa misura in tutti gli Stati membri. L’OCM del settore ortofrutticolo è stata avviata con il Regolamento 23 del 1962, il quale ha creato le prime basi per la graduale realizzazione del mercato unico dei prodotti ortofrutticoli. Una serie di successivi regolamenti ha provveduto ad integrare l’OCM, fino ad arrivare al regolamento quadro 1035 del 1972, che fino al 1996 ha costituito la base che regolava il settore in quanto prevedeva le norme comuni in materia di concorrenza, un regime dei prezzi e di interventi ed un regime di scambi con i paesi terzi. Con l’emanazione del Regolamento (CE) n. 2200/96 del 28 ottobre 1996, relativo all’organizzazione comune dei mercati nel settore degli ortofrutticoli, si è inteso tener conto degli svariati fattori di cambiamento intervenuti nel frattempo e che stanno delineando una nuova situazione del settore ortofrutticolo, alla quale i produttori devono adeguarsi. Detto regolamento non modifica sostanzialmente quanto previsto nel 1035, almeno per la parte relativa alla normativa ed alla commercializzazione dei prodotti; si ritiene quindi opportuno riportare i capitoli del Titolo I “Norme comuni” e quindi confrontarli con le modifiche apportate dal reg. n. 2200. Art. 2 L’art. 2 del Reg. 1035/72 stabilisce che per i prodotti destinati al consumatore allo stato fresco possono essere fissate norme di qualità per singolo prodotto o per gruppo di prodotti. Tali 85
norme possono comportare categorie di qualità III. Possono essere altresì fissate norme di qualità per prodotti destinati alla trasformazione industriale. Il Consiglio decide quali prodotti debbono formare oggetto di norme di qualità. Art. 3 Paragrafo 1. L’art. 3 stabilisce che quando sono state fissate norme di qualità, i prodotti ai quali esse si applicano non possono essere esposti per la vendita, messi in vendita, venduti, forniti o commercializzati in altro modo, all’interno della Comunità se non sono conformi a dette norme. Gli Stati membri possono non sottoporre all’obbligo di conformità alle norme di qualità o a determinate loro disposizioni: - I prodotti esposti per la vendita, messi in vendita, venduti, forniti o commercializzati in altro modo dal produttore nei luoghi di vendita all’ingrosso, in particolare i mercati alla produzione, situati nella zona di produzione; - I prodotti avviati da questi luoghi di vendita all’ingrosso verso centri di condizionamento e d’imballaggio o centri deposito situati nella stessa zona di produzione. 2.Non sono soggetti all’obbligo di conformità alle norme di qualità all’interno di uno Stato membro: a) I prodotti venduti o forniti dal produttore a centri di condizionamento e d’imballaggio o a centri di deposito o avviati dall’azienda del produttore verso tali centri; b) I prodotti avviati dai centri di deposito verso i centri di condizionamento e d’imballaggio. 3.Non sono soggetti all’obbligo di conformità alle norme di qualità: a) I prodotti avviati verso le industrie di trasformazione, salvo eventuale fissazione di norme di qualità per i prodotti destinati alla trasformazione industriale; b) I prodotti ceduti al consumatore per il suo fabbisogno personale da parte del produttore nell’azienda di quest’ultimo. 4.Per i prodotti di cui al paragrafo 2 e 3 lettera a), deve essere fornita la prova che essi rispondano alle condizioni previste, in particolare per quanto riguarda la loro destinazione. Art. 6 L’art. 6 stabilisce che le indicazioni previste dalle norme di qualità per quanto concerne le indicazioni esterne devono figurare a caratteri leggibili e indelebili su uno dei lati 86
dell’imballaggio o mediante stampatura diretta o mediante etichetta saldamente fissata al collo. Per le merci spedite alla rinfusa caricate direttamente su un mezzo di trasporto, tali indicazioni devono figurare su un documento che accompagna la merce o su una scheda collocata in modo visibile all’interno del mezzo di trasporto. Art. 7 L’art. 7 stabilisce ch nella fase della vendita al minuto, quando i prodotti sono offerti nell’imballaggio, le indicazioni esterne previste devono essere esposte in modo visibile. Per i prodotti presenti in imballaggi preconfezionati, ai sensi della direttiva 79/112/CEE, deve essere indicato il peso netto, oltre a tutte le menzioni previste dalle norme comuni di qualità. Tuttavia, per i prodotti venduti abitualmente al pezzo, l’obbligo di indicare il peso netto non si applica se il numero dei pezzi può essere chiaramente visto e facilmente contato dall’esterno o, in caso contrario, se tale numero è indicato sull’etichetta. (Reg. 1603/91). I prodotti possono non essere presentati nell’imballaggio purché il rivenditore al minuto apponga sulla merce messa in vendita un cartello sul quale figurino in caratteri molto visibili le indicazioni previste dalle norme di qualità relative: - alla varietà; - all’origine del prodotto; - alla categoria di qualità. Art. 8 L’art. 8 stabilisce che per verificare se i prodotti per i quali sono state fissate norme di qualità siano conformi alle disposizioni degli articoli da 3 a 7, viene effettuato un controllo di conformità con il metodo del sondaggio, in tutte le fasi della commercializzazione, nonché durante il trasporto, da parte degli organismi di controllo designati da ciascuno Stato membro. Tale controllo deve essere effettuato preferibilmente prima della partenza dalle zone di produzione, all’atto del condizionamento o del carico della merce. Gli Stati membri comunicano agli altri Stati membri e alla Commissione UE gli organismi da essi designati ad effettuare il controllo. Art. 9 Stabilisce che le disposizioni degli articoli da 3 a 8 si applicano ai prodotti importati nella Comunità, dopo l’espletamento delle operazioni che devono essere effettuate all’importazione in conformità delle isposizioni comunitarie esistenti in materia. 87
Qualora essi siano commercializzati nell’imballaggio di origine, i prodotti originari o in provenienza dai Paesi terzi diversi dai Paesi terzi europei o dai Paesi non europei del bacino del Mediterraneo, non sono soggetti, in materia di indicazioni esterne, all’obbligo di conformità con le disposizioni previste dalle norme di qualità, salvo per quanto riguarda l’indicazione: - della varietà; - del paese di origine; - della categoria di qualità. Qualora tali indicazioni non figurino sui colli ammessi all’importazione, le operazioni tecniche connesse alle indicazioni esterne vengono effettuate dall’importatore. Tuttavia, quest’ultimo può essere dispensato da detto obbligo, se il primo acquirente al quale egli rende la merce si impegna ad effettuare dette operazioni, sotto il controllo del servizio competente dello Stato membro importatore. Art. 10 L’art. 10 prevede che la Comunità possa adottare misure volte a garantire l’uniforme applicazione delle disposizioni previste nel presente titolo ( I - Norme comuni), in particolare in materia di controllo. Queste misure possono comprendere, per i prodotti destinati ad essere importati nella Comunità, il riconoscimento dei servizi ufficiali di controllo del Paese terzo esportatore. I costi risultanti dai controlli decisi dalla Commissione sono a carico della Comunità (Reg. n. 1156/92). Art. 11 L’art. 11 prevede che i prodotti per i quali sono fissate norme di qualità siano ammessi all’importazione in provenienza dai Paesi terzi solo se sono conformi alle disposizioni delle norme di qualità concernenti le categorie “extra”, “I” o “II” o a norme per lo meno equivalenti. La Commissione prende le misure necessarie per l’applicazione del presente articolo. Art. 12 L’art. 12, infine, stabilisce che i prodotti per i quali sono fissate norme di qualità sono ammessi all’esportazione verso i Paesi terzi solo se sono conformi alle disposizioni delle norme di qualità concernenti le categorie “extra”, “I” o “II”. Lo Stato membro esportatore sottopone i prodotti destinati all’esportazione verso i Paesi Terzi a un controllo di qualità prima che passino la frontiera. Il nuovo Reg. (CE) n. 2200/96, alo Titolo I “Classificazione dei prodotti” apporta le seguenti modifiche: 88
Art. 2 Conferma che i prodotti destinati al consumatore allo stato fresco possono essere classificati in base ad un sistema di norme. Per tutti gli ortofrutticoli elencati nell’allegato I vengono adottate norme di qualità, con uno schema che tiene conto delle norme CEE/ONU. Fino all’adozione di nuove norme continuano ad applicarsi le norme definite conformemente all’art. 2 del 1035. La Commissione può inserire altri prodotti nell’elenco indicato all’allegato I. Art. 3 Conferma che il detentore dei prodotti per i quali sono adottate norme può esporre tali prodotti per la vendita, metterli in vendita, venderli, consegnarli o altrimenti commercializzarli all’interno della Comunità soltanto se sono conformi a dette norme. Egli è responsabile dell’osservanza di tale conformità. Il secondo comma ricalca quello del reg. precedente. Lo stesso vale per il paragrafo 2 e 3. Al punto 3 viene però aggiunto un comma c) che recita “previa decisione della Commissione presa su richiesta di uno Stato membro, i prodotti di una regione determinata venduti al dettaglio in tale regione per soddisfare un consumo locale tradizionalmente notorio”, non sono soggetti all’obbligo di conformità alle norme. (Di tale deroga si è avvalsa per prima l’Italia che ha chiesto ed ottenuto che i carciofi, venduti nelle regioni di produzione, non fossero soggetti all’obbligo della confezione in cassette e con stelo lungo al massimo 10 cm. Dal febbraio 1997 è quindi possibile commercializzarli in mezzi e con stelo lungo fino a 30 cm). Art. 4 (5 nel precedente Reg.). Prevede, in caso di penuria o eccesso di produzione dei prodotti normalizzati, l’adozione di misure derogatorie all’applicazione delle norme stesse, per un periodo limitato. Art. 5 e 6. Corrispondono ai precedenti 6 e 7 e ribadiscono l’obbligo di riportare le indicazioni previste dalle norme di qualità in maniera leggibile e visibile su uno dei lati dell’imballaggio (normalmente testata), mediante stampatura o etichetta. Per la merce alla rinfusa le indicazioni devono essere riportate su un documento che accompagna la merce o mediante scheda nel mezzo di trasporto. Nella fase di vendita al minuto, se sono offerti nell’imballaggio, le indicazioni devono essere presentate in modo chiaro e leggibile; per i prodotti preconfezionati, tutte le 89
menzioni devono essere riportate ed in più il peso netto, tranne per quelli venduti a pezzo. Se i prodotti sono venduti senza l’imballaggio, occorre che sulla merce venga esposto un cartello riportante le indicazioni previste dalla norma e relative a: - varietà; - origine del prodotto; - categoria. Art. 7. Stabilisce che per verificare se i prodotti sono conformi alle norme, gli organismi designati eseguono un controllo di conformità per sondaggio, in tutte le fasi della commercializzazione e durante il trasporto. Tale controllo va eseguito, di regola, prima della partenza dalle regioni di produzione, all’atto di confezionamento o del carico della merce. Art. 8 e 9. Stabiliscono, rispettivamente, che l’importazione dei prodotti provenienti dai paesi terzi o l’esportazione fuori della comunità e ammessa solo se i prodotti sono conformi alle norme di qualità. Tutte le partite devono essere controllate, e, se ritenute conformi, deve essere rilasciato apposito certificato di conformità. Sulla base di queste regole fondamentali, nella Comunità Europea dal 1962 ad oggi sono state adottate norme di qualità per una quarantina di prodotti. Per consentire l’armonizzazione delle proprie norme con quelle in vigore nel commercio internazionale, la CEE, nell’elaborazione dei testi di norma, ha preso a riferimento la norma quadro, nota come “Protocollo di Ginevra sulla standardizzazione dei prodotti ortofrutticoli”, elaborata precedentemente dall’ECE/ONU e accettata da tutti i Paesi membri.
Prodotti Ortofrutticoli normalizzati nell’Unione Europea: Ortaggi: agli, asparagi, carciofi, carote, cavolfiori, cavoli di Bruxelles, cavoli cappucci e verzotti, cetrioli, cicoria Witloof, cipolle, fagiolini, lattughe, indivia riccia e scarola, melanzane, peperoni dolci, piselli, pomodori, porri, sedani da costa, spinaci, zucchine.
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Frutta: agrumi (arance, limoni, mandarini, clementine), albicocche, avocadi, ciliegie, cocomeri, fragole, kiwi, mele e pere, meloni, pesche e nettarine, prugne, uva da tavola, banane. In ambito nazionale sono state, altresì, fissate norme speciali tecniche per l’esportazione relativamente ai seguenti prodotti: Castagne, finocchi, loti, mandorle sgusciate, patate, radicchio. In considerazione ai sensi dell’art. 8 del Reg. 1035/72, che si deve accertare, mediante un controllo di conformità per sondaggio, se gli ortofrutticoli per i quali vigono norme di qualità rispettino effettivamente tali norme, il 29 luglio 1992 la CEE ha emanato il Reg. 2251/92 che riunisce, modifica ed abroga precedenti disposizioni in materia. Il regolamento è entrato in vigore il primo gennaio 1993, in concomitanza con l’abolizione delle frontiere intracomunitarie e quindi con l’istituzione del mercato unico. Il regolamento riunisce in un unico corpo le disposizioni comunitarie precedentemente vigenti in materia di controllo degli ortofrutticoli e detta nuove regole relative principalmente: 1) ai metodi di controllo(art. 3); 2) all’esecuzione del controllo di conformità per gli ortofrutticoli prodotti nelle Comunità (art. 4); 3) ai controlli di conformità per gli ortofrutticoli alla importazione nella Comunità (art. 8, 9); 4) al controllo dei prodotti destinati all’industria (art. 10). Più in particolare per quanto attiene alle disposizioni che riguardano i metodi di controllo, il regolamento stabilisce le procedure che i controlli devono seguire per l’identificazione della partita da ispezionare, per il prelevamento del campione, per l’esame del prodotto, per il rilascio del certificato di controllo. Per l’esecuzione del controllo di conformità degli ortofrutticoli normalizzati e commercializzati all’interno della Comunità o esportati verso i Paesi extracomunitari, prevede l’obbligo da parte degli operatori di notificare all’organismo di controllo le spedizioni che intendono effettuare. Vengono esentati gli operatori che, in possesso di requisiti particolari, godono di un regime speciale (art. 6 del Regolamento). La notifica consente all’organismo designato di effettuare i controlli che, per quanto riguarda i prodotti destinati ai mercati comunitari, vengono eseguiti con il metodo del “sondaggio” mentre per i prodotti in esportazione per i paesi terzi vengono eseguiti in maniera sistematica, ossia vengono controllate tutte le partite oggetto di spedizione. 91
Per gli ortofrutticoli normalizzati e importati nella Comunità, il regolamento prevede che siano tutti sottoposti ai controlli per l’accertamento dei requisiti di conformità, ai fini del rilascio del certificato di controllo che consente la loro immissione in libera pratica nell’ambito dei Paesi comunitari. Vengono, comunque, previsti casi di esenzione dai controlli quando la merce viene importata da Paesi i cui servizi di controllo siano stati ufficialmente riconosciuti dalla Comunità. All’attualità, tuttavia, non è stata perfezionata, da parte comunitaria, alcuna procedura di riconoscimento. Per quanto riguarda, infine, i prodotti destinati alla trasformazione industriale, il regolamento dispone che tutti gli ortofrutticoli normalizzati, sia di origine comunitaria che provenienti da paesi terzi, debbano essere accompagnati da un certificato di destinazione industriale rilasciato dall’organismo di controllo dei paesi di produzione o di importazione che ne invia copia anche alo servizio di controllo del Paese dove dovrà avvenire la trasformazione. A tale servizio l’impresa di trasformazione dovrà inviare successivamente il certificato con l’annotazione dell’avvenuta trasformazione. Il Reg. 2251/92 dispone, inoltre, all’art. 5, che gli Stati membri designano uno o più organismi competenti responsabili dell’esecuzione dei controlli di conformità. Lo Stato italiano, con DM del 09.02.1993, n. 72 dell’allora Ministero dell’Agricoltura e Foreste, ha designato, per quanto riguarda gli ortofrutticoli commercializzati in ambito CEE, l’AIMA (con comp0iti prevalentemente amministrativi e gestionali) e l’ICE (con il compito dell’attività di controllo, mentre per quanto attiene agli ortofrutticoli destinati o provenienti dai Paesi terzi extracomunitari ha confermato l’ICE quale unico organismo competente per l’esecuzione dei controlli di qualità, come già previsto dall’art. 7 della legge 106/89 e dal relativo statuto applicativo (art. DPR 18 gennaio 1990 n. 49). Al riguardo, è importante mettere in risalto che l’ICE ha sempre svolto tale attività di controllo a partire dal 1927, anno in cui, con legge n. 1272 del 23 giugno, venne istituito il Marchio Nazionale obbligatorio per l’esportazione della frutta fresca e secca, degli agrumi e degli ortaggi. E’ da evidenziare, tuttavia, che l’esecuzione dei controlli di conformità sui prodotti commercializzati nel mercato comunitario non può ancora essere considerata a regime poiché la legislazione nazionale non ha previsto un sistema sanzionatorio ad hoc né, nelle more della messa a punto degli altri strumenti previsti dal regolamento (Registro degli operatori, esenzione dal controllo e dalla notifica per gli operatori che godono di regimi speciali, ecc.) l’applicazione della inadeguata sanzionistica prevista dalla legge 268/67 (Lit. 30.000 in caso di
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oblazione) può costituire una remore per la messa in conformità dei prodotti ortofrutticoli, almeno per quelli esitati sui mercati interni. Diversamente è accaduto per i controlli relativi ai prodotti commercializzati da e per i Paesi terzi per i quali è stato possibile applicare le norme sanzionatorie previste dalla legge n. 864 del 2.5.1938. Per essi l’ICE ha, quindi, potuto espletare la propria attività attraverso prassi e procedure consolidate. A partire da agosto ’96, comunque, l’ICE ha iniziato a comminare le prime sanzioni amministrative anche per i prodotti esitati sui mercati interni dell’UE ed i risultati sono stati decisamente positivi: a tutti i livelli di commercializzazione è aumentato l’interesse per la messa a norma dei prodotti, si sono intensificate le richieste di chiarimenti e di informazione sulla normativa, notifica di spedizione, iscrizione al Registro degli Operatori, ecc. L’AIMA, da parte sua, ha accelerato i tempi per l’approntamento del Registro ed ha cominciato ad assegnare i primi numeri all’inizio di settembre. L’ICE si è fatta parte attiva distribuendo tali numeri direttamente agli operatori. Non appena costoro entrano in possesso del numero di iscrizione al Registro degli Operatori, è possibile attivare le procedure per l’esenzione dal controllo e dalla notifica (art. 6 del Reg. CEE n. 2251/92). A tale riguardo l’ICE ha stabilito criteri e procedure per concedere l’esenzione; le prime ditte sono state esentate nel gennaio 1997 ed a tutt’oggi (gennaio 2000) circa 115 operatori possono fregiarsi di tale elemento che consente loro di distinguersi dalle molte migliaia di altri fornitori di prodotti. Per l’effettuazione dei controlli l’ICE opera una programmazione per quanto riguarda il numero, la quantità ed il tipo di prodotto. E’ una programmazione a livello di Uffici periferici con la quale si tiene conto anche dell’esistenza o meno di particolari produzioni o importazioni nonché del periodo in cui si verificano. E’ questa una previsione di attività poggiata in prevalenza sui dati relativi alle campagne di controllo effettuate negli anni precedenti ma che tiene conto anche degli andamenti stagionali così come pure del grado di attività del mercato internazionale. Tale programmazione viene coordinata al centro dell’Area Prodotti Agroalimentari – Linea Controlli di Qualità, che in tal modo pianifica l’attività dei 33 Uffici e Punti di Controllo periferici in relazione ai controlli che vengono previsti e al personale tecnico di cui dispongono in pianta organica e che, data la stagionalità delle produzioni in alcune zone, può essere temporaneamente movimentato per far fronte ad accresciute necessità operative derivanti dalla entità dei flussi commerciali. Questo aspetto di impostazione del lavoro è molto importante perché mira ad assicurare un intervento immediato e sistematico: immediato in quanto strettamente correlato alla 93
deperibilità dei prodotti da controllare e sistematico poiché la normativa per i prodotti in importazione o esportazione comporta l’obbligo del controllo e della certificazione di tutte le partite. Diverso il discorso per i controlli effettuati in ambito comunitario. Essendo previsto che questo si svolga a sondaggio ed avendo l’ICE, per gli aspetti amministrativi e finanziari, stipulato apposita convenzione con l’AIMA, per ogni campagna di commercializzazione, è stato possibile fissare un numero di controlli da svolgere alla spedizione per i mercati nazionali, alla spedizione per i mercati degli altri Paesi membri, nella fase di distribuzione del prodotto (prevalentemente sui mercati all’ingrosso e presso i grossisti fuori mercato). Per l’effettuazione di tutta l’attività di controllo, l’ICE si avvale al presente di circa 130 tecnici (laureati o diplomati in discipline agrarie, iscritti ai rispettivi ordini professionali) coadiuvanti da personale amministrativo di supporto. Le procedure di controllo prendono l’avvio allorché gli operatori o gli importatori, in ottemperanza a quanto disposto dal Reg. (CEE) n. 2251/92, notificano all’Ufficio ICE competente per territorio tutte le informazioni necessarie all’identificazione della partita di ortofrutticoli che intendono commercializzare. La notifica di spedizione di cui trattasi deve essere fatta con un preavviso di almeno 24 ore o, in via eccezionale, a termine abbreviato e deve contenere gli elementi di identificazione del prodotto nonché l’indicazione precisa del luogo, data ed ora in cui le operazioni di spedizione o di sdoganamento verranno effettuate. A tale riguardo è necessario far presente che il citato regolamento comunitario definisce per “operatore” qualsiasi persona fisica o giuridica che commercializza ortofrutticoli sui mercati interni o verso i Paesi terzi, mentre per “importatore” la persona fisica o giuridica che presenta una merce in provenienza da Paesi terzi ai fini dell’introduzione nel territorio doganale dell’Unione Europea. Il riconoscimento di appartenenza ad una o entrambe tali categorie si ottiene mediante iscrizione in apposito registro istituito secondo le disposizioni di cui all’art. 12 bis del già citato DM 72/93 attuativo del Reg. 2251/92. Tuttavia, poiché le procedure di istituzione di tale registro, di acquisizione e istruttoria delle domande di iscrizione non sono state ancora del tutto perfezionate, l’importazione è consentita a tutti gli imprenditori commerciali, mentre per l’esportazione devono produrre una documentazione con la quale dimostrano di aver chiesto l’iscrizione nel Registro degli operatori all’AIMA – Azienda di Stato per gli interventi sul mercato agricolo – incaricata della loro gestione.
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E’ richiesta l’iscrizione nell’Albo nazionale degli Esportatori di prodotti ortofrutticoli ed agrumari, istituito con legge n. 31 del 25.01.1996, per coloro che vogliono esportare i 6 prodotti per i quali sono previste norme speciali tecniche, a valenza nazionale. Il controllo per i prodotti in importazione è solitamente effettuato presso le frontiere doganali indicate dall’importatore con la notifica inviata all’Ufficio ICE competente, mentre per le merci in esportazione i controlli vengono eseguiti nel luogo ove la merce è caricata sul mezzo di trasporto (magazzini di condizionamento dell’operatore, scali ferroviari, porti, aeroporti). All'atto della presentazione della merce al controllo, l'esportatore esibisce una distinta di carico redatta su apposito modello predisposto dall'ICE dalla quale risultano: la denominazione e sede della ditta, gli estremi identificativi del mezzo di trasporto, il luogo e la data del carico, la destinazione e l'indicazione del prodotto e de!le sue caratteristiche quali-quantitative (numero di colli, peso, tipo di imballaggio, categoria di qualità e di calibrazione). Il controllo, previa identificazione della partita, viene eseguito mediante valutazione di un campione globale risultante dall'insieme di campioni elementari prelevati a caso e che si presume sia rappresentativo dell'intera partita. Esso comprende, in particolare:
una valutazione del condizionamento e della presentazione del prodotto per quanto riguarda la conformità e la pulizia dei materiali utilizzati per l'imballaggio;
una verifica della rispondenza della etichettatura alle prescrizioni delle norme di qualità del prodotto;
una verifica della conformità del prodotto ai parametri previsti alla norma di qualità.
Il controllore, dopo lo svuotamento dell'imballaggio ed accertamento che il prodotto posto negli strati inferiori sia uguale per caratteristiche morfologiche e qualitative a quello degli strati superiori, procede all'esame del campione per verificare il rispetto delle norme per quel che riguarda: i requisiti minimi (sanità, pulizia, assenza di parassiti, assenza di odori o sapori estranei, assenza di difetti che possono compromettere il trasporto, la conservazione e l'utilizzo; i parametri specifici previsti dalla categoria di qualità indicata in etichetta; la calibrazione indicata in etichetta. Nella valutazione degli eventuali difetti il controllore tiene conto delle tolleranze di qualità e di calibro previste dalla norma come imputabili a errore umano. 95
AI termine del controllo, ove lo stesso abbia esito positivo, il controllore rilascia apposito certificato attestante la conformità del prodotto consentendone, in pratica, l'esportazione o l'importazione (Reg. 2251/92, art. 3, comma 9, allegato I). In caso di accertamento di non conformità, il Reg. 2251/92 consente all'ispettore di applicare una delle seguenti misure: (per i prodotti destinati al mercato interno o in esportazione) declassamento della partita; ricondizionamento; rietichettatura; divieto di commercializzazione. Viene inoltre comminata, a decorrere dal 10 agosto 1996, una delle sanzioni amministrative previste dalla legge n. 268 del13 maggio 1967. (per i prodotti in importazione):
declassamento della partita;
ricondizionamento;
rietichettatura;
divieto di sdoganamento del prodotto.
(Di tali provvedimenti l'ICE da immediata comunicazione alla Commissione CEE e agli Stati membri eventualmente interessati - Reg. 2251/92, art. 11, comma 2 utilizzando un apposito modulo di non conformità predisposto dalla Commissione stessa e che, grazie al sistema dei codici, è facilmente leggibile da tutti i riceventi).
Si è detto che, in base alle irregolarità riscontrate in fase di contro1lo, l'ispettore ICE adotta una delle seguenti misure: declassamento, messa in conformità, rietichettaura, rifiuto. Per declassamento si intende l'attribuzione di una categoria di qualità inferiore a quella indicata dall'operatore in etichetta. E' questo un provvedimento che, da una parte, penalizza l'operatore perché costringe 96
alla rietichettatura dei singoli colli che compongono la partita (aggravio economico), dall'altra svolge una forte azione di tutela del consumatore dal momento che l'attribuzione della giusta categoria di qualità determina un equilibrato rapporto qualità/prezzo. Con la disposizione di messa in conformità o ricondizionamento della partita, l'operatore è obbligato a riselezionare le merci, risultate non conformi a quanto previsto dalla specifica norma di qualità. Anche in questo caso, ancor più che nel precedente, l'operatore viene penalizzato economicamente per le spese di lavorazione che deve sostenere, mentre il consumatore rimane tutelato perché a parità di prezzo potrà acquistare un prodotto qualitativamente superiore rispetto a quello che l'operatore intendeva immettere sul mercato. Disponendo per la rietichettatura della partita, il controllore impone all'operatore di correggere e/o completare le indicazioni errate o mancanti sull'etichetta. In questo caso, l'operatore deve sostenere ulteriori costi e il consumatore viene tutelato in quanto al momento dell'acquisto sarà in grado di conoscere con esattezza le caratteristiche del prodotto che gli viene offerto. Allorché l'ispettore dell'ICE decide per il rifiuto della partita, non rilascia il certificato di controllo e quindi il prodotto non può essere immesso in commercio. E' questo un provvedimento che viene assunto, per lo più, quando il grado di non conformità del prodotto presentato è alquanto grave (mancanza dei requisiti minimi di qualità, uniformità e calibrazione). Il rifiuto della partita, per i prodotti in importazione concretizza il solo divieto di sdoganamento, mentre per i prodotti commercializzati sul mercato interno o esportati, comporta anche la comminazione di una sanzione amministrativa. Tale sanzione è prevista anche nel caso debba essere adottata una delle altre misure citate in precedenza, per i prodotti commercializzati sui mercati interni o esportati.
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BIBLIOGRAFIA Regolamenti comunitari: Reg. n. 23 del 1 962 Reg. (CEE) n. 1035/72 del Consiglio del 18.5.1972 relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore degli ortofrutticoli (G.U. n. L 118 del 20.5.1972, pag. 1) Reg. (CEE) n. 2251/92 della Commissione del 28.07.1992 concernente i controlli sulla qualità dei prodotti ortofrutticoli freschi (G.U. n. L 219 del 4.8.1992, pag. 9) Reg. (CE) n. 2200/96 del Consiglio del 28.10.1996 relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore degli ortofrutticoli (G.U. n. L 297 deI 21.11.1996, pag. 1)
Leggi e Decreti nazionali D.M. 2 giugno 1992, n. 339 recante disposizioni in materia di controlli (testi coordinati e aggiornati: DM. 339/92, 72/93, 393/95) (G.U. serie generale n. 239 del 12.10.1995) D.L 17.3.1967 n. 81, convertito in Legge 13.5.1967 n. 268, relativo all'organizzazione del controllo per l'applicazione delle norme comunitarie di qualità dei prodotti ortofrutticoli. G.U. n. 69 del 17.3.1967 e Supplemento alla G. U. n. 122 del 16.5.1967. Legge 25.1.1966 n. 31 "Albi nazionali degli esportatori di prodotti ortoflorofrutticoli ed agrumari". (G.U. n. 41 del 16.2.1966) D.M. 28 maggio 1962: "Modalità di controllo per l'accertamento dei requisiti di qualità e confezionamento dei prodotti ortofrutticoli" Supplemento alla G.U. 19 giugno 1962 D.L. 18 4.1926 n. 800, "Costituzione dell'Istituto Nazionale per l'Esportazione G.U. 24.5.1926 n. 119 Legge 23.6.1927 n. 1272, sul Marchio Nazionale di Esportazione G.U. 6.8.1927 n. 181 R.D.L. 20.12.1937, n. 2213 che riunisce, integra e coordina le disposizioni concernenti il Marchio Nazionale di Esportazione convertito in Legge 2.5.1938, n. 864 G.U. n. 8 del 12.1.1938
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CAP 8: I PRODOTTI DI IV GAMMA: ASPETTI FISIOLOGICI E TECNOLOGICI
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Introduzione Si definiscono della IV gamma quei prodotti preparati e condizionati in maniera tale da fornire tutta una serie di servizi al consumatore tra cui pulizia, mondatura, lavaggio, taglio in unità o sub-unità pronte all’uso, conservando nel contempo le caratteristiche di freschezza e di genuinità del prodotto fresco (Colelli, 2001). La denominazione di IV gamma (coniata in Francia) si inserisce in un contesto di classificazione dei prodotti alimentari secondo cui la I gamma si riferisce ai prodotti non lavorati, la II gamma si riferisce ai prodotti trasformati (che abbiano subìto un processo di stabilizzazione), mentre la III e IV gamma si riferiscono rispettivamente ai surgelati ed ai prodotti semilavorati pronti per l’uso. Da circa 10 anni i prodotti di IV gamma hanno sempre più rappresentato una nuova opportunità di acquisto per il consumatore italiano evidenziando crescite molto interessanti nelle vendite. Basandosi su dati ACNielsen, secondo Della Casa (2008) il volume di affari in Italia ha raggiunto nel 2007 circa 616 milioni di euro con incrementi negli ultimi anni superiori al 10% (+14% nel 2004, +20% nel 2005, +15% nel 2006, e +10% nel 2007); con questi valori il segmento della IV gamma rappresenta il terzo mercato europeo dopo la Gran Bretagna e la Francia. In tale segmento si ritrovano verdure a foglia tagliata (lattuga, radicchio) o a foglia intera, dette anche baby leaf (rucola, spinacio, valerianella), ortaggi a radice (carota), a tubero (patata), o a bulbo (cipolla) variamente tagliati, ortaggi a frutto maturo (pomodori) o immaturo (zucchina, cetriolo), fusti o piccioli fogliari (asparago, sedano, finocchio), gemme fiorali (carciofo), infiorescenze (cavolo, broccolo e cavolfiore), fiori (fiori di zucca) e frutta matura (melone, mela, ananas) variamente tagliata. In realtà la maggior parte del fatturato negli anni passati in Italia si riferisce alle insalate a foglia tagliata ed alle baby leaf; negli ultimi anni però il mercato delle zuppe pronte ready-to-cook, comprendenti ortaggi diversi, e della frutta tagliata ha visto incrementi annuali pari rispettivamente al 91 e al 37% nel 2007 (Della Casa, 2008). Il successo commerciale di questi prodotti è dovuto a diversi fattori: il notevole “servizio” che incontra il favore di una categoria di consumatori in aumento, che non dispone di tempo per la preparazione dei pasti; il vantaggio che l’acquisto di prodotti della IV gamma non comporta scarti, in quanto il prodotto è consumabile al 100% e l’alta qualità che in genere viene associato a tale tipologia di prodotto, sia in termini di aspetto esteriore, che organolettico e nutrizionale.
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Ad un più alto contenuto in “servizio” generalmente corrispondono una maggiore deperibilità rispetto al prodotto di partenza e la messa in atto di tecnologie aggiuntive finalizzate ad ottenere una shelf-life compatibile con la distribuzione commerciale. Nel presente lavoro saranno presi in considerazione gli aspetti relativi alla qualità dei prodotti di IV gamma, sia in relazione ai parametri chimico-fisici, microbiologici e sensoriali utilizzati per definirla sia in relazione ai fattori che in tempi successivi la determinano. Saranno quindi presi in considerazione gli aspetti tecnologici ed impiantistici relativi alla trasformazione industriale, con particolare riferimento ai trattamento post-taglio ed all’imballaggio. Infine sarà fatto il punto della situazione relativo alle esigenze in termini di innovazione in questo comparto e la direzione della ricerca e sviluppo nel prossimo futuro.
La qualità dei prodotti di IV gamma Soltanto prodotti ortofrutticoli della migliore qualità in termini di sviluppo condizione fisiologica, aspetto e integrità, possono reggere allo stress indotto dalla preparazione, in modo da risultare ancora appetibili fino al termine della prevista durata commerciale. Alla luce di ciò, la scelta e la qualità della materia prima è di assoluta importanza. Gli attributi qualitativi per un prodotto di IV gamma possono essere distinti in: aspetto esteriore rappresentato da freschezza, colore, assenza di difetti di varia natura, integrità dei tessuti; consistenza, che può essere intesa come grado di turgidità, durezza, croccantezza o fibrosità, a seconda della tipologia di materia prima; caratteristiche organolettiche intese sia in termini di gusto (soprattutto per ciò che riguarda dolcezza ed acidità) sia di olfatto (aroma); valore nutrizionale, rappresentato dall’apporto calorico o in elementi importanti dal punto di vista nutritivo (vitamine, sali minerali, fibre, antiossidanti); sicurezza d’uso, legata all’assenza di sostanze dannose o anti/nutrizionali (nitrati, nitriti, residui di fitofarmaci, diserbanti e altre sostanze chimiche), di microrganismi patogeni per l’uomo e di corpi estranei.
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Si tratta evidentemente di attributi sensoriali nel caso dell’aspetto, della consistenza e delle caratteristiche organolettiche, quindi molto legate agli aspetti edonistici del consumo di frutta e ortaggi, mentre nel caso del valore nutrizionale e della sicurezza d’uso viene maggiormente considerata la funzione dell’ortofrutta come alimento. L’aspetto esteriore rappresenta l’attributo qualitativo con il maggior impatto sui consumatori in quanto il prodotto è racchiuso in una confezione e quindi può essere valutato solo attraverso la vista. Partendo da queste condizioni sono state sviluppate dalle scale di valutazione dell’aspetto esteriore di prodotti di IV gamma composte da 5 immagini accompagnate da sintetiche descrizioni dei vari elementi presi in considerazione a cui corrisponde un punteggio su una scala da 1 a 5, con 5 corrispondente al prodotto appena tagliato e 1 corrispondente al prodotto non più commestibile (Colelli, 2006). In esse viene identificato un limite minimo di commerciabilità (punteggio 3) al prodotto che, pur ancora commerciabile, presenta segni evidenti di deterioramento, soprattutto legati alla perdita della struttura, dalla disidratazione, all’imbrunimento ed altre variazioni di colore, ed un limite minimo di edibilità (punteggio 2) attribuito al prodotto che pur non risultando idoneo alla vendita, non presenta particolari caratteristiche che ne impediscano il consumo (come muffa, o perdita totale della struttura). Tali scale rappresentano un valido strumento per la valutazione della qualità del prodotto in applicazioni sperimentali, ma si ritiene che il loro utilizzo possa essere esteso anche all’industria. Sono state sviluppate per bietola, cipolla, spinacio, zucchina, zucca, porro, verza, carota, prezzemolo, fagiolo reidratato, rucola, carciofo, pisello reidratato, sedano, e, oltre che in lingua italiana, rese disponibili in lingua spagnola e inglese (Colelli et al., 2006; Amodio et al., 2007). Le attese del consumatore rispetto ad un prodotto ortofrutticolo fresco sono anche relative ad un più elevato valore nutrizionale; sebbene tali attese in un prodotto di IV gamma siano soddisfatte per l’elevata qualità della materia prima, frequentemente le loro caratteristiche nutrizionali sono poco comunicate sulle confezioni. Si può affermare che i prodotti di IV gamma possano anche essere intesi come una risposta al consumatore desideroso di prodotti sani, nutrienti e facili da consumare. Come già detto, frutta e ortaggi rappresentano una ottima fonte di vitamine, minerali e fibre. Essi sono inoltre molto ricchi di alcuni costituenti per i quali è stata dimostrata la loro azione positiva per la salute dell’uomo e che includono carotenoidi e componenti fenolici (Craig e Beck, 1999). Generalmente i danni apportati ai prodotti di IV gamma durante le operazioni di taglio producono un numero di alterazioni fisiologiche che, insieme con la maggiore esposizione 102
all’ossigeno ed alla luce, possono determinare una diminuzione degli aspetti nutrizionali rispetto ai corrispondenti prodotti interi (Klein, 1987; Gil et al., 2006). Ossidazione dei componenti nutrizionali possono anche avvenire durante le fasi di lavorazione attraverso l’esposizione ad ambienti acidi o sostanze sanitizzanti. D’altro canto, un aumento del valore nutrizionale nei tessuti sottoposti a taglio come conseguenza della sintesi indotta di componenti fenolici, è stato riportato per lattuga, sedano, carota e patata dolce (Reyes et al., 2007); nello stesso studio invece è stata osservata una riduzione della componente fenolica per zucchina, ravanello, patata, e cavolo rosso, sottoposti a taglio. Dal punto di vista della sicurezza d’uso, un prodotto di IV gamma deve garantire l’assenza di microrganismi patogeni per l’uomo ed in generale un basso livello della carica microbica, l’assenza di sostanze e corpi estranei (insetti, erbe infestanti, terreno, pietre, materiale vario), basso contenuto di sostanze antinutrizionali (nitrati, nitriti, ossalati, micotossine, residui chimici). Sotto il profilo igienico i parametri di qualità impongono l’assenza di sostanze estranee (insetti, terra, pietre, schegge di legno e metallo, erbe infestanti), perché difficilmente allontanate con il lavaggio e possono presentare qualche pericolo per il consumatore, e comunque il mantenimento di stretti parametri igienico-sanitari in tutta la filiera (dal campo alla tavola). È importante che vengano seguite norme di buona pratica agricola (GAPs) e di trasformazione (GMPs) e adottate certificazioni volontarie (ISO 9001:2000) e obbligatorie (HACCP) per garantire sicurezza igienica e nutrizionale al prodotto.
Fattori che condizionano la qualità Molti sono i fattori che hanno un ruolo importante sulla qualità finale di un prodotto di IV gamma. Tra questi si elencano: la scelta varietale, l’ambiente di coltivazione, le tecniche colturali adottate, lo stadio di maturazione alla raccolta, le condizioni della fase che intercorre tra la raccolta e la lavorazione vera e propria, le condizioni operative di processo, le condizioni di trasporto e di vendita, fino al consumo finale. La qualità della materia prima, sia essa organolettica e nutrizionale, intesa come idoneità alla trasformazione o come caratteristiche igienico-sanitarie, rappresenta il prerequisito fondamentale imprescindibile. Essa può essere mantenuta durante le fasi successive la raccolta, ma non migliorata. Qualsiasi condizione che imponga uno status di stress alla pianta durante la fase di coltivazione ha ripercussioni sulla qualità e sulla conservabilità del prodotto in post-raccolta (Weston e Barth, 1997). Soltanto vegetali di qualità superiore, in termini di 103
accrescimento e condizione fisiologica, aspetto e integrità, possono sostenere lo stress indotto dal processo di preparazione e risultare idonei al consumo per un periodo prolungato di tempo. La conoscenza delle condizioni di produzione è importante per determinare la potenziale conservabilità di un prodotto fresco (Gorny et al., 1998), soprattutto quando questo è destinato al processo di lavorazione di IV gamma.
Scelta varietale Le differenze nella qualità dei prodotti di IV gamma sono interamente dipendenti dalla diversa tolleranza agli stress che coinvolgono aspetti specifici della specie e della cultivar di tipo morfologico, fisiologico e biochimico (Hodges e Toivonen, 2008). In generale una cultivar destinata alla trasformazione in IV gamma dovrebbe possedere le seguenti caratteristiche: uniformità di dimensione e maturazione, idoneità alla raccolta meccanica, ridotto scarto; bassa sensibilità stagionale (scarsa dipendenza dalle condizioni climatiche nei diversi periodi dell’anno o, in alternativa, disponibilità di famiglie di cultivar con le stesse caratteristiche organolettiche e fisiologiche, ma differenziate per l’adattamento alle diverse condizioni stagionali); peculiari caratteristiche organolettiche e sensoriali (forma, dimensione, colore, sapore, aroma); buon contenuto di sostanza secca (maggiore consistenza, resistenza meccanica alle manipolazioni e alle lavorazioni); bassa sensibilità alle basse temperature (maggiore tolleranza al freddo e maggiore conservabilità); elevata resistenza genetica alle malattie e alle fisiopatie (tessuti integri e resistenti con riduzione dell’impiego di fitofarmaci e dell’accumulo di residui nel prodotto); basso livello di attività degli enzimi che contribuiscono ai processi degradativi (imbrunimento – aumento dei fenoli attraverso la fenilalanina-ammonio-liasi (PAL), ossidaizone degli stessi attraverso le PPO, ammorbidimento – attraverso poligalatturonasi ed emicellulasi, produzione di sostanze volatili); bassa attività respiratoria (rallentamento della distribuzione della clorofilla e mantenimento del colore verde); 104
maturazione più lenta nel post-raccolta. Sebbene l’idoneità del genotipo alla trasformazione in IV gamma sia stata inizialmente poco considerata in specifici programmi di miglioramento genetico (e ancora è indicato l’impiego promiscuo di cultivar di I e IV gamma) attualmente alcune grandi aziende sementiere internazionali stanno puntando alla selezione di cultivar specifiche per questo settore. In particolare per gli ortaggi da foglia (lattuga, cicoria, spinacio) sono state introdotte sul mercato tipologie e cultivar specifiche baby leaf che consentono la lavorazione della foglia (o pianta) intera limitando il taglio al solo intervento di raccolta. Saftner e Lester (2008) hanno recentemente presentato la costituzione di un nuovo ibrido di melone del tipo cantaloupe (Cucumis melo L. var. reticulatus) particolarmente indicato per la produzione di prodotti di IV gamma. L’ibrido associa alla ottima qualità iniziale, il mantenimento delle proprietà nutrizionali e della consistenza quando cubettato, evidenziando una resistenza ad alterazioni fisiologiche (comparsa di aree traslucide) e microbiche fino a 14 giorni di conservazione a 5 °C in aria. Sul prodotto fresco intero è ben documentata la variabilità delle diverse cultivar nel contenuto di componenti bioattivi che migliorano la risposta a stress biotici o abiotici a cui sono sottoposte (ad es. Weston e Barth, 1997). Lamikanra et al., (2003) hanno rilevato su melone della varietà botanica reticulatus che la conservabilità del frutto intero è maggiore in cultivar caratterizzate da minore livello di composti volatili, ma non sempre essa è stata correlata alla qualità del frutto tagliato. Odriozola-Serrano et al. (2008) non hanno osservato variazioni delle proprietà antiossidanti nelle bacche intere e in fette di sei cultivar di pomodoro (‘Rambo’, ‘Durinta’, ‘Bodar’, ‘Pitenza’, ‘Cencara’ e ‘Bola’) concludendo che, indifferentemente dalla cultivar, il prodotto tagliato conserva i principali composti antiossidanti e il colore per 21 giorni a 4 °C. Cultivar di lattuga con elevato ritmo di respirazione e basso contenuto in zuccheri, quali ‘Ritmo’, hanno mostrato scarsa idoneità alla trasformazione in IV gamma a causa del troppo rapido deterioramento del prodotto (Varoquax et al., 1996). Le cultivar di lattuga tipologica iceberg ‘Calmar’ e ‘Sea Green’ sono state indicate come meno suscettibili all’imbrunimento dopo 6 giorni a 5 °C, mentre ‘Nerone’ è risultata la più suscettibile (Couture et al., 1993). López-Gálvez et al. (1996a) hanno osservato che l’attività della PAL, enzima chiave per la sintesi dei fenoli, è aumentata nei tessuti della nervatura centrale di lattuga dopo il taglio e conservata in assenza o presenza di etilene. L’attività di questo enzima dopo il taglio è maggiore nelle tipologie butterhead piuttosto che in quelle iceberg, mentre nelle tipologie romana, green leaf e red leaf sono stati rilevati valori intermedi. La cv Salinas (tipologia iceberg) quando tagliata finemente ha mostrato maggiore attività della PAL se conservata a 5 105
°C piuttosto che a 15 °C; altre cultivar di iceberg non hanno mostrato variazione nella attività della PAL in funzione della temperatura di conservazione, risultando inversamente correlata alla dimensione dei pezzi. Pernice et al. (2007) hanno osservato maggiore concentrazione polifenolica nelle foglie della cv ‘Salad Lakes 118’, preparate in IV gamma e conservate per 9 giorni a 5 °C. La composizione quanti-qualitativa dei polifenoli è risultata molto influenzata dalla cultivar. Tavarini et al. (2008) hanno osservato che in lattuga preparata in IV gamma (conservata 4 giorni a 4 °C, al buio), le foglie di una cultivar di lollo rossa non hanno presentato imbrunimenti; questo risultato è stato correlato all’elevato contenuto di acido ascorbico (forma ridotta della vitamina C), già osservata in questa tipologia (Degli’Innocenti et al., 2005), ed alla elevata capacità antiossidante manifestata prima della conservazione.
Areale di produzione Particolare attenzione va posta nella scelta dell’areale di produzione per le implicazioni sugli aspetti qualitativi e sanitari. Sono da evitare localizzazioni in prossimità di potenziali fonti di inquinamento chimico e biologico, quali discariche, traffico automobilistico, allevamenti animali, pascoli, zone ricche di fauna selvatica, suoli trattati con ammendanti di origine animale. L’ambiente pedoclimatico idoneo è una condizione fondamentale per ottenere prodotti di qualità idonea per la IV gamma. In ambienti o periodi di coltivazione sfavorevoli la crescita delle piante avviene in maniera anomala ed è maggiore la suscettibilità della coltura a fisiopatie, attacchi di patogeni e parassiti. Per la coltivazione sia in pieno campo sia sotto apprestamenti protettivi di ortaggi da foglia destinati alla IV gamma sono da preferire terreni di medio impasto o sciolti, di facile lavorabilità e drenaggio, che scongiurano condizioni di asfissia o ristagno idrico e la predisposizione della coltura a malattie e fisiopatie. Per lo stesso scopo sono da preferire le sistemazioni a prose che consentono una maggiore pulizia del prodotto. Per contro, per il melone della tipologia cantaloupe, preparato in cubetti per confezioni di IV gamma, è stato osservato che la coltivazione in suoli argillosi ha fornito frutti con caratteristiche aromatiche migliori di quelli ottenuti su terreni sabbiosi; inoltre, durante la conservazione l’attività della perossidasi aumenta nei frutti raccolti da suoli sabbiosi, mentre diminuisce in quelli provenienti da suoli argillosi (Bett-Garber et al., 2005). In carota, il sapore
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amaro sembra essere accentuato nelle radici ottenute in terreni sabbiosi o ricchi di sostanza organica che non in terreni limosi (Talcot et al., 2001). Condizioni climatiche di giorno corto, bassa umidità relativa dell’aria e bassa temperatura hanno promosso la sintesi di zuccheri in carota (Simon et al., 1982). In questa specie, la produzione di terpeni, alcuni dei quali responsabili del sapore amaro, aumenta con le alte temperature (Rosenfeld et al., 2002). In spinacio di Nuova Zelanda (Tetragonia tetragonioides (Pallas) O. Kuntze) e in endivia preparati in IV gamma il contenuto di carotenoidi è risultato maggiore nel prodotto raccolto in estate di quello raccoltao in inverno (de Azevedo-Meleiro e Rodriguez-Amaya, 2005). In Svezia, Bergquist et all., (2006) hanno osservato su spinacio baby leaf che il decadimento della qualità visiva dopo la conservazione è stato più evidente nel caso di prodotto coltivato in agosto rispetto a quello di aprile. Ciò è stato correlato alla maggiore concentrazione di acido ascorbico, che fornisce una miglior difesa contro lo stress ossidativo, ed al maggior contenuto di sostanza secca. Su spinacio baby leaf in Sud Italia, il prodotto di migliore qualità, in termini di contenuto di sostanza secca, nitrati, ossalati, vitamina C e colore, è stato raccolto in gennaio e marzo rispetto a febbraio a causa della maggiore frequenza di temperature prossime a 0 °C (Conte et al., 2008). In melone cubettato, il contenuto di solidi solubili totali, l’attività respiratoria e la comparsa di aree traslucide sono stati più elevati in frutti estivi in confronto a quelli invernali, anche se la shelf-life in atmosfera modificata non è stata differente (Bai et al., 2003). In cetriolo coltivato in serra la bassa intensità luminosa ha ridotto la shelf-life soprattutto a causa della riduzione del contenuto in clorofilla totale dell’epicarpo (Lin e Jolliffe, 1996). Lester (2006) ha riportato che foglie baby leaf di Brassica rapa (mustard green) coltivata con esposizione diretta alla luce solare, hanno presentato contenuto in acido ascorbico più basso rispetto a condizioni di crescita con ridotta intensità luminosa. Per contro il contenuto in carotenoidi e in clorofilla totale è stato più elevato.
Gestione della coltura La tecnica di produzione svolge un ruolo strategico nell’ottenimento di un prodotto di qualità idonea per la trasformazione di IV gamma. Soprattutto nel caso degli ortaggi da foglia, sono necessarie oculate modifiche delle pratiche colturali rispetto ai sistemi di produzione tradizionali. A tale proposito, si rimanda al lavoro di Pimpini et al. (2005). Poche risultano le evidenze sperimentali sugli effetti specifici delle pratiche colturali sulla qualità post-raccolta del prodotto trasformato in IV gamma. Alcune review sull’argomento riguardano il prodotto intero (Crisosto et al., 1997; Weston e Barth, 1997). 107
Particolare importanza è stata attribuita alla nutrizione azotata per le implicazioni igienicosanitarie legate al contenuto di nitrati negli ortaggi da foglia. Anche in questo caso si rimanda alla review curata da Santamaria (2006) per una rassegna circa le tecniche e le strategie di gestione della fertilizzazione finalizzate alla riduzione del contenuto di nitrati. In ogni caso l’eccesso di azoto contribuisce in maniera determinante alla diminuzione del contenuto di sostanza secca, utile a conferire resistenza meccanica dei tessuti vegetali. Anche la nutrizione minerale con calcio ha importanti implicazioni qualitative nel post-raccolta, in quanto influenza il mantenimento della consistenza dei tessuti, ritarda la degradazione delle membrane e la maturazione. L’applicazione fogliare di calcio durante la coltivazione ha consentito di prolungare il mantenimento della consistenza di bacche di pomodoro (Elia, comunicazione personale) e in fette di peperone sia verde che invaiato (Toivonen, 1999). L’applicazione di titanio in combinazione con magnesio e calcio su alberi di Prunus domestica ha consentito di ottenere frutti più grandi e più consistenti che hanno presentato minore perdita di peso durante la conservazione (Alcaraz-López et al., 2003). Sotto il profilo igienico-sanitario, la fase di produzione e quella di raccolta rappresentano punti critici nell’intero processo di filiera a causa della difficoltà di controllo in campo delle diverse possivili cause di contaminazione microbica. La gestione della carica microbica (patogena per l’uomo e non) in fase di lavorazione diviene più problematica se la materia prima è già contaminata; pertanto è necessario porre la dovuta attenzione adottando interventi preventivi in campo. Le potenziali vie di contaminazione in campo sono rappresentate soprattutto dal contatto con letame non maturo e/o compost di origine animale che nel caso di poco accurata gestione della fase termofila (fase di igienizzazione) nel processo produttivo potrebbe non presentare i necessari requisiti igienici. Di conseguenza, soprattutto nelle colture ortive da foglia, è sconsigliata la fertilizzazione o l’ammendamento con letame e compost. Oltre ai contaminanti biologici, la limitazione nell’applicazione di compost può essere rappresentata da un elevato contenuto in inerti (vetro e plastica) e dalla presenza di metalli pesanti (rame, zinco, piombo, nichel, mercurio e cromo).
Irrigazione La situazione più probabile è l’eccesso di disponibilità idrica che comporta l’ottenimento di tessuti più acquosi, con più basso contenuto di solidi solubili e di sostanza secca (Cristoforo et al., 1997; Weston e Barth, 1997); questi risultano meno resistenti alla manipolazione con 108
possibili effetti anche sull’aumento della attività respiratoria (Lamikanra, 2002). Il comportamento fisiologico della lattuga, come la sensibilità a danni da CO₂, è risultato influenzato dalle pratiche colturali, quali irrigazione e fertilizzazione, oltre che dal clima (Sorensen et al., 1994). È opportuna la periodica verifica della qualità dell’acqua proveniente da fonti non controllate, rilevando gli indici di inquinamento microbico (coliformi fecali) e chimico (fluoro, bromo, cloro, sodio e boro), poiché la risorsa idrica aziendale (acqua superficiale e/o di falda) è esposta al rischio di contaminazione da acquee provenienti da zone inquinate (allevamenti intensivi ed estensivi, aree letamate, reflui animali e umani, aree ricche di fauna selvatica). I mezzi per il controllo delle contaminazioni microbiologiche sono il filtraggio, la sterilizzazione con ozono o UV e la pulizia delle tubature. Per la stessa ragione le acque reflue non sono indicate per l’irrigazione delle coltivazioni di ortaggi destinati alla IV gamma. In ogni caso il sistema irriguo localizzato è il più indicato per una equilibrata gestione irrigua della coltura e del rischio di contaminazione (assenza del contatto diretto con la pianta).
Impianto ed apprestamenti protettivi Su spinacio e su altre specie raccolte allo stadio di baby leaf può essere utile aumentare la densità d’impianto fino a 1.000 piante/m² al fine di ottenere un prodotto più pulito. L’elevata densità favorisce la crescita eretta e più raccolta delle foglie che intercettano meno polveri e soprattutto consentono il veloce allontanamento di pioggia e rugiada mattutina, asciugandosi velocemente (Elia e Conversa, 2006). In spinacio è stato anche osservato che la crescita eretta consente di operare un taglio più alto alla raccolta riducendo la porzione di picciolo fogliare, dove la concentrazione di nitrati è 6 volte più alta di quella della lamina fogliare (Elia et al., 1998). Da Silva et al. (2008) indicano che, per ottimizzare la dimensione delle carote della cv ‘Esplanada’ destinate alla produzione di baby carrot con il sistema Cenourete™ (taglio in pezzi di 6 cm di lunghezza e pelatura), è necessario rispettare precise indicazioni di densità di impianto (8 file per metro lineare) e raccogliere 80 giorni dopo la semina. Hong et al. (2000) riportano che pomodoro in fette proveniente da piante allevate con l’inerbimento (veccia) si è rivelato più consistente ed ha presentato con minore intensità i sintomi di danni da freddo rispetto a pomodoro ottenuto da piante allevate con pacciamatura con film polimerici neri. Su tre cultivar di lattuga, ‘Montego’, ‘Great Lakes 118’ e ‘Salad Bowl 1’, la pacciamatura con film nero è risultata influire positivamente sulla produzione e
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negativamente sulla quantità di polifenoli totali e sul potere antiossidante (Pernice et al., 2007).
Difesa fitosanitaria Tra le pratiche colturali per i prodotti destinati alla IV gamma assume particolare importanza il controllo delle malattie per le implicazioni con gli aspetti relativi alla sicurezza del prodotto. L’impiego dei prodotti fitosanitari nella lotta alle principali avversità animali e vegetali deve tenere conto dei principi della produzione integrata e, ove presenti, dei relativi disciplinari. Inoltre, molte catene distributive e fornitori di IV gamma ad esse collegati impongono un livello di residui inferiore del 50% del residuo massimo ammesso dalla normativa comunitaria, restringendo di fatto ulteriormente la possibilità di applicazione di prodotti con scarsa residualità (Elia e Conversa, 2006).
Coltivazioni senza suolo I sistemi senza suolo permettono la coltivazione di prodotti per la IV gamma di alta qualità. Essi offrono l’indubbio vantaggio di controllare la nutrizione idrica e minerale della pianta, consentono la diruzione dei nitrati applicando opportune strategie, l’arricchimento in elementi minerali (calcio, ferro, magnesio), antiossidanti (selenio) e composti funzionali (omega 3) (Conversa et al., 2004). Offrono la possibilità, attraverso il riscaldamento della soluzione nutritiva, di precocizzare la coltura ed eseguire numerosi cicli colturali durante l’anno. I trattamenti con fitochimici sono ridotti (fitosanitari) o assenti (diserbanti) in quanto non sono presenti i patogeni tellurici e le infestanti; l’assenza del terreno consente di aumentare l’igienicità del prodotto. In particolare, il sistema a pannelli galleggianti o floating system attualmente sembra fornire i migliori risultati sotto il profilo quantitativo e qualitativo (Gonnella et al., 2004). Diversi risultati sperimentali mostrano la possibilità di esaltare gusto, aroma e intensità del colore verde delle parti vegetative e anche la shelf-life aumentando la conducibilità elettrica (CE) della soluzione nutritiva (Pimpini et al., 2005), anche se valori troppo elevati di CE comportano la riduzione dell’accrescimento (altezza della pianta, numero di foglie per pianta, raccorciamento degli internodi) e la minore resistenza alle malattie. Su spinacio e lattuga baby leaf lo stress salino ha ridotto la superficie fogliare ma di contro ha determinato l’aumento della percentuale di sostanza secca: sono state ottenute foglie più piccole ma più spesse con maggiore shelf-life ed accettabilità da parte del consumatore (Clarkson et al., 2003). Per migliorare la resistenza alla lavorazione i sistemi senza suolo si 110
potrebbero facilmente prestare anche alla applicazione di stress meccanici: è stato dimostrato che il passaggio su piantine baby leaf per 50 volte durante il giorno di un foglio di carta del peso di 80 g ha determinato la riduzione della dimensione delle foglie e delle cellule epidermiche, aumentando parallelamente la percentuale di sostanza secca. Sebbene questo trattamento abbia ridotto leggermente la produzione, la qualità è stata sensibilmente migliorata (Clarkson et al., 2003).
Raccolta Il grado di maturità alla raccolta di un prodotto ortofrutticolo fresco destinato alla IV gamma è un fattore critico nel determinare il suo potenziale qualitativo e la sua conservabilità (SolivaFortuny et al., 2002; Soliva-Fortuny et al., 2004; Bergquist et al., 2006; Beaulieu e Lea, 2007). Nei frutti climaterici, la sintesi dei composti non-volatili e volatili che influenzano il sapore e l’aroma aumenta con la maturazione, di contro si assiste alla contemporanea riduzione della consistenza dei tessuti. Per tale motivo, per un frutto destinato alla trasformazione di IV gamma è indicata la raccolta, di poco anticipata rispetto allo stadio di maturazione indicato per i frutti destinati al consumo diretto. Diversi sono stati i lavori condotti sulla individuazione degli indici minimi di maturità su prodotti frutticoli, ad esempio mele ‘Golden delicious’ e pere ‘Conference’ (Soliva-Fortuny et al., 2002; Soliva-Fortuny et al., 2004), su mela ‘Granny Smith’ (Toivonen, 2008), su pesca e nettarina (Gorny et al., 1998) e su alcune cultivar di pera (Gorny et al., 2000). Lo stadio intermedio di maturazione fisiologica è indicato come più idoneo per prolugnare la conservazione del melone ‘Piel de Sapo’ (Oms-Oliu et al.,2008). La consistenza di pomodoro in fette conservato a temperatura variabile tra 2 e 16 °C è rapidamente diminuita dopo solo due giorni se raccolto allo stadio di piena maturazione (rosso) rispetto allo stadio rosato e verde; quest’ultimo ha mantenuto quasi inalterata la consistenza fino a 8 giorni di conservazione anche se ha mostrato valori iniziali di consistenza più elevati rispetto a quello maturo (Lana et al.,2005). Molti sono i lavori riguardanti lo stadio di maturazione ottimale per la trasformazione in IV gamma sulla tipologia di melone cantaluope molto diffuso negli USA. Lo stadio di maturazione aumenta significativamente il livello di composti volatili nella cv ‘Sol Real’ che diventano ottimali quando si ha il distacco dei ¾ del peduncolo dal frutto; tuttavia, ai fini di ottimizzare la shelf-life del prodotto cubettato, i frutti di questa tipologia devono essere raccolti subito dopo che il peduncolo si è distaccato per metà (Beaulieu e Lea, 2007). Al 111
contrario, la cv ‘Makdimon’ raccolta due giorni prima del completo distacco del peduncolo, sviluppa circa un quarto dei composti volatili dei frutti raccolti 3 giorni dopo il completo distacco del peduncolo (Wylliy et al.,1996). In peperone, frutto non climaterico, si suggerisce di fare la raccolta ad uno stadio di maturazione avanzato (Lamikanra, 2002). In specie da foglia lo stadio fenologico al momento della raccolta influenza il contenuto di sostanza secca ed il contenuto di sostanza antiossidanti. Il primo è direttamente correlato alla resistenza meccanica alla lavorazione e quindi alla qualità visiva del prodotto finale. I composti antiossidanti, come la forma ridotta della vitamina C (acido ascorbico), sono utili a contrastare i danni da ROS (Reactive Oxygen Species) in foglie di lattuga con elevato contenuto di vitamina C è stata verificata la minore biosintesi di fenoli mediata dalla PAL (Reyes et al., 2007). In spinacio baby leaf è stato verificato che foglie raccolte in lieve anticipo (23-24 giorni dopo la semina) rispetto allo stadio di raccolta commerciale (30 giorni dopo la semina) sono state caratterizzate da maggiore contenuto di vitamina C e percentuale di sostanza secca, mostrando caratteristiche visive migliori dopo la conservazione (Bergquist et al., 2006). Lattuga (tipologia iceberg) raccolta immatura ha mostrato una migliore qualità visiva rispetto a cespi raccolti a stadi fenologici più avanzati, questa è stata correlata negativamente al livello di fenoli nei tessuti ed all’intensità dell’imbrunimento (Couture et al., 1993). In endivia e lattuga la concentrazione di carotenoidi (composti ad azione antiossidante) delle foglie mature è stata 2-4 volte più alta delle foglie giovani, mentre nello spinacio di Nuova Zelanda è stato leggermente più alto nelle foglie giovani (de Azevedo-Meleiro e Rodriguez-Amaya, 2005). In carota gli zuccheri riduttori, che ne migliorano la qualità sensoriale, predominano nella fase precoce di formazione delle radici, al contrario in prossimità della raccolta queste contengono più saccarosio (Simon, 1985). Le radici immature, quando esposte all’etilene, sembrano essere più predisposte a sintetizzare una fitoalessina (6-metossimelleina, 6-MM) responsabile del peggioramento delle caratteristiche organolettiche (amaro, aspro e riduzione della percezione della dolcezza). La produzione di etilene e di 6-MM è stata anche correlata positivamente con lo stress della raccolta meccanica o di tipo ambientale (danni da grandine) o allo stress legato alla lavorazione a fette (Seljåsen et al., 2001).
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Biologia dei tessuti dopo il taglio I prodotti di IV gamma o fresh-cut hanno una vita commerciale più breve di quella del prodotto fresco di partenza, in seguito alle operazioni di taglio e di preparazione che, provocando un danno meccanico ai tessuti, inducono imbrunimento ossidativo, più rapida perdita di consistenza ed un’accresciuta suscettibilità ai microrganismi (Brecht, 1995; Ahvenainem, 1996; Beuchat, 1998). In particolare, il taglio provoca una serie di reazioni fisiche e fisiologiche sia nei tessuti lesionati sia in quelli adiacenti. Gli effetti fisici in seguito al taglio sono immediati e causano shock meccanici ai tessuti, la rimozione della strato epidermico protettivo, l’accumulo in superficie di acqua ed espongono i tessuti a contaminazioni. Una volta che l’acqua superficiale evapora, i tessuti cominciano a rispondere fisiologicamente. Il taglio può alterare gravemente le proprietà fisiche delle superfici esterne rimuovendo le barriere naturali alla diffusione dei gas (la cuticola e l’epidermide). La cuticola e l’epidermide di tutti i prodotti ortofrutticoli sono un complesso di cellule viventi secernenti cere e composti organici protettivi che minimizzano la perdita di acqua e contengono l’attacco dei patogeni. Dal punto di vista biochimico e fisiologico, i principali eventi seguenti il danno meccanico sono stati riassunti da Saltviet (1997) attraverso il modello riportato in figura 1. In seguito a taglio e abrasione, le cellule vegetali lesionate producono un segnale che si propaga nelle cellule adiacenti stimolando una serie di reazioni fisiologiche. In seguito alla propagazione del segnale nei tessuti hanno luogo una serie di reazioni che comportano molti cambiamenti fisiologici, biologici e morfologici. Uno di questi riguarda l’aumento della respirazione che accelera i processi di ossidazione di quei substrati, quali zuccheri e acidi organici, che vengono apprezzati dai consumatori perché indici di qualità strettamente legati con le proprietà organolettiche del prodotto. L’aumento nella produzione di etilene comporta un più rapido succedersi dei fenomeni associati alla maturazione ed alla senescenza, tra cui ad esempio la perdita di consistenza di alcuni tessuti e l’aumento della fibrosità in altri, legata all’accumulo di lignina (Saltveit, 1997). La consistenza è un attributo qualitativo che può essere perso a causa dell’azione degli enzimi cellulari presenti nei tessuti del frutto (Varoquaux et al., 1990), in particolare dalla poligalatturonasi (PG) e dalla pectin-metilesterasi (PME), e per la diminuzione del turgore dovuto alla perdita d’acqua (Saladié et al., 2007). Secondo Brummel (2006) la prima fase della perdita di consistenza delle pesche, coincidente con il raggiungimento della maturazione 113
fisiologica, avviene a carico della pectine complesse, soprattutto con la perdita delle catene laterali di galattani e arabinani. Segue la depolimerizzazione delle emicellulose della parete cellulare, la esterificazione della pectine ad opera della PME, con conseguente solubilizzazione, quindi la loro depolimerizzazione che coinvolge la PG. In tali frutti la perdita di consistenza avviene in maniera più accentuata in corrispondenza dell’ottenimento di catene singole di acido poligalatturonico, fino alla vera e propria deliquescenza dei tessuti, in corrispondenza dell’azione della poligalatturonasi.
Taglio Segnale Respirazione
Etilene
Calore
Metabolismo fenolico
PAL
Maturazione
Cicatrizzazione
Suberina Periderma
Diminuzione Carboidrati Acidi organici Acido ascorbico Perdita di consistenza
PPO Ossigeno Divisione cellulare
Composti fenolici
Lignina Ridotte caratteristiche organolettiche
Imbrunimento
Fibrosità
Fig. 1 – Diagramma schematico delle interazioni esistenti come risposta fisiologica al danno meccanico nei prodotti vegetali
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Tale ordine cronologico e l’intensità degli eventi descritti può variare in relazione al tipo di frutto considerato, ed alcuni passaggi possono risultare molto ridotti o assenti in alcune specie (Brummel et al., 2004). In seguito al danno determinato dalle operazioni di taglio i composti fenolici possono subire un incremento dovuto all’attivazione dell’enzima PAL (Saltveit, 1997). In aggiunta, la degradazione delle membrane cellulari può comportare la perdita della compartimentalizzazione e dei componenti lipidici associati alla membrana (Karakurt e Huber, 2008); in questo caso enzimi e substrati possono interagire con effetti negativi sulla qualità finale del prodotto (Marangoni et al., 1996; Degl’Innocenti et al., 2005). La comparsa di un colore
brunastro, dovuto all’interazione
dei
componenti
fenolici
con gli enzimi
polifenolossidasi (PPO) e per ossidasi (POD), o la degradazione della clorofilla nei tessuti verdi, sono esempi di queste interazioni (Martinez e Whitaker, 1995; Heaton e Marangoni, 1996). Infine, l’attività della lipossigenasi, a carico dei lipidi della membrana, può dar luogo a sintesi di componenti volatili con possibile impatto, sia positivo sia negativo, sull’aroma del prodotto (Myung et al., 2006). Cantos et al. (2002), alla luce dei risultati ottenuti su patata di IV gamma, sostengono che il grado di imbrunimento non è limitato né dalla disponibilità degli enzimi ossidativi né dalla presenza di substrati fenolici, ipotizzando che il fattore più importante nel controllare il grado di imbrunimento sia rappresentato dalla stabilità delle membrane. Tale ipotesi viene supportata da Toivonen e Brummel (2008) secondi i quali il successo della formulazione antiimbrunente più utilizzata nell’industria, composta da sali di calcio e da acido ascorbico (Rupasinghe et al., 2005), oltre alla riconosciuta proprietà dell’ascorbato nel controllare l’attività della PPO, è legata alla sua possibile funzione di difesa dell’integrità delle membrane attraverso il blocco dei radicali liberi coinvolti nel deterioramento ed al noto ruolo del calcio nel mantenimento delle stesse membrane (Poovaiah, 1986). Vale a dire che tali formulazioni agiscono sia prevenendo la perdita di compartimentalizzazione nelle cellule sia modulando l’attività degli enzimi ossidativi nelle cellule già danneggiate. D’altro canto molte formulazioni basate su inibitori della PPO riportate in bibliografia come efficaci nel rallentare l’imbrunimento dei tessuti (Sapers, 1993; Martinez e Whitaker, 1995), in realtà poi non vengono utilizzate commercialmente. Anche la struttura e l’organizzazione interna dei cloroplasti possono essere coinvolte con la perdita di compartimentalizzazione della cellula, ed in tal caso la clorofilla (a e b) che determina il colore verde delle foglie, diventa molto suscettibile a modificazioni strutturali. Tali modificazioni sono influenzate da diversi fattori (temperatura, attività enzimatica, pH, 115
presenza di ossigeno, luce) e comportano la formazione di composti derivati (Artés et al., 2002). Le principali modificazioni coinvolgono la sintesi di feofitina (che comporta una drastica variazione di colore dal verde brillante al verde bruno) e di clorofillide (verde-azzurro). D’altro canto, la presenza di sostanze antiossidanti come l’acido ascorbico e il ß–carotene, può essere collegata alla minore perdita di clorofilla che comporta un ritardo nei fenomeni di ingiallimento (Mínguez-Mosquera e Gallardo-Guerrero, 1995). Naturalmente anche la presenza e la concentrazione dell’etilene gioca un ruolo importante nella fase di ingiallimento dei tessuti sottoposti a taglio (Abe e Watada, 1991). Un particolare problema legato al taglio è riscontrabile nelle carote soggette a pelatura, in cui si assiste ad una particolare variazione di colore del prodotto finito, chiamato “sbiancamento” o white blush. Tale anomalia dipende dall’accumulo in superficie ed alla disidratazione di materiale cellulare danneggiato (Avena-Bustillos et al., 1994; Cisneros-Zevallos et al., 1995). A tale fenomeno fisico però si accompagna il processo di lignificazione derivante dalla risposta fisiologica al danno meccanico (fig. 1), che intensifica l’incidenza e la gravità di tale sintomatologia (Howard et al., 1994), benché l’etilene non sembra abbia un ruolo determinante nel suo sviluppo (Howard e Griffin, 1993). L’entità dei danni legati alle operazioni di taglio può essere influenzata dal numero di tagli e dall’affilatura delle lame utilizzate. Portela e Cantwell (2001) hanno mostrato che pezzi di melone tagliati con una lama non affilata hanno esibito la maggiore contrazione di etanolo, presenza di odori anomali e perdita elettrolitica, rispetto a quelli tagliati con lama affilata. Analogamente, l’uso di strumenti di taglio affilati ha ridotto i sintomi da danno meccanico su carota tra cui l’accumulo di lignina, lo “sbiancamento”, la perdita di consistenza e la crescita microbica (Bolin e Huxsoll, 1991; Barry-Ryan e O’Beirne, 1998). In relazione all’entità ed al tipo di taglio, l’attività metabolica dei prodotti aumenta in relazione al numero dei tagli, come riportato su patata (Ahvenainen et al., 1998), su carota (Surjadinata e Cisneros-Zevallos, 2004) e su ravanello (Saavedra del Aguila et al., 2006). Infine, anche la direzione del taglio sembra poter avere un ruolo importante nella sintomatologia di risposta al taglio, sia in termini di produzione di etilene sia di attività respiratoria, come riportato per banana da Abe et al. (1998).
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Tecnologie di trasformazione ed aspetti impiantistici Data la eterogeneità della materia prima e dei prodotti finali, i processi tecnologici di trasformazione dei prodotti ortofrutticoli di IV gamma sono abbastanza differenziati e possono essere caratterizzati da una più o meno spinta automazione impiantistica, composti da sole operazioni manuali. In figura 2 viene riportato un diagramma di massima delle operazioni relative alla trasformazione dei prodotti di IV gamma, dalla raccolta alla distribuzione finale (Colelli, 2001). Non tutte le operazioni sono strettamente necessarie per le diverse tipologie di prodotto ed alcune (racchiuse in linea tratteggiata) possono essere facoltative per alcuni prodotti. Alcune operazioni particolari non sono comprese, come ad esempio l’eventuale maturazione con etilene di alcuni frutti effettuata in fase post-conservazione.
OPERAZIONI COMPLEMENTARI DI CAMPO
RACCOLTA
TRASPORTO
RAFFREDDAMENTO RAPIDO STOCCAGGIO TEMPORANEO
PACKAGING
STOCCAGGIO TEMPORANEO
PESO
SELEZIONE E CONTROLLO IN INGRESSO
MONDATURA
PREPARAZIONE MIX
TRASPORTO A BASSA TEMPERATURA
PREPARAZIONE MIX ASCIUGATURA
LAVAGGIO/ PRETRATTAMENTO
LAVAGGIO TAGLIO
Fig. 2 – Diagramma delle operazioni per la trasformazione di un generico prodotto ortofrutticolo di IV gamma
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Come già detto in precedenza, la raccolta rappresenta una fase determinante nella filiera dei prodotti ortofrutticoli in genere, soprattutto in relazione all’epoca ed alla modalità. La raccolta può essere effettuata manualmente o più spesso con l’ausilio di specifiche macchine operatrici, soprattutto per ciò che riguarda lo sfalcio delle baby leaf, lo scavo di organi ipogei e, in casi particolari, le insalate da taglio. Importante è che la manipolazione del prodotto sia tale da non danneggiarlo provocando lesioni o pressioni eccessive. Per contenere tali rischi è opportuno operare con delicatezza limitando cadute libere ed eccessivi livelli di riempimento dei contenitori in legno o plastica. Le operazioni di raccolta e trasporto dovrebbero essere eseguite seguendo criteri di igienicità per operatori, strumenti di raccolta, contenitori e mezzi di trasporto. Dopo la raccolta è importante raffreddare rapidamente la materia prima per mantenere inalterate le caratteristiche: in base alla specie si può ricorrere ad un raffreddamento tramite aria forzata, molto usato e particolarmente efficace e versatile, o ad un raffreddamento con acqua. Il raffreddamento mediante vuoto è invece utilizzato per i prodotti con grande rapporto superficie/volume, quali i prodotti fogliosi (Colelli, 2001). Il trasporto prevede la movimentazione dal campo al centro aziendale o ai centri di condizionamento o di trasformazione, a seconda dei casi. Gli impianti di lavorazione dovrebbero essere in prossimità delle aree di produzione, per ridurre l’intervallo tra raccolta e lavorazione. In Italia i maggiori impianti di lavorazione si trovano nel Nord Italia, mentre le produzioni si realizzano in larghissima parte nel Sud. I due poli di produzione sono Bergamo (Nord) e Battipaglia nella Piana del Sele (Sud), ma è certamente quest’ultimo ad immettere, nel periodo compreso tra novembre e giugno, la quasi totalità delle produzioni di IV gamma italiane, coltivando infatti oltre 1.000 ha di scarola, lattuga da taglio, radicchio, spinacio e rucola (Borrelli, 2006; Siviero, 2006). La struttura dei veicoli preposti al trasporto, la loro velocità e lo stato dei profili delle vie di percorrenza sono determinanti al fine di preservare la qualità delle produzioni e limitare i danni meccanici. All’arrivo nello stabilimento, il prodotto, qualora non destinato ad una fase di stoccaggio temporaneo, peraltro consigliato solo qualora sia strettamente indispensabile, viene avviato alla fase di controllo e selezione ed alla successiva fase di mondatura. La riduzione del periodo tra raccolta e lavorazione è estremamente importante considerando che i ritmi respiratori sono elevati, particolarmente nelle specie orticole da foglia. La conservazione dei cespi interi di lattuga romana ed iceberg (fino a 15 giorni a 5 °C in aria) prima della 118
lavorazione ha diminuito la shelf-life del prodotto tagliato di romana ma meno di iceberg; nel prodotto lavorato appena raccolto è stato osservato un periodo più lungo di induzione della PAL rispetto a quello conservato per 7 e 14 giorni (López-Gálvez et al., 1996b). Generalmente il personale seleziona manualmente il prodotto, posto su banconi o introdotto nella linea di lavorazione mediante nastri trasportatori. In alcuni casi sono disponibili sistemi di selezione automatica secondo diversi criteri legati alle dimensioni, alle caratteristiche morfologiche, al colore, o, nei sistmi più recenti, ad alcune caratteristiche composizionali (Beni et al., 2001). Un prodotto prima pulito e non contaminato da microrganismi patogeni e sostanze chimiche può facilmente essere riconta minato in questa fase, se non maneggiato correttamente. Le cause principale sono da ricercarsi nello stato non igienico delle strutture e dei macchinari, delle pratiche adottate e del personale addetto alla lavorazione del prodotto. Un altro approccio è quello per cui il prodotto viene privato delle sue parti non edibli direttamente sul campo, immediatamente dopo la raccolta. Un particolare esempio è dato dall’operazione di detorsolatura della lattuga in campo (Anonimo, 1996), in maniera tale da ottenere un prodotto lavorabile al 100%, con eventuali soluzioni innovative per ridurre l’imbrunimento sulle superfici di taglio (Salveit e Qin, 2008). Tale pratica però potrebbe aumentare il potenziale di rischio di contaminazione da parte di microrganismi patogeni per l’uomo (McEvoy et al., 2008). Il lavaggio è un punto critico del processo di lavorazione, che serve a eliminare terra, corpi estranei e residui di prodotto indesiderati, a ridurre la carica microbica e a rimuovere l’eventuale presenza di contaminanti chimici. Un sistema di lavaggio ottimale generalmente si compone di tre vasche separate, all’interno delle quali getti d’aria movimentano il flusso d’acqua, rendendo più efficace la rimozione meccanica dello sporco dalle superfici del prodotto. Il cloro è l’agente sanitizzante abitualmente usato in gran parte dell’Europa Occidentale e nel Nord America, durante la fase di lavaggio, essendo abbastanza efficace ed economico. La sua forma attiva è rappresentata dall’acido ipocloroso, la cui concentrazione varia a seconda del pH che influenza l’equilibrio tra la forma dissociata e non dissociata, ma anche dalla materia organica presente che ne abbassa la concentrazione; un moto troppo turbolento dell’acqua, ne causa una rapida evaporazione che risulta in fumi tossici per gli operatori. Generalmente si usano 50-200 ppm (Parish et al., 2003; Soliva-Fortuny e MartínBelloso, 2003) per un tempo di contatto pari a 1-3 minuti. Concentrazioni troppo basse hanno un minimo effetto sui microrganismi, mentre concentrazioni troppo elevate possono provocare contaminazione chimica del prodotto; il cloro può reagire con alcuni costituenti del 119
prodotto e formare prodotti tossici (Richardson, 1994). Al fine di abbassare il cloro residuo è raccomandato un risciacquo (Ahvenainen, 1996) in sola acqua a bassa temperatura (1-2 °C). Le tecnologie impiegate nelle operazioni di taglio sono fondamentali, dal momento che, alla luce di quanto detto in precedenza, questo processo causa danni ai tessuti vegetali ed innesca tutta una serie di reazioni tra loro interconnesse che accelerano il deterioramento del prodotto. È bene che taglio e pelatura siano accompagnati da un lavaggio, che elimina i fluidi cellulari accumulatisi sulle superfici. I sistemi maggiormente impiegati consistono di lame rotanti, perpendicolari al flusso della materia, o dischi paralleli al flusso stesso. Sistemi a getto d’acqua (water jet cutters) sono oggetto di molte ricerche e prototipi, essendo sistemi molto pià precisi e flessibili (McGlynn et al., 2003). Una fase molto delicata della lavorazione, soprattutto, ma non solo, per prodotti che crescono a livello del suolo, è la rimozione dei corpi estranei, vale a dire di tutto ciò che non è strettamente prodotto ma può trovarsi associato ad esso sia in campo sia nelle fasi successive di lavorazione. In Europa si registrano dai 5 ai 7 reclami successivi al ritrovamento di corpi estranei per milione di confezioni vendute (Caponetti, 2007). Tali corpi provengono al 90-95% dalla fase pre-raccolta, mentre la contaminazione durante le fasi della trasformazione appare più limitata. In linea di massima i prodotti più a rischio da questo punto di vista sono risultati quelli composti da baby leaf e da insalate a cespo aperto. Le statistiche riportano inoltre che circa il 20% dei prodotti alimentari sui quali è stata rilevata la presenza di corpi estranei deriva da ortaggi, mentre solo il 2,6% deriva da prodotti a base di frutti (Edwards et al., 2007). L’identificazione di tali corpi è affidata in primo luogo agli operatori durante le prime fasi di selezione e cernita e può essere coadiuvata da diversi sistemi meccanici e ottici. La ricerca in questo campo da parte delle aziende produttrici è molto intensa, essendoci ancora molti limiti di rilevazione da superare data la variabilità dei corpi presenti, in termini di tipo di matrice, colore, densità e dimensioni. Tra i sistemi più innovativi, si annoverano filtri, piani vibranti e linee disegnate al fine di eliminare con buona probabilità eventuali corpi estranei, e tra sistemi ottici, infrarossi, raggi-X, laser e sistemi a multi-frequenza (Stafford et al., 1989; Campbell, 1992; White e Sellers, 1994; Zion et al., 1995; Zwiggelaar et al., 1996; Artés-Hernandez e Artés, 2005). Alla fine di ogni linea inoltre, troviamo i più classici metal-detector. Molto spesso l’interrazione di alcuni di tali sistemi comporta una maggiore efficienza di detenzione in quanto copre uno spettro più ampio di criteri di rilevazione (Caponetti, 2007). In seguito all’ultima operazione di lavaggio, e prima del confezionamento, avviene l’operazione di asciugatura, che consiste nella rimozione dell’acqua in eccesso sulla superficie del prodotto. 120
Tale operazione risulta della massima importanza perché la presenza di acqua liquida a contatto con i tessuti aumenta notevolmente il rischio di proliferazione microbica di tipo degenerativo. La difficoltà di questa operazione è legata alla conformazione del prodotto ed anche le tecniche utilizzate possono essere differenziate e/o combinate (Turatti, 2007). Una prima fase può consistere nell’uso di piattaforme forate vibranti che scuotono il prodotto facendolo avanzare, provocando l’allontanamento dell’acqua attraverso i fori. Tale operazione può avvenire contemporaneamente, o essere seguita, dalla ventilazione forzata con aria fredda (-1-0 °C) o, in alcune soluzioni, con azoto. In alternativa, l’asciugatura del prodotto può realizzarsi attraverso centrifugazione, che può avvenire attraverso centrifughe continue, per linee di lavorazione di grandi capacità, o discontinue, anche di piccole dimensioni, che quindi comportano un sistema di accumulo prima e dopo l’operazione. Il sistema per centrifugazione, sebbene molto utilizzato, soprattutto per le insalate tagliate, può presentare l’inconveniente di arrecare danni meccanici al prodotto, con conseguente aumento potenziale dei fenomeni di imbrunimento. Secondo Pirovani et al. (2003) l’efficacia nella rimozione di acqua dipende dalle condizioni operative della centrifuga, soprattutto in relazione alla velocità di rotazione rispetto al tempo di processo. Tali autori riportano inoltre nessun effetto delle condizioni operative sulla crescita microbica in spinaci di IV gamma, identificano le condizioni ottimali al fine della riduzione dell’imbrunimento tra 700 e 750 rpm (corrispondenti ad un’accelerazione di 68,575,5 G) ed un tempo operativo da 5 a 5,5 minuti. In tali condizioni l’eccesso di acqua nel prodotto dovrebbe limitarsi a valori compresi tra lo 0,2 e lo 0,5% in peso. Secondo Allende et al. (2004) l’operazione di centrifugazione, insieme con quella di taglio e di risciacquo, concorre ad aumentare la carica microbica del prodotto durante la lavorazione.
Trattamenti pre- e post-taglio per mantenere la qualità dei prodotti di IV gamma Per il mantenimento della qualità dei prodotti tagliati sono ad oggi disponibili diverse strategie basate su mezzi fisici e chimici, che mirano in particolare al rallentamento dell’imbrunimento (Garcia e Barrett, 2002) e della perdita di consistenza (Gorny et al., 2002). Le basse temperature, i trattamenti termici e l’utilizzo di atmosfere modificate sono tra i più utilizzati sistemi fisici, mentre i sistemi chimici prevedono l’inibizione degli enzimi responsabili dell’imbrunimento (PPO) o la rimozione o sostituzione dei substrati. Esistono diversi composti ad azione anti-imbrunente; i composti chelanti agiscono direttamente come inibitori enzimatici, gli acidulanti rendono il pH dell’ambiente di reazione non ottimale per l’enzima, invece gli agenti riducenti e complessanti legano i prodotti intermedi di reazione prima che da questi siano formati i composti scuri (Garcia e Barrett, 2002). L’acido ascorbico, oltre che un 121
debole acidulante, effettua la sua azione di riduzione sugli orto chinoni, intermedi incolore della reazione, rigenerando gli orto-difenoli da cui la reazione ha inizio (Golan-Goldhirsh et al., 1992). Anche la cistina è un agente riducente che agisce allo stesso modo (Gunes e Lee, 1997). Tra gli altri composti di cui si riporta un effetto anti-ossidante si cita il 4-exilresorcinolo (Sapers e Miller, 1998), il cloruro di sodio (Rouet-Mayer e Philippon, 1986) e i composti a base di calcio (Drake e Spayd, 1983). Diversi studi in bibliografia riportano l’efficacia di mix di anti-ossidanti per diversi prodotti di IV gamma: Gorny et al. (2002) riportano un significativo aumento della shelf-life di fette di pera ‘Bartlett’ dopo l’immersione in una soluzione al 2% di ascorbato, 1% di lattato di calcio e 0,5% di cisteina a pH 7; il 4-exilesorcinolo in combinazione con eritorbato di sodio è risultato efficace sul mantenimento del colore di fette di pera ‘Anjou’ (Sapers e Miller, 1998); Pizzocaro et al. (1993) osservano il 90-100% di inibizione dell’azione delle PPO su cubi di mela trattati con 1% di acido ascorbico e 0,2% di acido nitrico, mentre Soliva-Fortuny et al. (2002) riportano come efficace su mela un trattamento con 1% di acido ascorbico e 0,5% di cloruro di calcio accoppiato ad atmosfera modificata. L’immersione in soluzioni con composti a base di calcio è invece uno dei pre-trattamenti più usati per il mantenimento della consistenza iniziale di pezzi di diverse specie come zucchina (Izumi e Watada, 1995), carota alla julienne (Izumi e Watada, 1994), mela (Lurie e Klein, 1992), pera e fragola a pezzi (Rosen e Kader, 1989). Il ruolo giocato dallo ione Ca²⁺ sulla consistenza è dovuto all’effetto di stabilizzazione delle membrane e alla formazione di pectati di calcio che aumentano la rigidità della lamella mediana e della parete cellulare (Jackman e Stanley, 1995). L’immersione (dipping) in soluzioni con 1% di cloruro di calcio o 2% di lattato di calcio, in combinazione con atmosfere controllate al 2-4% di O₂ e al 5-10% di CO₂, può estendere la shelf-life di fette di actinidia da 9 a 12 giorni (Agar et al., 1999). L’immersione nel 2,5% di lattato di calcio di pezzi di melone ‘Campsol’ è risultata efficace non solo sul mantenimento della consistenza dei pezzi, ma anche nel controllare la comparsa di un effetto traslucido che è uno dei problemi principali per questo tipo di prodotto (Rinaldi et al., 2004). Tra i mezzi fisici, l’uso di rivestimenti (coating)edibili rappresenta un’altra valida strategia per il mantenimento della qualità dei prodotti tagliati. Tali coating sono costituiti da idrocolloidi, come polisaccaridi e proteine, e/o da sostanze lipidiche e cere che ricoprono il prodotto formando una barriera invisibile, inodore ed insapore che agisce da barriera protettiva (Baldwin et al., 1995). Questa barriera limita enormemente gli scambi gassosi (anche col vapor d’acqua) e la perdita quindi di composti volatili, impartendo al prodotto una maggiore resistenza meccanica e preservando allo stesso tempo il colore e la consistenza dei pezzi (Baldwin et al., 1995). La scelta del tipo di coating da utilizzare su un prodotto tagliato è un 122
punto molto critico, per la natura idrofilica delle superfici di taglio alle quali alcuni rivestimenti possono non aderire (Baldwin et al., 1995). I composti di natura lipidica hanno buone proprietà di barriera all’acqua, ma possono impartire al prodotto sgradevoli caratteristiche gommose (Wong et al., 1994), mentre i polimeri idrofilici hanno minori proprietà barriera (Baldwin et al., 1996); la combinazione dei due tipi di composti sembra essere la scelta migliore. All’emulsione possono essere inglobati agenti antiossidanti, fungicidi e conservanti (Cuppett, 1994; Baldwin et al., 1995; Pranoto et al., 2005) per aumentarne l’efficacia, mentre minerali e vitamine vengono aggiunti per aumentare il valore nutrizionale del prodotto finito (Dong et al., 2004; Han et al., 2004). Inoltre, l’effetto di coating addizionati di antiossidanti come l’acido ascorbico è maggiore di quello del relativo dipping acquoso, così come osservato su mele e su patate, forse a seguito della maggiore aderenza dei principi attivi con le superfici di taglio (Baldwin et al., 1996). Da uno studio su melone di IV gamma è emerso che l’uso di rivestimenti a base di alginati o di pectine è risultato più efficace nel mantenimento della qualità dei pezzi, in confronto con coating a base di idrocolloidi che non offrivano una barriera sufficiente ai gas, o di agenti gelificanti che pur preservando da perdite di vitamina C, inducevano un’elevata sintesi di composti fenolici (Oms-Oliu et al., 2008). Il calore, sia usato secco (tra i 35 ed i 40 °C) sia in forma di breve immersione in acqua calda (fino a 50-53 °C), costituisce un altro mezzo fisico usato in fase postraccolta per estendere la vita commerciale dei prodotti ortofrutticoli, tra cui mela (Lurie et al., 1991), pesca (Malakou e Nanos, 2005), melone (Lingle et al., 1987) e agrumi (D’Aquino et al., 1994), e che ha potenziali applicazioni anche per il prodotto di IV gamma. Luna-Guzman et al. (1999) riportano un effetto sinergico in termini di minore perdita di consistenza di fette di melone cantalupo tra l’uso di cloruro di calcio al 2,5% per 1 minuto e l’immersione in acqua calda sia a 40 che a 60 °C. Abreu et al. (2003) descrivono come effettivi blandi trattamenti termici (35-45 °C per 40-150 minuti) su pere ‘ Rocha’ tagliate in quarti, per evitare imbrunimento delle superfici di taglio e mantenere la consistenza. Il trattamento termico su segmenti di sedano (50 °C per 90 secondi) ha ridotto significativamente l’aumento in PAL associato al danno meccanico di taglio e la suscettibilità all’imbrunimento (Loaiza-Velarde et al., 2003). Su patate di IV gamma alcuni autori riportano l’efficacia anti-imbrunente di un blando blanching in soluzione di acido ascorbico e acido citrico (50 °C per 5 minuti) seguito da una seconda immersione in un altro mix di antiossidanti a temperatura ambiente (Sapers e Miller, 1995). Infine, Amodio e Colelli (2008), applicando su pesche a fette trattamenti termici (20, 40 e 60 °C per 2 minuti), combinati con immersione in acido ascorbico e lattato di calcio, osservano che l’effetto delle alte temperature sulla riduzione della produzione di etilene e sull’attività respiratoria 123
(maggiore all’aumentare della temperatura) non si configura in un effetto sugli aspetti qualitativi delle fette in termini di aspetto esteriore e di consistenza, tuttavia consegue un aumento dell’attività antiossidante del prodotto. L’utilizzo dell’1-metilciclopropene (1-MCP) per i prodotti tagliati, così come per il prodotto intero, ha dimostrato di essere una strada percorribile in diverse applicazioni. Tale composto è un inibitore dell’azione dell’etilene (Sisler e Serek, 1997) ed è quindi molto efficace nel ritardare la senescenza dei frutti interi (Blankenship e Dole, 2003). L’etilene è prodotto nei tessuti a seguito di un danno meccanico, come può esserlo il taglio, ed ha effetti indesiderabili sulla qualità dei prodotti tagliati (Slaveit, 1997). Trattamenti con 1-MCP su fette di banana non hanno mostrato effetti sulla riduzione dell’imbrunimento, ma hanno determinato una minore perdita di consistenza, estendendo la loro conservabilità a 10 °C di 1-2 giorni, mentre trattamenti effettuati sui frutti prima del taglio non hanno sortito effetto sulla shelf-life delle fette (Vilas-Boas e Kader, 2001). Gli stessi autori riportano risultati similari anche su mango tagliato a cubetti, mentre su cachi l’effetto dell’1-MCP è risultato maggiore qualora applicato sul frutto intero prima del taglio; in tali condizioni, la shelf-life del prodotto è aumentata di 3-4 giorni a 5 °C, con una più contenuta riduzione della consistenza. Nel caso di pomodoro di IV gamma (Cornacchia et al., 2007) l’esposizione all’1-MCP effettuata dopo il taglio ha determinato una minore produzione di etilene nelle fette, mentre quando l’esposizione è stata effettuata sui frutti interi prima del taglio, le fette hanno dimostrato una minore perdita di consistenza. L’esposizione per 6 ore a 1 ppm di 1-MCP di fette di frutti di actinidia ha consentito di ottenere un’estensione della shelf-life anche in presenza di etilene esogeno (Colelli e Amodio, 2003), mentre su fette di papaia si ottiene una vita commerciale doppia del prodotto trattato rispetto al prodotto non trattato (Ergun et al., 2006). Recentemente è stato messo a punto un sistema di confezionamento con rilascio di diversi principi attivi (incluso l’1MCP) che ha consentito di preservare il colore, la succosità e l’aroma di fette di pera (Changwen et al., 2008).
Sanitizzazione delle acque di lavaggio Come accennato in precedenza, il cloro è l’agente sanitizzante dell’acqua più utilizzato nell’industria della IV gamma, in forma di ipoclorito di sodio (NaOCI) in soluzione acquosa in concentrazione variabile tra 50 e 200 ppm di cloro (Parish et al., 2003; Soliva-Fortuny e MartínBelloso, 2003). Negli ultimi anni le crescenti preoccupazioni relative da una lato alla possibile formazione di composti nocivi, tra cui trialometani, acidi aloacetici e clorammine (Wei et al., 1999; Simmons et al., 2002; Villanueva et al., 2004), e dall’altro alla effettiva efficacia 124
sanitizzante (Nguyen-the e Carlin, 1994; Beuchat, 1999; Li et al., 2001) hanno accresciuto i dubbi relativi all’uso dell’ipoclorito di sodio e spingono verso l’implementazione di agenti sanitizzanti alternativi. Il diossido di cloro (ClO₂), ad esempio, forma minori composti organo alogeni rispetto all’ipoclorito, pur avendo una potenza ossidante 2,5 volte maggiore (Benarde et al., 1967). Tuttavia è ammesso un limite massimo di 3 ppm a contatto con il prodotto intero e di 1 ppm con il prodotto tagliato (Parish et al., 2003). Anche il clorito di sodio acidificato (in commercio come Sanova) è stato ammesso per il trattamento sanitizzante su prodotti ortofrutticoli freschi sia per immersione sia come trattamento spray alla concentrazione di 500-1200 ppm (CRF, 2000). La sua efficacia sanitizzante in alternativa all’ipocrito è stata riportata su diverse specie, fra cui carota (Ruiz-Cruz et al., 2006) e coriandolo (Kim et al., 2007; Allende et al., 2009). Il possibile uso del perossido d’idrogeno come agente sanitizzante è stato studiato da diversi autori ed oggetto di una specifica review di Juven e Pierson (1996). Più recentemente, tra gli altri, l’efficacia del perossido d’idrogeno, in combinazione con acido lattico p con blandi trattamenti termici, è stata riportata da Li et al. (2001) su lattuga, su fette di kiwi in confronto con l’ipoclorito da Colelli et al. (2004) e, come trattamento su meloni interi inoculati con Escherichia coli O157:H7 e Lysteria monocytogenes, al fine di evitare la contaminazione delle fette da essi ottenuti da Ukukua et al. (2005) anche in combinazione con nisina, lattato di sodio ed acido citrico. Alcuni autori suggeriscono l’uso di acidi organici, tra cui l’acido acetico, l’acido perossiacetico e l’acido ottanoico (Hilgren e Salverda, 2000), mentre altri, tra cui l’acido lattico e l’acido citrico, hanno mostrato una attività antimicrobica meno efficace (Parish et al., 2003). In particolare, l’acido perossiacetico (in commercio come Tsunami) è stato oggetto di un’ampia sperimentazione negli anni passati, dalle quali è risultata una ottima azione sanitizzante in relazione a diverse tipologie di prodotto di IV gamma, fra cui carota (Gonzales et al., 2004), patata (Beltran et al., 2005) e mele (Wang et al., 2007a; Wang et al., 2007b). Alcuni trattamenti fisici sono stati proposti come alternativa all’uso di sanitizzanti chimici, tra cui l’uso dell’ozono e quello di radiazioni non ionizzanti, quali i raggi ultravioletti (UV-C). l’ozono è un gas a basso impatto ambientale, ha un elevato potere di penetrazione e spiccata reattività, ha una veloce decomposizione (circa 30’) in un gas non tossico (O₂) ed è attivo già a bassissime concentrazioni (0,1 ppm) (Garcia et al., 2003). L’azione dell’ozono si esplica con l’ossidazione della materia organica, di cellule batteriche, muffe, lieviti, funghi, sia nelle forme vegetative sia sporali. L’utilizzo di ozono riduce la crescita di Botrytis cinerea sui prodotti ortofrutticoli (Forney et al., 2001; Lovino et al., 2006). Per ciò che riguarda il prodotto di IV 125
gamma, le applicazioni di ozono come sanitizzante, generalmente disciolto nell’acqua di lavaggio, risultano molto promettenti. Acqua ozonizzata alla concentrazione di 0,18 ppm ha ridotto mediamente di 1,69 unità logaritmiche la carica microbica su bastoncini di sedano (Zhang et al., 2005). Tale trattamento inoltre ha contribuito a ridurre significativamente l’attività respiratoria e l’attività della PPO, con una migliore qualità sensoriale dei prodotti trattati. La letteratura è comunque ricca di riferimenti relativi a diversi prodotti ortofrutticoli, sia per ciò che riguarda la riduzione della carica microbica naturale presente sui prodotti di IV gamma (Beltran et al., 2005) sia per quanto riguarda la sopravvivenza di microrganismi patogeni per l’uomo (Selma et al., 2007). Diversi studi hanno descritto l’efficacia di trattamenti UV-C, alla dose appropriata, nell’inibire lo sviluppo della microflora naturale associata a diverse tipologie di prodotto, fra cui anguria (Fonseca e Rushing, 2006), fragole (Erkan et al., 2008), arilli di melograno (López-Rubira et al., 2005) e lattughe diverse, come ‘Lollo Rosso’ (Allende e Artés, 2003) e ‘Red-oak leaf’ (Allende et al., 2006). Dosi troppo elevate causano invece perdita di turgore e imbrunimento. L’uso di UVC alle dosi tra 0,5 e 20 kj m⁻² inibisce la crescita microbica attraverso la formazione di dimeri di pirimidina che agendo sul DNA bloccano la replicazione della cellula batterica che, essendo incapace di riparare tali danni, muore (Bintsis et al., 2000). Sembra che l’efficacia delle radiazioni ultra-violette sia indipendente dalla temperatura nell’intervallo tra 5 e 37 °C e dipenda dalla radiazione incidente determinata dalla configurazione superficiale e dalla struttura del prodotto trattato (Gardner e Shama, 2000). Inoltre, la luce UV-C agisce in maniera indiretta contro i microrganismi, stimolando i meccanismi di difesa dei tessuti trattati, e quindi ritardando lo sviluppo di alterazioni patologiche (Ben-Yehoshua e Mercier, 2005). Viene infine ipotizzato che l’uso di radiazioni UV-C, così come nel caso di altri stress abiotici, influenzi il metabolismo secondario nei prodotti ortofrutticoli aumentando quindi la sintesi di composti chimici con potenziale attività nutraceutica (Cisneros-Zevallos, 2003), come ad esempio riportato su mango da Gonzalez-Aguilar et al. (2007) e su fragole da Erkan et al. (2008). Molto meno studiati invece sono stati altri sistemi fisici, potenzialmente utilizzabili per la sanitizzazione delle acque di lavaggio dei prodotti di IV gamma, fra cui i campi elettrici pulsati, i campi magnetici oscillanti e gli ultrasuoni.
Confezionamento in atmosfera modificata Il confezionamento in atmosfera modificata (MAP) è un valido ausilio al fine di estendere la vita commerciale dei prodotti di IV gamma. Gli effetti positivi della modificazione 126
dell’atmosfera, riducendo l’ossigeno e aumentando l’anidride carbonica, consistono nella riduzione dell’attività respiratoria, della produzione di etilene, delle reazioni enzimatiche e di alcune alterazioni fisiologiche, contribuendo quindi a mantenere più a lungo la qualità (Ahvenainen, 1996; Gorny, 1997). Attraverso la MAP si punta ad ottenere all’interno della confezione una composizione ottimale di gas per un dato prodotto, creata dal prodotto stesso con la respirazione o attivamente creata attraverso la sostituzione dell’aria con un’opportuna miscela di gas, prima della chiusura del contenitore. Una volta chiuso l’imballaggio non è possibile nessun’altra forma di controllo e la composizione dell’atmosfera al suo interno sarà inevitabilmente destinata a variare in relazione al metabolismo del prodotto ed alle proprietà barriera del materiale utilizzato (Silvertsvik et al., 2002). Per ogni tipologia di prodotto è della massima importanza utilizzare appropriate composizioni gassose in quanto la tolleranza a basse concentrazioni di O₂ e/o ad alte concentrazioni di CO₂ dipendono dal tipo di prodotto. Al di fuori dei limiti considerati ottimali, il prodotto può variare il proprio metabolismo respiratorio con la produzione di composti indesiderati e possono verificarsi alterazioni fisiologiche a carico dei tessuti (Zagory e Kader, 1988). Un grandissimo numero di lavori scientifici descrive condizioni gassose ottimali per diverse specie di IV gamma in quanto tale aspetto rappresenta un importante punto critico. Di seguito si riporta una breve, ancorché molto incompleta, serie di esempi relativi ad effetti favorevoli di particolari composizioni gassose su determinate specie ortofrutticole di IV gamma. Atmosfere con 0,5% di O₂ e 10% di CO₂ riducono l’attività respiratoria e la produzione di etilene, lo sviluppo microbico ed il calo in peso in carote tagliate con diverse configurazioni (Izumi et al., 1996). Livelli di O₂ del 3% unitamente a livelli di CO₂ del 10% migliorano l’aspetto esteriore di lattuga iceberg tagliata (López-Gálvez et al., 1996b); ossigeno tra 1 e 3,8% ed anidride carbonica tra 3 e 6% hanno contribuito a conservare cavolo verza di IV gamma per 10 giorni (Kim et al., 2004), mentre una miscela al 3% di O₂ e 15% di CO₂ è risultata efficace a contenere le perdite di consistenza e di turgore di foglie di Eruca sativa (Cornacchia et al., 2006). Basso livello di ossigeno, con o senza alte concentrazioni di anidride carbonica, ritardano l’ingiallimento dei bocci fiorali in infiorescenze di cavolo broccolo (Hansen et al., 2001) e permettono una più lunga shelf-life delle foglie di basilico (Amodio et al., 2005). Livelli della pressione parziale dell’O₂ di circa 8 kPa o minore migliorano la ritenzione del tipico colore giallo nella polpa di ananas in pezzi, mentre una pressione parziale della CO₂ maggiore di 10 kPa ha portato alla riduzione sostanziale dell’imbrunimento della polpa (Marrero e Kader, 2006). Atmosfere ad alta CO₂ (15%) rallentano lo sviluppo di marciumi e riducono le variazioni di colore e lo sviluppo di odori sgradevoli in pezzi di melone tipologia Honeydew (Portela e Canwell, 1998); atmosfera modificata attiva, ottenuta insufflando 4% di O₂ e 10% di CO₂ nell’imballaggio, ha mantenuto la 127
qualità di pezzi di melone cantaloupe meglio che l’atmosfera modificata di tipo passivo (Bai et al., 2001), mentre MAP, sia attiva sia passiva, è risultata utile nel limitare lo sviluppo microbico su meloni ‘Campsol’ (Rinaldi et al., 2004). Amodio et al. (2006), nel caso di minestrone composto da 13 diversi ortaggi, inclusi piselli e fagioli reidratati, riportano come vantaggiosa un’atmosfera composta da 3% di ossigeno e da 20% di anidride carbonica, in quanto ha permesso di ritardare l’ingiallimento di spinacio, prezzemolo e bietola (tutti tagliati), ed in generale ha mantenuto la qualità di tutte le altre specie presenti nella zuppa. Una miscela gassosa di 3% O₂ + 20% CO₂ è risultata molto utile nel mantenere la qualità di funghi “Cardoncello” di IV gamma (Amodio et al., 2003), mentre il 10% di CO₂ in aria o con il 5% di ossigeno ha ridotto l’imbrunimento delle superfici di taglio di finocchio di IV gamma (Rinaldi et al. 2007). L’adozione di una MAP con circa il 20% di CO₂ e il 5% di O₂ ha permesso di conservare pezzi di noce di cocco per 3 settimane con ottimi livelli qualitativi (Amodio et al., 2004b). Come già detto in precedenza, l’uso di O₂ e CO₂ nelle miscele gassose all’interno del materiale da imballaggio comporta un equilibrio finale delle relative composizioni, detto fase stazionaria. Il possibile uso di altri gas all’interno delle miscele (argon e ossido di azoto) o di livelli relativi notevolmente diversi (ossigeno superatmosferico) è stato discusso da Day (1996 e 1998) in relazione all’applicazione su prodotti ortofrutticoli di IV gamma. Secondo tale autore, alti livelli di O₂ sono efficaci al fine di limitare variazioni di colore legate ad attività enzimatica, a prevenire il metabolismo fermentativo e ad influenzare la crescita dei microrganismi aerobi e anaerobi. In una review sugli effetti dell’ossigeno superatmosferico sulla fisiologia postraccolta dei prodotti ortofrutticoli (Kader e Ben-Yehoshua, 2000) gli autori, facendo il punto sulla bibliografia presente all’epoca, concludono che l’efficacia di tale tecnologia è molto aleatoria, dipendendo da molti fattori, tra cui la specie, lo stadio fisiologica e le condizioni d’uso, con risultati spesso contraddittori, sottolineando l’esigenza di ulteriori approfondimenti soprattutto finalizzati a metterne in luce i meccanismi d’azione. Già negli anni ’70 alcuni studi su specie diverse hanno confermato l’effetto di alti livelli di ossigeno (80-100 kPa) nel ridurre la produzione di etilene in pomodoro (Morris e Kader, 1975). Più recentemente, atmosfere ad alto ossigeno hanno contribuito a migliorare la vita commerciale in fragola e mirtillo attraverso l’inibizione dello sviluppo di muffe mantenendo elevate caratteristiche sensoriali (Van der Steen et al., 2002). L’uso di atmosfere con ossigeno a 80 kPa su lattuga Butterhead è stato suggerito da Eswcalona et al. (2006), al fine di eliminare il rischio di metabolismo fermentativo e, in combinazione con CO₂ a 20 kPa, per ridurre l’attività respiratoria. L’applicazione di atmosfera modificata con ossigeno superatmosferico (80% O₂ + CO₂), in confronto ad 128
atmosfera modificata convenzionale (5% O₂ + 30% CO₂), non ha condotto a miglioramenti legati all’aspetto esteriore ed allo sviluppo microbico in frutti di pesca tagliati a fette, evitando però il rischio di metabolismo fermentativo (Amodio et al., 2004a). L’uso dell’argon nelle miscele di atmosfera modificata ha dimostrato di poter ridurre la carica microbica e migliorare il mantenimento della qualità del prodotto (Day, 1996 e 1998). La sostituzione dell’azoto dell’aria con elio o con argon comporta un miglioramento della diffusione dei gas e ciò determinerebbe la riduzione del gradiente di concentrazione dell’ossigeno tra l’esterno e l’interno dei tessuti, permettendo la conservazione di diverse specie ad un livello di O₂ esterno più basso rispetto a quello tollerato in presenza di azoto (Burg e Burg, 1965). Il trattamento continuo con l’ossido di diazoto, o protossido d’azoto (N₂O), ha determinato una significativa inibizione della maturazione in frutti climaterici (pomodoro e avocado) attraverso l’estensione della fase precedente l’aumento esponenziale della produzione di etilene da parte dei tessuti in fase climaterica (Gouble et al., 1995); inoltre, Leshem e Wills (1998) hanno dimostrato che l’N₂O può inibire la sintesi e l’azione dell’etilene nelle piante superiori. L’argon, assieme all’ossido di diazoto, è anche noto per migliorare l’efficienza delle pratiche sanitizzanti in quanto rende i microrganismi più sensibili agli altri effetti degli agenti antimicrobici (Qadir e Hashinaga, 2001). Alcuni autori riportano che attraverso MAP non convenzionale, con argon, ossido di diazioto e con una bassa concentrazione di CO₂ e O₂, è stato possibile mantenere la qualità in mela in IV gamma per 12 giorni, attraverso la diminuzione del metabolismo, soprattutto in relazione all’attività della PPO (Rocculi et al., 2004). Tuttavia, Jaimie e Saltveit (2002) non osservarono nessun miglioramento legato alla sostituzione dell’azoto con elio o argon. In particolare, un’atmosfera composta da 90% di argon e 2% di ossigeno non ha rallentato l’accumulo di fenoli in lattuga di IV gamma o la perdita di clorofilla in infiorescenze di cavolo broccolo e non sono state osservate differenze nel caso di atmosfere a base di elio o di azoto. Un aspetto molto importante relativo all’applicazione di atmosfere modificate è la scelta del materiale da imballaggio, in funzione delle proprietà barriera ai gas. È noto infatti che in relazione alla composizione, alla struttura ed allo spessore, i film polimerici utilizzati si lasciano attraversare dall’ossigeno e dall’anidride carbonica in maniera diversa. Con l’obiettivo di ottenere una concentrazione relativa di tali gas il più possibile vicina a quella ottimale per il particolare prodotto ivi racchiuso, la scelta del film viene effettuata alla luce di numerosi fattori, che comprendono naturalmente il tipo e la quantità di prodotto (in relazione alla sua attività metabolica), la superficie scambiante del film e la sua permeabilità relativa ai gas metabolici. Il rapporto fra tali valori di permeabilità (detto anche valore ß) è sempre in favore 129
della CO₂ e varia per i diversi tipi di materiale. Recentemente, si va affermando per i prodotti di IV gamma l’uso di film plastici micro perforati (Rodov et al., 2007), per i quali, attraverso microscopiche perforazioni effettuate con il laser, si può aumentare in maniera predeterminata la permeabilità del materiale utilizzato e, soprattutto, si va a modificare il valore ß al fine di ottenere rapporti di permeabilità più vicini all’unità. Questo è all’incirca il valore del quoziente respiratorio del prodotto, al fine di raggiungere più rapidamente la fase stazionaria, per cui l’attività metabolica del prodotto e la quantità di gas scambiati attraverso il film plastico si equivalgono. Il relazione alla tecnologia MAP, un ultimo accenno andrebbe rivolto ai materiali da imballaggio, soprattutto in relazione all’impatto ambientale legato all’enorme aumento d’uso di tali materiali conseguente la crescita del settore della IV gamma. Da questo punto di vista è in corso un forte dibattito legato alla sostenibilità ambientale completamente riciclabili in tempi brevi e, in molti casi, ottenuti a pertire da sottoprodotti o da materiale vegetale (Marsh e Bugusu, 2007).
Esigenze in termini di ricerca e sviluppo I prodotti della IV gamma sono caratterizzati da alto grado in servizio e qualità tipica del prodotto fresco, e, in quanto tale, da alto valore aggiunto. Il processo è rivolto fondamentalmente ad accrescere la convenience per il consumatore, anche a scapito della shelf-life. Tutto questo comporta una serie di interventi tecnologici indispensabili per una normale distribuzione commerciale. Naturalmente il consumatore, che è disposto a pagare un prezzo più alto per un prodotto di alto valore, ha delle aspettative molto elevate sia in termini di qualità sensoriale, sia in termini di valore nutrizionale e di sicurezza chimica e microbiologica. Su questi semplici concetti si può basare una serie di riflessioni legate all’esigenza in termini di R&S in questo settore. Al fine di migliorare gli aspetti qualitativi di tipo organolettico e nutrizionale dei prodotti bisogna porre molta attenzione alla qualità dei prodotti di partenza. Tutti gli sforzi dovrebbero essere compiuti per fare in modo che chi trasforma prodotti di IV gamma possa partire da materia prima dalle caratteristiche superiori in termini di sapore, consistenza e valore nutrizionale. Ciò può essere ottenuto attraverso programmi di miglioramento genetico, ottimizzazione delle tecniche colturali finalizzate alla qualità, e, soprattutto, attraverso la
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comprensione dei meccanismi che comportano il decadimento qualitativo, anche mediante la messa a punto e l’uso di specifici marker molecolari. Per quanto riguarda il processo, diventa importante aumentare gli sforzi di ricerca per accrescere le conoscenze sugli effetti dell’applicazione di stress abiotici controllati (UV, trattamenti termici, atmosfere alternative) sul miglioramento della qualità nutrizionale e organolettica dei prodotti di IV gamma. Inoltre, la disponibilità di sistemi non distributivi attendibili ed a costo contenuto per la valutazione degli indicatori relativi al valore nutrizionale ed alle caratteristiche gustative ed olfattive, rappresenterebbe un vantaggio sia per i produttori, per i quali sarebbe molto più semplice selezionare le materie prime in relazione a questi specifici indicatori, sia per i consumatori che avrebbero maggiori garanzie sulla qualità del prodotto. Un altro aspetto importante anche e non solo per il sempre maggior grado di attenzione da parte dei consumatori, riguarda la sostenibilità ambientale di questa tipologia di prodotti. Da questo punto di vista sarebbe molto importante la disponibilità sempre maggiore di materiali da imballaggio completamente biodegradabili, possibilmente provenienti da fonti rinnovabili. Un’altra direzione della ricerca scientifica in questo campo dovrebbe essere rivolta ad una migliore comprensione dei fattori coinvolti nel ciclo di vita dei materiali sia in termini di input energetico necessario per la sua realizzazione (a partire dalle materie prime e incluso il trasporto), sia in relazione alla quantità di anidride carbonica liberata durante la sua vita. Infine, un altro aspetto della massima importanza riguarda l’aumento del grado di sicurezza relativo al consumo di questa tipologia di alimenti, soprattutto, anche se non esclusivamente, dal punto di vista microbico. Anche se sarebbe auspicabile la messa a punto di un trattamento risolutivo in termini di carica microbica, inclusa quella potenzialmente patogena per l’uomo (il famoso killing step di cui molto si parla nell’industri), tale soluzione appare difficilmente compatibile con lo stato di prodotto fresco, quindi facilmente danneggiabile da qualsiasi trattamento eradicante attualmente conosciuto e praticato nell’industria alimentare. Bisognerebbe comunque aumentare il grado di conoscenza relativa ai meccanismi di trasferimento, di sopravvivenza e di crescita dei microrganismi patogeni sui prodotti di IV gamma; di conseguenza mettere a punto protocolli di campionamento efficaci, sistemi diagnostici ultrarapidi e strategie di intervento fortemente mirate, al fine di ridurre ulteriormente le possibilità che campioni potenzialmente contaminati arrivino al consumatore.
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Riassunto Da circa 10 anni i prodotti di IV gamma rappresentano una nuova opportunità di acquisto per i consumatore desideroso di prodotti sani, nutrienti e facili da consumare. Il presente lavoro fa il punto sugli aspetti relativi alla qualità dei prodotti di IV gamma, sia in relazione ai parametri fisiologici, chimico-fisici, microbiologici e sensoriali utilizzati per definirla, sia in relaziona ai fattori che in tempi successivi la condizionano. Tra questi, l’aspetto varietale, l’ambiente di coltivazione, le tecniche colturali adottate, lo stadio di maturazione alla raccolta, le condizioni della fase che intercorre tra la raccolta e la trasformazione vera e propria, e, naturalmente, le condizioni operative di processo e le condizioni di trasporto e di vendita, fino al consumo finale. Vengono esaminati gli aspetti tecnologici ed impiantistici relativi alla trasformazione industriale, con particolare riferimento ai trattamenti post-taglio ed all’imballaggio, i trattamenti pre- e post-taglio per il mantenimento della qualità dei prodotti tagliati basati su mezzi fisici e chimici, che mirano in particolare al rallentamento dell’imbrunimento e della perdita di consistenza, gli agenti sanitizzanti dell’acqua. Infine, le basse temperature, i trattamenti termici e l’imballaggio in atmosfera modificata al fine di estendere la vita commerciale dei prodotti di IV gamma.
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CAP9: IL MAIS E I SUOI DERIVATI
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La coltivazione del mais nel mondo Il mais (Zea Mays L.) è originario della regione tra il Messico e l'Honduras e circa 2700 anni fa ha contribuito notevolmente allo sviluppo delle civiltà azteche e maya. L'importanza del mais per questi popoli era dovuta non solo alle caratteristiche nutrizionali della granella, ma anche al fatto che questa, essiccata, poteva essere conservata e trasportata in zone anche molto distanti. Questo è il motivo della diffusione della coltura in tutto il mondo nei secoli successivi. L'utilizzazione del mais come pianta da foraggio risale alla colonizzazione dell'America, mentre in Europa si è diffuso soprattutto nel 1800 grazie ai sistemi di conservazione basati su tecniche di insilamento. Nell'ultimo secolo l'affermazione mondiale della coltura è dovuta principalmente all'introduzione di nuovi ibridi molto produttivi e in grado di adattarsi alle diverse condizioni pedoclimatiche della Terra. Contemporaneamente, però, ne è cambiata l'utilizzazione prevalente: se in origine veniva impiegato nell'alimentazione diretta dell'uomo, uso peraltro principale ancor oggi nei paesi del terzo mondo, attualmente nei paesi industrializzati il suo utilizzo è diretto prevalentemente verso l'alimentazione zootecnica. Il consumo di granella pro capite varia dai 190 Kg /annuo per i paesi del Sud America agli 11 Kg /annui in quelli europei. Tuttavia si stanno affermando usi alternativi del mais e dei suoi derivati, quali l'estrazione dell'amido e dell'olio, la distillazione dei prodotti reimpiegati nella produzione della birra, l'idrolisi per la produzione di sciroppi dolcificanti dietetici, etc. II mais è usato inoltre in prodotti dell'industria tessile, cartiera, e per la preparazione di composti farmaceutici. Un interessante utilizzo è la produzione di etanolo, alcool che può sostituire la benzina nei motori a scoppio. Se la resa in etanolo per il mais (2001/ha) è inferiore a quello della canna da zucchero, l'utilizzo dei sottoprodotti rende il primo conveniente ed economicamente competitivo rispetto ai derivati del petrolio. Ed è ormai questo il ruolo che il mais sta progressivamente assumendo: di materia prima rinnovabile e riproducibile, facilmente trasportabile e conservabile. Si parla sempre più, infatti del mais come " petrolio del futuro" In virtù dell'elevata produttività raggiunta con i nuovi ibridi, dell'efficienza energetica e delle caratteristiche chimiche per l'uso industriale, il mais sembra destinato ad assumere un ruolo
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sempre più importante, anche se il suo peso nell'alimentazione umana e animale potrà subire dei mutamenti.
Il mais come sistema agrobiologico "Il mais è oro", è questo il concetto prevalente negli Stati Uniti circa la sfruttamento del granturco, dove si stima che con un'ora-uomo si producono, mediamente, circa 430 Kg di mais. In Italia i valori si attestano intorno ai 300 Kg/ora/uomo con produzione per ettaro doppie rispetto al frumento.
Produttività agraria in maldicoltura negli Stati Uniti ed in Italia
Produttività media hma Produzioni
medie Indice
Mia Stati Uniti 1935 1975 69 15 (1) (2) Italia 75 30 (4 ) (4 )
lavoro Produttività
hit
specifica
kgm
mais
1984 14 (4)
di lavoro-uomo 1935 1975 1984 1935 1975 1984 1935 1975 1984 2,26 5,70 6,0 30 2,6 2,3 32 380 428 (3) (3) (4)
25 (4 )
153 (6 )
5,94 727 (6 ) (6 )
49
5,05 3,43 (5 )
20
198
290
(1) Moore & OivDakin -USA. (2) Van Andai - USA. (3) hglett - USA (4) Stime presule. (5) Gli agicoltvi lombardo-veneti - cm medie produttive di 12 the - hamo raggiunto
nel 1984, con hdice di lavoro a 25 h.ha, risaltati di produttività migliori di quelli degli Stati Uniti e cioè 2,1 hA di mais prodotto contro le 2,4 are degli USA. (6) Dati ISTAT - Roma.
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Produzione italiana di Mais nel 2004
Regioni
Superficie
Produzione
Resa
Piemonte Val D'Aosta Lombardia Trentino Veneto Friuli Liguria Emilia Romagna Italia Sett.
ha 142.700 33 172,2 273 283.753 131D83 11262 51740 743.967
O 8.793300 11800 13790,800 13000 2113401300 6889.5D0 87.100 4.304.000 55520.100
gara 615 485 800 470 763 7513 430 832 7416
Toscana Umbria Marche Lago Italia Centrale
52995 17550 16700 30.193 117535
3819.100 1306.500 1064.903 1842.300 7932.800
683 740 632 043
Abruzzi Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Italia Meild.
18255 5.150 42860 2959 15.405 10076 92.705
779.600 2W.600 2.155.000 138.0 282.100 432.900 4057.700
480 523 503 489 183 430 432
Sicilia Sardegna Isole
4043 3938 7951
205300 298.100 593.400
730 7133 740
TOTALE ITALIA
962.158
675
~
68.104000 I 7096
Il mais ha assunto una posizione determinante nel sistema cerealicolo-zootecnico, soprattutto grazie all'avvento degli ibridi che hanno permesso l'acquisizione di nuove superfici investite a questa coltura, soprattutto nel Mezzogiorno irriguo, sia con l'impiego del secondo raccolto (coltura estiva) per granella oppure per silomais. Il mais è un vero e proprio sistema biologico, in quanto ha una elevata efficienza fotosintetica e oltretutto ha caratteristiche che ne permettono il riciclaggio energetico. Il mais infatti è denominato "specie C4", perché elabora, tra i primi composti stabili della fotosintesi, acidi a 4 atomi di carbonio (ossalacetico e malico), mentre nella maggior parte delle altre piante agrarie i primi prodotti sono a 3 atomi d carbonio (specie C3). Queste differenze fisiologiche si associano ad altre morfologiche e anatomiche delle foglie, che modificano sostanzialmente la capacità assimilatoria potenziale e quindi l'efficienza fotosintetica. 136
Le piante a ciclo C4 inoltre sono caratterizzate dall'assenza di fotorespirazione e da un elevato valore di saturazione della luce e basso consumo di ossigeno. Questo vuol dire che il mais ha una capacità di fotosintesi maggiore di altre specie (C3) nelle zone a temperature e luminosità eleva e : le foglie di una specie C3 raggiungono la saturazione rapidamente e quindi non possono sfruttare la maggior radiazione solare dei paesi meridionali. L’efficienza folosinterica La quantità si sostanza organica prodotta dai vegetali è proporzionale all'efficienza con la quale l'energia solare viene utilizzata per organicare la CO2. Se per la riduzione di una mole di CO2 a CH2 sono necessari circa 400 Kcal e il contenuto calorico di una mole di CH2O è di 114 Kcal, l'efficienza teorica del processo fotosintetico è del 28,6%. Questa efficienza deve essere moltiplicata per i fattori 0,43 (frazione effettivamente attiva della radiazione totale), 0,80 «razione della radiazione intercettata dalla superficie fogliare, 0,67 (riduzione per perdite respiratorie). L'efficienza del processo si riduce così alla trasformazione del 6,6 % della radiazione totale. L'energia radiante media alle longitudini italiane è di circa 4000 Kcal/mq per giorno, delle quali quindi solo 264 sono teoricamente sfruttabili ai fini produttivi e che permettono l 'organicazione di 2,3 moli di CO2 al giorno, pari a 62 g di sostanza secca /mq al dì. I valori mais misurati per il mais sono leggermente inferiori a quelli teorici (40-52 g). Estendendo i valori misurati ad un periodo di un anno, si ottengono rese massime teoriche in sostanza secca di 1900 q/ha. Alcuni esperimenti hanno portato anche a produzioni nettamente superiori. Questo dato, pur essendo ipotetico in quanto il processo non è uniforme durante tutto l'anno, da un'idea dell'estrema efficienza del processo fotosintetico del mais, che è superiore di circa il 50% a quella delle piante a ciclo C3.
Tuttavia la maggiore potenzialità fotosintetizzante si traduce in maggior produzione di sostanza secca solo in presenza di fattori favorevoli quali l'elevata intensità luminosa e la struttura della copertura vegetale (leaf canopy), per consentire all'apparato assimilatore la massima
intercettazione
solare
durante
tutto
il
ciclo
produttivo
della
coltura.
137
Trasformazione ed utilizzazione industriale del mais Le utilizzazione del mais nell'industria sono : l'amideria, per la produzione di amido e suoi derivati ; la semoleria, per la fabbricazione di corn flakes destinati all'alimentazione umana e per la fabbricazione di gritz perla birra ; la distilleria, per l'ottenimento di alcool destinato alla produzione di whisky, gin etc. ; usi energetici, quali bioetanolo come sostituti dei carburanti tradizionali.
Produzione di amido Tra tutti i settori dell'industria del mais l'amideria è la più importante, rappresentando il 70% del consumo totale europeo. Lo sviluppo dell'amideria è in crescente aumento a causa delle aumentate richieste da parte delle industrie alimentari, tessili, chimiche e cartarie. Infatti viene utilizzato per produrre colle, per apprettare i tessuti, nella fabbricazione della carta, per un uso farmaceutico e culinario, nei biscottifici e nelle fabbriche della birra. L'amido è il carboidrato di origine vegetale di più ampio interesse economico. Chimicamente è un polisaccaride al elevato peso molecolare costituito da amilosio e amilopectina, due polimeri del glucosio.
Formula della struttura e aspetto della molecola di amilosio amylosio
o
—0—
138
Formula della struttura e aspetto della molecola di amilopectina
OH
OH
OH
Amylopectina Il livello di amilosio e amilopectina nell'amido varia a seconda della provenienza del mais. Le varietà standard hanno un contenuto di amilosio che varia dal 16 al 24%. Oggi esistono varietà di mais speciali : la waxy che contiene il 100% di amilopectina e l'amylo con il 50-70% di amilosio. L'amido di mais si presenta sotto forma di polvere bianca; insolubile in acqua fredda mentre si rigonfia in acqua calda dando origine ad una soluzione gelatinosa detta "salda d'amido". Esso può essere prodotto con processi per via umida o per via secca. Il processo per via umida (wet milling) si basa sulla separazione dei diversi costituenti della granella in presenza di grosse quantità di acqua (1 m3 /t di mais). La fase più delicata è la separazione tra amido e glutine, in quanto l'amido non deve contenere più dello 0,30% di proteine. Dopo la purificazione il latte d'amido viene essiccato per ottenere "l'amido nativo" o trasformato in "amido trattato", oppure prendere la destinazione delle glucoserie per la produzione di dolcificanti e sciroppi. L'amido nativo viene utilizzato nell'industria alimentari per i preparati che richiedono un breve tempo di cottura , nei prodotti di immediato consumo e anche nei conservati. Per migliorare la qualità di specifici prodotti che devono essere sottoposti a determinati processi (trattamenti a caldo, ad esempio) l'amido può subire processi fisici, enzimatici e chimici e si parlerà quindi di amido trattato. 139
Gli amidi trattati vengono impiegati nella biscotteria, nell'industria pasticciera, nella copertura di pesci surgelati, nei prodotti da friggere in olio a temperature elevate nella fabbricazione delle gelatine etc. L'uso delle nuove tecniche di modificazione degli amidi ha contribuito all'evoluzione dell'industria agroalimentare, contribuendo all'incremento della qualitĂ nutrizionale degli alimenti. Nel ciclo di separazione per via secca (dry milling) si ottengono prodotti diversi dal ciclo umido: con il processo umido si ottengono amido, glucosio e derivati, mentre con quello a secco farine, spezzati e fiocchi. Gli spezzati (gritz) sono utilizzati per la fabbricazione della birra e dell'alcool, i fiocchi per i corn flave, le farine per i prodotti alimentari.
Olio di mais Il processo di estrazione dell'olio di mais dal germe ottenuto per via umida o secca prevede la spremitura con presse idrauliche o con trattamenti con solventi. L'olio sarĂ poi comunque raffinato con le tecniche tradizionali usati per gli altri oli vegetali. Con tali processi si ottengono oli grezzi, raffinati per consumo umano, e panelli di germe per l'alimentazione zootecnica. L'olio grezzo contiene il 95% di trigliceridi, piccole quantitĂ di acidi grassi liberi, cere e sostanze odorose. Questi composti minori verranno eliminati durante la raffinazione per rendere l'olio commerciabile per usi alimentari. L'olio raffinato contiene il 98% di trigliceridi con composizione acidica media cosĂŹ rappresentata: Gliceridi che compongono l'olio di mais
Acido grasso
Miristico Palmitico Stearico Arachidico Esadocenoici Oleico Linoleico Linolenico
Valori
Valori
Media
minimi
massimi
analisi
0,1 8,1 2,5 0 0 21,9 34,0 O
1,7 11,0 4,0 0,2 1,6 48,8 61,7 2,9
0,5 9,4 3,2 0,1 0,8 33,4 51,8 (*)
140
(Longeneker - Kummerow - Baur - Brown - Baldwin - Sniegowski). (*)Probabilmente assente o presente solo in tracce. L'olio di mais è molto stabile rispetto alla conservazione per la presenza di antiossidanti naturali ( a-y tocoferoli), e l'alto contenuto di acidi grassi insaturi (linoleico, oleico etc.) favorisce la diminuzione di colesterolo nel sangue e l'alta resistenza al calore. Attualmente sono disponibili ibridi che producono granella con circa l'8% di olio. Anche la qualità dell'olio è oggetto di miglioramento : un olio è tanto migliore quanto più acidi grassi insaturi e meno saturi contiene e tra gli stessi acidi insaturi quanto più acido linoleico e meno acido oleico è presente. Tali caratteri qualitativi sono però correlati negativamente con i caratteri quantitativi.
Gli zuccheri di mais Come detto in precedenza l'amido è un macromolecola costituita da migliaia di unità monomeri a sei atomi di carbonio. La pratica industriale permette di frammentare l'amido nei suoi costituenti più semplici grazie al processo di idrolisi, che se spinta, può portare all'ottenimento del glucosio, merceologicamente detto destrosio, e da questo in fruttosio.. L'idrolisi, una volta esclusivamente chimica, si effettua ora principalmente per via biochimica mediante enzimi chiamati carboidrasi. Le isomerasi sono particolari carboidrasi che partecipano all'ulteriore trasformazione del glucosio in fruttosio. Nell'industria, partendo dall'amido si ottengono questi due zuccheri semplici e per idrogenazione degli stessi si ottiene dal glucosio il sorbitolo e dal fruttosio il mannitolo. Altri prodotti ottenibili sono l'acido gluconico e il sorbosio che serve per la fabbricazione della vitamina C. Si stanno diffondendo sempre più processi di produzione dell'isoglucosio (HFCS) a partire dall'amido.
141
L'HFCS è uno sciroppo zuccherino che contiene il 50% di glucoso, 42% di fruttosio e 8% di oligosaccaridi. Trova largo impiego come dolcificante. Nel campo alimentare le principali utilizzazioni di tali prodotti si hanno : nell'industria dolciaria, dove vengono utilizzati sciroppi di glucosio e sciroppi isomerizzati (HFCS); nell'industria dei biscotti nell'industria dei prodotti dietetici nell'industria farmaceutica nelle industrie chimiche e metallurgiche
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Produzione del whisky Il whisky, dopo il vino, è la bevanda alcolica più rinomata nel mondo. In Italia si bevono circa 20 milioni di bottiglie all'anno e si è al quarto posto nel consumo dei paesi mondiali. Dal mais e dal malto, per fermentazione del loro amido previamente saccarificato, si ottiene alcool che viene poi impiegato per la produzione del whisky. Nella patria del whisky, la Scozia, il 70% delle materie prime amidacee usate nella produzione dello scotch, è costituito da mais. Con il diffondersi delle tecniche di degerminazione a secco (dry milling), si producono spezzati ad alto contenuto in amido. Se 100 Kg di mais con il 72 % di amido sul secco producono circa 39 litri di alcool etilico a 95°, con una resa del 53 % riferita all'amido, da 100 Kg di grits con 1'82% di amidosi ricavano circa 44 litri di alcool. Per fare un confronto con altre colture erbacee, le patate, ad esempio, danno una resa in alcool di soli 10 litri per 100 Kg di tuberi. La tecnologia di produzione dell'alcool etilico dal mais consta di diverse fasi che prevedono, dopo le fasi di degerminazione a secco e la cottura degli spezzati (vedi grits per la birra), la conversione dell'amido in zucchero, la fermentazione del mosto saccarificato ed infine la distillazione. La saccarificazione del mais si esegue con 9-10 % di latte di malto d'orzo per ogni 100 Kg di spezzato e la saccarificazione avviene a55 °C per circa un'ora, Il mosto viene poi raffreddato a 25 °c e fatto fermentare con aggiunta di lievito madre per 2-3 giorni. Esiste anche un altro metodo di saccarificazione dell'amido, detto processo amylo, che impiega, invece del malto d'orzo, le Mucorine, una muffa simbiotica che, nella fermentazione, provoca la completa trasformazione dell'amido in alcool e anidride carbonica. Il metodo è più economico e con rendimento maggiore del tradizionale. Il processo di distillazione è tradizionale e sfrutta il diverso punto di ebollizione tra alcool etilico (78 °C) e acqua (100 °C) per separare le due componenti ed ottenere una concentrazione dell'alcool. Una importanza particolare ricoprono anche i sottoprodotti della trasformazione dell'amido in alcool e soprattutto le borlande, alimenti richiesti dall'industria mangimistica per le elevate proprietà nutritive. Esse infatti residuando dal trattamento di fermentazione presentano un contenuto proteico maggiore del mais originario, in quanto il lievito, durante la fermentazione, utilizza sostanze azotate, anche inorganiche, che trasforma in proteine.
143
Alcuni ricercatori paragonarono il valore nutritivo delle borlande di mais, dette "grain distillers", e quello della crusca di grano, mangime concentrato che ha un elevato valore nutritivo. I risultati, che mostrano I elevata competitività dell'alimento zootecnico derivato dalla lavorazione del mais, sono così riassumibili :
Contenuto sul tal quale in % proteina grezza proteina digeribile grassi estrattivi inazolati fibra grezza ceneri
Grain distillers 27,4 21,5 9,3 43,7 9 2,6
Crusca di grano 16 12,5 4,1 52,8 10 6,1
Etanolo di mais: carburante alternativo L'impiego di alcool come carburante è stato frenato dai forti costi di produzione, ma gli altrettanto elevati costi del petrolio, le eccedenze cerealicole e le necessità ecologiche, stanno oggi spingendo molto il settore dei carburanti alternativi. In Sud Africa, ad esempio, dove l'uso dell'olio di girasole è diventato un comune carburante per trattori, bastano 60 litri di tale olio per coltivare un ettaro di girasole che, in condizioni di scarsa fertilità, ne fornirà 600 litri. Nelle pianure italiane 100 ha di terreno possono produrre circa 1500 t di mais e 15000 t di sottoprodotti come tutoli, foglie e fusti da usare in zootecnia. Sulla base delle moderne tecnologie di distillazione, da 1500 t di mais si possono ricavare 600 t di alcool ad elevato tenore in ottani (110-115). A tale momento tecnologico, cioè, 100 Kg di mais, attraverso la fermentazione, forniscono circa 40 litri di alcool puro. In diversi paesi del mondo è stata fiutata tale opportunità e si produce normalmente combustibile verde da diverse colture, quali la canna da zucchero nei paesi meno meccanizzati e il mais nel Nord America. Negli Stati Uniti l'alcool etilico, miscelato in ragione del 10% alla benzina, evita l'utilizzo di additivi a base di piombo per aumentare il numero di ottani e elimina la formazione del monossido di carbonio responsabile di inquinamento dell'aria. 144
Diversi ricercatori americani hanno ipotizzato un conto economico della produzione di carburante dal mais. Per l'Italia tale conto è riassumibile dalla seguente tabella: Ipotesi di conto economico Lire Costo di kg 2,5 di mais ibrido a L. 312/kg Costo di produzione, incluso ammortamento e utili di impresa Ricavo da 50 g di olio grezzo 65 Ricavo da circa 1,5 kg di borlande per mangimi 450 col 29% di proteine circa Costo di un litro
Lire 780 370 ---1.150
515 635
il costo di 635 £ per 1 litro di etanolo con 115 ottani al netto delle 300 lire di prelievo del Mercato Comune su 2,5 Kg di mais, si riduce a sole 335 lire, cioè ad un prezzo addirittura inferiore a quello della benzina che, al netto d'imposte, si aggira sulle 380-900 lire.
Produzione della birra Per birra si intende una bevanda debolmente alcolica, proveniente dalla fermentazione di un mosto ottenuto per infusione di malto di orzo, grits di mais o di riso, e aromatizzato con luppolo. I grits di mais contengono amido e una quantità di grassi che, per avere una buona birra, non deve superare 1'1,2 % con acidità inferiore al 5%. La composizione media del grits di mais è la seguente :
Componenti in % sul secco Umidità 14,8 Proteine 8,9 Estratti 89,1 Grassi 0,9 Cellulosa 0,6 Ceneri 0,5
145
Nelle fabbriche di birra che generalmente lavorano miscele del 70% di malto e 30% di cereali crudi si calcola che 16 Kg di materia secca producono 100 litri di birra a 11° saccarometrici, mentre per lo stesso quantitativo ma a 14°, ne occorreranno circa 18 Kg. Tenuta conto un'umidità del 14% necessiteranno rispettivamente 16,8 e 20,9 Kg di materia prima per produrre 100 litri di birra a 11° e 14° saccarometrici, oppure, in altri termini, da 100 Kg di materia prima si ricaveranno 538 litri di birra a 11° e 478 litri a 14° saccarometrici.
Corn flakes Gli alimenti istantanei per prima colazione sono di recente introduzione. Il responsabile della ricerca in tal senso è il dr. Kellogg che ebbe l'idea di cuocere gli spezzati di mais di grossa calibratura, di ridurli in fiocchi e successivamente tostarli per produrre i corn flakes. Tale alimento ha un elevato contenuto nutritivo ed è povero di calorie e grassi. La materia prima impiegata nella produzione dei corn flakes è lo spezzato grosso di mais (grits grosso) : gli standard impongono che 300 pezzi di grits per corn flakes pesino 25 g come minimo. Allo spezzato vengono poi aggiunti acqua, malto, glucosio, zucchero, sale e vitamine, cotto, essiccato, fioccato, e tostato. Impianto di produzione corn flakes da 180 kg/h
1. Tramoggia ricevimento hominy grits; 2. Rotoseparatore di sicurezza; 3. Impianto aspirazione; 4. Sili deposito grits; 5. Bilancia controllo flusso; 6.Turbotarara aspirazione; 7. 146
Serbatoi di carico; 8. Condizionatori - omogeneizzatori; 9. Mescolatore additivi; 10. Serbatoio dosaggio ingredienti; 11. Autoclavi di cottura; 12. Serbatoio alimentazione; 13. Rompigrumi; 14. Essiccatoi a nastri; 15. Raffreddatore nastri; 16. Impianto trasporto p0eumatico; 17.Vibrosetaccio; 18. Insacco grits fine e grumi; 19. Silo Di maturazione; 20. Coclea dosatrice di flusso; 21. Terrnocondizionatore; 22. Laminatoio Pressa fiocchi; 23. Raffreddatore a piastre porose; 24. Tostatore rotanre; 25. Insacco particelle bruciate;26. Raffreddatore a piastre porose; 27. Gruppo spray per vitamine; 28. Sili Mobili di raffreddamento; 29. Confezionamento; 30. Impianto aspirazione.
147
Cap 10: I COSTI DELLA NON QUALITA’ NELLE AZIENDE VINICOLE
148
IL CASO UNIDOR Si ritiene da più parti che le aziende che si rivolgono alla certificazione di Sistemi di Qualità (SQ), in base alle norme UNI EN ISO della serie 9000, lo facciano prevalentemente per motivi di ordine meramente commerciale. Invero pur offrendo una migliore visibilità mercantile dell'azienda, i SQ, qualora non interiorizzati da tutti gli operatori aziendali - dall'Alta Direzione fino agli addetti coinvolti direttamente nell'esecuzione delle operazioni - non sono di per sé garanzia di incremento di profitto e/o di sopravvivenza. Tali considerazioni, se risultano, oramai consolidate e scontate, nell'ambito dell'analisi sui SQ, assumono ben altro valore qualora si presti attenzioni agli elementi della "non qualità" ed ai costi che ne conseguono. Quest'ultimo aspetto, spesso negletto o poco considerato, dovrebbe essere oggetto di attenta rivalutazione e ponderazione da parte di quelle aziende che intendono avvicinarsi ai SQ per dispiegarne tutte le potenzialità. Questa osservazione generale e di carattere trasversale si presenta alquanto vera ancora oggi soprattutto per la filiera agroalimentare italiana. La mancanza di precisi riferimenti nell'ambito nazionale ha portato il nostro interesse ad una verifica esterna. Vista l'importanza che il con parto possiede sulla bilancia commerciale nazionale, questo contributo si rivolge alla filiera vitivinicola, puntando in particolare sulle cantine cooperative quantunque le considerazioni sviluppate possono estendersi a qualsiasi struttura di trasformazione del comparto. A tal fine il consorzio delle cantine sociali della Dordogne (UNIDOR), situata nel Sud della Francia, ci ha offerto la possibilità di approfondire alcuni aspetti metodologici per stimare i costi della "non qualità" e, conseguentemente, il loro ordine di grandezza ,segnatamente nella fase di imbottigliamento.
I costi della "non qualità" S. De Vio (1986) definisce i costi della qualità come gli investimenti e le spese che l'azienda deve sostenere per realizzare il prodotto con le caratteristiche qualitative richieste, in altre parole per assicurare il proprio SQ al cliente. Tali costi sono suddivisi in quattro categorie (ASQ, 1986): a) di prevenzione o costi associati all'implementazione e mantenimento in efficienza del SQ, b) di valutazione o costi legati ad operazioni di prove e/o analisi sul prodotto dell'azienda o sulle materie o materiali provenienti dai subfornitori, 149
c) di difetti interni o costi correlati a prodotti difettosi quali componenti o materiali che non raggiungono i requisiti di qualità e causano perdite di produzione, d) di difetti esterni o costi generati da prodotti difettosi spediti ai clienti. Ciononostante il termine rimane poco chiaro se non, in molti casi (M. F. Beheiry, 1994) "elusivo". Certo che uno degli atti fondamentali quello che il prodotto sia conforme ai requisiti oggetto del contratto tra fornitore e cliente. Molto più fruttuoso diventa perciò guardare a quello che gli autori anglosassoni chiamano prezzo di non conformità (Price of Non. Conformance o PONC), ossia di quanto si deve pagare per rilevare, eliminare o correggere gli errori o difetti. Altri Autori (G. Honsung Yong 1994; J.R. Raddatz et alii, 1996) usano la locuzione "Cost of Poor Quality" o COPQ. Con il termine non qualità", si suole intendere, in ultima analisi, tutto ciò che concorre in un'azienda alla differenza tra la qualità pianificata e quella effettivamente realizzata. In altre parole, la non qualità corrisponde: a) a trattamenti supplementari legati ad una Non Conformità del prodotto (ad es. tempo per stappare le bottiglie il cui prodotto difettoso, trattamento a freddo male eseguito ...); b) a perdite di prodotti o materiali durante la produzione (ad es. rottura di bottiglie, cartoni imbrattati,...); c) a perdite di tempo legate alle attrezzature (ad es. macchinari obsoleti, eccessivamente lenti e di difficile regolazione; arresti delle macchine a causa d'assenza di manutenzione; ...); d) ad approvvigionamenti impropri o male controllati al momento del ricevimento (ad es. capsule inadatte, errore di stampigliatura delle etichette, ...); e) a prodotti declassati (ad es. vino leggermente ossidato, bottiglie difettose, impropria rotazione del materiale in deposito, ...); f) a reclami dei clienti (ad es. consegne non conformi alle attese del cliente, tempi di spedizione non rispettati, ...); g) a clienti delusi che non promuoveranno una buona immagine dell'azienda. Questa "non qualità" resta tuttavia difficile da stimare in modo oggettivo. Quale significato assume infatti la perdita di materiale, di prodotto, di tempo perduto? Poche sono le imprese che hanno codificato una metodologia atta ad assegnare un valore agli 150
scarti di produzione, alle molteplici azioni correttive o alle giacenze immobilizzate. Relativamente alla realtà francese e segnatamente per aziende nelle quali non sia stato fatto nulla per eliminare tali Non Conformità, il costo della "non qualità" stimabile, per azienda, in parecchie decine e, in alcuni casi, centinaia di migliaia di franchi francesi all’anno.
Gli indicatori di qualità La stima di questo tipo di costi passa attraverso l'individuazione di indicatori di qualità la cui elaborazione permette di mantenere sotto controllo la non qualità, consentendo di definire l'efficacia delle Azioni Correttive implementate. Tra di essi, possono rientrarvi i parametri che misurano: a) il livello di conformità del processo in relazione agli elementi della qualità oggetto di certificazione b) la qualità del processo di produzione adottato. Gli indicatori, permettendo la verifica di devianze anomale nell'attività oggetto di valutazione, costituiscono per l'azienda un vero e proprio campanello d'allarme, in quanto mettono in condizione di verificare se gli obiettivi fissati dall'Alta Direzione sono dati raggiunti o, al contrario, si debba continuare con gli sforzi intrapresi per migliorare ulteriormente l'organizzazione interna. Questi infatti consentono; grazie alla semplicità del loro impiego, una gerarchizzazione dei problemi esistenti nell'impresa nonché delle priorità nell'attuazione e risoluzione delle Azioni Correttive volte a migliorare le prestazioni. Analogamente a quanto viene fatto in materia di investimento e di analisi di gestione, i processi possono essere valutati, singolarmente e nel loro insieme, in vista non solo del raggiungimento e del miglioramento dell'efficacia, bensì anche della continua ed appropriata ricerca di riduzione dei tempi e dei costi (in altri termini dell' efficienza).
151
Un esempio applicativo nella fase di imbottigliamento Area di studio La società UNIDOR un'impresa che produce circa 80.000 hl di vino e produce quasi nove milioni di colli. Certificata AFAQ (Association française pour l'Assurance de la Qualità) dal 1995 ai sensi della norma ISO 9002 relativamente alle attività di stoccaggio, preparazione e commercializzazione del vino. UNIDOR ha sentito molto presto la necessita di inserire nella sua Politica della Qualità la misurazione dei parametri che riflettessero, attraverso il rilevamento dei difetti, il livello di non qualità presente in azienda. Il primo esperimento ha interessato la fase di imbottiglia mento per la quale sono stati elencati 87 difetti (fig. 1 e tab. 1) i quali successivamente sono stati sistematicamente monitorati dagli operatori. I dati raccolti hanno permesso di calcolare degli indicatori che riflettessero nella maniera più reale le perdite di prodotto, materiali e tempo durante il processo.
Figura l: Suddivisione delle perdite legate a materiali
Tabella l: Difetti misurati durante la fase di imbottigliamento 152
Numero
Difetto misurato
Incidenza sui costi
Incidenza sulla
totali (in %)
produttivitĂ (in %)
45
Incartonaggio difettoso
24
1
2
Rottura di bottiglie vuote
15
0
14
19
9
1
44 13
Rotture di bottiglie piene (in fase di preparazione) Rotture di bottiglie piene (in fase di sterilizzazione)
24
Rotture di bottiglie piene (tirage)
8
0
35
Etichettatura difettosa
6
15
3
15
64
Rotture di bottiglie piene (in fase di confezionamento)
23
Traboccamento
3
0
34
Errore di stampigliatura
2
15
77
dellâ&#x20AC;&#x2122;etichetta
47
Bottiglia difettosa
2
0
32
Scelta errata del cartone
1
2
59
Avvolgimento del cartone errato
1
7
36
Etichettatura non conforme
1
3
11
Etichetta difettosa
1
55
Tappatura
0
9
10%
6%
100%
100%
4
Incollaggio defettoso del cartone altro Totale
Risultati emersi Individuazione dei problemi principali: seguendo lo schema di fig. 2, i difetti evidenziati sono stati oggetto di verifica e di registrazione; per ognuno sono stati definiti, in termini produttivi ed economici, il livello di criticitĂ e di riflesso le prioritĂ in termini di formulazione e di intrapresa delle relative Azioni Correttive per eliminarli o quanto meno ridurli. L'ammoderna mento dell'impianto di imbottigliamento ha comportato una diminuzione consistente di taluni difetti; fondamentale stato in particolare l'apporto di gruppi di lavoro interni all'azienda che hanno provveduto alla ricerca delle cause (fig. 3) 153
e delle soluzioni per lo rimozione di quelli restanti. Diminuzione delle perdite lega te a materiali: il riesame di alcuni requisiti del processo produttivo (ridefinizione delle singole mansioni, redazione del registro dei subfornitori, controlli all'approvvigionamento, sensibilizzazione e responsabilizzazione del personale, ...), ha portato, tra gennaio 1995 ed ottobre 1996, ad un decremento delle perdite maggiore del 50% (fig. 4) con un risparmio di più di una decina di migliaia di franchi francesi. Aumento della produttività: esaminando il periodo aprile e 95 dicembre '96, l'azienda ha riscontrato (fig. 5) notevoli incrementi di produttività 3 rispetto ai valori che lo vedevano attestato intorno a circa il 68% nell'aprile 1995. Figura 2: Metodologia utilizzata per ridurre i costi di non qualità in un'azienda.
Figura 3: Diagramma di Ishikawa. Ricerca delle più probabili cause potenziali della bassa 154
produttivitĂ nella fase di imbottigliamento
Figura 4: Diminuzione delle perdite materiali da gennaio 1995 a ottobre 1996 (valori indicizzati: gennaio 1995 = 100)
Figura 5: Aumento della produttivitĂ nella fase di imbottigliamento da aprile 1995 a 155
dicembre 1996 (valori indicizzati: l trimestre 1995 = 100)
Conclusioni Diminuzione delle perdite legate a materiali e guadagni di produttività sono solo alcuni dei risultati ottenuti con l'implementazione di un SQ in una unità di produzione. Grazie a questo tipo di approccio semplice dal punto di vista applicativo, anche agli attori nazionali della filiera del vino si potranno aprire nuove frontiere per aumentare lo competitività del settore e vivacizzare ulteriormente lo loro presenza sui mercati internazionali. Più che ad una semplice moda, l'implementazione e lo certificazione di un SQ ai sensi delle norme UNI EN ISO serie 9000 attengono ad un atteggiamento aziendale di più ampio respiro non tanto in una prospettiva di un completa mento della gestione della Qualità del Prodotto quanto di una Gestione Integrata della Qualità che veda tra i protagonisti, in un discorso di filiera, anche il settore primario. Migliorare lo qualità dell'organizzazione dell'impresa, il suo funzionamento, ma anche individuare lo non qualità e le Non Conformità presenti nell'impresa: ecco quali potrebbero essere alcuni dei punti di forza dell'assicurazione della qualità. In tale ottica, il riferimento a SO secondo le norme UNI EN ISO serie 9000 oltre che una nuova sfida, può simbolizzare un vero e proprio cambiamento a favore dell'intera catena di fornitura, "dal campo alla tavola".
DA UNALAT E AIA ANNUARIO DEL LATTE 1998 156
Presso il Parlamento del Ministro per le Politiche Agricole è stato presentato “ L’ Annuario del latte - Edizione 1998”. Il volume pubblicato dalla casa editrice Franco Angeli, è promosso congiuntamente da AIA e UNALAT e realizzato dall’Osservatorio Latte di Cremona. Come di consueto, anche questa edizione dell’Annuario si presenta come un arricchimento significativo della documentazione fornita nei rapporti precedenti, anche per tener conto dell’importanza che il volume ha assunto come riferimento fondamentale per gli operatori e per i responsabili politici. L’Annuario 1998 si apre con l’analisi degli scenari di riforma dell’Organizzazione Comune di Mercato del latte, un tema che, dopo la pubblicazione di Agenda 2000, è balzato all’ordine del giorno del dibattito politico. Gli autori analizzano criticamente le recenti proposte della Commissione, ipotizzando anche i criteri per un possibile approccio alternativo. L’analisi della fase agricola della produzione, che comprende sia il segmento dei mezzi di produzione zootecnica che l’allevamento vero e proprio, dedica ampio spazio al ruolo attuale e potenziale delle Associazioni dei produttori, sulle quali Unalat e l’Osservatorio Latte hanno condotto un’ indagine specifica. Un risalto particolare è dedicato al tema della produzione di latte, che risulta ovviamente di particolare attualità, soprattutto se si tiene conto della rilevanza politica che ha ormai assunto la questione quote latte. La novità di questa edizione sta nell’elaborazione dei dati derivanti dai nuovi modelli L1, predisposti secondo le indicazioni della Commissione governativa d’indagine, dati che consentono, per la campagna 1996/97, di esaminare l’evoluzione della struttura e della localizzazione della produzione di latte, nonché le caratteristiche dei “primi acquirenti”. Questi dati confermano come la zootecnia da latte italiana si stia ristrutturando profondamente: la produzione di latte tende a concentrarsi sempre di più nelle zone vocate e negli allevamenti medio-grandi, tanto che circa il 50% del latte italiano è ormai prodotto in sole nove province, distribuite tra Lombardia, Emilia, veneto e Piemonte, e oltre i 2/3 della produzione proviene ormai da sole 12.600 aziende. A completamento della parte riguardante la produzione agricola, vengono analizzati in modo approfondito i costi di produzione del latte nel 1997 e l’andamento del prezzo del latte alla stalla, sottolineando in modo particolare le vicende del recente accordo interprofessionale e i possibili meccanismi di indicizzazione del prezzo. Lo studio della fase a valle del settore primario, che tratta come lo scorso anno l’industria di trasformazione, la distribuzione al dettaglio, gli scambi con l’estero e i consumi finali, si completa con un’analisi dell’andamento dei prezzi di consumo dei 157
prodotti freschi nei punti vendita del Nord Italia, che consente di mettere in evidenza le principali strategie di prezzo messe in atto sia dalle imprese trasformatrici che dalla distribuzione moderna. Tra le numerose informazioni disponibili in questa parte del volume, spicca il dato relativo agli scambi con l’estero: il 1997 è stato caratterizzato da un alto dal peggioramento del già cospicuo saldo commerciale negativo, dovuto in particolare all’aumento consistente delle importazioni, ma anche dalla crescita delle esportazioni di alcuni formaggi tipici (+ 5% per Parmigiano Reggiano e Grana Padano, + 3,5% per il Provolone), che sembrano aver resistito sia al venir meno dell’effetto svalutazione che alla graduale diminuzione dei sussidi dell’Unione Europea all’esportazione. Questo sta quindi a dimostrare ancora una volta come il nostro paese debba puntare decisamente sulla tipicità e sulla qualità delle sue produzioni, che possono costituire occasione di rilancio per un settore che vive da anni una fase travagliata. “Nel corso del 1997 - sostiene il prof. Renato Pieri, direttore dell’Osservatorio Latte di Cremona e coordinatore del volume giunto alla quinta edizione - le vendite al dettaglio di latte e derivati sul mercato italiano registrano in quantità un incremento sia pur modesto (+0,4% ), specie se confrontato con quello della prima parte degli anni “90. Tale crescita è stata favorita da una riduzione intorno all’1,3% dei prezzi al consumo; di conseguenza, le vendite in valore fanno segnare una flessione che sfiora il punto percentuale (-0,9%)”. L’aumento delle quantità consumate è il risultato di un lieve calo della produzione nazionale compensato dalla crescita del nostro deficit con l’estero: +107 mila tonnellate in equivalente latte.
BIBLIOGRAFIA 158
ASQ, 1986: I costi della qualità definizione, controllo e riduzione. ISEDI Petrini editore, Torino. Beheiry M.F. 1994: New Thoughts on an Old Concept: The Cost of Quality. Enterprise Quality Management. Honsung Yong G. 1994: Enhancing Performance Using Policy Deployment. 48th Annual Quality Congress Proceedings, May 1994, Las Vegas, NV, pg. 532-539. Maiorano V. 1994: The Strategic Quality Grid: Defining a Better Role for Senior Manager in TQM. 48th Annual Quality Congress Proceedings, May 1994, Las Vegas, NV, pg. 616-623. Raddatz J.R., La Londe P.c., 1996: Build Value Into Customer-Supplier Relationships. 50th Annual Quality Congress Proceedings, May 1996, Chicago, IL, pg 752-756.
NOTE (1) Presentazione del lavoro dell' American Society for Quality Control (1986) (2) Esistono comunque anche voci non concordi (ade es., V. Maiorano, 1994) (3) Corrisponde a [(Produzione teorica/ produzione effettiva) x 10],dove Produzione Teorica è il numero di bottiglie piene produci bili in unità di tempo ben individuata = [(tempi di lavoro giornaliero+tempo di lavoro di regolazione delle macchine)] x (produzione oraria teorica); Produzione Effettiva è il numero di bottiglie piene effettivamente prodotte nella medesima unità di tempo.
159
CAP 11: ELEMENTI DI MARKETING
160
Elementi di Marketing â&#x20AC;˘ Come si imposta una campagna pubblicitaria Elementi di Marketing Demografia Psicografia Le Abitudini d'acquisto Decisione d'acquisto Diapositive: Elementi di Marketing Diap. I: Parole Chiavi Diap. 2: Prodotto Diap. 3: Per ogni Prodotto occorre definire ... Diap. 4: Prodotto ad acquisto corrente Diap. 5: Prodotti di confronto Diap. 6: Prodotti ad acquisto speciale Diap. 7: Assortimento Diap. 8: Linea di Prodotto Diap. 9: Elementi di marketing Diap. 10: Marca Diap. 11: Funzioni della Marca Diap. 12: Politica della Marca Diap. 13: Confezione Diap. 14: Ciclo di vita del Prodotto Diap. 15: Elementi di Marketing Diap. 16: Canale di distribuzione Diap. 17: Canale diretto, corto, lungo Diap. 18: La scelta di un canale Diap. 19: La Distribuzione Diap. 20: Distribuzione selettiva ed esclusiva Diap. 21: Descrizione sintetica dell'idea imprenditoriale Diap. 22: Caratteristiche essenziali dell'idea Diap. 23: 1:Ambiente Competitivo Diap. 24: 1:Ambiente Interno Diap. 25: Il Piano di Marketing Diap. 26: 1: Azienda 161
Diap. 27: I Risultati Processo di formulazione della strategia Prodotto Elementi che caratterizzano un prodotto Prezzo Posto Promozione & Comunicazione La PubblicitĂ Le vendite dirette La promozione delle vendite Public relation Potere
162
1. COME
SI
IMPOSTA
UNA
CAMPAGNA
COMMERCIALE 1.1
Elementi di Marketing
Secondo l'American Marketing Assotiation: "Il marketing è il processo consistente nel pianificare e realizzare la concezione, promozione e distribuzione di idee, beni e servizi, al fine di creare scambi che soddisfino obiettivi di individui e organizzazioni" In particolare: "Il marketing è la funzione tecnica dello scegliere: - A CHI VENDERE - COSA VENDERE - COME VENDERE nonché del programmare le azioni conseguenti, perseguendo la preferenza del Consumatore rispetto alla concorrenza come mezzo di realizzazione degli obiettivi aziendali". L'esercizio dell'attività di marketing comprende quindi una serie di azioni: - Scoperta ed identificazione dei bisogni dei consumatori. - Progettazione e realizzazione di un prodotto o servizio in grado di soddisfare i bisogni e desideri del consumatore. Determinazione dei criteri per fissare il prezzo, promuovere e distribuire il prodotto o servizio in questione. La forma più elementare del sistema di Marketing, consiste di due soli elementi che interagiscono: 1 - organizzazione di marketing dell'impresa 2 - il suo Mercato Questi due elementi sono collegati da due tipi di flussi: - flusso di prodotti o servizi che va dall'azienda al mercato, in cambio di una certa quantità di denaro o altra forma di pagamento; - mezzi di comunicazione, nel senso che l'azienda usa la propria forza di vendita e la pubblicità per comunicare con il mercato. Il Comportamento d'acquisto del consumatore è sicuramente uno dei fattori più importanti per le decisioni di marketing. Esso rappresenta il modo in cui i consumatori 163
spendono il loro denaro per acquistare prodotti e servizi. E' facile comprendere che non tutti i consumatori sono uguali. Per quanto complesso possa essere il pensare di raggiungere tutti i consumatori, di certo è possibile identificarli per gruppi d'acquisto. Questa operazione di marketing è nota come: Segmentazione del Mercato: "suddividere il mercato in sottoinsiemi omogenei e significativi di consumatori, dove ogni gruppo può essere selezionato come obiettivo (target) da raggiungere con uno specifico intervento di marketing - mix". La segmentazione è un processo creativo e iterativo, il cui scopo è la soddisfazione del consumatore ed il conseguimento del vantaggio competitivo per l'azienda. Essa si regola sui bisogni, reali o potenziali, dei consumatori e richiede una continua revisione ed aggiornamento. La segmentazione può anche servire ad individuare nuove opportunità di prodotto e di mercato. Gli elementi che possono aiutare a comprendere (e sperabilmente a prevedere) i comportamenti d'acquisto dei consumatori, rientrano in due aree principali: 1. demografia 2. psicografia
1.1.1 Demografia Dimensioni della popolazione e tasso di crescita: se si verifica l'aumento della popolazione, ne conseguirà l'incremento della domanda di cibo per neonati, abbigliamento per bambini, asili nido, giocattoli, automobili station wagon, ... Localizzazione della popolazione: saper dove si trovano i clienti serve all'azienda per mirare le strategie di marketing e gestire meglio l’organizzazione aziendale (depositi, rappresentanti, ...). Composizione per età: è necessario per l'azienda al fine di orientare i loro prodotti verso target di età ben precisi. Composizione per sesso: oggi la linea di demarcazione non è più netta perché, prima che la figura femminile entrasse di diritto nel mondo del lavoro, alcuni acquisti erano di loro specifica competenza (detersivi, cibo, ... ). Modello di nucleo familiare: gran parte dei prodotti esistenti sul mercato si rivolge ad un pubblico di famiglie. Oggi si verifica la variazione della composizione dei nuclei familiari; infatti, uno dei mercati più ambiti delle aziende è quello dei SINGLE. In vendita per 164
questo, troviamo confezioni per vari nuclei. Reddito ed abitudine di spesa: è importante conoscere le abitudini di spesa, perché in base ad esse è possibile risalire al reddito di famiglia. Vi è infatti, una relazione diretta fra reddito familiare e tenore di spesa (con l'aumento cresce la varietà dei prodotti acquistati, ...).
1.1.2 Psicografia Questo termine viene usato spesso, per descrivere le seguenti caratteristiche di un consumatore: Attività - interessi - opinioni - motivazioni - personalità - valori - atteggiamenti - stili di vita. I dati di tipo psicografico possono essere utilizzati sia per valutare l'opportunità di introdurre nuovi prodotti e servizi, sia per decidere quali attività promozionali condurre; aiutano infatti a determinare quali caratteristiche dovrà avere un prodotto per essere psicologicamente accettato da un certo target; e su quali caratteristiche dovrà puntare la comunicazione dell'azienda. Le Motivazioni: una motivazione è un bisogno che chiede di essere soddisfatto. Ogni azione di marketing per avere successo, deve cercare di scoprire quali sono i motivi profondi, le ragioni nascoste che portano ad acquistare un certo prodotto o servizio. Le motivazioni possono essere di due ordini: - bisogni biogenici: comprendono il bisogno di cibo e confort fisico e sono originati da stadi fisiologici. - bisogni psicogenici: comprendono il bisogno di autostima e di apprezzamento da parte degli altri, e sono originati da stati psicologici. Secondo la scala di Maslow si identificano cinque livelli di bisogni che si dispongono secondo un ordine decrescente di importanza, per cui gli individui passano al livello successivo solo quando il livello precedente è stato soddisfatto. Essi sono: 1. fisiologici: cibo, protezione dal freddo, sesso. 2. sicurezza e protezione: ordine, solidità. 3. appartenenza e amore: affetto. 4. autostima: rispetto di se, prestigio, status. 5. auto-realizzazione: autosoddisfacimento. Nella realtà gli individui cercano la soddisfazione simultanea di molti bisogni. La percezione: "E' la facoltà con cui, attraverso gli stimoli che arrivano ai nostri sensi, riconosciamo un certo tipo di informazione e le diamo un significato". La percezione è 165
l'interpretazione che diamo agli stimoli sensoriali. La selettività è un processo continuo e ci permette di limitare gli stimoli ai quali diamo un significato. Nel marketing, se un prodotto non rientra nell'ambito della percezione e della selettività dell'acquirente potenziale, non rappresenta una possibile opzione d'acquisto per cui, non viene acquistato. Chi si presenta sul mercato, quindi, deve mettere a fuoco nel modo più preciso possibile, i bisogni e i desideri di un certo target, di scegliere i media più appropriati e di distribuire i suoi prodotti nei punti vendita più adatti a colpire la selettività del suo pubblico. Atteggiamento e Opinioni: "E' la tendenza che una persona manifesta ad agire in un certo modo, o il tipo di reazione emotiva che manifesta in determinate occasioni". Un atteggiamento verso un prodotto, in genere, è determinato da due fattori: - esperienza passata relativa a quel prodotto - le informazioni che vengono raccolte attraverso il gruppo di riferimento Gli atteggiamenti si possono dividere in tre componenti: - le opinioni: ciò che il consumatore pensa di un prodotto o servizio; - le valutazioni: i giudizi che vengono dati su quel prodotto o servizio, derivati dalle opinioni che il consumatore si è fatto nei suoi confronti; - la tendenza ad agire: il risultato finale: ovvero, se il consumatore comprerà o non comprerà il prodotto. Se il consumatore sarà soddisfatto dell'acquisto, lo stimolo a comprare sarà stato premiato. Questo, inciderà favorevolmente nel caso di acquisti abituali e ripetuti. 1.1.3 Le abitudini d’acquisto Per capire le abitudini di acquisto è necessario fare attenzione a tre elementi che sono: il Tempo, il Luogo e le Modalità, ovvero: -
QUANDO:
viene
effettuato
un
acquisto,
perché
questo
può
influire
sull’andamento stagionale delle vendite, sulle strategie di prezzo e sul lancio di prodotti; -
DOVE: l'acquirente prende la decisione di comprare un prodotto, in casa propria o sul punto vendita;
-
COME: il potenziale acquirente procede all'acquisto; consultando un catalogo, recandosi in un grande magazzino, effettuando un ordine telefonico. 166
In genere le aziende cercano di orientare il marketing-mix: in modo da conquistare la FEDELTÀ DI MARCA dei propri clienti. Essa si determina quando uno stesso prodotto viene acquistato abitualmente. E' necessario, quindi, raggiungere un perfetto equilibrio tra le promesse effettuate con la propria politica di comunicazione, la qualità effettiva del prodotto, il prezzo ed i servizi annessi per non generare nel consumatore scontento.
1.1.4 Decisione d’acquisto Il processo decisionale che si genera all'atto dell'acquisto, si sviluppa per gradi ed è articolato in 5 passaggi: - riconoscimento del bisogno - metodi di soddisfazione del bisogno - valutazione delle alternative - decisone d'acquisto - comportamento dopo l'acquisto Tutti questi passaggi si generano quando si acquista per la prima volta un prodotto. Abitualmente, invece, il Bisogno e la Vantazione delle alternative sono le fasi più seguite.
1) Parole Chiavi
2) Prodotto Elementi di Marketing
Elementi di Marketing
Parole chiavi: Classificazione
PRODOTTO: Si intende tutto
Assortimento
ciò che può essere offerto ai
Marca
consumatori per soddisfare
Confezione
un loro desiderio o bisogno.
Ciclo di vita
Prodotto generico
Nuovi prodotti
Prodotto atteso
Prodotto ampliato
Prodotto potenziale 167
Vantaggio essenziale
3) Per ogni prodotto occorre definire ...
5) Prodotto ad acquisto corrente
Elementi di Marketing Elementi di Marketing Per ogni prodotto vanno definiti: Tempo di pianificazione dell'acquisto
Prodotti ad acquisto corrente
Tempo e sforzo di ricerca
Sono tutti quei beni ad elevata
Quantità di confronti tra prodotti e negozi
frequenza d'acquisto,
Livello di spesa
comportamento d'acquisto
Frequenza di acquisto
poco razionale, sforzo minimo, ammontare di spesa unitario limitato, tempo dedicato alla scelta ridotto, scarso bisogno di informazioni per effettuare la scelta. Ad esempio: biscotti, detersivi, etc.
5) Prodotti di confronto Elementi di Marketing
6) Prodotti ad acquisto speciale Elementi di Marketing
Elementi di Marketing Prodotti di confronto Sono quei prodotti il cui processo d'acquisto è più
Elementi di Marketing Prodotti ad acquisto speciale
complesso in quanto comporta il confronto dei
Si intendono quelli in grado di
prezzi, condizioni, modelli e marche, il che implica
soddisfare
uno sforzo ed un tempo maggiore impiegati nella
specifici e poco frequenti per i
ricerca ed anche un ammontare di spesa alquanto
quali si è disposti ad un
sostenuto.
sacrificio maggiore in termini
Ad esempio: capi d'abbigliamento, accessori, etc.
di tempo, costo, sforzo fisico e
bisogni
molto
ricerca di informazioni. Ad
esempio:
automobili, 168
gioielli, etc. 7) Assortimento Elementi di Marketing
8) linea di prodotto Elementi di Marketing
Assortimento
La linea di prodotto
L'attività di gestione del prodotto si articola Con
è costituita da un gruppo di
riferimento a differenti livelli di aggregazione (linee,
prodotti che possono presentare
tipi di prodotti, articoli, versioni e varianti) che nel
talune omogeneità e che sono fra
loro insieme costituiscono l'assortimento
loro accomunati in quanto: soddisfano una stessa classe di bisogni sono complementari nell’uso vengono venduti tramite gli stessi canali di distribuzione appartengono ad una stessa categoria o livello di prezzo
9) Elementi di Marketing Elementi di Marketing
10) Marca
Elementi di Marketing Ampiezza - È il numero di linee di prodotto offerte Profondità - È il numero di varianti e di versioni di ogni prodotto di ciascuna linea Estensione - Data dal prodotto dell'ampiezza per la profondità Allungamento - Inteso come estensione della linea in fasce di prezzo/qualità superiori o
Elementi di Marketing Marca: Si intende il nome del prodotto o dell’azienda insieme ad un logo e/o ad altri simboli visivi. Consente distinguere
al
produttore e
di
rendere
riconoscibili i suoi prodotti.
inferiori Completamento - Diretto ad integrare la linea con prodotti in grado di soddisfare in maniera più completa) le esigenze dei clienti/distributori Modernizzazione - Che può essere graduale o 169
rapida 11) Funzioni della Marca Elementi di Marketing
12) Politica della Marca
Elementi di Marketing Elementi di Marketing Funzioni della Marca Identificazione del produttore e trasmissione al
Politica della marca: Prodotti simili della stessa
prodotto dell'immagine di questi Differenziazione rispetto ad altri prodotti della
linea Prodotti diversi della stessa
stessa azienda
linea
Protezione legale delle imitazioni Possibilità per il cliente di effettuare confronti
Prodotti
diversi
c!i
linee
diverse
con altri prodotti
Una marca autonoma per
Opportunità di fidelizzare la clientela
ognuno
dei
prodotti
dell'azienda Una marca unica per tutti i prodotti dell'azienda Marche individuali con un richiamo all'azienda o alla linea Una marca unica con variante a seconda dei prodotti 12)
Co
14) Ciclo di vita del prodotto
nfezione Elementi di Marketing Elementi di Marketing Ciclo di vita del Prodotto Confezione
Le vendite di un prodotto
È la combinazione di materiali, forme, colori e
seguono un andamento che
dimensioni. La confezione può essere articolata
viene definito Ciclo di vita del
su tre livelli:
prodotto. 170
Confezione primaria
Consta di quattro fasi:
Confezione secondaria
INTRODUZIONE
L'imballaggio
SVILUPPO
La confezione soddisfa alcune esigenze:
MATURITA’
Contenere il prodotto
DECLINO
Facilitarne trasporto Proteggere Conservare Garantire l'igiene Favorire la riconoscibilità Fornire informazioni
15) Elementi di Marketing Elementi di Marketing Elementi di Marketing
16)
Canale
di
distribuzione
Elementi di Marketing Elementi di Marketing
Introduzione Crescita lenta delle vendite e profitti negativi
Canale di distribuzione
Sviluppo
È il percorso che questo segue dal
Crescita rapida di vendite e miglioramenti dei
suo trasferimento dal produttore
risultati economici
al
Maturità
all'utilizzatore industriale ed è
Stabilizzazione delle vendite e dei profitti
costituito da una serie di st3di, in
Declino
ciascuno dei quali avviene un
Cado delle vendite e dei profitti
passaggio del titolo di proprietà
Rivitalizzazione
del prodotto.
consumatore
finale
Eventuale nuovo sviluppo delle vendite 17) Canale diretto, corto, lungo Elementi di
18)
Marketing
Elementi di Marketing Elementi di Marketing
Canale diretto
La
scelta
di
un
canale
Elementi di Marketing La scelta di utilizzare un canale 171
quando non esiste alcun intermediario commerciale
piuttosto che un altro dipende da
tra il produttore ed il consumatore finale o
una serie di fattori:
l'utilizzatore industriale Canale corto
Quando nel canale opera un solo intermediario
Considerazioni relative al mercato
commerciale
Canale lungo
Numero
di
acquirenti
potenziali
quando operano due o più intermedi commerciali
Concentrazione geografica del mercato
Dimensione
delle
ordinazioni
Valore unitario
Deperibilità
Caratteristiche
tecniche
del prodotto 19) La distribuzione
20)
Distribuzione
selettiva
ed
esclusiva Elementi di Marketing Elementi di Marketing
Elementi di Marketing
Grado di intensità della distribuzione che dipende
Distribuzione
dal diverso grado di copertura del mercato
orientata a limitare la distribu-
Distribuzione intensiva: è normalmente utilizzata
zione a specifiche tipologie di
dai produttori di beni di largo consumo. I
punti
consumatori di questo tipo di beni richiedono un
concentrare i propri sforzi per
soddisfacimento immediato dei propri bisogni e non
assicurare un livello di servizio
sono
medio coerente con la tipologia di
disposti
a
rinviare
gli
acquisti.
Una
selettiva:
vendita
distribuzione di tipo intensivo comporta che la
beni
offerti.
maggior pane delle spese di comunicazione sull'a-
particolarmente
zienda produttrice
sbopping goods Distribuzione
sui
La
È
quali
tipologia adatta
esclusiva:
è agli Si
privilegia la distribuzione presso un numero ristretto di punti 172
vendita che tuttavia garantiscono un livello di servizio, immagine e prestigio esclusivi. Tale scelta si utilizza per commercializz3zione di prodotti cosiddetti speciality 21) Descrizione sintetica dell'idea
22)
Caratteristiche
essenziali
dell'idea Elementi di Marketing Elementi di Marketing Descrizione sintetica dell'idea imprenditoriale
Elementi di Marketing CARATTERISTICHE
ESSENZIALI
DELL'IDEA Affinché
l'idea
imprenditoriale
possa avere successo è necessario che risulti: INNOVATIVA: capace dì creare un prodotto diverso dagli altri VENDIBILE: capace di individuare un potenziale acquirente del prodotto che si intende creare COMPETIVITA': capace, nel lungo periodo, di superare le minacce e sfruttare le opportunità PERSEGUIBILE:
capace
dì
verificare la disponibilità delle risorse necessarie REDDITIVITA': capace di conseguire un reddito positivo 23) L'ambiente competitivo Elementi di Mark eting 24) L'ambiente Interno L'Ambiente Elementi di Marketing
Elementi di Marketing L'Ambiente Interno 173
25) Il piano di Marketing Elementi di Marketing
26) L'Azienda Elementi di Marketing
26)I Risultati Elementi di Marketing
174
1.2 Processo di formulazione della strategia La strategia aziendale consiste nell'insieme delle decisioni poste in essere (azioni) dall'azienda che: - determinano e rivelano i suoi scopi ed i suoi obiettivi - definiscono: la serie di business in cui vuole operare, focalizzando le risorse in modo tale da trasformare le varie competenze in vantaggi competitivi (FCS); il tipo di organizzazione economica ed umana che è o vuole essere; la taratura del contributo economico che intende dare agli azionisti, ai dipendenti, ai clienti ed alla collettività; - danno origine: alle politiche ed ai programmi per raggiungere gli obiettivi: - aumento delle vendite del prodotto - aumento delle visite ai clienti - etc. etc. Per redigere una strategia vincente è necessario innanzitutto acquisire una serie di dati. L'orientamento al consumatore è l'origine di strategie vincenti. Per pianificare una strategia bisogna conoscere bene: 1) i punti di forza e di debolezza del settore biologico essi sono: a) produzione polverizzata - anonima - irregolare; b) concorrenza (produzione integrata); c) dispersione dei produttori e dei consumatori d) politica di marketing inadeguata; e) problemi legati al controllo ed alle garanzie; f) rapporto qualità/prezzo mediocre; g) mancanza della cultura alimentare. 2) attese del consumatore Negli ultimi anni i consumi alimentari si sono modificati anche inconseguenza della recessione in atto. Il consumatore ha spostato i suoi acquisti verso prodotti di Private Label commercializzati ad un prezzo inferiore del 20-30% (incidenza della pubblicità sul prezzo finale) e con una qualità buona. Ogni volta però che il consumatore decide di 175
acquistare un nuovo prodotto tutto passa attraverso un processo di decisione che si articola nei seguenti livelli: - Notorietà: i consumatori vengono informati dell'esistenza del nuovo prodotto; - Stimolo dell'interesse: i consumatori acquisiscono informazioni sul prodotto; - Valutazione del prodotto: le informazioni portano a valutare i vantaggi ed il confronto con altri prodotti rispondenti a determinati bisogni; - Prova del prodotto: gli acquirenti potenziali decidono di provare il prodotto e valutarne le caratteristiche; - Adozione del prodotto: i consumatori decidono se continuare ad usare abitualmente il prodotto; - Conferma dell'adozione del prodotto. 3) minacce ed opportunità "Se vuoi vendere il tuo prodotto devi prima conoscere il tuo concorrente". La conoscenza del mercato ed in particolare il segmento all'interno del quale si vuole agire, rappresenta uno stadio importante per l'elaborazione di un'efficace strategia. Le principali minacce che l'azienda trova sul suo cammino sono rappresentate da: a) Barriere in Entrata - Economie di scala: quantità idonee a costi contenuti; - Fabbisogno di capitali; - Costi di riconversione aziendale; - Accesso a canali di distribuzione; - Domanda di prodotti. b) Reazioni dei concorrenti attuali c) Rivalità fra imprese esistenti. Le opportunità sono rappresentate dai punti deboli scoperti nei concorrenti sfruttati per elaborare la strategia. L'elaborazione di una strategia che miri a: - far conoscere il prodotto; - induca all'acquisto; - fidelizzare il consumatore ha la sua massima espressione nel concetto di: MARKETING - MIX Esso rappresenta il risultato dello sfruttamento sinergico delle variabili che lo costituiscono nell'elaborazione di una strategia. Secondo il Prof. P. Kotler il Marketing - Mix si basa sulla: "TEORIA DELLE 6 P" ovvero 176
l'azione delle 6 leve di cui è costituito: 1. PRODOTTO 2. PREZZO 3. POSTO 4. PROMOZIONE 5. PUBBLICHE RELAZIONI 6. POTERE Le ultime due leve sono state inserite come applicative del Marketing internazionale come conseguenza della globalizzazione dei mercati e non dipendono direttamente dall'azienda. Queste variabili interne devono permettere all'azienda di evidenziare e difendere dei vantaggi competitivi che la differenziano dalla concorrenza in modo continuativo. Le variabili strategiche del marketing - mix devono essere utilizzate in modo ponderato, efficace ed efficiente affinché la sinergia, che deriva dal migliore sfruttamento di tate concetto, permetta di ottenere i più lusinghieri risultati globali. Quindi, perché le aziende, istituzioni, associazioni, ... possano elaborare un piano di marketing vincente, che permetta loro di raggiungere gli obiettivi prefissati di presenza sul mercato, e necessario che queste leve debbano agire in sinergia e interdipendenza. E' necessario, infine, non sottovalutare la concorrenza, perché, solo da una corretta osservazione di quanto lei offre e dall'analisi del mix utilizzato, si riescono ad ottenere informazioni strategiche, sui punti deboli, che permettono di risalire a quelle decisioni aziendali che ne avevano stabilito a monte l'implementazione.
1.2.1 Prodotto E' la risultante degli attributi che lo caratterizzano. Ci si riferisce soprattutto a quegli elementi che si rifanno alla qualità, alle sensazioni, che quel particolare prodotto suscita nel consumatore generandone, quindi, un bisogno. Nel settore biologico può essere considerato di fondamentale importanza non solo utilizzare materie prime idonee e tecnologicamente delicate, ma anche rendere gli alimenti ottenuti da tecniche biologiche, competitivi rispetto ai convenzionali. Questo settore, per poter sostenere la concorrenza dei prodotti convenzionali, dovrà adottare quei criteri di qualità che potranno garantire la fidelizzazione dei consumatori. Per fare questo bisogna partire dalla consapevolezza che solo da un prodotto di partenza di alta qualità si può realizzare un buon prodotto trasformato o conservato. Ciò non è possibile 177
se si usano varietà e materie prime non adatte al processo di trasformazione. Al fine, poi di garantire la "qualità biologica totale", del prodotto alimentare, diventa opportuno assicurare il controllo di tutte le fasi della filiera produttiva. In particolare bisogna controllare le. aziende che fanno uso di ingredienti o semilavorati, durante il processo di trasformazione, anch'essi ottenuti in maniera conforme alle norme di produzione biologica, si parla per questo di aziende di 1°è e 11° trasformazione. Nel caso del biologico, poi, l'attività che l'azienda deve svolgere, attenendosi ai disciplinari di produzione, è determinante perché finalizzata all'ottenimento di un prodotto già esistente ma con caratteristiche qualitative, nutrizionali e di salubrità migliori dei prodotti convenzionali. Il prodotto biologico, quindi, è un prodotto di sostituzione, cioè non si tratta di prodotti unici ma di prodotti che rispondono a bisogni del consumatore in modo diverso da quelli convenzionali. La qualità del prodotto può essere "Fattore propulsivo del miglioramento delle organizzazioni" inteso come la creazione di un rapporto di interfunzionalità dinamica Prodotto/Processo in grado di coinvolgere l'impresa in una progressiva "tensione al miglioramento" dei prodotti, delle tecnologie, dell'organizzazione e delle risorse umane. In particolare la norma ISO 9004 introduce il concetto operativo di PRODUCT BRIEF (Piano di Prodotto) documento che raccoglie i requisiti che il prodotto deve avere per rispondere alle esigenze del cliente (mercato) e che costituiscono la base essenziale per le successive attività di progetto, ovvero la definizione dei dati di ingresso costituiti dalle caratteristiche che dovrà possedere il prodotto.
1.2.1.1 Elementi che caratterizzano un prodotto Un qualunque prodotto prima di essere immesso sul mercato di riferimento deve essere facilmente individuato e classificato fra i preferiti del consumatore. Per questo motivo, un prodotto deve essere caratterizzato da una serie di elementi che sono: a) MARCA (Brand) - Rappresenta un nome, una frase, un simbolo, un disegno che vengono usati per disegnare i prodotti o servizi di un singolo produttore. Distinguiamo: BRAND NAME: nome di un prodotto : BRAND MARK: simbolo grafico che identifica visivamente il prodotto; TRADEMARK: quando Brand name e Brand mark vengono registrati. Il prodotto, quindi, in genere è collegato in modo inscindibile al M Brand Name. Di 178
un'azienda solitamente sono le marche che distinguono i prodotti. E' facile associare a Barilla, pasta oppure a Mulino Bianco, biscotti oppure a Fanta, aranciata, ecc. Le caratteristiche del Brand Name sono: -
deve dare al consumatore un'idea dei vantaggi che ne può trarre;
-
di essere facile da pronunciare o ricordare;
-
distintivo;
-
flessibile:
qualificare
altri
prodotti
che
si
aggiungeranno
alla
linea
successivamente; -
facilmente registra bile e protetto in materia commerciale.
Sia i produttori che i distributori possono attuare una politica di Brand Strategy ovvero: i produttori possono attribuire ai propri prodotti una marca ed in questo caso devono "poter essere in grado di affrontare costi pubblicitari per la sua diffusione come ha fatto, per esempio, la Granarolo nel biologico lanciando prima gli yogurt col marchio "Prima Natura" e successivamente ha deciso di tornare al proprio marchio Granarolo con la dizione Biologico quando ha lanciato il Latte fresco. In Italia per i prodotti biologici importati, i distributori, li commercializzano con la propria marca, es. GEA. b) PACKAGING - Il prodotto per essere messo sul mercato efficacemente, è necessario che sia confezionato e protetto in modo appropriato. Nei prodotti di largo consumo, la confezione oltre che rassicurare il cliente (confezione ed etichetta) ha la funzione di comunicare al consumatore. Il packaging è la base della comunicazione che deve servire, tra l'altro, per identificare un prodotto anche senza leggere la marca. Es. Barilla nel 1997 dette mandato ad una società di marketing e comunicazione di studiare quali erano e se esistevano motivi che potevano creare confusione, indecisione, nel consumatore quando guardavano la confezione. Dall'indagine si ottenne che il colore blu scuro nascondeva il marchio ed il formato tanto da creare confusione. Venne quindi elaborata la nuova immagine e, per non rendere il passaggio alla nuova immagine troppo cruenta, si decise di dare un nuovo nome alla linea pasta. Si passò allora alla confezione di colore celeste, colore più rilassante per gli occhi, il rosso della scritta, infatti, emergeva meglio, e si inserì. il nome "Selezione Oro" prodotto con grani selezionati. Questo prodotto suscitò subito interesse visto che cominciò ad essere venduto allo stesso prezzo con caratteristiche di qualità superiori come nella tradizione Barilla. Il passaggio, in questo caso, fu indolore. Un buon packaging deve comunicare: di 179
che cosa è fatto il prodotto, caratteristiche principali, come si usa, come si conserva, in che cosa è diverso dagli altri prodotti, sensazioni ed emozioni, chiarezza del messaggio promozionale, i dati sul produttore e distributore, il numero di iscrizione all'albo delle aziende biologiche, l'organismo di controllo, il bollino di certificazione. Le scelte sul metodo di confezionamento, nel biologico, sono fondamentali come immagine. E' importante per l'azienda Marketing oriented non cambiare spesso l'immagine, la confezione, il messaggio, perché potrebbe essere inteso dal consumatore come un segno di incertezza, confusione. E' importante, altresì, che il packaging deve essere a basso impatto ambientale, ad un costo contenuto e facile da manovrare. Es. il latte conservato in bottiglia associa meglio il prodotto al biologico piuttosto che il Tetrapak, anche se quest'ultimo è sicuramente più igienico. c) ETICHETTA - E' quella parte della confezione che contiene informazioni sul prodotto. In particolare sono riportate notizie riguardanti il prodotto stesso nonché le modalità d'uso. Negli ultimi anni il consumatore si è dimostrato più attento durante la fase di acquisto ponendo molta attenzione alle notizie riportate sulla confezione. La legislazione impone norme specifiche, nel biologico in particolare.
1.2.2 Prezzo Sono 3 i concetti economici correlati fra loro: utilità, valore, prezzo. 1) Utilità: è la capacità di un prodotto o servizio, di soddisfare i bisogni e le esigenze del consumatore. Il marketing crea 4 tipi di utilità: a) Utilità di Forma: apportare una serie di trasformazioni che migliorano un prodotto attribuendogli valore dal punto di vista dell'utente finale. Es. La trasformazione del legno in carta. b) Utilità di Luogo: ovvero la disponibilità "in loco", solo in quel preciso momento, in cui il consumatore richiede, un certo prodotto o servizio potenzialmente acquistabile. 180
c) Utilità di Possesso: ovvero quando il consumatore compra un prodotto o servizio. d) Utilità di Immagine: valore dato al prodotto/Servizio, che vanno al di la dell'utilità pratica. Essi possono essere emozionali, psicologici, di prestigio. 2) Valore: è la misura della valutazione soggettiva di un prodotto o servizio da parte di potenziali clienti. 3) Prezzo: somma che viene pagata, dai consumatori singoli o associati, per un prodotto/servizio. Il prezzo è strettamente connesso agli altri elementi del Marketing - mix con i quali agisce in sinergia nell'attuazione pratica del piano di marketing. Il cliente paga un determinato prezzo uno specifico prodotto che è stato promosso con particolari modalità e distribuito attraverso un particolare canale distributivo. Nel Marketing-mix del biologico, è il parametro più importante che incide direttamente sulla decisione dell'acquisto essendo legato al livello di reddito del consumatore. E' pur vero, però, che sulla sua entità agiscono diversi fattori, fra cui: costo della materia prima, costo di produzione e trasformazione, distribuzione, domanda, concorrenza. Nella determinazione del prezzo, l'azienda, può usare diversi metodi: - Ricarico fisso o margine di profitto aziendale; - Analisi dell'offerta e della domanda; - Concorrenza. Importanti sono, altresì, i costi che l'azienda deve sopportare per la produzione e che agiscono sulla sua entità. Essi possono essere: - Costi Diretti: ossia direttamente attribuibili alla produzione, oppure alla vendita della mercé. Sono i costi del lavoro, materie prime, semilavorati, ecc. .. - Costi Indiretti: spese di manutenzione dei macchinari, affitti, ammortamenti, ecc ... Li possiamo distinguere in Costi fissi e Costi variabili. Costi e Ricarichi aziendali incidono fortemente sul ciclo produttivo e sulle vendite e possono determinare la penetrazione sul mercato e ridurre il gap esistente fra i prezzi dei prodotti biologici e convenzionali. Nel mercato Biologico il prezzo ha rappresentato sempre un vincolo di spesa infatti, esistendo ancora molte incertezze da parte del consumatore. Da un'indagine effettuata su di un campione sufficientemente grande, risulta che, in funzione delle tecnologie di produzione e trasformazione utilizzate, il 41% 181
degli intervistati pensa che il prodotto debba avere lo stesso prezzo dei prodotti convenzionali. Il 52%, invece pensa che debba costare di più, i! 7% non sa .. Di questo 52%, poi, il 37% ritiene che debba costare un 20% in più del convenzionale (il ricarico varia in funzione della tipologia del negozio). In media, però, si è visto che il: - 16 % è disposto a pagare il 10 % in più; - 19 % è disposto a pagare i! 20 % in più; - 8 % è disposto a pagare il 30 % in più; - 1,5 % è disposto a pagare il 50 % in più; - 1 % è disposto a pagare il doppio. Dai dati raccolti sono emerse due figure di consumatori: a) è un tipo di consumatore (41%) interessato ad un prodotto che fornisca maggiori garanzie di qualità e salubrità, ma considera queste caratteristiche come intrinseche al prodotto stesso e non come valore aggiunto per cui non è disposto a pagarli più di quelli convenzionali. b) È un tipo di consumatore (52%) potenziale, riconosce il valore aggiunto dei prodotti biologici ed è disposto a pagarli più di quelli convenzionali. Poiché, quindi, i livelli di prezzo rimangono ancora alti, rispetto ai convenzionali, non è ancora possibile usare economie di scala. Di certo, però, e che se il prodotto biologico supera il 20% di quello tradizionale, è difficile commercializzarlo. Un prodotto biologico pagato alla produzione un 20% in più: arriva al consumatore maggiorato del 32%. Si è stimato che il sovraprezzo tollerato deve essere compreso, al massimo, tra il 30 e 35%, che per i produttori significa un profitto del 15-20%. Solo, quindi, con una riduzione dei costi alla produzione ed un considerevole incremento dei quantitativi prodotti, si potrebbe verificare un significativo incremento delle vendite dei prodotti biologici.
1.2.3 Posto Inteso come distribuzione, rappresenta l'attività necessaria per portare sul posto le merci da vendere. Esso, quindi, è il passaggio della mercé dal produttore al potenziale consumatore che può avvenire attraverso i Canali di Marketing o Canali di Distribuzione. Questi canali possono essere di lunghezza variabile." Nel caso del Biologico, poiché la forma di commercializzazione più usata è lo spaccio aziendale, il prodotto passa 182
direttamente dal produttore al consumatore. In questo caso si utilizzerà il Canale Breve o Canale Zero. Ogni volta che si aggiungerà un intermediario nel canale distributivo questo si allungherà con aggravi sul prezzo finale al consumatore. Nel biologico le aziende, di qualunque tipologia, utilizzano nella distribuzione: - CANALI VERTICALI: attraverso i quali il produttore immette il suo prodotto sul mercato con una propria struttura di distribuzione al dettaglio o ingrosso. Questo canale permette di esercitare un maggiore controllo sulla distribuzione. - SISTEMI VERTICALI: quando diversi operatori, ai vari stadi della distribuzione, cooperano nella attività di Marketing. Avviene, cioè, che un'unica azienda controlla direttamente sia la produzione sia i canali distributivi.
1.2.4 Promozione & Comunicazione Compito della promozione è quello di convincere il target della validità di un certo prodotto/servizio ed indurlo all'acquisto. La promozione di un prodotto avviene attraverso azioni mirate di comunicazione. Le componenti del modello classico della comunicazione sono: 1) FONTE è il soggetto, l'azienda, l'organizzazione, ... che mette sul mercato un prodotto/servizio e che decide quale tipo di messaggio inviare ed a chi (target) deve essere indirizzata la comunicazione. 2) L'emittente CODIFICA il messaggio decidendo quali simboli, parole, suoni, immagini, saranno usati per comunicare il messaggio. 3) Il CANALE è il mezzo di comunicazione che la fonte decide di usare per inviare il messaggio al destinatario (stampa, radio, ...). 4) Il DESTINATARIO è il mercato target al quale si vuole inviare il messaggio. 5) La RISPOSTA è l'azione intrapresa dal mercato target dopo il ricevimento del messaggio; 6) Il FEED - BACK è l'insieme delle informazioni che l'azienda può trarre analizzando i propri dati di vendita o effettuando ricerche di mercato mirate, sul modo in cui il messaggio è stato comunicato e recepito, e sulla sua efficacia. Attualmente nelle tecniche di strategia di marketing si è soliti usare il feed-back che permetta di ricevere informazioni quasi in tempo reale sfruttando il MICROMARKETING attraverso il controllo continuo del ciclo compreso tra ravvio del processo e gli obiettivi 183
prefissati. Questo permetterà all'azienda di adeguare il ciclo produttivo alle reali esigenze di mercato. L'insieme degli strumenti che si utilizzano per promuovere un certo prodotto sul mercato costituiscono il Mix - Proporzionale. Esso comprende: a) la pubblicità classica, b) le vendite dirette; c) le promozioni delle vendite in senso stretto (sul punto vendita).
1.2.4.1 La Pubblicità È la componente più nota del mix-proporzionale, perché è una forma di promozione in cui ci imbattiamo ogni giorno. Essa ha lo scopo principale di creare nel consumatore un M bisogno. E' concepita in modo da ottenere l'interesse del pubblico, e dove il messaggio è diretto ad un preciso target. Gli scopi della pubblicità sono: 1) Creare notorietà: l'azienda usa la pubblicità per creare un'immagine di marca, avendo come obiettivo, quello di dare notorietà ad un prodotto; 2) Pungolare il cliente: la pubblicità ha una ruolo di "memoria", ha infatti, il compito di ricordare al consumatore di comperare un certo prodotto appena ne avrà bisogno. 3) Mantenere l'interesse: il consumatore non deve dimenticare che quel prodotto esiste. Le aziende, per questo, utilizzano periodicamente la pubblicità di richiamo il cui scopo è di mantenere vivo nel consumatore il ricordo del prodotto. I tipi di pubblicità sono: Pubblicità Classica a) P. di Prodotto: è finalizzata ad informare il target su di un determinato prodotto ed a incoraggiarlo all'acquisto. Si divide in: - azione Diretta: mira a provocare una reazione immediata nel consumatore, es. invio di un coupon entro una certa data; - azione Indiretta: viene usata per creare notorietà, per preparare il terreno, per creare l'attesa, la curiosità, il bisogno, tanto da indurre il consumatore, quando l'azienda lo immetterà sul mercato, all'acquisto. 184
b) P. Istituzionale: è finalizzata a Sostenere l'immagine dell'azienda. Si divide: - P. di supporto: quando si vogliono fornire determinate informazioni sull'attività dell'azienda; - P. di Virtù Civica: quando si vuole mettere in buona luce un'azienda che, per esempio, evidenzia la sua attenzione verso l'ambiente, iniziative benefiche, ecc. c) P. di Stimolo della domanda primaria: ha lo scopo di creare la domanda di una categoria di prodotti. Essa si utilizza in due circostanze: Nelle campagne Apri-Pista - Quando si presenta sul mercato un prodotto assolutamente nuovo, Sconosciuto a tutti. Es. Beghelli prima di immettere un prodotto sul mercato prima crea un bisogno e poi lo lancia; Nelle campagne di Gruppo - Quando le associazioni, i consorzi, ...fanno la pubblicità a materie prime: latte, frutta, prodotti biologici senza specificare la marca. d) P. di Stimolo Selettivo: è finalizzata a creare la domanda di una marca specifica. d)P. Consorziata: è effettuata da due o più aziende che finanziano insieme la campagna pubblicitaria suddividendo i costi. Oggi è nota come strategia di Co - Marketing M. Es. Bauli sceglie Asti Cinzano. Pubblicità Comparativa - Secondo cui i prodotti di un'azienda Sono apertamente messi a confronto con quelli di un'altra. Molto Usata in USA dove famose sono le battaglie fra Coca Cola e Pepsi. Pubblicità Occulta - Molto usata dai mass-media durante trasmissioni, film, quando le aziende che vogliono pubblicità, pagano in modo che il consumatore abbia uno stimolo visivo chiaro ed efficace. E' un modo per aggirare la pubblicità subliminale. Es. la pubblicità di marche di sigarette in Italia è proibita, spesso però nei film sono girate scene in cui gli attori mostrano chiaramente un pacchetto di sigarette. Pubblicità subliminale - E' proibita in tutto il mondo perché incide nel subconscio dell'individuo. E' molto simile ad un'azione di ipnotismo.
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1.2. 4.2 Le vendite dirette Entrare direttamente in contatto con il cliente potenziale e convincerlo all'acquisto. Esse avvengono mediante incontri personali, contatti telefonici, ... Hanno il vantaggio di portare più rapidamente all'azione e, quindi, alla decisione d'acquisto. La pubblicità può suscitare interesse e, quindi, desiderio ma non provoca una reazione immediata. Es. Telemarketing.
1.2.43 Le promozioni delle vendite Sono comprese tutte le attività che hanno come obiettivo, quello di spingere il cliente potenziale all'acquisto di un prodotto, incrementare la domanda, movimentare le vendite. Le promozioni hanno il ruolo di "ponte" fra la pubblicità e le vendite personali. - Tipi di Promozioni a) PROMOZIONI RIVOLTE ALLA RETE DISTRIBUTIVA - Si usano nel commercio al dettaglio, nei casi in cui i grossisti desiderano che i dettaglianti si riforniscano di certi prodotti da mettere bene in evidenza negli scaffali. Es. Sconto merci. b) PROMOZIONI RIVOLTE Al CONSUMATORI - Si usano per convincere i consumatori a comprare una marca in particolare. Es. Coupon, 3x2, bollini, concorsi, Cardo Esiste, però, il problema dell'assuefazione da promozione. c) PROMOZIONI PER LA FORZA VENDITA - Iniziative volte a diffondere l'immagine dell'azienda attraverso i volantini, cataloghi, ...distribuiti ogni volta che si vuole promuovere un prodotto o iniziativa. Relativamente al Biologico, da una ricerca effettuata è emersa la scarsa conoscenza di questi prodotti, perché poco pubblicizzati e commercializzati. Fra i problemi è emerso che fino ad oggi, nessun'azienda è riuscita ad imporre un proprio marchio a livello nazionale in maniera durevole soprattutto su di un prodotto deperibile. Per questo, appena si supera lo stadio di vendita diretta in azienda, l'identificazione e la personalizzazione della produzione sono praticamente impossibili per l'ortofrutta; allora anche per il biologico un'insalata vale un'altra. Si è costretti, quindi, ad impiegare i mezzi classici di promozione in funzione del progetto e del mercato target a cui si vuole accedere, adattandoli al pubblico a cui ci si rivolge.
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1.2.5 Public Relation Rappresentano tutte le iniziative che un'impresa intraprende per creare un'immagine positiva di se nel proprio mercato target al fine di promuovere un orientamento favorevole all'opinione pubblica nei confronti dell'azienda. Costituiscono il piano generale per far arrivare un messaggio positivo e d'immagine dell'azienda a destinazione. Sono utilizzate, spesso, per promuovere un'organizzazione, un consorzio che opera in un particolare settore, ed hanno costituito sempre un mezzo di propaganda efficacissimo. Per comunicare si utilizza la PubblicitĂ Istituzionale e lo strumento della Publicity che rappresenta una forma di comunicazione concepita per essere utilizzata da terzi (quotidiani, riviste, Tv), oppure direttamente da un'azienda in occasioni ufficiali (presentazione di nuovi prodotti). Nel caso specifico del biologico, sono necessarie per avvicinare e sensibilizzare il consumatore all'ambiente ed alla salute. Essa non dipende direttamente dalla volontĂ dell'azienda. Es. le campagne a favore dei beni culturali, dell'inquinamento ambientale, AIRC...
1.2.6 Potere Rappresenta la strategia per rimuovere ostacoli a livello politico, soprattutto quando si deve entrare in nuovi Paesi. Con la globalizzazione dei mercati, in Europa, questo elemento ha perso il suo significato vista l'esistenza della libera circolazione delle merci. Negli altri Paesi la presenza di un'azienda sul mercato è condizionata dagli accordi internazionali stipulati fra essi.
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Finito di stampare nel mese di Febbraio 2009 da Business & Office Services di San Bartolomeo in Galdo (BN) www.boscartucce.it info@boscartucce.it Tel/Fax: 0824964989
Per conto di: Istituto Tecnico Agrario “G. Fortunato” Via S. Giovanni – EBOLI (SA)
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