Animali di versi

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Š 2011 uovonero edizioni tutti i diritti riservati uovonero edizioni via marazzi, 7 26013 crema (cr) e-mail: libri@uovonero.com www.uovonero.com stampato in Cina da Leo Paper Group nel settembre 2011 ISBN 978-88-96918-07-4 per saperne di piÚ su questi animaletti: www.uovonero.com/materiali/animalidiversi.pdf

i geodi /2


testi di Isabella Christina Felline illustrazioni di Roberta Angeletti






Mangia carote quel lupo goloso coi denti aguzzi e col pelo peloso. La lepre guarda con grande coraggio in fondo anche lei ama molto l’ortaggio. Non è cosa facile di tutti i giorni vedere un lupo che mangia i contorni che lascia scappare conigli e marmotte pranzando a verdure, sia crude che cotte. Chi lo conosce mi ha raccontato che il lupo buono si è innamorato di una che dice che han più sapore le verdure crude o cotte al vapore. E se all’inizio lui era perplesso dovreste proprio vederlo adesso felice e contento di far scorpacciate di carote, fragole e insalate.


Lupo un po’ strano, insolito almeno ma pure la lepre non è da meno. A differenza delle sue amiche che corrono e sfuggono a grandi fatiche la lepre, a vederla, è felice e contenta e non è un problema se spesso rallenta. «Vedo più a fondo le cose qui intorno andando piano tra andata e ritorno» dice muovendo le orecchie rosa. lieta va a casa e poi si riposa.






«Bello, agnellino!» dicevano tutti ai nuovi nati, sia belli che brutti. Ma quando arrivò quella pecora grossa nessuno parlò né fece una mossa. Con gli occhi sgranati restavano muti guardavano altrove restando seduti. «Che malasorte, sventura e sfortuna! Sarà certamente per via della luna!» Ma il gregge è così, e questo si sa non ha alcun senso di originalità. La pecora grossa e voluminosa è ingombrante ma tanto lanosa una sola tosata fa sciarpe e maglioni per tutti quanti e per sette stagioni.


Spettegolando, quel gregge ignorante vide passare anche un grande elefante. Era sì grosso, a dir poco imponente ma pesava poco, anzi quasi un bel niente. «È alquanto strano» diceva la folla «che uno leggero come una bolla abbia invece una grande stazza. Sarà un problema d’incrocio, di razza!» E consultati stregoni e dottori si sentenziò: «Buttiamolo fuori! Dev’essere certo molto malato. E non toccatelo: è contaminato!» Invece è uno spasso restare a guardarlo che sale su un albero senza spezzarlo che per il parco se ne va a spasso e gioca sul dondolo insieme al tasso. Va sullo scivolo e non si spacca e non rompe la tazza facendo la cacca.






Con occhi piccoli e zampe robuste emerse la talpa da gallerie anguste. «Basta! Da oggi cambierò vita. La vita al buio per me è finita!» «Ci vuole fegato per certe cose» disse una voce al di là delle rose. «Tu la fai facile, a parlare, se serve ma la tua tana ha provviste e conserve. Ti tiene al sicuro dai predatori ci vedi appena e vuoi uscire là fuori?» «Ho detto basta e correrò il rischio. Di quello che dite e pensate m’infischio.» Così dicendo e con fare deciso un grande sorriso le illuminò il viso e pur non avendo una vista buona convinta iniziò a esplorare la zona col sole caldo che l’accarezzava mentre nel prato la folla sparlava.


«Hai proprio fegato, l’ho detto prima» ridisse nascosta laggiù una vocina. «Chi sei? Che dici? Non posso vederti se tu non esci in posti scoperti» rispose la talpa di passo lesto a quella vocina dal tono mesto. «Non posso uscire, sono deforme. Non posso lasciare né impronte, né orme. Il mondo intero mi guarda e detesta giacché sono nata con più di una testa. Sono farfalla ma non sono bella né come il sole né come una stella. E così per me è ancora più dura

dover restare nascosta e insicura.» «E che sarà mai se hai più di una testa… Magari hai quattr’occhi e sapessi che festa. Sapessi quanto ne avrei bisogno mia cara, a dirtelo non mi vergogno. Abbi coraggio, respira, esci fuori ti aspetta un mondo di tanti colori! Spesso ci vuole soltanto un amico lo so per certo, così te lo dico.» Così dicendo la prese a braccetto e andarono insieme a fare un giretto.






Fu appena dopo cinque o sei passi tra l’erba alta, le foglie e i sassi che si udì bene una sinfonia che proveniva da oltre la via. Appollaiato su un ramo di quercia (così sembrava alla talpa un po’ guercia) un usignolo suonava divino appiccicato al suo violino. «Che suono sublime! Mi sento volare. Se suona così… chissà a cantare!» fece la talpa ascoltando incantata e la farfalla guardò inebriata. Ma appena si accorse degli spettatori mollò il violino e saltò fuori: «Buongiorno signori, son l’usignolo!

Suono e non canto, anche se volo. Così ho deciso tanti anni fa ce n’erano troppi di qua e di là. Riuscivi appena a uscire all’aperto che ti ritrovavi in un grande concerto. E in tutto quel mucchio non c’era verso per quanto facessi non son mai emerso. In quella folla non ero più io troppo di tutti e niente di mio. Così ho deciso il gran cambiamento e dopo tanti anni mi trovo contento. La gente mi ascolta e riesce a sentire e uso il violino per ciò che ho da dire». E come dar torto al saggio pennuto, a quel musicista deciso e cocciuto che sviolinando dal ramo un assolo diceva a tutti che ognuno è uno solo unico, solo e originale e che in tutto il mondo non c’è un uguale.


«Ehi, tu, per caso sai fare la samba?» si sentì dire scorgendo una gamba e quando dopo si vide anche l’altra apparve un pesce dall’aria un po’ scaltra. «Sì, ho le gambe, che c’è da guardare? Vi sembra il caso di criticare? Se ci pensate non ho che vantaggi: ballo e saltello per tutti i paraggi. Oltre alla samba adoro anche il tango è un’emozione che quasi ci piango. Ballerei ore, ballerei giorni ballerei qui oppur nei dintorni, anche nel posto più lontano che c’è non sai che vita, senza un casquè.»


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