La Via speciale anno pastorale 2019-2020

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speciale anno pastorale 2019-2020


TEATRO CENTRO PARROCCHIALE ROVELETO

utopia

2019

2020

un mondo migliore è possibile

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U’ PARRINU Spettacolo sulla figura del Beato Pino Puglisi.

Venerdì 25 ottobre ore 21.00

STORIE DI INCONTRI IMPOSSIBILI conversazione con Franco Bonisoli, ex appartenente alle Brigate rosse.

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Giovedì 7 novembre ore 21.00

QUALCOSA POSSIAMO FARE! Conversazione “al femminile” con Lella Costa su Edith Stein.

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Giovedì 21 novembre ore 21.00

NON SOLO LE MANI GIUSTIZIA E LEGALITA’ conversazione con Gherardo Colombo.

“Ogni santo ha un passato. Ma ogni peccatore ha un futuro.” Non mi ricordo più chi abbia detto questa frase. E non ho molta voglia di cercare su Internet. Ma ha il pregio illuminante della sintesi. Infatti chi si sente arrivato perché dovrebbe guardare al futuro? Il futuro è il tempo di coloro a cui manca qualcosa. Il tempo dei peccatori, intesi come coloro che hanno uno sbaglio da correggere, un inferno da cui uscire, una ferita da risanare.

re tagliati fuori. E c’è infine la resistenza, tutta interna al nostro piccolo ambiente, che sostiene l’idea che, essendo il futuro un argomento trattato da molti, perché dovremmo farlo anche noi che non siamo così competenti sul tema.

Chi raccoglie le provocazioni potrà abilmente continuare a riflettere.

Le resistenze, si sa, sono come gli ostacoli. Bloccano alcuni e stimolano altri che finiscono con lo scavalcarli. Così abbiamo deciso di dedicare al tema del futuro questo numero speciale de LA VIA.

È un impegno etico che riguarda la collettività. È una scelta di responsabilità che in qualche modo qualifica e orienta il presente.

Non è quindi il tempo di ciascuno di noi?

E mi sembra un bel modo di iniziare l’anno pastorale. L’ascolto di voci diverse che ci parlano di futuro sotto differenti angolature ci è parsa ancora una scelta vincente. Esiste infatti un futuro nella Chiesa, nella società, nell’economia o nella tecnologia.

C’è quella che io chiamo resistenza fatalista: quando si dice “sarà quel che sarà” e non si vuole prendere assolutamente in considerazione il futuro. C’è poi la resistenza pessimista: non si parla di futuro perché la paura ci inquieta, ci suscita l’idea che potremmo esse-

RICORDIAMOCI IL FUTURO Terra, ecologia, società conversazione con Oscar Farinetti.

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Sabato 29 febbraio ore 21.00

Don Umberto

Scrivere di futuro è comunque sempre una scelta azzardata, perché ci sono da vincere diverse resistenze.

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Mercoledì 4 dicembre ore 21.00

Il meglio deve ancora venire

IL CANTORE DEGLI ULTIMI omaggio ad Enzo Jannacci in ascolto del forte messaggio sociale del grande cantautore.

Ognuno di essi meriterebbe approfondimenti prolungati. Noi vogliamo gettare il sasso nello stagno.

Personalmente la ritengo una riflessione necessaria e doverosa. Immaginare il futuro non è uno sfizio da persone creative.

Noi cristiani dovremmo ritenerci fortunati: tutta la nostra fede è indirizzata ad un mondo futuro, pieno ed eterno. Pregustarlo è il sogno di ogni avventura credente. L’utopia è il motore della storia; non un luogo che non esiste, ma un luogo buono. Riprende il cammino. Ricordiamoci il futuro!

Don Umberto

utopia (nessun luogo)

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Giovedì 26 marzo ore 21.00

BLACK LEATHER Due pugni guantati di nero Spettacolo teatrale con Federico Buffa le Olimpiadi del 1968 e il grido dei neri d’America.

L'utopia sarebbe dunque un luogo buono/bello ma parimenti inesistente, o per lo meno irraggiungibile

eutopia (buon luogo) Franco Bonisoli

Gherardo Colombo

Oscar Farinetti

Federico Buffa

Lella Costa Vasily Kandinsky, dipinto “Utopia in blu”, Solomon R. Guggenheim Museum, New York -3-


Quando il futuro inizia da uno sguardo(ricevuto) intervista a Franco Bonisoli.

Non restare soli per vincere la paura Intervista al Prof. Luigi Cavanna sul tema “Malattia e futuro”.

Gabriele Ziliani

Erika Negroni proprio domani e nutre la speranza, che, come la paura blocca la nostra vita, invece la rende più bella e la motiva. Come è o come è auspicabile sia per il malato oncologico il rapporto tra l’oggi e il futuro?

- Io parlo parlo, - dice Marco (Polo) , ma chi mi ascolta ritiene solo le parole che aspetta.

Altra è la descrizione del mondo cui tu presti benigno orecchio, altra quella che farà il giro dei capannelli di scaricatori e gondolieri sulle fondamenta di casa mia il giorno del mio ritorno, altra ancora quella che potrei dettare in tarda età, se venissi fatto prigioniero da pirati genovesi e messo in ceppi nella stessa cella con uno scrivano di romanzi d’avventura. Chi comanda il racconto non è la voce: è l’orecchio. ("Le città invisibili" -Italo Calvino-)

#Non tutto si può raccontare. Così scriveva poco tempo fa una mia cara amica giornalista in un post sui social, commentando un sovraesposto fatto di cronaca nera piacentina. Ha proprio ragione: non tutto può essere reso pubblico senza filtri, gettato in pasto a improvvisati giudici e tuttologi. Non si tratta di voler nascondere una verità ma di non svilirla e annegarla con giudizi preconfezionati e sterili sentenze. Così mi sono avvicinata alla storia di Franco Bonisoli: un passato legato alla lotta Armata delle Brigate Rosse, un cammino di rinascita costellato di sofferenza e incontri, un presente fatto di impegno sociale e normalità. Donazione della vita, missione, coerenza e desiderio di sconfiggere il male per una società più giusta. Sono alcuni dei termini che paiono quasi i tratti di una “chiamata”che lei usa per descrivere la sua esperienza passata nelle Brigate Rosse. Ci aiuta a capire cosa sognava di fare ad appena 19 anni? Sognavo di poter cambiare radicalmente la società che ritenevo profondamente ingiusta per costruirne una migliore. Sognavo una società senza la fame nel mondo, senza guerre, senza lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Era ciò che sognavamo in tantissimi in quegli anni e in tante parti del mondo. Vivevamo in un sistema politico bloccato, in un momento di grande trasformazione dell’economia e della società, in un mondo fortemente diviso in due blocchi dove la guerra fredda tra le due superpotenze, Russia e America, dettava il clima nei vari paesi satelliti, tra cui l’Italia. Questo grande desiderio di cambiamento si esprimeva in grandi lotte di rivendicazione. La scintilla scoccò prima nel ‘68 nelle università e poi nelle lotte operaie del 1969. Ad esse una parte dello Stato rispose con le bombe di Piazza Fontana e tante altre stragi indiscriminate. Questa voglia di cambiamento si fuse allora con la sfiducia che ciò potesse avvenire con metodi democratici, ma solo attraverso una rivoluzione. Le spinte più radicali misero all’ordine del giorno l’idea di una rivoluzione armata per abbattere il regime presente, condizione per edificare una società giusta. Tra le migliaia di giovani che gridavano nelle piazze a questa rivoluzione, un piccolo nucleo di persone passò dalle parole ai fatti iniziando ad armarsi e dandosi un nome, Brigate Rosse,

che richiamasse la storia e lo spirito di donazione della vita dei partigiani durante la resistenza. Coerenza tra le parole e i fatti. E mi buttai con loro, disponibile a dare la mia vita per questa causa che ritenevo profondamente giusta perché a favore delle persone più povere e sfruttate.

Franco Bonisoli A 23 anni inizia la sua detenzione nelle carceri speciali. Un carcere duro e militarizzato. Cosa le ha dato la forza per sopportare e non pensare ai quattro ergastoli che pesavano su di lei? Ho vissuto per diversi anni nel circuito delle carceri di massima sicurezza, in un regime detentivo che Amnesty International denunciava come assimilabile alla tortura. Ma più il carcere era duro e violento, più giustificavo le mie idee rivoluzionarie e la necessità dell’uso della violenza in quel luogo dove nessun dialogo era possibile. Poi arriva il tempo dei dubbi e dei “segni” che la guidano a una nuova vita: la commissione detenuti al carcere di Torino, la presenza costante del cappellano don Salvatore Bussu e il “convegno dei cappellani”. Che “nome” ha la goccia che inizia a scavare la roccia? Prima di tutto “riconoscimento”. Riconoscimento della nostra dignità umana. Riconoscimento come persona, fuori dall’immagine stereotipata in cui si era stati ingabbiati e io stesso mi ero ingabbiato. Il cambiamento dello sguardo ricevuto, ha portato a cambiare lo sguardo anche a me: verso la società e anche verso me stesso. “Siete un occasione per noi”, sono le parole del card. Martini riferite ai carcerati. Un bel cambio di prospettiva che ha portato frutti e ha creato per lei una nuova idea di futuro. -4-

La sua dissociazione dalle Brigate Rosse, l’abolizione dell’art. 90... Come è cambiata in concreto la sua vita? Con un’immagine dantesca potrei dire che dopo aver attraversato diversi gironi degli inferni terreni e interiori, sono riuscito a passare attraverso la “natural burella” per ritrovarmi nel purgatorio, dove è stata possibile una risalita alla vita. Con un impegno prima nel carcere per migliorare le condizioni di vita delle persone detenute. Poi nell’impegno sociale e familiare per giungere ad una vita oggi nella normalità. “La mia è stata una vita di incontri”, ripete spesso. Uno di questi è avvenuto con Agnese Moro, figlia di Aldo Moro. Come si fa ad incontrarsi pienamente, a non lasciarsi sopraffare dai reciproci dolori che si portano dentro? Indiscutibilmente un’esperienza molto forte. Per entrambi. E’ stato un cammino, aiutato da alcuni mediatori, in un contesto orientato alla “giustizia riparativa”. Ci sono stati anche momenti molto duri. Ma è stato possibile. Un incontro che a tanti sembra ancora impossibile, fino a quando non ci vedono insieme a raccontare le nostre vite. Nella Lotta Armata cercava riconoscimento da parte dello Stato, nel suo cammino ha scoperto che l’essenziale è sentirsi riconosciuto nella propria dignità. Una lezione per tutti, per l’intera società, dove spesso manca il sentimento di umanità e si creano nemici ovunque oltre a giustificare troppe ingiustizie sociali. Quali passi fare per un futuro “più giusto”? Posso solo dire quali passi ho fatto io, senza la pretesa di dare indicazioni ad altri. Quando, insieme ad Agnese o altre persone che hanno subito la nostra violenza negli anni Settanta, raccontiamo il cammino che ci ha portati ad incontrarci e addirittura a diventare amici, mi conforta il sentire tante persone; soprattutto i giovani, che manifestano la gioia di vedere in questo incontro resosi possibile, un seme di speranza per il vivere quotidiano di tutti. Per questo verrò volentieri a raccontare anche a voi questo nostro cammino. Sul quale siamo ancora in marcia. E chissà, magari riusciremo a farne anche un nuovo tratto insieme.

Professore, la paura è uno dei sentimenti che ci condiziona di più. La paura della malattia, di ammalarsi può essere perfino paralizzante riguardo al futuro. Come vivere senza questa paura o come controllarla? L’essere umano di fronte alla malattia non può non avere paura. Come si affronta? Credo che la prima cosa sia la condivisione, non vivere la propria paura da soli, parlarne con una persona che ti è vicina. Le paure si ingigantiscono se vengono vissute soli! Poi sapere di poter contare su professionisti, persone con diversi ruoli, medici, infermieri, farmacisti, psicologi, il cui compito è calmare l’angoscia e tentare di dare la migliore risposta possibile ad ogni problema. Ricapitolando: primo parlarne con qualcuno di vicino, secondo come posso risolvere, terzo su chi posso contare. I suoi pazienti hanno malattie oncologiche, spesso gravi. Chi soffre penso che desideri il lenirsi del dolore oggi e subito, ma sicuramente anche chi sta soffrendo molto ha dentro di sé lo sguardo sul

Una premessa: il medico deve ricordare che il malato non è un insieme di sintomi e segni, ma un essere umano con paure e speranze, che cerca sollievo, aiuto e rassicurazione. Detto questo molti malati di tumore hanno oggi altissime probabilità di guarigione se si procede con le tecniche chirurgiche e mediche note ed essi possono pensare con fiducia alla guarigione. Per altri purtroppo la guarigione è molto molto difficile, e qui è il punto più difficile da gestire, ma ci viene in aiuto questo: le cure sono continuamente in evoluzione e tra sei, otto, dodici mesi avremo cure diverse che non cambiano mai in peggio, sempre in meglio. Allora mi rivolgo apertamente così ai pazienti e ai loro familiari: questa malattia difficilmente arriverà a guarigione a meno di un miracolo, però noi applicheremo le migliori cure disponibili oggi al mondo, tra due, tre mesi faremo i controlli e consolideremo o cambieremo la cura a seconda della risposta, ma l’importante è uscire dalla trincea perché le medicine che abbiamo a disposizione oggi tra sei mesi saranno cambiate. Sono ossessivo verso i miei collaboratori perché sviluppino i protocolli di ricerca. Più ne abbiamo e più possibilità abbiamo di avere prima qui a Piacenza nuovi farmaci che arriveranno in commercio tra due o tre anni. Li possiamo usare sul malato che ho qui davanti a me. E questo gli può cambiare la vita! La speranza che diamo è razionale, basata su evidenze scientifiche. E quando la malattia, nonostante le

cure fatte si ripresenta e si fa irreversibile? E’ un punto molto difficile. Bisogna sicuramente attivare tutte le cure palliative. Ma anche se è difficile questo è quello che cerchiamo di dire e di fare: non siamo riusciti a guarirti ma noi ci saremo sempre per te e faremo il possibile per alleviare il dolore, la mancanza d’aria o tutti gli altri sintomi. Il concetto cristiano ma anche umano della cura. Parliamo di quelli che stanno accanto a chi soffre, medici, professionisti e familiari. In relazione al futuro della persona, del malato possiamo dire che la dedizione e l’amore fanno miracoli? Questo è fondamentale. Una delle cose più brutte e terribili è quando una persona si sente abbandonata. E purtroppo in certi centri ospedalieri di eccellenza fuori Piacenza ciò succede. Esauriti i tentativi di cura il malato che peggiora viene rimandato dal proprio medico o al proprio ospedale periferico e si sente veramente scaricato e abbandonato. Come comunità scientifica dobbiamo batterci perché ciò non avvenga. Invece il fatto di sentirsi seguiti e curati è molto importante. Alla fine non c’è nessuno di immortale. Tutti andiamo incontro alla fine della nostra vita. Ma l’essere supportati, aiutati anche nelle necessita concrete quando si è nel bisogno è importantissimo. Stare vicino a una persona che magari deve anche essere aiutata a vestirsi, ad andare in bagno è fondamentale. E il non far pesare la fatica, lo stare vicino con empatia rende questa fase della vita molto meno amara.

Il professor Luigi Cavanna, 66 anni, è piacentino di nascita. Si è diplomato presso il liceo Respighi e si è laureato all’Università di Pavia. Dal 2004 è Direttore del Dipartimento di Oncologia-ematologia dell’Ospedale di Piacenza. Ha, tra le altre cose, introdotto per la prima volta a Piacenza il trapianto di midollo-cellule staminali di tipo autologo nel 1999 e di tipo allogenico nel 2002. Da oltre 25 anni, oltre alla pratica clinica, si occupa di ricerca partecipando attivamente a studi clinici e di coordinamento sia in campo diagnostico che terapeutico. Collabora con Associazioni di volontariato impegnate nella raccolta di fondi per la ricerca e nell’assistenza dei malati oncologici. -5-


Il futuro dell’economia è figlio dei nostri sentimenti Ricordiamoci il futuro. “Chi non s’intende di economia non capisce affatto la storia” - così scriveva il poeta statunitense Ezra Pound - e dialogando con Oscar Farinetti tutto questo lo tocchi con mano. Con parole semplici ma competenti, sa unire la storia alla statistica, i sentimenti alla ragione, sa far dialogare le diverse discipline per restituirti una visione chiara di come le strutture che ci circondano, dalla politica all’economia siano il prodotto di ciò che pensiamo, sentiamo e desideriamo, non di strani e freddi algoritmi. Farinetti, l’imprenditore che ha costruito un impero in nome del cibo e del vino, il businessman vulcanico da Unieuro a Eataly, ospite straordinario della parrocchia di Roveleto per ben due volte, ha dialogato con noi di economia e futuro. Un paese vecchio, invaso, povero e in declino, così gli italiani vedono l’Italia. Siamo all’ottavo posto nella scala mondiale per economia eppure ci percepiamo alla 69esima posizione. Così il sondaggista Pagoncelli scrive nel libro La penisola che non c’è. Una percezione distorta e pericolosa: in fondo è la percezione a guidare i nostri comportamenti. Cosa ne pensa ? La percezione che hanno gli italiani è scadente. Se lei chiede quanti immigrati vi sono in Italia, quasi nessuno vi dice l’8% ma tutti sparano 15 o 20% ... Siamo vittime di un’informazione “sciovinista”, cioè interna, e non ci occupiamo di economia internazionale. I grandi media non se ne occupano perché pare che chi lo fa, venda poco. Anche questo non è vero: guarda caso, la rivista l’Internazionale che si occupa di ciò, ha una tiratura di oltre 120mila copie. Occupandosi poco del mondo non si ha la

percezione di cosa sia l’Italia per il mondo, è un tratto peculiare di questo periodo. Gli italiani di 16 generazioni fa - nell’epoca Rinascimentale - avevano un’idea più alta di sé, per non pensare al tempo degli antichi Romani, dove Roma, quindi l’Italia, era considerata “Caput Mundi”. Siamo vittime della grande sconfitta della seconda guerra mondiale: i nostri nonni nati negli anni ‘2030 hanno fatto un grande capolavoro ma dopo di questo non ci siamo più ripresi, a livello percettivo della potenzialità del nostro Paese. L’economia che parla la lingua del rigore e delle leggi matematiche - che appaiono fredde e lontane - per lei è figlia dei nostri sentimenti. Come è possibile? Tutto è figlio dei nostri sentimenti. Così anche l’economia, che viene regolata dal sentimento della fiducia. Il vero algoritmo che regola la domanda è la fiducia: se c’è fiducia si compra, se c’è fiducia si fa credito, si investe... Non lo dico io, lo afferma Adam Smith, economista, nel suo libro “Teoria dei sentimenti morali”. Andando indietro nella storia anche Condorcè, matematico del ‘700, si occupava di sentimenti umani per spiegare la matematica. Il benessere o malessere delle generazioni umane vissute su questa terra, dipendono sempre dai sentimenti prevalenti di quella generazione. Mervyn King, ex governatore della Banca d’Inghilterra commentando la crisi finanziaria del 2008 disse: “Questa non è una crisi delle banche o delle politiche ma una crisi delle idee”. Il 2019 viene visto come anno della grande crisi economica. Cosa ci aspetta?

Erika Negroni che farci progredire. Siamo in un mondo fatto di dogane, che dividono invece che unire. Siamo in un mondo nuovo che diventa antico, dove si inventano mura artificiali per impedire scambi tra i popoli, è chiaro che arrivi la crisi. Soprattutto perché esiste una sovrastruttura, l’online, dove mettere delle dogane è impossibile ma di cui è proprietario un unico Paese. Un unico proprietario, gli Stati Uniti, che detiene linguaggio, leve, dati; una sovrastruttura che sta diventando struttura tradotta in economia, carta moneta, comunicazione... Quando tutto è in mano ad unico Paese e questo si monta la testa, sono guai. Come andrà a finire? Considero la data tombale, della nuova storia della nostra generazione di umani, novembre 2020. Dipende quale scelta compiranno gli Americani, se confermeranno un leader sovranista che vuole incrementare la potenza del proprio Paese. Cosa nuova, di solito i leader sovranisti sono sempre stati una tentazione degli Europei, e ogni volta che hanno preso potere il finale è sempre stato lo stesso: morti e gente sempre più povera. In una parola. Il futuro dell’economia si chiama...? Per me il futuro dell’economia si chiama scambi col mondo, esportazione e turismo internazionale. Si chiama armonia col mondo.

Sviluppo insostenibile ...se ami non fai calcoli, lo fai e basta.

Alessandro Fummi Churchill diceva: ”Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare”. Ecco, non diceva si può migliorare solamente in gruppo o bisogna iniziare a migliorare solo se prima hanno iniziato a farlo almeno una dozzina di altre persone. No, analizzava il singolo. Usava parole dirette a te. E’ davvero curioso come vada ancora tanto di moda il rifugiarsi nella collettività in una società sempre più mossa da brame egoistiche. Ma, per citare i giornalisti più banali: andiamo con ordine. Per parlare del domani, al giorno d’oggi, non possiamo esimerci dallo scomodare Greta Thunberg. Personalmente ho cercato di fotografare dall’alto la situazione. Ho volato sopra i barriti di chi si faceva dominare dalla propria pancia. “Mossa di Marketing della famiglia!”. “E’ ricca!”. E così, tra queste fitte nubi, ho potuto guardare ciò che realmente era: una bambina. Una bambina che, con le sue parole imboccate o meno, ha saputo smuovere milioni di altri bambini e adolescenti in tutto il mondo. Una mobilitazione pacifica, un’attenzione per una tematica tra le più nobili: l’amore per la terra. Una causa che dovrebbe quantomeno godere della pigra approvazione di tutti e, invece, no. Nemmeno questa volta. Dividersi in fazioni risulta irresistibile per gli uomini.

Così abbiamo assistito all’imprevedibile: anche le più consuete e condivise norme sul duello verbale sono state disattese. Così i giovanissimi cortei aderenti alle parole di Greta sono stati definiti “Gretini”. La stessa bambina è stata derisa da adulti rancorosi. Altri aspiranti intellettuali hanno forzato le loro menti cercando di giustificare le ipotesi più improbabili per stupire, anziché approfondire l’attuale rendendosi utili. Quindi mi sono ricordato di un video che mi mandò mia moglie. Un’artista mostrava dieci pastelli colorati a cinque genitori e chiedeva loro di fare un bel disegno scegliendone soltanto uno a testa. Poi, diceva loro, avrebbe fatto lo stesso con i rispettivi figli. Al termine di questo esperimento ha mostrato i disegni degli adulti: colorati, divertenti, alcuni proprio belli. Infine mostrava loro quelli fatti dei figli: neri, grigi, tristissimi. Ai bambini, l’artista, aveva dato i 5 pastelli scartati dai genitori: ciò che loro avevano lasciato ai loro figli. Ecco, sono dunque queste le fazioni? Come ci siamo abituati a vedere come legittime le posizioni di chi, consapevolmente, sceglie di lasciar morire di stenti persone solo perché straniere, le nostre orecchie si abituerebbero anche alla lotta tra padri e figli? Sto estremizzando, certo, ma le barricate erano già ben solide in questo inizio di confronto. Eccoci dunque di ritorno a Churchill. Cambiare è migliorarsi e, di questi tempi, credo che

La grande crisi che sta arrivando è una crisi “sovranista”, che ci riporta indietro invece

Solitamente serve una motivazione molto forte per sprigionare un cambiamento in noi. Per far poi sbocciare un miglioramento. Questo germe solitamente è un innamoramento. L’amare un’idea. L’amare una persona. L’amare una fede. Qualcosa che ti faccia desiderare d’essere migliore, perché ciò che ami, e non tu stesso, ne goda i frutti di questa tua nuova rigogliosità. Un altruismo, che oggi, trova davvero poco spazio. Nella società dei budget, degli obbiettivi, del poco tempo e della reperibilità c’è davvero poco margine per pensare all’altro. Il tempo è poco, la concorrenza corre e ormai siamo a fine trimestre. Ecco, dunque, perché sboccia dai bambini questa bella protesta. Loro non sono ancora stati intossicati. Ciò che gli nasce dal cuore non passa dal filtro del timing, per poi passare da quello della redditività, no. Ciò che gli nasce dentro è applicabile, sempre. E’ amore puro, per la nostra Terra in questo caso. Noi adulti non evitiamo il viaggio in auto perché tanto saremmo gli unici, quindi uno 0.00001% di monossido in meno in una giornata di Piacenza non varrebbe niente nel fatturato annuo di inquinamento. Se passeggiamo per strada con una bottiglietta finita di certo utilizziamo il primo bidoncino comunale incontrato. Quanto sarà? 20 gr di plastica? Non crediamo che faccia la differenza per le tonnellate che si riversano negli oceani. Così con l’acqua aperta, così con la carta perché siamo di fretta e mille altre briciole di male per la nostra terra, perché nell’economia del mondo non riusciamo a vederci rilevanti. Così i nostri ragionamenti, questa la nostra mentalità: se sono io a farlo. Ecco, qui la differenza, se ami non fai calcoli. Lo fai e basta.

Il fondatore di Eataly torna sui grandi temi che gli stanno a cuore: in primis quelli della biodiversità e dell'eccellenza italiana nel campo agroalimentare. Lo fa con pagine che richiamano la forma delle operette morali, racconti in cui personaggi spesso appartenenti a epoche diverse - da Noè a Fabio Brescacin di NaturaSì, da Plinio il Vecchio a Tonino Guerra, da Hemingway ad Alice, "acciuga filosofa" - dialogano sulla scoperta del fuoco, ripercorrono la storia dell'agricoltura, raccontano la storia del vino.Farinetti condensa queste storie millenarie in sei brevi racconti vivi di un umorismo e di una spinta etica che rendono piacevole e appassionante la lettura, sicché pagina dopo pagina apprendiamo l’origine delle diverse colture e le scoperte che le riguardano, trattate con l’occhio attento e rispettoso di chi crede fermamente nell’innovazione così come nell’importanza della tradizione. Il racconto lungo di chiusura ci porta nel Rinascimento attraverso il dipinto “Il battesimo di Cristo” della bottega del Verrocchio.

Si deve riscoprire l’amore per la propria casa, quindi l’amore per il nostro domani. A quel punto non ci saranno calcoli e si desidererà tutti essere migliori, perché tutti gli altri, i nostri figli in primis, possano goderne i frutti. La foto a fianco e' stata scatta in Groenlandia dove i cani non corrono più sulla neve ma letteralmente sull'acqua.

Oscar Farinetti sarà nostro ospite presso il centro parrocchiale di Roveleto mercoledì 4 dicembre per una CONVERSAZIONE sul suo ultimo libro “RICORDIAMOCI IL FUTURO” ed. Feltrinelli. -6-

tutti possiamo dirci che ci vuole veramente poco per migliorarsi.

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La tecnologia e il nostro futuro Il mondo si avvia a diventare un posto molto affollato. Da molto tempo gli inventori sognano di creare macchine in grado di pensare. Per raggiungere questo obiettivo gli sforzi sono partiti circa due secoli fa cercando di automatizzare prima di tutto le funzioni di calcolo. Dopo le prime macchine da calcolo meccaniche, ad opera di Charles Babbage (1791-1871), George Boole (1815-1864) pone le basi della logica binaria, la matematica che sta alla base del modo in cui i calcolatori odierni effettuano i calcoli. Più tardi, Alan Turing (1912-1954) progetta la macchina da cui derivano le architetture dei calcolatori moderni basate su microprocessore. Nel 1949 scoperta del transistor segna il punto di svolta da cui parte l’accelerazione verso i calcolatori elettronici che usiamo oggi. Inizialmente i calcolatori permettevano di risolvere velocemente problemi di difficile soluzione per gli uomini ma che potessero essere formalizzati in una serie di passaggi ben definiti. Oggi l’intelligenza artificiale cerca di risolvere problemi come l’automazione dei lavori ripetitivi, comprendere il contenuto delle immagini o della voce umana, redigere diagnosi mediche e supportare la ricerca scientifica. Questa classe di problemi risulta, viceversa, relativamente semplice per gli esseri umani ma è molto difficile da formalizzare usando i linguaggi di programmazione tradizionali. Una nuova generazione di sistemi che possono essere addestrati anziché programmati si basa oggi sul deep learning, o apprendimento profondo. Il cuore di questi sistemi sono delle reti di unità, paragonabili per analogia ai neuroni del nostro cervello, suddivise in strati. Una volta definita la struttura della rete, ossia il numero di nodi in ogni strato e le loro connessioni, la si sottopone ad una fase di addestramento durante la quale i nodi si specializzano nello svolgere una certa funzione per ottenere l’uscita richiesta a fronte di un certo ingresso. Attualmente, alcuni sistemi basati

sull’apprendimento profondo hanno già raggiunto capacità super umane ossia sono più bravi degli esseri umani a svolgere il loro compito. Lavoro per un’azienda multinazionale tecnologica che produce microprocessori per l’elaborazione video. La sede di Parma è specializzata nella ricerca sulla guida autonoma. La Society of Automotive Engineers SAE, identifica 5 diversi possibili livelli di autonomia per i veicoli. Livello 1: guida assistita. Livello 2: guida ad automazione parziale. Livello 3: guida altamente automatizzata. Questo è il primo vero e proprio livello di automazione. Le auto appartenenti a questa categoria sono in grado di guidare autonomamente gestendo accelerazione, freno e sterzo al posto del guidatore in situazioni specifiche. Livello 4: guida completamente automatizzata. Il veicolo offre una gestione completamente autonoma e sicura di accelerazione, frenata, sterzo ed effettua inoltre tutte le azioni necessari per interagire con il traffico circostante rispettando le regole della strada. Questo significa autonomia completa, a richiesta, su autostrade, strade extraurbane ed urbane gestendo in modo sicuro per gli occupanti tutte le situazioni tipiche. Livello 5: automazione completa. A questo livello vengono svolte tutte le funzioni del livello 4 ma non è più possibile per gli occupanti prendere il controllo del veicolo, sono solo dei passeggeri. I sistemi attuali di livello 5, come quello di Wymo, apprendono continuamente diventando sempre più esperti a svolgere i compiti di guida. In prospettiva possono accumulare un numero di ore di guida che un essere umano potrebbe accumulare solo nel corso di molte vite. Non si stancano, non perdono l’attenzione, guardano contemporaneamente in tutte le direzioni. Con l’obiettivo di ridurre il più possibile gli incidenti. Naturalmente i problemi all’ingresso in -8-

massa di queste tecnologie sulle nostre strade non mancano e sono principalmente di natura legale. La mobilità autonoma è destinata a cambiare anche il modo in cui intendiamo l’automobile. Oggi l’auto è uno status symbol e possederne una è abbastanza normale, ma con sistemi di questo tipo le auto potrebbero circolare continuamente ed essere accessibili tramite app, venirci a prendere a casa e portarci dove ci serve per poi ripartire per andare a servire un’altra richiesta. Le nostre auto rimangono parcheggiate per più del 95% del tempo. Un modello di questo tipo porterebbe ad una riduzione del parco auto circolante e ad una maggiore libertà di movimento nelle città. Le città stesse potrebbero essere costruite con criteri diversi una volta liberate dalla morsa delle auto parcheggiate. Anche l’efficienza del traffico trarrebbe vantaggio dall’introduzione di sistemi di questo tipo. Sarebbe ad esempio possibile far viaggiare le auto a distanza molto ravvicinata incrementando la capacità delle arterie e risparmiando carburante. In città si potrebbero ridurre i tempi di partenza ai semafori. Si libererebbe il tempo che passiamo alla guida e potremmo trascorrerlo facendo altre attività più interessanti. Le regole del codice della strada verrebbero sempre rispettate migliorando la vita di tutti gli utenti, come ad esempio i pedoni e i ciclisti.

e prima di medici umani esperti. Lo sviluppo di questa tecnologia è ancora allo stadio embrionale nonostante nuovi chip per accelerare il funzionamento delle reti neurali escano ad un ritmo elevatissimo rispetto al passato. Nei prossimi anni ci possiamo aspettare grandi miglioramenti nelle capacità di questi chip e conseguentemente nelle funzionalità che essi forniscono fino ad arrivare non solo a guidare le auto quando noi non ne avremo voglia ma anche a svolgere compiti sempre più complessi che ci aiutano nella nostra vita. L’intelligenza artificiale ha bisogno di essere addestrata con enormi quantità di dati. Gli assistenti personali automatici che stiamo imparando ad usare in questi giorni, ci osservano continuamente per imparare tutto di noi. Si addestrano sulle nostre preferenze guardando dove andiamo, cosa cerchiamo, quali sono i nostri appuntamenti sul calendario e così via, sfruttano tutti i dati che riescono a raccogliere per continuare a migliorare.

Paolo Grisleri Le aziende che dispongono di questi dati li utilizzano per creare dei profili incredibilmente ricchi su di noi, attraverso questi profili si studia meglio il mercato ad esempio per inviarci pubblicità su misura. In certi casi sono possibili anche usi scorretti alle nostre spalle, come quello che ha permesso recentemente a Cambridge Analytica di influenzare una parte dell'elettorato americano usando Facebook. In questa fase in cui i mezzi sono ancora relativamente nuovi e poco imbrigliati dalle leggi occorre fare attenzione alle informazioni che immettiamo nella rete perché c’è il rischio consistente che vengano sfruttate per scopi per cui non saremmo d’accordo. L’uomo dovrà adattarsi a vivere in un mondo popolato da queste innovazioni, in particolare il mondo della mobilità e il mercato del lavoro sono a mio avviso destinati a mutare profondamente a seguito del progresso tecnologico. I veicoli autonomi, elettrici o a combustione interna, modificheranno il nostro modo di trasportare le merci, di usufruire delle auto, di possederle e permetteranno

di dare un nuovo volto alle nostre città. I robot andranno a svolgere le mansioni più gravose e ripetitive al posto degli umani, come quelle in ambito agricolo e industriale. Le persone dal canto loro, dovranno orientarsi verso professioni più creative, ad alto valore aggiunto, come le arti o la progettazione. I cambiamenti introdotti dalle nuove tecnologie consentiranno all’umanità di vivere mediamente meglio. Le sfide comunque non mancheranno soprattutto perché il mondo sia avvia a diventare un posto molto affollato. Oggi siamo già 7.7 miliardi di individui destinati, secondo le stime dell’ONU, a diventare 8.5 nel 2030, 9.7 nel 2050 e 11.2 nel 2100, crescendo al ritmo attuale. Un numero così elevato di persone necessita di cibo a sufficienza, di spazi adeguati dove vivere e dove muoversi e di servizi sufficientemente efficienti. Questi obiettivi si possono raggiungere solo con uno sviluppo continuo e consapevole della tecnologia.

Uno degli aspetti più curiosi ed inquietanti del deep learning è il fatto di non riuscire a spiegare perché funziona così bene. Ci sono branche della ricerca che si occupano di cercare di fornire una spiegazione del perché e del come le reti profonde, strutturate in un certo modo ed addestrate con grandi quantità di dati, prendano le loro decisioni. Già oggi molti sistemi basati su deep learning, ancora in fase sperimentale, sono in grado di diagnosticare certe malattie, come ad esempio la schizofrenia, meglio

Guida completamente automatizzata. Il veicolo offre una gestione completamente autonoma e sicura di accelerazione, frenata, sterzo ed effettua inoltre tutte le azioni necessari per interagire con il traffico circostante rispettando le regole della strada. -9-


Un futuro non tanto lontano... Alcune proposte per l’anno che inizia.

Il mondo va sempre e solo avanti I nostri giovani ci raccontano il futuro.

Linda Scarzanella

Ogni parrocchia nel mese di settembre programma le sue attività. Anche noi naturalmente! È un momento sempre molto bello perché la fantasia e l’entusiasmo mettono le ali e immaginano itinerari possibili. La vita ordinaria di una parrocchia è fatta di messe, catechismo, sacramenti, benedizioni… Vi è poi quella “fuori ordinario”, fatta da di iniziative e proposte particolari. Ne presentiamo alcune.

Pellegrinaggi 2020 Dal 13 al 18 aprile 2020 A CRACOVIA – CZESTOCHOWA – AUSCHWITZ Nel centenario della nascita di San Giovanni Paolo II (1920-2020) Nella prima decade di agosto Pellegrinaggio a piedi per giovani a SANTIAGO DE COMPOSTELA

Nella seconda decade di agosto Pellegrinaggio in TURCHIA Tra splendori dell’arte e testimonianza di una Chiesa minoritaria.

QUARESIMA 2020

ABBA’nDONARSI Venerdì 6 marzo ore 21.00

EDITH STEIN

Venerdì 13 marzo ore 21.00

MASSIMILIANO KOLBE

Venerdì 20 marzo ore 21.00

ETTY HILLESUM

Venerdì 27 marzo ore 21.00

CHARLES DE FOUCAULD

Le parole ‘giovani’ e ‘tecnologia’ sono spesso utilizzate nella stessa frase solo in un contesto negativo, specie quando a parlarne sono le persone un po’ più vecchie di me, un po’ più adulte, che della tecnologia hanno fatto a meno per gran parte della loro vita. Quindi, come ogni volta in cui ci si trova di fronte a qualcosa ancora poco conosciuto, si ha un timore innato perché non si conoscono né i segreti né i dettagli di quel che si ha davanti e quindi, forse per scongiurare il peggio, si inizia ad additarlo come pericoloso o potenzialmente dannoso. Così è per tutta la nuova tecnologia da cui siamo ormai circondati. È altrettanto vero che ogni giorno si sente parlare di cyber-bullismo, di incidenti causati da guidatori che prestano più attenzione al cellulare che alla strada, truffe on-line e così via. Sento spesso dire “i ragazzi hanno sempre in mano il cellulare” o “sono sempre incollati ad uno schermo” ma mi chiedo anche se chi punta così tanto il dito contro questi dispositivi sappia esattamente cosa quei ragazzi stanno facendo: stanno mandando una mail? Stanno chattando con un amico lontano che potrebbero vedere solo prendendo un paio di aerei? Quando invece si tratta di bambini, mi domando se la colpa sia loro o dei loro genitori che permettono loro di posse-

dere strumenti che non sono in grado di controllare. Qualunque sia la risposta, il mondo va sempre e solo avanti e mai indietro, quindi la ‘tecnologia’, usando il termine più generale possibile, fa e farà sempre più parte della nostra quotidianità, quindi forse le si potrebbe concedere il beneficio del dubbio o perlomeno conoscerla meglio. E chi meglio di coloro che sono ‘nati con il cellulare in mano’ può capirla e sfruttarla in tutte le sue potenzialità? Già si trovano nello store del cellulare app per monitorare il sonno o il battito cardiaco durante la corsa, per ascoltare musica, mappe interattive di città, che ci facilitano e ci aiutano nella vita di tutti i giorni. Riusciremmo, ora che siamo abituati, a fare a meno di tutte queste piccole comodità come i film e le partite di calcio in streaming, le e-mail che arrivano direttamente sul cellulare, le app per l’home banking solo per citarne alcune? Se si pensa però che la tecnologia si limiti ad un paio di app per cellulari o tablet ci si sbaglia di grosso. A Milano, nel 2017, è nata, da una decina di soci quasi tutti under 25, una start-up, Pharmap, per connettere utenti e farmacie situati nella stessa zona e fornire un servizio di consegna a domicilio in bicicletta, un’idea innovativa per creare un servizio e che può, in una comunità più piccola ad esempio, coinvolgere ragazzi

Quindi, dateci fiducia, non siamo sempre al telefono a fare niente!

Parole, musica e immagini per conoscere i martiri con Antonio Zanoletti, Paolo Costanzo e Don Umberto. - 10 -

e farli entrare nel sociale. Esistono già prototipi di lenti a contatto per misurare la glicemia nei diabetici, di infusori di insulina controllabili via wireless tramite app, decisamente utili ai genitori che necessitano di monitorare il corretto dosaggio nei propri bambini anche a distanza. Qualcosa poi, a mio parere, di davvero incredibile è stato ciò che è avvenuto lo scorso luglio: un’équipe chirurgica del Policlinico San Donato ha operato una bambina al cuore, nonostante il tumore fosse inizialmente stato diagnosticato inoperabile in un altro ospedale. L’intervento si è potuto svolgere grazie ad un team di ingegneri biomedici del Politecnico di Milano che, a partire da un TAC, hanno ricostruito in 3D il cuore, creando un ologramma su cui si poteva intervenire manualmente tramite un joystick, una sorta di telecomando. È stato così possibile per i chirurghi capire come procedere con l’intervento senza danneggiare l’organo e prima di operare la piccola paziente. La realtà aumentata, di cui si è sentito parlare negli ultimi anni soprattutto in merito a videogiochi, sta rivoluzionando la medicina. Avendo concluso il quarto anno di ingegneria biomedica, considero la tecnologia parte della mia quotidianità e potrei riportare altri mille esempi di innovazioni e sviluppi in questo campo, cose che magari fino a qualche decennio fa venivano considerate pura fantascienza. Questo per dire che, nonostante i tanti utilizzi sbagliati che si possono fare, abbiamo anche infinite possibilità che la realtà di oggi ci offre, potenzialità davvero incredibili. E saranno soprattutto i giovani, e ancora di più i bambini di oggi, che avranno la possibilità di fare parte di questa innovazione, saranno infatti loro le menti che produrranno nuove idee e saranno forse anche in grado di realizzarle.

Medici dell’Irccs del Policlinico San Donato durante l’intervento - 11 -


La chiesa che verrà

Futuro è dare aiuto agli altri

Semplici riflessioni sul futuro del cattolicesimo italiano.

Agire per rendere il futuro più sostenibile.

don Umberto Certamente nessuno ha la sfera di cristallo. Ma altrettanto certamente è sotto gli occhi di tutti che la partecipazione alla vita ecclesiale, in Italia e nel resto d’Europa, è in netto declino. Non servono indagini sociologiche, basta guardarsi intorno. Calano i numeri, ma in modo particolare ci sono dei vuoti vistosi. Il vuoto dei giovani, ad esempio. Ma anche il vuoto delle donne, soprattutto quelle attorno ai 30 anni. Probabilmente, e per diverse ragioni, c’è anche il vuoto di una generazione adulta consapevole e responsabile del fatto di testimoniare con coerenza la propria fede. Quale scenario futuro ci si prospetta? Di fronte a questa situazione tantissimi cattolici italiani, quasi inconsciamente, stanno ad aspettare che le cose ritornino come prima: quindi che le chiese si riempiano, che le vocazioni rifioriscano, che gli incontri per i giovani riprendano l’antico vigore ed entusiasmo e così via. È come se pensassero che questa è solo una stagione transitoria e passeggera ma poi tutto si aggiusterà.

Da ciò deriva il loro immobilismo e la loro inerzia, che a volte si nutre di una fervente, quanto illusoria attesa che Dio cambierà magicamente le cose. A mio parere tale attesa è semplicemente illusoria. E l’atteggiamento conseguente pecca di negligenza oltre che di mancata assunzione di responsabilità. Assumersela invece, questa responsabilità, vuole dire entrare in uno stato d’animo fatto di tre scelte fondamentali: essere una chiesa che pensa, una chiesa che educa, una chiesa che festeggia. La pastorale dei grandi numeri e del controllo totale sulla vita è finita. Per questo occorre una maturità e consapevolezza maggiore in coloro che della Chiesa futura faranno parte. Anzitutto PENSARE. Quindi avere una fede che non rifiuti il confronto con la cultura, con la sfida del nostro tempo e con le mode. Non per condannarle a priori. Ma per coglierne le dinamiche e fecondarle con il Vangelo. Poi EDUCARE. Quindi accompagnare soprattutto il mondo dei giovani a vivere la stagione del crescere come un

cammino che va nella direzione di una vita che si dona. Per dire a tutti che la persona autentica è quella che si spende per qualcosa di grande, non quella che continua a coccolare il suo ego. Infine FESTEGGIARE. Il cristianesimo che ha avuto un senso e un seguito nella storia si è diffuso per attrazione e non per costrizione. Una comunità che sa festeggiare è una comunità che attrae perché contagia. E oggi come oggi, invece la sensazione che andare in Chiesa sia una cosa deprimente è abbastanza diffusa. Si tratta di tre atteggiamenti di fondo che determinano uno stile di chiesa. Le scelte concrete vengono di conseguenza, come quella, sapiente, di unificare le forze ed accorpare diverse realtà. La nostra Diocesi è al lavoro proprio su questo, come tante altre diocesi italiane. Ben vengano queste strategie. Il futuro della Chiesa è certo nelle mani di Dio. Ma anche noi siamo chiamati a fare la nostra parte.

PENSARE EDUCARE FESTEGGIARE - 12 -

Valentina Paderni

"SI DICE CHE IL MINIMO BATTITO D'ALI DI UNA FARFALLA SIA IN GRADO DI PROVOCARE UN URAGANO DALL'ALTRA PARTE DEL MONDO»

dal film ‘The Butterfly Effect’

«Il tema del futuro (che) non esiste, quindi fine della storia. Il futuro si costruisce sul tema del presente e non c’è nulla che si possa fare a riguardo». Questa frase è estratta dal libro ‘La lingua geniale’ dell’autrice milanese Andrea Marcolongo. Mi è arrivata via whatsapp da un’amica: perfettamente calzante con quanto è stato scelto di condividere in questo numero de La Via. Dobbiamo ammettere che ‘futuro’ è una parola vuota considerato che il suo contenuto è a noi ignoto. Avrebbe senso domandare ‘come ti vedi tra dieci anni?’ La protagonista della nostra intervista è una bella 24enne, molto impegnata, molto determinata, molto girovaga. Tra pochi giorni sarà di nuovo a bordo di un aereo con destinazione: Lancaster. Diplomata al Liceo Scientifico Respighi, con un doppia-laurea (double-degree) in International Management ottenuta all’Università Cattolica di Piacenza e alla Lancaster University (Inghilterra) e un master in Economics, Chiara Costi non ne ha abbastanza e vola all’estero per altri tre anni. Da ottobre inizia un’esperienza di dottorato in Health Economics, alla Lancaster University. Molto banalmente, cos’è il futuro per te? «Difficile da dire. Se mi avessero proposto un lavoro a tempo indeterminato non so se avrei accettato perché non so se sarei stata convinta di voler far quello per tutta la vita. Ciò che ti si addice a 20 anni non può essere la stessa cosa che ti sta bene a 60 anni. Con questa esperienza di dottorato invece, ogni giorno sarà diverso. L’attività di ricerca è molto stimolante. Più che

pensare al tuo futuro, pensi al futuro globale. Con questo pensiero, ti concentri però su ciò che devi fare nella giornata. Il lavoro di ricerca è attesa, è saper aspettare l’arrivo di una soluzione, dopo tentativi, perché sai che la soluzione c’è, ma per arrivarci serve tempo e strade diverse da poter percorrere. Il risultato arriva. Quando, non si sa». Quindi il pensiero del futuro per te non è soggettivo ma collettivo. «Qual è la cosa che sta più a cuore a tutti in assoluto? La salute, il voler stare sempre meno male. Ora che la vita si è allungata dobbiamo affrontare malattie degenerative, determinate dall’interconnessione di più fattori, che crescono a livello esponenziale così come i costi per identificarne una possibile cura. Pensare alla cura pertanto diventa inefficace, considerata la mancanza di risorse. Bisogna puntare alla prevenzione. Quindi, la mia idea di futuro è impegnarmi per rendere migliore il futuro degli altri». Ma quando eri bambina, come ti vedevi da giovane adulta? «Non ho mai pensato ad una cosa specifica, ma ho sempre avuto l’idea di aiutare gli altri. Non ho mai pensato ad un’occupazione che potesse essere fine a se stessa, ossia al puro guadagno. Ho sempre avuto la consapevolezza di dover agire per il prossimo. Anche per questo avevo inizialmente pensato di iscrivermi a Medicina con il desiderio di operare come professionista sanitario nei Paesi del Terzo Mondo. Allo stesso modo quando ho scelto la facoltà di economia, l’ho fatto con l’intenzione di poter lavorare nel settore delle organizzazioni no profit - 13 -

o, come sta accadendo ora, nel settore della sanità. Ho sviluppato pertanto nel tempo l’idea di agire per sviluppare un’economica sostenibile che aiuta gli altri. La mia idea di futuro è dare futuro agli altri. Il come, ancora non lo so. Ma l’idea è questa. D’altra parte, anni fa non avrei mai pensato di fare un master, figuriamoci un dottorato e ora eccomi qui. Non so chi e dove sarò tra vent’anni: dipende, questa è la risposta preferita degli economisti, questa è la mia risposta. La vita è un percorso e si costruisce solo strada facendo». Quale canzone ti rimbalza immediatamente in testa, pensando alla parola ‘futuro’? «Seconda stella a destra/questo è il cammino/e poi dritto, fino al mattino/poi la strada la trovi da te/porta all’isola che non c’è. E’ di Edoardo Bennato. Mi piace la comune suggestione di guardare alle stelle immaginando idealmente il futuro, quelle stesse stelle in cui però, come insegna ‘Il re leone’, ritrovi anche il tuo passato. Sto invece finendo di leggere un libro che trovo molto interessante ‘Il tempo dei nuovi eroi’ di Oscar di Montigny che invita tutti ad agire per rendere il futuro più sostenibile. E’ un testo che dà speranza, suggerendo di mettersi in gioco, ciascuno nel proprio piccolo per creare quello che in fisica viene definito ‘l’effetto farfalla’, ossia l’idea che piccole variazioni nelle condizioni iniziali producano grandi variazioni nel comportamento a lungo termine di un sistema». Buon viaggio, di vita, cara Chiara. Continua a sbattere le tue ali da farfalla e sarai genitrice di cambiamento. Good luck!


Le comunità pastorali

Un libro, un film, un teatro

“La chiesa guarda al futuro.”

La nostra pagina della cultura.

don Stefano Iniziamo il nuovo anno pastorale guardando al futuro della nostra Chiesa diocesana che a breve costituirà le Comunità Pastorali, seguendo il percorso che sei anni fa ha portato alla nascita della Nostra Parrocchia di Santa Teresa Benedetta della Croce, che a sua volta si impegna per la costruzione della nuova Chiesa. È dunque un anno proiettato verso tanti progetti per il futuro delle nostre comunità. Lo sguardo verso il futuro, inteso come apertura alla speranza, alla novità e alla creatività, è un tratto tipico degli esseri umani e lo deve essere in particolare di noi cristiani. Noi credenti in Cristo non possiamo essere persone nostalgiche che guardano ad un passato che non c’è più o che sta svanendo. Anche nei tempi più bui e nei momenti più duri dobbiamo ricordare che il nostro battesimo ci ha introdotti nel Mondo Rinnovato generato dalla Pasqua di Gesù Cristo. Questo Mondo Rinnovato, che chiamiamo Regno di Dio, non è ancora compiuto, ma è già presente nelle nostre vite e ci è concesso di assaggiarlo anticipato nella celebrazione dell’eucaristia e degli altri sacramenti che nutrono la fede e la vita della Chiesa. I riti della fede ci aiutano a sentire la verità delle parole del profeta Isaia e dell’Apocalisse: “Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Is. 48,19), “Ecco io faccio nuove tutte le cose” (Ap. 21,5). Anche san Paolo ribadisce “se uno è in Cristo, è

una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove” (2 Cor. 5, 17). La tensione verso il futuro è dunque una caratteristica essenziale della nostra fede. L’apertura verso il futuro ci accomuna a tutti gli uomini, ma ci distingue anche dalla mentalità del mondo. Il mondo infatti guarda al futuro in un’ottica orizzontale: vede il futuro solo come realizzazione di sé nella realtà terrena, è un futuro a termine, che si arresta di fronte al limite di questa terra, cioè la morte. Con il dissolvimento delle ideologie moderne lo sguardo mondano verso il futuro si è ridotto ad edonismo: godiamo al massimo di quello che questa terra ci può offrire; resta solo la preoccupazione ecologista: non consumiamo tutte le risorse del mondo, affinché ne possano godere anche quelli che verranno dopo di noi. Noi cristiani invece abbiamo uno sguardo verticale, ultraterreno, da Dio “secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia” (2 Pt. 3,13). Crediamo nella resurrezione della carne, non una semplice immortalità dell’anima; quindi nulla va perduto delle esperienze vissute nella carne del nostro corpo e nel mondo, ma vengono trasfigurate nel corpo glorioso della resurrezione nella nuova terra sotto i nuovi cieli. Non ci è dato sapere come saranno la nuova terra e i nuovi cieli, ci basta sapere che non ci saranno più le realtà che sono male e la morte.

Il pensiero di questo Nuovo Mondo non ci allontana da quello presente, non solo perché adesso ci sono già i germi del Nuovo in tutto ciò che è carità, verità e bellezza, ma perché la nostra partecipazione ad esso si gioca nel nostro stile di vita nel mondo presente. Le parole di Vangelo quindi ci ricordano che plasmando le nostre relazioni e tutto ciò che costruiamo con un amore gratuito e perseverante come quello di Gesù, non solo contribuiamo al compimento del Regno di Dio (i cieli nuovi e la terra nuova) ma gustiamo qualcosa di quello che sarà la partecipazione ad esso nella resurrezione. Credo che solo guardando il futuro in quest’ ottica possiamo avere la forza della speranza, per non lasciarci trascinare dalla corrente del mondo, ma per lottare e affrontare rinunce e sacrifici che comportano la fedeltà all’amore vero che porta ai nuovi cieli e alla terra nuova. Concludo facendo mio un auspicio emerso nel Consiglio Pastorale: la nostra comunità ha idee ed esperienze positive da proporre, ma non riesce a veicolarle in modo adeguato; gli adulti perciò chiedono l’aiuto dei giovani, esperti dei nuovi strumenti informatici di comunicazione per far conoscere ciò che la nostra comunità fa e offre. Penso che l’esperienza degli adulti unita alla competenza e creatività dei giovani è ciò che permetterà alla nostra comunità di costruire il futuro.

UNA CHIESA GRATA, LIETA E CORAGGIOSA Il 13 e 14 settembre 2019 si è svolto presso il Seminario Vescovile di via Scalabrini il tradizionale Convegno pastorale d’inizio anno. Il Convegno, dopo la pausa estiva, segna la ripartenza del cammino pastorale ordinario della nostra Chiesa e quest’anno sarà dedicato alla presentazione delle nuove Comunità pastorali che saranno ufficialmente costituite il prossimo 24 novembre. - 14 -

IL LIBRO

Paolo Rumiz

Che uomini erano quelli. Riuscirono a salvare l’Europa con la sola forza della fede. Con l’efficacia di una formula: ora et labora. Lo fecero nel momento peggiore, negli anni di violenza e anarchia che seguirono la caduta dell’impero romano, quando le invasioni erano una cosa seria, non

IL FILM Tratto dal romanzo autobiografico di Frank McCourt e interpretato in maniera straordinaria da Robert Carlyle e Emily Watson, Le ceneri di Angela è la storia dolorosa e angosciata di una famiglia, è un film sulla fuga e sul sogno americano visto come unica possibilità di evadere verso una vita degna di questo nome. Nel 1935, in seguito alla morte della loro bambina di appena sette settimane, Angela (Emily Watson) e il marito disoccupato, l’al-

IL TEATRO

U PARRINU parla della esperienza avuta, quando l’autore era ancora ragazzo, con Don Pino Puglisi e di come la sorte l’avesse portato a conoscerlo. Nella parte iniziale del racconto la storia è divertente, poi gradualmente, la situazione si fà più intensa. Quello che

IL FILO INFINITO editore FELTRINELLI una migrazione di diseredati. Ondate violente, spietate, pagane. Li cristianizzarono e li resero europei con la sola forza dell’esempio. Salvarono una cultura millenaria, rimisero in ordine un territorio devastato e in preda all’abbandono. Costruirono, con i monasteri, dei formidabili presidi di resistenza alla dissoluzione. Sono i discepoli di Benedetto da Norcia, il santo protettore d’Europa. Paolo Rumiz li ha cercati nelle abbazie, dall’Atlantico fino alle sponde del Danubio. Luoghi più forti delle invasioni e delle guerre. Gli uomini che le abitano vivono secondo

LE CENERI DI ANGELA colizzato Malachy senior (Robert Carlyle), partono dal porto di New York alla volta di Cork insieme ai loro quattro figli, Frank, Malachy e i gemelli Oliver e Eugene. A Limerick, la città più piovosa e povera d’Irlanda, essi ricevono una fredda accoglienza dalla famiglia cattolica di Angela, che non ha mai accettato il suo matrimonio con un protestante di Belfast. La permanenza nel posto si rivela difficile: Malachy non fa che sperperare al pub il suo stipendio (quando ne ha uno), Oliver muore a causa della malnutrizione, Angela cerca di lottare come può per i figli, tra grandi stenti. Frank, tuttavia, riesce a finire la scuola, inizia a consegnare la posta e proprio da questo momento comincia il suo riscatto.. Il regista riesce a rendere attraverso la pel-

U PARRINU

un film di Alan Parker licola quell’atteggiamento ironico e dissacrante che permea ogni pagina del libro premio Pulizer di Frank Mc Court. Per chi lo ha letto e ha potuto confrontarlo con il film, è evidente il tentativo abbastanza ben riuscito di riproporre quelle atmosfere e quelle situazioni che l’autore descrive nel proprio romanzo: la miseria senza rimedio, la scarsa presenza del padre come figura di capo famiglia forte e responsabile, l’umidità del clima, la scuola oppressiva, il clero distante e inutile... Escludendo le incoerenze nei confronti del romanzo a cui si ispira, Le Ceneri di Angela resta comunque un film bello da vedere, emozionante e rappresentativo di un periodo triste della storia europea.

di e con Christian Di Domenico

colpisce molto è il coraggio di Don Puglisi che si batté contro la mafia fino all’ultimo e che, anche dopo ripetute minacce, non smise mai la sua battaglia. Lo spettacolo racconta la storia di Padre Puglisi, parroco della chiesa San Gaetano a Brancaccio, l’ormai famoso quartiere di Palermo. Don Puglisi ha dedicato tutta la sua vita ad allontanare i giovani dalla criminalità organizzata, li accoglieva nella sua parrocchia e facendosi loro amico gli insegnava a diventare veri uomini con veri valori, contrari dai dettami della mafia. Lo spettacolo termina con l’interpretazione della testimonianza dell’assassino di Don Pino che pose fine alla sua vita il 15 settembre - 15 -

una Regola più che mai valida oggi, in un momento in cui i seminatori di zizzania cercano di fare a pezzi l’utopia dei padri: quelle nere tonache ci dicono che l’Europa è, prima di tutto, uno spazio millenario di migrazioni. Quanto c’è ancora di autenticamente cristiano in un Occidente travolto dal materialismo? Sapremo risollevarci senza bisogno di altre guerre e catastrofi? All’urgenza di questi interrogativi Rumiz cerca una risposta nei luoghi e tra le persone che continuano a tenere il filo dei valori perduti, in un viaggio che è prima di tutto una navigazione interiore.

1993 nel giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno. La freddezza delle parole sospese nell’aria misero i brividi. Credo che questo tipo di attività siano importanti e che educare e sensibilizzare i giovani su questi temi, e soprattutto quello della mafia, sia fondamentale per costruire in futuro una società migliore.

U PARRINU spettacolo teatrale Centro Parrocchiale Roveleto sabato 12 ottobre ore 21.


...quelli che vedi sono solo i miei vestiti adesso facci un giro e poi mi dici e poi… Niccolò Fabi dal brano “Io sono laltro”

www.parrocchiaroveleto.it Responsabile don Umberto Ciullo via Emilia 144, 29010 Roveleto di Cadeo Pc tel. 0523 509943 www.parrocchiaroveleto.it stampa: Puntodigitale Roveleto di Cadeo


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