La Via raccolta 2018

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Raccolta “ La Via 2018”

comunità in ascolto

Santa Teresa Benedetta della Croce Roveleto di Cadeo Piacenza www.parrocchiaroveleto.it


Parrocchia S.Teresa Benedetta della Croce

EDITH STEIN nasce a Breslau da famiglia ebrea – 1911-13: diploma di maturità, perdita della fede, studi universitari a Breslau (germanistica, storia, psicologia) – 1913-15: studi a Göttingen sotto il prof. Edmund Husserl (filosofia) – 1915: esame di Stato, lavora come volontaria nella Croce Rossa tedesca – 1916: dottorato in filosofia «summa cum laude». – 1916-18: assistente di Husserl a Friburgo/Br. – 1922: battesimo nella Chiesa Cattolica, prima comunione, confermazione – 1923-31: insegnante presso il liceo femminile e l’istituto di formazione per insegnanti delle Domenicane di Spira – 1928-33: conferenze in patria e all’estero, attività di scrittrice, insegnante presso l’istituto tedesco per la pedagogia scientifica di Münster – 1933: ingresso nel Carmelo di Colonia con il nome di Teresa Benedetta della Croce – 1938: trasferimento al Carmelo di Echt, Olanda – 1942: arresto, deportazione, uccisa ad Auschwitz in odio alla fede cristiana (9 agosto) – 1962: inizio del processo di beatificazione e canonizzazione – 1987, 1° maggio beatificata a Colonia dal Papa Giovanni Paolo II – 1998, 11 ottobre: solennemente canonizzata a Roma dallo stesso Sommo Pontefice.


Domenica 16 dicembre 2007

prima uscita

LA VIA L’IMPORTANZA DEL NOME L’intuizione è arrivata da una constatazione immediata: Roveleto e Cadeo sono attraversati dalla via Emilia che è la croce e la delizia dei nostri paesi. Crea magari un po’ di traffico, ma garantisce la vitalità dell’ambiente e anche la funzionalità di esercizi commerciali. Evidentemente però non è questa la motivazione portante della scelta di questo nome. In realtà bisogna cercare il motivo direttamente nel Nuovo Testamento. La VIA era infatti il nome con cui era chiamata la prima comunità cristiana. Quando S. Paolo, negli Atti degli Apostoli, racconta la sua conversione, dice di aver perseguitato accanitamente ”questa nuova via” riferendosi al cristianesimo. (At 22, 4 ) I cristiani stessi erano chiamati, nel 1° secolo, “quelli della via”. Tutto questo è spiegato molto bene dal priore della comunità di Bose, Enzo Bianchi, nel suo libro “La differenza cristiana”. A me pare stimolante pensare che, mentre in quei secoli tutti i sistemi di pensiero o le religioni venivano chiamate “dottrine”, il cristianesimo fosse chiamato “VIA”. Essere cristiani non è infatti questione di imparare una lezione, o di usare solo la mente per idee astratte. La fede cristiana è un’esperienza di vita, un luogo dove incontrare persone, stabilire rapporti, proprio come su una via. Siamo in cammino, mai fermi, esattamente come gli angeli che Giacobbe vide salire e scendere sulla scala (Gen 33 ). Per questo il nome “la via” mi è sembrato quanto mai azzeccato: siamo anche noi come la prima comunità cristiana, entusiasti dell’incontro con Gesù e i fratelli e mai sazi, mai arrivati, mai chiusi a quelle novità che lungo la strada Dio ci farà trovare.

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”


un pensiero.... Nell’arco di questi anni abbiamo lentamente riscoperto l’importanza di essere chiesa alimentata costantemente dalla Parola di Dio. L’incontro con la parola è un incontro decisivo che ci consente di guardare oltre le nostre fragilità. Di fronte ai nostri limiti e alle miserie della vita possono maturare in noi sentimenti di inadeguatezza, impotenza, rabbia o rassegnazione. La Parola di Dio al contrario dischiude il nostro cuore a quella grazia che è in grado di trasformare la nostra vita in una incredibile opportunità. Solo la Parola è in grado di farci cambiare prospettiva. Solo attraverso Essa ci rendiamo consapevoli che al di la dei nostri limiti noi possiamo collaborare per qualcosa di più grande. Proviamo a pensare alla vita come dono di Dio, proviamo per un attimo a pensare che mondo sarebbe se ognuno di noi potesse trasformare la sua vita in dono per gli altri. Forse è proprio questo il grande progetto a cui lentamente e liberamente siamo chiamati. Non fermiamoci troppo a guardare i nostri difetti, quelli degli altri e le storture che ci circondano. Non cerchiamo di nascondere i nostri limiti mascherandoli dietro ad alibi o a complicati ragionamenti. Non cerchiamo facili e puerili giustificazioni, ma cerchiamo con tutta la generosità che abbiamo e che deriva dal Vangelo di rendere felici le persone con cui viviamo e che incontriamo. Questo è il grande progetto racchiuso in questa Parola che Don Umberto e don Stefano così sapientemente ci amministrano durante le celebrazioni, buona lettura Stefano Costi


Domenica 7 gennaio 2018 VIAGGIARE

(Mt 2,1-12)

Ci sono viaggi che cambiano la vita. Quello dei Re Magi ad esempio. Questi tre viaggiatori notturni, partiti per rendere omaggio al Re dei Giudei che era nato, si ritrovano di fronte ad un bimbo che da quel giorno cambierà la storia. E non solo la loro. Il loro fu anche un viaggio interiore; perché viaggiare non è solo attraversare paesi e culture con il loro segreto. Viaggiare è uscire dall’infanzia, viaggiare è l’inizio di un’amicizia o anche la rottura di un legame che credevamo non potesse finire mai. Noi siamo sempre in viaggio. Se così non fosse vorrebbe dire che siamo spenti. Il viaggio è quel momento in cui la vita ci mette alla prova e ci svela una parte di noi che prima non conoscevamo. I viaggi fisici sono un simbolo di quelli spirituali. Uno dei più grandi scrittori del secolo scorso, Albert Camus, nei suoi taccuini scrisse che il valore del viaggio è nella paura. Non il piacere. Il piacere lascia il tempo che trova. Ma il timore del nuovo, dell’ inedito, di luoghi in cui non sai quel che trovi. Tutto l’insieme di quelle emozioni che ci rendono attenti ad ogni cosa, pronti a reagire ad ogni ostacolo. Me lo immagino così il viaggio dei Magi. Per niente facile e segnato anche dalla paura, la paura di non trovare chi cercavano, la paura senza più la stella a guidarli. E il superamento di questa paura. Se per un po’ non videro più la cometa, restava accesa la loro stella interiore. Cioè la loro domanda: “dov’è colui che è nato?” Senza domanda non c’è viaggio. I Magi hanno la domanda, ma non la risposta. E si rivolgono a sacerdoti e scribi che conoscono le Scritture. Essi hanno la risposta, ma non la domanda. Non gli interessa trovare il bambino. In fondo che cosa è più importante? Proprio il fatto di non aver risposta ma solo domanda, è stata la salvezza dei tre viaggiatori venuti da lontano. Hanno sbagliato certo. Inizialmente hanno sbagliato città e persona. Ma in ogni errore è contenuta una luce di verità. Purchè siano errori fatti col desiderio di cercare. In fondo il verbo “errare” ha due significati: sbagliare o muoversi alla ricerca di qualcosa. Che Dio, nella nostra vita, trasformi l’uno nell’altro. Don Umberto Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

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Domenica 14 gennaio 2018 INCONTRI

(Gv 1,35-42)

Ne facciamo molti che hanno un sapore scontato. Tanti incontri sono frutto di abitudine, di routine, di luoghi ordinari che frequentiamo per lavoro o per impegni familiari. Poi però ne accadono anche di imprevisti: non solo con persone diverse, non abituali, ma anche con tratti, parole, gesti delle persone di sempre che ci riservano sorprese. Personalmente penso che questo tipo di incontri sia un toccasana. Ci smuovono, ci ricaricano e ci mettono in moto. A volte è vero, ci spiazzano, ma rarissimamente ci lasciano indifferenti. La vita cristiana è questione di incontri. L’evangelista Giovanni ricorda bene quello decisivo della sua vita. Scrive 60 anni dopo quel momento e ancora la sua memoria è precisa, viva e puntuale. Nell’incontro con Gesù la sua vita cambiò. Non solo la sua, perché quel giorno altri discepoli fecero l’incontro decisivo della loro vita. La qualità di quell’incontro la possiamo solo immaginare: certo non fu fatto di sguardi distratti o di parole pettegole che a volte usiamo nelle nostre relazioni. E nemmeno ci furono parole di convenienza o retorica. Lo sguardo e la parola di Gesù furono, e sempre saranno, parole vere che toccano il cuore. È per questo che questi uomini quel giorno capirono che non si trattava di una delle mille opportunità della vita che si possono facilmente rimandare. Capirono che lo sguardo di Gesù non lo si poteva perdere. Ebbero indubbiamente un grande maestro: già erano discepoli del Battista, e fu lui ad indicare loro Gesù. Lui così attento a non lasciare andare a vuoto nessuna delle parole di Dio. Lui così libero anche nei confronti dei suoi seguaci; non era un guru che si specchiava nella loro adorazione, quasi ne avesse bisogno. Volle che si staccassero da lui, perché solo così potevano crescere nella conoscenza autentica del Signore. È importante fare buoni incontri nella vita. Ma esiste un incontro, quello con Dio che costantemente si rinnova. Non perdiamolo per distrazione. Don Umberto Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

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Domenica 21 gennaio 2018 È POSSIBILE RIPARTIRE?

(Mc 1,14-20)

Il tempo della salvezza è venuto e Dio è vicino. Cambiate vita e credete in questa buona notizia! In queste poche parole, Gesù fa un annuncio e un invito. E lo rivolge a tutti. Poi Gesù incontra quattro pescatori, Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, e rivolge loro un invito più personale: «Venite dietro a me». Sono due quadri collegati: prima l’invito a cambiare vita rivolto a tutti; poi l’invito a cambiare vita rivolto ai quattro pescatori di Galilea. Gesù dice: Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino. Compiuto significa pieno. La pancia della clessidra si è riempita: è finita l’attesa! Ecco allora l’appello alla conversione, che è la conversione alla gioia del Vangelo. Si tratta di far posto a un dono che viene offerto gratuitamente. Non è uno sforzo per avvicinarsi al Regno di Dio, ma è lasciare spazio al regno che viene. È Dio che si fa vicino a noi! Quante volte abbiamo pensato alla conversione come alla fatica del peccatore di sradicare i suoi vizi o allo sforzo della persona devota che si impegna a fare meglio. La parola “conversione” ci fa subito pensare alla fatica e allo sforzo. E’ per questo che nessuno vuole convertirsi! Convertirsi, invece, significa cambiare mentalità, non sforzarsi. Cambiare mentalità, a dir il vero, è più difficile che cambiare i comportamenti, perché mentalità e convinzioni sono radicate profondamente in noi. Ma proprio per questo non si cambiano con lo sforzo!

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Domenica 28 gennaio 2018 AUTOREVOLEZZA

(Mc 1,21-28)

Che valore hanno le nostre parole? Ma più in genere, che valore ha oggi la parola? Ci fidiamo ancora delle parole udite, delle parole di promessa o di impegno? La parola oggi è in esilio, dice un grande filosofo contemporaneo. Siamo saturi di comunicazione, ma poveri di parole, cioè di quella profonda verità in esse contenuta che ha il potere di far crescere e generare vita. Perché una parola eserciti tutto il suo potere c’è bisogno di tanto altro: il contesto in cui è pronunciata, il timbro della voce, l’espressione del volto di chi la proferisce. Delle parole di Gesù possiamo solo immaginare tutto questo. Non ci è dato conoscere la voce né i tratti del viso. Ma sappiamo dai Vangeli che la sua Parola era autorevole. Parlava e il suo parlare faceva crescere. Così almeno racconta l’episodio di oggi. Ma con una aggiunta: la guarigione di un uomo posseduto da uno spirito impuro. Nel Vangelo di Marco questo miracolo occupa un posto importante essendo il primo ad essere narrato. L’uomo è nella sinagoga, tranquillo, e ad un certo punto dopo aver sentito Gesù si mette a gridare. Sappiamo bene che è la paura che fa gridare non certo la forza. Qualcosa in lui si è mosso, si spaventa, qualcosa di impuro, di ostile alla Parola del Signore. Il modo in cui Gesù ha parlato ha messo in luce una profondità dell’animo di quell’uomo che sinora era nascosta a tutti. Una profondità malsana che solo venendo alla luce poteva essere guarita. Questa è la forza della Parola di Gesù: essa permette di chiamare le cose col proprio nome e fa sì che emergano le vere motivazioni del nostro agire, le passioni radicate e nascoste. Scoprirle non è mai indolore: è una lotta, una battaglia con se stessi, e a volte anche con Dio. Perché stare davanti a Gesù non è solo fonte di consolazione; è anche pericoloso. Ma liberatorio. Ci sono contraddizioni, mezze misure, tiepidezze che non potranno reggere l’urto di un ascolto vero della sua Parola. Ma tutto questo non è che una benedizione. Don Umberto

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Domenica 11 febbraio 2018 SILENZIO E GUARIGIONE

(Mc 1,40-45)

Si chiude il primo capitolo del Vangelo di Marco con l’ennesimo miracolo. Per un lebbroso questa volta. Guarito e purificato, essendo la lebbra considerata castigo per i peccati commessi e segno di grande impurità. Mi colpisce sempre molto l’ordine dato da Gesù all’uomo guarito: “guarda di non dire niente a nessuno”. Perché Gesù chiede questo silenzio? Non sarebbe meglio fare pubblicità ad un gesto così prodigioso? Forse no. Anzi, sarebbe come dilapidare il dono ricevuto. A volte la parola rovina i gesti e impoverisce i segni. Per questo Gesù vuole che colui che è stato oggetto di miracolo non partecipi alla chiacchiera comune. Tacere significa conservare ancora un po’ di quella solitudine che aveva caratterizzato la sua vita da lebbroso. Prima era una solitudine imposta, una maledizione. Meglio sarebbe dire che era un isolamento. Ora, una volta guarito, è una solitudine voluta, cercata, necessaria a custodire nel cuore il significato di quel miracolo. Quell’uomo non deve sbarazzarsi tanto in fretta del suo passato come se fosse un peso fastidioso. Deve invece, nel silenzio, cercare la verità nascosta di ciò che gli è accaduto. Coloro che lui incontrerà, dovranno invece non dare più peso al suo passato e accoglierlo tra loro. Cosa che non sempre accade. Nemmeno oggi, allorchè a nuove categorie di lebbrosi non siamo inclini a perdonare il passato, anche quando si ravvedono. L’ordine di Gesù però non viene rispettato. L’uomo guarito parla, chiacchiera, si disperde tra la folla, ansioso di uscire dall’isolamento. A quel punto è il Signore, che tutti cercano, a fuggire nel deserto. La sorte solitaria, prima assegnata al lebbroso, diventa ora il destino di Gesù. Troppo importante questa solitudine per sciuparla nel mercato delle notizie e delle opinioni. Esiste un nesso profondo tra la vita secondo lo Spirito e la solitudine. Merita di essere sperimentato, di essere vissuto e approfondito. Mercoledì inizia la Quaresima. Ci conceda il Signore il dono di stare un po’ da soli. Don Umberto

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Domenica 18 febbraio 2018 LA CONCRETEZZA DELLO SPIRITO

I di Quaresima (Mc 1,12-15)

C’è qualcosa di molto concreto nella spiritualità del tempo Quaresimale. Essa si fonda anzitutto sul digiuno e l’elemosina. A molti queste pratiche non sembreranno affatto spirituali: paiono invece solo gesti esteriori, pratiche corporali. Le cose spirituali sarebbero altre. Salvo poi non riuscire bene ad identificarle. Cosa sarebbe “la spiritualità”? Solo quello che c’entra con i nostri pensieri? Solo la meditazione? Personalmente ritengo una simile visione della vita spirituale troppo astratta; molto privatistica e, sotto sotto, anche un po’ comoda. Che le cose non stiano così è facile comprenderlo se pensiamo a ciò che costituisce il contrario del digiuno e dell’elemosina. L’ eccesso di cibo o di bevande, così come l’attaccamento al denaro non indicano forse una malattia dello Spirito? Non c’è forse qualcosa che non funziona “dentro” l’uomo quando non sa gestire con equilibrio la propria alimentazione o quando vive con ossessione il suo rapporto con i soldi? Assolutamente sì. In genere queste cose sono indice di una assenza. Ci manca qualcosa (e a volte non sappiamo nemmeno bene cosa) e cerchiamo di riempirlo con cose appaganti. Il tutto in un sentimento illusorio di poter trovare improvviso sollievo da quel senso di vuoto. E’ per questo che anche il digiuno e l’elemosina c’entrano con la vita dello spirito, con quel che abbiamo nel cuore. Non sono solo pratiche esteriori. Ed è per questo che la Quaresima inizia sempre nel deserto. In un luogo metaforico che richiami quel vuoto chiedendo al credente di non fuggirlo ma di rimanervi. Rinunciando a ciò che solo apparentemente lo può riempire, per andare oltre e capire che solo il Signore riempie quel vuoto. Solo quando la bocca è vuota è possibile vedere quello che c’è nel cuore. Fu la stessa esperienza di Gesù durante le tentazioni. L’evangelista Marco le riporta in modo molto scarno, laconico ed essenziale. Ma quanto scritto è sufficiente a farci implorare dal Signore la forza per poter affrontare anche noi le nostre. Don Umberto Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

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Domenica 25 febbraio 2018 QUESTIONE DI MONTI

II di Quaresima (Mc 9,2-10)

Nella scelta di Gesù di salire sul monte c’è qualcosa che mi fa pensare al digiuno. Non l’astensione dal cibo, ma il distacco dalla gente, dalle sue pressioni e aspettative. Dal deserto al monte in fondo il passaggio è breve. Entrambi evocano solitudine; entrambi sollecitano il silenzio e il sacrificio. Entrambi sono, in poche parole, luoghi quaresimali. Salire su un monte significa astenersi dalle parole inutili, dalla comunicazione continua ed incessante, dal compulsivo e dannoso essere sempre connessi. Mi persuado sempre più che la Trasfigurazione del Signore sia avvenuta anche grazie a questa scelta, a questo particolare luogo di digiuno. Il monte Tabor è però anche l’anticipazione di un altro monte: il Calvario. E la Trasfigurazione è l’atto con cui Gesù prepara i suoi discepoli a sopportare lo scandalo e l’umiliazione del Golgota. Affinchè la passione non scuotesse la loro fede Egli rivelò la grandezza sublime della sua dignità. Si passa così da un monte all’altro perché la fede guidi ogni momento di oscurità, di buio e di dolore . Perché la luce del Tabor squarci le tenebre dalle quali capita spesso di essere avvolti. Tra i due monti del Vangelo un terzo monte appare: quello di cui parla la prima lettura. Il monte Moria. Il monte della prova di Abramo. Là doveva essere sacrificato Isacco; quel monte appare all’inizio come minaccioso. Un monte che non attira, ma piuttosto respinge. Eppure su quel monte Dio provvederà. Grazie alla sua obbedienza Abramo trasforma il significato del monte: da luogo di morte a luogo di vita. Ci sono parole, nel lessico ecclesiale di oggi, che non si usano più. Una di esse è “mortificazione”. Ne siamo diventati allergici. Ci pare roba del medioevo. O forse ci fa paura. I nostri padri nella fede non erano ingenui. Sapevano e credevano che ogni mortificazione è preludio ad una vita più vera. E che non esiste nessun Calvario che non sia illuminato dalla luce del Tabor. Don Umberto Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

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Domenica 4 marzo 2018 DIO O LIBERTA’? DIO E LIBERTA’

III di Quaresima

(Gv 2,13-25)

Forse solo poche ore dopo i venditori avevano già ripreso il loro posto nel tempio. E gli scettici avevano già ragionato tra loro, sorridendo, di quanto fosse stato inutile e improduttivo il gesto di Gesù che, con veemenza, aveva cacciato dal tempio i commercianti e rovesciato i tavoli dei cambiavalute. Un po’ come quando rimproveriamo aspramente i nostri figli, ci arrabbiamo con loro e dopo pochissimo essi tornano a fare gli errori di sempre. Sarà magari stato così eppure il gesto di Gesù fu un gesto profetico, un gesto necessario a rivelare il volto della vera religione. Perché Gesù quel giorno si è arrabbiato cosi tanto? Per la confusione in luogo sacro, tanto simile a quello che facciamo noi dopo la Messa? Oppure perché nello spazio del tempio si maneggiava denaro con disinvolta noncuranza? Era per Lui un terribile miscuglio tra sacro e profano? Forse ci fu un po’ di tutto questo. Ma una furia del genere meritava certo un motivo ben più profondo. E questo motivo è la libertà. La prima lettura di oggi parla dei dieci comandamenti: parola data da Dio per rendere libero un popolo di schiavi. Parole che iniziano così : “Io sono il Signore tuo Dio che ti ho fatto uscire dalla condizione servile”. Dio quindi è sicuramente libero, non si lascia ricattare né comprare da noi. E non vuole nemmeno comprare la nostra libertà con la Sua grazia e i Suoi favori. Se nel rapporto con Dio noi introduciamo una logica commerciale, una logica di scambio, ecco allora che non c’è più libertà. Esattamente questo facevano i venditori nel tempio. Compravano e vendevano, non tanto gli animali per il sacrificio, ma il rapporto con Dio. Come si fa con gli idoli, anche quelli di oggi. Si è disposti a sacrificare loro il meglio della vita a patto che ci diano sicurezza. Dio invece ci ha reso liberi. Non lasciamoci imporre di nuovo il giogo della schiavitù. Don Umberto

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Domenica 11 marzo 2018

IV di Quaresima

NICODEMO

(Gv 3,14-21)

Anche un uomo di profonda cultura ed intelligenza a volte può non capire le cose. Anche a uomini così può succedere di essere chiamati al cambiamento di prospettiva e non riuscire a compierlo. Nicodemo era uno di quelli. Maestro in Israele, così lo descrive il testo evangelico. Chi, come lui, accresce la sua cultura sa che la realtà è complessa, che il mondo non funziona in bianco e nero, che le situazioni semplici e immediate dei problemi spesso sono solo una illusione. Nicodemo aveva il coraggio e la volontà di porsi delle domande. Aveva il gusto della ricerca della verità. Era un uomo intellettualmente onesto, per nulla ottuso o riluttante di fronte alle novità. Ma in fondo in fondo ne aveva anche paura. Da Gesù ci andava di notte per non compromettersi. Ne era attratto, capiva che in quel rabbì di Nazareth c’era una luce di verità che non aveva trovato altrove. Ma c’era pure la resistenza interiore di chi non vuol sporcare la sua reputazione. Tutti siamo vittime di questo tarlo del “cosa dicono gli altri di me”. Pure i dotti e sapienti come Nicodemo. Forse per questo Gesù gli avrà chiesto di “rinascere dall’alto”. Parole dure a capirsi. Più chiare se accostate, come fa Gesù, all’immagine del serpente di bronzo innalzato da Mosè nel deserto. Il serpente, che dà la morte, divenne il simbolo della sopravvivenza. Chi lo guardava, dopo essere stato morso, restava in vita. Rinascere dall’alto quindi significa un modo di guardare le cose con occhi diversi. Una capacità di vedere il bene in ciò che appare solo come male. Una forza interiore di accogliere ciò che ci danneggia come via per una salvezza più vera e duratura. Sarà ciò che capiterà a Gesù. Egli trasformerà la croce, supplizio di condanna, in strumento di redenzione. E Nicodemo? Lo ritroveremo. Proprio sotto quella croce. Finalmente allo scoperto. Finalmente rinato anche lui. Perché non dovremmo rinascere pure noi? Don Umberto Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

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Domenica 18 marzo 2018 REALIZZARSI

V di Quaresima (Gv 12,20-33)

In alcuni momenti della sua vita Gesù avrebbe potuto essere preso a modello da coloro che intendono il “realizzarsi” come l’ avere successo nella vita. C’è stato un periodo infatti in cui il Signore era acclamato, osannato, ricercato come un politico in grado di risolvere i problemi del suo popolo. Volevano farlo re. Gesù però ha sempre respinto al mittente questa logica di vita. L’ ultimo segnale di questo successo è descritto nell’incipit del testo evangelico di oggi. Alcuni Greci cercano Gesù, i Greci sono simbolo della cultura, del pensiero egemone. La Grecia, seppure sconfitta, aveva plasmato tutto l’ impero romano. Proprio costoro cercano Gesù e desiderano vederlo. E proprio di fronte a costoro Gesù ribadisce quella che è stata per Lui la regola d’oro per sentirsi pienamente realizzati: “Chi ama la sua vita la perde, a chi offre la sua vita la conserverà per la vita eterna”. C’è un perdere che è un trovare. E c’è un morire, come quello del chicco di grano, che è in realtà una nascita. Forse i Greci volevano fare a Gesù una domanda, perché spesso coloro che accostano il Signore hanno qualcosa da chiedergli. Le domande esprimono interesse, a volte sono il segno evidente di ciò che ci portiamo nel cuore. Le parole dette da Gesù avrebbero potuto dare un orientamento alle loro domande. Probabilmente anche alle nostre domande. La domanda più importante così non è quella che interroga Dio su come conservare la vita, ma quella che lo interpella a proposito del modo in cui dare la vita. Ogni giorno potremmo pregare il Signore che ci faccia capire con quali gesti e con quale scelta incarnare l’amore a cui Egli ci chiama. Ogni giorno cercarlo, come quei Greci. Ma non per curiosità, o per un puro vantaggio personale. Cercarlo per lasciarci illuminare sul senso della vita e sul segreto del seme che, solo morendo, porta frutto. Don Umberto

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Domenica 25 marzo 2018 CI SIAMO

Le Palme (Mc 11,1-10)

Inizia la settimana Santa. La settimana della Passione. Non solo la sofferenza di Cristo in croce, ma la passione di Dio per l’umanità. Il nostro Dio è infatti un Dio appassionato dell’ uomo, così appassionato da giungere a dare la vita per lui. Ci si appassiona a tante cose. Dio si appassiona di noi. Anche se la nostra storia è poco significativa; anche se i nostri giorni sono monotoni; anche se le nostre scelte non sono edificanti, Dio si appassiona di noi. Chissà se ci viene da pensare così quando guardiamo il crocefisso. Forse no, forse ancora resta lontano il volto di Dio, ancora legato a quei segni di onnipotenza e di gloria duri a morire. Abbiamo fatto una Quaresima intera a riflettere sulla necessità di ripulire Dio dalle nostre proiezioni e dai nostri schemi mentali su di Lui. Abbiamo sentito risuonare ogni domenica questo tipo di invito alla purificazione: non solo dai peccati ma anche da una falsa immagine di Dio. “Purificami o Signore, dalle mie idee sbagliate su di te. Sarò più bianco della neve perché tu possa comporre la figura che vuoi.” Siamo davvero pronti? Gesù lo è stato. Fedele a questo volto di Dio sino alla fine, anche quando gli dicevano di scendere dalla croce ed allora sì che gli avrebbero creduto! Nel Vangelo di Marco emerge con chiarezza il fatto che la passione non è accidentale o fortuita; non è nemmeno una costrizione. Ma è la scelta lucida e consapevole da parte di Gesù di seguire la propria coscienza e il Vangelo sino alle estreme conseguenze. Perché un uomo che aveva vissuto come Gesù non poteva morire diversamente. Chi la vita la dona giorno per giorno, lo fa anche nel momento supremo. Chiediamo al Signore di non essere indifferenti a questo amore appassionato. Sintonizziamo, in questa settimana, i nostri orologi sui tempi di Dio. Perché non c’è niente di più mortificante che trasformare una passione in un’ abitudine. Don Umberto

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

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Domenica 8 aprile 2018

II di Pasqua

LA FEDE

(Gv 20,19-31)

Forse tutti facciamo la strada di San Tommaso, noi che non abbiamo visto, noi che non abbiamo toccato, noi che non abbiamo udito le parole del Signore direttamente dalla sua bocca. Facciamo il suo cammino nel senso che avremmo bisogno di qualche segno più esplicito, più tangibile e concreto che dia forza alla nostra fede. O anche perché come lui avvertiamo un certo scetticismo, un progressivo disincanto di fronte all’annuncio della vita che sempre trionfa sulla morte, della luce che squarcia le tenebre e irrompe nel cuore. Ci sembra che la vita reale sia altra cosa, e che il buio, la negatività avanzino sempre più. Certo, ogni tanto ascoltiamo qualcuno che ci dice “Cristo è davvero risorto!”, ma la persuasione dura poco. E la fede cammina continuamente a braccetto con l’incredulità. Anzi a volte si fa trascinare.Ma cos’è in fondo la fede, la nostra fede? Cosa intendiamo quando diciamo agli altri “io credo”? La fede è un semplice bisogno psicologico di affidarsi? Ciascuno di noi questo bisogno ce l’ha. Ciascuno reca in sé una ferita del cuore. Essa c’entra con la fede ma non penso che ne sia l’origine. L’ esperienza di fede cristiana non nasce da una necessità interiore. Forse la fede in un essere superiore, molto generico e astratto sì. Ma la fede cristiana no. Essa nasce dall’ essere toccati, quasi investiti dalla Parola di Dio, con tutta la sua profondità e autorevolezza. La Parola udita ci interpella, ci commuove, ci sprona. E i suoi concreti frutti nella storia ci provocano. La fede di San Tommaso infatti non nasce dal suo bisogno ma dal gesto di Cristo che si presenta a lui. Per questo la fede non è primariamente un dono. In tanti lo dicono: “la fede è un dono”. Dono in realtà è il rivelarsi di Dio, il Suo offrirsi a noi semplici creature. Accogliere questo dono e credere è invece un gesto di libertà e responsabilità della singola persona. Il dono di Dio è per tutti; la risposta positiva di alcuni. Tommaso, il santo degli increduli, aumenti la nostra fede. Don Umberto Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

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Domenica 15 aprile 2018

III di Pasqua

FANTASMI E FANTASIE

(Lc 24,35-48)

Di fronte a Gesù risorto i discepoli avevano paura. Dice il testo che credevano di vedere un fantasma. Non è la prima volta che capitava una cosa simile. Una analoga negazione si era generata in loro dopo la moltiplicazione dei pani quando avevano visto Gesù venire loro incontro sulle acque del lago in tempesta. Avevano addirittura gridato dalla paura. Gesù li aveva prontamente riscossi dal terrore rassicurandoli. Quella paura, la paura di vedere un fantasma, era rapidamente svanita. Ma di fronte a Cristo risorto non solo di questa paura si era trattato. Un’ altra paura era subentrata, più sottile. Ma anche più devastante. La paura delle loro fantasie. Il terrore, cioè, che il Cristo risorto non fosse reale, tutto ciò in cui avevano creduto era appunto una pura fantasia. Avevano veramente creduto in Gesù oppure si erano costruiti una sua immagine ideale? Avevano capito chi era oppure lo avevano trasfigurato nella loro fantasia? Avevano accolto il suo messaggio o lo avevano manipolato? Domande come questa, forse presenti nel cuore dei discepoli, albergano anche nei nostri cuori. Dio c’ è veramente o è la proiezione di un mio bisogno? Credo in qualcosa che è reale o sono solo fantasie? Utili e necessarie perché veicolano valori, ma solo fantasie? In fondo tutti quelli che non credono vivono bene lo stesso... Almeno una volta nella vita sarà capitato anche a noi di fare questi ragionamenti. Esiste però un antidoto allo sprofondare nel timore che la nostra religione sia pura fantasia. Consiste nel vivere ciò che Gesù ha detto ai discepoli: non fuggire dalle situazioni che ci mettono in difficoltà ed essere testimoni. La fede infatti cresce e si rafforza donandola. Se la tieni chiusa nella tua mente, dopo un po’ diventa fantasia. Se la vivi, la pratichi, se ti doni in nome di essa allora ne sentirai tutta la forza e percepirai quanto sia reale. Don Umberto Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

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Domenica 22 aprile 2018 PASTORI o MERCENARI

IV di Pasqua (Gv 10,11-18)

Chi conduce la nostra vita? Ciascuno forse pensa di essere autonomo, libero e svincolato da tutto nel fare le sue scelte. Ma quando ci fermiamo un po’ a riflettere ci accorgiamo che non è così. Siamo condizionati. Siamo stretti dentro le attese di chi ci sta intorno. Siamo sedotti dal modello di vita che ci raggiunge attraverso i media. Abbiamo molti pastori nella vita, quasi senza accorgercene. Ci guidano. Ma possono farlo perché glielo permettiamo o anche perché in fondo li abbiamo scelti noi come pastori. “Io sono il pastore” dice perentoriamente Gesù. E ci aggiunge: “sono il pastore buono, il pastore bello”. Bontà e bellezza in Lui coincidono perché sempre l’ amore è bello se è dono, se è carità. La bellezza senza carità infatti è pura cosmesi. Gesù dice di essere l’ unico pastore che ci ama, che ci conosce e ci valorizza. Gli altri non sono pastori, ma mercenari, ci amano per avere un tornaconto. Al nostro datore di lavoro risultiamo simpatici se produciamo; a volte persino gli amici (e i parenti) ci amano a patto di comportarci secondo le loro aspettative. Ci hanno chiusi dentro un confine preciso tutto ideale, e guai ad uscirne. Umanamente parlando sembra quasi impossibile sottrarsi a questa logica. Sembra irrealizzabile l’ amore gratuito, il dono di sé incondizionato, la libertà dal contraccambio. Ma che tristezza se anche Dio lo pensiamo così! Viene davvero da piangere se Gesù è ricondotto dentro i nostri soffocanti parametri. Se pensassimo che ci ama solo se siamo brave persone, se credessimo ad un Dio che elargisce grazie per poi chiederne il conto, allora non varrebbe la pena essere cristiani. Dio non è un mercenario. Dio è amore gratuito. Crederci fermamente ci aiuterebbe a stare meglio. E a riempire la nostra vita di tanti piccoli, trascurabili gesti di gratuità. Che poi tanto trascurabili non sono. Don Umberto

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

“La Via” raccolta 2018


Domenica 29 aprile 2018 RIMANERE NELL’AMORE

V di Pasqua (Gv 15,1-8)

Unico tra gli evangelisti, Giovanni usa l’ immagine della vite per parlare di Gesù. Nei sinottici le parole di Cristo:” Io sono la vera vite” non ci sono. Mi sono chiesto perché Giovanni senta la necessità di questa simbologia e perché ne faccia uso. Forse aveva familiarità con l’ambiente dei viticoltori, o forse amava quel messaggio di festa e allegria che al vino si associa. Ma più profondamente credo si debba cercare la risposta nel contesto più generale in cui questa immagine viene usata. Siamo nei discorsi finali della vita di Gesù pronunciati durante l’ultima cena. Il tema di fondo della parola del Signore è l’ amore, inteso come stile di vita dei suoi discepoli. Giovanni non racconta l’istituzione dell’ Eucarestia, non cita le parole di Gesù sul vino: “questo è il mio sangue”, ma parla appunto della vite. Per lui Gesù non è solo il frutto della vite (il vino), ma l’origine stessa di quel frutto. Cristo non è semplicemente l’ amore, ma la sorgente stessa dell’amore, di ogni amore. Chi perde contatto con la sorgente perde contatto con la forza vitale. Per questo è necessario RIMANERE NEL SUO AMORE. Quest’ amore c’è già, non siamo noi a crearlo, a farlo sbocciare. Dobbiamo solo stare attenti a non uscirne con le nostre scelte e con i nostri atteggiamenti. L’ amore di Cristo è ovunque, è come una energia che abbraccia l’ universo, che tiene insieme ogni cosa. Tutto infatti si fonda su una relazione, dal modo con cui sta insieme la materia nei più piccoli atomi sino alle grandi montagne, al modo con cui si vogliono bene gli esseri umani. Senza questo amore che già esiste, tutto andrebbe in frantumi. Ai discepoli di Gesù è affidato il compito di essere testimoni di questo amore. Siamo come tralci uniti alla vite: fragili, fragilissimi. Ma senza di noi la linfa non può trasmettersi al chicco d’uva e l’amore non può diffondersi nel mondo. Anche i più piccoli gesti allora saranno espressione di quel profondo legame che ci unisce al Signore. Don Umberto

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

“La Via” raccolta 2018


Domenica 6 maggio 2018 MITI, ILLUSIONI E REALTA’ DELL’AMORE

VI di Pasqua (Gv 15,9-17)

Sorgono scrupoli a parlarne ancora. A parlare dell’ amore intendo. Una parola tanto usata quanto fraintesa. Normalmente viene usata in riferimento alla relazione di coppia, al desiderio o all’ attrazione. Un po’ sovraccaricato di idealità, a volte di fantasia, come nelle favole. Mai come oggi le persone manifestano in mille modi il desiderio di essere amate e mai come in questo tempo questo desiderio è frustrato, a volte svilito oppure tarpato. Perché, realisticamente, si fa fatica ad amare. Si vedono e si incontrano coppie con enormi difficoltà; rapporti tra genitori e figli appesantiti da possessioni ed egoismi; persone sempre più sole. Se non addirittura amori finiti nella violenza e nella follia. E così cresce anche il numero di coloro che guardano all’amore con disicanto: pensano che non esista. Che possa esistere tutt’al più un generico volersi bene, un andare d’accordo, ma non l’amore. Resta come un amaro in bocca, una sorta di delusione, tanto più cocente quanto più si era idealizzato l’ amore. Anche Gesù parlava d’amore. Il Vangelo di oggi ad esempio è fatto di parole d’ amore. Mi chiedo a volte se Gesù non abbia accresciuto, con la Sua vita e col suo esempio, il carattere ideale dell’ amore. Mi chiedo se non ci abbia ulteriormente sovraccaricato di uno stile che non siamo in grado di imitare. Eppure egli stesso disse “il mio carico è leggero, il mio giogo è dolce”. Gesù non ci ha preso in giro. Egli ha parlato d’amore perché era l’unico a poterlo fare con coerenza. Ne ha parlato e lo ha vissuto sino alla fine. E ha dato a chi crede in Lui la possibilità di poterlo fare. Guardo alla storia della Chiesa, alla storia dei credenti (e dei non credenti) e vedo innumerevoli esempi di amore. Di dedizione senza bisogno di ritorno; di cura amorevole; di passione e tenacia. Ne sono capaci coloro che già si sentono amati. E ai cristiani questa grazia è concessa. Sentirsi amati sposta il mondo. Don Umberto Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

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Domenica 13 maggio 2018 CONVERTIRSI ALLA FESTA

Ascensione del Signore

(Mc 16,15-20)

Quella di oggi è una festa, credetemi: oggi non prevale la tristezza per la sua scomparsa, ma la gioia della sua permanenza in un’altra dimensione. La festa dell’Ascensione è la festa della presenza eterna di Cristo in mezzo a noi per sempre! Per essere definitivamente presente Gesù aveva bisogno di non avere più limiti di tempo e di spazio. Eterno, egli dimora in seno al Padre e in questa eternità ha un corpo di uomo. Se Gesù è asceso al Padre, se dimora in Lui, è raggiungibile per sempre da ciascuno di noi qui e ora, può essere qui e adesso, comunque e dovunque perché non ha più il tempo che lo limita, lo spazio che lo inghiotte. Oggi celebriamo la festa della moltiplicazione e dell’estensione dell’amore di Cristo. Ognuno di noi può dire, nella fede, a ragione: io ho incontrato Cristo. Lo stesso Cristo che ha camminato con i piedi impolverati duemila anni fa, lo stesso Cristo riconosciuto presente nella comunità primitiva. L’ Ascensione è come una cerniera nella storia di Gesù e degli apostoli: segna il passaggio da un prima a un dopo cui gli apostoli dovranno abituarsi, proprio come i discepoli di Emmaus che abbiamo seguito in questi giorni di Pasqua: Gesù scompare alla loro vista sensibile, torna al Padre pur promettendo una presenza reale. Gli apostoli, è comprensibile, faticheranno ad abituarsi a questa nuova situazione. Gli apostoli sono invitati, dopo aver seguito Gesù nella crocifissione e nella risurrezione, a seguirlo anche nella ascensione. L’ Ascensione segna l’inizio della Chiesa, la nascita della comunità come luogo dove dimora il Risorto. Ve ne do atto: è molto più evidente notare l’assenza del Maestro nei nostri gesti piuttosto che la sua presenza, ma mi fido. Mi fido: vedendo la tenerezza e l’amore di una catechista, la generosità di un educatore, la presenza discreta accanto al letto di un ammalato, io vedo Gesù risorto asceso, e ne invoco il ritorno, ne accelero - secondo una bellissima interpretazione rabbinica - la venuta. Dio è presente, per sempre, è il nostro sguardo a dover guarire, a doversi - finalmente - convertire alla gioia. Perciò, ora, necessitiamo del dono dello Spirito: per vedere. Don Paolo Curtaz

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

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Domenica 20 maggio 2018 L’EVENTO DECISIVO

Pentecoste (Gv 15,26-27;16,12-15)

Proviamo a immaginare che ne sarebbe stato dei discepoli senza la Pentecoste. Chiusi in quel cenacolo avrebbero passivamente atteso che le acque si calmassero e nessuno più parlasse del maestro di Nazareth a cui avevano creduto. Piano piano sarebbero usciti, senza dare nell’occhio, senza infamia e senza lode. Ad imbottire la schiera dei tanti che falliscono nella vita; coloro che non raggiungono gli obiettivi che si prefiggono. O per incapacità, o per sfortuna, o per ingenuità. Come la loro. L’ ingenuità di avere seguito quel Gesù che incantava le folle, che compiva miracoli e che poi, ad un certo punto aveva cominciato a deludere le attese. Senza Pentecoste avrebbero raccolto le loro cose per andarsene e tornare all’ordinarietà banale della loro vita. Forse avrebbero raccontato ai nipoti di quei tre anni trascorsi con il Nazareno. Ma probabilmente no. Non fa mai piacere rivangare i propri errori. E invece… Il racconto ci fu. Ma subito, senza indugiare. Senza paure e senza tentennamenti cominciarono a testimoniare. E il Vangelo, destinato altrimenti a rimanere una parola come tante, iniziò la sua inarrestabile corsa. Se ci siamo noi oggi, per quel che siamo, è perché c’è stata la Pentecoste. Trovassimo il tempo di fermarci un po’, in questi giorni, magari capiremmo la portata di questo evento. Accaduto una volta per tutte, esso ha modificato la storia. Anche la nostra. Se lasciassimo spazio allo Spirito Santo, alla sue azione su noi, ci accorgeremmo che ciò che fa paura può essere affrontato; ciò che non conosciamo può essere compreso; ciò che abbiamo sbagliato può diventare l’inizio di un nuovo percorso. A differenza degli apostoli, ai quali fu riservata una irruzione improvvisa e travolgente, ai nostri cuori lo Spirito bussa. Lasciamolo entrare. Don Umberto

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

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Domenica 27 maggio 2018 A SCUOLA DI COMUNIONE

S.S. Trinità (Mt 28,16-20)

Festeggiare la Trinità significa fare un tuffo nel mistero di Dio. Bisogna un po’ trattenere il fiato, sentire quasi che manca l’aria… ma poi si emerge. E la sensazione è inebriante. Manca l’aria, cioè manca la comprensione razionale e logica quando pensiamo che Dio è Uno e al contempo Trino. Ci viene da dire che non sia possibile; 1 non è uguale a 3 e che così ogni legge matematica viene sovvertita. Ma è proprio così! Dio non lo comprendi con le regole della scienza (anche se scienza e fede non sono antagoniste l’una all’altra). Dio lo comprendi (quando è possibile) solo nella comunione. Se sei unito a Lui capisci la sua logica, la sua verità. Dal di fuori, con sguardo distaccato e imparziale, Dio è incomprensibile. Almeno, il Dio di cui ci ha parlato Gesù. Solo in questa logica di comunione comprendiamo la Trinità. Dio non è solitudine, immutabile e asettica perfezione, ma è comunione, amore, tensione dell’uno verso l’altro. Cosa significa questa scoperta? Che cosa cambia nella nostra quotidianità? Noi siamo stati creati ad immagine di Dio, in Lui siamo stati anche battezzati. Ed è per questo che le conseguenze sono enormi. La solitudine non fa per noi, perché è fuori dalla logica di comunione che è la logica di Dio. E’ difficile fare comunione, a tratti sembra impossibile; ma ci è indispensabile. E più puntiamo alla comunione più lasciamo emergere l’immagine di Dio in noi, che è la nostra verità più profonda. Solo così ci realizzeremo. Don Umberto

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

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Domenica 3 giugno 2018 PANE DEL FUTURO

Corpus Domini (Mc 14,12-16.22-26)

Il tempo liturgico Pasquale sembra non finire mai. Le feste si susseguono l’una con l’altra in un crescendo che trova il suo punto culminante proprio oggi, nella festa del Corpus Domini. Festa della presenza, definitiva e costante, di Gesù nell’Eucarestia. Festa della quotidianità perché Gesù lega la sua presenza proprio a qualcosa di semplice e di ordinario come il pane, il pane della nostra tavola. Ma anche ciò che è quotidiano non è scontato: per questo Gesù nel Padre Nostro ci invita a chiedere ogni volta da capo il pane “dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Che è come dire “dacci ogni giorno il dono della tua presenza”. Il gesto fu compiuto durante l’ultima cena: il momento in cui sui discepoli gravava l’oscuro timore che il maestro non sarebbe più stato con loro. Che ne sarebbe stato “poi” di loro? Venendo meno Gesù, essi pensavano, verranno insieme a mancare le ragioni della vita e con essa la speranza, la gioia di fare le cose, la convinzione di essere al mondo con una missione. Gesù lo intravede con chiarezza questo rischio, quello cioè che i discepoli si sentissero schiacciati da un futuro tenebroso e si arrendessero in fretta alla loro tristezza e alla loro solitudine. L’Eucarestia è la sua risposta. E’ il modo in cui Gesù offre una presenza futura che tenga in vita le ragioni del vivere. Solo Lui può farlo. Solo Lui può essere ragione di vita di un essere umano. Quando un essere umano è la ragione di vita di un altro, accadono sempre cose spiacevoli. Personalmente credo che nessuno debba accettare di esserlo e nemmeno cercarlo. Nell’Eucarestia i credenti trovano questa ragione di vita: nella certezza di essere amati da Dio che si fa pane. Un pane quotidiano che blandisce ogni ansia per il futuro. Don Umberto

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

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Domenica 10 giugno 2018 LEGATI dallo SPIRITO

(MC 3,20-35)

Il peccato di Adamo è solo accennato, come sfondo su cui si collocano le letture di oggi. Se ne descrivono le conseguenze, terribili e catastrofiche. Non tanto per la punizione di Dio che lo allontanò dal paradiso, quanto perché da quel momento in avanti tutti i legami, tutte le relazioni furono contagiate, infettate, dal tarlo del sospetto e della sfiducia. Adamo iniziò ad avere paura di Dio, a sospettare di Lui, a pensare che fosse un avversario geloso piuttosto che un Padre. Ugualmente cominciò il suo distacco da Eva, il suo timore di avere a fianco non colei che poteva aiutarlo, ma colei che lo induceva in errore. Da qual giorno tutti i rapporti umani sono segnati da questa ambiguità e dalla conseguente difficoltà ad essere vissuti. Ne conosciamo anche con forza il carattere sofferto e faticoso. Anche quelli apparentemente più saldi, anche i legami familiari non sono esenti da questo lato problematico e a tratti oscuro. Per questo, nel Vangelo di oggi, Gesù promuove una visione dei legami tra le persone totalmente fondato sui valori dello Spirito e sul comune ascolto della Parola di Dio. Gesù supera i vincoli di sangue, così fragili anche se in apparenza saldi, perché ne conosce la radice malata, spesso possessiva, priva di quella libertà del cuore che invece è dono dello Spirito. Certo, in questa libertà è compreso il fatto di non ascoltarlo affatto lo Spirito, addirittura di bestemmiarlo. E compiere così quel peccato che non potrà essere perdonato. Bestemmiare lo Spirito Santo non è un atto materiale compiuto con le labbra; è piuttosto la resistenza a quella voce interiore che ci conduce alla verità, la voce dello Spirito appunto. E’ il lasciarsi guidare da quelle paure che travisano ogni rapporto umano, da quelle parole che ci fanno pensare a Dio in modo distorto e ci fanno scambiare il bene col male. In fondo anche i Giudei a cui il Signore rimproverava questo peccato, avevano travisato Gesù. Pensavano facesse miracoli in nome di Satana invece che in nome di Dio. Don Umberto

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

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Domenica 17 giugno 2018 QUELLI DI FUORI

(Mc 4,26-34)

Generalmente ci piacciono le parabole. Le sentiamo vicine alla nostra sensibilità; soprattutto le avvertiamo facilmente comprensibili, più accessibili di un discorso articolato e complesso. Gesù ne faceva spesso uso. Un giorno, interrogato dai suoi discepoli, spiegò perché. Erano destinate a “quelli di fuori”. E chi erano costoro? In pratica, quelli che rifiutavano di entrare in familiarità con Lui. Tutti coloro che lo ascoltavano, certo, ma senza impegno. Un’ immagine eloquente, pertinente al cristianesimo di sempre, anche quello odierno. Fatto, occorre dirlo, di tanta gente “di fuori”. Cioè quelli che ascoltano il Vangelo per arricchirsi un po’: di contenuti, di buone parole, magari di emozioni. Ma niente più. Ad avvicinarsi troppo a Gesù si rischia. Si rischia il contagio di una vita diversa, di una logica troppo differente da quella della società. E allora meglio il ruolo confortevole di osservatori esterni. Un regime cristiano tipo supermarket: prendo il prodotto che voglio, pago il minimo e me ne vado. Così però non si capisce la realtà del Regno di Dio. Si resta sempre in mezzo al guado. Si rimandano le decisioni evangeliche perché si vuole capirne di più. Ma Gesù dice che si può agire solo avendo prima accettato la Sua prossimità e vicinanza. Oggi abbiamo letto due parabole che in qualche modo dicono la difficoltà ad entrare nella logica del Regno. In una, il piccolo seme di senape, che è sintomo di quale sproporzione ci sia tra l’umiltà del messaggio cristiano e la baldanza e arroganza della logica del mondo. E forse per questo una persona ha paura di credere. Nell’altra, il seme che cresce senza che il seminatore sappia come, dice quanto non siamo noi i veri registi della nostra vita. E questa logica di non controllare le cose sempre si fa paura. Ci aiuti il Signore ad entrare con fiducia nel legame con Lui. Don Umberto Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

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Domenica 24 giugno 2018 COME GIOVANNI, PROFETI PER L’OGGI

(Lc 1,57-66.80)

Giovanni è l’unico santo di cui ricordiamo sia la nascita sia la morte. Egli spicca come un gigante tra i profeti. Giovanni, crudo asceta del deserto, Giovanni tagliente predicatore, Giovanni disposto a morire per mantenere fede alla sua missione di verità. Giovanni che prepara e dispone il popolo all’accoglienza del Messia ma che, teneramente, resta anche lui spiazzato dall’originalità di questo Messia. D’altronde: come biasimare Giovanni? E’ il più grande dei profeti, ma anche il più sfortunato: invita a conversione, grida e minaccia, indica un Messia vendicativo con l’ascia pronta a tagliare l’albero che non produce frutto e poi arriva Gesù che, invece di abbattere, accarezza e pota l’albero per fargli portare più frutto! C’impressiona il fatto che addirittura Giovanni sia spiazzato dall’inaudita tenerezza di Dio: anche lui deve arrendersi alla contrologica del Dio d’ Israele. I profeti esistono ancora, sono presenti in mezzo a noi. Uomini e donne che vivono il Vangelo con tale coinvolgente semplicità e convinzione da diventare un segno di conversione per noi tutti. I profeti hanno faticato e tribolato per scrutare i segni dei tempi. Le nostre comunità lo fanno? Lo vogliono fare? Sicuramente come comunità siamo chiamati a riscoprire il nostro ruolo profetico. Non basta inanellare la consueta litania di messa-sacramenti-devozione per diventare testimoni: è urgente, vitale riappropriarsi del ruolo profetico-scomodo della Chiesa per il mondo di oggi. Ciascuno di noi è chiamato a diventare profeta, a diventare segno là dove vive, a essere almeno un po’ trasparenza di Dio. Mi viene in mente il sospiro di Mosè che, commentando il fatto che alcuni profetizzavano senza suo permesso, sognava: «fossero tutti profeti i figli d’ Israele!». Non sono i meriti a renderci tali ma la disponibilità. Offriamola.

Don Umberto

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

“La Via” raccolta 2018


Domenica 9 settembre 2018 L’ORDINE DI DIO

(Mc 7,31-37)

“Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!” Questa è l’esclamazione ammirata della folla che vede Gesù fare miracoli. Ogni miracolo di Gesù, lo sappiamo, è un segno: ci orienta a qualcosa di più grande, ad un messaggio che va oltre. In questo caso Gesù ripristina le cose così come sono, nel loro ordine. Ad un sordo dona la possibilità di sentire, ad un muto quella di parlare. Non rende un muto ricco di beni materiali o un sordo capace di straordinarie prestazioni fisiche. A ciascuno ciò che gli compete. Secondo una logica che richiama molto da vicino il modo di agire di Dio nel momento in cui creò il mondo, così come narra la Genesi. Dio fece le cose “ciascuna secondo la propria specie”. Solo Dio, e quindi Gesù, ha questa capacità di mettere le cose al proprio posto. Se le cose vengono fatte in Dio, prima o poi vanno così come è giusto che debbano andare. Le cose fuori posto non vengono da Dio. Mi è utile fare questa riflessione e consegnarvela mentre riprende la vita ordinaria con le sue molteplici attività. Ci sforziamo di far sì che tutto sia a posto, che le cose siano precisamente organizzate e spesso non ci riusciamo. Confondiamo il nostro senso di responsabilità con un’ansia da controllo che ci fa male. Un po’ più di fiducia nell’agire di Dio, unico grande ordinatore delle cose, ci farebbe bene. Accanto a questo primo grande significato del miracolo di Gesù, ne possiamo scorgere un altro. Il Signore guarisce un sordomuto: la patologia è espressa proprio così, in quest’ordine. Si è muti perché si è sordi. La povertà delle parole nasce dalla povertà dell’ascolto. Siamo tutti dei sordomuti nello spirito: dalle difficoltà e dal rifiuto di ascoltare si generano i nodi della nostra lingua. A volte ascoltiamo a metà, sperando che l’altro finisca in fretta per poter essere noi a prendere la parola, come se quello che abbiamo da dire fosse una cosa più intelligente e più vera. E questo difetto di ascolto lo trasferiamo anche su Dio. Parliamo sempre noi quando preghiamo. Il Signore ci conceda un cuore capace di ascolto. Don Umberto Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

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Domenica 16 settembre 2018 PRENDERE POSIZIONE

(Mc 8,27-35)

Ogni presa di posizione comporta un distacco. Ogni volta che ci si espone, che si esprime il proprio pensiero pro o contro qualcosa, si prendono le distanze da chi non pensa allo stesso modo. Compromettersi significa distanziarsi. Nell’accostarsi alla pagina evangelica di oggi si ha esattamente questa sensazione: una progressiva presa di distanza dei discepoli dal resto della folla e di Gesù nei confronti dei discepoli. Gesù inizia facendo un sondaggio. C’è chi muore dietro ai sondaggi, chi ne è ossessionato: unica preoccupazione quella di testare il polso della situazione e di valutare l’audience per poi adeguarcisi di conseguenza. Gesù no. A Lui cosa pensa la gente non interessa proprio. Se chiede qualcosa del genere è solo per prenderne le distanze. La domanda diretta fatta ai discepoli “e voi chi dite che io sia?” genera proprio questo: una distanza tra i discepoli e la folla. Gesù li invita a prendere posizione in modo esplicito e questo non potrà che farli sentire diversi dagli altri. E’ questa una necessità sempre più urgente tra noi cristiani. Fare capire cosa pensiamo di quel che ci circonda; esporsi, compromettersi, essere sale della terra con il nostro agire, il nostro parlare, il nostro decidere. Se si temono le conseguenze, allora tanto meglio il conformismo qualunquista. Il cristianesimo, in Italia, non è ancora al punto di essere praticato in gran segreto come avveniva in passato nei luoghi di persecuzione. E’ ancora necessario che la lucerna accesa della fede sia collocata sopra il monte e non sotto il letto. Anche Gesù vive il distacco di chi prende posizione. E lo fa addirittura nei confronti di ci gli è più vicino: i suoi discepoli. Nel momento in cui comunica la passione Gesù non viene capito dai suoi. Pietro addirittura lo rimprovera. Si consuma quel distacco tra loro e il Maestro che culminerà con il tradimento, il rinnegamento e l’abbandono da parte di tutti. C’è una solitudine di Gesù che ci addolora. E’ la solitudine che si prova quando si parla di Dio non solo come il consolatore buono e misericordioso, ma anche come colui che sta sulla croce e invita a portarla.Ed è il nostro Dio cristiano, a scanso di equivoci. Don Umberto Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

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Domenica 23 settembre 2018 IMPULSI OSCURI

(Mc 9,30-37)

“Come i cavoli a merenda.” Nel linguaggio comune si usa questa espressione quando si vuole indicare un discorso fuori luogo, una parola che non c’entra assolutamente con quello che si sta dicendo o che si è appena ascoltato. Proprio questa è la percezione che si ha nell’ascoltare il testo evangelico di oggi. Gesù ha appena preannunciato la morte orribile che avrebbe dovuto subire e i discepoli si mettono a discutere tra loro per sapere a chi spettasse il primo posto all’interno del gruppo. Ci saremmo aspettati almeno un segno di profondo turbamento. Invece, i discepoli come attori smaniosi di primeggiare, cercano di disputarsi il posto più ambito. E’ solo superficialità la loro? O non è un modo di rimuovere un pensiero che inquieta, una sorta di fuga? Probabilmente sì. Mettersi a parlare di una cosa tanto fuori luogo era il modo di allontanare la loro paura. C’è in ciascuno di noi una paura più o meno avvertita che nasce dalla esperienza dei propri limiti. La paura più angosciosa è quella che nasce dalla prospettiva di dover morire. Tutto ciò che in qualche modo ci fa pregustare la morte ci fa paura: l’abbandono, la perdita degli affetti, il fallimento di un progetto, il biasimo da parte degli altri. Per questo la paura della morte ci fa diventare più cattivi e anche più egoisti. E’ una specie di impulso oscuro che in certi momenti esercita una forte pressione sulle nostre scelte esistenziali. La vita di Gesù è una testimonianza di come ci si possa sottrarre a questo impulso. Per questo il Signore può aiutare anche noi a vivere così e far sentire la gioia liberante di chi segue la via dell’amore e del dono di sé. In una domenica in cui ringrazio il Signore insieme a voi per i miei 25 anni di ministero sacerdotale la liturgia non poteva regalarmi una pagina migliore. Forse Dio vuole spronarmi a fare della mia vita ancora di più un dono offerto. A crescere in quella resistenza ad affermare sé stessi e il proprio ego che rende anzitutto uomini prima che preti. E magari proprio per questo preti migliori. Don Umberto

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

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Domenica 7 ottobre 2018 ALL’INIZIO

(Mc 10,2-16)

Eccola la pagina che non ammette repliche. Ecco la parola del Signore che non abbiamo il diritto di cambiare; parole che diciamo non come censori senza cuore ma con carità cristiana. Sono le parole che fondano l’indissolubilità del matrimonio e non ammettono il divorzio. Possiamo però entrare nel cuore di Gesù, cogliere lo Spirito che lo anima e capire il senso che il Signore diede loro. Gli fecero la domanda sulla liceità del divorzio “per metterlo alla prova”. A chi lo interrogava non interessava il vero bene di una coppia; non avevano certo a cuore il tema dell’amore, ma solo cogliere in fallo Gesù. Farlo schierare: o tra i conservatori o tra i progressisti. Gesù, conoscendo la loro intenzione, risponde in modo radicale. Perché non è questione di essere chiusi o aperti, ma di affrontare le questioni importanti andando al principio di tutto, al criterio ispiratore. Per capire poi magari se quel principio lo si è tradito o meno. Al principio c’è Dio e il suo desiderio che “i due fossero una cosa sola”. Il legame cristiano quindi si fonda su un rapporto saldo con Dio di cui si accoglie con fede questa regola. Senza questo rapporto la regola uccide. Ritornare al principio, al momento sorgivo, sia affettivo che spirituale, è sempre buona cosa. A volte si scopre dolorosamente che anche gli inizi erano difettosi. Altre volte, più spesso, ci si rilancia. Questo riferimento a Dio è importante per un altro motivo. Al tempo di Gesù il divorzio era ammesso: ma solo l’uomo poteva farlo e allontanare la moglie. Era un mondo maschilista, certamente. Pertanto, nel momento in cui Gesù non ammette il divorzio, difende la donna da queste arbitrarie prepotenze. E dice che è Dio, da principio a volere ciò. A fondare il matrimonio su una uguale dignità. Laddove ci sono sudditanze, superiorità e abusi, non c’è matrimonio cristiano. Questa unione tra uomo e donna non è così forte come quella tra genitori e figli. La prima si fonda sulla libertà, la seconda sul sangue. Proprio questa intrinseca debolezza aveva portato ad accettare il divorzio. Secondo Gesù invece, proprio perché fondato sulla libertà e sulla fede, il rapporto tra uomo e donna è indissolubile. Perché la nostra libertà è più grande dell’istinto materno o paterno. E tutto questo è meraviglioso. Don Umberto Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

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Domenica 14 ottobre 2018 IL CENTUPLO

(Mc 10,17-30)

Gesù incontra un uomo ricco e l’esito di quell’incontro lo conosciamo tutti. Una persona per bene, corretta, fedele ai comandamenti. Un uomo che Gesù ama e glielo fa capire con uno sguardo. Ma è incapace di staccarsi dalle sue ricchezze. Se ne va triste, di una tristezza che ti lascia l’amaro in bocca come accade per le più cocenti delusioni. Di fronte a ciò i discepoli restano sbalorditi, quasi impauriti dalle esigenze così radicali della sequela e Pietro, a nome di tutti, esclama “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito!” Ed è qui che Gesù pronuncia quella frase sul centuplo. Chi lascia qualcosa per Gesù riceve cento volte tanto. Che sarà mai questo centuplo? Dal punto di vista delle relazioni posso personalmente testimoniare che queste parole sono vere. Ma forse è un discorso tipico da consacrati: chi lascia i propri legami familiari per il Signore ne ritrova altri, molti altri, anche più profondi. Mi sembra però che il centuplo abbia anche altri significati. La prima lettura parla della sapienza. Essa è la capacità di conoscere in profondità le cose cogliendone il senso. Il centuplo quindi non può essere calcolato aritmeticamente. Deve essere inteso proprio in riferimento allo straordinario potere della sapienza di moltiplicare per cento il valore delle cose, che senza sapienza perdono gusto e significato. E svaniscono in fretta. Ma con “centuplo” potremmo anche intendere la grazia e la forza, accordata ai discepoli, di essere capaci di seguire Gesù. L’affermazione di Pietro è infatti non tanto una rivendicazione, ma una parola di stupore e meraviglia circa il fatto che loro siano capaci di sequela al Signore. Hanno colto che seguirlo non è un’impresa personale, una performance spirituale, ma un dono e una grazia. Loro si sono resi disponibili, e Gesù ha moltiplicato questa disponibilità per cento rendendoli discepoli fedeli. Dovremo probabilmente a questo punto farci una domanda: quanto ho davvero investito in questa avventura del Regno? Perché questa è la logica profonda di Dio: più dai, più ricevi. Ci conceda il Signore di farla nostra. Don Umberto Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

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Domenica 21 otoobre 2018 FIGLI di ZEBEDEO

(Mc 10,35-45)

A dirlo così suona quasi come un insulto. Una specie di appellativo negativo. Effettivamente, prima di diventare santi, i figli di Zebedeo nel Vangelo non è che abbiano fatto una gran bella figura. I figli di Zebedeo erano gli apostoli Giacomo e Giovanni. “Figli del tuono” era il loro soprannome. Irascibili e irruenti, impetuosi e forti. Ma anche un po’ ambiziosi. Troppo ambiziosi. Di quella ambizione che ti fa perdere di vista il vero senso delle cose e ti fa dimenticare la logica di Dio. Essi chiedono a Gesù “vogliamo sedere alla tua destra e alla tua sinistra”. Vogliamo cioè essere i primi. Forse siamo un po’ tutti figli di Zebedeo; tutti vogliamo emergere dal grigiore dell’anonimato e sentiamo il bisogno di essere qualcuno. C’è qualcosa di legittimo in queste esigenze: c’è il bisogno di stima e di apprezzamento per dare il meglio di noi stessi. Gli elogi ci stimolano ad essere migliori. Le gratificazioni ci fanno rendere di più. Lo sapeva bene anche Gesù, che spesso loda le persone: elogia le donne, i samaritani, il centurione, i discepoli. Ma c’è un punto in cui questo bisogno di primeggiare diviene tossico, perché travalica in bisogno di potere. E non c’è bisogno di pensare solo ai potenti della terra. Ognuno vuole sentirsi un leone nel suo tinello, nel suo piccolo spazio vitale. Le nostre palestre di potere sono: il luogo di lavoro, il gruppo, la parrocchia, la squadra, persino la coppia o la famiglia. Obiettivamente non c’è nulla di nuovo sotto il sole; tutto è già scritto nel Vangelo. Di nuovo c’è il modo di rispondere di Gesù e la strada che Lui indica per primeggiare.Egli infatti non condanna il desiderio di essere il primo, non censura questa sorta di competizione.Ma in cosa bisogna esserlo? E qui la strada si capovolge: il potere viene dal servizio. La supremazia scaturisce dal dono si sé.La passione di grandezza ci abita tutti. Ma spesso la giochiamo al tavolo sbagliato, quello di questa storia dove i grandi sono quelli che hanno ricchezza, successo, onori. C’è un altro tavolo dove giocare questa partita; quello di un mondo diverso dove si punta sulla forza dell’amore anziché sull’amore per la forza. E’ il tavolo di Dio. Don Umberto Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

“La Via” raccolta 2018


Domenica 28 ottobre 2018 UN GRIDO

(Mc 10,46-52)

C’è un forte simbolismo in questo episodio della guarigione del cieco. Il simbolo è lui stesso, quest’uomo che non vede finchè Gesù non gli apre gli occhi. Egli è seduto e mendicante. E grida. Alza la voce per farsi sentire, per poter arrivare alle orecchie a al cuore di Gesù. Alza la voce perché sa che tante altre volte nessuno lo ha ascoltato. O forse lui ha tenuto dentro di sé, inespresso, il suo grido di aiuto. Il suo essere seduto è simbolo di depressione: un sentimento oscuro che è difficile da spiegare. Nasce da timori che ci opprimono e a cui non sappiamo dare un nome preciso; certe volte nasce dal timore di non essere all’altezza dei compiti che la vita comune e ordinaria impone. Si resta come paralizzati da ostacoli insormontabili e piano piano ci si rassegna. Anche il suo essere mendicante è un simbolo. Si rivedono in esso tutti coloro che sentono la loro miseria, la loro povertà e sono costretti a chiedere. Con vergogna magari, sentendosi umiliati, chiedono non tanto e non solo soldi. Anche compagnia, comprensione, vicinanza e stima. Forse tutti siamo mendicanti: abbiamo solo modi diversi di chiedere. Anche in questo caso ci si rassegna. Tante, troppe volte le richieste sono andate a vuoto e ci sembra che non ne valga più la pena. Ascoltare il grido dei depressi e dei mendicanti, ascoltare il grido di tutti, perché tutti lo siamo, è difficile. La presenza dei fratelli in difficoltà ci rimanda alla nostra stessa fragilità. Ci fa prendere coscienza dei nostri limiti e interrompe i nostri progetti. A volte si offrono soluzioni tampone perché non si sa cosa fare ma anche perché così, almeno per un po’, ci si libera di loro e dell’inquietante pensiero che ci suscitano. A Gerico, città affossata nella depressione del Giordano, sempre ricordata nella Bibbia come luogo estraneo alla vicinanza con Dio, avviene il miracolo. Il miracolo di un uomo sconfitto dalla vita che non si rassegna alla sua situazione a cui fa eco l’altro grande miracolo. Un uomo, un uomo-Dio, ascolta il grido che giunge ai suoi orecchi. E nell’ascolto c’è già la guarigione. Don Umberto Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

“La Via” raccolta 2018


Domenica 4 novembre 2018 LA DOMANDA

festa di S. Carlo (Mc 12,28-34)

C’era bisogno di una bussola, di un criterio interpretativo, di un punto prospettico da cui guardare tutti i precetti che la legge di Israele imponeva. Seicentotredici regole che disciplinavano ogni campo dell’agire. Ma qual’ era la loro anima? Quale il motivo che aveva portato a formularle? Certo lo scriba porge la domanda sul più grande dei comandamenti per una questione teologica, quasi dottrinale: tutti i rabbini del tempo avevano la loro risposta. Anche Gesù doveva dare la sua. Ma a pensarci bene, dietro a questa domanda se ne nasconde un’altra, più profonda e più vera. “Qual’ è il primo di tutti i comandamenti?” equivale a chiedere “per che cosa vale la pena vivere?” E questa domanda ce la portiamo nel cuore tutti. Essa necessita di una risposta prima o poi. Se la sono posta certamente i Santi che abbiamo festeggiato questa settimana. Se la sarà sicuramente posta S. Carlo Borromeo. E una volta trovata la risposta non ha tentennato. Forse la differenza tra noi e loro è che essi non si sono guardati indietro, non hanno ascoltato altre sirene ma solo la voce del Signore. Non hanno praticato il dubbio sistematico di chi continuamente rimette in gioco le proprie certezze. Quel che oggi Gesù ci regala è che una vita che ha senso è una vita d’amore. Amore per Dio e amore per il prossimo. La solita solfa ci viene da pensare. Una risposta scontata. Forse lo scriba si aspettava di più; forse anche noi vorremmo una risposta più entusiasmante. Ma poi, a pensarci bene, lo sappiamo che perché la vita sia degna di essere vissuta non bastano ricchezza e successo. Ci vuole che il cuore sia riempito da una forza, da una convinzione che guida le azioni e che, facendoci stare bene, fa star bene gli altri. Donare sé stessi non fa parte della logica del mondo certo. Si avrà l’impressione di nuotare contro corrente. Ma nel fiume solo i pesci morti seguono la corrente. Don Umberto Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

“La Via” raccolta 2018


Domenica 11 novembre 2018 TUTTO

(Mc 12,38-44)

C’è da restare sorpresi se si fa caso a quante volte ritorni l’avverbio TUTTO nei Vangeli di queste domeniche. Qualche settimana fa c’era il giovane ricco a cui Gesù disse di vendere TUTTO quello che aveva. E poi l’apostolo Pietro che disse al Signore “noi abbiamo lasciato TUTTO e ti abbiamo seguito”. Domenica scorsa il primo e più grande di tutti i comandamenti: amerai il Signore Dio con TUTTO il tuo cuore…. E oggi la povera vedova che getta nel tesoro del tempio TUTTO quanto aveva per vivere. Sembra un ritornello tambureggiante che ti lascia in pace solo se non ci fai caso. Altrimenti la sensazione è la stessa che si ha in macchina quando non ci si allaccia la cintura. Un suono fastidioso e continuo che ti costringe comunque a fare qualcosa. Cosa facciamo noi di fronte a questo “TUTTO” evangelico? Fa paura pensare ad una simile radicalità: se diamo tutto cosa rimane per noi? Perché non ci facciamo invece un’altra domanda: se dessimo tutto è possibile che Dio si dimentichi di noi? E siamo cosi riportati alla sostanza reale delle cose. E’ una questione di fede. Di pura, unica e semplice fede. E di cuore. La vedova di cui parla il Vangelo è una donna che agisce con tutto il cuore. Fa una cosa non logica, insensata, addirittura non realistica. E non conosce neppure il seguito del suo dramma. Neppure noi sappiamo come va a finire la sua storia, come farà a vivere. Certo con un gesto del genere ella sembra provocare Dio e dirgli “sei con me si o no?”. Ora, in effetti, tocca a Dio pensare a lei. Noi intravediamo in quel gesto un anticipo della croce di Gesù. E la cosa ci manda in crisi ancora di più. Ma forse non ci fa bene pensare ai gesti eroici. Più efficace, spiritualmente parlando, guardare in faccia giorno per giorno ciò che abbiamo da fare. Per farlo con TUTTO l’amore possibile. Don Umberto

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

“La Via” raccolta 2018


Domenica 18 novembre 2018 TRA L’ANSIA E LA FEDE

(Mc 13,24-32)

L’anno liturgico va verso la sua conclusione e la liturgia ci propone un testo evangelico che ha già il sapore di Avvento. Nel senso, evidentemente, del modo originario di intendere l’Avvento: un tempo, cioè, per preparare non la prima venuta di Gesù sulla terra ma la seconda e ultima venuta, alla fine dei tempi. All’inizio le cose stavano proprio così e la riflessione sulla fine del tempo è stata il tratto dominante dell’esperienza cristiana. Al loro destino finale nella gloria o nella sofferenza ci credevano realmente. Poi si è passati a concentrarsi sul presente; a torto o a ragione la meditazione e l’orientamento della vita alla realtà ultima e definitiva è stato messo da parte. Forse anche il cristianesimo ha la sua colpa di fronte a questo asfittico appiattimento sul presente che viviamo oggi. Ci concentriamo sul presente, salvo poi accorgerci che esso non ci appaga, anzi il più delle volte ci delude e ci fa proiettare proprio nel futuro il bisogno di felicità. Ciò che facciamo, ciò che viviamo rivela presto il suo carattere fragile, quasi effimero e allora immaginiamo una situazione futura che ci possa fare stare meglio: un evento, un incontro, un tempo di riposo…. Puntualmente quando questi momenti arrivano, non riescono poi a riempire le attese del nostro cuore. La traccia che lascia questo è una leggera ansia (a volte non tanto leggera) che accompagna tanta parte della nostra vita. Anche senza divenire patologica essa è come un rumore di fondo fastidioso che ci segnala qualcosa che non va. Di questa angoscia, di questa ansia parlano le letture di oggi. Il Vangelo soprattutto. Ci regala la certezza che questi momenti di estrema difficoltà sono l’occasione per volgere lo sguardo a Colui che solo può portarci la salvezza. Le tranquille sicurezze su cui abbiamo basato la nostra vita potrebbero anche finire. Anzi, finiranno. C’è una precarietà congenita nell’esistenza. Le tribolazioni e l’ansia che sgretolano le nostre certezze devono essere guardate e riconosciute come la prossimità di Dio, della Sua presenza che salva. E che libera da false inquietudini. Don Umberto Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

“La Via” raccolta 2018


Domenica 25 novembre 2018 NON DI QUESTO MONDO

(Gv 18,33-37)

La notte ha decisamente il suo fascino. Per molti, tutti forse, difficile da cogliere perché fortunatamente è il tempo del riposo. Come faremmo senza il riposo notturno? Ciò non toglie che nella notte c’è una vita, una forma di vita completamente diversa, misteriosa e creativa. Non a caso la notte è il tempo degli artisti, dei poeti, degli innamorati. Tanti filosofi dividono anche la storia in cicli che si susseguono alternando epoche notturne ad epoche diurne. L’epoca notturna è quella della passione e del mistero, del sentimento e della fede. L’epoca diurna è quella della razionalità e delle idee, dove tutto è chiaro, logico e trattabile. Nelle prime due letture di oggi le cose avvengono di notte. Sia il profeta Daniele che l’evangelista Giovanni hanno visioni notturne. E nella notte vedono la verità delle cose, capiscono il senso della storia e degli avvenimenti. Non lo capisce invece Pilato che interroga Gesù e lo fa in pieno giorno. Sta di fronte al Signore come chi ha un potere su di lui, come chi vive appunto di assoluta razionalità; con questa visione Gesù è un povero condannato e lui, Pilato, un re. Sarà sua moglie ad avere una visione di Gesù e la avrà di notte. E dirà a Pilato di non condannare quel giusto. Sua moglie, di notte, coglie la verità su Gesù e la verità delle cose. Per penetrare nel mistero della regalità di Gesù occorre quasi l’oscuramento delle finzioni della vita terrena di cui siamo imbevuti. Bisogna quasi chiudere gli occhi alle cose della terra e smettere di esserne affascinati. Per questo Gesù, dialogando con Pilato, dirà “il mio Regno non è di questo mondo.” La vita tutta di Gesù non è di questo mondo, cioè non obbedisce alle sue logiche. È così difficile per noi entrare nella notte e rimanervi? È difficile pensare di non ragionare come tutto il mondo ma di avere altre priorità? Per capire chi è il nostro Re basta vedere quali sono le nostre priorità. Tante volte, anche se noi le riteniamo tali, esse non lo sono affatto. Sono fragili, effimere, deludenti. Sono diurne. Solo Cristo non delude. Don Umberto Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

“La Via” raccolta 2018


Domenica 2 dicembre 2018 SANTA LEGGEREZZA

I di Avvento (Lc 21,25-28.34-36)

Inizia il tempo di Avvento e ci aspetteremmo parole più dolci. Parole che parlino sì di attesa, ma l’attesa trepida di qualcosa di piacevole. O l’attesa emozionata dell’amato che attende l’amata. In fondo non dobbiamo prepararci al Natale? Non dobbiamo rivolgere i cuori all’incarnazione del Verbo? E allora perché la pagina inquietante di oggi? Perché questo tono apocalittico che incute timore all’inizio di questo tempo liturgico? Credo che la liturgia voglia rammentarci che il timor di Dio non lo dobbiamo smarrire. Non dobbiamo perdere di vista una relazione con Lui fatta di riverenza e serietà. Le esigenze del Vangelo sono forti e il rapporto con Dio non va preso sottogamba. E se l’appuntamento che ci attende ci genera ansia, forse questa è anche benefica, ci tiene in tensione, una tensione spirituale che ci permette di non rammollirci. Nell’arco di tre domeniche è la seconda volta che la liturgia usa queste immagini. Come lo sapesse che i nostri cuori tendono invece a rallentare, a raffreddarsi, anzi ad appesantirsi. Proprio questo verbo viene usato nel Vangelo: i cuori si appesantiscono quando gli affanni della vita non permettono più di procedere leggeri e agili incontro al Signore che viene. Ci sono affanni inutili che distraggono dall’essenziale, così che anche una vita onesta, se disattenta e dispersa in troppe cose, può alla fine risultare vuota. San Paolo, nella seconda lettura, dà una indicazione precisa per realizzare questa leggerezza dei cuori che in fondo è una forma di stabilità. Egli scrive: “abbiate cura di crescere e abbondare nell’amore vicendevole e verso tutti”. Solo l’amore consentirà di riconoscere il giorno della venuta del Signore come un giorno atteso. E permetterà che nella Sua venuta finale non sarà ridotto a nulla tutto ciò che è oggetto di affetto e cura nella nostra vita presente. Buon Avvento a tutti! Don Umberto

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

“La Via” raccolta 2018


Domenica 9 dicembre 2018 SEMPLICEMENTE LA PAROLA

II di Avvento (Lc 3, 1-6)

Come si rivela a noi la Parola di Dio? Come ci viene incontro? Per lo più la ascoltiamo in chiesa o nella catechesi e qualcuno ce la spiega. Altre volte la Parola diventa un evento, un fatto o un episodio della nostra vita con cui Dio si fa vicino e ci parla. Ma ciò che accadde a Giovanni al Battista fu davvero singolare. Di questo narra il Vangelo di oggi. La Parola “scese su di lui nel deserto”. Scese verticalmente quasi piovendo dal cielo, senza alcuna mediazione. Senza bisogno di chi la spiegasse o annunciasse. Senza bisogno di fatti o avvenimenti clamorosi. Ma una parola che cade così dal cielo su una persona non rischia di rendere quella persona eccentrica, particolare, troppo staccata dalla realtà? Non rischiano poi le parole del Battista di suonare troppo lontane o astratte? Sorprendentemente no. Anzi, la voce del profeta propizia un vero prodigio: molti escono dalla città e si raccolgono in quel luogo deserto. Quella Parola li attira, ed essi tornano ad essere un popolo. La città li aveva resi duri e insensibili, ciascuno chiuso sui suoi problemi, il deserto li fa sentire solidali e uniti. È la Parola, piovuta dal cielo, ad operare tutto ciò. Bisognerà pur alzarli quindi gli occhi al cielo. Non per sospirare, ma per volgere il cuore a quella Parola così diversa dalle altre, così unica e solo inizialmente lontana. Questa Parola ci salva. Perché ci dà una direzione e un senso. Oggi essa ci ripete che Dio spiana le montagne per far procedere sicuro il suo popolo. Per chi ha ascoltato questa Parola, per chi ad essa si ispira, le difficoltà non sono mai insormontabili. Dio dà continui segni della sua presenza che tocca e scalda il cuore. Sorprendono le parole di S. Ignazio di Loyola secondo il quale la consolazione è normale mentre la desolazione è anormale. Ma sono vere! Dio si compiace delle persone, dei suoi figli, di coloro che ascoltano la sua Parola. Soprattutto se lasciano il frastuono della città per andare nel deserto. Don Umberto

Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

“La Via” raccolta 2018


Domenica 16 dicembre 2018

III di Avvento

PRENDERSI UNA PAUSA

(Lc 3, 10-18)

Sembra quasi che la liturgia ci voglia offrire una pausa. I temi dell’Avvento (impegno, preghiera, carità) si fermano per lasciar posto al tema della gioia. Domenica “in laetare” viene detta infatti quella di oggi. Certo è che per prendersi una pausa da un’attività bisogna pur averla iniziata. A te che mi leggi quindi chiedo: lo hai veramente iniziato l’Avvento? Ha avuto sì un inizio ufficiale, ma per te, per il tuo stile di vita e le tue cose di ogni giorno, è stato Avvento sino ad ora? Hai pregato di più? Hai fatto un gesto di carità che normalmente non fai? L’ impressione, dì la verità, è di non averlo ancora iniziato. La sensazione è che questi giorni stiano scorrendo uguali a tutti gli altri, se non che si pensa al Natale per le sue solite dinamiche pagane. E allora sì, forse hai davvero bisogno di una pausa. Prenditi una pausa dalla superficialità e dalla leggerezza che ti fanno mettere il tempo di Avvento tra le cose secondarie. Prenditi una pausa dalla fretta. Come sempre il periodo sotto Natale accelera tutto. Tutti corrono, tutti hanno urgenze e scadenze da rispettare assolutamente. Tutti sprintano, magari senza capire bene verso dove stanno andando. Prenditi una pausa dal rumore. Quello che stai causando tu stesso, quello interiore che sta nella tua testa, quello che ti sorge allorché temi di stare in silenzio . Il silenzio in fondo è l’unica condizione per entrare in contatto con gli altri. Perché dove non c’è silenzio non c’è ascolto. E allora prenditi anche una pausa dalle parole inutili. Non solo quelle verbali. Anche quelle on-line. Quella frenesia di dire la tua che magari non aggiunge niente di buono ad una comunicazione. La pausa, come vedi, ci vuole. Ma non te la può imporre nessuno. Nasce dal tuo reale desiderio di cambiare. Quello che avevano le persone che si rivolgevano a Giovanni il Battista. Ne parla il Vangelo di oggi; vanno da lui e gli chiedono: “cosa dobbiamo fare?” Per la maggior parte di noi è difficilissimo immaginarci diversi da quello che siamo. E questa percezione negativa ricade anche sulle scelte quotidiane: “non posso cambiare vita, non posso trovare il tempo, non posso modificare le cose…”. Ma ne sei sicuro? E Dio non potrebbe farlo? Natale si avvicina certo; ma del tempo di Avvento hai ancora qualche giorno a disposizione. Don Umberto Parrocchia “S.Teresa Benedetta della Croce”

“La Via” raccolta 2018


LA VIA RACCOLTE Bibliografia: Raccolta 2008

“Lungo la Via del Vangelo “

Raccolta 2009

“In Cammino con la Parola “

Raccolta 2010

“Tracce di un cammino “

Raccolta 2011

“La parola che apre alle parole “

Raccolta 2012

“Ascoltate e vivrete “

Raccolta 2013

“Una parola ha detto Dio, due ne ho udite”

Raccolta 2014

“Radunati dalla Parola”

Raccolta 2015

“L’eco del silenzio. Il suono della Parola ”

Raccolta 2016

“Udimmo parole di misericordia”

Raccolta 2017

“Un mosaico di parole”

Raccolta 2018

“Comunità in ascolto”

tutte le raccolte sono consultabili su sito al seguente indirizzo : www.parrocchiaroveleto.it


grafica C.& C.


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