LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
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COMUNE DI RIPACADIDA
COMUNE DI RIPACANDIDA AttivitĂ di promozione e valorizzazione del Santuario di San Donato in occasione della Festa di San Donato a Ripacandida
Committente : Comune di Ripacandida ( Pz) Fonte di finanziamento: DGR Basilicata n. 980/2014 Si ringrazia la Pro Loco di Ripacandida per il materiale reso disponibile
Redazione a cura di
Nicola Tricarico contributi di
Padre Pasquale Magro Gianni Petrelli
Progetto e coordinamento editoriale
Upping Adv di Roberto Trotta Via San Francesco, 57 - Manfredonia (Fg) www.upping.it copertina
Dio crea gli uccelli e i pesci (particolare) Layout grafico e impaginazione
Roberto Trotta Š 2014 Tutti i diritti sono riservati.
retro di copertina
San Francesco che riceve le stimmate (particolare) a fianco
Veduta panoramica di Ripacandida
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Gli affreschi di San Donato sono il tesoro nascosto da salvaguardare, da conoscere, da valorizzare. La crisi che stiamo vivendo non è un momento di transizione, è essa stessa l’inizio di una nuova era. Dopo quella del consumismo si prospetta, anzi si impone l’epoca della valorizzazione delle risorse. E’ stato già fatto tanto negli ultimi anni! Il Gemellaggio del Santuario con la Basilica di San Francesco in Assisi e il Patto di amicizia tra i due Comuni sono il punto di partenza di un progetto che la Pubblica Amministrazione, che ho l’onore di rappresentare, intende perseguire e sviluppare, nella convinzione che le risorse immateriali siano quelle più autentiche e durevoli. Tra queste la bellezza dei nostri affreschi rappresenta un capitale inestimabile per Ripacandida e per il nostro territorio. Individuato dall’UNESCO come “Monumento testimone di una cultura di pace”, il Santuario di Ripacandida è anche punto di riferimento mondiale, in un contesto storico in cui l’incontro fra le etnie e le culture rischia di diventare uno scontro fratricida. Faremo di tutto - è questo l’impegno della Pubblica Amministrazione - per non disattendere questa finalità: fare di San Donato e dei suoi affreschi un polo di richiamo internazionale del pellegrinaggio turistico-culturale e religioso, per mostrare al mondo i nostri “gioielli” immateriali, racchiusi in una piccola chiesa - è vero - ma che stupisce immancabilmente qualunque visitatore, credente o non credente, senza distinzione di età, di cultura, di etnia.
Vito Antonio Remollino Sindaco di Ripacandida
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LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
C’è sicuramente più di una ragione per cui questo Santuario ha goduto nel passato di una “cura” così straordinaria, che non trova sempre riscontro nell’interesse che ormai da alcuni decenni gli riservano le istituzioni culturali, le pubbliche amministrazioni, i mezzi di comunicazione e persino la Chiesa. Una di queste ragioni è sicuramente la marginalità, più che geografica, mentale rispetto ai più altisonanti santuari della cultura consumistica e affaristica dei nostri tempi. Un buon capitano d’azienda forse riuscirebbe a collocare San Donato ai primi posti fra i grandi itinerari turistico-religiosi. Ma occorre fare di più. Il Santuario non può essere deprivato della sua autenticità, della capacità di creare stupore, di sedurre il visitatore in preghiera e di inculcargli una sensazione di benessere spirituale, non provocato dalla magnificenza delle strutture architettoniche o dalla preziosità delle suppellettili, ma generato dalla Parola eterna, raccontata con semplicità ed efficacia nei suoi affreschi, “con gli occhi di Giotto, le mani di Nicola da Novi e il cuore di Francesco d’Assisi”. Essa racconta le “meraviglie di Dio” nella natura e nell’uomo, parla di peccato e di redenzione, di conflitto e di riappacificazione, di diavoli e di santi, racconta insomma le opere dell’uomo e quelle di Dio, racconta la storia della salvezza, e propone una terapia rivoluzionaria e infallibile per tutti i mali del nostro tempo, uno stile di vita: quello della spiritualità francescana. Dio benedica tutti coloro che si adoperano perché il Santuario di San Donato possa sempre meglio diffondere questo messaggio evangelico, in modo particolare attraverso la bellezza dei suoi affreschi.
don Francesco Consiglio Parroco di Ripacandida LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
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Il pellegrino in preghiera che varca la soglia del Santuario di San Donato e solleva il suoi sguardo è pervaso da un profondo senso di stupore, una sorta di estasi, di fronte alle singolari opere dell’arte sacra, ma soprattutto nella contemplazione delle opere di Dio e dei Santi, a partire dalla resurrezione di Gesù e dal sepolcro vuoto sui primi due pilastri, all’ingresso della chiesa. Solo alla luce e in vista del mistero della Pasqua, che è la passione-morte-resurrezione di Cristo, si comprendono e si contemplano le opere di Dio, dalla creazione del mondo e dell’uomo fino alle storie dei Santi. Una straordinaria catechesi, quella di San Donato, che affascina chi vi entra per la prima volta, ma seduce irresistibilmente anche quelli che conoscono bene questa chiesa. E non basta l’occhio dell’uomo per comprenderla questa catechesi, occorre lo sguardo della fede, quella vissuta ed espressa da chi ci ha consegnato questo scrigno prezioso, e praticata umilmente e quotidianamente da chi ora si impegna nel custodire, valorizzare e tramandare questo straordinario patrimonio. La presenza in questo Santuario della Reliquia del corpo di San Francesco non solo lo impreziosisce ulteriormente, ma costituisce motivo di impegno evangelico, nella preghiera e nelle opere di carità. La Lampada di San Francesco, anch’essa donataci dalla Comunità del Sacro Convento di Assisi, vuole rappresentare visibilmente questa cura alla quale, in particolare noi Suore Francescane Missionarie di Gesù Bambino, ci dedichiamo dal 1894, in questo Santuario. L’UNESCO lo ha riconosciuto nel 2010 “Monumento messaggero di una cultura di pace”. E la nostra “perfetta letizia” è sperimentare giorno per giorno lo spirito di Assisi, quello che promana inequivocabile dalle volte e dalle pareti affrescate di questo Santuario, la consegna perenne di San Francesco, l’auspicio accorato per tutti di pace e di bene!
Sr. Rosa Di Falco FMGB Responsabile pro tempore del Santuario di San Donato
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LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
La Pro Loco di Ripacandida, in particolare in quest’ultimo decennio, ha svolto la sua attività principale nella direzione della valorizzazione del patrimonio storico-culturale, individuando nella tradizione della fede popolare e nella cultura contadina le principali strade da percorrere per risvegliare le coscienze verso le bellezze sommerse e dimenticate presenti nel nostro territorio. Nel piccolo centro del Vulture, dal XII secolo, è presente il Santuario dedicato a San Donato. Annesso alla chiesa vi è un convento che ha visto la presenza dei Francescani, che ai primi del Cinquecento hanno arricchito il Santuario di preziosi affreschi che narrano le Storie dell’Antico e del Nuovo Testamento. Esso oggi è ancora custodito con premura dalle Suore Francescane Missionarie di Gesù Bambino. Negli ultimi anni, il Santuario di San Donato a Ripacandida e i suoi preziosi affreschi hanno guadagnato la ribalta regionale e nazionale, grazie alle molteplici iniziative dell’Associazione Pro Loco. Queste iniziative hanno avuto e continuano ad avere il loro culmine nel Gemellaggio fra la Chiesa di San Donato e la Basilica di San Francesco in Assisi. Le attività che in questi anni ci hanno permesso di diventare un riferimento concreto per i visitatori che arrivano nel Vulture e nella Basilicata sono state realizzate con grande passione dalla Pro Loco con il coinvolgimento di altri Enti, in particolare l’Amministrazione Comunale, la Comunità Montana del Vulture, la Provincia di Potenza, la Regione Basilicata, l’A.P.T., il Gal, il Club UNESCO del Vulture, la Sovrintendenza ai Beni Artistici e Monumentali di Basilicata. Siamo consapevoli di quanto manchi ancora per far conoscere e fruire adeguatamente il nostro territorio e i suoi tesori nascosti. Per questa ragione la Pro Loco di Ripacandida si adopera senza riserve, nel solco della più proficua sussidiarietà, per ideare e realizzare o collaborare a progetti di promozione del Santuario di San Donato, grata verso chi incoraggia e sostiene questo sforzo di valorizzazione del patrimonio della nostra Comunità.
Gerardo Cripezzi Presidente della Pro Loco di Ripacandida LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
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La chiesa di San Donato
Nella pagina accanto Dio crea gli uccelli e i pesci (particolare)
Nicola Tricarico
I documenti La prima notizia riguardante la chiesa di S. Donato e la stessa Ripacandida è quella registrata nella bolla di Eugenio III, indirizzata al vescovo della diocesi di Rapolla, Ruggiero, nel 1152, con la quale il Papa accoglie sotto la diretta protezione pontificia quella diocesi e, precisandone la circoscrizione, ne enumera le chiese e i possedimenti.1 Non disponiamo di alcuna fonte che ci riferisca sulle vicende della Chiesa di S. Donato per il periodo che va dal 1152, anno della bolla di Eugenio III, al primo quarto del secolo XIV. Nelle “Rationes decimarum Italiae” della diocesi di Rapolla dell’anno 1325, infatti, è registrata quella dovuta “pro ecclesia S. Donati de Ripacandida”2. Nel 1325 S. Donato era solo una ‘ecclesia’, senza alcun monastero annesso, e detta Chiesa, “quo consuevit esse de mensa dicti domini episcopi rapollensis”, ora è affidata a un chierico “per dominum papam”. Questo mutamento nella amministrazione di S. Donato, registrato nel documento in questione, sarebbe certamente privo di significato se non fosse messo in relazione ad alcune vicende relative a Bernardo de Palma, vescovo di Rapolla in quegli anni, e precisamente dal 1316 al 13423. Pare che il Vescovo Bernardo abbia fatto un uso poco limitato del suo potere, e che i rapollani abbiano più volte chiesto l’intervento del Vicario del Regno, Carlo, figlio di Roberto, contro gli abusi svariati del vescovo ai loro danni. Finché, l’8 novembre del 1321, Carlo invia una lettera al “Venerabile Bernardo Vescovo di Rapolla” elencandogli i soprusi di cui veniva accusato (tra l’altro lo si incolpa di affidare la riscossione delle decime a funzionari poco scrupolosi) e, concludendo, lo ammonisce: “perché è bene voi non dimentichiate, e noi teniamo a ricordarvelo, che la tutela de’ sudditi, sempre che LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
essi sian lesi o offesi, ci è sommamente a cuore. E Voi della potenza di nuocere avete finora anche troppo usato”4. È chiaro, pertanto, il motivo per cui la chiesa di S. Donato è posta amministrativamente sotto la giurisdizione pontificia: probabilmente era divenuta già un importante santuario, certo una fonte cospicua di guadagni e quindi occasione di intrallazzi amministrativi, e gli abitanti di Ripacandida – o quelli che comunque erano legati alle vicende della chiesa – avevano ottenuto un gran privilegio qual era quello di essersi svincolati dalla giurisdizione vescovile, per quanto riguardava S. Donato, e di dipendere direttamente dal Papa. Questo cambiamento dovette avvenire, quindi, negli anni tra l’elezione di Bernardo a vescovo di Rapolla, nel 1321, e il 1325, l’anno stesso a cui si riferisce la decima. Fatte queste considerazioni, non pare fuori posto la insistenza con la quale viene chiuso l’argomento “S. Donato” nel testo della decima: quest’ultima è posta “sub ecclesiastico interdicto” e, ancora, “nihil potuit habere de fructibus ipsius ecclesiae ad presens”5. Dal 1325 fino ai primi del secolo XVII, nulla si conosce di documentato sulle vicende relative a S. Donato, e di Ripacandida si sa poco, quasi niente. Nel 1602, a Terlizzi, si tiene un Capitolo provinciale dei Minori Osservanti della provincia di S. Nicola. Vi presiede il Padre Ludovico da Campagna. Tra l’altro si decide di istituire una comunità degli stessi minori a Ripacandida 6, dove pare che nel 1605 i Francescani fossero già giunti e dessero inizio alla costruzione del convento accanto alla chiesa 7. A parte il periodo successivo all’apertura del Convento, periodo che pare sia stato pieno di operosità, ed in cui vanno inserite le costruzioni degli altari ancora esistenti sul posto e, probabilmente, anche del Campanile, nei 11
Dio crea la Terra (particolare)
Gli studi sulla chiesa
secoli successivi, quella di S. Donato dovette essere certamente una comunità molto povera a giudicare dai pochi arredi sacri e dalle suppellettili inventariati nel 1808 dal Delegato dell’Intendenza di Basilicata Decio Lioj; a quell’epoca il convento non ospitava che 8 cinque frati . Con il ‘Regio Decreto per la Soppressione delle Congregazioni Religiose’ del 7 luglio 18669, vengono cacciati anche i Minori di S. Donato: erano dodici i frati che ne costituivano la comunità10. In seguito al citato decreto, i conventi, eccetto le chiese, venivano a far parte del Demanio dello Stato, oppure concessi ai Comuni che ne avessero fatta espressa richiesta11. L’evacuazione dal convento di S. Donato dovette certamente avvenire entro il 31 dicembre del 1866, termine improrogabile per l’esecuzione del Decreto di Soppressione12. Il convento, di proprietà del Comune di Ripacandida, venne nel 1894 affidato alle Suore Francescane Missionarie di Gesù Bambino13, che lo abitano tuttora e che hanno in cura la chiesa di S. Donato. 12
La più remota pubblicazione che si occupi delle vicende storiche di S. Donato, e precisamente della costituzione della comunità minoritica a Ripacandida nel 1605, è quella di fra’ Bonaventura da Fasano del 165614. Quasi alla lettera, la notizia riportata dal frate Bonaventura, è ripetuta nel 1860 da Padre Stanislao Melchiorri nella sua “continuatio” agli “Annales Minorum” di Lucas Wadding15, e poi da Gennaro Araneo, storico melfese, nel 186616. Ma sono certo utili al nostro proposito gli studi e le raccolte di documenti, pressoché inediti, sul Vulture, che Giustino Fortunato pubblicava agli inizi del se17 colo (1904) e che Tommaso Pedio riuniva nel 1968 per la maggior parte nei tre volumi “Badie feudi e baroni della valle di Vitalba”18. Nel terzo volume il Pedio riportava ampie relazioni sulla via religiosa e civile della regione, completando le notizie del Fortunato. Estraneo rimane tuttavia, per il Fortunato prima e per il Pedioin seguito, qualsiasi interesse per le vicende artistiche di S. Donato. Nel 1925 Primaldo Coco, pubblicando “I Francescani nel Salento”19, ci dà notizia del Capitolo Provinciale dei Minori Osservanti tenuto a Terlizzi nel 1602, in cui - ci riferisce - fu approvata la fondazione di quattro nuovi convenuti tra i quali quello di Ripacandida. Alla pubblicazione del 1939 a cura di Domenico Vendola20 dobbiamo la conoscenza di una data ben precisa, quella del 1325, riguardante la decima dovuta “pro ecclesia S. Donati de Ripacandida”. Su questi termini cronologici si basano le considerazioni degli studiosi nel proporre una datazione della chiesa: “... la bolla del Papa Eugenio III del giugno 1152... taglia netto sulla questione... la sua struttuLA BIBBIA DI RIPACANDIDA
Dio crea Eva (particolare)
ra ogivale bisognerà attribuirla senz’altro all’arte bizantino-pugliese con influssi arabi dei secoli X e XI”21. Così si legge nel lavoro inedito su Ripacandida di suor M. Stella di Bethlem del 1957. Giuseppe Gentile22, invece, nella monografia sulla chiesa di S. Donato, del 1969, curandone la parte storica, sostiene che “la forma ogivale della chiesa ci richiama allo stile gotico con influsso arabo”23, ed avanza rapporti con il monachesimo benedettino e, per esso, con i Verginiani della Riforma e S. Guglielmo da Vercelli “che nel 1107 peregrinò nelle nostre contrade fondando numerosi monasteri”24. La pubblicazione di Padre Doroteo Forte del 1973, sui Francescani in terra di Bari25, ci illumina ancor più sulle vicende del Convento di S. Donato per tutto il periodo in cui è in esso la comunità dei Frati Minori, dalla sua istituzione nel 1605, alla soppressione nel 1866. La tesi di laurea del 1999 della dott.ssa Maria Curto 26 rileva una “sorprendente corrispondenza tra l’unitarietà e la chiarezza compositiva della struttura architettonica del convento e della chiesa di San Donato e l’unitarietà e la chiarezza espressiva dell’intero complesso organico del ciclo pittorico di Ripacandida. Ciò induce a supporre che l’originario impianto compositivo di quest’ultimo sia stato ordito da un unico artista [...] in una corale armonizzazione d’insieme [...]27. Già la Barbone Pugliese aveva osservato, nel 1984, che “una siffatta disposizione iconografica si traduce coerentemente in una figurazione architettonica che aspira ad una spazialità unitaria, contenuta nei limiti dell’edificio”28 Infine il prof. Sabino Iusco, nel suo intervento del 1999 non ha dubbi sulla originaria destinazione della chiesa ad una comunità francescana, per la presenza della serie di Santi effigiati nelle pilastrate, ma suppone che essa sia sorta su una chiesa LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
preesistente, attestata dalle “Rationes decimarum” del 1325 e dalla bolla di Eugenio III del 1152. In assenza di documenti per la datazione della chiesa attuale lo Iusco ipotizza che l’affrescatura interna abbia seguito di poco l’ultimazione della struttura muraria, e fa risalire pertanto quest’ultima ai primi anni del XVI secolo.29 Anche la dott.ssa Rosa Villani, in una delle “Schede di documentazione” per il Consiglio Regionale di Basilicata, la n° 20 del novembre 1999, riassume efficacemente: “L’attuale chiesa francescana di San Donato sorge, forse al principio del ’500, su un preesistente edificio religioso, che il pontefice Eugenio III, nella bolla indirizzata nel 1152 al vescovo di Rapolla, Ruggero, elenca come prima nella parrocchia di Ripacandida tra le chiese di pertinenza di Rapolla e che le “Rationes Decimarum” dell’anno 1325 affidano ad un chierico.” 30 13
San Francesco riceve le stigmate (particolare)
Gli studi sugli affreschi Una prima relazione è del 1932 ed è dovuta ad Edoardo Galli, allora Soprintendente di Reggio Calabria, in un articolo pubblicato in seguito ai restauri promossi nel 1932, dopo il terremoto del 1930 31. Il Galli, dopo aver definito la chiesa di origine francescana, fa risalire gli affreschi al secolo XVIII, inquadrandoli in un movimento di “risveglio” artistico, sorto in Lucania tra il XVII e il XVIII secolo. E’ del 1964 l’analisi del prof. Adriano Prandi, che propone la datazione degli affreschi alla prima metà del XV secolo, definendo il ciclo pittorico di S. Donato come “un’opera conseguente alla pittura tardo-gotica”32. Ed è dalle osservazioni del Prandi che prende le mosse Vittorio Bellucci nel volumetto su S. Donato scritto in collaborazione col Gentile che ne curava la parte storica. Il prof. Bellucci, nelle conclusioni, attribuisce la Creazione del Mondo e le storie del Vecchio Testamento ad una sola mano o ai disegni di uno stesso autore33; avanza anche con qualche perplessità l’ipotesi che l’autore del primo e del secondo gruppo (Genesi e Storie del Vecchio Testamento) sia lo stesso del quarto gruppo, quello dei santi dei pilastri, a causa di qualche sorprendente analogia, per esempio fra la testa del “San Francesco che riceve le stimmate” e quella di “Caino che fugge dinanzi all’Eterno”, e suppone che “il pittore lucano, dopo aver realizzato le due prime narrazioni, sia emigrato e quindi, tornato in patria, vi abbia riversato i frutti di un insegnamento che lo hanno fatto progredire nel gusto e nella tecnica, ma gli han tolto gran parte della originalità che scaturiva dal suo ingegno” 34. Alle “Storie di Gesù” il Bellucci assegna un carattere artigianale e di non buona lega 35; ma avverte che essi “han tutto l’aspetto di essere dei rifacimenti 14
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su più antichi manufatti”36. E, nell’attesa dei restauri, il Bellucci sospende il giudizio anche sulla scena dell’Inferno. Inserisce il “Gesù trionfante” della prima nave a sinistra di chi entra nei canoni del miglior rinascimento italiano, assimilandolo al quarto gruppo, quello dei santi sui pilastri37. Le “storie di santi Abati”, il quinto gruppo, “sembrano appartenere – scrive ancora Bellucci – all’autore dei Re Magi per la rozzezza con la quale sono condotte”38. A questo punto della storia degli studi, nel 1973, si inserisce la mia tesi su San Donato39. Essa, prima dei restauri, ipotizzava per le raffigurazioni originali del “Giudizio” e dell’”Inferno” una datazione che non oltrepassi la fine del Trecento. Per il “ciclo dei santi” e quelli “storici” (‘Genesi’, ‘Storie di Gesù’, ‘Storie di S. Antonio abate e di S. Paolo Eremita’) vedeva probabile una datazione ai primi decenni del secolo XV, includendo così la decorazione di S. Donato nel vasto movimento culturale e stilistico che dalle matrici napoletana e toscana prendeva corpo anche nella zona del Salento (i cicli “agiografico” e “mariologico” di S. Caterina in Galatina) e, oltre che ad Andria (“Storie della invenzione [ritrovamento] della Croce” e “Creazione di Eva” nella Cripta di Santa Croce), nella zona del Materano (le chiese rupestri). Caratteri distintivi di questa cultura apparivano, e non solo a S. Donato, un tessuto iconografico arcaizzante unito a un gusto naïf nella rappresentazione, espressione tipica di un gusto popolareggiante, forse provinciale, ma al corrente di quanto di più vivo andava accadendo nell’Italia centrale tra l’ultimo Trecento e il primo Quattrocento 40. Nel 1984 – dopo i restauri – il prof. Franco Noviello, presidente del Centro Studi di storia delle tradizioni popolari di Puglia e Basilicata, inseriva gli affreschi di Ripacandida in quel movimento artistico che si LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
era sviluppato, attraverso tutto il secolo XIV, fino agli inizi del XV nell’Italia centrale, e precisamente in Toscana e in Umbria, particolarmente per opera della scuola senese e giottesca, e che, in seguito, aveva esercitato particolari influenze nel Materano e nella zona del Vulture. Non mancano - continuava il prof. Noviello - presenze di moduli e schemi bizantini, segni di una inconfondibile eredità culturale testimoniata più diffusamente nella decorazione pittorica delle chiese rupestri.”41 Notevole, nel 1994, il contributo di Nicola De Blasi per la lettura delle scritte fatte apporre dai Frati Osservanti sugli affreschi con funzione esplicativa o di ammonimento, “per rendere più chiaro e più completo il proprio messaggio di evangelizzazione: la comunicazione tra i frati e il popolo, in genere messa in atto attraverso le prediche, era - scrive il De Blasi - come perpetuata negli affreschi; le parole scritte, anche se non potevano essere comprese da tutti, avevano una funzione sacrale simbolica, e insieme con il messaggio iconografico potevano di certo valere come un continuo memento.” 42. La dott.ssa Maria Curto, nella sua tesi di laurea del 1999, attribuisce “il ciclo delle pitture relative al Vecchio Testamento al XV secolo ed il ciclo riferito alle storie del Nuovo Testamento al XVI secolo, o più verosimilmente tra il XV e il XVI secolo.” 43Ritiene “possibile ricollegare gli affreschi più antichi (XV secolo) a quella koinè culturale che interessa tutta l’Italia centro-meridionale dei primi decenni del Quattrocento e assegnarli, pertanto, ad un ignoto umbromarchigiano, e quelli successivi (XVI secolo) ad un più modesto pittore lucano non ancora identificato, con evidenti manomissioni ottocentesche.”44 Tra i più autorevoli e recenti interventi si colloca quello di Sabino Iusco 45 in “Itinerari del sacro in terra lucana” del 1999. 15
Per lo Iusco “va subito notato che tra gli affreschi della terza e della seconda campata e quelli della prima vi è un netto stacco di stile e di tempi, oltre che di programmi, e si registra il subentro di almeno un nuovo pittore. [...]46 La seconda fase dei lavori potrebbe essere stata determinata da un evento sismico, con danni soprattutto alla prima campata. Certo è che ad essa seguì, a completamento, la realizzazione dei freschi sulle pilastrate, con santi francescani per i quali operò un raffinato pittore ben distinto dal livello medio del ciclo cristologico. La decorazione pittorica della chiesa si concluse verso la metà del ‘700 con ulteriori immagini di Santi francescani (San Diego, San Giacomo della Marca, San Giovanni da Capestrano, San Bernardino da Siena, Santa Agnese e Santa Chiara), presentati anch’essi sui pilastri ma a metà busto ed in finte nicchie con vistose conchiglie per calotta, e con schiere di putti angelici addensati nella fronte dell’arco trionfale [...] La stesura degli affreschi denuncia, quindi, almeno tre successivi interventi di pittori diversi, a prescindere da quello della metà del ‘700, dovuto al modesto Pietro Di Giampietro da Brienza, attivo sui pilastri e sulla fronte dell’arco trionfale.” [...] La “serie dei santi francescani che, trovandosi sulle pilastrate della navata, dovette essere realizzata dopo il ciclo biblico e quello cristologico.” Essa “include il brano più prestigioso di tutto il corredo pittorico della chiesa: l’Estasi di San Francesco [...] Eccetto, forse, che per la Santa Lucia - che ha abito francescano e reca quale attributo, oltre la coppa consueta con gli occhi, lo stilo che ha lasciato la ferita nella gola - la redazione dei santi è riconducibile ad un artista di notevole levatura. Questi, a nostro avviso, - sostiene lo Iusco - è Nicola da Novasiri, un pittore che a Senise nell’antico chiostro dei Minori firma e data nel 1513 un Cristo in Pietà, con nello sfondo i simboli della 16
Passione, affrescato accanto ad un’Eva impudica [...] A quella data Nicola risulta decisamente attardato su una cultura provinciale [...] Nicola esprime una schietta adesione al gotico internazionale con riferimento ai circuiti della Napoli aragonese e rimandi a Giovanni da Gaeta, come a dire ad una congiuntura iberico-fiammingo-marchigiana che fioriva nella capitale ma soprattutto nell’entroterra ai confini con la Basilicata. Raffronti ravvicinati lo legano al “Maestro di Teggiano” (1487), ma soprattutto al “Maestro di Miglionico”, che opera appunto a Miglionico (circa 1465) e ancora più a Matera (in Santa Maria de Idris, in San Pietro Caveoso, nella chiesa rupestre della Madonna delle Tre porte) . E non può escludersi, inoltre, per lui un’educazione o un esercizio miniatorio, rinvenibile nell’uso calligrafico della linea sottile a capello, ora scritta ora lumeggiata di bianco, che lo caratterizza a Senise. Individuare l’autore del ciclo cristologico, intervenuto a coprire vele e pareti della prima campata, non è agevole perché è discontinuo e spesso presenta cadute di qualità determinate dalla collaborazione di aiuti modesti. Questi, a nostro parere, - sostiene lo Iusco - è quell’Antonello Palumbo di Chiaromonte sul Sinni il cui nome è apparso solo di recente e casualmente in margine ad un affresco che in San Francesco a Pietrapertosa è rimasto nascosto, sin dal 1628, dalla tela con l’Immacolata di Francesco Guma [...] La data segnata sull’affresco è il 1498 [...]È quasi ovvio ipotizzare che a sua volta Antonello disponesse di aiuti. A loro è affidata la redazione dell’Inferno nella parete destra entrando. Qui si scatena la bizzaria del più esagitato espressionismo popolaresco, con scadimento di qualità ma con notevole estro nel sabba demoniaco intorno alla città di Dite ed abbondanti LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
Dio crea il sole e la luna (particolare)
didascalie per i vari tipi di reprobi. [...] Rimane ora da individuare l’identità del primo maestro, autore delle storie bibliche. [...] A noi preme – riferisce il prof. Iusco - [...] far notare quanto finora è stato trascurato, e cioè stranissime analogie e puntuali coincidenze istituibili fra l’ignoto autore degli affreschi dell’Antico Testamento e le opere di Nicola da Novasiri. [...] Queste considerazioni convergono sull’ipotesi che l’affreschista del Vecchio Testamento sia, intorno al 1506, lo stesso Nicola da Novasiri LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
in una fase iniziale della sua carriera. L’interruzione del ciclo biblico, da addebitarsi probabilmente a trauma sismico, avrebbe determinato l’intervento di Antonello, individuabile nel ciclo cristologico, tra il primo ed il secondo decennio del secolo. Con il successivo ritorno di Nicola, all’inizio del terzo decennio, si sarebbe infine affrescata sui pilastri la serie dei santi francescani.” 47 La tesi del prof. Iusco è ripresa e puntualizzata subito dopo (nov. 1999) da Rosa Villani , nel suo intervento 17
dedicato a Nicola da Novasiri.48 “Gli affreschi della prima campata, dipinti originariamente nel ’500, subirono, nel corso del XIX secolo, volgari ridipinture e manomissioni da parte di un ignoto e mediocre frescante che rispettò l’impianto compositivo cinquecentesco ma compromise definitivamente la resa formale delle opere e, oggi, alla luce del restauro, risultano essere complessivamente di qualità assai modesta. Certamente più originali e interessanti gli episodi biblici, le Storie di Sant’Antonio Abate e dei monaci eremiti, le raffigurazioni di S. Francesco che distribuisce la regola agli Ordini, della Pietà e dei Santi dell’Ordine francescano affrescati sulle pareti e sulle vele della seconda e terza campata e sui piloni della chiesa e anch’essi, in parte, ridipinti nell’800.” 49 La studiosa riconosce nelle storie bibliche della terza e della seconda campata “la mano di un pittore locale che, formatosi in una cultura tardo odorisiana, sembra risentire degli influssi pittorici e iconografici salentini derivati, per il tramite della presenza francescana, dal complesso di S. Caterina a Galatina (1419-1435) nel quale confluiscono, nella prima metà del ’400, stimoli napoletani, marchigiani, umbri e toscani. Un frescante che rappresenta le figure e le scene, con una tecnica quasi miniaturistica per il distacco netto dei colori e per la totale assenza di prospettiva, trasponendole dalla ciclicità rituale del mondo contadino ad un clima fiabesco che fa perno su uno spoglio paesaggio roccioso, che indugia sulla caratterizzazione degli uomini, degli animali, degli oggetti d’uso quotidiano, degli strumenti del lavoro manuale, ma anche sulla complicità emotiva che si instaura tra i personaggi del racconto, vestiti con abiti di foggia moderna e insolitamente differenziati nelle proporzioni in ragione della loro importanza. Un frescante - ricorda la Villani - che Sabino Iusco 18
individua come il maestro Nicola da Novasiri.50 Antonello Palumbo di Chiaromonte ha invece eseguito il ciclo cristologico della prima campata ed è l’autore della Madonna in Maestà di Pietrapertosa, con la data (1498) e la firma in margine all’affresco. Per il prof. Iusco “gli affreschi di San Donato segnano il momento di maggiore avvicinamento [di Antonello Palumbo] allo stile di Nicola: visi addolciti, vitini da vespa, scioltezza del disegno con marcatura della linea di contorno, resa prospettica, sia pure intuitiva, e ricorso a definizioni di ambiente, quali esterni con case balconate e bifore o interni chiesastici con slanciatissime colonne e pilastri.” 51 La Villani, infine, concorda con il prof. Iusco nel concludere che “l’afferscatura dei pilastri della chiesa di Ripacandida denuncia un momento successivo dell’attività di Nicola da Novasiri, con una data che impegna l’inizio del terzo decennio del secolo XVI. Vi si avvertono, infatti, ulteriori recuperi dalla capitale [...]”. 52 L’ultimo contributo agli studi del ciclo pittorico di san Donato è quello delle Edizioni “La Bautta” di Irsina 53. In esso, oltre a riprendere sostanzialmente l’intervento del prof. Iusco, si rileva in modo categorico che il Nicola da Novi della iscrizione che accompagna il “Vir dolorum” di Senise non può essere originario di Novasiri, così come già il Prandi e dopo di lui lo Iusco e gli altri studiosi lo avevano interpretato, in quanto Nova Siri si è chiamata Bollita fino all’Unità d’Italia. “E’ probabilissimo – conclude la pubblicazione delle Edizioni La Bautta – che [Novi] invece stia semplicemente per Novi Velia [in provincia di Salerno], divenuta tale dopo l’Unità d’Italia, dopo essere stata, appunto, semplicemente Novi, per secoli. Una corretta lettura dei dati forniti dalla lapide dirotta, quindi, in LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
Il peccato di Adamo ed Eva (particolare)
area campana la formazione dell’artista, rendendo anche più plausibile un percorso che, a cavallo fra XV e XVI secolo, dall’entroterra cilentano approda alla Basilicata.54 Ma credo anche che l’amore per la ricerca, il rigore dell’indagine scientifica non bastino per una vera lettura delle pitture di San Donato. Occorre che ci si accosti ad esse anche vedendole LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
come opere della fede, che siano lette come testimonianza di vita di una comunità religiosa, quella francescana in particolare, e di un popolo, il ripacandidese e lucano, che sentiva e ancora sente il bisogno di nutrirsi di autentica, alta spiritualità, come quella che promana evidente dalla catechesi perenne delle pareti di S. Donato.
19
Nella pagina accanto Volta della terza campata (particolare)
1.
2.
3.
4.
Ecco parte del testo della bolla: “... sub beati Petri et nostra tutela suscipimus... ut ... quecumque bona, quamcunque libertatem... iuste et cannonice possidet ac in futurum... poterit adipisci, firma tibi tuisque successoribus et illibata permaneant... (segue l’enumerazione delle chiese di Rapolla e dei casali vicini) ... Item omnes parrochias videlicet Ripa Candidam cum ecclesia sancti Donati, sancti Zacharie, santi Petri, sancti Gregori... (continua con le chiese di Vitalba) ...”. La bolla è riportata in uno strumento del 1551 della Curia di Melfi. Per il testo intero cfr. A. MERCATI, Miscellanea, Città del Vaticano, Poliglotta vaticana, 1946, pagg. 18-23. Cfr. Rationes decimarum Italiae nei sec. XIII e XIV, Apulia, Lucania, Calabra, a cura di D. Vendola, Città del Vaticano, Poliglotta Vaticano, 1939, pag. 152. Cfr. F. Ughelli, Italia Sacra, Venezia, Boleti, 1717, vol. VII, coll. 878 e segg.; G. Fortunato, Due nuovo vescovi della chiesa di Rapolla, Trani, Vecchi, 1903, passim. Per il testo della lettera di Carl, Vicario del Regno, al vescovo di Rapolla Bernando de Palma, vedi: G. Fortunato, Badie feudi..., cit., vol. II, pag. 216.
12. D. Forte, cit., pag. 148. 13. Suor M. Stella di Bethlem, Monografia storica su Ripacandida (PZ), inedito, del 1957.
di documentazione Ufficio del Sistema Informativo, 1999, pag. 1. 31
E. Galli, Danni e restauri a monumenti della zona del Vulture, in “Bollettino d’Arte”, a. XXVI, 1932, pag. 321 e segg.
32
A. Prandi, Arte in Basilicata, Milano, Electa, 1964, pag. 208 e segg.
33
Cfr. G. Gentile – V. Bellucci, cit., pag. 19
34
G. Gentile – V. Bellucci, cit., pag. 20
35
Ibidem, pag. 20
36
Ibidem, pag. 14
18. ID., Il castello di Lagopesole, Trani, Vecchi, 1902.
37
Ibidem, pag. 15
38
Ibidem, pag 17
19. ID., Riccardo da Venosa e il suo tempo, Trani, Vecchi, 1918.
39
N. Tricarico, La chiesa di S. Donato in Ripacandida, (tesi di laurea), Bari, a. a. 1972-’73
40
N. Tricarico, cit., pag. 86
21. G. Fortunato, Badie feudi e Baroni della valle di Vitalba, a cura di T. Pedio, voll. 1, 2, 3, Manduria, 1968.
41
F. Noviello, Storiografia dell’Arte Pittorica Popolare in Lucania e nella Basilicata, Venosa, 1984
19
P. Coco, cit., pag. 94.
42
20
Rationes decimarum..., cit., pag. 152.
N. De Blasi, L’Italiano in Basilicata, Ed. Il Salice, 1994
21
Suor M. Stella di Bethlem, cit.
43
M. Curto, cit., pag. 22
22
G. Gentile – V. Bellucci, Il ciclo pittorico di Ripacandida, Roma, Centro “Incontri per l’arte italica”, 1969.
44
M. Curto, cit., pagg. 22-23
45
S. Iusco, cit.
46
S. Iusco, pag. 169.
47
S. Iusco, cit., pagg. 169-177
48
R. Villani, cit.
49
Ibidem, pag. 2
50
R. Villani, cit., pag. 7
14. B. da Fasano, cit. 15. S. Melchiorri, Annales Minorum, continuatio, tom. XXIX, Ancona, cherubini, 1860, pag. 164. 16. G. Araneo, Notizie storiche della città di Melfi, Firenze, sodi, 1866, pagg. 178-179. 17. G. Fortunato, La Badia di Monticchio, Trani, Vecchi, 1904.
20. ID., S. Maria di Vitalba, Trani, Vecchi, 1898.
5.
Cfr. Rationes decimarum..., cit., pag. 152.
6.
Cfr. P. Coco, I francescani nel Salento, Taranto, Pappacana, 1928, vol. II, pag. 94.
7.
B. da Fasano, Memorabilia Minoritica Observantisi Provinciae Sancti Nicolai, Bari, Zanettum, 1656, pag. 53; D. Forte, Itinerari francescani in Terra di Bari, Bari, Favia, aprile 1973, pag. 121.
23
G. Gentile – V. Bellucci, cit., pag. 25.
24
G. Gentile – V. Bellucci, cit., pag. 25.
25
D. Forte, cit.
8.
Archivio di Stato di Potenza, ‘Inventari’, cart. 1287, fasc. 66.
26
M. Curto, Il ciclo pittorico di San Donato a Ripacandida, a.a. 1998/99.
9.
Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia, a. 1866, vol. XV, Torino, Stamperia Reale: n. 3036, Decreto per la soppressione delle congregazioni religiose, 7 luglio 1866, pag. 1015 e segg.; D. Forte, cit., pag. 147.
27
Maria Curto, cit., pag. 29.
51
S. Iusco, cit., pagg. 173
28
N. Barbone Pugliese Ripacandida, chiesa di San Donato, affreschi, in AA.VV., Insediamenti francescani in Basilicata, Matera 1988, pag. 192
52
S. Iusco, cit., pag. 171
53
AA. VV. Tardogotico e Rinascimento in Basilicata, La Bautta, Irsina, 2002
54
AA. VV. Tardogotico e Rinascimento in Basilicata, cit. , pag. 93
10. Archivio di Stato di Bari, ‘Statistiche dei Conventi’; D. Forte, cit., pag 146. 11. Raccolta ufficiale..., cit., vol. XIV: Regolamento per la esecuzione della legge sulla soppressione delle corporazioni religiose, p. 1112 e segg.; D. Forte, cit., pag. 148. 20
29
S. Iusco, Gli affreschi della chiesa di San Donato a Ripacandida in “Itinerari del Sacro in Terra Lucana”, Basilicata Regione Notizie, 1999, pag. 167.
30
R. Villani, Prima metà del ‘500, Nicola da Novasiri, La chiesa di San Donato a Ripacandida, in Conoscere Basilicata, Consiglio Regionale di Basilicata, Schede
LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
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La Bibbia di Ripacandida Nicola Tricarico
Dall’analisi di Gen 2, 3: “Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto” , gli antichi commentatori della Torà svilupparono un’interessante interpretazione: poiché al settimo giorno veniva nominato il riposo di Dio, arrivarono alla conclusione che “vi è un atto di creazione del settimo giorno”, la “menuchà”, il Sabato. Questa è quindi la creazione del riposo. Ma la “menuchà”, secondo questa antica tradizione, non è solo il riposo, è quella esperienza di silenzio, di pace e di armonia che il Sabato - per gli Ebrei - diffonde nell’universo, consentendo quella pienezza di senso che è un’anticipazione della vita eterna. Il Santuario di San Donato in Ripacandida è questa esperienza della “menuchà”, è l’esperienza del silenzio e della contemplazione di fronte ai “mirabilia Dei”, le meraviglie del creato: “Laudato sie, mi’ Signore cum tucte le Tue creature…” A Ripacandida come ad Assisi, salendo verso il Santuario, si fa l’esperienza della “menuchà”. Ma questo silenzio, che è anche stupore ed emozione, non è assopimento. Esso si concretizza in una sapiente e progressiva mistagogia. A Ripacandida, nel Santuario di San Donato, il pellegrino orante è condotto per mano; introdotto progressivamente nella esperienza del Mistero, attraverso un impianto iconografico sapiente e biblicamente fondato: a partire dalla “Risurrezione di Gesù” e dal “Sepolcro vuoto”, posti rispettivamente sul primo pilastro a sinistra e su quello di destra entrando in chiesa, dagli episodi del Vangelo e i Novissimi (Il Giudizio, il Paradiso, l’Inferno…), nella prima campata, fino alle storie dei Santi e alla Genesi, rispettivamente, nella seconda e nella terza campata e sulle pareti. E’ la lettura “omèga”, che solo una sapiente proget22
tazione dell’intera chiesa poteva prevedere. Il più antico documento sul Santuario di San Donato risale ad una bolla papale di Eugenio III del 1152. L’interno della chiesa è stato interamente affrescato. Si possono individuare almeno tre successivi interventi, a prescindere da quello della metà del ‘700, sull’arcone ogivale posto sull’altare, dovuto al modesto Pietro di Giampietro da Brienza: 1) il ciclo della Genesi, nella terza e nella seconda campata, dovuto a Nicola da Novi, che firma e data nel 1513 un “Cristo in Pietà” e una “Eva impudica” nell’antico chiostro dei Minori a Senise; non Nicola da Novasiri, che prima anticamente si chiamava Bollita, ma Nicola da Novi, cioè, molto probabilmente Novi Velia, in provincia di Salerno, che anticamente era chiamata semplicemente Novi. E noi a Novi Velia, grazie anche alla collaborazione della stesa Pro Loco del piccolo centro del Salernitano, abbiamo rilevato interessanti indizi sulla identificazione di Nicola, l’autore probabile dei cicli degli affreschi di San Donato: nella chiesa di Santa Maria dei Longobardi, a Novi Velia, c’è una bellissima Natività, nella quale possono riscontrarsi interessanti elementi decorativi e iconografici non estranei agli affreschi di San Donato: il decoro cosmatesco, il ricorso agli stampini per la decorazione dei panneggi, la postura e il profilo dei personaggi, l’accentuata ispirazione bucolica e la sensibilità naturalistica. Ma nella chiesa di Santa Maria di Novi c’è una singolare analogia con quella di San Donato: i frammenti, anche se rimaneggiati, di un “San Francesco che riceve le stigmate” nella stessa collocazione topografica e con la stessa impostazione del nostro santuario. Ciò non è sufficiente per concludere che si tratta dello stesso autore di Ripacandida, ma depone a favore di una innegabile LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
San Lorenzo
affinità di impostazione fra le due chiese e pertanto confermerebbe l’ipotesi ormai sempre più fondata che l’autore degli affreschi di San Donato sia appunto Nicola da Novi Velia. 2) Un altro ciclo di affreschi a San Donato è quello cristologico, nella prima campata, dovuto forse ad Antonello Palumbo di Chia romonte sul Sinni, lo stesso che firmò nel 1498 la “Madonna in Maestà” nella chiesa di San Francesco a Pietrapertosa; ma credo che Antonello abbia operato su una impostazione già data da Nicola da Novi, proprio perché essa rivela una innegabile coerenza e una singolare organicità dell’intera decorazione pittorica della chiesa; in alcuni punti si intravedono poi analogie decorative e nelle architetture evidenti. Per questo si potrebbe ritenere Nicola da Novi il vero unico autore dei cicli della Genesi e del Vangelo. 3) Anche il ciclo dei Santi (Paolo e Onofrio eremiti, Bernardino, Ludovico, Lorenzo, Giovanni Battista, Biagio, Nicola, Lucia, Stefano, Francesco) è dovuto certamente a Nicola da Novi, ma ad suo secondo intervento, agli inizi del terzo decennio del 1500: sono infatti innegabili le affinità stilistiche e figurative fra questo e quello della Genesi. Il percorso iconografico e mistagogico, cioè di introduzione nel Mistero, inizia quindi con la Resurrezione di Gesù. Il pellegrino orante è spinto poi a recarsi verso l’altare, nella parte più importante del Santuario, e qui, dopo qualche attimo di adorazione e stupore è guidato a ripercorrere e ammirare i “mirabilia Dei” le opere del Signore, cioè il creato, e quelle dei Santi. Ho chiamato “Bibbia di Ripacandida” questo santuario perché più se ne approfondisce l’analisi e più si riscontra una straordinaria corrispondenza fra il racconto iconografico di San Donato e quello biblico della Genesi. Certamente l’analisi degli affreschi non LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
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LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
San Francesco che riceve le stigmate (particolare)
può ridursi alla sola lettura storico-artistica, se ne tradirebbero la finalità e la destinazione. Ma il capolavoro di Nicola da Novi a San Donato è certamente il “San Francesco che riceve le stigmate”. Nicola presumibilmente ha progettato per intero e ha dipinto in gran parte il ciclo pittorico di Ripacandida. Ha iniziato i lavori dalla terza campata, quella più importante per dignità, nei pressi dell’altare, e poi nella seconda, con le storie della Genesi, questo nei primi anni del Cinquecento; è stato poi costretto ad interrompere i lavori, si è allontanato ed è ritornato dopo poco più di un decennio, nei primi anni trenta. Ha trovato dipinta (o meglio completata) da Antonello Palumbo la prima campata. Non gli restano che i pilastri e le pareti della terza e della seconda. Nicola è ormai un artista maturo. Ha conosciuto e apprezzato gli affreschi di Giotto nella Basilica Superiore di San Francesco. Ne è divenuto un ammiratore entusiasta, più che un imitatore. E’ ora che dipinge i Santi sui pilastri e soprattutto il suo capolavoro, il “San Francesco che riceve le stigmate”. Ed è in questo affresco che, con gli occhi di Giotto, le mani di Nicola da Novi e il cuore di Francesco d’Assisi, la “menuchà”, la contemplazione orante delle meraviglie di Dio raggiunge il suo culmine. A Ripacandida come ad Assisi. Ecco il senso profondo del gemellaggio fra le due chiese e le due comunità. Un gemellaggio che coniuga sapientemente la fede e l’arte e fa dell’artista-orante, come gli antichi iconografi bizantini, un punto di riferimento di quella catechesi perenne offerta ai credenti, ma anche agli scettici, perché il messaggio di Francesco d’Assisi è un messaggio che affascina tutti.
LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
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San Donato a Ripacandida Una chiesa “arca” biblica e agiografica Padre Pasquale Magro già Direttore del Museo del Tesoro del Sacro Convento in Assisi
Per l’aspetto edilizio come per l’opera ornamentale, un tempio è sempre spazio del Mistero e il mistero non lo si finisce mai di esplorare. La Chiesa di San Donato a Ripacandida dal corpo lapideo interno gotico tutto affrescato mi appare pensata come l’ «arca» dell’ alleanza ebraico-cristiana dal momento che si volle rivestire volte e pareti interne con la storia della salvezza compiuta nel vissuto storico dei santi, ivi foltemente raffigurati. San Donato è una antologia biblica e agiografica ancora iconologicamente non del tutto esplorata. Vi propongo solamente alcune chiavi di visione che permettano la sua esplorazione nella direzione dell’alto e del basso, del verticale divino e dell’orizzontale umano e cosmico.
I “due fiat” creativi Per essere precisi, occorre dire fin dall’inizio che effettivamente il grosso del testo dipinto di San Donato si limita alle due “genesi” (secc. XV-XVI). Si tratta del libro della creazione terminante con la storia di Giuseppe (prima genesi) e del libro del Vangelo con la storia di Gesù (seconda genesi). Non so il perché di tale scelta tematica proposta dal clero committente agli artisti non sempre identificati; so solo che essa corrisponde alla scelta fatta dai frati nella chiesa superiore di san Francesco verso il 1290. Anche qui la decorazione nei due registri alti della navata consiste nella stessa raffigurazione concordata dei due testi della Genesi e del Vangelo. Un testo del monaco teologo Anselmo d’Aosta (secolo XII) ci illumina sul doppio tema genesiaco: “Dio è il Padre del mondo costituito; Maria è la Madre del mondo ricostituito. Dio è il Padre del mondo creato; Maria è la Madre del mondo ricreato”. Puntualmente sia ad Assisi come a Ripacandida i due cicli giustapposti o concordati 26
hanno avvio dagli episodi di Dio che pronuncia il suo “Fiat lux” e di Maria che dice il suo “Fiat mihi secundum Verbum tuum”! Sono i due “fiat” della prima e (per i cristiani) della seconda e definitiva alleanza. Sono quindi due testi che troviamo abbinati già letterariamente e iconograficamente nei secoli XII e XIII, all’epoca quindi della fondazione di San Donato e del primo documento che lo testimonia: 1152. A Ripacandida l’Eterno creatore è raffigurato come l’architetto artifex con il compasso, sulla scia di artisti anche miniaturisti del Due e Trecento europeo. Nel secolo XII, sempre al tempo quindi della fondazione della chiesa di Ripacandida, l’esegesi della scuola monastica di Chartres distingueva l’opera della creazione dall’opera dell’ornamentazione: Dio è architetto quando forma il cosmo separando terra, cielo e mare; è orafo quando orna la terra con vegetazione e animali, il cielo con i volatili, il mare con i pesci. Il popolo che frequentava San Donato era introdotto nelle tematiche bibliche e agiografiche dipinte oltre che dalle catechesi anche dalla predicazione omiletica del clero officiante la liturgia. Le sapeva apprezzare come prediche permanenti: “verba volant; picta manent”! Anche se la definizione dell’arte cristiana delle chiese definita come Bibbia dei poveri non mi ha mai entusiasmato, in quanto riduttiva nei confronti del destinatario che non è il solo “popolo illitterato”. Non può essere vero che al clero e laicato letterato, quasi sempre il committente dei messaggi dell’arte, era precluso il loro godimento sia estetico che spirituale. Si può certo affermare che il vasto testo iconografico di Ripacandida è espresso per la maggior parte sul registro dell’arte cosiddetta “aperta”, perché il contenuto risulta essere episodico o esemplaristico-morale, inteso a presentare figure positive bibliche e agiografiche da imitare e figure negative da non imitare nella vita (ad esempio quella LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
Cotruzione dell’Arca (particolare)
del fratricida Caino o dei fratelli gelosi che vendono Giuseppe!). Il contenuto della pittura episodica o aperta, in genere coprente gli spazi della navata riLA BIBBIA DI RIPACANDIDA
servata all’assemblea, era certamente piÚ facilmente afferrabile dalla massa in quanto avente senso letterale-storico. A Ripacandida la trasmissione di temi 27
Sant’Antonio da Padova (particolare)
arcani o profondi è al minimo: esempio ne sono le scene allegoriche del giudizio finale e quelle con le virtù cardinali abbinate alle sibille. In genere posti nell’area corale e presbiteriale, luogo per eccellenza del clero letterato che celebra la liturgia, i temi arcani erano così perché espressi in chiave allegorica. L’esplorazione di un testo allegorico richiedeva strumenti culturali che la massa non aveva, ma che il clero possedeva dallo studio della Sacra Doctrina o teologia fatto nelle scuole delle Cattedrali e dei Monasteri. Malgrado l’ampiezza dell’arco di tempo in cui hanno origine e trovano realizzazione artistica a San Donato di Ripacandida le visioni teologiche e cosmologiche (secc. XII-XVI e oltre), occorre credere all’unica loro fonte d’ispirazione religiosa monastica. La raffigurazione dei Fondatori del monachesimo e dei Padri del deserto Antonio il Grande e Paolo, come quella dei santi Domenico di Guzman e Tommaso d’Aquino, fa pensare a matrici culturali monastiche e mendicanti. Ma non vanno escluse influenze cistercensi. L’attuale struttura portante arcaica del corpo lapideo gotico riporta alla formula del quadratum di San Bernardo, insigne legislatore anche in fatto di norme edilizie (+ 1153). L’abside è quadrata, le colonne emergenti dai muri perimetrali sono quadrate senza capitelli scolpiti: tutto evoca l’allergia di Bernardo per l’esuberanza ornamentale plastica e per le forme tonde evocanti il corpo femminile disorientanti il monaco celebrante l’opus Dei nel luogo sacro! Il tardivo rivestimento pittorico (secc. XV-XVII) rispetto all’edificio sacro (secc. XII-XIII) si può spiegare dal rifiuto dell’ arte da parte di riforme monastiche rigorose, motivato sia dal precetto pauperistico come da un sentire elitario che riteneva la mediazione sensibile del sacro non degna del «monaco spiritualmente maturo».
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LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
Le “due rivelazioni”: la bibbia e la natura Nel periodo interessato dalla realizzazione della chiesa e della sua decorazione, l’arte cristiana subisce una grande rivoluzione. Il linguaggio artistico è alla ricerca dell’equilibrio tra grazia e natura, fra trascendenza e realtà, tra aulico e vernacolare, tra escatologico e storico. Il mistero dell’Incarnazione, il Verbo eterno che si riveste di carne umana ne diventa l’ago della bilancia: Cristo non è meno Dio che Uomo, non è meno Uomo che Dio. La terra non è meno abitazione di Dio che il cielo dei cieli! L’incarnazione annulla l’incompatibilità tra realismo terreno-corporale e trascendenza divina. L’artista è chiamato a dipingere il Sacro vestito di Umanità, a trasmettere lo Spirito rivestito di immagini e similitudini materiali. Il massimo della “materia resa spirituale” si realizza nell’arte del vetro istoriato gotico dove l’opaco diventa trasparente (la “materia spirituale”) permettendo il passaggio prismatico della luce. In tale travaglio rinnovatore va iscritto il Cantico di frate sole di Francesco d’Assisi (1225), va compresa la lode a “frate corpo” promosso a supporto del divino dall’incarnazione del Verbo. I teologi legittimano la nuova cultura richiamando a tutti il giovanneo «omnis creatura Verbum Dei (Gv 1,3)». E’ il momento dell’eclisse dell’esasperato simbolismo bizantino, un momento inviso agli iconologi bizantini. Ne scrive infelicemente il più noto tra di loro, Pavel Evdokimov: «A partire dal secolo XIII, Giotto, Duccio, Cimabue introducono la attualità ottica, la prospettiva, la profondità, il gioco del chiaroscuro, l’apparenza ingannatrice. Se l’arte diviene più raffinata, più riflessa nel suo elemento immanente, è meno portata alla percezione diretta del trascendente ( . ..). Rompendo con i canoni della tradizione, l’arte non è più inteLA BIBBIA DI RIPACANDIDA
grata nel mistero liturgico. Sempre più autonoma e soggettiva, lascia la sua «biosfera» celeste. Le vesti dei santi non fanno più sentire sotto le loro pieghe i «corpi spirituali», e anche gli angeli appaiono come esseri fatti di carne e di sangue. I personaggi sacri si comportano esattamente come tutti gli altri, sono rivestiti e collocati nell’ambiente contemporaneo dell’ artista ( ... ): Quando l’arte dimentica la lingua sacra dei simboli e delle presenze e tratta plasticamente i “soggetti religiosi”, il soffio del trascendente non l’attraversa più». Ma il nuovo sentire occidentale, nato nei secoli XII e XIII, è fondato saldamente sul binario del “liber Scripturae” e del “liber naturae”, sulla doppia fonte della rivelazione: biblica e naturale. E’ per questo che vengono giustificati, a cominciare soprattutto da Assisi, sia l’abbandono del linguaggio alquanto gnostico della pittura bizantina che l’adozione di quello reale-incarnazionistico della nuova arte rinascimentale e umanistica. L’arte bizantina è cristianamente genuina nella misura che sia minimalisticamente reale nel suo linguaggio formale. Ne dice un intenditore, Otto Demus: «L’immagine bizantina ... resta sempre, una’ “immagine”, una santa icona, senza alcuna mescolanza di terreno realismo». L’arte occidentale, invece, propone agli occhi corporali il mistero cristiano in termini storico-reali invitando a riconoscerlo ed ammetterlo con gli occhi interiori della fede. Insegnava Francesco d’Assisi: «Come i contemporanei di Gesù con la vista del corpo vedevano soltanto la carne di lui, ma, contemplandolo con occhi spirituali, credevano che egli era lo stesso Dio ... » (CI amm, 20). Che senso aveva il dire di Gesù: «Chi vede me, vede il Padre che sta nei cieli»? (Gv 14,9). E non fu forse al massimo della kenosis, quando, crocifisso tra due malfattori, fu innalzato privo di ogni gloria divina e bellezza umana (Is 53,2; Ps 21,7) che il 29
centurione ammise: «Questi era veramente il figlio di Dio»? (Mt 27,54). Nel nuovo assetto dei valori estetici, l’immagine sacra occidentale sarà insieme “naturale” e “misterica”.
San Donato: il trionfo del vernacolare H. Thode ha scritto che «a Giotto (operante per i francescani ad Assisi, Padova, Rimini e Santa Croce di Firenze ... ) era riservato di trasporre in opere d’arte la nuova concreta concezione religiosa dei poeti e dei predicatori francescani». A Francesco lo storico tedesco ha dedicato un’opera ancora classica: Francesco e le origini dell ‘arte rinascimentale in Italia (1894). Alla svolta comunale politica e sociale del tempo corrisponde la scelta della minorità da parte di Francesco e francescani. J. Stubblebine ha scritto nel 1986 un volume per ricordare il ruolo fondamentale di Assisi nell’affermazione e promozione del sentire non più clericale e aulico ma laicale e vernacolare dell’ arte occidentale. Questo viene espresso sia letterariamente (vedi il cantico di Francesco ma anche le laudi di Jacopone, i laudari delle confraternite, la poesia dell’ Alighieri e la sua “De vulgari eloquentia” ... ) che cromaticamente in termini di realismo vernacolare (Giunta Pisano, Cimabue e Giotto... ): gli sfondi d’oro alludenti simbolicamente al paradiso escatologico diventano l’ «aere nubilo et sereno, costellato di stelle clarite, preziose e belle», gli spazi dove convivono le dramatis personae degli episodi sacri acquistano la profondità prospettica urbanistica e paesaggistica di «sora madre terra» dov’è vissuto il Verbo primogenito di ogni creatura, i corpi umani ritrovano il volume e la solidità greco-romana ma anche la flessuosità ed espressività gotica nuova della fervente vita reale. Gli artisti si sentiranno sempre più 30
liberi di vestire ed abbigliare i protagonisti delle storie sacre secondo modi e costumi correnti, incarnandoli sempre più nel tempo e nello spazio umano. Ad Assisi, Cimabue raffigura gli evangelisti e gli apostoli Pietro a Paolo dove erano realmente vissuti: in Ytalia-Roma, Ipnacchaia, Judea e Asia. Giotto fa tornare Francesco a camminare sulla piazza grande di Assisi dominata dal tempio della Minerva. I santi e le sante prendono il volto di persone reali vicine all’artista: nasce il ritratto umano in senso moderno. Dietro testi precisi di Bonaventura da Bagnoregio, il teologo tra Medioevo e Rinascimento più sensibile al bello, Maria, come ogni madre davanti al figlio violentato, cade a terra svenuta sotto la croce. Negli ambienti dei Mendicanti, Maria perde il trono mai estatico e diventa la “Madonna dell’Umiltà” seduta a terra (ad Assisi ne sono due esemplari). Anche gli angeli, creature credute celesti e quindi impassibili, piangono svolazzanti intorno al Figlio dell’Uomo pendente dal patibolo, raccogliendo in santi graal il prezioso sangue calante dalle piaghe. Illuminata da Francesco “sole nascente”, Assisi è riconosciuta per tutto questo come 1’ ‘’Oriente della pittura italiana” (Mario Salmi). L’Italia e 1’Europa nuova adotteranno il linguaggio umanistico e popolare coniato nella nuova cultura di Assisi, celebrata dall’Alighieri nella metafora del mattino di un nuovo giorno (Par Il,50-54). Esplorare il vasto testo di San Donato realizzato da alcuni artisti non sempre di dignità riconosciuta e non sempre noti :per nome è lo stesso che veder realizzato in sommo grado il modo di dipingere realistico per lo più in chiave vernacolare. Ambienti paesani e rurali in cui si svolge la storia sacra antica e neotestamentaria, vestiario feriale e festivo maschile e femminile dei protagonisti immettono l’osservatore in un clima di straordinario, vivace e popolare realismo, vero specchio di storia culturale locale. Osservate gli impianti scenografici urbanistici LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
Ingresso nell’Arca (particolare)
(interni ed esterni di case, castelli e palazzi) e campestri brulicanti di contadini (con moglie e figlioletti) e muratori all’opera con gli strumenti di lavoro del tempo. Guardate l’incredibile numero di animali di ogni tipo che affollano gli episodi biblici, meritevole senza dubbio di censimento, e perché no, di pubblicazione onde far conoscere il ricco “Bestiario di LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
Ripacandida”. Più che di fatica degli artisti di adottare scherni rinascimentali-c1assici ormai ricorrenti nei grandi centri cittadini, occorre parlare della volontà o scelta precisa dei committenti e degli artisti di raccontare la storia della salvezza in quel gusto e stile che dopo il 1821 siamo soliti chiamare “naif’ o “ingenuo”. 31
Esaù chiede la benedizione ad Isacco (particolare)
Quante cappelle titolari di confraternite, in Italia e in Europa, ne sono testimonianza in genere ignota anche agli stessi storici dell’arte!? A Ripacandida, il vasto testo biblico e agiografico è caratterizzato da aspetti di semplicità e candore che fanno dello stesso un documento rilevante, anzi un monumento di vernacolarità artistica di eccezionale valenza. Nell’intervento non ho insistito sull’iconografia santorale realizzata per lo più sulle pareti perimetrali basse di San Donato. Dovuta ad artisti che operano ormai dopo l’affidamento del tempio a francescani riformati (post 1600), l’intensa raffigurazione (votiva) dei santi ispirata agli Actus e Passiones Martyrum e al calendario francescano, non va letta a se, disgiunta dalla raffigurazione biblica negli spazi 32
superiori delle volte. Anche a Ripacandida, non meno che ad Assisi (e altrove), dove nel registro basso della Chiesa superiore i frati hanno fatto raffigurare le ventotto storie sanfrancescane, la proposta agiografica va vista organicamente come compimento mistico di quella biblica. Insegnava Tommaso d’Aquino, uno dei santi presenti nel nostro testo: «Il senso spirituale si divide in tre parti: l’antica legge è figura della nuova, la stessa nuova legge è figura della gloria futura .. Nella nuova legge le cose avvenute nel capo indicano quel che noi dobbiamo fare ( ... )». Ciò vuol dire che i protagonisti biblici antico e neotestamentari sono tipi esemplari per tutti i cristiani, di ogni generazione, compresa la nostra. LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
Riappacificazione tra Giacobbe ed Esa첫 (particolare)
LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
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LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
Da Candida Latinorum a Ripacandida Gianni Petrelli Studioso di Ripacandida
In posizione panoramica rispetto al Monte Vulture, Ripacandida è situata a 621 metri di altitudine. La tradizione locale ci ricorda che nei tempi antichi essa veniva indicata come “Candida Latinorum”. L’abitato moderno risale al periodo delle invasioni gotiche, quando gli abitanti della Candida Latinorum dalla valle si trasferirono sul colle sovrastante dove c’era un tempio sacro dedicato a Giove. Recenti scavi archeologici hanno portato alla luce reperti di grande valore storico ed artistico, risalenti in gran parte ai Sanniti, ai Pelasgi, agli Ausoni, ai Greci ed ai Romani dai quali, di volta in volta, nel corso dei secoli fu occupata, saccheggiata e ripopolata. Tra i reperti ritrovati spicca quello che il Prof. Giovanni Pastore indica come la “brocchetta di Ripacandida”, vedendo in essa un interessante collegamento con la scuola pitagorica presente in quel tempo nella nostra Regione. Nella fiumara si trovano i resti di un acquedotto romano che a Leonessa aveva un grande serbatoio d’acqua. Della presenza dei Romani dà testimonianza il ritrovamento dei resti di una antica villa in contrada Serra del Tesoro nella prima metà dell’800, documento giunto a noi grazie al lavoro svolto dalla ricercatrice Valentina Vincenti. Le più antiche testimonianze scritte su Ripacandida risalgono al secolo XII. In una bolla di Papa Eugenio III del 9 giugno 1152, con la quale si conferma quanto deciso dai suoi predecessori Alessandro II, Urbano II e Pasquale II nei concili di Melfi degli anni 1067, 1089 e 1101, risulta che nel 1152 esistevano in Ripacandida quattro chiese direttamente dipendenti da Roma: “… sub beati Petri et nostra tutela suscipimus… item omnes parrocchias videlicet Ripa Candidam cum ecclesia sancti Donati, sancti Zacharie, sancti Petri, sancti Gregori…”. “Ben quattro chiese – commenta C. Palestina – in un paese di pochi abitanti testimoniano la grande tradizione culturale e spirituale di Ripacandida”. Un successivo documento, di notevole rilievo storico, riporta l’elenco di 13 baroni della cittadini che parteciparono alla Crociata (1188-1192) regnante Guglielmo detto il “Buono”. Sotto la denominazione Angioina, come si riscontra nei cedolari del 1277, il paese era tassato per once 30 e tari 15 e compare più volte nei registri delle popolazioni tenute a contribuire per la ristrutturazione dei castelli del circondario. Nel 1280 LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
partecipa con la somma di 5 once, 22 tari e 10 grani per i lavori nel castello di Melfi. Nel 1281, è chiamata a fornire materiale dal suo bosco e sottoposta ad una colletta per il pagamento delle paghe alle milizie. Nel giugno del dello stesso anno ha l’onore di ospitare il re in persona, Carlo I d’Angiò, che da Melfi era diretto a San Gervasio. Nel 1478 alcune famiglie albanesi, guidate da Francesco Jura e giunte a Ripacandida a seguito dell’esodo dall’Albania, furono prima “accantonate” in un angolo del paese, la valle di San Martino, zona poi chiamata Cantone, ed in seguito trasferite nell’antico casale di Lombarda Massa, l’odierna Ginestra. Dal XV secolo inizia la compra vendita di Ripacandida. Già di proprietà della famiglia Bonifacio sin dal 1420, nel 1532 la cittadina fu assegnata ai Caracciolo per passare poi, per disposizione di Carlo V d’Angiò, ad Onorato Grimaldi, signore di Monaco. Padre Bonaventura da Fasano, professore di Sacra Teologia, nel suo lavoro “MEMORABLIA MINORITICA della Provincia di S. Nicola dell’Ordine dei Minori dell’Osservanza”, del 1656, ci informa di quanto deciso in Terlizzi relativamente alla decisione di insediare nel nostro Comune un Convento e la costruzione dello stesso annesso alla chiesa di San Donato: “La comunità della città di Ripacandida della diocesi di Melfi, molto benevola verso i Frati Osservanti del nostro Santo Patrono Francesco, rivolse supplichevole preghiera al vescovo di Melfi Placido della Marra [1594-1625], perché vicino alla chiesa
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pagina 34 - Volta centrale pagina 35 - Brocchetta di Ripacandida
Giardino di San Francesco in Ripacandida
quasi abbandonata ma antichissima sotto il titolo di San Donato vescovo e martire con alcune pertinenze concedesse di potersi erigere un convento per i detti frati. Col suo benignissimo consenso, dall’anno della nostra salvezza 1605, sotto il pontificato di Paolo V, cominciò la costruzione di questa casa sotto lo stesso titolo di San Donato, a spese della comunità e di privati. In questa chiesa i frati eressero un altare convenientemente ornato con una statua lignea del Santo e le sue sacre reliquie ricoperte d’oro. Qui, poiché Dio elargisce molti benefici a chi invoca l’intervento di questo Santo, c’è di continuo un concorso di gente, anche forestiera”. Frate Bonaventura ricorda ancora che “In questo cenobio la devozione è accresciuta da un’antica tradizione per la quale comunemente si ritiene che qui fu sepolto il corpo di un altro Donato circa l’anno 1100. Qui infatti un giovane nativo della stessa città di Ripacandida, entrato a 12 anni nell’ordine di San Guglielmo o di Monte Vergine e ascritto nel numero dei conversi, fu assegnato dai superiori nel sodalizio dello stesso istituto nella città di Auletta in Lucania o Basilicata della diocesi di Conza, distante da Ripacandida 30 mila passi. E per poter servire Dio e praticare la 36
macerazione del suo corpo e la contemplazione celeste, per essere più a suo agio lontano dal contatto con la gente, condusse quasi intera la vita nella montagna della città di Petina vicino Auletta. Volendo pregare, nel tempo invernale entrava in un lago nudo sino al collo; alla fine, dopo moltissimi miracoli e prodigi a 17 anni rese l’anima a Dio. Quando fu trasportato morto a Ripacandida per l’affetto del suo genitore e passò per Auletta Petina, i cittadini, che avevano sperimentato la sua santità, tristi gridarono: “Donato, lasciaci qualcosa a ricordo di te!”. Meraviglia! Subito dal feretro in cui veniva trasportato gettò a terra un suo braccio, che, raccolto dagli Aulettesi, è conservato sino ad oggi con grandissima devozione e venerazione con tre chiavi. In questa nostra chiesa è stato eretto un altare con una sua statua ricoperta d’oro e qui riposa. Benché il luogo [della sepoltura] sia sconosciuto, tuttavia i frati e i secolari contriti di cuore e confessi sostengono che si sente un soavissimo odore vicino al coro e al campanile. I frati che abitano lì al momento sono sei, ma il convento può contenerne dieci” (La traduzione del passo in latino è di Leo Vitale). La cittadina, in seguito, col titolo di ducato venne LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
acquistata dalla famiglia dei Boccapianola ed infine da questa venduta alla famiglia Mazzaccara dei Duchi di Castelgaragnone, che la governarono sino al 1799. Il 7 aprile 1861 subì l’assalto dei briganti, capeggiati da Carmine Donatelli Crocco, Mastronardi, Turtora, Larotonda. In quella occasione si ebbe la prima vittima del brigantaggio nella persona del Capitano della Guardia Nazionale Michele Anastasia. Ripacandida si schierò con i “briganti” dando così inizio al moto legittimista filo borbonico. Ripacandida è fiera di aver dato i natali a uomini illustri per santità e cultura. È di qui, come ha scritto padre Bonaventura, san Donatello, nato nel 1179 e morto nel monastero di S. Onofrio di Massadiruta il 17 agosto 1198; è il protettore dei giovani frati che, seguaci di San Guglielmo da Vercelli, abbracciano la vita monastica in Montevergine. Il Teatino Andrea Molfese (1573-1620) fu insigne teologo, vissuto a Napoli e qui sepolto nella Chiesa dei Santissimi Apostoli. Egli è ricordato nell’albero dei Teatini, presente nella chiesa di San Paolo Maggiore in Napoli, per il suo ingegno e la robustezza del suo stile (Andreas Molfesius a Ripacandida ingenio ac scripturae prestantia clarus); sulla sua casa natale spicca una lapide con la scritta: ALTIUS ASCENDAT SI SERVANT TEMPORA VIRES / QUO PATRIA POSCIT MOLFESENSE DECUS (Se il tempo gli conserva le forze, l’onore di Molfese si innalzerà ancor più di quanto richiede la patria). I suoi scritti sono: Commento alle consuetudini napoletane; Aggiunte alle usuali questioni, ovvero al I° volume del Commento alle consuetudini napoletane; Prontuario dei tre diritti divino, canonico e civile ossia di somma teologia morale e conoscenza dei casi. Dopo la sua morte furono pubblicati Trattato di entrambe le disposizioni umane in vita e in morte ovvero breve prassi dei contratti, delle ultime volontà e delle sepolture; Commento alle consuetudini napoletane III tomo. Come riferisce Giuseppe Silos nella sua Historiarum Clericorum Regularium a congregatione condita, Molfese lasciò altri dieci manoscritti pronti per la pubblicazione. Inoltre, si ricorda il teologo G. B. Rossi (1690-1749), fondatore del monastero delle Teresiane dove è conservato il corpo incorrotto di Suor Maria di Gesù, ed il prof. Leopoldo Chiari (1790-1849), preside della Facoltà di Chirurgia Teoretica e di Ostetricia presso l’Università di Napoli, tra i LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
precursori della chirurgia moderna, inventore di tecniche operatorie e di strumenti innovativi per quell’epoca. Gli eventi bellici del secolo scorso e la emigrazione, prima quella transoceanica verso le Americhe e l’Australia e poi quello continentale dopo gli anni ‘50, ha falcidiato il paese riducendolo, dagli oltre cinquemila abitanti degli inizi del secolo scorso agli attuali 1700 circa. A questo impoverimento si è, al contrario, contrapposto la voglia di riscatto e la grande forza di volontà dei figli di quei migranti che li ha visti raggiungere vette altissime, rivestendo cariche importantissime nell’apparato dello Stato e delle Università. Poiché l’elenco sarebbe ben corposo, si citano solo alcuni: il prof. Mario D’Addio, preside emerito presso l’Università La Sapienza, autore di innumerevoli testi di elevato spessore culturale e di indiscutibile valore; il prof. Michele Aurelio Sinisi, già Direttore Generale del Ministero P.I., ispiratore e sostenitore della “Scuola a Tempo Pieno in Italia”; l’Avv.to Giuseppe Schirò, Direttore Generale della Camera dei Deputati; l’Avv.to Giovanni Di Muro, Presidente di Cassazione. Sono da ricordare, inoltre, tra quelli che al di là dell’Atlantico per l’impegno e le capacità dimostrate hanno onorato il nome di Ripacandida: William Donato Phillips, la cui madre Caterina Savino nativa di Ripacandida emigrò negli USA nel 1920, ebbe il premio Nobel nel 1997 per la Fisica per aver «sviluppato metodi per raffreddare e catturare gli atomi neutri tramite laser ed essersi avvicinato allo zero assoluto»; Gary Sinise (Sinisi), attore-regista-produttore televisivo, noto per la sua partecipazione a molti film di successo (Forrest Gump, Uomini e Topi, Apollo 13, Il Miglio Verde, CSI N.Y., ecc.). Suo nonno, Donato Sinisi, emigrò negli USA e si stabilì a Blue Island, dove tuttora risiede una numerosa comunità ripacandidese. Fonti: “La Storia e le Chiese di Ripacandida” di Leo Vitale; “Cartulario della Basilicata” di Tommaso Pedio; “Per la storia di Ripacandida e del suo casale Ginestra nel secolo XVII” di Francesco Pietrafesa; “Ripacandida dalle origini agli Aragonesi” di p. Carlo Palestina.
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Haec domus Dei est et porta coeli Nicola Tricarico
Varchiamo la soglia di questa porta e riceviamo il primo grande annuncio: «Cristo è risorto!». Sono le due raffigurazioni, “la Risurrezione di Cristo” e “Il Sepolcro vuoto”, rispettivamente a sinistra e a destra entrando. Stupefatti dalla visione d’insieme dell’interno della chiesa, siamo spinti ad avvicinarci all’altare e lì, alzando gli occhi, ammiriamo la volta della terza campata, composta da 18 riquadri disposti su due livelli. Il primo riquadro è in alto a sinistra guardando l’altare: 1 - Dio separa la luce dalle tenebre (Gen 1, 1-4) Il gesto solenne del Creatore separa appunto la luce dalla tenebre, rappresentate dal Sole e dalla Luna. Lo Spirito in forma di colomba aleggia sulle acque, nelle quali sprofonda il caos, il disordine, sostanzialmente il male, rappresentato da un volto con le corna. Il racconto della creazione procede sulla volta in senso antiorario, su 10 riquadri del livello più alto, che rappresentano la creazione del mondo e dell’uomo e della donna fino alla cacciata dall’Eden; poi prosegue nel livello inferiore della stessa volta con altri otto riquadri che descrivono la condizione dei progenitori dopo il peccato, fino all’uccisione di Abele e alla maledizione di Caino. Il secondo riquadro: 2 – Dio crea la Terra (Gen 1, 9-10) La Terra è piatta, galleggia sul mare ed è circondata dai cieli circolari. Una visione pre-copernicana, anzi addirittura pre-colombiana, che tende a retrodatare gli affreschi. Il creatore è rappresentato come il grande architetto dell’universo, una definizione che più tardi sarà adottata dalla Massoneria, ma che in realtà siboleggia l’ordine universale voluto dal Creatore. 38
3 - La creazione del degli alberi, del sole e della luna (Gen 1, 11-19) Il Creatore crea le piante e la Luna e il Sole, ne dispone il movimento intorno alla Terra con un percorso che interseca quello dei diversi cieli, quasi a voler superare il sistema tolemaico, senza tuttavia indulgere al copernicanesimo, contrario alla lettera della Scrittura, secondo la quale la Terra “in aeternum stat” , è ferma al centro dell’universo. Dio, seduto ieraticamente in trono - prevale qui la tradizione sacerdotale della Genesi - è racchiuso nella Mandorla Mystica, o Vescica Piscis, che indica l’intersezione delle due sfere, il Sole e la Luna, cioè il giorno e la notte, che si racchiudono nell’Uno-Tutto. 4 - Dio crea gli uccelli e i pesci (Gen 1, 20-23) La rappresentazione ha un carattere naturalistico e leggiadro, con diverse specie di uccelli, tutti rivolti verso il Creatore, nell’atteggiamento di ricevere la Sua benedizione, come recita il testo biblico. I pesci invece sono rappresentati in branco, come attratti da una meta, sembra la stessa riva, dove poter essere accolti come cibo buono, anzi come il vero cibo, l’ (Iesus Xristòs Theoù Yiòs), il Pesce, Gesù Cristo Figlio di Dio. 5 - Dio crea le bestie selvatiche (Gen 1, 24-25) Il riquadro, essenziale per impianto e simbologia, rappresenta una piccola varietà di animali, ordinati e tendenzialmente eleganti. Anch’essi ricevono la benedizione del Creatore, assiso nella Mandorla sorretta da due angeli. 6 - Dio crea Adamo (Gen 1, 26; 2, 7) Anche in questo riquadro due angeli sorreggono la Mandorla nella quale è assiso il Creatore. da Lui si LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
Costruzione della Torre di Babele (particolare)
sprigiona un “soffio” che “anima” l’uomo, nudo, a cui le parti intime sono state ricoperte di foglie, molto probabilmente in secondo momento. Il volto dell’uomo è aggraziato e sereno, quasi ad esprimere la sua condizione di innocenza originale, quando conviveva pacificamente con gli animali feroci, come il leoncello rappresentato in alto (Is 11, 6). LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
7 - Dio crea Eva (Gen 2, 21-22) Il Creatore, nell’atteggiamento di una levatrice rassicurante, fa nascere Eva dal costato di Adamo, addormentato e sereno. Anche qui le parti intime della donna e dell’uomo sono state vistosamente ricoperte, probabilmente in un secondo momento; il seno della 39
San Giovanni Battista
donna è invece nettamente visibile quasi a rappresentare la “madre di tutti i viventi” (Gen 3, 2). Ma dall’alto, dietro la Mandorla, il Nemico è in agguato ed è rappresentato, come nella mitologia greca, come una donna-serpente. 8 - Il peccato di Adamo ed Eva (Gen 3, 1-6) Lo scenario è quello dell’Eden, il giardino-delizia: gli alberi pieni di frutti, con al centro l’albero della vita e l’albero della conoscenza del bene e del male; Dall’Eden escono i quattro fiumi, Pison (Gange?), Ghicon (Nilo?), Tigri ed Eufrate (Gen 2, 8-14). Il peccato è rappresentato come una disobbedienza indotta dal serpente alla donna e dalla donna all’uomo, che si schermisce, ma che, come è noto, poi cede alla tentazione. 9 - Dio rimprovera Adamo ed Eva (Gen 3, 9-13) Il rimprovero di Dio sorprende l’uomo e la donna che provano vergogna per la loro nudità - hanno infatti perduto l’abito della Grazia - che tentano di coprire con foglie di fico (Gen 3, 7). (La differenza tra queste foglie e quelle dipinte nei riquadri precedenti depone a favore della tesi di una successiva sovrapposizione di queste ultime.) La scena è rappresentata in modo essenziale, quasi a volerne immaginare immediatamente la conseguenza: 10 - La cacciata dall’Eden (Gen 3, 23-24) Una scena poco leggibile e certamente rimaneggiata, ma che riesce ancora a comunicare l’atmosfera drammatica e la sensazione di angoscia che si prova nell’allontanarsi dalla propria casa, nel recidere le radici con le proprie origini. 11 - Il lavoro di Adamo ed Eva e 12 - La sofferenza dei Progenitori 40
LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
(Gen 3, 16-22) Le due scene, poco leggibili e molto rimaneggiate, il dramma esistenziale, non solo di Adamo ed Eva, ma dell’intera famiglia umana. Su di essa incombe la maledizione del peccato, e non si intravede nessuna speranza di salvezza. 13 - Le offerte di Caino e Abele (Gen 4, 3-6) Dio gradisce le offerte di Abele ma non quelle di Caino e lo respinge. La scena è piuttosto rimaneggiata, ma presenta con efficacia la contrapposizione tra i fratelli e prepara al tragico epilogo della scena successiva. 14 - L’uccisione di Abele (Gen 4, 8) Un solo versetto, ma rappresentato con estrema drammaticità. La violenza del colpo fatale produce un doppio effetto: la morte di Abele e l’ascesa della sua anima verso il cielo. Una raffigurazione, quest’ultima, molto singolare, che forse è il risultato di un rimaneggiamento. 15 - Dio rimprovera Caino (Gen 4, 9-16) Come nell’analogo riquadro di Adamo ed Eva dopo il peccato, Dio irrompe nella scena quasi a sorprendere il peccatore, per chiedergli conto del suo operato. «Cosa ha fatto di suo fratello?» In effetti Dio ci rende responsabili gli uni degli altri: non dobbiamo rispondere tanto di noi stessi, ma piuttosto di quello che abbiamo fatto o non fatto agli altri. Il volto di Caino è contratto, la postura è quella del fuggitivo, l’arma del delitto è ancora nelle sue mani. Colto in flagrante, Caino non può che subire una severa maledizione. Ma paradossalmente il suo volto non è molto diverso da quello di ognuno di noi, anche da quello di chi è unanimemente ritenuto santo (il volto di Caino è LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
infatti identico a quello di San Francesco), come a voler rappresentare una intera umanità peccatrice, che può essere salvata solo dall’opera Cristo e non da quelle degli uomini. 16 - Costruzione dell’Arca (Gen 6, 13-16) Una grandiosa scena, questa della creazione dell’Arca. Vi sono rappresentati carpentieri e maestri d’ascia con i loro attrezzi, ligi e attenti esecutori degli ordini dello stesso Noè, che sovrintende ai lavori. Il riquadro è tra quelli meglio conservati e non presenta forti rimaneggiamenti; le raffigurazioni del vestiario e degli attrezzi ci potrebbero aiutare anche a datare l’affresco. 17 - Ingresso nell’Arca (Gen 7, 6-9) E’ certamente tra le scene più belle della chiesa di San Donato. La fedeltà al testo biblico, la cura nella rappresentazione del vestiario, delle acconciature; la varietà degli animali, che, nella parte bassa della vela, diventa una vera e propria rassegna del bestiario medievale, con la donnola o grillo gotico, l’unicorno, il leone antropomorfo, sono elementi di grande interesse. Noè sovrasta l’intera scena, come in quella della costruzione dell’Arca, e accompagna a due a due le bestie all’ingresso. I figli tra loro e le nuore con la madre conversano con un fare tipico di una corte rinascimentale. 18 - Il Diluvio (Gen 7, 17-20) Il riquadro, abbastanza deteriorato, conserva tutta la sua drammaticità, rappresentando la distruzione dell’umanità peccatrice. Una piaggia incessante, una vera e propria bomba d’acqua, è foriera di morte e distruzione. Su di essa galleggia l’Arca. Dio irrompe nella scena realizzando il suo progetto di rigenerazione dell’umanità. 41
San Paolo Eremita
19 - La fine del Diluvio (Gen 8, 1-12) Anche questo riquadro è esemplare per la fedeltà al testo biblico: l’Arca che si posa sul monte di Ararat, il corvo e la colomba che Noè fa uscire dall’Arca, il ramoscello d’ulivo che indica a Noè la fine del Diluvio. 20 - L’uscita dall’Arca (Gen 8, 18-22) Noè, la moglie, le nuore e i figli fanno la loro offerta di ringraziamento al Signore. Una vera e propria liturgia davanti all’altare. Il mondo ha ripreso il suo corso, i pochi animali ancora smarriti sono ancora 42
alla ricerca di una tana. E nel cielo torna a risplendere il firmamento. 21 - Costruzione della Torre di Babele (Gen 11, 1-4) Come nella costruzione dell’Arca, anche in questo affresco sono rappresentati carpentieri, muratori e maestri d’ascia con i loro attrezzi e con un abbigliamento interessante. Lo stesso capomastro, di dimensioni enormi rispetto a tutti gli altri data la sua importanza e autorevolezza, impartisce gli ordini con determinazione e questi vengono eseguiti puntigliosamente. Un collaboratore del capomastro regge un’asticella, forse un’unità di misura, come un punto di riferimento per i manovali. 22 - La confusione delle lingue (Gen 11, 5-7) A prima vista sembra un doppione della scena precedente, ma a guardarla bene ci si accorge che è mutata la sostanza della rappresentazione. All’intesa che prevaleva nella scena precedente si sostituisce lo smarrimento, l’incomprensione fra gli artieri e fra loro e il capomastro, che pare gesticolare inutilmente. L’angelo, in alto, mandato da Dio, interviene per punire l’ambizione umana e confonde le lingue. Il peccato d’origine, quello che aveva allontanato l’uomo da Dio, l’uomo dalla donna, il fratello dal fratello, l’uomo dalla natura ora genera un pandemonio, una confusione generale. 23 - La distruzione di Sodoma (Gen 19, 23-26) A Lot era stato ingiunto di non guardare indietro mentre fuggivano da Sodoma, ma la moglie di Lot disattese questo divieto e divenne una statua di sale. Una tragedia nella tragedia, e come scenario una città fortificata incendiata dalla collera di Dio, a causa delle sue scelleratezze. Il riquadro presenta notevoli manomissioni nella LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
Sant’Onofrio
rappresentazione del castello e nella sua forte ricolorazione, ma mantiene intatta la sua efficace resa scenografica. 24 - L’Angelo appare ad Abramo (Gen 12, 1-3) La pazienza di Dio è infinita e con la stirpe di Abramo prepara una nuova rigenerazione dell’umanità. Il riquadro rappresenta la vocazione e la promessa fatta Abramo. L’affresco, piuttosto essenziale nella rappresentazione, presenta alcuni segni di manomissione soprattutto nel volto dell’angelo. 25 - Il sacrificio di Isacco (Gen 22, 12-13) Ad una promessa segue la paradossale ingiunzione di sacrificare suo figlio. E Abramo, padre di ogni credente, si accinge a sacrificare il suo unigenito Isacco, che, come Cristo, è obbediente fino alla morte. Ma l’Angelo mandato da Dio sottrae Isacco al sacrificio e lo sostituisce con un montone. Un dramma a lieto fine, che è rappresentato come una scenetta bucolica. 26 - Giacobbe carpisce la benedizione di Isacco (Gen 27, 18-29) Esaù aveva ceduto a Giacobbe la sua primogenitura in cambio di un piatto di lenticchie (Gen 25, 30-34). E Giacobbe, vantando questo diritto e appoggiato dalla madre Rebecca, chiede ed ottiene la benedizione dal padre Isacco, vecchio e cieco, ma con l’inganno, fingendosi Esaù. Il riquadro rappresenta questo inganno: Esaù che è a caccia e Giacobbe che, complice la madre, carpisce la benedizione di Isacco. L’affresco sembra conservato molto bene, nei disegni e nei colori. 27 - Esaù chiede la benedizione ad Isacco (Gen 27, 30-33) Esaù ritorna dalla caccia e offre ad Isacco il suo piatto LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
preferito, ma Isacco si schermisce, riferendo di essere stato raggirato da Giacobbe. Ma ormai la benedizione al falso primogenito non si può ritrattare. Il riquadro è lacunoso nella parte che certamente rappresentava Giacobbe in fuga. Per il resto si presenta in buone condizioni. 28 - Il sogno di Giacobbe e la lotta con l’Angelo (Gen 28, 10-22) Il riquadro raggruppa due episodi analoghi perché rappresentano l’incontro di Giacobbe con Dio. Il primo è un sogno: gli angeli salgono su una scala verso il cielo e Dio gli rinnova la promessa fatta a suo padre Abramo. E’ in questa occasione che Giacobbe 43
Giuseppe racconta il suo sogno (particolare)
esclama: «Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo» Haec domus Dei est et porta coeli (Gen 28, 17). La seconda scena racconta della lotta di Giacobbe con l’Angelo (Gen 32, 25-33). Nell’affresco la lotta, che in effetti è benefica per Giacobbe, perché è l’incontro con Dio, si trasforma in un abbraccio. 29 - Giacobbe accolto da Labano (Gen 29, 13-14) Dallo zio Labano Giacobbe è accolto con l’impegno di sposare Rachele dopo sette anni di lavoro per lui; ma Labano, ligio alla tradizione, con l’inganno gli dà in sposa Lia, la figlia maggiore. 44
30 - Matrimonio di Giacobbe e Rachele (Gen 29, 27-30) Dopo altri sette anni di lavoro per lo zio Labano, Giacobbe finalmente ottiene in sposa l’amata Rachele. Il riquadro ha un impianto curato nelle proporzioni e nella prospettiva. Una bel rito nuziale, con tanto di celebrante, testimoni e stretta di mano. 30a - Scimmia che beve un uovo Una strana rappresentazione, sulla quale si possono fare, a mio parere, solo supposizioni, sia pure suggestive. Una potrebbe essere questa: l’uomo, con il peccato, si trasforma in una bestia che beve un uovo, cioè distrugge la vita. Ma è solo una ipotesi suggestiva. LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
Giacobbe si dispera per la morte di Giuseppe (particolare)
31 - Fuga di Giacobbe e riappacificazione con Esaù (Gen 33, 1-4) Una grandiosa e composita raffigurazione. Sulla sinistra le due mogli di Giacobbe, Lia e Rachele, con i loro figli e il seguito. A destra campeggia l’abbraccio di Giacobbe ed Esaù, con sullo sfondo eleganti cavalli e cavalieri. In basso le greggi e gli armenti, governati dai pastori e vigilati da un suonatore di zampogna, una figura che è poi ripetuta nella riquadro della Natività. La scena, affollata di personaggi e di animali, è in parte manomessa dalla ridipintura, ma rivela chiaramente la impostazione a piani sovrapposti ed il gusto da scenetta popolare che accoglie anche il grazioso e l’aneddotico, mentre sconfina nel leggendario. 32 - Il sogno di Giuseppe (Gen 37, 5-10) Il riquadro è diviso in due parti e rappresenta, a destra, il sogno dei covoni, a sinistra il racconto che Giuseppe fa del suo sogno al padre Giacobbe e ai suoi fratelli. Curiosamente, qui in tutto i figli di Giacobbe sono undici e non dodici. Forse manca Ruben, cioè il fratello che poi salverà Giuseppe dal pozzo? E’ una supposizione. 33 - Giuseppe calato nel pozzo (Gen 37, 23-25) Qui i fratelli sono in tutto dodici. Ed è proprio Ruben che suggerisce di non ucciderlo, ma di lasciarlo morire nella cisterna. Aveva intenzione di salvarlo, infatti la cisterna era vuota. L’affresco ha un’impostazione essenziale ma è in buone condizioni. 34 - Giacobbe si dispera per la morte di Giuseppe (Gen 37, 31-34) La disperazione di Isacco è rappresentata in modo efficace. Gli vengono presentate le vesti insaguinate di LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
Giuseppe, che così viene creduto morto. Termina con questo riquadro il racconto della Genesi. Dall’ingresso della chiesa, sulla volta e sulla controfacciata, sono invece rappresentati gli episodi salienti del Nuovo Testamento. Alla base delle vele appena descritte sono raffigurati due esponenti principali dell’Ordine dei Predicatori: 35 - San Domenico Il giglio e il libro solitamente rappresentano questo Santo vissuto fra il XII e il XIII secolo. E’ lui stesso il Fondatore dell’Ordine dei Predicatori, detti anche Domenicani. 36 - San Tommaso Anche lui domenicano, vissuto nel XIII secolo, è rappresentato nell’atto di spiegare la Trinità Gli affreschi del Nuovo Testamento sono perlopiù 45
L’Angelo appare ad Abramo (particolare)
rimaneggiati. In molti di essi è quasi impossibile risalire al disegno e originario, dovuto probabilmente ad Antonello Palumbo. Ma l’impianto complessivo si inserisce in maniera coerente con quello dell’intera chiesa. 37 - L’Annunciazione Inizia con questo riquadro il ciclo cristologico, interamente e grossolanamente ridipinto, sulla prima vela in alto a destra nella prima campata. In posizione simmetrica rispetto al riquadro della “Separazione della luce dalle tenebre” della terza campata. Come se un filo conduttore legasse i due “fiat” e attraversasse l’intera storia della salvezza! 38 - La visita a Santa Elisabetta Le scene si susseguono sempre con un andamento circolare, in senso antiorario. 46
39 - La Natività Resta ben poco di un riquadro che, sia pure notevolmente ridipinto, fino a qualche decennio fa era ancora visibile! Notevole la figura del suonatore di zampogna, che abbiamo già visto nella vela della Riappacificazione fra Giacobbe ed Esaù. 40 - I Magi. 41 - La strage degli innocenti. 42 - La presentazione al Tempio 43 - Gesù fra i dottori nel Tempio Spesso le scene dei questa prima campata sono accompagnate da didascalie. Queste, di epoca successiva agli affreschi, avevano lo scopo di accompagnare e sostenere la predicazione delle quaresime o delle novene da parte dei frati francescani. 44 - Gesù cambia l’acqua in vino (Gesù e discepoli di Emmaus) Questo riquadro, pur identificato nella didascalia con le Nozze di Cana, rappresenta, invece, l’incontro di Gesù con i discepoli di Emmaus. Mancano infatti gli sposi e la scena si svolge fuori della città, sulla strada, dove appunto Gesù si affianca ai discepoli e viene riconosciuto nello spezzare il pane. 45 e 46 - Scene della Passione e frammenti della controfacciata Queste scene, i frammenti della controfacciata e tutte le storie del Nuovo Testamento sono sicuramente opera di un unico frescante, probabilmente Antonello Palumbo, che potrebbe averle realizzate utilizzando lo schema compositivo dell’intera chiesa ideato da Nicola da Novi. 47 - Giustizia e Sibilla. 48 - Prudenza e Sibilla. 49 - Temperanza e Sibilla. 50 - Fortezza e Sibilla Alla base delle quattro vele della prima campata sono rappresentate, nella zona superiore, le quattro virtù cardinali, la Giustizia con il simbolo della bilancia, la Prudenza con quello del serpente, la Temperanza LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
Il sacrificio di Isacco (particolare)
con quello della spada, la Forza con il simbolo del leone. Nella zona inferiore delle stesse vele sono rappresentate altrettante Sibille. Si riteneva infatti che esse, come i profeti, avevano previsto e annunciato la venuta di Gesù e la salvezza dell’umanità. Coro Delicatamente intagliato e ben conservato, è stato fatto costruire dai Francescani per la recita dell’Ufficio. Arcone dell’altare La decorazione pittorica della chiesa è stata completata, forse da Pietro Di Giampietro da Brienza, verso la metà del ‘700 con immagini di Santi francescani (San Diego, San Giovanni da Capestrano, San Giovanni della Marca, LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
ed altri), presentati anche sui pilastri, ma a metà busto ed in finte nicchie a conchiglia e con schiere di putti addensati nella fronte dell’arcone.
P1 - Gesù risorto e P2 - Il sepolcro vuoto Sono il primo fondamentale annuncio fatto al pellegrino in preghiera che entra in chiesa: Gesù è risorto! P5 - San Bonaventura Il Santo, probabilmente San Bonaventura, ma potrebbe essere Sant’Antonio, raffigurato anche - forse per un’altro committente - sul primo pilastro a destra, ha il viso marcato plasticamente negli zigomi e nel mento; il volto è triangolare e sproporzionato 47
Giacobbe accolto da Labano (particolare)
rispetto alle spalle ed all’intera persona; il saio in vita si allarga a campana verso i piedi sensibilmente divaricati. P6- Il trionfo della Morte La “Morte” è rappresentata come un corpo scheletrico nudo che brandisce una grande falce, la cui lama, come i nimbi di alcuni santi negli altri riquadri, sconfina oltre la zona delimitata dalla semplice cornice a 48
finto rincasso. Tra i suoi piedi sono i cadaveri di ogni classe sociale, tra cui si distinguono un Papa col triregno, un cardinale ed un vescovo. Sul lato sinistro del pannello c’è una scritta: YO SO LA MORTE CRODELE... (il resto non è leggibile). C’è infatti qualcosa di grottesco nei particolari del disegno, come nei piedi e nelle mani della “Morte” e nei cadaveri dipinti nella zona inferiore del riquadro. Questi ultimi, accatastati LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
sono marionette, denunziano nel loro disegno sommario e rigido una scarsa articolazione che li pone molto vicini ai dannati ridipinti nella scena dell’”Inferno”. Il tema della morte riecheggia, variandone il motivo contenutistico, il tema del “contrasto dei vivi e dei morti”, già presente a Melfi nella “Cripta” di S. Margherita e ad Atri nella cattedrale, e poi ripreso in una variante che potremmo ritenere più prossima alla formula di San Donato. Ma nell’esemplare di S. Donato è venuto definitivamente meno il motivo del “contrasto”, per porre l’accento sulla sola “inesorabilità della morte”, tema ben lontano dalla cultura laica federiciana, alla quale pare possano ricondursi le raffigurazioni di Melfi e di Atri. Un’altra didascalia è scritta sul riquadro posto subito al di sopra di quello in esame, sul peduccio della vela cu cui è dipinta una “Sibilla”: LOMO VOLE ESSERE FORTE CONTRA LA ... MORTE. Questo prova ancora una volta che il dipinto in questione è stato ritoccato, poiché, non essendo sufficiente lo spazio a disposizione, il ridipintore ha preferito collocare la seconda frase sul riquadro più vicino. P7 - San Francesco che riceve le stigmate E’ sicuramente il capolavoro di San Donato. La chiara impostazione dei diversi piani prospettatici e l’equilibrio compositivo, nella distribuzione delle immagini, fanno di questa scena una delle più belle varianti del tema tradizionale. Il santo, con le mani alzate fino alle spalle e il capo ripiegato sensibilmente all’indietro, è in ginocchio in un atteggiamento complicato; al ginocchio poggiato appena per terra ed al busto leggermente arretrato si contrappone le gamba sinistra alquanto divaricata e portata in avanti: questo conferisce alla figura del santo una tensione particolare che traduce con espressività i pochi attimi del miracolo. Ad un osservazione più accurata non possono sfuggire LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
neanche i tratti duri e marcati del volto allungato e leggermente deforme. Elementi questi che apparentano alla lontana i modi stilistici del Nostro con quelli adottati nella chiesa di S. Caterina a Galatina (si vedano ad esempio i particolari del volto nella “preghiera di S. Gioacchino” del “ciclo mariologico”) All’atteggiamento dinamico e teso del Santo fa contrasto evidente la figuretta composta e serena del frate Leone intento a meditare sul vangelo, ed anche il paesaggio roccioso, a ripiani salienti, quasi deserti, dove tra i monti in lontananza si vede una chiesetta. In alto a destra è il Cristo rappresentato come un cherubino con ali di fuoco, a cui si rivolge lo sguardo del Santo. A parte gli elementi iconografici e l’impostazione delle scene, tipici di molte pitture del genere e diffusissimi nel sec. XIV, quello che a noi preme porre in risalto è proprio il particolare atteggiamento teso e di sorpresa presente nel San Francesco del quadro in esame: una caratteristica che lo avvicina alle figure di ascendenza giottesca. Il frescante, dalle raffigurazioni di Giotto (ad esempio quella di Assisi, nella basilica superiore, e l’altra ora al museo del Louvre) e da quelle di Taddeo Gaddi e del Lorenzetti (anche quest’ultima ad Assisi, nella basilica inferiore) ha potuto trarre il particolare atteggiamento umanizzante di tensione e sorpresa. L’impostazione della scena non è lontana neanche da quella adottata nel dipinto – sempre un “S. Francesco che riceve le stimmate” – attribuito ad un “maestro delle tempere francescane”, forse Pietro Orimina; tuttavia il riquadro in esame sorpassa, certo, i canoni “pauperisitici” che avevano ispirato il dipinto napoletano. P8 - Sant’Antonio da Padova Questa è certamente una delle meglio conservate fra 49
L’incendio di Sodoma (particolare)
le immagini dei santi. Il Santo è rappresentato secondo l’iconografia più comune; ha un libro chiuso nella mano sinistra ed un giglio nella destra; il capo, scoperto a un’ampia tonsura, è leggermente inclinato e lo sguardo rivolto con dolcezza verso il libro dei Vangeli. Il volto rotondo e reso plasticamente col colore fuso, le mani oltremodo curate nei particolari, le pieghe del saio ottenute insistendo, più che su linee incisive, su lievi sfumature di colore scuro, conferiscono a tutta la figura un aspetto “cortese”, accentuato dal leggero spostarsi in avanti della gamba sinistra. P9 - San Lorenzo Il santo nella destra ha una piccola graticola, simbolo del martirio, e nella sinistra un libro aperto; il volto, 50
rotondo e roseo, è leggermente rivolto verso destra; è vestito di una pesante tunicella rossa, dove peraltro non sono più visibili i tratti del panneggio; un camice bianco ricopre interamente i piedi, dove invece le pieghe si fanno aggrovigliate e leziose. In basso, a destra, appena visibile, è una piccola immagine di orante; certamente il committente del pannello. P10 - San Ludovico Discreto appare lo stato di conservazione del dipinto. Il santo vescovo francescano, rivolto leggermente vero destra, indossa un ampio piviale rosso, che, stretto intorno al collo, gira ad ansa sulla destra benedicente alla latina, da una parte, e, raccolto per un lembo sull’altro braccio scende con profonde e ripetute pieghe fino ai piedi seminascosti del camice bianco, dove, quasi con virtuosismo si infittisce il panneggio. Notevole è l’insistenza con la quale il frescante moltiplica le sinuosità del bordo piviale, con un accentuato gusto per la linea decorativa ed una sensibilità coloristica evidente, nell’accostamento della tinta del manto a quella del risvolto. P11 - San Giovanni Battista Il modulo accentuatamente allungato della figura le conferisce particolare eleganza. L’affresco è tra i più elaborati di tutta la serie e, particolarmente nel complicato panneggio del mantello verde dal risvolto rosso, rivela una tecnica disegnativa nient’affatto artigianale. Notevole è non solo l’abbinamento dei colori del manto e del risvolto, ma anche l’espediente, peraltro non comune, di far passare un lembo del mantello sotto il piede destro per continuare fino al bordo del riquadro l’elegante fluire delle linee del panneggio. Il Santo, il cui volto segnato è circondato dai capelli incolti – ma non stilizzati come nella iconografica tradizionale d’ascendenza bizantina – e dalla corta barba, ha il capo leggermente inclinato; nella destra ha un cartiglio su cui attualmente non è LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
Storie dei santi eremiti Antonio e Paolo (particolare)
leggibile alcuna scritta, e con la sinistra indica in alto verso un piccolo ‘Agnus Dei’. P12 - San Bernardino Il dipinto è molto rovinato; in esso però si può notare un accenno a strutture architettoniche nello sfondo della figurazione; particolare che nel “ciclo dei santi” è presene solo in questo pannello. Il santo, benedicente, ha nella sinistra un libro aperto su cui è una scritta orami illeggibile. Anche il volto, diversamente da quello degli altri santi, appare più disegnato negli zigomi, quasi triangolare. P13 - Sant’Onofrio Il Santo è nella tradizionale immagine di un eremita LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
ricoperto solo della sua lunga barba e dei capelli. Tra le mani, di una grazia particolarissima nel disegno, ha un nodoso bastone, che anche qui attraversa in diagonale tutto il riquadro, e un rosario. Il volto, incorniciato dalla incolta capigliatura e dalla lunga barba, è sereno, ma le pesanti occhiaie e la fronte accigliata lo rappresentano come un penitente. Particolare è la decorazione a broccato del fondo che a noi pare sia il risultato della ridipintura. P14- San Paolo Eremita Il Santo indossa il caratteristico abito degli eremiti a vimini intrecciati; tra le mani ha un bastone col manico ad ‘U’, anch’esso della iconografica bizantina 51
Matrimonio di Giacobbe e Rachele (particolare)
del Santo, e un rosario. Il volto, sfumato, dal rosa pallido al bruno, e incorniciato dalla incolta e stilizzata capigliatura e dalla lunga barba, è rivolto leggermente in basso a destra. P15 - San Biagio Rivolto di tre quarti verso destra, il Santo, benedicente, indossa gli abiti pontificali: la mitria, una casula, sulla quale sono appena visibili tracce di colore verde, una tunicella gialla ed un camice. Nella sinistra ha lo strumento del martirio (al santo martire fu strappata la pelle). Se si fa eccezione per la zona superiore, il resto del 52
dipinto appare lacunoso: non sono più visibili parte dei colori e del panneggio. P16 - Santo Stefano Rivolto di tre quarti a sinistra è raffigurato con una pietra sul capo sanguinate, sibolo del suo martirio. Indossa una dalmatica verde fortemente segnata nel panneggio, certo dalla ridipintura, con pennellate scure; in una mano ha la palma del martirio, nell’altra il libro dei vangeli. La parte inferiore, dal polpaccio in giù, è andata completamente perduta. P17 - San Nicola Raffigurato in una posizione nettamente frontale, con una grossa chierica, lo sguardo fisso e la barba corta ed arricciata, benedicente sempre alla latina, il Santo indossa una casula rossa, su una tunicella gialla ed un camice bianco che copre quasi interamente i piedi; nella sinistra ha un pastorale che attraversa in diagonale quasi tutto il riquadro. Mediocre e lacunoso è lo stato di conservazione del dipinto. P18 - Santa Lucia La figura è nettamente frontale. La Santa, sorridente e con lo sguardo fisso, regge nelle mani i simboli del martirio: nella destra ha un lungo pugnale e nella sinistra una pisside nella quale sono i due occhi. Anche questo riquadro è tagliato nella zona inferiore; l’immagine, comunque, appare chiaramente ridipinta quasi per intero. Isx- Paradiso o Giudizio; P3 - L’Angelo del Paradiso; P4 - Frammenti Gli affreschi, poco leggibili e notevolmente rimaneggiato, fanno pensare a un Giudizio, con la struttura tipica dei pittori toscani del Trecento: il Cristo al centro in alto, quasi totalmente cancellato dall’apertura di una finestra, con ai lati gli angeli disposti in più registri, che pregano o suonano i più svariati strumenti musicali. LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
Dio rimprovera Caino (particolare)
Nella zona inferiore, qualche demonio e, nella parte opposta, una schiera di anime che vengono, ad una ad una, vestite da un angelo di una tunicella bianca. Nella parte centrale “S. Pietro che accompagna un’anima alla porta del Paradiso”, molto simile a quelle raffigurate nei “Giudizi” di S. Maria del Casale a Brindisi e S. Stefano a Soleto in provincia di Lecce. Idx - Inferno Così come oggi appare, la scena risulta disorganica ed imprecisa nell’impostazione, se si esclude la zona centrale superiore in cui è raffigurata, con mura merlate ed alte torri, la Città di Dite, che funge nell’intero affresco, da unico punto di riferimento della composizione; il resto è tutto uno svolazzare di diavoli con i dannati tra le grinfie. Nella parte sinistra si nota un mostro a sette teste di colore verde chiaro, quasi acquerellato, poco curato nel disegno e nei particolari; più sotto è Lucifero, enorme nelle dimensioni e mostruoso; ha tre volti ed è nell’atto di divorare tre dannati che fuoriescono dalle sue bocche. Un particolare notevole è costituito dalle scritte poste vicino ad ogni diavolo, che ne indicano il nome, nello stesso tempo alludono alla pena che ciascuno è incaricato di eseguire. Un espediente vagamente simile è adottato nel Giudizio affrescato nella chiesetta di S. Stefano a Soleto, dove però sono i dannati a reggere tra le mani un cartiglio su cui è scritto in nome del mestiere che ha dato loro l’occasione di peccare. IIsx - Organo e frammenti Su un cartiglio incollato sul somiere si legge: «Hic Labor: hoc opus laboravit Provectus Dominus Leonardus Carella Neapolitanus, gerens in Vallo Nove[?]. Tempore Guardianatus Reverendi Patris Francisci LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
Antonij a Rubis, Lectoris, et Missionarij Apostolici. A.D. MDCCXXXV». Quindi è stato costruito nel 1735. L’organo è incastonato in una struttura lignea decorata e scolpita in perfetto stile barocco, ma purtroppo compromesso progressivamente dai tarli. Ha una sola tastiera ed una pedaliera per i bassi di un’ottava; tra i registri fondamentali, il principale, il flauto, la decima, la decima-nona e gli effetti undamaris e ottava b. 53
L’Annunciazione La strage degli innocenti
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LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
La Giustizia (particolare)
Il riferimento cronologico preciso per l’organo è anche un indizio molto attendibile di una fase di grande splendore della chiesa di San Donato, quella appunto della metà del ‘700, in cui si è sentita l’esigenza di installarvi un organo pregevole. E pensare che nel 1735, l’anno in cui quest’organo è stato costruito, Bach aveva 50 anni. IIdx - Storie di Sant’Antonio e San Paolo eremiti Sono i riquadri superstiti dipinti sulla parete destra della seconda campata (alla parete fu sovrapposto un altare, ora rimosso, e vi fu aperta una finestra). Gli episodi sono distribuiti in registri sovrapposti a scomparti, divisi da fasce a finto rincasso. Le singole scene seguono in genere i criteri stilistici e formali comuni alle altre raffigurazioni: esuberanza aneddotica, particolarmente nell’affastellarsi di più episodi in un solo riquadro, raffigurazione ambientale arcaizzante, spesso in contrasto con moduli stilistici più moderni; vivacità descrittiva nelle scenette graziose ed un po’ “naives” come nella “costruzione della chiesa”, dove ancora le dimensioni dei personaggi seguono un’arcaica gerarchia mensurale. IIIsx - San Francesco fra Sante e Santi francescani - Pietà Il vasto riquadro è mutilo della parete centrale; ma noi in base ad un confronto che ci sembra abbastanza attendibile col “S. Francesco che dà la Regola agli ordini da lui fondati”, già nella sala capitolare a S. Lorenzo in Napoli, possiamo avanzare l’ipotesi che anche questa scena possa essere riferita allo stesso tema iconografico; d’altra parte, oltre all’impostazione che è la medesima, è visibile nella zona destra una santa con le braccia protese, appunto, crediamo, nell’atto di ricevere la Regola. Nel registro inferiore della stessa parete, vi è una “Pietà”. Ben visibile è la Vergine dalla vita in su: ricoperta LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
con un manto scuro su cui contrasta il biondo dei capelli, la Madonna ha le braccia aperte; ma più che un gesto disperato, il suo è quello di una madre rasserenata che contempla il suo figliolo. In basso a sinistra si vede una parte della testa di Gesù che posava con l’intero corpo sulle ginocchia della Madre, secondo l’iconografia settentrionale. IIIdx - Pellegrini Data la frammentarietà dei riquadri superstiti e la genericità del racconto, non siamo riusciti ad identificare largamente; è tuttavia evidente che si tratta di una pellegrini al Santuario.
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Organo a canne Particolare del xxxxxxx
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LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
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schema degli affreschi 58
LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
1 - Dio separa la luce dalle tenebre 2 - Dio crea la Terra 3 - La creazione del degli alberi, del sole e della luna 4 - Dio crea gli uccelli e i pesci 5 - Dio crea le bestie selvatiche 6 - Dio crea Adamo 7 - Dio crea Eva 8 - Il peccato di Adamo ed Eva 9 - Dio rimprovera Adamo ed Eva 10 - La cacciata dall’Eden 11 - Il lavoro di Adamo ed Eva 12 - La sofferenza dei Progenitori 13 - Le offerte di Caino e Abele 14 - L’uccisione di Abele 15 - Dio rimprovera Caino 16 - Costruzione dell’Arca 17 - Ingresso nell’Arca 18 - Il Diluvio 19 - La fine del Diluvio 20 - L’uscita dall’Arca 21 - Costruzione della Torre di Babele 22 - La confusione delle lingue 23 - La distruzione di Sodoma 24 - L’Angelo appare ad Abramo 25 - Il sacrificio di Isacco 26 - Giacobbe carpisce la benedizione di Isacco 27 - Esaù chiede la benedizione ad Isacco 28 - Il sogno di Giacobbe e la lotta con l’Angelo LA BIBBIA DI RIPACANDIDA
29 - Giacobbe accolto da Labano 30 - Matrimonio di Giacobbe e Rachele 30a - Scimmia che beve un uovo 31 - Fuga di Giacobbe e riappacificazione con Esaù 32 - Il sogno di Giuseppe 33 - Giuseppe calato nel pozzo 34 - Giacobbe si dispera per la morte di Giuseppe 35 - San Domenico 36 - San Tommaso 37 - L’Annunciazione 38 - La visita a Santa Elisabetta 39 - La Natività 40 - I Magi 41 - La strage degli innocenti 42 - La presentazione al Tempio 43 - Gesù fra i dottori nel Tempio 44 - Gesù cambia l’acqua in vino 45 - Scene della Passione 46 - Scene della Passione 47 - Giustizia e Sibilla 48 - Prudenza e Sibilla 49 - Temperanza e Sibilla 50 - Fortezza e Sibilla Coro Arcone dell’altare Controfacciata P1 - Gesù risorto P2 - Il sepolcro vuoto P3 - L’Angelo del Paradiso P4 - Frammenti
P5 - San Bonaventura P6- Il trionfo della Morte P7 - San Francesco P8 - Sant’Antonio da Padova P9 - San Lorenzo P10 - San Ludovico P11 - San Giovanni Battista P12 - San Bernardino P13 - Sant’Onofrio P14- San Paolo Eremita P15 - San Biagio P16 - Santo Stefano P17 - San Nicola P18 - Santa Lucia Isx- Paradiso Idx - Inferno IIsx - Organo e frammenti IIdx - Storie di Sant’Antonio e San Paolo eremiti IIIsx - San Francesco fra Sante e Santi francescani - Pietà IIIdx - Pellegrini
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NOTA SUL CURATORE Nicola Tricarico, docente in pensione di storia e filosofia nei licei, è autore della prima tesi di laurea (1973) sulla chiesa di San Donato. Vive a Manfredonia e in collaborazione con la Pro Loco e con il Comune di Ripacandida è tra i promotori della valorizzazione del Santuario e degli studi sui suoi affreschi.
Finito di stampare nel mese di dicembre 2014