NU3 leNote di U3 numero1 Ottobre 2018 ISSN 1973-9702
I racconti di Roma Capitale a cura di Nicola Vazzoler
NU3 leNote di U3 numero 1
Direttore Giorgio Piccinato Comitato di redazione Nicola Vazzoler, Redattore capo Francesca Porcari, Segreteria Lorenzo Barbieri, Sara Caramaschi, Martina Pietropaoli, iQuaderni di U3 Eleonora Ambrosio, leRubriche di U3 Viviana Andriola, Comunicazione Janet Hetman, MediaLab Giulio Cuccurullo, Grafica Comitato scientifico Thomas Angotti, City University of New York; Oriol Nel·lo i Colom, Universitat Autònoma de Barcelona; Valter Fabietti, Università di Chieti-Pescara; Max Welch Guerra, Bauhaus-Universität Weimar; Michael Hebbert, University College London; Daniel Modigliani, Istituto Nazionale di Urbanistica; Luiz Cesar de Queiroz Ribeiro, Universidade Federal do Rio de Janeiro; Vieri Quilici, Università degli Studi Roma Tre; Christian Topalov, École des hautes études en sciences sociales; Rui Manuel Trindade Braz Afonso, Universidade do Porto leNote di U3 sono una sezione de leRubriche del giornale on line UrbanisticaTre urbanisticatre.uniroma3.it/ U3 - UrbanisticaTre ISSN 1973-9702 Ottobre 2018
Progetto grafico e impaginazione interno alla redazione In copertina: Roma, Arco dei Pantani, rielaborazione grafica del curatore (fonte immagini sito Roma ieri e oggi)
con il supporto di
ROMA
TRE
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI
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I Racconti di Roma Capitale NU3#01 - leNote di U3
I racconti di Roma Capitale a cura di Nicola Vazzoler
5. Il racconto dei racconti di N. Vazzoler
prologo 13. Studiare di G. Piccinato
15 Roma diventa Capitale di F.R. Stabile
73. Prati di Castello: tra speculazione e interventi pubblici di K. Alihajji, A. Calidoni, A. Leoni & R. Tepedino. Tutor: C. Campani
81. Indagine sulle origini della questione abitativa a Roma: il quartiere della nuova Capitale del Regno d’Italia, Prati di Castello di L. Di Giulio, S. Monterastelli, R. Piani & L. Rotoloni. Tutor. F. Cuppone
racconti 31. Il paradosso della romanità
87. La Capitale adolescente: spazi e tempi narrativi dei quartieri tra il Quirinale e Porta Pia
di G. Battarelli, I Di Filippo, E.M. Faraglia, A Lipizzi, P. Pellillo & E. Valsecchi. Tutor: T. Casaburi & G. Ferrarella
di A. Fiorilli & E. Pierfranceschi. Tutor: E. Ambrosio
39. I Fori: il cuore morto di Roma. La zona monumentale dal 1871 al 1911 nel progetto di Corrado Ricci di V. Barkas, S. Grasselli & L. Tuozzolo. Tutor: L. Fei
47. Le trasformazioni e i progetti di recupero nel centro storico di Roma di N. Cafaro, C. Fusco, T. Gentile & E. Terranera. Tutor: M. Pastor Altaba
53. I progetti per la sistemazione di Piazza Colonna attraverso la cronaca del tempo di M. Alessio, B. Criscenti, C. Milano & A. Romei. Tutor: A. Camassa
91. Roma, la città addormentata. L’archetipo fiabesco per una rilettura delle trasformazioni attorno all’asse di Via XX Settembre di F. Biscu, C. Pannone & E. Chaouachi. Tutor: M. Pietropaoli
epilogo 99. La letteratura, forse. Del suo buon uso di C. Albarello
103. Roma, le ragioni dell’essere capitale
59. La nuova capitale in cerca di un nuovo linguaggio nazionale
di G. Caudo
di L. Aringoli, A. De Crais, M. Di Majo Norante & A. Temi. Tutor: G. Brunori
apparati
69. Le due Rome, lettura critica della nascita del quartiere Prati
121. Profilo autori
di J. Al Hahrah Pellegrini, M. Anselmi, I. Quinto & M. Papi. Tutor. T. Berretta
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I Racconti di Roma Capitale NU3#01 - leNote di U3
Il racconto dei racconti di Nicola Vazzoler
[1] Per esempio come partner o supporto alla comunicazione di eventi, seminari, percorsi formativi, ecc.. [2] Legge 13 luglio 2015, n.107 “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti”. [3] E. Marchigiani, S. Basso & P. Di Biagi, 2017, Esperienze urbane. Spazi pubblici e città contemporanea, EUT, Trieste, p.11. [4] Gli obiettivi desunti dalla scheda tecnica di progetto sono: fornire elementi di conoscenza sulla città di Roma e del suo tessuto urbano; fornire strumenti per l’interrogazione di archivi bibliografici e banche date online; integrare i saperi didattici con quelli operativi; favorire l’utilizzo in modo professionale delle nuove tecnologie; introdurre l’attività di stage attraverso le conoscenze necessarie per orientarsi; aumentare l’osservazione partecipata degli studenti sulle dinamiche organizzative; riappropriarsi e valutare nuove conoscenze in diversi ambiti disciplinari; potenziare i contenuti formativi orientandoli verso competenze di cittadinanza attiva.
Alcune premesse Sono orgoglioso di introdurre questo numero de leNote di U3 (NU3) principalmente per due motivi. Il primo è legato al mio ruolo di capo redattore del giornale U3 - UrbanisticaTre e al fatto che i saggi che vi apprestate a leggere sono raccolti in un nuovo prodotto editoriale nato per diffondere, in modo agile, ricerche o studi anche non strutturati in cui il giornale è coinvolto più o meno direttamente1. Il secondo motivo di orgoglio, e forse il più importante, è legato invece alla mia professione di ricercatore accademico e ai saggi qui pubblicati esito di un progetto di Alternanza Scuola-Lavoro (AS-L) che ha visto gli studenti del Liceo Ginnasio Statale “Virgilio” di Roma impegnati in una percorso di ricerca. La legge n.107 del 20152 prevede che tutti gli studenti dell’ultimo triennio delle scuole superiori seguano un progetto di alternanza fra scuola e lavoro. Tali progetti hanno l’obiettivo di promuovere «esperienze educative, co-progettate dalle realtà scolastiche con altri soggetti e istituzioni, finalizzate a offrire agli studenti occasioni formative e di orientamento al mondo del lavoro di qualificato profilo, che ne valorizzino le aspirazioni e una crescita responsabile e consapevole»3. Entro questa cornice, il Dipartimento di Architettura di Roma Tre ha approvato lo scorso anno un progetto coordinato N. Vazzoler, Il racconto dei racconti
da Giovanni Caudo e Francesca Romana Stabile, alla cui organizzazione hanno partecipato anche il sottoscritto e Francesca Porcari con la collaborazione interna al Liceo di Carlo Albarello. Sono due, in estrema sintesi, gli obiettivi principali attorno ai quali il progetto è stato costruito4. Innanzitutto, avvicinare gli studenti al “mestiere” del ricercatore accademico, testando un percorso di ricerca tipo che partendo dalla domanda e passando per lo studio e l’applicazione di un metodo arrivasse infine alla scrittura di un saggio scientifico pubblicabile su una rivista di settore. Si è inteso poi dotare gli studenti di strumenti, trasversali e multidisciplinari, per leggere e interpretare i fatti urbani e le cause che li hanno determinati (prossime o remote, endogene o esogene). Strumenti utili ai futuri ricercatori così come ai cittadini, quali sono gli studenti che hanno partecipato al progetto, che potranno così meglio orientarsi nella città che abitano. Il progetto, iniziato a dicembre 2017 e conclusosi a giugno 2018, ha visto la partecipazione attiva di 38 studenti che si sono avvicinati al mondo della ricerca, in particolare a quella degli studi urbani, rileggendo in modo critico i processi di trasformazione fisica di Roma a seguito della proclamazione a Capitale del Regno d’Italia nel 1871.
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Fig.1 “Rom von den
Caracalla-Thermen”, Jacob Philipp Hackert, 1779-1780. Nel dipinto si può osservare il paesaggio bucolico richiamato nel testo e ricompresto nelle mura aureliane: sullo sfondo la Cupola di San Pietro, sulla destra il colle palatino con le rovine dell’antica Roma (verso lo spettatore il colle Celio con una folta vegetazione), sulla sinistra il colle Aventino e nel centro, nella valle, campi coltivati e abitazioni.
Il tema Nel 1861, anno dell’Unità d’Italia, Roma contava poco più di 200 mila abitanti, quando Parigi e Londra superavano già il milione di unità5. La città abitata e densa si attestava al Campidoglio e ai rioni Ripa, Monti e Campitelli, oltre si estendeva un paesaggio bucolico che arrivava fino alle mura aureliane. Di Roma antica rimaevano solo le rovine, come il Colosseo o il Palatino, giustapposte alle coltivazioni e alle case sparse (fig.1). Oggi Roma supera i due milioni di abitanti con un incremento di popolazione notevole registrato soprattutto nel secondo dopoguerra quando le aree più periferiche della Capitale crebbero sotto il peso dei flussi migratori provenienti dalle campagne limitrofe e dal sud Italia ma anche dal centro storico che perdeva la sua funzione residenziale6. Infatti i rioni del
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centro storico dal 1951 a oggi si sono andati spopolando, passando da 424 mila abitanti a 140 mila abitanti (Istat). Tuttavia, il valore registrato alla fine della seconda guerra mondiale è il picco di una crescita importante cominciata all’indomani dell’Unità d’Italia e proseguita nei cinquant’anni successivi. Al decremento di popolazione del centro storico (versava fino agli anni ’50 in condizioni di sovraffollamento) corrispose una vera e propria esplosione [5] Questo aspetto è ben approfondito nel contributo di demografica della città: in meno di Giovanni Caudo a p.103. un secolo, infatti, la popolazione è [6] I. Insolera, 1993, Roma decuplicata e, di conseguenza, nei rioni moderna. Un secolo di storia storici risiede oggi solo il 5% dei residenti urbanistica 1870-1990, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino. totali del Comune. Se consideriamo [7] Si veda la ricerca “Effetto invece la superficie urbanizzata, dalla città. Il caso dell’area proclamazione di Capitale a oggi, Roma metropolitana di Roma” curato da GU | Generazione Urbana si è ingrandita di circa trenta volte. nel 2017 per DGAAP MiBACT Nonostante l’ampiezza del Comune (http://www.aap.beniculturali. 7 (il più grande d’Italia per estensione ), it/intensita_urbane.html). I Racconti di Roma Capitale NU3#01 - leNote di U3
verso la fine del secolo scorso la città ha travalicato i confini comunali e si è saldata, fisicamente e funzionalmente, con i Comuni della prima e seconda corona, lungo la valle del Tevere e dell’Aniene, così come verso i Castelli e il litorale. Roma è cresciuta aggredendo la campagna romana e inglobando i borghi rurali o i centri vicini mantenendo una bassa densità di popolazione8. Un importante processo di crescita e inurbamento che trova giustificazione nel ruolo attrattivo della città e origine nel suo ruolo di Capitale, spostata qui da Firenze nel 1871. Questo spostamento ha comportato, per una piccola città di provincia, l’adeguamento agli standard delle metropoli o capitali europee ottocentesche: si dovevano infatti realizzare ministeri ed edifici del governo, ma anche abitazioni e servizi di pertinenza per la popolazione che si sarebbe venuta ad insediare (in tal senso si legga il contributo di Francesca Romana Stabile a p.15).
[8] In questo senso si veda: P. Ciorra, F. Garofalo e P.O. Rossi, a cura di, 2015, ROMA 20-25, Quodlibet, Roma. [9] M. Sanfilippo, 1993, Le tre Città di Roma. Lo sviluppo urbano dalle origini a oggi, Laterza, Roma, [10] B. secchi, 2008, La città del ventesimo secolo, Editori Laterza, Bari, p.3. [11] G.Caudo, 2017, Roma, le ragioni dell’essere capitale. in Roma alrimenti. Il testo è riproposto su autorizzazione dell’autore a p.103.
Il 1871 rappresenta quindi un passaggio, anche piuttosto repentino e “vivace”, ad una nuova Roma, la terza perché diversa da quella antica e da quella papalina, come scritto da Mario Sanfilippo9 e più volte ripreso dagli studenti nei loro saggi. Come ha suggerito Bernardo Secchi «separare il fluire della storia in periodi, dire quando ciascuno inizia e come e quando termina e perché, raccontandone i caratteri principali, è un modo di pensare il tempo, di ricostruirlo cercando il senso del suo fluire. Un’operazione mai innocente, tanto più quando il tempo che ricostruiamo è talmente vicino a noi da essere ancora carico delle nostre passioni»10. Si può N. Vazzoler, Il racconto dei racconti
dire quindi che la storia della Capitale come la conosciamo, la “quarta Roma”11 ovvero quella costruita negli ultimi trent’anni, trova origine in questo passaggio. Infatti in quegli anni si sono gettate le basi per una trasformazione radicale della città anche e soprattutto fisica, talvolta però dimenticata, soprattutto dai suoi abitanti, ma sulla quale è necessario ritornare per capire le ragioni che ne giustificano il suo ruolo oggi. Il progetto di AS-L si è concentrato su questo passaggio. L’indagine proposta ha riguardato quindi il dibattito sviluppatosi intorno alle trasformazioni urbane e sociali di Roma Capitale a cavallo tra XIX e XX sec e i legami eventuali con la città contemporanea.
Il racconto dei racconti Gli studenti del Liceo Virgilio sono stati divisi in gruppi di lavoro ai quali è stata proposta la “rilettura” di ampie porzioni dell’area centrale della città che, a partire dal 1871, hanno subito manifesti processi di trasformazione. Entro queste aree la ricerca si è concentrata poi sullo studio di uno di questi particolari processi (“casi”), demolizioni o sostituzioni/ ricostruzioni, nuovi edifici e/o quartieri, mettendo in evidenza il contesto storico, le preesistenze, gli obiettivi, le soluzioni proposte, quanto realizzato e come, nel caso l’irrisolto, le ricadute fisiche e sociali dell’intervento. Le aree selezionate e proposte sono state: il Colosseo e il suo intorno; la direttrice Porta Pia Quirinale; il Quartiere Prati; il “centro storico”.
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Fig.2 Un momento di lavoro collettivo a Madonna dei Monti.
Se i perimetri delle aree sembrano sfumati è perché si è scelta una definizione partecipata del caso di studio, ovvero del “campo di azione”, così come dell’approccio al tema di ricerca. Undici giovani ricercatori interni al Dipartimento di Architettura12, i tutor, hanno guidato gli studenti coinvolgendoli nelle scelte, in un percorso articolato in tre fasi: da dicembre 2017 (quando sono iniziate le attività) a gennaio 2018 i gruppi di lavoro si sono avvicinati al progetto consultando una bibliografia non prettamente disciplinare, ovvero diversi generi letterari utili ad immergersi, anche criticamente, nell’atmosfera delle trasformazioni e del cambiamento (fra questi testi qui si ricordano: “Le vergini delle Rocce” di D’Annunzio; “I vecchi e i giovani” di Pirandello; “Diario Romano” e “Roma” di Zola; “La conquista di Roma” di Serao”; ecc..) ; dal 5 al 10
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febbraio presso la sede di Madonna dei Monti, durante un’intensa settimana di lavori (fig.2), gli studenti sono entrati di petto nel mondo della ricerca e con l’aiuto dei tutor13 hanno definito una prima bozza di saggio passando però prima attraverso l’individuazione della domanda di ricerca, inerente al caso e al tema generale, la definizione di un metodo di lavoro, la consultazione delle fonti iconografiche e testuali e la visita dei luoghi dove si sono sedimentati i segni delle trasformazioni oggetto di studio14; partendo dalla bozza, tra marzo e giugno, i gruppi hanno concluso, sotto la supervisione dei tutor, i saggi qui pubblicati15. La ricerca non può rimanere muta, dimenticata in un hard disk o in un cassetto a fare polvere, deve poter circolare, i suoi risultati (parziali o I Racconti di Roma Capitale NU3#01 - leNote di U3
[12] Dottorato in “Paesaggi
della città contemporanea. Politiche, tecniche e studi visuali”: Eleonora Ambrosio, Tommaso Berretta, Cosimo Campani, Tiziana Casaburi, Martina Pietropaoli. Dottorato in “Architettura: innovazione e patrimonio”: Giulia Brunori, Antonio Camassa, Francesca Cuppone, Lorenzo Fei, Giuseppe Ferrarella, Maria Pastor Altaba. [13] Voglio qui ringraziare i dottorandi per l’impegno dimostrato in questa esperienza, soprattutto nell’intensa settimana di lavoro di febbraio e nelle revisioni dei testi nei mesi a seguire.
[14] Si tratta a volte di progettualità interrotte per esitazione o conflitto ancora oggi evidenti: il “non finito”, per esempio via degli Annibaldi, un viale che prosegue via dei Serpenti e taglia il colle Oppio ma che si conclude presso largo Agnesi in una stretta curva, via Nicola Salvi, e non sfonda il colle per giungere al Colosseo; il “ripensato”, per esempio i lotti sul colle Oppio edificati seguendo l’ordine proposto dai piani regolatori post unitari del 1873 e del 1883 di cui oggi non v’è più traccia; ecc [15] Chiuso il processo di scrittura i contributi hanno subito una revisione interna alla redazione del giornale U3 prima della pubblicazione. [16] Durante la settimana di lavori sono intervenuti, oltre agli organizzatori del progetto Giovanni Caudo e Francesca Romana Stabile (un suo contributo a p.15), anche Giorgio Piccinato (un suo contributo a p.13), Domenico Fiormonte, Silvio Grasselli e Stefano Magaudda. [17] C. Bianchetti, Tre quesiti su tre racconti, disponibile su: https://www.domusweb.it/ it/recensioni/2006/01/11/trequesiti-su-tre-racconti.html [18] Ibid.
definitivi che siano) devono parlare alla comunità di riferimento (ma non solo) per un confronto e ricevere pareri in merito, alimentare eventuali dibattiti sul tema o crearne di nuovi. La “comunicazione” della ricerca aiuta tutti a crescere. Per questo motivo esito finale del progetto, quello tangibile, è questa pubblicazione che raccoglie i saggi prodotti sulla Roma che è stata e che ha definito la città che ancora oggi abitiamo, i cui pregi o difetti trovano origine proprio entro quei processi di trasformazione riletti dagli studenti.
La raccolta quindi si articola attorno a racconti diversi che restiruiscono la costruzione fisica della Capitale del Regno d’Italia. Con uno sguardo centrifugo si passa dal ripensamento e adeguamento della città ereditata, la “prima” e “seconda” Roma (l’area del Colosseo e dei Fori e il “centro storico”), alla pianificazione e costruzione della nuova Capitale, con i suoi nuovi quartieri e simboli (Prati e l’asse Quirinale- Porta Pia).
Riprendendo Paul Ricœur, Cristina Bianchetti scrive che la «narrazione a un tempo esprime e costruisce»17. L’atto di raccontare qualcosa coincide quindi con Raccolta di racconti la sua affermazione e se applicato alla Sono quindi raccolti in questa nostra disciplina permette «di cogliere pubblicazione dieci saggi che abbiamo ben piantato, al centro del racconto, chiamato “racconti”. Il racconto per un orientamento pratico, scaturito definizione equivale all’atto della dalla percezione della comunicabilità narrazione ma con tono più familiare, di un’esperienza collettiva»18. Quindi e non solenne. Nei racconti che vi raccontando loro stessi, la loro apprestate a leggere gli autori ci esperienza e le loro scoperte, gli studenti informano degli esiti di un breve, del Virgilio di fatto sono diventati seppur intenso, percorso di ricerca, ricercatori anche perché in questa e la (ri)scoperta della propria città. Vi sperimentazione di AS-L la ricerca accorgerete che i testi sono diversi fra assume un ruolo nuovo: da luogo dato loro anche quando il caso trattato è lo stesso a riprova che ci sono modi diversi e predefinito di conoscenza scientifica di raccontare la città (in tal senso si legga diventa strumento di formazione il contributo di Giorgio Piccinato a p.13). attiva e di apprendimento attraverso l’esperienza diretta. In questo caso la diversità riflette la contaminazione degli sguardi e i diversi approcci al lavoro dei tutor (urbanisti, Buona lettura. architetti, paesaggisti, restauratori, ecc..) e degli ospiti incontrati durante il percorso di ricerca16. Allo stesso tempo, nei testi sono presenti le tracce dell’esperienza vissuta, ovvero la scoperta di una pratica nuova, il fare ricerca, in particolare sulla città.
N. Vazzoler, Il racconto dei racconti
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prologo
Studiare di Giorgio Piccinato
Fig.1 Fontana dei Quattro
fiumi in Piazza Navona (foto dell’autore).
Studiare una città significa, in primo luogo, raccontarla. Si può raccontare in molti modi, né si può dire che uno sia quello giusto, o più giusto di altri. Raccontarla significa condividerne la storia -o e il ritratto- con altri: dunque studiare una città non è, per sua natura, un’attività solitaria che lo studioso esaurisca all’interno di un progetto scientifico. Certo gli architetti, grazie alla loro consuetudine con gli edifici, tenderanno a raccontarla, per l’appunto, come un insieme di edifici e, magari, per i più accorti, anche di spazi fra gli edifici, costruendo così una narrazione tutta rivolta all’aspetto fisico-spaziale. Gli architetti riconosceranno gli edifici, ne G. Piccinato, Studiare
identificheranno gli apparati stilistici, li dateranno, li collocheranno all’interno di una sequenza storica. Ci sono molti altri modi di raccontare una città. Quello degli storici, che tendono a ricostruire storie sempre più dettagliate degli eventi e dei luoghi, e in primo luogo delle città, come origine stessa delle vicende umane. Quello dei sociologi, sempre più diffuso e spesso malamente orecchiato, che riguarda invece i cittadini, indipendentemente dallo spazio che li contiene. O quello degli statistici, che articolando gli abitanti e le loro attività in gruppi diversi sono in grado di ricostruire mappe descrittive
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di grande impatto comunicativo. Potremmo continuare a elencare le discipline e scoprire che ognuna può essere applicata alla città, illuminandone aspetti particolari. C’è il modo degli scrittori, forse il più pregnante, cui dobbiamo la memoria di tante città che magari non abbiamo mai visitato: la Vienna di Musil, la Dublino di Joyce, la Parigi di Simenon. O quello, cui dobbiamo sempre di più, delle arti visive, del cinema, della fotografia. Come parleremmo oggi di città, se non fossimo da tanto tempo invasi dalle immagini urbane che le macchine ottiche ci trasmettono con pretesa (infondata) di verità? Pensiamo alla Roma diventata da poco tempo capitale del Regno d’Italia. Le fotografie ci restituiscono l’immagine di una città la cui architettura classicheggiante sembra fare il verso ai ben più illustri precedenti rinascimentali e barocchi. Guardando con più attenzione riconosceremo però che quell’architettura riveste edifici per il lavoro –per lo più amministrativopiuttosto che dimore nobiliari, edifici d’affitto, villini evidentemente borghesi. Per capire di più, o meglio, converrà rivolgersi ai romanzi di Federico De Roberto o di Gabriele d’Annunzio che raccontano con grande vivacità dei costumi e degli stili di vita di coloro che vi abitavano. Allora quegli edifici e quegli spazi che gli architetti immediatamente paragoneranno con quelli –più o meno coevi- delle altre capitali europee acquisteranno per noi un senso, cui anche parteciperanno gli affreschi di Aristide Sartorio e la statuaria pubblica dei giardini e delle piazze.
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Roma diventa Capitale di Francesca Romana Stabile
«Ecco la piazza del Popolo. Si corre all’obelisco, ci si volta indietro, si vedono davanti le tre grandi strade di Roma, si vede a sinistra il Pincio delizioso, laggiù in fondo la cima del Campidoglio, tutto intorno prodigiose bellezze di natura e d’arte, antiche, nuove, auguste, gaie; la mente sopraffatta si turba, ci prende un tremito, e bisogna sedersi ai piedi dell’obelisco, pigliarsi la testa, fra le mani e aspettare che la lena ritorni» De Amicis, 1898; p.126. 1. Premessa La Roma descritta da Edmondo De Amicis ci racconta il fascino e la suggestione che esercita la città dalle “prodigiose bellezze” all’indomani della breccia di Porta Pia, il 20 settembre 1870. Una città che, nonostante la maestà dei monumenti antichi e moderni, si presentava ancora come un capoluogo di provincia, con un tessuto edilizio compatto che si alternava a vaste zone di campagna, all’interno delle mura aureliane, come emerge dalla pianta di Roma della Direzione Generale del Censo Pontificio (1866). Le diverse testimonianze iconografiche di quegli anni, dalle vedute di Ettore Roesler Franz alle fotografie del fondo Ufficio Piano regolatore, ci permettono di riconoscere le condizioni di una città dove la monumentalità del patrimonio F.R. Stabile, Roma diventa Capitale
storico-artistico si accompagnava a uno stato di diffuso degrado, raccontato bene da Coriolano Monti, ingegnere architetto capo del Comune di Bologna, che nel 1873 osservando la città scriveva: «Tanto mi sembrò tutto lurido ed abbandonato; negletta l’edilizia sin nelle parti più ovvie e comuni; degradati persino i più sontuosi palagi ed edifizi. […] Taccio dello stato delle strade, delle piazze, delle fogne, delle case, de’ passeggi. I selciati delle strade romane sono una ignominia per chicchessia; non già a causa del genere solido ed economico, ma colpa la nessuna livellazione, la mancanza di marciapiedi, di margini regolari, che pare tuttora una rarità introdurre. Le acque pluviali scorrono ancora per mezzo le vie, e passano a rivi per giungere ai così detti boccacci! Le piazze, dalle principalissime in fuori, seguono le condizioni delle strade, senza liste che ne spartiscano e ne regolino l’area e lo scolo» (Monti, 1873). 2. La costruzione della Capitale La necessità di risanare la città e fare di Roma una metropoli moderna, capace di reggere il confronto con le capitali dei paesi europei, e di sistemare in tempi brevi grandi masse di burocrati e di immigrati settentrionali e meridionali, porterà dopo il 1870 ad avviare una profonda trasformazione del suo
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Fig.1 La Galleria Colonna, progetto di Dario Carbone (1910-22), da «L’Illustrazione italiana», n. 48, 26 novembre 1922, p.625.
tessuto edilizio. Infatti, dieci giorni dopo l’entrata delle truppe italiane, la giunta provvisoria di Governo nomina una Commissione per studiare le norme generali per un Piano regolatore della città. La Commissione presieduta dal generale Cadorna programma una serie di interventi per abbellire ed ingrandire la neonata Capitale. Una prima ipotesi di espansione verso est viene sostenuta da Quintino Sella, che immagina la realizzazione di quartieri di palazzi imponenti, comodi viali, istituti della scienza e della cultura, capaci di esprimere visibilmente la supremazia e l’unità del regno (Caracciolo, 1999). Rispetto a questa visione urbana e sociale, che ipotizzava la città con una vocazione prevalentemente istituzionale e borghese, i programmi previsti per Roma, saranno invece prevalentemente motivati da contingenze di natura pratica e interessi economici. L’apertura di vie legate ai traffici crescenti, la costruzione di nuovi quartieri destinati a uffici, servizi e abitazioni, la necessità di irreggimentare le acque del Tevere, costituiscono i principali progetti realizzati in questi anni. Tra il 1871 e il 1875, verranno approvate una serie di importanti opere come i progetti dei nuovi quartieri Esquilino, Castro Pretorio, Celio; la definizione della zona industriale al Testaccio, con l’impianto del nuovo Mattatoio; la realizzazione di via Nazionale, già avviata prima del 1870 da monsignor De Merode; la costruzione dei muraglioni del Tevere. La priorità data alle opere per irreggimentare il Tevere emerge dalle parole di Alessandro Viviani, ingegnere Direttore per l’Ufficio d’arte comunale, che nella relazione al Piano regolatore del 1873, il 4 luglio, dichiara: F.R. Stabile, Roma diventa Capitale
«L’allargamento in sommità della sezione dell’alveo imporrà necessariamente delle espropriazioni e farà scomparire quella sequela di risalti, sproni, di indecorose e luride fronti di caseggiato che interrotte a quando a quando da melmose ripe, rendono tristissimo l’aspetto delle sponde del Tevere. Sistemato l’alveo e i muri di sponda secondo i migliori dettami della scienza idraulica e dell’arte per raggiungere il supremo scopo di abbassare l’ordinata delle massime piene ed impedire le inondazioni della città, due larghi stradoni correranno lungo esso il fiume alla sommità delle due nuove sponde; e i lati esterni di essi saranno abbelliti da fabbriche del tutto nuove e di aspetto regolare» (in Insolera, 1959; p.85). Igiene e decoro urbano costituiscono così i riferimenti anche del successivo Piano regolatore, approvato l’8 marzo del 1883, redatto sempre da Alessandro Viviani. A partire da tale piano vengono avviati una serie di interventi come l’apertura di via Cavour, la sistemazione di piazza Vittorio Emanuele II, di piazza Indipendenza, di corso Vittorio Emanuele II, della passeggiata del Gianicolo, di cinque nuovi ponti. Mentre l’espansione residenziale si concentra nelle zone di ampliamento, come Prati di Castello, l’Esquilino e San Lorenzo, la città storica viene destinata ad ospitare le sedi di importanti istituzioni pubbliche e private. Saranno così elaborate diverse proposte di “sistemazione” del centro della città che porteranno alla realizzazione di numerosi interventi, tra questi, il monumento a Vittorio Emanuele II (Giuseppe Sacconi, 18821911), la nuova ala del Parlamento a Montecitorio (Ernesto Basile,
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Fig.3 La zona monumentale 1902-1918), la costruzione della Galleria
di Roma – Passeggiata archeologica. Scavi in corso, da «L’Illustrazione italiana», n. 31, 1° agosto 1909, p.106. Nelle pagine precedenti:
Fig.2 La stazione Termini,
progetto di Salvatore Bianchi (1867-74), da «L’Illustrazione italiana», n. 1, 1874, pp.8-9.
Colonna (Dario Carbone, 1910-22).
3. Questioni di stile Tanto il rinnovo delle fabbriche che la costruzione degli edifici istituzionali faranno riferimento ad uno stile neorinascimentale che distinguerà i tanti progetti realizzati in quegli anni come il palazzo di Giustizia (Guglielmo Calderini, 1899-1910), il palazzo delle Esposizioni in via Nazionale (Pio Piacentini, 1877-1883), il Ministero delle Finanze (Raffaele Canevari, 1871-76), la Banca d’Italia (Gaetano Koch, 188692) e le grandi caserme presso la Piazza d’Armi. È significativo ricordare che il riferimento al neo-rinascimento assumerà, in alcuni casi, un carattere di impronta “piemontese”, estraneo alla tradizione della città: basti pensare ai progetti di piazza Vittorio Emanuele o dell’Esedra, con le tipologie degli edifici, delle strade, dei portici; o l’incompiuta sequenza degli edifici porticati dei nuovi lungotevere. Altrettanto interessante rilevare come diverse opere connotate da una funzione specialistica, siano realizzate con strutture in ferro. Una scelta in linea con un clima culturale proiettato verso un rinnovamento seppure timido - dei caratteri costruttivi e formali dell’architettura di Roma Capitale. Tra queste opere si ricordano le strutture progettate da Alfredo Cottrau per l’allargamento di Ponte Sisto (1876), l’Acquario romano (Ettore Bernich, 1881-87), la stazione Termini (Salvatore Bianchi, 1867-74), il Museo AgricoloGeologico (Raffaele Canevari, 18791885), il nuovo Mattatoio di Testaccio (Gioacchino Ersoch, 1888-1890) e i tre progetti di Giulio De Angelis, la Galleria F.R. Stabile, Roma diventa Capitale
Sciarra (iniziata nel 1885), lo stabilimento Bocconi, poi La Rinascente (1886-87), il palazzo Chauvet in via Due Macelli (terminato nel 1889). Il “classico romano”, così, con tutte le sue varianti formali e costruttive, si confronterà con la questione dello “stile nazionale”, sostenuto da Camillo Boito che scrive: «Come gli architetti del Rinascimento, del Risorgimento e del tempo Barocco servivano ai bisogni e ai costumi e ai pregiudizi della società d’allora, trasformando lo stile della Roma antica in un nuovo organismo e in una nuova estetica, senza rompere per ciò il libero legame della tradizione; così crediamo gli architetti d’oggi possano con tutti gli elementi di quelle varie architetture romane comporre lo stile moderno, creando parimente un organismo nuovo ed una estetica nuova. Tra il Bramante e il Bernini si trova, senza uscire da Roma e senza allontanarsi dalle derivazioni classiche, un mondo intiero di concetti artistici e di forme ornamentali. V’è l’arte che serve con grazia al Villino raccolto e modesto; l’arte sontuosa, che si presta al Teatro, al Palazzo, alla Reggia; l’arte grave, che s’addice alla sede del Parlamento, ai Tribunali, agli Uffici pubblici, alla Scuola, ai Musei; l’arte maschia delle Caserme e delle Porte di città, la serena e austera insieme dei Cimiteri, la gaia dei Padiglioni e dei Chioschi, la semplice degli Ospedali e degli Ospizii, la speculatrice degli Alberghi e delle Case private, quella che si acconcia al ferro e quella che si piega volentieri allo stucco: l’arte insomma di tutta la società civile d’oggi, e anche della religiosa, se occorre. Non c’è bisogno di chiamare in aiuto nessuno dei garbi delle architetture
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moderne straniere, e nessuna delle bellezze del Medio Evo; poiché il passato di Roma e la fantasia ricreatrice dell’artista possono bastare a ogni cosa» (Boito, 1875)1. 4. Roma: scoperta e distrutta Il peso del passato richiamato da Boito costituisce anche una spinosa questione per molti cantieri di Roma Capitale che mettono in luce reperti consistenti di strutture edilizie antiche, statue e oggetti che vanno ad arricchire i musei esistenti e quelli di nuova costruzione, come le Terme di Diocleziano, Villa Giulia, il Collegio Romano. Oltre agli scavi fortuiti, che spesso portavano alla cancellazione di vaste porzioni del patrimonio storicoartistico, nel 1872 viene istituita la Commissione archeologica comunale, di cui è segretario il venticinquenne Rodolfo Lanciani, che sovraintende ai numerosi scavi e restauri in diverse aeree archeologiche della città, tra cui quella centrale, che diventerà oggetto di un “Piano di sistemazione della zona monumentale riservata di Roma”, compilato dalla Commissione Reale, costituita con la legge del 14 luglio 1887, presieduta dall’archeologo Giuseppe Fiorelli. Ma come accennato, le impetuose spinte delle lottizzazioni non lasciano molto spazio a ripensamenti di ordine ambientale, storico o artistico tanto più che sulle reali esigenze di espansione non tardarono a innestarsi massicce speculazioni sulle aree fabbricabili, messe in moto da potenti interessi. Come sottolineato da Antonio Cederna, Roma diventa subito vittima dei capitali delle banche italiane e straniere, e i Piani regolatori (1873, 1883) costituiranno semplici sanatorie di operazioni finanziarie già avviate.
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Nelle pagine precedenti: Il terreno di questa “terra promessa” Fig.4 Il monumento a Vittorio diventa una miniera d’oro per le Emanuele II in costruzione, società immobiliari, così la riscoperta progetto Giuseppe Sacconi di Roma antica avviene a rimorchio (1882-1911), da «L’Illustrazione dei tumultuosi lavori di ampliamento italiana», n. 45, 7 novembre 1909, p.445. della città (Cederna, 1970). Per capire questo fenomeno è illuminante rileggere il testo di Rodolfo Lanciani, “Ancient Rome in the light of recent discoveries”, pubblicato nel 1888 che riporta:
«Dalle statistiche ufficiali che mi sono state gentilmente fornite, sembra che tra il 1 gennaio 1872 e il 31 dicembre 1885, 82 miglia di nuove strade siano state aperte, asfaltate, prosciugate e costruite; nuovi quartieri sono sorti, che coprono una superficie di 1.158 acri; 3.094 case sono state costruite o ingrandite, con un’aggiunta di 95.260 stanze; 135 milioni di lire sono stati spesi in opere di pubblica utilità e miglioramenti generali; e la popolazione, che quattordici anni fa contava 244.000 anime, supera ora la considerevole cifra di 379.000» (Lanciani, 1888; p.IX). I riferimenti segnalati da Lanciani, sono accompagnati dall’amara constatazione di come l’incremento demografico e lo sviluppo urbano abbiano prodotto un aspetto modesto dell’architettura dei nuovi quartieri: «È impossibile immaginare qualcosa di più banale, fuori moda, squallido e insipido, rispetto ai nuovi quartieri che circondano la città del 1870. Una scusa per questo stato miserabile delle cose si può trovare nella rapidità con cui questi nuovi quartieri sono spuntati fuori dalla terra, e anche nella necessità di dare un riparo frettoloso alla nuova popolazione di quasi duecentomila I Racconti di Roma Capitale NU3#01 - leNote di U3
[1] Nello stesso articolo Boito stigmatizza il progetto di Canevari per il Ministero delle Finanze osservando: «Vedete codesto palazzo delle Finanze, tanto lungo, tanto largo, tanto alto, tanto costoso e tanto pitocco» (Ivi, p.189).
immigrati. I deliziosi quartieri attraversati dalla via Salaria e la via Nomentana, già costellata di ville patrizie e giardini, con vista sulla Campagna, sulla valle dell’Aniene, sui monti Sabini e Volsci, sono stati trasformati in una brutta città di antiestetiche case a cinque piani, sembrano più caserme e fienili che abitazioni per gli abitanti coltivati della metropoli di un grande regno. La stessa pratica è stata seguita nella costruzione dell’Esquilino, del Viminale e Colline del Quirinale, le pianure del Testaccio e del Castello, e la periferia della città fuori le porte di S. Lorenzo, Maggiore, S. Giovanni, Angelica e Portese» (Lanciani, 1888; p.XXV).
Le inarrestabili esigenze del progresso non frenano lo sventramento del tessuto edilizio storico, come quello dell’antico Ghetto di Roma, del porto di Ripetta e di Ripa Grande, delle mura serviane, del Ponte Rotto. Sul Campidoglio, con la costruzione del monumento a Vittorio Emanuele II, realizzato contro il parere della Commissione archeologica comunale, andranno perdute preziose testimonianze antiche, medievali e moderne, con la demolizione di resti romani, del convento dell’Ara Coeli, della Torre di Paolo III e di tutto il tessuto edilizio della zona prospicente il colle. La febbre edilizia segna anche il destino delle ville monumentali, come villa Ludovisi, Massimo, Sciarra, Patrizi, Dalla descrizione di Lanciani si capisce Lucernari, Wolkonsky, Giustiniani, come la febbre edilizia, che porta alla Torlonia, Campana, San Faustino. sistematica lottizzazione dentro e fuori In questo senso è significativa la le mura aureliane, andrà ad investire testimonianza di Gabriele D’Annunzio anche il vasto patrimonio storico e che ne “La Vergine delle rocce” del 1896 artistico della città, determinando una scrive: «Sembrava che su Roma soffiasse serie di scellerate distruzioni della Roma un vento di barbarie e minacciasse di antica, medievale e moderna. Saranno strapparle quella raggiante corona di ville molti gli studiosi e letterati stranieri gentilizie a cui nulla è paragonabile nel a denunciare con severità i metodi di mondo della memoria e della poesia... il “costruzione” della Capitale. Già il 5 piccone, la cazzuola e la malafede erano marzo 1871, nei suoi diari, Gregorovius le armi». annotava, «Hanno demolito la Porta Il processo di speculazione promosso Salara, la vecchia porta veneranda da cui dagli aristocratici romani ci viene una volta erano passati i goti. Tutta Roma raccontato in maniera ancora più è in rovina come il papato» (Gregorovius, circostanziata dalle pungenti parole di 1867; p.539). Anche Ermanno Grimm, Lanciani che sottolinea: nel 1886, pubblica un pamphlet dal titolo eloquente, “La distruzione di Roma”, «Non appena questa razza degenere ha sottolineando «Quando allora accadesse scoperto la possibilità di realizzare un po’ di riparlar di Roma, della sacra, eterna di soldi con le magnifiche ville che i loro città, si risponderebbe freddamente: antenati avevano costruito e mantenuto questa Roma, come tutti sanno, nel nono per il ristoro, la salute e il benessere decennio del XIX secolo, fu dagl’italiani dei loro concittadini, non ha esitato un stessi distrutta» (Grimm, 1889; p.17). minuto a vendere, metro per metro, la gloria e l’orgoglio delle loro famiglie… F.R. Stabile, Roma diventa Capitale
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- viene inoltre rilevato come - nessuna meraviglia se noi oggi già cominciamo a sentire gli effetti di questa completa distruzione, dall’aumento di due gradi nella temperatura media in estate a una diminuzione nella media proporzione di ossigeno nella nostra atmosfera» (Lanciani, 1888; p.XV).
verranno promosse, oltre ad una serie di opere a sostegno dell’assistenza sociale, dell’edilizia popolare3 e convenzionata, norme per abbattere il monopolio privato e abbassare le tariffe delle utenze, insieme alla municipalizzazione delle società dei pubblici servizi. Alcune leggi sulle aree fabbricabili emanate dal Governo Giolitti, tra il 1907 e il 1908, Con questa memorabile invettiva consentirono al Comune l’acquisizione Lanciani avverte drammaticamente di comparti demaniali destinati alla la crisi della città moderna che presto pianificazione sia di zone residenziali diventerà stallo e recessione dell’attività che di aree industriali, di servizio e per le edilizia. La crisi edilizia dovuta anche infrastrutture. all’alto costo degli affitti, com’è noto, Il 29 agosto del 1909, viene convertito avrà importanti risvolti ambientali, in legge il nuovo Piano regolatore, [2] In particolare, si fa politici e sociali; oltre ai famosi scandali redatto da Edmondo Sanjust di Teulada, riferimento alle leggi proposte da Giolitti per cui: finanziari, che coinvolgeranno alte dimensionato per una popolazione di «L’ingentissimo sviluppo del sfere economiche e politiche a livello circa un milione di abitanti, con una bilancio è principalmente nazionale, rimangono abbandonati previsione di incremento di 516.325 dovuto all’applicazione diversi quartieri in costruzione, unità nei successivi 25 anni. Il piano, al bilancio stesso dei come Testaccio, Prati, Trionfale, e si pur confermando il precedente provvedimenti derivanti dalle leggi per Roma 11 registreranno migliaia di licenziamenti impianto radiocentrico prevedeva un luglio 1907, n. 502, 6 aprile degli addetti all’edilizia. nuovo assetto urbano: l’introduzione 1908, n. 116 e 15 luglio 1911, di differenti tipi edilizi, con vaste zone n. 755». In Cinque anni di 5. Il nuovo secolo e l’esposizione destinate a “villino”; un ampio viale di amministrazione popolare del 1911 circonvallazione a servizio della zona di M.CM.VIII-M.CM.XII – Appendice dal I-XI M.CM.XII Alle soglie del Novecento la città ampliamento; la proposta (disattesa) al XXX-XI M.CM.XIII, Roma registra un progressivo miglioramento di realizzare una serie di Ministeri sulla 1913, p.88. economico e riprende la sua crescita riva destra del Tevere, interpretato [3] Da San Saba a Testaccio, fino alle “casette provvisorie grazie a una serie di leggi per Roma suggestivamente come un “Ring comunali” fuori della cinta che offrono un sostegno finanziario d’acqua”; interventi di sistemazione urbana, con nuovi edifici per il pareggio del bilancio e adeguati della “città interna”, con le proposte scolastici in città e nell’Agro strumenti per una nuova politica urbana di creazione di quattro assi principali: romano. 2 (leggi del 1902, 1904, 1907, 1908, 1911) . ponte Cavour-piazza di Spagna, lungo [4] Il piano prevedeva cinque principali nuclei d’espansione: Mutui per gli espropri, una aggiornata via della Croce; Tritone-Colonna-Ponte a piazza d’Armi, tra la via determinazione della tassa sulle aree Vittorio, sventrando la zona di Trevi Flaminia e il Tevere, a piazza fabbricabili, i finanziamenti per le opere e via dei Coronari; piazza VeneziaVerbano, a piazza Bologna pubbliche, gli incentivi per l’Istituto Case Colosseo; il proseguimento, in gran e fuori porta San Giovanni. Nuclei minori erano progettati popolari, i piani di bonifica dell’Agro parte in galleria, del rettifilo Babuinoa Monte Verde, a Santa romano, daranno un grande contributo Due Macelli-Traforo-via Milano fino Maria delle Fornaci, sulla via allo sviluppo della città. Grazie alla giunta a San Giovanni4. Come sottolineato Nomentana a via Paisiello. progressista guidata da Ernesto Nathan da Italo Insolera, non vi è dubbio che, Zone vastissime come i monti (novembre 1907 - dicembre 1913), nonostante la riproposizione degli Parioli erano destinate a villini.
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schemi del precedente Piano regolatore, nel progetto del Sanjust, ci sia stata una chiara conoscenza dell’urbanistica europea e una correttezza tecnicourbanistica unica nella storia di Roma: gli ampliamenti sono previsti per nuclei fissati su dimensioni proporzionali ai servizi che il piano prevede e che determinano le sezioni stradali, il numero e le dimensioni delle piazze e dei viali programmati in funzione dei singoli quartieri (Insolera, 1959). Alcune ipotesi previste dal Piano regolatore saranno realizzate in relazione ad un’altra importante iniziativa: la celebrazione del cinquantenario della proclamazione di Roma Capitale, prevista per il 1911. Tra i nuovi lavori realizzati in questa occasione ricordiamo, l’isolamento delle Terme di Diocleziano, la costruzione del palazzo delle Belle Arti a Valle Giulia, l’allargamento della via Flaminia, un primo piano di lottizzazione dell’ex piazza d’Armi, i progetti per la zona industriale a sud della città. Nell’ambito delle celebrazioni verranno allestite diverse mostre ospitate in padiglioni permanenti e temporanei, l’esposizione di pittura e scultura internazionale a Valle Giulia, con le mostre di ventiquattro paesi; l’esposizione regionale ed etnografica in Piazza d’Armi; le raccolte medioevali, a Castel Sant’Angelo; la mostra Archeologica romana, alle Terme Diocleziano. Saranno inoltre realizzate diverse importanti infrastrutture come «le larghe nuove strade tracciate da Villa Umberto I sino al centro della Piazza d’Armi; il Ponte ad una sola arcata, gittato attraverso il Tevere, audace prova dei progressi dell’ingegneria moderna» (Insolera, F.R. Stabile, Roma diventa Capitale
1959; p.7). L’appuntamento del 1911 segnerà così un passaggio decisivo per lo sviluppo di Roma, attraverso il confronto tra progetti realizzati e prospettive future, conservazione dell’antico e creazione di nuove realtà urbane, adeguate alla società del nuovo secolo. In tal senso acquista un peso simbolico l’inaugurazione del monumento a Vittorio Emanuele II, suggellata da una cerimonia che doveva celebrare l’Unità d’Italia e il riconosciuto ruolo di Roma Capitale: «Così per invito dell’Amministrazione popolare i Sindaci di pressoché seimila comuni d’Italia convennero il 4 giugno 1911 in Campidoglio per recarsi corporativamente ad assistere all’inaugurazione del monumento a Vittorio Emanuele II, mirabile segnacolo artistico della compiuta unità. Fu fatto politico, morale, amministrativo nuovo negli annali del paese. Mai sino allora i rappresentanti legali dei Comuni grandi e piccoli, le cellule più vitali dell’organismo nazionale, s’erano riuniti insieme. Allora, dietro nostro invito, accorsero, si accomunarono per acclamare allo scoprimento dell’insigne opera d’arte, che in sul Campidoglio, alle altre allato, la Terza Italia instaurava, tributando riconoscenza a chi dall’alto del trono ne aveva presidiato le sorti» (Insolera, 1959; p.8). Nonostante la retorica legata alle celebrazioni queste brevi note, servono a ricordarci come la storia della costruzione di Roma Capitale sia stata segnata da una forte tensione culturale, politica e morale sui cui è bene continuare a riflettere per ragionare sul destino di questa città. Anche attraverso
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questo sintetico racconto della “città che cresce” è possibile rileggere alcuni aspetti di un progetto urbanistico e sociale centrale nella storia di questo paese, i suoi pregi e le sue insufficienze, le sue luci e le sue ombre, comunque rivelatrici di un’evoluzione culturale e di un’identità in formazione. In particolare, il progetto degli amministratori laici e progressisti raccolti attorno alla giunta Nathan mostra come a Roma si fosse formato un gruppo di tecnici di grande qualità specializzati nell’intervento urbano e nella promozione sociale, pensiamo per esempio agli assessori Giovanni Montemartini e Tullio RossiDoria. Prende così rilievo il tema della specificità romana e la sua comparabilità con i percorsi della crescita urbana a livello europeo contro lo stereotipo del provincialismo e dell’arretratezza. È quindi quanto mai necessario ripensare in maniera sistematica alla lunga e complessa storia di questo percorso di crescita urbana, civile e sociale anche alla luce del 2020 quando saranno celebrati i centocinquant’anni di Roma Capitale.
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Bibliografia C. Boito, 1875, “Rassegna artistica”, in Nuova Antologia, vol. XXX, settembre, pp. 184-197. A. Caracciolo, 1999 (ed. or. 1956), Roma capitale. Dal Risorgimento alla crisi dello Stato liberale, Edizioni Rinascita, Roma, pp. 100-105. A. Cederna, 1970, “Roma: scoperta e distrutta”, presentazione a R. Lanciani, L’Antica Roma, Roma, pp. IX-X. E. De Amicis, 1898, Le tre capitali Torino, Firenze, Roma, Catania. F. Gregorovius, 1967, Diari romani, a cura di A.M. Arpino, vol. II, Roma. H. Grimm, 1886, La distruzione di Roma narrazione di Ermanno Grimm, Firenze. I. Insolera, 1959, “Storia del primo piano regolatore di Roma: 1870-1874”, in Urbanistica, n. 27. I. Insolera, 1959, “I piani regolatori dal 1880 alla seconda guerra mondiale”, in Urbanistica, nn. 28-29. R. Lanciani, 1888, Ancient Rome in the light of recent discoveries. C. Monti, 1873, “Sul Riordinamento edilizio di Roma”, in Nuova Antologia, vol. XXIV, novembre, pp.594-596. I Racconti di Roma Capitale NU3#01 - leNote di U3
racconti
Il paradosso della romanità di G. Battarelli, I. Di Filippo, E.M. Faraglia, A. Lipizzi, P. Pellillo & E. Valsecchi. Tutor: Tiziana Casaburi & Giuseppe Ferrarella
Fig.1 L’asse di Via dell’Impero
(M. F. Boemi, C.M. Travaglini, Roma dal’alto: catalogo della mostra, Roma, Casa dell’architettura, Acquario romano, 25 ottobre-30 novembre 2006, Roma 2006, p.115, fig.2.18).
L’area del Colosseo ha subito molti cambiamenti sin dal periodo antecedente alla costruzione del “monumento”. Partendo da una lettura dello sviluppo dell’area è evidente come il tempo abbia modellato il ruolo di questo luogo attraversando numerosi periodi storici e diventando, a tratti, protagonista della vita degli abitanti. Questo territorio originariamente presentava declivi più ripidi rispetto a quelli attuali, modellati dai corsi d’acqua che qui scorrevano, primo fra tutti il Rivo Labicano, e da ruscelli a carattere stagionale che convogliavano nel rivo, scendendo dalla Velia e dal Palatino. Nerone decise nel 64 d.C. di far costruire
una nuova domus degna della sua grandezza; monumentalizzò il bacino preesistente, circondandolo di edifici. La valle divenuta sotto Nerone un luogo privato, assunse un carattere pubblico solo con la costruzione dell’Anfiteatro Flavio, realizzato tra il 72 e l’80 d.C. Un luogo in cui avevano da sempre confluito corsi d’acqua, divenne così un polo ludico di richiamo per le folle di cittadini da allora sino ai nostri giorni. È interessante in quest’ottica leggere il periodo che va dal XIX sec. fino ai giorni nostri per comprendere i cambiamenti avvenuti nella relazione del Colosseo non solo con il territorio limitrofo, ma anche con la popolazione locale.
G. Battarelli, I. Di Filippo, E.M. Faraglia, A. Lipizzi, P. Pellillo & E. Valsecchi. Tutor: T. Casaburi & G. Ferrarella. Il paradosso della romanità
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In una lettera firmata da Caetano Malvolti e datata 20 Novembre 1873 si legge: «Ricordi il continuo via vai di uomini che si affannavano con i loro carretti per portare il letame dal Colosseo fino ai capannoni sugli ex Orti Gualtieri?»1. Fino al 1805 infatti il Colosseo era adibito a deposito per le terre nitrose e i letami. Dall’edificio questi erano trasportati per mezzo di carretti fino ai locali di lavorazione del salnitro, prima al Palatino, poi a Colle Oppio, fino a quando nel 1795 non furono costruiti sugli ex Orti Gualtieri i tre capannoni da utilizzare come depositi. Il Colosseo rimane però un magazzino per altri dieci anni fino a quando non venne definitivamente dismesso. La decisione fu presa in modo da salvaguardare il bene artistico fortemente danneggiato dall’utilizzo improprio della sua struttura.
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In quel momento l’anfiteatro si trovava ai Fig.2 In alto a sinistra, Catasto limiti della città oltre i quali si estendeva Gregoriano (1819-1822), in alto a destra Pianta della la campagna. Nonostante la sua Direzione Generale del Censo posizione marginale, esso svolgeva una (1866). In basso a sinistra, Piano Regolatore di Alessandro funzione specifica, seppur inadeguata Viviani (1882); in basso a alla sua magnificenza. A seguire il destra, fotografia aerea scattata Colosseo rimase a lungo abbandonato dal tenente Nistri nel 1919. a sé stesso e la flora iniziò a invadere la struttura. Ben presto si avvisò la necessità di riqualificarlo e nel 1870 iniziarono i lavori di pulitura sotto la direzione di Pietro Rosa conclusi nel 1875. Nella stessa lettera firmata dal Malvolti [1] Le lettere citate nel presente contributo sono si legge: «Caro Paolo, da quando la state realizzate dal gruppo nostra Roma è diventata Capitale, qui di lavoro e frutto di una in città si vive in un continuo stato di elaborazione di fatti realmente cambiamento». È infatti nel 1871 che la accaduti e verificati tramite la Capitale d’Italia viene spostata da Firenze lettura di diverse fonti citate bibliografia. Le lettere, che a Roma e la città cerca così di adeguarsi in non hanno quindi reale valore al suo nuovo ruolo. A Roma si percepisce documentario, sono leggibili a infatti un clima di cambiamento di cui i chiusura del testo. I Racconti di Roma Capitale NU3#01 - leNote di U3
cittadini si sentono partecipi. L’Ufficio d’Arte Comunale diretto dall’ingegnere Alessandro Viviani elabora nel 1873 una proposta di Piano regolatore, approvato poi in Consiglio comunale, atto a modificare l’assetto urbanistico della città. Nonostante non vi fosse l’intenzione di apportare grandi modifiche nell’area del Colosseo, quello che emerge dal Piano è la volontà di rendere questo spazio più centrale come già era stato nel progetto francese del 1812 e promosso dal prefetto Camille de Tournon. Il progetto prevedeva nell’area numerosi scavi per riportare in luce le antiche vestigia con interventi al Colosseo, al Foro Romano e Traiano, la realizzazione di un giardino pubblico sul Palatino, la sistemazione monumentale dello spazio tra Colosseo e Campidoglio e la creazione di un palazzo imperiale su quest’ultimo. Reimpiegando il materiale di scavo per la realizzazione di un giardino pubblico sul Celio, vennero innalzati il Clivus Palatino e le sostruzioni sul Campidoglio. Ancora dalla lettera si apprende «che anche lo stesso Celio subirà delle trasformazioni: recentemente è stato infatti pubblicato un Piano regolatore che prevede la costruzione di un quartiere residenziale sul Colle». Nell’area limitrofa al Colosseo si prevedeva la realizzazione di un viale alberato la cui estremità est era chiusa dal Colosseo stesso. Questo progetto non verrà mai realizzato come anche il Piano del 1873. È interessante notare come oltre all’eliminazione del Palazzetto Venezia e alla trasformazione della piazza omonima, intenzione di Viviani fosse quella della costruzione di Via dei Fori Imperiali, costante nei Piani regolatori successivi ma mai realizzata
fino agli anni ’30. Con il Piano regolatore del 1883 fu nuovamente manifesto l’intento, non concretizzato, di realizzare il rettifilo da Piazza Venezia al Colosseo con un ponte in metallo sui Fori Romani e l’isolamento del Campidoglio. In questo momento, sebbene il Colosseo si trovasse ancora ai margini della città, è chiara la volontà di inserirlo nel tessuto urbano e attribuirgli nuovamente una centralità ormai perduta da tempo. Con questo proposito furono attuati alcuni cambiamenti e sorsero diverse strutture come l’Ospedale Militare del Celio e vennero istituiti i parchi archeologici del Palatino, Circo Massimo e del Celio. Successivamente nel 1911 si inaugurò la Passeggiata Archeologica e si diede avvio al programma di Leggi a protezione dell’Area Archeologica Centrale, alcune delle quali non trovarono attuazione, come ad esempio l’unione del Parco Archeologico dell’Area Centrale con quello dell’Appia Antica. Dopo l’insediamento del Regime fascista il Colosseo acquisisce un forte valore simbolico non solo per la città ma per l’Italia nel mondo: Mussolini voleva infatti stabilire una continuità fra la Roma imperiale e la Roma fascista. Tutto ciò fu realizzato con la costruzione della Via dell’Impero attraverso la demolizione dell’intero quartiere rinascimentalebarocco Alessandrino. In una lettera del 9 marzo 1929 e firmata “Italo” si legge: «È prevista infatti da anni la demolizione di molti quartieri, tra cui il mio beneamato Alessandrino, per l’ampliamento di nuove vie di comunicazione. Non ti so dire se quest’idea verrà effettivamente realizzata, ma se vuoi il mio personale parere, ritengo che sia necessario l’ampliamento di alcune strade». È
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interessante osservare come le esigenze dai cittadini vengano poi concretizzate nel Piano regolatore del 1931. In questo Piano si prevedeva anche l’eliminazione della collina della Velia e l’ampliamento di Via di San Gregorio (rinominata da Mussolini Via dei Trionfi), il progetto di liberazione dei Mercati di Traiano e del Campidoglio, il disegno dei giardini pubblici di Colle Oppio e Villa Celimontana. L’introduzione dell’automobile caratterizza la maggior parte degli interventi. Il Colosseo diventa uno scenario “futurista” per le vetture che passano ripercorrendo un passato glorioso. Inoltre non è un caso che il Colosseo sia stato scelto come teatro per la “benedizione delle auto” nel giorno della festa di Santa Francesca Romana. Nella medesima lettera si legge: «A proposito di automobili, stamane, con animo nostalgico, mi sono recato
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alla benedizione tenutasi nella Piazza Fig.3 C. Tardivo, Roma dal pallone aerostatico, 1908 (M. del Colosseo; è già il terzo anno che Boemi, C.M. Travaglini, partecipo all’evento, nonostante la mia F.Roma dal’alto: catalogo vettura abbia già ricevuto la benedizione. della mostra, Roma, Casa dell’architettura, Acquario Mi piace assistere alle cerimonie pubbliche e soprattutto mi ricorda il mio romano, 25 ottobre-30 novembre 2006, Roma 2006). quartiere. Non posso che sottolineare la bellezza di quella scenografia, che rende la cerimonia ancora più suggestiva; vorrei che tu potessi vederlo, si erge in tutta la sua magnificenza, circondato da uomini, donne e auto che sfrecciano intorno alla sua immobilità». Il Colosseo fa da sfondo dagli anni ’20 ad un altro evento di pubblico interesse: la “corsa dei camerieri”, che si svolgeva nel periodo estivo, riuniva tutti i camerieri romani che con il vassoio pieno dovevano percorrere un giro completo intorno al Colosseo. La lettera scritta da un privato cittadino al direttore di una testata giornalistica I Racconti di Roma Capitale NU3#01 - leNote di U3
del 20 gennaio 2017 pone l’attenzione sulla «concezione ambigua di un edificio che non partecipa più della quotidianità cittadina». Il Colosseo, dopo aver attraversato numerose fasi, benché si trovi al centro della città, non è centrale nella vita dei romani: «Noi cittadini, infatti, non viviamo più questo luogo e abbiamo poca coscienza dell’originaria funzione di quella che per lungo tempo è stata parte integrante della città. Nonostante l’attenzione posta sul Colosseo da parte delle istituzioni e non solo (il Colosseo è infatti la location più fotografata di tutta Italia, con più di un milione di post associati su Instagram), è evidente una netta differenza rispetto al passato nel rapporto tra il cittadino e l’edificio: oggigiorno questo non appartiene più alla cittadinanza perché ridotto ad attrazione turistica, annoverata fra i musei nazionali della città e come questi aperto gratuitamente ogni prima domenica del mese». Il Colosseo, divenuto simbolo di un passato glorioso e inserito dal 2007 tra le Nuove sette meraviglie del mondo, non a caso è stato scelto come partenza e traguardo suggestivo della maratona Stracittadina. Oggi il Colosseo fa parte del centro storico di Roma, e vi si può accedere tramite pagamento di un biglietto: «Quotidianamente si riversano nella zona limitrofa gruppi immensi di turisti […], improvvisati centurioni romani si fanno fotografare in cambio di denaro e vi è un continuo via vai di botticelle». Questo è il prodotto di un processo di mercificazione del monumento che ha visto il Colosseo diventare una vera e propria attrazione turistica. Questo fa sì che i cittadini non frequentino più l’area nella loro quotidianità e che giornalmente i turisti,
talvolta anche poco rispettosi, diventino gli unici visitatori dell’area. Diretta conseguenza del forte valore simbolico che viene attribuito all’edificio, sono anche i fatti di cronaca che lo vedono violato, a titolo d’esempio: nella notte del 16 gennaio 2017 due ragazzi brasiliani hanno scavalcato la cancellata del Colosseo, irrompendo nell’edificio, nel pomeriggio sono state poi trovate due scritte su un pilastro. Questa rilettura propone un paradosso: quando si trovava in una zona periferica, rispetto al centro della città, il Colosseo ha ospitato diverse funzioni (sacre, ludiche, ecc..) e ricopriva un ruolo attivo nella vita dei romani; è dal periodo fascista che l’Anfiteatro si è consolidato come simbolo ed è stato incluso nella zona centrale della città, ma paradossalmente gli abitanti non lo percepiscono più come un proprio spazio. Attualmente il Colosseo è solo un monumento che ricopre un ruolo fine a se stesso e diventa così una rotatoria per i romani e un’attrazione per i turisti.
G. Battarelli, I. Di Filippo, E.M. Faraglia, A. Lipizzi, P. Pellillo & E. Valsecchi. Tutor: T. Casaburi & G. Ferrarella. Il paradosso della romanità
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Bibliografia
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PRG e cartografia
Nolli, 1748 + Facola 1679 (Per Celio) PRG 1873 Viviani PRG 1883 Viviani PRG 1909 San Just
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Lettere citate nel contributo:
Roma, 20 Novembre 1873 Caro Paolo, da quando la nostra Roma è diventata capitale, qui in città si vive in un continuo stato di cambiamento. Temo che della campagna che si estende fuori le mura rimarrà ben poco, data la febbre edilizia che sembra dilagare. Ricordi il continuo via vai di uomini che si affannavano con i loro carretti per portare il letame dal Colosseo fino ai capannoni sugli ex Orti Gualtieri? All’Anfiteatro non veniva data la dignità che invece gli spetta in quanto testimonianza del nostro glorioso passato di Romani. Il Colosseo poi da deposito era ritornato a essere parte della vita di noi cittadini, come quando era uso seguire il corteo della Via Crucis fino alla grande croce posta al centro dell’arena. Da tre anni a questa parte si stanno svolgendo lavori di riqualificazione capeggiati da Pietro Rosa: la Soprintendenza ha intenzione di eliminare l’ammasso di piante e arbusti che ricoprono l’edificio. Quando finiranno, ammirare dal Celio il Colosseo sarà ancora più affascinante. Si dice che anche lo stesso Celio subirà delle trasformazioni: recentemente è stato infatti pubblicato un Piano Regolatore che prevede la costruzione di un quartiere residenziale sul Colle. Sarebbe una buona occasione per trasferirmi più vicino a mia figlia e ai miei nipoti. Come ti ricorderai, già sotto i Francesi era stato costruito un giardino sul Celio e si pensava a numerosi interventi nella Valle del Colosseo. Spero di non rimanere deluso quanto lo siamo stati allora. Mi auguro che a Parigi vada tutto per il meglio. Affettuosamente tuo, Caetano Malvolti Roma, lì 9 Marzo 1929, anno XVII Caro Alfio, Ti scrivo in merito alla scorsa lettera, nella quale mi hai chiesto di metterti al corrente della situazione nella capitale. Mi sono da poco trasferito, non per mio volere, dal mio tanto caro e amato quartiere. Ricordo con rimpianto le mattinate in cui mi svegliavo e aprivo le persiane che mi offrivano una dolce vista del Colosseo; ma ora tutto questo non mi è più possibile. La ragione principale del mio trasferimento forzato è probabilmente collegata ad un nuovo progetto urbanistico. E’ prevista infatti da anni la demolizione di molti quartieri, tra cui il mio beneamato Alessandrino, per l’ampliamento di nuove vie di comunicazione. Non ti so dire se quest’idea verrà effettivamente realizzata, ma se vuoi il mio personale parere, ritengo che sia necessario l’ampliamento di alcune strade, le auto aumentano e Roma deve adattarsi. A proposito di automobili, stamane, con animo nostalgico, mi sono recato alla benedizione tenutasi nella piazza del Colosseo; è già il terzo anno che partecipo all’evento, nonostante la mia vettura abbia già ricevuto la benedizione. Mi piace assistere alle cerimonie pubbliche e soprattutto mi ricorda il mio quartiere. Non posso che sottolineare la bellezza di quella scenografia, che rende la cerimonia ancora più suggestiva; vorrei che tu potessi vederlo, si erge in tutta la sua magnificenza, circondato da uomini, donne e auto che sfrecciano intorno alla sua immobilità. Devo ammettere che sono rimasto sorpreso dal crescente numero di partecipanti e di vetture, la piazza era gremita, auto ammassate che aspettavano la sacra benedizione. Ho riconosciuto quelle dei vari Ministeri, dell’Aeronautica, della Marina e persino del Duce. Queste sono le novità qui a Roma, ci stiamo modernizzando, ma io non riesco a non pensare alla mia vecchia casa. Spero di ricevere presto una tua lettera, Carissimi saluti, il tuo Italo
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Roma, 20 gennaio 2017
Egregio Direttore, A seguito dei fatti di cronaca che hanno coinvolto nei giorni passati l’Anfiteatro Flavio, mi preme come cittadino romano porre l’attenzione sulla concezione ambigua di un edificio che non partecipa più della quotidianità cittadina. Due brasiliani, la notte del 16 gennaio, intorno alle 2.30, hanno scavalcato la cancellata del Colosseo, hanno perso l’equilibrio e sono precipitati giù. Nel pomeriggio sono state poi trovate due scritte (“Balto” e “Morte”) su un pilastro, dal lato dell’ingresso della metropolitana. I due uomini erano probabilmente convinti, ubriachi com’erano, di vivere chissà quale avventura entrando dentro il tempio della romanità antica. Da questo fatto, a mio parere, si evince come sia cambiata la concezione del Colosseo da luogo di fruizione pubblica a mero luogo simbolo di una civiltà perduta (infatti a breve si svolgerà la maratona Stracittadina annuale che partirà simbolicamente proprio da qui); il monumento che appare imponente da Via degli Annibaldi è sospeso rispetto ad una città che gli ruota attorno freneticamente. In questo sta l’ambiguità di un edificio la cui unica funzione direttamente connessa con il tessuto urbano attuale è quella di una bella rotonda, collocata nel cuore di Roma fra Via di San Gregorio, Via dei Fori Imperiali e Via Labicana. La Soprintendenza per i Beni Archeologici di Roma sta valutando la possibilità di creare un’area per così dire di non libero accesso, una zona rossa, un’area separata non da sistemi fisici o recinzioni, ma da dissuasori come catenelle sul perimetro di questa zona, all’interno della quale sarà installato un sistema di videocontrollo. Queste misure, attuate per la salvaguardia del monumento allo scopo di impedire intrusioni comporterebbero un ulteriore isolamento di questo bene culturale a mio avviso. Noi cittadini, infatti, non viviamo più questo luogo e abbiamo poca coscienza dell’originaria funzione di quella che per lungo tempo è stata parte integrante della città. Nonostante l’attenzione posta sul Colosseo da parte delle istituzioni e non solo (il Colosseo è infatti il luogo più fotografata di tutta Italia, con più di un milione di post associati su Instagram), è evidente una netta differenza rispetto al passato nel rapporto tra il cittadino e l’edificio: oggigiorno questo non appartiene più alla cittadinanza perché ridotto ad un’attrazione turistica, annoverata fra i musei nazionali della città e come questi aperto gratuitamente ogni prima domenica del mese. Quotidianamente si riversano nella zona limitrofa gruppi immensi di turisti, talvolta anche poco rispettosi, improvvisati centurioni romani si fanno fotografare in cambio di denaro e vi è un continuo via vai di “botticelle”. In conclusione, penso ci sarebbe molto di cui parlare riguardo questo argomento e sarei interessato a ricevere una sua opinione in merito. Distinti saluti, Camilla Proietti
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I Fori: il cuore morto di Roma. La zona monumentale dal 1871 al 1911 nel progetto di Corrado Ricci di V. Barkas, S. Grasselli & L. Tuozzolo. Tutor: Lorenzo Fei
Introduzione e obiettivi La seguente memoria è il risultato del lavoro svolto nella prima settimana di febbraio 2018 presso la sede di Madonna dei Monti del Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi Roma Tre, nell’ambito del progetto di alternanza scuola-lavoro “i Racconti di Roma Capitale”. Ogni gruppo di lavoro, composto da studenti del Liceo Virgilio, è stato incaricato di rileggere l’evoluzione urbana di un brano di città, nel periodo che va dalla proclamazione di Roma Capitale (1871) ai primi anni del XX secolo. In questo impegnativo compito siamo stati coadiuvati da un gruppo di dottorandi del Dipartimento di Architettura, che ci hanno introdotto all’argomento e affiancato nella prima fase della ricerca, fornendoci parte del materiale ed i riferimenti minimi necessari per la scrittura di un paper di rilevanza scientifica. L’area che il nostro gruppo ha avuto modo di approfondire è quella dell’antico quartiere Alessandrino e più in generale dei Fori. Poiché molto è già stato scritto a proposito dei progetti che hanno interessato l’area e dei conseguenti cambiamenti, obiettivo del nostro lavoro è stato quello di produrre una lettura compilativa dei progetti più significativi proposti prima della realizzazione di Via dell’Impero e compresi in un lasso temporale che va dal 1871 al 1914. Abbiamo inoltre voluto integrare il
testo con un componimento poetico intitolato “Mezza Roma” (N.d.C.: il testo è a p.45) che rendesse l’idea dell’enorme trasformazione che subì la città dovendosi adeguare al suo nuovo ruolo. Il fine di questo componimento è quello di completare il quadro generale che questo lavoro si propone di dare, ovvero quello di cogliere la natura di una Roma che non esiste più e più non è pensabile. Strumenti e metodo Prima di affrontare nello specifico l’argomento, si è reso necessario individuare visivamente l’area della nostra ricerca così come appariva nel 1871, in quanto molto diversa da come appare oggi. Ciò è stato possibile grazie al Catasto Pio Gregoriano - primo catasto particellare di tutto lo Stato Pontificio, promosso da Pio VII nel 1816 e attivato da Gregorio XVI nel 1835 - che ci ha fornito i dati cartografici necessari alla lettura della complessa stratificazione di tessuti edilizi della zona. Poi, grazie a gli elaborati grafici dei Piani regolatori del 1871, 1883 e 1909 siamo riusciti ad individuare e cogliere i mutamenti che erano stati pensati, e solo in parte realizzati, nelle zone adiacenti ai Fori. Inoltre è stata molto utile la visita in loco poiché ci ha permesso di individuare le rovine oggetto del nostro studio, i segni ancora velatamente tangibili della passata esistenza di un quartiere vivo ed abitato, oltre che i resti che si
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Fig.1 Perimetrazioni della zona pensava di riportare alla luce attraverso monumentale di Roma dal 1887 al 1920. In V.Fraticelli, 1982.
Il Caso di Studio L’area dei Fori imperiali, che prima accoglieva il quartiere Alessandrino, restò pressoché immutata dal medioevo fino alla proclamazione di Roma Capitale, momento in cui fu necessario ripensarne l’assetto. Dunque, tra il 1871 e il 1911 intellettuali e politici discussero a lungo riguardo il futuro dell’area archeologico-urbana. Il 3 febbraio del 1871 un Decreto regio dichiarava il trasferimento della Capitale del Regno Indagine critica: limite tra da Firenze a Roma. La città, che tra il XV archeologico e vissuto secolo e il 1870 aveva mantenuto una Nel corso del lavoro ci siamo più volte popolazione costante fra i 170 e 200 interrogati su quale potesse essere mila abitanti, doveva essere trasformata il progetto in grado di ascoltare le secondo i canoni delle moderne città questioni che la città poneva mentre capitali d’Europa (Caudo, 2017; Insolera, erano in atto le grandi trasformazioni 1962). L’enorme crescita demografica di Roma Capitale, con sensibilità, che investì Roma Capitale, dovuta in intelligenza e lungimiranza, senza parte al dislocamento dei Ministeri gravare, come poi avvenne con e dei suoi funzionari, comportò una l’attuazione del progetto mussoliniano, progressiva espansione verso est, ovvero sui cittadini privandoli di una parte nella direzione della stazione Termini. di città di grande valore e significato Si optò dunque per la costruzione di storico. Quale è dunque il rapporto fra la un’arteria che collegasse i nuovi quartieri città moderna ed il suo passato storico? alla città consolidata: nacque così via Quale è il rapporto che si è instaurato fra Cavour. Il 1911 è invece l’anno in cui memoria e contemporaneità? Pur non venne presentato il progetto di Corrado essendo riusciti a trovare una risposta Ricci, il quale rappresentò un punto di che mettesse tutti noi d’accordo, riferimento per il riassetto di quell’area abbiamo individuato nel progetto di fino agli anni trenta. Per comprendere Corrado Ricci l’unico tentativo che pienamente la lungimiranza del riuscisse a non sacrificare interamente progetto Ricci è necessario analizzare gli interessi dei cittadini a favore della quanto proposto negli anni precedenti, costruzione della città moderna. Al prendendo in considerazione le contrario nel progetto realizzato nel 1931 modalità adottate per gestire il binomio si è posta invece un’ipoteca irreversibile memoria storica - città moderna. su quel brano di Roma, facendo in modo che, oggi, non ci sia spazio che per una Progetti precedenti a Ricci: i Piani visione musealizzata e parziale dei Fori, regolatori e il progetto dell’area adatta forse solo al passaggio dei turisti. archeologica Nel Piano regolatore del 1873 erano previsti tre assi viari per collegare la le demolizioni degli stabili a loro attigui. Infine, è stato interessante vedere come nell’evoluzione della città abbiano influito le esigenze dei cittadini e, soprattutto, il fattore economico legato agli espropri. Nell’analisi dei singoli progetti, e quindi nella lettura delle fonti tanto dirette quanto indirette, è stato indispensabile l’aiuto del tutor che ci ha assistito.
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nuova Via Cavour con il resto della città: uno verso il Colosseo, uno verso il Tevere - tramite la costruzione di un ponte di ferro che passasse sopra il foro romano e il terzo verso Piazza Venezia1. Non si fa però cenno ad alcuna liberazione dei fori e viene mantenuto il quartiere Alessandrino, con l’obiettivo di migliorarne le condizioni igieniche. Con il Piano successivo, risalente al 1883, che non prevedeva più il ponte in ferro, iniziarono le prime demolizioni a Piazza Venezia2. Uno stravolgimento nella concezione urbana di quest’area avvenne con la presentazione nel 1887 del progetto elaborato da Guido Baccelli, Capo della Commissione Reale, che prevedeva la costituzione di un’immensa area archeologica chiusa, che comprendesse le zone adiacenti al Colosseo, al Palatino e alle Terme di Caracalla. Il Piano «aveva adottato lo stile
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di grandeur delle sistemazioni parigine, Fig.2 Progetto di C. Ricci 19111913 (estratto da V. Fraticelli, prevedendo una colossale passeggiata 1982). tra via dei Cerchi e la grande piazza all’altezza di san Cesareo» (Fraticelli, 1982; p.108). Era dunque previsto un impianto basato su grandi viali alberati e giardini secondo un ormai obsoleto gusto classicista (Daneo,1914). La mancanza di fondi per realizzare il progetto comportò un progressivo ridimensionamento della zona, prima con il progetto di Giuseppe Fiorelli, Direttore Generale delle Attività e delle Belle Arti, e poi con il progetto di Emanuele Gianturco, Ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti. L’idea dell’area archeologica fu comunque riconfermata dal Piano regolatore del 1909. I problemi dell’area archeologica: traffico ed espropri Sebbene il progetto di una vasta I Racconti di Roma Capitale NU3#01 - leNote di U3
[1] Cfr PRG 1873, Roma. [2] Cfr PRG 1883, Roma.
[3] «Sono oltre duemila carri
[…] che vi passano ogni giorno» (Daneo, 1914; p.31).
area archeologica venisse sempre riconfermato, sussisteva il problema di come permettere l’accesso all’area da sud. La passeggiata archeologica aveva infatti come confini meridionali tre porte: Latina, San Sebastiano e Metronia, da cui partivano importanti vie di comunicazione verso nord3. Furono quindi pensate due diverse soluzioni per sviare il traffico: la prima che costeggiasse l’area archeologica ad est, allargando Via della Ferratella e Via della Navicella; la seconda avrebbe deviato il traffico a ovest, verso Porta San Paolo per poi continuare o in direzione di Viale Aventino o verso il quartiere di Testaccio. Entrambe furono però ritenute irrealizzabili a causa delle forti pendenze. La Commissione decise dunque di costituire due diverse aree archeologiche divise da un asse corrispondente alle attuali Via delle Terme di Caracalla e Via di San Gregorio: una prima area più vasta che comprendesse i Fori, il Colosseo e le Terme Antoniane; una seconda, invece, delimitata da Via della Navicella, il nuovo asse e le tre porte. Per permettere che la passeggiata tra le due aree non fosse interrotta, si pensò ad un sottopassaggio pedonale che le mettesse in comunicazione. Allo stesso modo, per evitare che il traffico attraversasse il piazzale del Colosseo, fu progettata una rampa da San Gregorio a Via Claudia. L’attuazione di questo piano urbanistico prevedeva necessariamente una serie di espropriazioni nelle zone nord e sud. A sud, infatti era necessario un allargamento delle vie che partivano dalle tre porte: il comune iniziò le espropriazioni per allargare la zona adiacente a Via della Ferratella, ma, realizzata l’impossibilità della costituzione di un’area archeologica
unica, cessò le attività di esproprio. A nord, invece, il comune decise di non intervenire prima della risistemazione dell’area di Piazza Venezia ad opera dello Stato: in assenza di tale intervento gli espropri compiuti nel quartiere Alessandrino per collegare Via Cavour alla zona nord della città, sarebbero risultati inutili. Le espropriazioni compiute comportarono un’enorme spesa di denaro pubblico. Di fatto a fronte delle 6.500.000 lire disposte dallo Stato per le espropriazioni di un’area di 759.584 mq, 3.918.187 lire furono utilizzate per espropriare solo 41 immobili. Il Comune infatti pagò ai proprietari degli immobili, un compenso molto superiore al loro reale valore: l’esaurimento delle risorse provocò una progressiva riduzione dell’area fino all’abbandono del progetto. Progetto Ricci Non essendoci sufficienti risorse per realizzare nessuno di questi progetti risultò più congruo e realizzabile il progetto proposto da Corrado Ricci nel 1911. Esso si poneva come obiettivo di massimizzare i risultati limitando le demolizioni, e quindi le spese di esproprio (C. Ricci, 1911; p.449). Dovevano essere demoliti esclusivamente gli stabili antistanti e contigui alle esedre dei Mercati Traianei, al tempio di Marte Ultore e alle esedre del Foro di Augusto, ricco di rovine rispetto all’attiguo Foro di Nerva detto anche Transitorio. Le rovine degli edifici ritenute più importanti di epoca romana sarebbero così state liberate dalle costruzioni che nel corso del medioevo vi si erano sovrapposte. Appare comunque evidente come nel progetto di Ricci, e allo stesso modo
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nelle altre proposte riguardanti le sistemazioni di quest’area, fossero privilegiate le rovine romane in quanto simbolo dell’antica potenza dell’impero, rispetto all’architettura medievale: questa predilezione fu la stessa che molti anni prima animò il giovane Raffaello Sanzio, il primo a pensare di “resuscitare” i Fori (Sanzio, 1519; Ricci, 1911). Il Ricci propose inoltre un’inedita soluzione per ovviare al problema del collegamento fra Via Cavour e la futura Piazza Venezia. Egli pensava infatti di congiungere via Cavour con Via Cremona nel tratto finale costeggiando il Tempio del Divo Cesare e di farla proseguire sul tracciato dell’antica Via Flaminia, demolendo i caseggiati a ridosso del Campidoglio. L’intervento non sarebbe stato particolarmente invasivo perché avrebbe evitato la demolizione degli edifici tra Via Cremona e Via Alessandrina, salvando il tessuto urbano medievale di quell’area creando così una spina. Per quanto riguarda invece il collegamento con il Colosseo, Ricci non pianificò un asse rettilineo, ma propose l’accesso al monumento tramite due strade che si diramassero da Via Cavour: Via del Colosseo e Via degli Annibaldi. Tale progetto appariva vantaggioso anche dal punto di vista economico in quanto prevedeva l’imposizione di vincoli sugli immobili del quartiere Alessandrino che avrebbero provocato la progressiva degradazione degli stabili riducendo il futuro prezzo di esproprio (Fraticelli, 1982; p.122).
permetteva ad un’area della città che era d’“ostacolo” alla modernizzazione della Capitale di continuare ad esistere. Risulta dunque degno di lode anche a fronte del progetto di sistemazione dell’area poi effettivamente realizzato nel 1931, e che, sventrando il quartiere Alessandrino, pose un’ipoteca irreversibile su quel brano di Roma, creando così due città distinte e contenute una dentro l’altra. L’assetto attuale è frutto di un progetto frettoloso e fuori Piano: questo breve percorso compilativo infatti ci ha aiutato a porre in evidenza la forte incoerenza di quanto si è realizzato rispetto a quanto si stava delineando nei progetti e nei Piani e che aveva visti coinvolti intellettuali, tecnici e politici per circa sessant’anni. Via dell’Impero ha svolto il compito di modernissima passerella per le parate utilizzando le vestigia dell’Impero romano come fondo scenografico e prospettico, alterando però le principali caratteristiche della città archeologica: basti pensare all’abbattimento della collina della Velia ed allo stravolgimento formale che ha investito la Basilica di Massenzio, della quale oggi vediamo in primo piano l’abside. L’impressione è quella di abitare una città, che un tempo era stato il cuore pulsante della vita cittadina e della civiltà occidentale, separata e musealizzata dalla città contemporanea: una passerella fuori scala e adeguata, forse, solo al transito dei turisti.
Conclusione Il progetto di Ricci da un lato veniva incontro alle esigenze finanziarie del Comune e dello Stato, dall’altro
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Bibliografia
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Mezza Roma Questa è la storia di un borgo sul Tevere che d’uno Stato poi fu Capitale, dal medioevo all’era moderna ridotta in pezzi e fatta sventrare. Trentatreesimo era il decreto nel tre febbraio di quel settantuno Roma fu fatta sede di stato perché a Firenze non era opportuno. Così Vittorio impose le strade e si impegnarono i lavoratori, ma come a volte e più spesso accade non valutarono gli altri fattori: guarda ad esempio l’Alessandrino che Via Cavour andava a intralciare, quale futuro e quale destino a quei romani doveva toccare? E similmente la Velia collina che del Colosso bloccava la vista in poco meno di mezza mattina venne spianata, dimmi, l’hai vista? E cosa dire del Vittoriano che fra la storia a forza s’impose per le alte mura del re sovrano non si vedevano neanche le case. Voi vi direte cosa fu fatto, e chi decise l’assetto finale, ormai di Roma cosa è rimasto se non il nome di capitale? Roma romantica dell’Ottocento, Roma d’un popolo e Roma d’un tempo, Roma tra i cocci e tra le rovine, Roma tu l’ami e ne accetti le spine. E nella vita spesso si sbaglia oggi tu scegli e domani è storia ma in tutto questo nulla è da fare Urbe effige d’un tempo immortale. Vassilis Barkas
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Le trasformazioni e i progetti di recupero nel centro storico di Roma di N. Cafaro, C. Fusco, T. Gentile & E. Terranera. Tutor: Maria Pastor Altaba
A partire dalle nostre esperienze generazionali, territoriali ed individuali abbiamo deciso di concentrare la nostra ricerca sui luoghi abbandonati presenti nel centro storico della città di Roma. Per esperienze generazionali ci riferiamo soprattutto alla riscoperta di questi luoghi da parte dei nostri coetanei per merito dell’esperienza di Scomodo, rivista di studenti delle scuole medie e universitarie che per finanziarsi utilizza un sistema basato sulle Notti Scomode: serate a sfondo culturale organizzate in luoghi abbandonati che vengono occupati, rivalutati, nuovamente identificati e ripuliti. Questa esperienza ha fatto si che si tornasse a vivere e a entrare dentro luoghi lasciati decadere a causa della mala gestione. Fra le serate si ricorda, ad esempio, l’occupazione giornaliera della Ex Fabbrica della Penicillina a Rebibbia, nella periferia romana dove è ospitato il carcere più famoso della Capitale. Che in questi luoghi ci siano questo genere di “mostri”, non pare inusuale. Sono edifici che fanno parte di un tessuto urbano e sociale prettamente decadente: per quanto sia inaccettabile a livello morale, è accettato o ignorato a livello istituzionale. Ma quella che più di tutte ci ha segnate è stata l’occupazione dell’Ex Arsenale Pontificio, esattamente dietro Porta Portese. Un edificio enorme e ben tenuto (erbacce a parte) totalmente abbandonato a se stesso, ad un passo
dalle frequentatissime piazze di Trastevere. Questo genere di esperienze hanno messo in evidenza i limiti della nostra conoscenza rispetto al contesto urbano in cui viviamo, infatti l’Ex Arsenale è solo uno dei tanti luoghi inutilizzati dall’Amministrazione romana e neanche uno dei più centrali. Il nostro tutor, dopo aver constatato il nostro interesse per l’argomento ha sottoposto alla nostra attenzione alcuni di questi luoghi. Il primo luogo, oggetto della nostra ricerca è il cosiddetto isolato del Rione Colonna, un’area situata nel suddetto rione, tra Via Crispi e Via Zucchelli. Questo isolato è un punto di incontro tra un processo di recupero e uno inverso di totale abbandono, dunque è emblematico per tutti i motivi che riporteremo a seguire. A decretare la sua fine è stato il Piano regolatore del 1883, che prevedeva lo sventramento del centro storico (come abbiamo potuto vedere sovrapponendo la pianta attuale della città a quella disegnata precedentemente a questi avvenimenti e guardando lo stesso piano rappresentato a livello grafico). Per capire interamente le motivazioni di questi provvedimenti e le loro conseguenze, siamo risaliti, sempre tramite documenti e testi forniti dall’Università e da archivi online, al contesto storico nei quali essi si
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collocavano. Quando Roma diventò Capitale del Regno nel 1871, infatti, il governo puntò alla costruzione di una nuova città che reggesse il confronto con le altre moderne Capitali europee, non concentrandosi sulle potenzialità del nucleo storico, che in questo modo perse il suo ruolo centrale. Si costruirono molti nuovi edifici senza curarsi troppo di rispettare quelli preesistenti e le esigenze architettoniche di una città sovrastrutturata dai molteplici interessi politici e sociali. Si abbandonò incoscientemente ciò che era già presente nel tessuto della città per dedicarsi totalmente alla costruzione del nuovo e del moderno. Gli spazi persero lentamente il loro significato originario e vennero inesorabilmente abbandonati allo scorrere del tempo. Il Piano regolatore del 1883, infatti, prevedeva sostanziosi interventi volti alla creazione di collegamenti capaci di servire la nuova forma radiocentrica della città, ispirata alla modernità delle altre grandi città europee. Attualmente l’isolato del Rione Colonna, che anticamente ospitava un convento, caduto in disuso a causa degli interventi di modernizzazione del rione attuati in Via Del Tritone, è un deposito per furgoncini AMA. Fortunatamente però parte della struttura è stata recuperata ed ora ospita la Galleria Comunale di arte moderna. Nel corso degli anni ha ospitato collezioni di altri palazzi in ristrutturazione e, durante il Fascismo, Mussolini voleva trasformare la struttura in un’industria acquifera, come testimoniato da una targa ancora presente a pochi passi dall’entrata del museo. Parte del nostro lavoro sull’isolato, infatti, è stato quello di recarci sul luogo per poter
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constatare dal vivo ciò che avevamo letto a riguardo. Nella lettura ci hanno aiutato particolarmente gli articoli di giornale dell’epoca o riportanti altri provvedimenti oltre a quelli previsti dal Piano regolatore del 1883. Il sopralluogo ci ha permesso di notare molti più dettagli di quanti ne avevamo tratti dai testi. Per esempio ci siamo accorte che parte della struttura del convento fa ancora parte dell’isolato ed è usata come magazzino per gli oggetti degli addetti AMA. Abbiamo notato anche che ci sono stati degli interventi lievi sulla struttura volti ad impedirne il crollo. Non è ovviamente possibile entrare all’interno dell’ex convento, ma sono chiaramente visibili i contorni di ciò che doveva essere. La regolarità del luogo è dubbia: le rovine del convento sono costellate di ruggine e di fili elettrici scoperti, alcune componenti sono murate in maniera approssimativa per indicare un divieto d’accesso che è del tutto intuitivo. A guardare il retro e la facciata dell’isolato, tra museo e deposito dei furgoncini AMA, sembra di stare in due universi differenti. L’isolato di Rione Colonna è una vera e propria medaglia a due facce ed è proprio questa ambiguità ad aver alimentato il nostro interesse a riguardo e ad averci fatto scegliere di iniziare la nostra ricerca da questo luogo. Dal 2015 è oggetto di un’ulteriore modifica che dovrebbe prevedere l’arricchimento del complesso museale e l’annessione di spazi per laboratori esterni. Guardando i progetti abbiamo capito che tra il completamento dell’ideazione e la piena realizzazione di progetto può passare molto tempo, tanto a volte da far scomparire perfino il ricordo dell’idea.
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Ma questo caso è solo uno dei tanti edifici abbandonati nel centro storico di Roma. Abbiamo cercato, tramite un’ampissima bibliografia, informazioni su altri luoghi che conoscevamo, che avevamo visto di sfuggita o che semplicemente ci sono stati indicati dai tutor. Ne abbiamo scelti cinque, quelli che a nostro giudizio sembravano più significativi. Il primo luogo che abbiamo analizzato è l’Ex Ospedale San Giacomo, situato in Via del Corso 499. Venne riedificato nel 1339 per volontà del Cardinale Pietro Colonna, in onore di suo zio Giacomo Colonna. È conosciuto anche come Ospedale di San Giacomo in Augusta per la vicinanza ai resti del Mausoleo dell’imperatore Augusto, divenuti poi roccaforte della famiglia Colonna. Fu il terzo ospedale ad essere edificato a Roma nel Medioevo. Situato tra la Cassia e la Flaminia, lontano dal centro abitato e in prossimità di uno scalo portuale e consentiva un facile accesso per chi giungeva dal fiume. La sua ubicazione strategica permetteva di assistere i pellegrini provenienti dal settentrione, i cosiddetti “malfranciosi” affetti da sifilide, e una notevole quantità di malati che non venivano accolti dagli altri due ospedali. Dopo essere stato per più di cento anni sotto la tutela dell’arcispedale di Santo Spirito, nel 1451, durante il pontificato di Papa Niccolò V, passò all’autorità della Compagnia di carità verso i poveri e gli infermi di Santa Maria del Popolo. Nel 1515 fu elevato a rango di arcispedale in seguito all’emanazione della bolla Salvatoris Nostris per volontà di Papa Leone X. Nel 1584 cominciarono le prime opere di ristrutturazione finanziate dal cardinale Anton Maria Salviati, progettate dall’architetto
Francesco Capriani e realizzate dall’architetto Bartolomeo Grillo. I lavori di rinnovamento furono ultimati nel 1592. Contemporaneamente venne costruita la chiesa di San Giacomo in Augusta, attigua all’ospedale e terminata in occasione del Giubileo del 1600 a opera dell’architetto Carlo Maderno. Durante l’occupazione napoleonica e con lo scioglimento, nel 1808, della confraternita di Santa Maria del Popolo, il personale medico venne drasticamente ridotto e l’ospedale diventò un semplice luogo di primo soccorso e di accoglienza garantita dall’opera di volontari senza competenze. Con il ritorno a Roma di Papa Pio VII nel 1815 vennero aperti nuovi reparti e l’ospedale riacquistò importanza. Negli anni del Risorgimento l’ospedale subì un ulteriore ampliamento e, oltre ad ospitare malati e ad essere sede di insegnamenti, funse da ritrovo per una sezione della Carboneria. Durante il periodo della Repubblica Romana (1849), infatti, truppe di volontari si erano stabilite nelle stanze dell’ospedale, mentre la chiesa di San Giacomo venne utilizzata come stalla. Dopo la caduta dello Stato Pontificio nel 1870, l’ospedale entrò a far parte del Pio Istituto di Santo Spirito. Durante la prima guerra mondiale diventò un ospedale militare e nel 1929 pronto soccorso. In Via Canova, sorge attualmente il Poliambulatorio Canova, sulle ceneri del San Giacomo, ma sul lato opposto dello storico istituto. Questo venne invece chiuso definitivamente nel 2008 dalla Regione Lazio nell’ambito del piano di razionalizzazione delle strutture sanitarie. Le proteste popolari furono molte, giustificate anche dalla fama e dall’efficienza dell’ospedale e dagli importnati lavori di ristrutturazione che
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avevano appena interessato la struttura per un importo di circa 20 milioni di euro. La prima voce a girare fu quella di una vendita dello stabile per mano della Regione Lazio, ma la bolla di Paolo V affermava chiaramente che l’edificio non potesse essere utilizzato per uno scopo diverso da quello per cui era stato originariamente creato. La storia di questo edificio ci ha stupite e sconcertate. L’ospedale, grazia alla sua lunga vita, porta su di se l’impronta di tutte le maggiori influenze sociopolitiche che hanno modificato la struttura architettonica Romana. E ora, per quanto giri voce della prossima istituzione al suo interno di una sede della caritas, è un rudere abbandonato che risente del fatto che il centro storico (anche a causa dell’ingente numero di turisti) non abbia più un gran numero di abitanti stabili, almeno non abbastanza grande da avere bisogno di un ospedale. Emblematico per un altro cambiamento sostanziale di Roma, abbandonato con la costruzione degli argini del Tevere, è l’ex Arsenale Pontificio a Porto di Ripa Grande. Questo luogo è stato la principale fonte di ispirazione per la nostra ricerca perché protagonista di una “Notte Scomoda”. L’ex arsenale perse la sua funzione principale dopo la costruzione degli argini e nel corso del tempo ne vennero fatti diversi usi impropri, ma pare esserci oggi un progetto di recupero: infatti in data 20 marzo 2018, è stato firmato il protocollo d’intesa tra il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e la Fondazione La Quadriennale di Roma per l’accordo di valorizzazione e utilizzazione pubblica dell’Ex Arsenale.
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Una speranza di recupero che sembra invece essere svanita per il Teatro Valle, totalmente in abbandono dopo il definitivo sgombero del 2016. Situato nell’omonima via, fu costruito intorno al 1530 da Lorenzo Lotti per il cardinale Andrea della Valle. Alla morte del cardinale, avvenuta nel 1534, la proprietà passò alla nipote Faustina della Valle, moglie di Camillo Capranica e fu così che il palazzo, iniziò ad essere denominato Palazzo Capranica. L’edificio subì varie trasformazioni ed ampliamenti, come quello a metà del Settecento ad opera di Camillo junior durante il quale fu ristrutturato l’appartamento nobile, eretti due appartamenti al piano superiore e realizzata nel cortile la prima struttura in legno del teatro, il tutto ad opera dell’architetto Tommaso Morelli. Da segnalare che tra il 1571 ed il 1573 l’edificio fu affittato, per la somma di 600 ducati, al Seminario Romano, mentre tra il 1685 ed il 1725 il palazzo ospitò l’Accademia di Francia. Il Palazzo Capranica del Grillo (così chiamato dopo che il casato dei Capranica subentrò nei beni e nel nome ai marchesi del Grillo) subì un ulteriore ed importante restauro nel 1819, in occasione della riedificazione del teatro in muratura, e poi ancora nel 1879. Con la definitiva dismissione dell’Ente Teatrale Italiano, il teatro Valle sospese l’attività il 19 maggio 2011. Infatti il decreto legge n. 78 del 31 maggio 2010 recante Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica ha soppresso l’Ente teatrale italiano. I relativi compiti e attribuzioni sono passati al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, ed in particolare alla Direzione generale per lo spettacolo dal vivo. Da quel momento ci furono diverse I Racconti di Roma Capitale NU3#01 - leNote di U3
occupazioni, tutte soppresse con la scusa di una riapertura che non è ancora avvenuta.
memoria del Cardinale, appare solo nel 1891, quando l’Istituto divenne Collegio convitto semiconvitto Angelo Mai e, nel 1902, la scuola, avendo annesso le classi Abbiamo riscontrato una situazione tecniche dell’Istituto dei Padri Barnabiti simile nel caso dell’Angelo Mai, del quale assume il nome di Istituto Angelo Mai. La abbiamo potuto ammirare solo l’esterno, struttura fu abbandonata per la scadenza che non nasconde la magnificenza della di una concessione statale di 100 anni ai struttura. È possibile trovare tracce proprietari, nel 2002. Dal 2004 al 2006 certe del complesso dell’Angelo Mai un collettivo di artisti occupò la scuola solo dalla fine del ‘500. Il Rione in cui rendendola centro culturale, nel 2006 sorgeva, la Suburra di Monti, era poco vennero sgomberati violentemente. Lo edificato ed alquanto malfamato per stesso anno furono spesi 9 milioni nel cui, nell’arco di 150 anni, fu oggetto tentativo di renderla una succursale della di vari interventi, soprattutto sui scuola media Viscontino”ma il tentativo tracciati stradali, finalizzati a favorirne il si rivelò troppo costoso e il cantiere risanamento attraverso l’urbanizzazione. venne abbandonato. Un altro caso in cui La trasformazione in scuola si deve l’iniziativa popolare viene soppressa in al filologo, Prefetto della Biblioteca favore di un nulla nocivo alla struttura Vaticana, Cardinale Angelo Mai e risale stessa. al 1829, quando la Reverenda Camera Apostolica acquisì il palazzo, già passato Altri esempi che abbiamo analizzato ai Gervasi, e lo dette in uso ai Padri e che hanno arricchito il nostro Lassalliani come sede per le attività della immaginario riguardo i luoghi loro scuola, l’Istituto S. Antonio, luogo abbandonati che costellano il centro dove potevano ricevere un’istruzione storico di Roma sono Palazzo Rivaldi anche i figli degli artigiani e degli operai (situato tra il Colosseo e la Basilica di che versavano in condizioni economiche Massenzio) e Palazzo Medici Clarelli (in precarie. Quando nel 1856, l’edificio ed Via Giulia 79). il giardino annesso venne direttamente Dopo questa lettura siamo giunte acquisito dai Lasalliani, fu realizzato alla conclusione che a determinare la il nuovo corpo di fabbrica a sinistra chiusura e l’abbandono di questi luoghi è della facciata, con cappella affrescata, stata la loro perdita di significato spesso sull’area di una precedente terrazza non condivisa contemporaneamente da fino al confine con il palazzo vicino. popolazione locale e istituzioni, ma pur Contemporaneo a questo intervento sempre una perdita di significato, dovuta venne anche istituito il Convitto soprattutto a cambiamenti a livello dell’Immacolata Concezione. Nel 1861, spaziale e sociale. Gli edifici papalini non per ragioni economico gestionali, potevano rimanere tali con l’avvento l’edificio tornò alla Camera Apostolica, di una Roma Capitale concentrata sulla ma l’attività didattica, molto apprezzata necessità di modernizzazione, così come continuò. In seguito, il complesso passò successivamente la Roma dell’Italia ai Santarelli che nel 1870 aggiunsero Unita non era adatta all’immaginario il terzo piano. Il nome Angelo Mai, in fascista. Questi continui cambiamenti, N. Cafaro, C. Fusco, T. Gentile & E. Terranera. Tutor: Maria Pastor Altaba Le trasformazioni e i progetti di recupero nel centro storico di Roma
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caratterizzati da una noncuranza di ciò che già era parte integrante del tessuto edilizio e sociale, hanno lasciato un vuoto all’interno della città. Un vuoto non solo architettonico, ma anche simbolico. Con l’istituzione della Capitale i cittadini romani si sono trovati a doversi privare della loro identità pastorale per diventare il centro della nuova nazione. I testimoni, i casi singoli riportati in questo contributo, non possono far altro che mettere in evidenza un problema ben più grande: la mancanza di un’identità urbana cosciente di se stessa, del suo potenziale e delle sue componenti. Il primo passo per risolvere questo problema, a nostro parere, è quello di fare esperienza diretta dello stato di questi luoghi per capirne il grande potenziale sprecato, sperando di poter far rinascere un moto di riacquisizione che nulla ha a che fare con il patriottismo ma solo con l’amore per il territorio e con il rispetto di ciò che è stato.
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I progetti per la sistemazione di Piazza Colonna attraverso la cronaca del tempo di M. Alessio, B. Criscenti, C. Milano & A. Romei. Tutor: Antonio Camassa
1. Roma Capitale, 1871 «Voglio la Roma attuale con il suo modernismo urlante in mezzo alle sue antichità, con il suo popolino e la sua borghesia». Così scrisse Émile Zola nel suo “Mes Voyages”, diario che tenne durante il suo soggiorno a Roma, città diventata Capitale del Regno d’Italia nel 1871, ventitré anni prima del viaggio dello scrittore francese. In pochi anni la Roma millenaria dei Papi, da borgo di campagna si trasformò in moderna Capitale internazionale, borghese e laica. Nasceva infatti un vero e proprio sentimento anticlericale, condiviso da gran parte degli intellettuali e da uomini politici come Giuseppe Mazzini e Francesco Crispi. Roma doveva diventare una città borghese come lo erano le altre Capitali europee. E anche il popolo doveva cambiare le sue abitudini. A Parigi, i cittadini passeggiavano lungo gli ampi boulevards e passavano il loro tempo nei passages couvertes, gallerie al chiuso dove potevano trovare ristoranti, negozi e caffè. A Roma invece, i ricchi borghesi si isolavano nelle loro ville suburbane, passeggiando e cavalcando nelle campagne circostanti. Ma i tempi stavano cambiando e con essi anche la città, che non solo doveva conformare il suo aspetto urbano alle città europee, ma anche adottare usi che erano estranei
alle tradizioni del popolo romano, così radicate e così difficili da abbandonare. Il processo fu lento e faticoso. Nel crearsi questa nuova identità, Roma modificò spesso radicalmente il suo assetto urbanistico, con sventramenti, allargamenti e cantieri. 2. La nascita dell’idea di una galleria romana Architetti, ingegneri e scultori si misero subito all’opera e già nel 1873 il primo Piano regolatore era pronto e si occupava di una porzione di territorio ancora ristretta, che si estendeva poco più in là del moderno centro storico. L’ingegnere direttore dell’Ufficio dell’Arte comunale, Alessandro Viviani, propose un’espansione delle zone abitate verso i colli a est e moltissimi sventramenti nel centro storico. Uno degli esempi più noti ha riguardato l’eliminazione delle case aggettanti sul Corso: quest’ultimo provvedimento avrebbe migliorato la viabilità della zona, ma il lavoro di “righello” del progetto municipale non incontrò il favore della commissione che avrebbe accettato il Piano regolatore definitivo. Quest›ultimo, anche se approvato, non imponeva al Comune l’obbligo di generale esecuzione. Per questo motivo, furono avanzati numerosi altri progetti, fino ad arrivare al secondo Piano regolatore, nel 1883. Quest’ultimo era pensato per una Roma
M. Alessio, B. Criscenti, C. Milano & A. Romei. Tutor: Antonio Camassa I progetto di sistemazione di Piazza Colonna attraverso la cronaca del tempo
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già diversa rispetto a dieci anni prima, una città che era cresciuta, riuscendo ad accordare la sua parte papalina dal punto di vista urbanistico rappresentata simbolicamente da Castel Sant’Angelo a ovest, quella storica e popolare di Piazza Venezia a sud, quella borghese di Prati a nord e quella finanziaria e affaristica di Stazione Termini a est. Si delineava così un quadrilatero ideale ai cui vertici le anime della città lasciavano spazio all’asse di via del Corso. Il punto di snodo di quest’asse, la cerniera dove si intersecava anche l’asse est-ovest, era Piazza Colonna. Questa grande importanza urbanistica però non venne percepita immediatamente. La questione della viabilità rimaneva il problema più urgente, tanto da far passare molte volte in secondo piano le preoccupazioni economiche e quelle artistiche. La sistemazione di Piazza Colonna riuscì però a suscitare l’interesse non solo di imprenditori e uomini d’affari, ma anche di artisti e architetti. Il Comune, nel tentativo di conciliare gli interessi di tutti, chiese allo Stato di intervenire, come in molte occasioni aveva fatto per altre sistemazioni, ma invano: far incontrare le ragioni degli artisti, che non riuscivano a trovare finanziamenti affidabili nonostante i progetti molto convincenti, e quelle degli imprenditori, che invece non riuscivano a soddisfare il lato estetico e funzionale. Nel 1889, per garantire una migliore viabilità all’interno dell’isolato, il marchese Alessandro Guiccioli, all’epoca sindaco di Roma, ordinò la demolizione dell’antico Palazzo appartenente alla famiglia Piombino, che si trovava sul lato est di piazza Colonna. Il pubblico romano accolse questo provvedimento con profondo
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scetticismo, sentimento che perdurerà per anni. In un articolo del Corriere della sera del 1910 infatti ci si chiedeva se valesse «la pena di demolire il Palazzo Piombino per ridurre una delle più belle piazze romane allo stato in cui si trova ora e in cui si troverà in venti o venticinque anni». La piazza aveva anche un importante ruolo all’interno della società. Infatti lì si trovava la Camera dei Deputati dal 1875 e nel Palazzo Wedekind aveva preso sede uno dei principali quotidiani dell’epoca, Il Tempo, inoltre al centro c’erano i grandi magazzini Bocconi e a Piazza San Silvestro dal 1886 la banda municipale di Vessella terrà i suoi concerti. In questa zona a metà del Corso si incontravano uomini politici e letterati, lì si trattavano gli affari. È in questo clima di innovazione e scambio che nasceva l’idea di una grande galleria. 3. Speranze e progetti «Vi saranno un teatro centrale capace di circa mille persone, un caffè-concerto, un cinematografo, due restaurants, una sala da pattinaggio, una per forestieri, sale per la stampa, ecc.: tutti i locali resi liberi da una grandiosa galleria larga otto metri illuminata da tutti i cortili dell’edificio». Queste erano le aspettative dei cittadini, come si legge in un’edizione del Corriere della sera del 1909. Essi pensavano alle grandi gallerie europee, come quelle parigine, e a quelle italiane di Milano e Napoli. L’idea era quella di un centro di aggregazione politica e culturale per la borghesia emergente, un luogo d’incontro laico, come non poteva più esserlo la basilica della Roma papalina. Iniziò allora un’infinita serie di progetti portati avanti e poi abbandonati, che si protese fino al 1911, I Racconti di Roma Capitale NU3#01 - leNote di U3
anno dell’approvazione del progetto dell’architetto Dario Carbone. «A Roma per dire che una cosa non si compirà mai, c’è la frase: “È come la sistemazione di Piazza Colonna”». Questo si leggeva su un Corriere della sera del 1911. La questione della piazza era diventata ormai una burletta. Già a seguito della demolizione del Palazzo Piombino essa era diventata argomento di opinione pubblica. La Sala delle bandiere in Campidoglio, dove venivano esposti i progetti, era spesso affollatissima. I progetti arrivavano agli occhi del pubblico non solo attraverso le vie ufficiali: essi venivano pubblicati sui giornali ed esposti addirittura nelle vetrine dei negozi del Corso. Le proposte furono numerosissime. I primi ad avere l’idea di una galleria da costruirsi nella parte centrale del Corso furono Antonio Linari e Giuseppe Mengoni. Quest’ultimo nel 1873 presentò al Sindaco Luigi Pianciani il suo piano di sistemazione e ampliamento della città di Roma. Il progetto prevedeva l’attraversamento di via Nazionale attraverso piazza Colonna. Questa doveva collegare tra loro i principali monumenti della città e avrebbe dovuto ospitare una grande galleriasalone destinata a contenere alcuni tra i monumenti più rilevanti. Mengoni e Linari furono i primi a pensare la Galleria Colonna non solo come un punto di passaggio coperto ma anche come un centro civico. Dopo la presentazione di altri progetti, che vennero rifiutati, anche l’architetto Garibaldi Burba tentò di trovare una soluzione all’annosa questione. Solitamente non è ricordato come uno dei progettisti più importanti, ma a un giornalista de La tribuna illustrata nel
1908 sembrò opportuno menzionarlo. L’articolo ha un’apertura ironica e sarcastica, consueta per gli articoli che riguardavano la piazza, e contrappone il progetto di Burba a quello dell’ingegner Cinelli, che in quel momento faceva «il giro dei giornali», ma che non sembrava essere «destinato ad avere una buona sorte», soprattutto se confrontato con alcune delle proposte precedenti, come appunto quella di Burba di sei anni prima. Egli aveva pensato dapprima di inquadrare il largo sterrato in un porticato monumentale attraverso l’allungamento dei lati della piazza; dopo sarebbe stato possibile costruire una loggia adibita al passeggio e anche aprire dei «negozi di carattere speciale». La piazza quindi sarebbe diventata un luogo esclusivamente pubblico, anche grazie alla regolazione del movimento carrozzabile, che avrebbe permesso tranquille passeggiate nella parte centrale. Infine, gli edifici più importanti sarebbero stati riccamente decorati. Appare ora comprensibile il motivo del quotidiano di ricordare un progetto dimenticato da anni: Burba era riuscito a cogliere la vera importanza della nuova piazza, quella di luogo pubblico, di incontri e passeggiate. Sfortunatamente continuò a essere ignorato e altri progetti continuarono a susseguirsi. Nel 1889 Pio Piacentini avanzò la proposta di edificare l’area di Palazzo Piombino. Dopo l’iniziale rifiuto il palazzo venne demolito, rendendo concreta l’idea di ampliare e modificare piazza Colonna. In questo periodo vennero presentati al municipio numerosi progetti tra i quali vennero selezionati soltanto quelli di Marchesi e di Piacentini. Marchesi propose la sistemazione della zona circostante
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Piazza Colonna, Trevi e Barberini. Come si legge nel Corriere della sera del 31 luglio 1909, «l’edificio costerà quasi 17 milioni, tra espropriazioni, demolizioni e pericoli dell’impresa. Il Comune concede gratuitamente l’area di metri quadrati 4.644,85 di sua proprietà […] I grandissimi locali del sottosuolo della galleria saranno adibiti a ritrovi». Piacentini invece propose la costruzione di un edificio meno ampio rispetto a quelli già presentati per la sistemazione della piazza; doveva avere la struttura di un portico dove ci si potessero stabilire delle attività commerciali. L’unico contributo che l’ingegnere diede alla questione di piazza Colonna fu la costruzione di un padiglione nel 1911. L’idea di Piacentini venne considerata dall’opinione pubblica, come si legge nel Corriere della sera dell’8 settembre 1910, un progetto che «potrà anche avere dei pregi e potrà anche non essere peggiore di tutti gli altri che furono presentati e che per fortuna non furono attuati. I cittadini romani che ora vedono Piazza Colonna ridotta una specie di deposito delle rotaie del tram, e potrebbero domani vederla mutata in un accampamento di zingari, non si esalteranno troppo né in favore né contro questo progetto. Essi sono convinti ormai che il progetto definitivo di sistemazione di piazza Colonna è ancora nella mente di Giove, se neppure nel 1911, cioè nell’anno delle meraviglie, potrà essere presentato e condotto a termine». La soluzione del padiglione provvisorio venne presa in considerazione dalla giunta del neosindaco Ernesto Nathan già dal 1908 in vista della celebrazione del cinquantenario dell’unità d’Italia. L’obiettivo della Giunta era
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quello di conferire al quarto lato della piazza un aspetto definitivo. Si decise di erigere un padiglione provvisorio in attesa del progetto definitivo dell’architetto Dario Carbone. Il padiglione venne disegnato ed innalzato da Pio e Marcello Piacentini e dallo scultore Giuseppe Guastalla ed era costruito con legno, rete metallica ed incannucciatura a stucco. La nuova struttura aveva l’importante funzione di colmare il vuoto lasciato dalla demolizione di Palazzo Piombino, che aveva suscitato tanti dissensi e scalpore nel pubblico. Il padiglione rimase in opera fino al 1914, quando, dopo molti indugi, venne demolito. Nel frattempo il 24 febbraio 1911 la Giunta comunale aveva cominciato a nutrire «fiducia di avere finalmente raggiunto il suo intento» quando Carbone presentò un progetto che, nonostante non rispondesse agli ideali estetici ed edilizi desiderabili all’epoca, riusciva però a risolvere il problema della viabilità, in quanto faceva riferimento al Piano regolatore. Come da copione, il progetto non venne approvato, ma il Consiglio superiore di antichità e belle arti si espresse comunque per criticare, tra le altre cose, la ristrettezza dei passaggi coperti, più simili a cortili che a gallerie, e per suggerire alcune modifiche da apportarvi affinché «la nuova fabbrica» corrispondesse «alla decorosa e armoniosa semplicità di altri grandi edifici della piazza stessa». Nove mesi dopo Carbone, d’intesa con il Comune, accoglierà nel suo nuovo progetto le varianti consigliate, grazie alle quali il suo progetto venne approvato il 28 dicembre 1911. Il prospetto venne semplificato e I Racconti di Roma Capitale NU3#01 - leNote di U3
l’ordine architettonico venne fatto rientrare nello spirito romano, pur contraddistinto dalla peculiarità del portico e della loggia centrale ispirata al Palazzo Farnese. Carbone però non rinunciò ad inserire elementi tipici del suo stile, come ad esempio l’abbondanza dell’ornato nelle gallerie, a cui aveva dovuto rinunciare nella fronte principale. Inoltre l’edificio della galleria sarebbe stato posizionato in direzione di Via delle Muratte, in modo tale da dare più ampiezza al Tritone. Quest’ultima modifica però alimentò le critiche di coloro che vedevano l’edificazione della galleria come una ricostruzione del quarto lato della piazza. Secondo questi ultimi il nuovo edificio sarebbe dovuto essere capace di fronteggiare ed essere in armonia con il portico di Vejo, visto come vero monumento della piazza ed esempio del decoro e del buono stile. Il 2 marzo dell’anno successivo Dario Carbone presentò una variante del progetto di dicembre in cui l’avancorpo porticato ribatteva gli spigoli del portico di Vejo e aboliva la loggia centrale. La gradazione classica inoltre sarebbe stata accentuata dall’aumento dell’altezza del portico. Queste modifiche vennero condivise dal Comune, che infatti il 16 agosto del 1913 stipulò un contratto con i concessionari della sistemazione. La caduta della Giunta Nathan portò al governo una reggenza commissariale che tuttavia non vide l’inizio della costruzione. Nell’estate del 1914 fu istituita una Giunta presieduta da Prospero Colonna della quale facevano parte alcuni fra i principali oppositori del progetto Carbone di cui non condividevano né l’estetica né il funzionamento viabilistico. Grazie alle trattative avviate da Cesare Bazzani, si
giunge comunque ad un compromesso e il 25 febbraio 1915 il comune consegnò i fabbricati espropriati, liberi da persone e da cose, dando inizio alle demolizioni. Nell’ottobre del ’15 venne terminato il progetto di arretramento del Corso a cui procederà una vasta opera di sterro. La direzione dei lavori per la costruzione della galleria fu affidata a Carbone. Nel giugno 1917 la Banca di Roma intervenne per fare del palazzo in costruzione la propria sede e la responsabilità dei lavori fu assunta da Luigi Mazzanti, mentre Carbone mantenne la direzione artistica. La commissione edilizia intervenne invece più volte in merito alle varianti decorative. Diedero il loro parere anche altri architetti, fra i quali Pio Piacentini, che valutarono su incarico dell’Ufficio V il corso dei lavori. Dopo anni di dispute su fregi, decorazioni e materiali da utilizzare, la galleria fu collaudata per la prima volta il 12 luglio 1921, mentre i lavori proseguirono fino al 20 ottobre 1922, giorno in cui venne inaugurata ufficialmente. 4. La galleria oggi Nonostante tutte le speranze riposte in quello che doveva essere un simbolo di una Capitale nascente, la Galleria non è diventata quel luogo di cultura e di incontro che ci si auspicava in virtù della sua particolare rilevanza dal punto di vista urbanistico. Oggi, nel 2018, a distanza di 96 anni dalla sua inaugurazione, la Galleria Alberto Sordi, come è stata chiamata a seguito della scomparsa dell’attore nel 2003, è indubbiamente uno dei luoghi più frequentati del centro storico romano. Tuttavia la sua fruizione è limitata ai soli passanti indaffarati, turisti disinteressati e clienti di negozi. Questi ultimi hanno
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rapidamente rimpiazzato i bar, il vecchio cinema Ariston 2 e i ristoranti, lasciando spazio solamente a vetrine e insegne luminose. Se possiamo dire conclusa la vecchia questione, urbanistica e architettonica, di Piazza Colonna, nella Roma contemporanea se ne apre una nuova, questa volta pubblica e sociale.
Bibliografia
A. Brilli, 2014, Il viaggio della capitale, UTET, Torino. A. Caracciolo, 1999, Roma capitale, Editori Riuniti, Roma. Corriere della Sera, 08/09/1910, pag. 3. Corriere della Sera, 31/07/1909, pag. 2. Corriere della Sera, 09/02/1911, pag. 1. I. Insolera, 1976, Roma moderna, Einaudi, Torino. Tribuna Illustrata, 05/01/1908, pag. 9. E. Zola, 1994, Mes Voyages, SugarCo, Milano.
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La nuova Capitale in cerca di un linguaggio nazionale. Il caso di Corso Vittorio Emanuele II di L. Aringoli, A. De Crais, M. Di Majo Norante & A. Temi. Tutor: Giulia Brunori
Fig.1 Roma, Piano Regolatore
1883, stralcio da A.M. Racheli (1985). Tra le modifiche urbane previste per l’area dell’ansa del Tevere è ben evidente la realizzazione del nuovo asse di Corso Vittorio Emanuele II. Da notare come, a differenza di altri assi progettati negli stessi anni, Corso Vittorio sia solo parzialmente rettilineo e tenti una mediazione tra nuovo asse e preesistenze
Introduzione Lo studio, partendo dall’analisi delle trasformazioni urbane che Roma subisce in seguito alla sua designazione a Capitale d’Italia, intende riflettere sugli effetti che la definizione di un nuovo linguaggio architettonico nazionale ha generato nella città. Il caso di studio è il Corso Vittorio Emanuele II, un ampio viale in stile neorinascimentale che rompe il tessuto urbano precedente, composto prevalentemente da numerose abitazioni a schiera e palazzetti retaggio della Roma medievale e rinascimentale, per creare un fronte unitario sul nuovo asse. L’evidente contrasto tra i due tessuti
è causato dal fatto che Corso Vittorio Emanuele II non è frutto di un intervento lento e graduale ma è esito dei Piani regolatori progettati con l’intento di espandere la città e darle quel volto che potesse esprimere la nuova del Regno d’Italia. 1. Atmosfera di Roma Alla vigilia del trasferimento della Capitale del nuovo Regno d’Italia a Roma, quest’ultima non è altro che un antico borgo medievale che occupa solamente un terzo della superficie delimitata dalle mura Aureliane, gli altri due terzi sono occupati da campagna. Henry James, come altri
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Fig.2 Palazzo Sora prima delle intellettuali dell’Ottocento, manifestò
demolizioni. 10 ottobre 1884. Da Fondo fotografico del Piano regolatore di Roma 1883 (2002). Isolato di Palazzo Sora prima e dopo le demolizioni. Da A.M. Racheli (1985). Si noti il tessuto di case a schiera sacrificate da lì a poco per la costruzione del nuovo asse.
apprezzamento nei confronti di quella Roma ormai scomparsa per il suo carattere cupo e pittoresco, quasi decadente, spesso considerata luogo adatto alla riflessione e al riposo. Con l’arrivo dei Savoia, Roma inizia a trasformarsi e gli scopi di questa trasformazione sono principalmente due: in primo luogo la necessità di diventare una grande Capitale europea e sostenere il ritmo del progresso, in secondo luogo trovare un volto che potesse risolvere l’identità nazionale. La parte urbana della città era caratterizzata da piccole case a schiera dallo stile medievale. Abitazioni che nascevano dalla dismissione e dal reimpiego delle precedenti strutture romane. Il ritmo serrato dell’abitato medievale lasciava il posto ai rettifili rinascimentali del Quattrocento, come Via Giulia e Via della Lungara. La città ha quindi due volti, come afferma Attilio Brilli in Viaggio della Capitale: «Dietro le scintillanti facciate celebrate dal Vanvitelli e dal Pannini si ripropongono i volti diversi della città» (Brilli, 2010; p.65). Citando Dickens, la magnificenza dei palazzi risaltano la miseria e la sporcizia dei quartieri poveri che li circondano. Dunque la città ha ancora caratteristiche provinciali e nasceva l’esigenza di modernizzarla e su questo appello si interrogarono gli intellettuali dell’epoca: alcuni, come Twain, consideravano questo processo indispensabile e possibile solo con il distacco dalla Roma papalina - prima strettamente connessa all’impostazione agraria della città. Altri, ad esempio Gregovirus, credevano che la città eterna dovesse rimanere invariata e mantenere la sua antica atmosfera.
2. Quale stile assegnare alla nuova architettura italiana? Raggiunta l’unità politica nella seconda metà dell’Ottocento, in Italia nasce il desiderio di creare anche un’unità culturale e intellettuale, in grado di oltrepassare le ormai radicate tradizioni culturali regionali. Questo discorso investe tutte le arti, dal linguaggio alla letteratura, dove prevale il fiorentino come lingua nazionale, ma anche l’architettura diventa tema di un accesso dibattito intellettuale. Gli architetti e gli studiosi si focalizzano sulla ricerca di un’identità stilistica architettonica capace di assumere un valore simbolico sovraregionale. Poiché l’aspetto architettonico di una città è strettamente connesso ai cittadini che la abitano, esso deve esprimere e riassumere gli ideali della società, e svolgere quindi una funzione simbolicocelebrativa. Il nuovo stile deve inoltre stabilire dei rapporti con la comunità locale in cui viene usato ed è tenuto quindi a rispettare i suoi codici figurativi oltre che a rispondere alle necessità pratiche. È così che nasce un conflitto fra la comunità di riferimento e la necessità in questa particolare fase storica di uno stile unitario, perché l’agognata unità non è stata ancora del tutto raggiunta e le modifiche apportate alla città risultano avventate, perché non danno abbastanza valore al substrato precedente, ancora rappresentativo per i cittadini. Il tema dello stile nazionale e della sua attuazione è affrontato da Camillo Boito, uno dei maggiori architetti italiani dell’epoca, che nella sua opera Architettura del Medio Evo in Italia (1880) analizza soprattutto il medioevo. Boito ritiene che attraverso molteplici elementi architettonici romani è
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Fig.4 Isolato compreso tra Vicolo Savelli e Via Sora. Da A.M.Racheli, (1985). Nella pagina precedente:
Fig.3 Palazzo Sora durante le
demolizioni. 9 Aprile 1886. Da Fondo fotografico del Piano regolatore di Roma 1883 (2002).
possibile comporre un nuovo stile moderno, o meglio uno stile neorinascimentale che allo stesso tempo nasce anche come sintesi dei vari rinascimenti italiani, da qui il carattere sovraregionale. È chiaro come questo nuovo stile dovesse rispondere alla nuova funzione politica dell’arte. Dunque tutte le città italiane vennero sottoposte ad un processo di italianizzazione: diventarono l’immagine dei cambiamenti sociali in atto e dei nuovi volti del nuovo del potere. Furono investite dalla novità, furono rinominate strade e piazze, furono abbattute le mura della maggior parte della città e creati nuovi assi, le stazioni svolsero per la prima volta il ruolo di porte della città. 3. I Piani regolatori I Piani regolatori che hanno interessato Roma dal 1873 fino circa al 1931 (regime fascista) con il Piano PiacentiniGiovannoni sono stati funzionali alle
suddette necessità della neonata Capitale. Dopo l’insediamento a Roma del generale Cadorna, nel 1870, la seconda artiglieria della giunta municipale, costituì una commissione di ingegneri e architetti incaricati di ampliare e modificare la città. Tale giunta è presidiata da P. Camporesi e ne fece parte anche A. Viviani, che sarà autore del Piano regolatore del 1873. Il 28 novembre 1871 il Consiglio comunale approvò l’espansione urbana verso est, decisione sostenuta da Q. Sella e F. Saverio Demerode. Lungo Via XX Settembre si localizzavano i ministeri. Il primo Piano regolatore si riferiva al territorio entro le mura, mentre non era ancora prevista l’espansione ad ovest con il quartiere Prati di castello. Gli assi principali longitudinali erano le tre strade sistine: Ripetta, Corso e Babbuino, allungate e sventrate ma però non ancora collegate ai quartieri di Trastevere
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Fig.5 Corso Vittorio Emanuele
II (foto degli autori, 2018). Si noti l’omogeneità dei prospetti raggiunta grazie all’unificante linguaggio neo-cinquecentesco e alla uniformità delle altezze degli edifici.
e Monti. Asse secondario longitudinale era l’attuale via degli Annibaldi nata dal prolungamento fino al Colosseo di via dei Serpenti e che collegava il centro al quartiere del Celio e di Testaccio. Anche riguardo agli assi principali trasversali che attraversano la città nell’altro senso, il Piano utilizzava tracciati esistenti ampliandoli e allineandoli: Via del Tritone e Via Nazionale. Nel 1874 divenne Sindaco di Roma Venturi che rifiutandosi di inviare la Delibera comunale al Re rigettò il Piano regolatore del 1871: è infatti il Piano regolatore del 1883 il primo a diventare Legge. Il Piano venne stilato con lo scopo di trasformare una città agricola come Roma in una metropoli moderna. Tra i provvedimenti adottati vi fu la creazione degli argini del Tevere le cui conseguenze portarono all’eliminazione del porto di Ripetta, di parte del
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rione Regola, di due terzi dei giardini della Farnesina e alla costruzione di Piazza di Ponte S. Angelo. Con questo intervento il rapporto con il fiume, prima determinante nella vita urbana di Roma, venne totalmente compromesso. 4. Il caso di Corso Vittorio Anche Corso Vittorio Emanuele II (fig.1) è testimone di questa volontà di trasformazione e modernizzazione della città. È stato progettato da Ennio Rossi nel 1886 e ha infatti il ruolo di collegamento fra il centro e i quartieri occidentali oltre il Tevere. Altri grandi assi creati per collegare il centro ai nuovi quartieri rispondendo ad una domanda di modernità della Capitale sono Via Arenula, Via del Tritone e Via XX Settembre. Corso Vittorio inizia a Piazza del Gesù e finisce a Ponte Vittorio, è situato nel Rione Ponte e collega I Racconti di Roma Capitale NU3#01 - leNote di U3
Fig.6 Vicoli adiacenti Corso Vittorio Emanuele II (foto degli autori, 2018).
Piazza Pasquale Paoli a Lungo Tevere Vaticano. È stato inaugurato nel 1911, circa vent’anni dopo il progetto, per il cinquantenario dell’Unità d’Italia. Su questo asse si trovano diversi edifici di particolare interesse come Palazzo Sora (che da questo momento in poi cambia asse di riferimento e le sue facciate vengono riprogettate; figg. 2 e 3), il Convento dei Filippini (costruito tra il 1637 e il 1650), Palazzo Sforza Cesarini, il Banco di S. Spirito e Palazzo Nicolini. Per la realizzazione di Corso Vittorio furono necessarie diverse demolizioni sul tessuto urbano preesistente, costituito da case a schiera medievali cresciute su loro stesse nel corso dei secoli (fig. 4). Il suo nuovo aspetto è caratterizzato dall’estrapolazione del tipico palazzetto rinascimentale dal suo contesto così da ampliarne la scala. Questo tipo di intervento esige conseguentemente
dei tagli nell’ambiente circostante. In Corso Vittorio vi sono una serie di palazzi che si assomigliano per altezza e struttura, portatori di un evidente stile neo-cinquecentesco, i quali presentano frequentemente l’elemento architettonico del “bugnato”, ovvero blocchi di pietra sovrapposti a file sfalsate e utilizzate principalmente per il piano terra. Le mensole dei palazzi sono a volute, e in essi vi è una gerarchia dei piani che si manifesta nelle diverse altezze dei soffitti (fig. 5). I vicoli adiacenti a Corso Vittorio offrono invece un’atmosfera completamente diversa. Difatti a pochi metri dalla grande strada trafficata si incontrano vie piccole, nelle quali la luce è più ridotta e non vi è inquinamento sonoro. In contrasto con l’ostentata omogeneità di Corso Vittorio qui le case sono diverse fra loro nella struttura e nei colori,
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Fig.7 Piazza della Chiesa
Nuova prima della realizzazione del nuovo asse da Fondo fotografico del Piano regolatore di Roma 1883 (2002). Piazza delle Chiesa Nuova (foto degli autori, 2018). I cambiamenti non riguardano semplicemente la dimensione della strada e il rapporto tra spazio carrabile e pedonale ma anche i prospetti dei singoli edifici che si nobilitano e uniformano (anche in seguito a pesanti rimpaginazioni) ricorrendo largamente all’uso dello stile neo-cinquecentesco.
alcune sono state addirittura riunite insieme dopo la costruzione. Questi vicoli sono uniformi al tessuto urbano precedente alla costruzione di Corso Vittorio e in generale mantengono lo stile che caratterizzava la città prima dell’unificazione e del suo nuovo ruolo di Capitale (fig. 6). Un esempio importante dei cambiamenti portati dalle demolizioni conseguenti alla realizzazione di Corso Vittorio è quello di Piazza della Chiesa Nuova. Questa in meno di un decennio si è trasformata radicalmente, da una piccola piazzetta dall’aspetto medievale è diventata un grande slargo diviso dalle abitazioni mediante una grande strada dall’aspetto neo-cinquecentesco (fig. 7). Dunque se da un lato Corso Vittorio Emanuele II dà la percezione di un’uniformità stilistica degli edifici che vi si affacciano, raggiungendo
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quindi l’obiettivo prefissato, dall’altro è evidente la rottura nella continuità del tessuto storico urbano. 5. In conclusione Tutti questi cambiamenti sono stati attuati con lo scopo di dare a Roma e all’Italia un volto nuovo e utile a creare un’identità per la neonata Nazione. Questo percorso però potrebbe aver in realtà alterato l’identità urbana della comunità romana, modificando i simboli e la struttura fisica della città, ovvero dandole una forma che non le apparteneva. È indicativo che comunemente non sono i viali costruiti dopo l’Unità d’Italia, che ricordano le strade larghe di altre capitali europee, che vengono alla mente quando si parla di questa città ma piuttosto i quartieri della Roma antica, medievali, rinascimentali e barocchi che negli I Racconti di Roma Capitale NU3#01 - leNote di U3
anni sono stati tagliati o eliminati secondo esigenze pratiche e/o simboliche. Per questo concludiamo questo contributo con alcune domande aperte: il tentativo di dare un nuovo profilo all’architettura di Roma Capitale è riuscito? Contemporaneamente, un’identità imposta dall’alto può essere efficace? Ma, soprattutto, a quale costo?
Bibliografia
L. Benevolo, 1977, Roma oggi, Laterza, Bari. A. Brilli, 2010, Il viaggio della capitale, UTET. G. Miano , 1984, “Figure e voci per la città capitale”, in AA.VV., Architettura e urbanistica, uso e trasformazione della città storica, Cataloghi Marsilio, Venezia. M.L. Neri, “Stile Nazionale e identità regionali nell’architettura dell’Italia post unitaria”, in Quaderni del Castello di Gargonza. A.M. Racheli, 1985, “Corso Vittorio Emanuele II: urbanistica e architettura dopo il 1870”, in Quaderni 7, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio studi. G. Strappa, 1989, “La continuità con la tradizione nell’edilizia romana del ‘900 a Roma”, in G.Strappa (a cura di) Tradizione e Innovazione nell’architettura di Roma Capitale 1870-1930, Edizione Kappa. Il fondo fotografico del Piano regolatore di Roma 1883, la visione trasformata, Gangemi editore, 2002. https://www.romasparita.eu/ L. Aringoli, A. De Crais, M. Di Majo Norante & A. Temi. Tutor: Giulia Brunori La nuova Capitale in cerca di un linguaggio nazionale
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Le due Rome, lettura critica della nascita del quartiere Prati di J. Al Hagrah Pellegrini, M. Anselmi, I. Quinto & M. Papi. Tutor: Tommaso Berretta
rilettura del caso del quartiere di Prati, ha inteso comprendere la generale «Come tutte le metropoli era costituita frammentarietà fisica che oggi domina lo da irregolarità, avvicendamenti, scenario urbano romano. precipitazioni, intermittenze, collisione di cose e di eventi, e, frammezzo, punti 2. Il quartiere Prati e le influenze di silenzio abissali; da rotaie e da terre europee vergini, da un gran battito ritmico e Parigi, fra il 1852 e il 1870, sotto il Regno dall’eterno disaccordo e sconvolgimento di Napoleone III, fu sottoposta ad un di tutti i ritmi; e nell’insieme somigliava intenso processo di modernizzazione a una vescica ribollente posta in un urbana per mano del Prefetto recipiente materiato di case, leggi, Haussmann. Il progetto fu chiamato a regolamenti e tradizioni storiche» rispondere a diverse esigene, attraverso Robert Musil, L’uomo senza qualità una serie di ampi sventramenti attuati sul tessuto urbano compatto e consolidato: ottenere un maggiore controllo sulla Il quartiere Prati, nasce come rivendicazione di un nuovo Stato laico, il città, il risanamento urbano avrebbe Regno d’Italia, in antitesi e indipendente infatti facilitato la repressione di dallo Stato pontificio, da secoli radicato eventuali movimenti rivoluzionari; a Roma. Il quartiere rappresenta uno dei migliorare le condizioni igieniche di tanti tentatvi per rendere Roma una città Parigi, includendo nella ricostruzione fognature e rete idrica; realizzare meno isolata a livello europeo sia dal l’immagine di una città che riflettesse il punto di vista politico che della qualità nuovo Regno, puntando sull’isolamento della vita attraverso azioni dirette a modificarne l’assetto urbano: una rapida di nuovi e vecchi monumenti. Fu quindi espansione edilizia che ha occupato vasti necessario sostituire letteralmente la Parigi antica, fatta di numerose e territori precedentemente disabitati e dedicati all’agricoltura, determinando un strette strade pittoresche, con una città moderna costituita da ampi boulevards ambiente estremamente disomogeneo e maestose piazze. e poco armonico nel suo complesso. Poiché era nell’interesse di Napoleone La stessa conformazione del quartiere dal punto di vista architettonico sembra III il riassorbimento della povertà, estraniarsi completamente dal contesto incoraggiò i detentori di capitali a investire sulle grandi opere urbane. I tipico romano. lavori venivano quindi programmati Il presente contributo vuole restituire gli esiti di una ricerca che, attraverso la dallo Stato, realizzati da privati e 1. Introduzione
J. Al Hagrah Pellegrini, M. Anselmi, I. Quinto & M. Papi. Tutor: Tommaso Berretta Le due Rome, lettura critica della nascita del quartiere Prati
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finanziati tramite prestiti, un sistema che riusciva a raddoppiare le risorse economiche in campo fino alla crisi finanziaria del 1870: lo Stato espropriava i proprietari dei terreni sui quali sorgevano gli immobili da demolire, per poi costruire nuovi assi viari completamente attrezzati. Dalla vendita dei lotti urbanizzati lo Stato recuperava il denaro utile alla realizzazione dei nuovi immobili che dovevano rispettare precise coordinate dettate dallo Stato stesso. In diciotto anni sotto l’azione del Prefetto Haussmann vennero così demolite più di 20 mila unità abitative e ne vennero edificate 400 mila e gli arrondissements da 12 diventarono 20, moltiplicando la cubatura utile. Con Parigi nasce così il modello della Capitale europea, fatta di grandi viali e di bianche e ordinate facciate, un modello adottato da tutte le più grandi città di allora, tra cui la stessa Roma che con il Piano regolatore del ’71 introdusse, attorno alla città consolidata, nuovi quartieri adottando la stessa impronta stilistica, fra questi Prati. Questo maestoso quartiere, oggi borghese, caratterizzato da strade dritte, ampie e alberate è visto come uno dei più atipici tra i ventidue Rioni di Roma. Si discusse molto sul suo progetto e in contrasto con il Piano venne realizzato nella zona pianeggiante a ridosso di Castel S. Angelo, a ovest di Roma, sulla riva destra del fiume Tevere. L’area, allora priva di costruzioni e considerata “aperta campagna”, era da sempre strategica perché facilmente collegata a Monte Mario e alla Via Cassia. Infatti già nel 1830, sotto il pontificato di Papa Pio VIII, Pietro Ercole Visconti pensò di realizzarvi un nuovo quartiere di abitazioni per le famiglie di ceto medio-basso. Il progetto,
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affidato all’architetto Domenico Cacchiatelli, fu più volte rifiutato per il rischio di inondazioni, per l’insalubrità dell’acqua e per la mancanza di collegamenti infrastrutturali con l’altra sponda del Tevere: motivazioni che in realità nascondevano gli interessi economici dell’alta borghesia romana che favoriva l’espansione di Roma verso est. Subito dopo il 1870 però, gli imprenditori cominciarono ad acquistare le vigne e i terreni dai vecchi proprietari dei fondi, tra questi si ricordano Francesco Saverio De Mèrode ed Edoardo Cahen intorno ai quali nacque un gruppo di banchieri e industriali in grado di contrastare l’azione dell’alta borghesia. Nel 1872 fu presentato un nuovo progetto per il quartiere, a firma all’architetto Antonio Cipolla, basato sulla realizzazione di alcuni punti focali: Piazza Risorgimento; Piazza Cavour; Via Cola di Rienzo; tre nuovi ponti e il Palazzo di Giustizia collegato con il centro storico. Nel 1873, venne approvato il nuovo Piano regolatore che prevedeva l’espansione della città verso ovest, con Prati. Via Reale, la prima ad essere realizzata, divenne l’asse principale del quartiere contornata da filari d’alberi, impianti di illuminazione e palazzi che potessero riflettere lo stile di vita della nuova classe sociale medioborghese da insediare. Successivamente, nel 1878, si completarono i i lavori di collegamento con il centro storico attraverso il ponte Ripetta e si pose definitivamente fine all’isolamento dell’intera area. Prima ancora di nascere però Prati divenne un quartiere fantasma perché risentì fortemente della crisi seguita alla fine della “febbre edilizia”: I Racconti di Roma Capitale NU3#01 - leNote di U3
cantieri bloccati, edifici incompiuti o occupati e assenza dei servizi principali contraddistinguono in quegli anni il quartiere. Superata la crisi, Prati venne ultimato acquisendo la sua definitiva fisionomia a scacchiera e conforme al modello ottocentesco “haussmaniano” seguito in tutta Europa ma estremamente distante dall’estetica del centro storico papalino al quale andava a saldarsi. Il quartiere, dal perimetro perfettamente triangolare, non appare progettato a “misura d’uomo”, sembra infatti un complesso che, nato con l’idea di voler ritornare all’età classica con spirito romantico delle forme, finisce per essere sproporzionato nell’intero contesto urbano. Inoltre, la mentalità fortemente anticlericale dei sabaudi fece si che il nuovo quartiere ignorasse volutamente il Vaticano e i suoi monumenti, pur essendo fra loro aderenti, la Roma papalina viene con cura evitata e non utilizzata come “sfondo scenografico”. Da nessun punto del Rione è infatti possibile vedere la cupola di San Pietro, con l’unica eccezione di Piazza Risorgimento in cui era inevitabile. 3. Due Rome Quella della Città del Vaticano e della sua corte ecclesiastica è una presenza importante e da secoli radicata nel contesto romano, che scardina la “prima Roma”, imperiale, e che poi viene, anche se solo parzialmente, scardinata dalla terza, capitolina. Seppur si estenda su una superficie di appena quarantaquattro ettari, il Vaticano, in particolare le mura leonine, è percepito dai romani stessi come un “muro di Berlino”, i cui influssi però sembrano spingersi oltre questa cesura,
tanto da essere definita da Italo Insolera come la “Seconda Capitale” perché «Roma, capitale dello stato Italiano, è l’unica città che contenga al suo interno, tra le sue strade e i suoi quartieri, la capitale di un altro stato indipendente: lo Stato del Vaticano […]». Gli ambiziosi progetti urbani ed edilizi dei pontefici, successivi a Giulio II, intendevano ampliare il Vaticano dalle mura Leonine a quelle Aureliane e sembrano esprimere il desiderio di riportare alla luce una Roma imperiale sotto il controllo del Papato. Nel corso del XIX secolo lo Stato della Chiesa si trova a confronto diretto con il Regno d’Italia deciso ad imporre la propria autorità sulla stessa citta Leonina. Diventata Capitale del Regno, Roma inizia a crescere sotto l’effetto anche della già citata “febbre edilizia”. Il quartiere Prati in particolare nasce come rivendicazione di un potere allora ancora invisibile e che doveva essere reso tangibile attraverso la composizione architettonica e urbana della città stessa: la conformazione del quartiere è esemplificativa di un nuovo progetto sociale ma anche di una divisione netta tra Papato e Regno. Alle vie basse e strette della Roma medievale, Prati si impone per i grandi viali alberati e gli assi infiniti tipici della nuova architettura Piemontese e dal retrogusto europeo; agli ambienti bui si contrappongono le vie di Prati, luminose e spaziose, a tratti vuote; la stessa toponomastica della citta è ribaltata a Prati le vie vengono titolate a soggetti storicamente avversi al Papato; infine la giustapposizione fra nuovi e vecchi monumenti accentuano questo desiderio di prevaricazione e conquista del campo urbano, come per esempio la nuova Cassazione - il cosiddetto Palazzaccio - simbolo del potere politico
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e giuridico laico, realizzata accanto a Castel Sant’Angelo, simbolo del potere papale. 4. Rottura Nel passaggio tra la città del silenzio e della campagna, dei pittoreschi vicoli dalle maestose opere rinascimentali alla grande metropoli d’Italia, Roma dovette sopportare una rottura traumatica, che ancora oggi è evidente nella conformazione dei tessuti urbani. Una città disomogenea, discontinua e poco armonica, l’incarnazione del caos in un parallelismo con la cultura greca classica, in cui la polis raffigurava un microcosmo la cui perfezione doveva riflettersi nella geometria dei complessi architettonici. “Armonia” dal verbo greco armozo significa comporre accordare, l’assonanza di voci e strumenti, una proporzionata corrispondenza fra i singoli membri di un unico complesso architettonico.
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Prati di Castello: tra speculazione e interventi pubblici di K. Alihajji, A. Calidoni, A. Leoni & R. Tepedino. Tutor: Cosimo Campani
[1] Occorre precisare come il La costruzione del quartiere Prati risulta
termine “speculazione” abbia assunto in tempi moderni un’accezione negativa cui l’immaginario comune associa, in maniera abituale e arbitraria, i concetti di frode, malaffare e corruzione a fini privati. Questa ricerca si attiene invece a quello che è il significato originario del termine ovvero volgere lo sguardo all’avvenire e tentare di prevedere ciò che accadrà scommettendo a proprio rischio. Si vuole dunque aderire al pensiero di Einaudi, per cui «fa d’uopo riportare la parola speculazione al suo significato genuino; che è quello di chi guarda all’avvenire, di chi tenta, a suo rischio, di scrutare (speculare) l’orizzonte lontano ed indovinare i tempi che verranno. Purtroppo, gli ‘speculatori’ veri sono rarissimi» (Einaudi 1973, p. 347). Pertanto, la speculazione si rivela la necessaria prerogativa di coloro che vogliono fare imprenditoria, e di per sé ha una connotazione neutra. È la propensione umana a rispondere all’incertezza. Come afferma Nicholas Kaldor, economista ungherese naturalizzato britannico, «in un mondo dove è possibile la previsione perfetta, nessuno potrebbe avere guadagni speculativi, quindi gli speculatori non potrebbero esistere» (Kaldor 1939, p.1).
fin dall’inizio un processo complesso, travagliato e soprattutto influenzato profondamente da interessi economici. Dall’acquisto dei terreni da parte di speculatori, alla successiva costruzione da parte di imprenditori, Roma si ritrova in balia di una “febbre edilizia” che attira le mire anche di investitori esteri e impone una espansione in controtendenza rispetto a quella voluta principalmente verso est, come previsto nei Piani regolatori precedenti. Questo stravolgimento culturale e paesaggistico è reso necessario dalla proclamazione di Roma in Capitale del Regno d’Italia. Quali sono le cause che hanno spinto alla formazione di Prati? Quali le conseguenze accorse? Chi sono stati i protagonisti degni di nota di questo processo? Come, infine, l’amministrazione della città si è rapportata a questo fenomeno? Introduzione Il presente contributo si propone di restituire un’indagine su fenomeni ormai passati e che hanno interessato il quartiere Prati tenendo presente quali possano essere i tratti comuni con la realtà attuale. Temi come l’emergenza casa, la frammentarietà del tessuto urbano e la speculazione edilizia1, visti già a partire da Roma capitale, continuano tutt’oggi a interessare la città, rimanendo irrisolti e sospesi
in un contesto urbano che continua fisicamente a dilatarsi. «Roma è una città di case senza gente e gente senza casa» così descrisse la Capitale Giulio Carlo Argan, Sindaco di Roma dal 1976 al 1979, restituendo chiaramente la contraddizione che caratterizza Roma ormai da più di un secolo. L’indagine che ha portato alla stesura di questo contributo è il nostro primo approccio al mondo dell’urbanistica e ha riguardato la genesi del quartiere Prati. Abbiamo utilizzato numerose fonti scritte, a noi inedite, e consultato Piani regolatori dell’epoca e mappe storiche mediante supporti digitali. Nel redigere le conclusioni, abbiamo tratto spunto anche dalla puntata del 4 maggio 2008 di Report, sul tema dell’espansione di Roma oggi e del ruolo che giocano pubblico e privato in tale processo. Le domande a cui si è cercato di dar risposta in questo contributo sono le stesse che hanno incuriosito noi, da profani della materia, nel nostro lavoro di lettura delle fonti e studio del fenomeno. 1. Il progetto di Roma Capitale 1.1 Roma verso est Nel febbraio 1871 Roma viene definitivamente proclamata Capitale del Regno d’Italia2. Il nuovo status acquisito dalla città comporta la necessità di processi di ampliamento
K. Alihajji, A. Calidoni, A. Leoni & R. Tepedino. Tutor: Cosimo Campani Prati di Castello: tra speculazione e interventi pubblici
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e riqualificazione sia sul piano sociale sia su quello urbanistico: infatti diviene la meta tanto di dirigenti e impiegati torinesi quanto di masse contadine del Centro Italia che vedono nella migrazione verso la capitale un’occasione di impiego e di riscatto sociale. Il conseguente incremento demografico rende necessaria una notevole espansione, soprattutto perché la città si trova impreparata sotto molti punti di vista3. Ragioni politiche fanno sì che l’ampliamento urbanistico venga inizialmente progettato verso est, all’interno delle Mura Aureliane verso la Stazione Termini, per riportare il centro cittadino sui colli, come testimoniano la costruzione del quartiere Esquilino e Flaminio e il consolidamento dell’asse di Via XX Settembre, pensato come nuovo centro amministrativo e ministeriale della “Terza Roma”. 1.2 La nascita di Prati e lo sviluppo a “macchia d’olio” Nell’Ottocento la zona che si estendeva sulla riva destra del Tevere a nord di San Pietro, appariva come aperta campagna, interrotta solo da vigne, orti, rustici casolari e qualche osteria: la meta ideale per le gite fuori porta. La posizione dell’area non frena la speculazione privata, anzi la incentiva. Poiché si trova al di fuori della cinta daziaria cittadina, che corrisponde al tracciato delle mura aureliane, i materiali da costruzione in arrivo non pagano dazio. Motivi di convenienza, dunque, deviano lo sviluppo e ne aggiungono un’ulteriore direttrice, diversa da quella verso Est. Roma mostra i primi segni di una futura espansione tentacolare a cui difficilmente si riuscirà a porre dei
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limiti, determinando sia l’inizio dello sviluppo “a macchia d’olio”4, sia della speculazione edilizia che attira investitori interessati ad una vendita a rialzo dei terreni della zona di Prati. Il centro città rimarrà definitivamente sull’ansa del Tevere. 2. Le prime commissioni sullo sviluppo urbano 2.1 Pareri negativi sull’edificazione di [2] La situazione in cui versava la città in questo periodo è Prati Si comincia a discutere dell’ampliamento efficacemente esemplificata da queste parole di E. Zola: urbano già prima che Roma sia designata «Si trattava di impossessarsi Capitale: risale al novembre 1870 - due di Roma, di farne la capitale moderna, l’unica degna di mesi dopo la breccia di Porta Pia, ma comunque prima del febbraio 1871 - La un grande regno; e si trattava innanzi tutto di disinfettarla, relazione dei lavori per l’ampliamento di ripulirla della sporcizia che e l’abbellimento di Roma proposti la disonorava. Supera ogni dalla Commissione degli Architetti e immaginazione l’immondo sudiciume che sommergeva Ingegneri. Nonostante la proposta, città dei papi, la Roma che vede i Prati di Castello come nuova lasporca rimpianta dagli artisti: zona di espansione, sia caldeggiata da nemmeno l’ombra di latrine, vari investitori e proprietari terrieri la pubblica strada destinata ad ogni genere di bisogni, le che aspirano a grandi profitti, la Commissione esprime un chiaro parere auguste rovine trasformate in discariche, le adiacenze degli negativo: la zona infatti si presenta antichi palazzi principeschi insalubre e scollegata dal resto dei lordati di escrementi, un letto di bucce, di detriti, di materiali quartieri abitati. Nonostante tutto, alla in decomposizione che si Commissione preme costituire un ammucchiavano ovunque, collegamento con la sponda destra del trasformando le strade in fogne Tevere e salvare Prati dalle stagionali venefiche dalle quali esalavano inondazioni del fiume, come quella incessanti epidemie.” (cit. in Brilli 2017, p.66). disastrosa che nel dicembre 1870 [3] Basti pensare alla carenza sommerse la città per metà. 2.2 Pressioni dei privati Tra i principali fautori dell’edificazione in Prati, vi è il monsignor De Merode, il quale oltre ai terreni sull’Esquilino, possedeva anche una porzione dell’area in questione. Nel Catasto Gregoriano I Racconti di Roma Capitale NU3#01 - leNote di U3
di edifici adatti ad accogliere i ministeri, che in un primo tempo sono addirittura collocati in conventi e strutture religiose. [4] L’espressione in questione è usata in Insolera 2011, pp.48-53; Regni & Sennato 1973, p.15.
che porta la data del 1830, figuravano, tra i proprietari di porzioni dei Prati di Castello, il capitolo di San Pietro e vari enti religiosi, i quali subaffittavano i campi a coltivatori. Ma già nel 1870, i possedimenti avevano tutti cambiato proprietario. Dietro gli investimenti ci sono molte imprese e istituti di credito riconducibili a pochi individui, italiani ed esteri. L’ambiguità della risoluzione comunale, avutasi sul tema Prati, dà il la a una compravendita di terreni, che in principio sembra avere il solo fine di una vendita a rialzo. I frenetici passaggi di proprietà, sottoscritti per cifre sempre più alte, creano le premesse per una bolla speculativa che, difatti, si verificherà più tardi, negli anni ’80, e causerà il tracollo finanziario del Banco di Roma e di molti altri istituti bancari, sommersi di titoli cartacei che di punto in bianco perdono qualsiasi valore5.
[5] Il fenomeno speculativo
è così ritratto da Caracciolo: «alcuni appezzamenti acquistati tra il gennaio 1871 e il giugno 1872 dal Tanlongo, in buona posizione per essere edificati, nel 1873 sono ceduti a Giuseppe Sacerdoti, nel 1874 vanno in mano a un gruppo di banche per insolvenza di debiti, e successivamente cambieranno ancora padrone, essendo pagati con cifre sempre crescenti» (cit. in Regni & Sennato 1973, p.13). [6] Presentazione del progetto alla Giunta Comunale (cit. in Insolera 2011, p.47). [7] Insolera 2011, p.51.
però, non include questo progetto, già accantonato l’anno prima per volere del Consiglio Comunale. 3. Preludio alla costruzione del quartiere Prati di Castello
3.1 Le disposizioni dell’amministrazione Pianciani Lo stesso Direttore dell’Ufficio d’Arte comunale Viviani è il fautore del primo Piano regolatore della nuova Roma Capitale. Nel 1873, infatti, l’ingegnere prevede Prati come Piano di ampliamento speciale, ma asseconda soprattutto l’espansione a est: tale progetto, che è reputato mediocre da Italo Insolera7, viene presentato al Consiglio Comunale, presieduto da Luigi Pianciani, figura di spicco che tenta di frenare le eccessive sregolatezze dei privati. Pianciani, poi sindaco di Roma dal ‘73 al ‘74, dimostrando una particolare 2.3 Un quartiere tracciato ma non lungimiranza, comprende la situazione previsto dai piani che si sarebbe creata in Prati e stabilisce La suddetta Commissione comunale precisi principi di politica amministrativa, del 1870 non aveva, tuttavia, respinto sostenendo che il Comune doveva con decisione le richieste dei privati essere il promotore dell’espansione e, anzi, aveva provveduto a tracciare, e non subappaltare incautamente pur sulla carta, le direttrici e le strade edificazioni di interi quartieri. Pertanto, del futuro quartiere. I proprietari dei l’obiettivo che si prefigge è quello di terreni di Prati spingono gli “Illustrissimi espropriare aree di futura costruzione Signori Consiglieri Municipali”6 ad e rivenderle ai privati costruttori dopo approvare un progetto di edificazione l’installazione dei servizi necessari, in basato sul disegno dell’Arch. Cipolla, modo tale che il Comune facesse cassa amico personale di Viviani, ingegnere e regolasse in proprio l’espansione. Di direttore dell’Ufficio d’Arte del Comune. fronte all’eclatante presa di posizione da Il quartiere, secondo il suddetto schema, parte del Comune la risposta dei privati si sarebbe esteso per 46 ettari, incentrato non si fa attendere: l’amministrazione su una direttrice viaria da Piazza del Pianciani decade l’anno successivo, Popolo a San Pietro. Le sistemazioni e i in favore del Sindaco Venturi che già principali edifici pubblici si sarebbero, precedentemente aveva dato prova invece, basati su un modello parigino. del suo appoggio agli imprenditori. Il Il successivo Piano regolatore del 1873, Piano regolatore del 1873, progetto K. Alihajji, A. Calidoni, A. Leoni & R. Tepedino. Tutor: Cosimo Campani Prati di Castello: tra speculazione e interventi pubblici
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fallimentare per l’incapacità del Viviani, viene fermato e definitivamente archiviato insieme alla breve parentesi di Pianciani.
stimati 75 lire; nel 1899, dopo la grave crisi, i prezzi scendono nuovamente a 12 lire, per poi risalire più moderatamente. L’investimento nelle aree di espansione di Roma diviene, infatti «uno dei più 3.2 Collegare un quartiere: il consorzio facili e redditizi affari del Regno d’Italia» (Insolera 2011, p.72) ai quali poche degli imprenditori per il ponte di società immobiliari intendono sottrarsi: Ripetta eclatante il caso della Società Generale L’inizio dei lavori di costruzione Immobiliare che da Torino si trasferisce nei nuovi quartieri a est segna una a Roma e acquista in Prati ben 7 mila battuta d’arresto per Prati, ma non per mq, accumulando un gran numero di l’attività di compravendita dei terreni, debiti. Gli incontrollati investimenti dal momento che l’afflusso di nuovi non incontrano, però, il guadagno speculatori, interessati alla zona di ampliamento speciale, alimenta la bolla sperato e la maggior parte dell’area speculativa. Un consorzio di proprietari rimane senza costruzioni e le poche abitazioni realizzate spesso non vengono terrieri, al fine di accrescere il valore catastale dei loro possedimenti, realizza occupate. L’Immobiliare, come molti altri istituti di investimento e di credito, nel 1878 un ponte provvisorio in ferro viene travolta dalla crisi al punto che e collegare così le due sponde del Tevere. L’abile manovra imprenditoriale è costretta a dichiararsi insolvente nel 1896: ciò vale, conseguentemente per effettuata dal consorzio ottiene un molti altri enti che si erano fortemente incredibile successo, non solo perché indebitati negli anni precedenti e che, riaccende l’interesse per l’area, apprezzandone di molto i lotti, ma anche in massa non restituiscono i prestiti alle banche, che, a loro volta, falliscono. Nel perché costringe l’Amministrazione 1886 sono 12.691 i cantieri attivi nel comunale a prendere in sempre maggiore considerazione l’espansione in nuovo quartiere mentre, appena due anni dopo, cala vertiginosamente a 819. Prati8. Il ponte provvisorio, svolto il suo Le principali circostanze che favoriscono ruolo, viene ceduto al Comune, che agli [8] Segue infatti una le spregiudicate operazioni finanziarie inizi del Novecento sarà sostituito con «Convenzione stipulata tra sono proprio le carenze legislative e Ponte Cavour. il Governo e il Comune di l’eccessivo liberismo economico, in Roma il 14 novembre 1880 un contesto in cui il settore pubblico si e trasformata in Legge il 14 3.3 La speculazione edilizia limita alla ratifica di realtà già esistenti e maggio 1881» che appunto Le suddette premesse, di fatto, gettano non ne controlla, invece, la formazione. «stimola gli amministratori Prati «nell’avventura della speculazione» A pagarne le conseguenze sono in larga a riproporre la redazione di un nuovo piano regolatore» come afferma Insolera (2011, p.54), parte gli abitanti: «i funzionari, i modesti (Regni & Sennato 1973, p.17), non nascondendo una lieve vena critica. impiegati che dovettero vivere per quasi imponendo alcune clausole di comodo per i privati che Sono esemplificativi i prezzi al metro vent’anni - per quasi una generazione quadrato dei terreni in Prati in quegli in quartieri appena iniziati, senza servizi, saranno poi rispettate nella stesura del suddetto Piano. anni: se nel 1873 i prezzi oscillavano tra senza scuole, senza mercati» (Insolera Queste prevedono che il le 3 e le 7 lire al metro quadrato dieci 2011, p.79). quartiere ospiti a breve degli anni più tardi, nel 1883, i terreni erano edifici governativi.
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4. I Piani regolatori decisivi: verso il riconoscimento del quartiere Prati 4.1 Il Piano regolatore del 1883: la forza attrattiva delle istituzioni Il primo Piano regolatore ufficiale di Roma (quello del ’73, lo ricordiamo, non divenne mai Legge dello Stato) arriva in ritardo rispetto alle aspettative: atteso per la fine del 1881, viene presentato dal Viviani, per l’ennesima volta a capo del progetto, nell’aprile 1882 e diventa Legge nel maggio 1883. Definito da Insolera un «parente prossimo del suo mancato avo» (Ibid 2011, p.64), il Piano presenta l’area Prati come futura zona di espansione: la planimetria di progetto, modifica leggermente l’impianto del ’73 lasciandone pressoché immutate le idee matrici, come l’impianto urbano basato sui tre ponti. Il nuovo progetto corrisponde quasi integralmente a quanto possiamo vedere ancora oggi, anche se essa prevedeva un maggior numero di piazze, che nei fatti furono sacrificate per avere più terreno edificabile. La vera novità per il quartiere è l’impegno del Comune a costruirvi, nell’arco di dieci anni, edifici governativi, in particolare la Corte di Cassazione e quattro Caserme. Questo, come è logico supporre, darà nuovo impulso alla speculazione e all’iniziativa imprenditoriale.
[9] «I finanziatori, i costruttori, lo stesso apparato burocratico statale che manovrava i finanziamenti erano di origine “buzzurra” e “buzzurri” furono per lo più i primi abitanti di quelle case» (Insolera 2011, p.57).
4.2 Prati, quartiere “buzzurro” Con il Piano regolatore del 1883, che lascia mano libera all’iniziativa privata, comincia la vera e propria genesi del quartiere, lenta ma costante. Prati viene pensato per ospitare la classe impiegatizia, di estrazione mediobassa e spesso di origine piemontese, o “buzzurra”9, come ai Romani del tempo
piaceva definire questi nuovi arrivati. E piemontese è anche l’impostazione del tessuto urbano, basata, come abbiamo già visto, sui motivi del tridente e della scacchiera. I palazzi che nei decenni successivi vengono qui realizzati numerosi sono accomunati da caratteristiche edilizie molto simili, ovvero quelle soluzioni che meglio si prestano a massimizzare i profitti degli investitori: case a quattro o cinque piani, con cortiletto interno, dipinte di ocra, ovvero la tintura più economica. L’idea di introdurre nell’architettura romana il tema torinese e nordico del loggiato è presto accantonata, in primo luogo perché non ve n’è necessità in una città dal clima mite come Roma, e secondariamente perché tale soluzione avrebbe sottratto spazio ad una costruzione finalizzata alla vendita. 4.3 Il degrado del quartiere e il Piano regolatore 1909: verso la ratifica di una realtà già esistente L’attività dei privati, ora che l’Amministrazione comunale non può e non vuole riaffermare il principio di “pubblica utilità” per i quartieri in costruzione, dimostra scarsissima lungimiranza: si sceglie di costruire per un ceto medio-basso, l’attività sicuramente più remunerativa, senza tenere in conto che alla città non serve un così gran numero di case per impiegati, mentre ha un disperato bisogno di trovare alloggio ai ceti più poveri, non in grado di affittare o tanto meno di acquistare il nuovo abitato in Prati di Castello. È la grande quantità di immobili che negli anni ’80 vanno sfitti o invenduti (non solo a Prati) a far collassare il castello di carte della speculazione e a far piombare molti
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Istituti di credito nella crisi a cui abbiamo già accennato. Si ripropone comunque di permanere in una condizione paradossale in cui le case inabitate e la gente è senza casa, tanto che i ceti popolari provano a porre rimedio indipendente con l’occupazione10. Non è nostra intenzione approfondire in questa sede le cause sociali ed economiche che hanno portato al degrado del quartiere nel ventennio ’80-’90; notiamo semplicemente come alla crisi immobiliare sia corrisposto un degrado sociale, e viceversa alla ripresa degli investimenti siano seguiti il riscatto del quartiere e la sua “gentrificazione”, come definiremo oggi. Per la fine del secolo, Prati era in larga parte edificato, salvo qualche lacuna nel tessuto urbano, e l’ultimo Piano regolatore, datato 1909, non può che ratificare una realtà già esistente; anzi si preoccupa di collegare Prati, delimitato dalle quattro caserme, con il futuro quartiere delle Vittorie che sarebbe sorto nei primi del Novecento. 5. Conclusioni Riletti e restituiti i fatti nel loro complesso, prima di voler assegnare un giudizio, a posteriori, sulle modalità di esecuzione del quartiere o la condotta di alcuni attori, ci sembra opportuno sollevare alcuni interrogativi: è giusto applicare una morale moderna a fatti del passato? È giusto definire spregiudicata, o senza remore, la condotta di alcuni speculatori, se la regolamentazione che la riguarda è scarsa o inesistente? Si deve tener conto del contesto storico e sociale nel formulare tali giudizi? Davanti a queste domande, non possiamo che lasciare al lettore un eventuale giudizio morale. Quel che si può affermare
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con certezza è che, dal punto di vista fattuale, l’opera degli speculatori ha, sì, consegnato a Roma un quartiere atipico e interessante, ma con modalità spesso insensibili ai bisogni della città e talvolta deleterie. É ironico, ad esempio, che il popoloso quartiere di Prati, nel cui nome si rievocano i campi che un tempo formavano il paesaggio agreste della zona, sia tutt’oggi privo di giardini o spazi di verde. I principi del Pianciani, e l’affermazione di “pubblica utilità”, se applicati a lungo termine, avrebbero senz’altro portato a risultati diversi da quelli ottenuti. In ultima analisi, si può forse recriminare all’Amministrazione pubblica del passato troppa arrendevolezza alle pressioni del privato e una mancanza di pianificazione a monte di quartieri, servizi e collegamenti, la quale avrebbe agevolato in primo luogo chi ne ha più diritto, cioè gli abitanti del quartiere Prati passati ma anche attuali. [10] Così Émile Zola descrive É importante notare anche come alcuni il contesto di miseria che schemi, tipici dello sviluppo urbano a attornia i nuovi palazzi, spesso senza servizi o addirittura trazione privata, si ripetano oggi come lasciati a metà: «Case terminate allora: la sicura realizzazione di alloggi ma con le persiane chiuse, per ceti abbienti mentre per quelli più completamente disabitate. poveri esiste un costante disagio legato Case abitate solo da una parte, il resto chiuso. Case all’emergenza abitativa; l’edificazione infine completamente abitate, di nuovi quartieri prima che siano case superbe ma abitate raggiunti dalle vie di comunicazione o dal popolino, la sporcizia servizi. Roma, nonostante le sue attuali che deborda dalle finestre, dimensioni, continua a espandersi con stracci che pendono dai una periferia priva di qualità urbana. Con balconcini scolpiti, puzza e miseria, donne scarmigliate, l’ultimo Piano, mediante il dispositivo a malapena ricoperte da uno delle “centralità” l’amministrazione scialletto sporco, alle finestre. capitolina ha tentato di porvi rimedio: la Tutta questa gente paga centralità è una periferia progettata per appena l’affitto. Mi dicono che alcuni si sono perfino istallati diventare un centro urbano completo, in queste case come per diritto con servizi di qualità, uffici e istituzioni di conquista. Sono entrati e ce minori, vere e proprie città nella città. li hanno lasciati» (cit. in Brilli Ma tali obiettivi vengono meno quando 2017, p.99). I Racconti di Roma Capitale NU3#01 - leNote di U3
negli appositi “accordi di programma” l’amministrazione pubblica cede allo sviluppatore privato e garantendo un cambio di destinazione d’uso in residenziale per quelle aree che erano dedicate ai servizi. Di fatto, a causa di queste deroghe le nuove periferie, progettate come centralità, diventano veri e propri quartieri dormitorio. É il caso della Bufalotta, dell’Acilia Madonnetta e di tante altre centralità di Roma. Mentre le maggiori capitali europee spingono per rafforzare il ruolo del pubblico nello sviluppo urbano, Roma continua a permettere che siano gli interessi privati a indirizzarne lo sviluppo.
Bibliografia
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Fonti iconografiche:
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Sitografia:
Report, puntata del 4 maggio 2008: http://www.report.rai.it/dl/Report/ puntata/ContentItem-8716d0e1-3e234ca7-8ce9-ad6e06a92525.html K. Alihajji, A. Calidoni, A. Leoni & R. Tepedino. Tutor: Cosimo Campani Prati di Castello: tra speculazione e interventi pubblici
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Indagine sulle origini della questione abitativa a Roma: il quartiere della nuova Capitale del Regno d’Italia, Prati di Castello di L. Di Giulio, S. Monterastelli, R. Piani & L. Rotoloni. Tutor: Francesca Cuppone
Introduzione La questione abitativa a Roma è un tema ricorrente nelle cronache della città e nel dibattito nazionale da quando se ne ha memoria. Per capirne a fondo le ragioni e risalire ad un’origine storica del problema è necessario tornare indietro al 1870, precisamente al 21 Settembre, giorno nel quale il generale Cadorna prese possesso della Città Eterna, sancendo di fatto quella che sarebbe diventata «la splendida capitale del Regno Italico»1. Questo studio intende ragionare sulle trasformazioni urbane che seguirono la presa di Roma e in particolare sulla crisi abitativa che colpì la città nel 1873 e ancora nel 1908 concentrandosi sulla nascita ed evoluzione di un quartiere che si ritiene emblematico nella storia della città, quello che sorse nell’area dei Prati di Castello.
[1] Camillo Benso conte di Cavour, discorso al parlamento del Regno di Sardegna 11 ottobre 1860. [2] Censimento generale, 31 dicembre 1871 e Censimento generale, 31 dicembre 1881.
1. La questione abitativa Il 1870 segna l’inizio per Roma, appena divenuta Capitale, di una crescita della popolazione con conseguente fenomeno di urbanizzazione intensiva che persiste fino al 1970, quando la popolazione romana si stabilizza; si pensi che dal 1871 al 1881 vi è un incremento della popolazione del 29%2. Roma nel 1870 conta 200 mila abitanti, alla fine del secolo se ne contano già 400 mila. La popolazione della città aumenta a
dismisura a causa dell’arrivo di persone provenienti dalle campagne limitrofe, da Firenze (precedente Capitale d’Italia) e dal Piemonte in cerca di lavoro. La città papale tuttavia non possiede né le strutture né i servizi per accogliere questo grande flusso di persone. Si rende immediatamente necessario supplire a queste gravi mancanze con la costruzione di nuove infrastrutture, servizi e soprattutto alloggi destinati perlopiù al nuovo ceto che si stava formando in quegli anni: il ceto medio, costituito da impiegati e funzionari ministeriali trasferitisi a Roma da Firenze e da Torino. Ai ceti più disagiati, ovvero quei contadini improvvisatisi muratori e operai che arrivavano dalle regioni limitrofe, non era concessa alcuna garanzia di un alloggio, pertanto dovettero provvedere a costruirsi un riparo di fortuna nelle campagne circostanti. Iniziarono così a formarsi le prime zone di baracche, che perdurarono a roma per decine di anni. 2.I Costruzione di Prati La costruzione di Prati fu pianificata dal sindaco Luigi Pianciani (e inserita dall’ingegnere Alessandro Viviani all’interno dello studio definitivo del primo Piano regolatore di Roma moderna) in un primo momento nel 1872 e successivamente in maniera definitiva tra il 1881 e il 1882. Il quartiere
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fu costruito sulla sponda occidentale del Tevere, nella zona i cui terreni appartenevano al Capitolo di San Pietro e ad altri enti ecclesiastici ed erano stati affidati a piccoli coltivatori di vigne. Il quartiere venne chiamato in un primo momento Prati di Castello, a causa della vicinanza con Castel Sant’Angelo. La zona che fino a poco tempo prima era la meta delle scampagnate domenicali dei cittadini venne puntata dagli speculatori edilizi come futura zona di espansione. In un’area compresa fra Castel Sant’Angelo e l’attuale Via delle Milizie venne pensato un nuovo quartiere, con un’architettura che si ispirava alle tipologie a blocco piemontesi (edifici dalla forma regolare a corte che consentivano di massimizzare il profitto e costruire il maggior numero di abitazioni nello spazio a disposizione). Per ragioni prettamente politiche e di potere non non esisteva rapporto urbano con il Vaticano, nessuna strada era diretta verso San Pietro e le costruzioni erano ben lontane dalle Mura Vaticane. La nuova Roma si poneva così in contrapposizione alla Roma papalina e alla sua immobilità. Vennero costruite nuove infrastrutture di collegamento come il Ponte di ferro, Piazza d’Armi adibita alle esercitazioni militari e le caserme su via delle Milizie. La costruzione di edifici statali, come il Palazzo di Giustizia detto il Palazzaccio, determinò anche la costruzione di numerosi edifici per la pubblica amministrazione e appartamenti per i dipendenti e i funzionari dello Stato. 2.1a La febbre edilizia Prati era un quartiere concepito a tavolino per una precisa classe sociale, ovvero quella medio borghese, nata in
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seguito al trasferimento della Capitale a Roma. Come Prati, anche la costruzione dei quartieri Ludovisi e San Lorenzo è stata emblematica, destinati a diversi ceti sociali essi avevano tutti un comune denominatore: furono tutti edificati fuori dalle direttive del Piano regolatore e solo in seguito a fronte della costruzione ultimata vennero inclusi come “varianti” nei Piani successivi. Come scritto da Italo Insolera, nel settimo capitolo di “Roma moderna”, « i Piani regolatori a Roma sembrano essere sempre esistiti solo per dividere le opere in due categorie: quelle dentro al Piano e quelle fuori. Realizzabili poi tutte quante indifferentemente e quasi sempre prima e più facilmente quelle fuori». Con le leggi del 1881, del 1883 assieme al nuovo Piano regolatore, le imprese edili trovandosi in una situazione di privilegio iniziarono a costruire freneticamente. Cominciarono così gli anni della “febbre edilizia”. Ingrandire la Capitale era diventato uno dei più facili e redditizi affari del Regno d’Italia. Questa espansione era favorita anche dalle agevolazioni sui costi dei materiali da costruzione poiché la cinta daziaria coincideva con i confini del Piano regolatore (le Mura Aureliane), e quindi costruire fuori dal Piano regolatore comportava notevoli vantaggi economici come l’esenzione decennale delle tasse per i nuovi fabbricati. Le dinamiche speculative che si crearono a favore delle famiglie nobiliari romane, detentrici di larga parte dei terreni soggetti a urbanizzazione, determinarono così un monopolio che portò grandi guadagni agli imprenditori. 2.1b La crisi edilizia. Prati 1870-1880 Il primo Piano regolatore del 1873 prevedeva che il territorio entro le mura I Racconti di Roma Capitale NU3#01 - leNote di U3
doveva essere provvisto di quartieri per poco più di 150 mila abitanti e la creazione di una zona industriale a Testaccio. Gli ampliamenti principali erano ad est (San Giovanni) e a ovest (Prati di Castello) e si prevedevano integrazioni o completamenti nelle zone già edificate per circa un altro quarto della popolazione. La prima fase della possibile espansione a ovest di piazza del Popolo nasce con il Consiglio comunale del 13 luglio 1872, quando venne approvato il progetto di un nuovo quartiere da costruirsi nella zona di Prati di Castello a firma dell’architetto napoletano Antonio Cipolla (1822-1874). Il progetto non era stato inserito nel Piano regolatore del 1873, anche se verrà comunque compreso in quello successivo del 1883 a seguito del “Concorso governativo nelle opere edilizie della Capitale del Regno”. Il quartiere Prati doveva «realizzarsi in concorso con gli interessati», ossia con il gruppo di imprenditori che aveva acquistato i terreni agricoli della zona sin dall’avvento di Roma Capitale e spingeva in quel momento per comprenderli nel nuovo Piano regolatore e aumentarne così il valore. Vennero così costruiti villini e blocchi edilizi di 5 o 6 piani a filo stradale. Prati era stato pensato per la classe medio borghese nata in seguito al trasferimento della Capitale a Roma. Tuttavia con l’inizio della febbre edilizia arrivarono a Roma grandi masse di braccianti, operai e manovali a cui l’Amministrazione non riusciva a dare risposta abitativa, queste persone non erano in grado di affittare gli appartamenti appena realizzati. Le case costruite così freneticamente rimasero quindi sfitte, perché il ceto al
quale erano destinate non si era ancora trasferito nella Capitale, essendo i ministeri ancora in costruzione. Dopo la crisi si verificò la “bolla edilizia”, ovvero un rapido aumento dei prezzi immobiliari che arrivarono a livelli insostenibili in rapporto ai redditi medi della popolazione. Inoltre cambiò la tipologia degli alloggi che si livellò verso il basso abbandonando la classe sociale borghese auspicata da Camporesi, e vennero concesse licenze edilizie anche per abitazioni ultra-economiche. Alla fine del 1887, 180 cantieri su 470 erano chiusi: ma perché avvenne questa crisi edilizia? Perché il mercato delle aree fabbricabili era regolato da un ristretto numero di banche e da un nuovo ceto imprenditoriale alla testa del movimento edilizio che non seppe gestire la situazione al meglio. L’incapacità dei privati di comprendere le necessità abitative di una città portò in questo caso ad una crisi abitativa. La situazione che si andò a creare fu quella di case sfitte, e gente senza casa. La risposta fu quella di occupare gli immobili, una risposta necessaria alla sopravvivenza dei ceti che non potevano permettersi prezzi al di fuori della loro portata. 2.2 La questione degli alloggi. Prati 1906-1908 La Roma di inizio Novecento presentava problemi e necessità differenti da quelle della Roma appena diventata Capitale. Maggiorino Ferraris, politico italiano, trattò all’ interno della “Nuova Antologia di Lettere, Scienze ed Arti” del problema abitativo di Roma a lui contemporaneo. Ferraris distingue, all’interno del suo trattato, tre problemi da risolvere: il rincaro delle pigioni, Roma porto di mare, il rincaro della vita e dei viveri.
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La domanda che Ferraris si pone è come risolvere la questione alloggi, proponendo possibili soluzioni. Con la “questione alloggi” Ferraris intende l’incessante ed improvviso rincaro delle pigioni per gli impiegati statali e i conseguenti sfratti. Il problema viene analizzato sotto due punti di vista: quello economico e quello morale. Riguardo la conseguenza economica viene osservato che la città di Roma mantiene numerosi impiegati sebbene avesse pochi centri di produzione e commercio, e questi impiegati erano soggetti ad uno stipendio fisso. Proprio per questo motivo l’aumento inaspettato delle pigioni provoca numerose conseguenze. Tra questi Ferraris cita: l’abbassamento del regime di vita, la riduzione del margine d’esistenza, il peggioramento del regime alimentare e l’intristirsi dell’esistenza domestica. Rispetto alle conseguenze morali si crea un’esistenza di continue preoccupazioni. Le famiglie quindi sono spesso costrette a spostarsi sempre più in periferia per riuscire a pagare l’affitto. Il Professor Montemartini, dell’ufficio municipale, in una relazione sulla questione degli alloggi scrisse che per far fronte alla questione alloggi erano necessari nell’immediato 20 mila alloggi e ne sarebbero serviti altri 40 mila negli anni 1912-1917. 2.2a Piazza d’Armi Nel 1907 lo Stato concesse 10 milioni di lire all’Istituto per le case degli impiegati. In una relazione approvata dall’Assemblea il 22 Aprile 1907 venne stabilito che per risolvere la questione alloggi bisognasse disporre di aree abitabili, aziende costruttrici e capitale occorrente. Lo Stato doveva cedere
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Piazza d’Armi e l’area compresa tra gli attuali Viale delle Milizie, Viale Angelico e Viale Carso al Comune. L’Assessore comunale Enrico Cruciani Alibrandi, facente funzioni di Sindaco, con il Comitato impiegati, rappresentato dall’ Amministratore comunale Caruso, avrebbe dovuto aprire poi un concorso a premio per un Piano della suddetta zona. D’altra parte l’Istituto degli impiegati doveva costruire tanti appartamenti quanti ne erano necessari. Lo Stato nel Luglio del 1907 cedeva ufficialmente Piazza d’Armi, con lo scopo di iniziare i lavori nel 1908. Poco dopo la cessione della piazza, il Consiglio si sciolse e enne istituita una nuova Amministrazione comunale. Di conseguenza il progetto venne bloccato e le 20 mila case non vennero costruite. Il problema venne ad acuirsi e rimase irrisolto. 3. Conclusione Dal nostro studio sulla condizione abitativa di Prati nel 1870 e nel 1906 risulta come queste presentino analogie e differenze. Le analogie sono la comune mancanza di immobili pensati per lo strato sociale più umile, uniti ad una generale indifferenza del destino di questi. Le differenze risiedono nel fatto che mentre la situazione del 1870 gira attorno all’errore di valutazione commesso dai privati rispetto le richieste di mercato, nel 1906 lo strato sociale più debole si è trovato davanti ad un problema abitativo che sotto alcuni punti di vista rimane ancora attuale. L’aumento improvviso degli affitti e il peso che viene dato al profitto dei privati a discapito dei bisogni dei cittadini è un argomento ancora aperto. Attualmente a Roma è ancora presente un problema abitativo: l’impossibilità di una parte considerevole I Racconti di Roma Capitale NU3#01 - leNote di U3
della popolazione di permettersi un affitto nella Capitale, le lunghe liste di attesa per le case popolari e l’assenza di istituzioni che risolvono questo problema fanno sì che le persone che vivono negli oltre cento palazzi occupati sono tra le 5mila e le 10mila. Ci sono inoltre 10 mila famiglie in lista d’attesa per un alloggio popolare, con oltre 200 mila case vuote. Come sottolinea l’Unione inquilini in un articolo de Il Sole 24 ore del 28 Agosto 2017 si registrano 500 assegnazioni annuali su 1.500 nuove domande. Importante è anche notare il fatto che a Roma avvengano circa 7 mila sfratti annui. Il problema abitativo è una questione che, spesso risolta con soluzioni temporanee o precarie e non a lungo termine, è attualmente presente nella nostra città e per trovare una soluzione definitiva dovremmo forse ripensare il concetto di società e inclusione di tutti gli strati della popolazione.
sul tema dell’abitare cercando punti di contatto con la situazione studiata ed i problemi che vediamo ogni giorno nella città di Roma. sul tema dell’abitare cercando punti di contatto con la situazione studiata ed i problemi che vediamo ogni giorno nella città di Roma.
Bibliografia
AA.V.V, 1959 in Urbanistica, n.28-29 A. Brilli, 2010, Il viaggio della 4. Metodo di lavoro Capitale. Torino,Firenze e Roma dopo Nella stesura di questo testo ci siamo l’Unità d’Italia, UTET, Milano. basati sui seminari frequentati presso M. Ferraris, 1908, “Le case per gli il Dipartimento di Architettura impiegati in Roma”, in Nuova Antologia, dell’Università degli Studi di Roma Tre e Luglio-Agosto. su documenti esaminati collettivamente L. Ferretti & F. Garofalo. 1984, Dopo e individualmente. Prima di tutto la crisi edilizia: l’intervento dell’istituto abbiamo raccolto fonti iconografiche romano di beni stabili e dell’istituto per e scritte e informazioni sul quartiere le case popolari, Marsilio Ed., Venezia. di Prati e su Roma in generale nel I. Insolera, 2011, Roma Moderna. periodo in oggetto. Ci siamo recati nel Da Napoleone I al XXI secolo, Einaudi, quartiere per osservarne la struttura e Torino. successivamente, avendo deciso su quale B. Regni & M. Sennato, “L’ex consorzio aspetto focalizzarci, abbiamo analizzato dei Prati di Castello, I nuovi quartieri di le fonti e organizzato una scaletta del ‘Roma Capitale’”, in Capitolium. nostro lavoro in modo tale da produrre A. Tagliaferri, 1994, guide rionali di un indice e ampliarlo successivamente Roma. Rione XXII Prati, Fratelli Palombi in un testo. Abbiamo inoltre ragionato Editori, Roma. L. Di Giulio, S. Monterastelli, R. Piani & L. Rotoloni. Tutor: Francesca Cuppone Indagine sulle origini della questione abitativa a Roma
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La Capitale adolescente: spazi e tempi narrativi dei quartieri tra il Quirinale e Porta Pia di A. Fiorilli & E. Pierfranceschi. Tutor: Eleonora Ambrosio «Vorrei che non ci fosse età di mezzo tra i dieci e i ventitré anni, o che a gioventù dormisse tutto questo intervallo: poiché non c’è nulla in cotesto tempo se non ingravidare ragazze, vilipendere gli anziani, rubare e darsi legnate». William Shakespeare, Racconto d’inverno
periodo di inattività, che può apparire lungo così come molto ridotto, ci si educa alla continua, inafferrabile, insostenibile evoluzione delle cose, nonostante l’inattività e l’apparente sonno. Dopo questo “terpore” si diventa attivi abbandonando la sicurezza dell’infanzia e dell’innocenza. «Vale, del resto, per tutti i mammiferi: 1. Lo spazio fra Quirinale e Porta Pia, mette attraversano tra la pubertà e la maturità in evidenza un alto numero di elementi sessuale un periodo nel quale sono più inclini a esplorare l’ambiente e che possono essere ricollegati alla premeno prevedibili […] Giunti alla soglia annunciazione dell’entrata di Roma nel Regno d’Italia e della sua proclamazione dell’adolescenza, il cervello contiene un numero di sinapsi, ovvero di connessioni a Capitale del Regno stesso. Un po’ tra neuroni, moto maggiore rispetto arditamente, riconduciamo qui questi a quello che caratterizza gli adulti. elementi al periodo dell’adolescenza Questo rende il cervello capace di della città di Roma che trova il suo culmine nell’evento della breccia di Porta adattarsi a qualsiasi ambiente. Durante l’adolescenza tante di queste sinapsi, Pia. quelle che vengono usate di meno, Nell’adolescenza è necessaria perché meno stimolate delll’esterno e un’alternanza fra periodi di attività che quindi sono meno utili nel contesto e periodi di quiete affinché possano determinarsi quelle condizioni favorevoli in ci si cresce vengono sfoltite, e le ad un corretto sviluppo. Questo perché altre si rafforzano». Questo processo è utile per approfondire il rapporto fra sono necessarie grandi imprese per la proclamazione di Roma a Capitale poter diventare “reali” ma anche e la fiaba della Bella addormentata di lunghi, calmi e profondi momenti di Charles Perrault, dei fratelli Grimm o concentrazione e di un ripiegamento di Giambattista Basile. Le tre versioni su sé stessi. Tale ripiegamento, della favola, francese, tedesca e italiana, nell’adolescenza, si determina quando presentano però differenze nella si svolgono processi mentali di tale importanza da lasciare il soggetto senza trama. La principessa, la protagonista, nel giorno del compimento del energia alcuna a fronte di un’azione diretta verso l’esterno. Durante questo quindicesimo (o sedicesimo) anno A. Fiorilli & E. Pierfranceschi. Tutor: Eleonora Ambrosio La Capitale adolescente: spazi e tempi narrativi dei quartieri tra il Quirinale e Porta Pia
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di età, si punge un dito con un filo di canapa (Grimm) o con un fuso (Basile/ Perrault) e tale evento la farà cadere in un sonno profondo. In Perrault, il regno si addormenta con la principessa, nei Grimm è il popolo a pregare di poter essere addormentato mentre nella fiaba di Basile i genitori decidono di abbandonarla al proprio destino.
un evento traumatico che fa cadere la principessa nel sonno profondo. Da qui la relazione con i significativi cambiamenti, anche fisici, accorsi a Roma con l’Unità d’Italia e con la proclamazione di Capitale nel 1871 possibile a seguito dell’invasione garibaldina, dieci anni prima, attraverso la Breccia di Porta Pia. Così scrivendo però si presume sbrigativamente che Roma sia, come la protagonista della favola, una Bella addormenta in attesa Sarà l’arrivo del principe (in maniera del risveglio, autonomo o con l’aiuto differente a seconda della versione), esterno di un principe o dei figli alla a risvegliare la principessa superando prima però un grande ostacolo, il rovo di disperata ricerca di nutrimento. spine che circonda il castello dove riposa In realtà, se le vicende di Roma Capitale sono assimilabili a quelle la protagonista. Mentre in Basile e nei Grimm il principe della Bella addormentata, in questo testo ci domandiamo se la Breccia di si fa strada con forza fra le spine, nella favola di Perrault il roveto fiorisce al suo Porta Pia rappresenti l’atto traumatico che ha addormentato Roma o se, passaggio lasciandolo quindi passare e al contrario, questo rappresenti il permettendogli di portare a termine il suo compito. Ma ancor prima di baciarla momento del risveglio dal sonno in è la principessa a svegliarsi in autonomia cui la città era piombata per secoli. La Breccia di Porta Pia come la puntura senza alcun aiuto esterno. I cento anni di sonno dettati dalla maledizione sono dell’ago di un fuso o come il bacio di conclusi e la protagonista è ormai pronta un principe? In questo senso i dati mostrano l’ampio e vasto incremento all’età adulta, come un bocciolo di rosa demografico dopo il 20 settembre del pronto a fiorire. 1870: la popolazione è passata infatti Il risveglio, nella favola dei Grimm dai 200 mila abitanti, pre-Capitale, ad avviene attraverso il bacio dato dal un milione nel periodo fascista per principe mentre nell’antica fiaba italiana, raggiungere oggi i due milioni e mezzo di Basile, dopo l’incontro con il principe, di unità. Mettendo a confronto la crescita Talia (questo il nome della principessa) demografica di Roma con quella di dà alla luce due gemelli, anche se non altre città italiane (Milano che passa da si risveglia durante il parto, bensì nel 290 mila a 1.256.000 abitanti, Napoli momento in cui i figli le succhiano il da 489 mila a 1.004.000, Torino da 210 seno, cercando il nutrimento, così da mila a 1.200.000, Palermo da 224 mila poter iniziare loro stessi la propria vita. a 887 mila) ci permette di affermare, metaforicamente, che non solo Roma è 2. cresciuta ma che, svegliandosi, ha nutrito In tutte le versioni della fiaba, sopra i propri “figli”. rapidamente esposte, è presente Infatti, dopo la breccia, non arrivò a
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Roma una sola Italia. Ne arrivarono “cento”, con le loro diverse culture. Mancando un disegno forte di Capitale, «si sono confuse le lingue» come ebbe a rilevare Domenico Farini, allora Presidente del Senato: «Questa città non vi aspetta e non vi teme: non vi accoglie e non vi scaccia», opinava Matilde Serao «La sua attitudine e’ in una virtù quasi divina: l’indifferenza».
(dovuta in realtà, nel caso di Piazza San Bernardo dalla necessità di creare una rotonda per lo smaltimento del traffico e da altre situazioni simili per le altre due piazze). La presenza, ad esempio, di parchi (luoghi tipici di incontro ad esempio tra bambini) o di musei («A Parigi, nel momento in cui si decide di andare a Roma, bisognerebbe stabilire di andare al museo un giorno sì e uno no: si abituerebbe l’anima a sentire la bellezza» 3. Stendhal, Passeggiate romane) è sempre La Breccia di Porta Pia ha influito non molto limitata e, anche quando questi solo su Roma in sé ma ha avuto delle luoghi sono presenti, sono disponibili ricadute spaziali di contesto. al pubblico solo in alcune fasce La violazione subita con la breccia, infatti, orarie, in alcuni giorni o, addirittura a pagamento come, ad esempio, i giardini non è solo una metafora, ha lasciato del Viminale, uno spazio verde che, se un segno tangibile nell’assetto urbano aperto ai cittadini rappresenterebbe e nell’architettura, percepibile anche una grandissima risorsa ma che, invece all’occhio più distratto che si trovasse è visitabile solo su prenotazione e dopo nel “quartiere” centrato sull’asse che va da Piazza del Quirinale a Piazzale della aver effettuato l’acquisto di un biglietto. Breccia di Porta Pia. Si rompe, in questo modo la visione Le funzioni svolte dagli edifici e dello spazio, non come semplice stato dalle strutture qui realizzate dopo la in luogo ma come luogo da vivere. proclamazione a Capitale, infatti, sono Il “quartiere”, nella sua totalità, non dedicate alla pubblica amministrazione, rientra affatto nella sfera sociale del non solo capitolina infatti troviamo cittadino, che ne è estraneo. Gianfranco ministeri, ambasciate, banche, servizi Ferrè diceva che Roma ha l’eleganza postali, etc. gli edifici sopravvissuti alla dell’umanità e della storia e, quindi, ristrutturazione urbana sabauda, ovvero di tutta quella sfera di umanità che quelli della Roma papalina, sono invece lega il cittadino abitante della Roma chiese come San Carlo alle quattro arcaica o classica con quello della Roma fontane, Sant’Andrea al Quirinale, etc.. Il quartiere è destinato quindi ai soli fini contemporanea. Vorremo quindi chiudere questo contributo con una amministrativi e le persone vi si recano per lavoro non per fini sociali, non sono domanda: con il “quartiere” in oggetto che va, appunto, da Piazza del Quirinale presenti infatti luoghi di incontro. Le a Piazzale della Breccia di Porta Pia, non uniche piazze del “quartiere” (Piazza si annulla forse il senso di umanità che del Quirinale, Piazza di San Bernardo, chiunque al mondo, per sentito dire o Piazzale di Porta Pia) sono prive di sedute pubbliche, bar o locali e sono così per esperienza personale, attribuisce a chiamate solo per la loro forma circolare Roma? A. Fiorilli & E. Pierfranceschi. Tutor: Eleonora Ambrosio La Capitale adolescente: spazi e tempi narrativi dei quartieri tra il Quirinale e Porta Pia
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Roma, la città addormentata. L’archetipo fiabesco per una rilettura delle trasformazioni attorno all’asse di Via XX Settembre di F. Biscu, C. Pannone & E. Chaouachi. Tutor: Martina Pietropaoli Per cercare di avere una chiave di lettura utile a comprendere la Roma contempornaea abbiamo deciso di interrogarci riguardo a quello che la città oggi significasse per noi. Abbiamo capito che era necessario ridiscutere il significato odierno di Roma partendo dalle nostre percezioni. Perché nonostante sia il luogo dove viviamo e abitiamo quotidianamente il rischio è la perdita di contatto con le sue caratteristiche fondanti. Perciò è stato importante per noi adottare un approccio percettivo e sensoriale, andando in prima persona nell’area di nostra competenza: gli spazi compresi nell’asse che va dal Quirinale a Porta Pia. Attraverso la nostra esperienza diretta dei luoghi ci siamo interrogate sull’incomprensione reciproca fra Roma e i suoi cittadini che secondo noi deriva da una impossibilità o difficoltà comunicativa. Per risalire alle cause di questa incomunicabilità abbiamo riletto numerose narrazioni sul passaggio di Roma da città papalina a Capitale del Regno d’Italia riuscendo a cogliere nel flusso del tempo diverse fasi, fra queste ne restituiamo due, la prima di grande eccitazione e l’ultima di un sonno duraturo. Queste fasi mostrano profonde similitudini con la fiaba de La bella addormentata. Quindi, basandoci sugli archetipi fiabeschi abbiamo estrapolato alcune griglie comuni a tutte le versioni della fiaba cercando poi di sovrapporle alla
storia di Roma prima Papalina e poi Capitale. I punti di sovrapposizione nella trama sono numerosi: il momento dell’infanzia, ovvero l’antefatto, che per Roma corrisponde al non essere ancora Capitale, quindi all’essere unicamente la Roma Papalina; un evento scatenante che per la fiaba era rappresentato dalla puntura del fuso mentre per la città invece è la Breccia di Porta Pia; e un momento di sonno sulla cui durata è scaturita una riflessione successiva. Inizialmente abbiamo ipotizzato che questo periodo non si fosse mai interrotto, che la città stesse ancora dormendo e quindi che l’archetipo fiabesco si sviluppasse linearmente. Ma interpretando in modo assoluto gli archetipi adottati ci siamo accorte che la favola de La bella addormentata e la storia di Roma ormai Capitale non coincidevano del tutto. Così facendo infatti la rilettura proposta per la città si sarebbe immediatamente conclusa con Roma addormentata. Questo però mantenendo una visione superficiale, contribuendo forse all’incomprensione di Roma. Roma è probabilmente incompresa perché non è capita, e non è capita perché nella sua interpretazione ci si limita alla superficie senza andare in profondità. E, proprio per questo, dopo esserci interrogate sull’effettiva linearità della storia della città e di quella
F. Biscu, C. Pannone & E. Chaouachi. Tutor: Martina Pietropaoli Roma, la città addormentata.
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Fig.1 In visita alla chiesa di Santa Maria della Vittoria. Gruppo scultoreo della Transverberazione di Santa Teresa d’Avila, G.L. Bernini (foto degli autori, 2018).
della fiaba siamo volute andare più a fondo e non limitarci a risposte che ci avrebbero potuto precludere una visione complessiva della storia. Siamo partite con l’ipotizzare una circolarità del tricolon “eccitazione”, “evento scatenante” e “gestazione”. Questa è l’ipotesi di cui abbiamo tenuto conto durante il lavoro di ricerca, ovvero che all’interno della storia di Roma non ci fosse una sola gestazione ma un susseguirsi di risvegli e sonni che si succedono in uno schema circolare. Quindi dopo aver ricavato una griglia che mettesse a sistema tutte le versioni della fiaba abbiamo trovato altre connessioni con la storia di Roma. Per questo motivo abbiamo preso in considerazione la versione della fiaba di Basile (Talia, Sole e Luna), dove la protagonista, corrispondente alla bella addormentata, dopo essere caduta in un profondo
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sonno viene a contatto con un corpo esterno, il principe, e con lui giacendo rimane incinta e partorisce nel sonno due bambini, Sole e Luna. Sempre durante il sonno Talia riesce a nutrirli nonostante l’incoscienza dovuta al torpore. Questa versione della fiaba ha fatto nascere in noi due domande: che valore ha l’arrivo del “principe” nella storia di Roma? Cosa genera Roma durante questo sonno, o meglio, quali sono i figli partoriti dalla città e che continuano ad essere nutriti? Sovrapponendo le due vicende abbiamo identificato il principe ancora con la Breccia di Porta Pia. Questo è l’incontro con il corpo esterno, con “l’altro” che ha segnato la storia della Capitale nel profondo. Da questo sono nate tutte le istituzioni pubbliche identificabili in particolare con i ministeri, che sorgono proprio su Via XX Settembre, “figli” dello Stato e da esso generati. I Racconti di Roma Capitale NU3#01 - leNote di U3
Il quartiere in oggetto diventava a tutti gli effetti la base della politica romana, italiana e internazionale ma era isolato dal resto della città e, a brevissima distanza, si trovavano le paludose campagne laziali, proprio quelle campagne che gli stranieri dovevano attraversare per arrivare a Roma e che dovevano dare senza dubbio nell’occhio vista, la vicinanza all’area dell’attuale Quirinale. Perciò uno dei problemi da gestire durante la realizzazione del quartiere fu anche quello di modificare l’area attorno a Porta Pia poiché si creava un contrasto forte fra interno ed esterno che, dove possibile, andava rimosso o quantomeno leggermente mutato.
l’importanza di un’esperienza diretta. Andando in prima persona sull’area di nostra competenza abbiamo rilevato alcuni particolari (il continuo rumore della via, le macchine che passavano, ecc..) che, in seguito, hanno agevolato sicuramente la ricerca e facendoci capire che tutto ciò che abbiamo letto su Roma (comprese le sue assonanze con la fiaba) non è semplicemente passato e lontano ma continua ad esistere ancora oggi: una città frenetica, sempre in movimento che però risulta allo stesso tempo pigra, indolente, a volte sciatta. Questo riguarda anche la sua popolazione, che risente della storia della propria città, ne è influenzata e tende quindi a comportarsi allo stesso modo, tenendo Questa prospettiva è stato il metodo dentro di sé sia una sorta di follia ma con il quale leggere ciò che ci si presenta anche una forte apatia dovuta ad una davanti oggi. In altre parole, abbiamo vera e propria stanchezza. Lo stesso si usato la griglia sopra descritta per trovare manifesta anche attraverso i caratteri e scoprire cose nuove rispetto alla nostra dell’architettura che abbraccia numerosi realtà, a ciò che ci circonda: attraverso stili, e non è inusuale trovarne diversi nuovi criteri abbiamo filtrato i fatti e non molto distanti fra loro lungo l’asse trattenuto ciò che ritenevamo rilevante stradale su cui abbiamo camminato. e significativo tralasciando invece il Epoche diverse, religioni opposte e superfluo. Ed è interessante come culture lontane che si intrecciano tra questo lavoro sia stato fatto a partire loro, creando un’atmosfera particolare, dalle nostre percezioni, valutando di se non strana, ma che allo stesso tempo volta in volta le intuizioni del singolo e sono legate da un filo comune che rende le sue inclinazioni personali. Sulla base la città familiare e amica. della stessa griglia abbiamo selezionato le fonti, sia testuali che cartografiche. Ciò Operativamente, nell’attività di ricerca, che ci interessa sottolineare è che questo abbiamo deciso di dividerci i compiti, modo di fare ricerca ci ha affascinato in dando ad ogni componente del gruppo modo particolare, offrendoci un altro un tema di cui occuparsi nel dettaglio: punto di vista. Ci ha fatto capire che ciò ciò che la città ha in comune con la fiaba; che studiamo non è distante e separato l’importanza del tempo (i suoi effetti da ciò che ci circonda e che il confine fra sulla città e la velocità con cui il tutto è la “teoria” e la “pratica” è labile. avvenuto); il perché e il come il quartiere Questo metodo è, senza alcun dubbio, si era strutturato in tal modo e la sua una delle risorse più importanti fornita valenza passata e odierna all’interno dai nostri tutor. Infatti, ci è stata spiegata del contesto romano. Ci siamo rese F. Biscu, C. Pannone & E. Chaouachi. Tutor: Martina Pietropaoli Roma, la città addormentata.
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Fig.2 “La Belle au Bois
Dormant”, sesta di sei incisioni di Gustave Doré.
conto che Via XX Settembre e la zona che la circonda è, quindi, un’area edificata prevalentemente quando Roma è divenuta Capitale. Una città che si “oppone” al potere papale, alle ricchezze della Chiesa, e che ha avuto una crescita esponenziale. In tal senso basti pensare che, ormai abbandonata fino a circa la metà dell’800,quest’area attorno al 1915 era divenuta assai vasta ed era già importante a livello politico. Per capire questo ci siamo servite di alcuni testi (forniti dai tutor) e dei Piani regolatori che ci hanno mostrato il progressivo cambiamento fisico della città. Abbiamo anche riflettuto sul perché proprio quella zona fu scelta come base politica della città e una tale decisione doveva essere nuovamente imputabile alla necessità di opporsi alla Roma clericale. L’area che va dal Quirinale a Porta Pia, diventa negli anni
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un quartiere dove trovano sede la Casa dei Municipi e i nuovi commerci della città. Abbiamo inoltre compreso il ruolo della popolazione nella formazione del quartiere: la nuova area fu vista come un necessario punto di svolta e di arricchimento, infatti le classi romane più benestanti si occuparono in prima persona della costruzione di edifici e strutture, spesso non avendo nemmeno le competenze e improvvisandosi architetti. Siamo dunque arrivate alla conclusione che la città è passata, principalmente, attraverso tre fasi. Inizialmente Roma era un “Soggetto”: si arriva a comprendere che la città, viste le sue nuove funzioni politiche, non può rimanere ciò che era stata in precedenza ma deve crescere e aprirsi, prendendo spunto dalle grandi Capitali europee contemporanee. Bisogna tenere in conto però che le I Racconti di Roma Capitale NU3#01 - leNote di U3
altre Capitali avevano avuto una storia diversa da quella de Regno d’Italia e ciò le aveva aiutate a crescere molto tempo prima e a conquistarsi una valenza politica che gli era ormai stata riconosciuta. Infatti Roma nel 1871 contava solo 209.222 abitanti mentre Parigi nella metà dello stesso secolo aveva raggiunto il milione di abitanti e Londra il milione e mezzo; persino Napoli aveva una popolazione doppia rispetto a Roma. Questa presa di coscienza risulta fondamentale per il futuro della città, che era stata sottovalutata da molti italiani e non considerata all’altezza del ruolo attribuitole. Così Roma diviene “Progetto” e questa fase è caratterizzata dalla trasformazione in “città-cantiere”, il che è sicuramente positivo all’inizio perché inizia un processo di modernizzazione ma, allo stesso tempo, si tratta di un forte trauma per la città, che si trova faccia a faccia con continui sventramenti e rapide trasformazioni. La Roma attuale può essere considerata “Oggetto”, ovvero è divenuta ciò a cui si puntava nei primi giorni da Capitale ma, allo stesso tempo, non riesce ad essere, ad esempio, una vera e propria Capitale economica per l’Italia, ruolo che si tende ad attribuire a città del nord considerate più competitive, come ad esempio Milano. Queste tre fasi possono, inoltre, essere viste diversamente: possiamo ritrovare la popolazione che si mette in moto per compiere qualcosa, nel “Soggetto”; l’ideale di rendere Roma una grande e florida Capitale nel “Progetto”; e infine Roma stessa nell’ “Oggetto”, la materia ancora grezza che deve essere trasformata in qualcosa degno di essere chiamato Capitale d’Italia, se così si può dire. Abbiamo perciò applicato a livello
pratico ciò che avevamo compreso precedentemente riguardo la città e ci siamo messe alla ricerca di quelle fonti utili a sostenere i nostri primi ragionamenti. Così facendo il lavoro è risultato molto più scorrevole poiché, nonostante fossimo tutte informate riguardo ad ogni parte del nostro progetto, ciò ci è tornato utile poiché ci saremmo facilmente potute aiutare a vicenda in caso di bisogno, scambiandoci fonti e altri materiali. Inoltre le parti trattate singolarmente da ognuna sono state infine unite in un testo unico, legato da un filo di coerenza. Senza alcun dubbio la formulazione di domande e quesiti, a volte esplicitate dai tutor, ma molto spesso provenienti dai nostri stessi ragionamenti, sono stati di incredibile aiuto poiché per scrivere un testo coerente è necessario partire dalla formulazione, appunto, di domande che funzionino come punti di partenza. Quindi, uno degli strumenti acquisiti durante questo lavoro di ricerca è stato proprio la capacità di formulare domande coerenti con l’oggetto trattato, fondamentale per la scrittura di un testo scientifico , non lasciando nulla al caso. Quindi, pensiamo che dal nostro testo si possano trarre diversi spunti di riflessione, soprattutto per formulare ancora nuove domande: cosa deve comunicare Via XX Settembre oggi? Siamo certi che essa debba ancora esistere? O per continuare a farlo ha bisogno di un nuovo rimodernamento? E, soprattutto, è riuscita questa zona, nella quale erano state riposte tante speranze per una “rinascita” della città di Roma, a raggiungere quella valenza che tanto si sperava potesse conquistare?
F. Biscu, C. Pannone & E. Chaouachi. Tutor: Martina Pietropaoli Roma, la città addormentata.
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Bibliografia
B. Bettelheim, 2013, Il mondo incantato, Feltrinelli, Milano V. Polci, 2016, Voce fuori coro di Dolores Prato, Quodlibet, Macerata. M. Serao, 2015, La conquista di Roma, Fermento, Roma.
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epilogo
La letteratura, forse. Del suo buon uso di Carlo Albarello
[1] Citato da C. Milanini, 1992,
Introduzione a I. Calvino, Romanzi e racconti, edizione diretta da C. Milanini, a c. di M. Barenghi-B. Falcetto, II, Milano, p.XXIII.
Solo un assiduo esercizio di spostamenti, contaminazione, rotture di ogni chiusa prospettiva disciplinare e abitudine di studio porta nelle vicinanze del dialogo con la letteratura i luoghi che abitiamo, i loro processi di costruzione e prestazione pratica, le risposte agli specifici modelli di vita e funzioni. La letteratura è nei Racconti di Roma Capitale la forza mitopoietica dell’immaginazione, in contrasto con le strutture degli edifici e gli assetti urbanistici della città, alla quale tenta di ridare la voce originaria. Senza misconoscere la tensione perenne tra creazione e storia, testo e contesto, o tra autore e lettore, proporrei la necessità di riunire queste apparenti dicotomie, intendendole come modi di essere nel tempo della letteratura. Come testimonia la sua presenza negli studi qui proposti, lo studio della letteratura deve superare la cesura della forma e del senso, del pensiero e del mondo. In nessun campo umano tale dialettica è tanto palese quanto nell’arte dello scrivere. Eppure il dialogo tra letteratura e urbanistica qui delineatosi interroga su quali valori la letteratura può creare e trasmettere nel mondo contemporaneo. Quale posto deve avere nello spazio pubblico condiviso? Perché difendere sempre più il suo insegnamento nella scuola? Il mondo ha un’esistenza al di fuori del soggetto che lo pensa e lo conosce e non credo alla C. Albarello, La letteratura, forse. Del suo buon uso
superiorità della letteratura ma spero nel suo buon uso. «Io non sono tra coloro che credono che esista solo il linguaggio o solo il pensiero umano […]. Io credo - dice Calvino - che il mondo esisteva prima dell’uomo ed esisterà dopo, e l’uomo è solo un’occasione che il mondo ha per organizzare alcune informazioni su se stesso. Quindi la letteratura è per me una serie di tentativi di conoscenza e di classificazione delle informazioni sul mondo, il tutto molto instabile e relativo ma in qualche modo non inutile»1. Esercizio di pensiero ed esperienza di scrittura, la letteratura risponde a un progetto di conoscenza dell’uomo e del mondo. Nulla giustifica la sua perdita. Sopraffatta dal cambiamento legiferato dei suoi programmi ora progettati per maturare esperienze nel campo del lavoro, la scuola del Liceo Classico Virgilio di Roma non ha che tratto vantaggio da questo contatto con l’urbanistica e la ricerca universitaria, che non solo ha allontanato l’economia oggettiva e impersonale dalle vicende educative dell’Alternanza Scuola-Lavoro ma ha costruito un’atmosfera di ascolto e interazione con docenti, ricercatori e dottorandi presenti. L’intento e il buon risultato sono stati di interpretare questo nuovo spirito restando radicati nel terreno della ricerca, assumendo il suo punto di vista critico e oggettivo. Questo è precisamente il sistema virtuoso che dovrebbe sottendere ai
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rapporti tra scuola e università. Da anni la didattica non è più cattedratica. Quel che sembra meritare attenzione è che la letteratura ha un’esistenza vulnerabile, critica, ma non deve essere ripensata a partire dalla didattica, quasi la prima fosse un universo da rimodellare in base allo statuto soggettivo del lettore, da considerarsi nuovo o molto diverso da quello che supponevamo precedentemente. Ora egli è posto al centro di una didattica che si auspica, anche in letteratura, per competenze: essa farà del testo non una forza autonoma ma lo userà per rendere lo studente in grado di «mobilitare le conoscenze in situazione, in tempo utile e con consapevolezza»2. La predicazione di buone pratiche alternative alla scuola non è quindi necessaria; è più utile il lavoro comune sui banchi di scuola, che pareggia lo sforzo docentediscente, e il dialogo con l’università. Questa comunanza di lavoro, dove c’è, impedisce che si formi quel senso di distacco dal mondo, dalla storia, dalla politica e dall’economia che l’AS-L non può supplire. Potendo scendere nel nucleo delle intenzioni di questa forma di AS-L, al di là del risultato qui testimoniato, per descrivere il processo della ricerca, dall’impulso alla realizzazione, probabilmente si coglierà la trasmissione delle innumerevoli forme di Roma, viste come stimolo, sollecitazione, sedimentazione, che l’occhio afferra e la ricerca elabora, disseziona ed infine ritrasmette. Storia, assetto urbanistico, politica, narrazione si perdono nel prevalere di una circolarità, ed insieme una tangenzialità, dei saperi, compiendo il ciclo per intero, dalla narrazione alla realtà esterna (la città) e viceversa. Si
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crea così una zona di rimandi che non parte da un testo ma dalla conoscenza di un tessuto urbano. Eppure «quel che ci viene dato in un contatto a distanza è l’immagine e il fascino è la passione dell’immagine»3. Immaginare, sembra suggerire Blanchot, consiste nel vedere ciò che non è visto immediatamente, a spostarsi su parecchi spazi, e incita a lavorare il senso di un tale trasporto tra più luoghi e più temporalità. Il progetto tenta di legare così la facoltà d’immaginazione a un’attitudine etica: sospendendo l’adesione a una realtà, mette in relazione parecchie memorie e favorisce una conoscenza critica della città. La letteratura è uno spazio dell’immaginazione per spostare continuamente le parole negli spazi. Come progettisti del mondo urbano manifesto, gli urbanisti accolgono esigenze umane perenni. Precisarlo equivale per studenti divenuti cercatori a perfezionare retrospettivamente il decorso del tempo, la funzione della politica iscritta nell’Urbe, e avviare il disegno di una nuova mèta. Per capirne qualcosa, è occorso arrivarci come in altri tempi, distinguendo il memoriale e il metaforico, passando fra oggetti assenti o presenti, intatti o decaduti, permanenti o rinnovati, se rinnovati somiglianti o no. La forma Urbis di Roma Capitale è [2] Ph. Perrenoud, 2010, a cavallo fra più piani temporali, con Costruire competenze a una dimensione in parte immaginaria, partire dalla scuola [2000], Anicia, Roma, p.39. avendo luogo nelle immagini della letteratura, che rinvia a un passato che si [3] M. Blanchot, 2018, Lo spazio letterario, Il Saggiatore, esercita in un presente. Rinvio al passato Milano, p.25. che «non conta che nella sua incidenza [4] F. Orlando, 2015, Gli oggetti desueti nelle immagini presente, l’incidenza presente non della letteratura. Rovine, consiste che nel rinvio al passato»4. rarità, robaccia, I luoghi esistono solo perché le persone reliquie, luoghi inabitati e tesori li amano e se ne prendono cura. nascosti, Einaudi, Torino, Una volta riconosciute le modalità di p.153. I Racconti di Roma Capitale NU3#01 - leNote di U3
accrescimento di Roma, possiamo pensare a una cittĂ che esprima le nostre connessioni - non solo con il passato - piuttosto che le nostre barriere. Dipendiamo completamente da luoghi significativi, al di fuori dei quali non potrebbe esistere la comprensione di noi stessi e degli altri5.
[5] S. Robinson, 2014, Nesting.
Fare il nido. Corpo, dimora, mente, SafarĂ , Pordenone.
C. Albarello, La letteratura, forse. Del suo buon uso
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Roma, le ragioni nuove dell’essere capitale* di Giovanni Caudo
[*] Il contributo è stato pubblicato per la prima volta su “Roma Altrimenti” a cura di G. Caudo (2017), e viene qui riproposto su autorizzazione dell’autore. [1] Con questa espressione si è soliti indicare il periodo della sindacatura di Walter Veltroni iniziata nel giugno 2001 e conclusasi nel 2008, quando si candidò alle elezioni politiche nazionali. [2] A.M. Seronde Babounax, 1983, Roma. Dalla città alla metropoli, Editori Riuniti, Roma, p.48.
La crisi di Roma non è questione locale e non si riduce alla presenza delle buche, dei rifiuti in strada, dei topi, degli autobus che prendono fuoco e che, soprattutto, non passano. È questione di rilevanza nazionale ma non per la pervasività dei fatti criminali, della corruzione e del malaffare o per la collusione tra politica e interessi economici. Questi sono epifenomeni che nascondono un problema più grave: la crisi di ruolo della Capitale del Paese. Roma non può più far finta di essere ciò che è stata per tutto il Novecento specie nel secondo dopoguerra. La crisi di cui si parla non è di ieri; anche quando si inneggiava al “Modello Roma”1 la crisi fu coperta da un attivismo che però non fece mai i conti con lo scenario che si era determinato dopo il 1989 e non fu in grado di contrastare politicamente la retorica condensata nello slogan “Roma ladrona”, che metteva in luce, seppure in modo rozzo, una questione vera: Roma è città di consumi, che vive di trasferimento di ricchezza dal resto del Paese. Città italiane come Torino hanno preso atto della crisi industriale e mutato la loro ragione d’essere. Così è avvenuto anche in altre città europee. Roma non ci è riuscita ed è questa la colpa principale delle classi politiche avvicendatesi negli ultimi trent’anni. 1. Roma si fa capitale Il 2 ottobre 1870 a Roma si svolse un G. Caudo, Roma, le ragioni nuove dell’essere capitale
referendum popolare, l’ultima parola sulla scelta d’insediare la capitale nella città eterna spettava ai romani; gli aventi diritto al voto erano 45 mila, votarono in poco più di 41 mila, i no furono solo 46. Roma, che per poco più di mille anni (dal 752 al 1870) era stata capitale del cattolicesimo e del suo potere temporale, si concesse totalmente alla nuova avventura. La Capitale d’Italia era una città dalla grande forza simbolica. Nel corso dei secoli la corte papale si era curata di abbellirla ma l’aveva anche tagliata fuori dai fervori del cambiamento che attraversavano l’Europa. Tra il 1447, anno della elezione al soglio pontificio di Niccolò V, e il 1870, erano trascorsi i 400 anni più splendidi della città in cui è stato costruito tutto ciò che fa la sua sconvolgente bellezza. Ma, in quegli anni, la popolazione è rimasta sempre intorno ai 170/200 mila abitanti2. Quando Roma divenne capitale contava circa 200 mila abitanti. Parigi e Londra nel 1871 erano da secoli capitali di due regni, due imperi, forti e saldi; Londra aveva 3,2 milioni di abitanti (più di quanti ne abbia oggi Roma), nel 1801 erano 960 mila; Parigi 1,8 milioni (Roma li raggiungerà solo nel 1956) e nel 1801 ne contava 550 mila; anche San Pietroburgo era più grande, contava quasi 700 mila abitanti. Roma, nel 1870, si estendeva su appena 383 ettari (più o meno l’ansa di Campo Marzio), mentre Parigi si estendeva già su quasi 6 mila ettari.
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Roma divenne capitale per l’aspirazione ideale di una élite culturale risorgimentale e attorno a questa aspirazione sono cresciute per decenni le fortune del Paese ma anche quelle di una variegata moltitudine di personaggi (politicanti, palazzinari, pretonzoli e parvenu). Minore eco ebbe già allora e anche dopo, la voce di chi invece sosteneva che costringere Roma a diventare capitale significava distruggere la città, una “città mondo” che veniva degradata a capitale di un regno3. “In difesa di Roma contro la sua presente distruzione” si sollevarono le parole dello storico del Medioèvo Gregorovius4, ma forse più significative appaiono oggi le motivazioni addotte dal Grimm5 quando sceglie di rivolgere il suo scritto su “La distruzione di Roma” non ai romani che «però han dovuto piegare il capo e cessare la lotta» davanti all’alta necessità che domandava il sacrificio di Roma, ma ai cittadini di Roma che sono nel mondo, quelli sparsi in tutti i paesi: «Tutto quello ch’io posso fare è d’informarli delle cose che qui accadono. Ciascuno di essi, a mio credere, sarebbe non in diritto solamente, ma in dovere di far opposizione. Chi sa che non si formi una corrente di opinione pubblica, capace di fermare la distruzione della città. Rivolgersi ai Romani stessi, lo ripeto sarebbe inutile». Un appello al mondo contro l’agitazione che avvolse Roma e che prese il posto dell’antica quiete, perché «Roma rappresenta per la umanità moderna un valore morale, che non è facile determinare esattamente, ma che appunto per essere ideale soltanto, è non meno prezioso, e, per quanto ciò possa dirsi di cose terrene, tale da non potersene fare a meno». Ma nella “distruzione
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di Roma”, la dimensione del mondo [3] Noto è il discorso che convive e si intreccia con l’Italia e con il Senatore Jacini tenne le sue questioni più profonde, come il 23 gennaio del 1871, quella meridionale e così, a proposito contro lo spostamento della capitale da Firenze a Roma, dei primi passi dei Piemontesi a Roma, scrive Dolores Prato nel 1970: «Vennero adducendo tra le tante ragioni, geografiche, di clima anche giù a governare l’Italia come se fosse le particolari condizioni un Piemonte allungato. Ed era invece finanziarie in cui versava lo Stato e formulando domande qualcosa di tanto diverso. In questa specifiche che ne mettevano Italia c’era un meridione che non è dubbio l’opportunità: stato ancora capito, che lo si capirà solo in «Come mai avviene che distruggendolo in quanto non ci sarà più noi, i quali versiamo in bisogno di capirlo. In questo Piemonte condizioni finanziarie così poco soddisfacenti, mostriamo italianizzato incappò anche Roma, tanta smania di sobbarcarci capirla? Più facile distruggerla. Da un ad una spesa così rilevante 6 secolo si continua» . com’è quella del trasporto Più facile distruggerla, e si cominciò della Capitale? E notisi qui, subito. La costruzione della Capitale del che tale spesa non si riduce Regno doveva prendere corpo separata solamente ai 17 milioni che ci propone l’attuale progetto dalla città papalina. La classe politica di legge; ma considerando piemontese e liberale costruì la Terza tutte le conseguenze Roma, terza perché diversa da quella che necessariamente deriverebbero da questo antica e da quella pontificia. Mario provvedimento (come, per Sanfilippo scrive: «nulla in proposito esempio, le fortificazioni è più significativo d’un fatto noto ma per proteggere la nuova spesso sottovalutato; l’urbanizzazione capitale, i compensi a Firenze, ecc), un nostro collega assai dei Prati di Castello ha un sigillo competente nelle materie lo laico e massonico nella disposizione avrebbe calcolato a circa 200 dell’impianto viario, che è impostato milioni. Come avviene, che per evitare di scorgere la cupola mentre la nostra macchina 7 amministrativa lascia molto a dell’adiacente basilica di S. Pietro» . A desiderare per compattezza Piazza Cavour dove si trova la statua ed efficacia di azione, noi di Camillo Benso conte di Cavour, e la andiamo a scompaginarla toponomastica non è certo casuale, fu ancora di più con un nuovo realizzata la chiesa Evangelica Valdese trasporto della Capitale? Com’è (nel 1911-14)8; la strada che collega Prati che affrontiamo il rischio di con Piazza del Popolo fu intestata a Cola farci credere una nazione poco riflessiva e pronta ad di Rienzo, tribuno noto per la battaglia improvvisare risoluzioni per condotta contro i papi per ripristinare le quali gli altri paesi credono necessari anni e decenni il Comune9. Ogni cosa nel quartiere ad essere maturate? E tutto di Prati doveva misurare e sancire il questo per cambiare una contrasto con la città papalina. Capitale opportuna con una Altrettanto chiaro fu il programma della che lo è assai meno?» (Cotta e Roma capitale politico-amministrativa Conp. Tipografi del Senato I Racconti di Roma Capitale NU3#01 - leNote di U3
del regno, 1871). Molti anni dopo si aggiunge seppure in modo singolare la “voce limpida” di Dolores Prato che nel 1970, per la celebrazione dei cento anni di Roma capitale volle rispondere a un impulso controcorrente rispetto alle commemorazioni tradizionali. Per Dolores Prato l’annessione di Roma e la sua trasformazione in capitale rappresentarono “un assassinio”, la “distruzione” di una “città del popolo”: «La Roma nuova è un incubo. Percorrerla è tentare di uscire dall’incubo senza riuscirci». “Voce fuori coro” era il titolo ma anche lo spirito di un libro che non venne mai pubblicato, ora alcuni stralci del manoscritto sono editi da: V. Polci, 2016, Voce fuori coro di Dolores Prato, Quodlibet, Macerata. [4] «Roma perderà l’aria di repubblica mondiale, che ho respirato diciotto anni. Essa discende al grado di capitale degli italiani [...]. Il medio evo è stato spazzato via dalla tramontana con tutto lo spirito storico del passato. Roma ha perduto il suo incanto». F. Gregorovius, 1967, Diari Romani, 1852-1874, a cura di A.M. Arpino, Avanzini e Torraca, Roma, p.528. [5] E. Grimm, 1886, La distruzione di Roma, E. Loescher, Firenze. [6] V. Polci, 2016, Voce fuori coro di Dolores Prato, Quodlibet, Macerata. [7] M. Sanfilippo, 1993, Le tre Città di Roma. Lo sviluppo urbano dalle origini a oggi, Laterza, Roma, p.92. [8] Nel 1910, la vedova americana di John Stewart Kennedy acquistò per conto della Chiesa evangelica valdese
portato avanti da Quintino Sella per la costruzione della città dei ministeri. Per Sella, «l’Italia era entrata a Roma dalla breccia di Porta Pia, la città nuova avrebbe dovuto essere impostata su un asse portante costituito da via XX Settembre e da via Nomentana, fuori dalla porta suddetta e in direzione opposta a quella dove si era espansa la città papalina. All’interno delle mura su via XX Settembre avrebbero dovuto allinearsi tutti i grandi edifici dei ministeri del Governo del Regno d’Italia»10. Negli stessi anni, alla Roma dei ministeri, alla capitale amministrativa, si affianca la capitale della cultura o usando un tono meno altisonante, la “città degli scavi”. Gli interventi legislativi volti alla “rinascita” della Roma antica si sono susseguiti per tanti anni (1883, 1887, 1889, 1907, 1911, 1920, 1925, 1932), prima con Piacentini e ancora molti anni dopo, con il sindaco Giulio Carlo Argan e con il Progetto Fori di Leonardo Benevolo. Su proposta del medico e deputato Guido Baccelli, il 17 gennaio del 1887, fu approvato per acclamazione un ordine del giorno che riconosceva «utile e decoroso alla Capitale il progetto di congiungere i monumenti antichi che si trovano nella zona meridionale della città per mezzo di pubblici giardini e di grandi viali alberati», spingendo affinché il governo promuovesse le necessarie disposizioni di legge. La legge fu approvata il 14 luglio 1887 e dichiarava di pubblica utilità «l’isolamento dei monumenti nella zona meridionale di Roma ed il loro collegamento per mezzo di passeggi e di pubblici giardini [...]»11. L’eredità che la Capitale d’Italia riceveva dalla città dei Papi non era rappresentata solo da quella costruita con il denaro e le ricchezze dei principi della chiesa; G. Caudo, Roma, le ragioni nuove dell’essere capitale
era, invece, in quel rapporto sempre più complesso e ricco di implicazioni culturali tra l’antico e il moderno, tra il presente e la memoria, che si era instaurato nel tempo. L’egemonia culturale di Roma passava per la riscoperta, la conservazione e la restituzione della sua eredità antica. Una serie di atti di diversa impronta e stampo, ben prima che Roma divenisse capitale d’Italia, realizzarono le premesse di quella che è divenuta poi la ragione di fondo del suo essere capitale12. Il Rinascimento segna un cambiamento profondo della religiosità e, nello Stato Pontificio, si affermano innovazioni apportate da «forme più intellettualistiche, liberatorie, capaci di parlare ai nuovi ceti delle professioni, della manifattura, delle arti, soggetto di un protagonismo produttivo, finanziario e commerciale che al momento aveva la sua capitale a Firenze. Non è un caso quindi che nell’arco del Rinascimento due Medici divennero Papi»13. Roma capitale prende forma anche ad esito di questa confluenza e sovrapposizione di interessi che però non poteva essere resa palese, doveva essere dissimulata in un gioco di apparenze e di nascondimenti che è divenuto nel tempo la cifra della scena pubblica romana, dove nulla è come appare e ciò che appare, spesso è nulla. 2. Un corpo affetto da febbre edilizia Le due radici che hanno dato senso a Roma capitale d’Italia avevano attecchito: la città amministrativa da un lato, la città della cultura dall’altro. Radici piantate in un corpo urbano che fu subito affetto, già negli anni ottanta dell’Ottocento, dalla “febbre” che comportò la strage di vigne, orti e ville patrizie: era
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la Rendita capitale. Gregorovius trovò Roma irriconoscibile: infervorata da un’alacrità prima sconosciuta in quella che per lui era stata invece la metropoli del silenzio; il luogo perfetto per calarsi idealmente nella condizione umana e civile del Medioèvo. La Capitale si costituì fin da subito come corpo affetto dalla febbre edilizia, un corpo che doveva prendere forma ricercando una sintesi tra la continuità della città monumentale, l’estetica della città moderna e di quella antica. La Roma che si era rappresa nell’ansa del Tevere e che aveva lasciato il Colosseo in aperta campagna, e con esso il complesso del Palatino e degli altri luoghi della romanità, doveva ora trovare una nuova sintesi tra la memoria e il suo destino di metropoli. C’è un luogo che rivela ancora oggi, più di molti altri, il destino incerto che ebbe quel programma: è l’area archeologica centrale e la valle del Colosseo. Un luogo che per i visitatori che lo percorrevano, ancora nell’Ottocento, emanava il senso della morte, uno scheletro di città il cui mistero alimentava miti e riti esoterici. Da lì, da questi luoghi incominciava quello che veniva descritto come il “vuoto” entro le mura stesse della città: «Nel Foro sostavano i buoi, intorno alle Terme di Caracalla pascolavano le capre; il Palatino era coperto di fienili e le barozze cariche di maggese, allineandosi alla Bocca del Verità, spandevano intorno un grato profumo, mettevano nella rugginosa città cosmopolita dei Papi una singolare nota agreste che era ancora, e nello stesso posto preciso, quella delle sue più lontane origini»14. Fu questo il luogo che con l’espansione, contenuta ancora dentro le Mura Aureliane, divenne cerniera tra la città
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dei Papi e la città Capitale del Regno. Un vuoto pieno di ruderi e di memorie che fu eletto a luogo della città nuova con al centro il Colosseo, divenuto una sorta di fortezza, segnata dalla sua solitudine di fronte all’avanzata della città. Tutto intorno è la città del Novecento che si erge sopra ai giardini e alle ville della città antica, verso Testaccio, verso il Celio, verso San Giovanni e il colle Oppio. L’abitato si è pertanto costruito per aggiramento del Colosseo e lungo le direttrici della valle. Tanto da poter far scrivere, molti anni dopo: «ed esso [il Colosseo] è invece diventato la gigantesca meta delle più importanti strade nuove, un punto di incrocio del traffico della città. I visitatori in avvenire saranno circondati dal rombo di una metropoli nello stesso posto dove un secolo prima si andava a meditare in solitudine sulla caducità delle grandezze umane. E la via del Colosseo, la ripida stradetta sulla quale essi un tempo si inerpicavano in scoperta, non avrà più passanti e non avrà più senso: sarà semplicemente il ricordo di una Roma che diventerà a sua volta leggendaria, questa volta per la sua umiltà»15. È esattamente quello che è avvenuto e da qui, dal ripensamento di questo luogo centrale della Capitale, non può che partire la sua rinnovata attualità di luogo simbolo, non solo di Roma, ma del Paese. Simbolo anche del complicato e difficile rapporto tra Stato e Comune sul territorio cittadino, come mette in evidenza la piccola storia qui di seguito raccontata. Tutti i visitatori, da qualunque parte del mondo provengano, si sono portati via da Roma una foto ricordo con lo sfondo del Colosseo, una foto presa alla fine di via Annibaldi in quello I Racconti di Roma Capitale NU3#01 - leNote di U3
un terreno nel nascente rione Prati sul quale, per volontà del Comitato per l’Evangelizzazione della Chiesa Valdese presieduto da Arturo Muston, sarebbe dovuto sorgere un complesso comprendente un nuovo tempio e vari locali accessori. [9] Cola di Rienzo, al secolo Nicola di Lorenzo Gabrini o in romanesco medievale Cola de Rienzi (Roma, 1313 – Roma, 8 ottobre 1354), è stato un tribuno e studioso italiano. Divenne noto perché, nel tardo medioevo, tentò di restaurare il Comune nella città di Roma straziata dai conflitti tra papi e baroni. Si autodefiniva “l’ultimo dei tribuni del popolo”. [10] M. Sanfilippo, 1993, Le tre Città di Roma. Lo sviluppo urbano dalle origini a oggi, Laterza, Roma, p.92. [11] Camera dei Deputati n. 3858, proposta di legge Interventi per la riqualificazione di Roma capitale della Repubblica, 26 aprile 1989, primo firmatario Cederna, relazione. [12] Nel 1363 in uno degli statuti comunali seguiti alla stagione di Cola di Rienzo, dove si intimava «de antiquis aedificiis non diruendis», che non si degradassero gli edifici antichi. Martino V nel 1425 si preoccupò di mantenere il più possibile intatto il prestigio di Roma e con l’editto Etsi de cunctarum del 1425 si occupò dell’aspetto complessivo dell’Urbe, cui contribuivano anche i resti archeologici, era preso in considerazione sotto il punto di vista del decoro e del prestigio, affidato ai maestri delle strade e degli edifici. Si ricercava una continuità monumentale
ed estetica tra la città moderna e antica, a supporto della sua ambizione politica. Si avvertiva così l’importanza del retaggio storico di Roma. Che si rafforza con Pio II Piccolomini nel 1462 che proibiva la demolizione o la spoliazione di ruderi e che si adoperò affinché si affermassero interventi coerenti con un progetto di conservazione monumentale. S.Verde, 2014, Cultura senza Capitale, Marsilio, Venezia. [13] Ibidem. [14] S. Negro, 2014, Roma non basta una vita, Neri Pozza, Vicenza (1962). [15] Ibidem. [16] R. Rea (a cura di) 2002, Rota Colisei, la Valle del Colosseo attraverso i secoli, Electa, Milano, pp.90-91. [17] V. Polci, 2016, Voce fuori coro di Dolores Prato, Quodlibet, Macerata, p.46.
spiazzo dove inizia via Salvi, da cui ci si affaccia sul Colosseo e dove, grazie alla differenza di quota, si ha la giusta proporzione tra la persona e la mole del Colosseo. Il “luogo per eccellenza” del turista è l’esito di un progetto mancato, anzi interrotto e mai ultimato. La storia comincia nel 1895 quando il Comune su progetto di Rodolfo Lanciani avvia il proseguimento di via dei Serpenti con un taglio inferto al colle Oppio, quella che oggi è via Annibaldi. Il ministro Baccelli venuto a sapere del progetto chiede all’assessore all’urbanistica De Angelis, di verificarne la coerenza con il piano di assetto predisposto a seguito dei lavori della commissione istituita con la legge del 1887. Il progetto del Comune concordato con il Lanciani si arrestava a 75 metri prima del Colosseo in modo «da permettere lo scavo intorno a questo largo metri 20 e lasciare altri 55 metri di spazio per i raccordi tra la via del Colosseo e la via Labicana il cui studio si farà a suo tempo di concerto con codesto Ministero»16. Studio che non fu mai definito e da allora via Annibaldi si lancia dritta e larga sul nulla, l’antica via del Colosseo nessuno la conosce e i turisti si affacciano da uno slargo la cui sistemazione temporanea in attesa di concordare un progetto per il suo assetto migliore, sta diventando eterna. Piccola storia rivelatrice di quanto sia difficile, fin dalle origini della costruzione della capitale, il rapporto tra Roma, lo Stato e la memoria. La sfida di Roma capitale era, e forse è ancora, troppo ardua e il rapporto tra poteri, dentro a un contesto politico e di scelte così sovraccarico di significati, non aiuta a sciogliere i nodi e a semplificare le decisioni e le azioni, tanto più quelle dei G. Caudo, Roma, le ragioni nuove dell’essere capitale
soggetti pubblici. D’altronde l’Italia era arrivata a Roma con idee debolissime, condizionata dall’arroccamento papale entro il Vaticano e dalla presenza diffusa e pregnante del sistema di potere papalino dentro al corpo della città. La prima preoccupazione era convivere, accettando di favorire, anche a scapito degli interessi della città, le convenienze e le opportunità di chi faceva da ponte tra le due sponde del Tevere. Roma era l’orgoglio del Paese che a sua volta doveva sentire come un onore, l’obbligo di contribuire allo sviluppo della sua capitale. La città fu, quindi, condannata a un’esistenza sostanzialmente parassitaria dal punto di vista economico, e la rassegnò al disavanzo cronico e alla necessità di attingere alle risorse statali. «Roma si differenzia fin dalle sue origini dalla struttura economica delle altre metropoli industriali e progredite dei principali Paesi europei e di altre regioni italiane. Roma non viveva di vita propria, ma si muoveva e si disponeva intorno alle sopravvivenze della sua tradizione di città turistica e di centro religioso, e soprattutto intorno alle attività amministrative di capitale dello Stato unitario. La scelta di fare di Roma una capitale tranquilla non fu solo una scelta economica dovuta alla mancanza di capitali, ma anche espressione di un preciso disegno politico»17. Ancora oggi è questa la condizione alla quale si vuole ricondurre la città ed è la manifestazione più evidente della sua immutabilità mentre tutto, in Italia, in Europa e nel mondo, è profondamente cambiato. È l’evidenza che a Roma vige l’accettazione tacita di una condizione, dove tutto è possibile purché non si mettano in discussione le prassi e le consuetudini.
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3. Innovatori e parassitari La sua storia è però anche quella dei tentativi fatti per emanciparsi dalla condizione parassitaria cui è stata condannata. Negli anni dal 1907 al 1913, l’assessore al tecnologico della giunta Nathan, Giovanni Montemartini, costituì l’Aem, l’Azienda elettrica municipale di Roma poi divenuta Acea. La giunta in quegli anni votò la costruzione di due dighe idroelettriche sul fiume Aniene e della centrale termica a Ostiense, oggi conosciuta come Centrale Montemartini perché divenuta museo; soprattutto fu costruita la rete di distribuzione elettrica nella città. Scelte innovative, nel settore dei servizi con importanti investimenti, anche privati, ma soprattutto decisioni mirate a far diventare autosufficiente la città. Si promosse il 20 settembre del 1909 anche un referendum per decidere la municipalizzazione completa dei servizi elettrici. Tra gli investitori che vennero a Roma in quegli anni ce ne furono alcuni esteri, come la società statunitense con sede anche a Londra, la Thomson-Houston (dalla quale nacque poi la General Electric) che era proprietaria della Stefr, la prima società concessionaria dei trasporti pubblici della città. Insieme alla Aem, la Stefr disegna e realizza una fitta rete di tram e costruisce i depositi, attestandoli nelle parti esterne della città. C’è stato un tempo a Roma in cui i tram arrivavano prima delle case. Innovazione tecnologica e servizi ad alto valore aggiunto si saldano con il sistema della ricerca scientifica universitaria; non è un caso che a Roma le facoltà scientifiche (ingegneria e fisica), da allora rappresentano un’eccellenza nazionale. Roma quando è lasciata libera di innovare, di sperimentare, quando
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si libera della gabbia della Rendita [18] Il periodo del fascismo capitale sa essere una città europea. non è ignorato in questa Roma può essere qualcosa di più di una ricostruzione. Esso non fa capitale parassitaria e cronicamente in altro che rendere ancora più evidenti le vicende che disavanzo. abbiamo già raccontato, Ma con il dopoguerra18 ritornò una esaltando ancora di più i miti e storia diversa, la Roma dei Ministeri. i riti della romanità. La marcia Ne “L’orologio” di Carlo Levi si legge: su Roma, probabilmente l’evento principale «Il Ministero è una specie di tempio, dell’universo ideologico dove si adorano e perfezionano i vizi fascista, fu esattamente questo: più abbietti, i tre più desolati peccati una seconda presa di Roma mortali: la pigrizia, l’avarizia e l’invidia». capitale, non a caso è da allora Carlo Levi tradisce nelle parole un che si celebra il 21 aprile il natale dell’urbe. Dolores Prato po’ di rabbia perché mentre scriveva veniva fatto dimettere il governo della riporta nel suo testo un brano del discorso pronunciato da resistenza di Ferruccio Parri, tradito dai Mussolini in occasione del suoi per favorire la presa del governo primo natale della città, nel 1924: «I problemi di Roma, da parte di De Gasperi. Rivolgendosi la Roma del XX secolo, alla classe dirigente che occupa la mi piace dividerli in due città e i ministeri scrive: «la loro sola categorie: i problemi della attività è di impedire che qualcosa di necessità e i problemi della nuovo avvenga». Qualcosa di nuovo grandezza. Non si possono affrontare questi ultimi se i non doveva avvenire, e non avvenne, non siano stati risoluti. soprattutto per merito del Partito, ma primi I problemi della necessità non della Democrazia cristiana, bensì sgorgano dallo sviluppo del Partito romano definito come: «una di Roma e si racchiudono in questo binomio: case e lobby interna al mondo ecclesiastico, assai influente, d’orientamento politico comunicazioni. I problemi della grandezza sono di altra clerico-moderato. [...] Le espressioni specie: bisogna liberare partito o gruppo rendono malamente, dalle deturpazioni mediocri tutta la Roma antica, ma in modo troppo rigido, il sistema di accanto all’antica e alla alleanze ed amicizie, di comunanze bisogna creare la ideali, di comunione di obiettivi, spesso medioevale monumentale Roma del XX estremamente solido ma non privo secolo. Roma non può, non di temperamenti, di sfrangiature: si deve essere solo una città trattava di un sistema volontaristico di moderna, nel senso ormai banale della parola, deve convergenze, senza disciplina alcuna, essere una città degna della inquadrato nell’unico impegno “per il sua gloria e questa gloria deve bene della chiesa” e nell’obbedienza rinnovare incessantemente per tramandarla, come al papa. [...] Si trattava di un disegno complesso, entente cordiale tra catto- retaggio dell’età fascista, alle che verranno». V. lici, borghesia, politici prefascisti e ceti generazioni Polci, 2016, Voce fuori coro 19 medi» . La Roma dei giorni immedia- di Dolores Prato, Quodlibet, tamente dopo la liberazione e la fine Macerata, p.62. I Racconti di Roma Capitale NU3#01 - leNote di U3
[19] A. Riccardi, 1983, Il Partito romano nel secondo dopoguerra, (1945-1954) Morcelliana, Brescia, pp.X-XI, XV. [20] Riprendo qui una espressione che Grazia Pagnotta usa nel suo libro del 2006, Sindaci a Roma, Donzelli, Roma, p.5. [21] W. Tocci, 2015, Non si piange su una città coloniale, goWare, Firenze. [22] A fronte di questa domanda si corse ai ripari con un incremento degli autobus in uscita da 1300 a 1800 grazie al fatto che circa 500 autisti offrirono la loro giornata di riposo. Una disponibilità che fu data però dopo l’annuncio dell’amministrazione di nuove assunzioni, 800 nuovi autisti, per consentire il ciclo lavorativo di 5 giorni e uno di riposo anziché di sei giorni. La Commissione trasporti del Consiglio comunale, fu chiamata a individuare delle azioni: in un primo momento si chiesero almeno altri 1000 nuovi autobus e si cominciò a parlare di sospensione del traffico privato anche nei feriali, di strade pedonali, ecc... (G. Caudo, La città a piedi, contributo alla giornata di studio “1973 – città e sviluppo”, venerdì 27 gennaio 2012 – Università degli studi Roma Tre).
della guerra è una Roma pregna di delusioni; e quei compromessi, se non a volte vere e proprie restaurazioni, non potevano non costituire una componente rilevante degli anni a venire che furono vissuti ancora nel fragore edilizio ma anche dei locali alla moda e delle luci del cinematografo e dello spettacolo che si riversava in strada. Un fragore silenzioso, di una Roma che doveva essere tranquilla20. La Roma del dopoguerra è la Roma dei Ministeri, della dolce vita e della febbre edilizia. Roma si espande in tutte le direzioni non a macchia d’olio ma, come descriverà Pasolini in un saggio del 1958, attraverso eruzioni cementizie nella campagna che vengono successivamente riassorbite dal “fronte della città” che avanza inesorabile e che tutto ingloba, prima o poi. Venti anni di sviluppo edilizio senza regole dentro al boom economico del Paese. Roma “città coloniale”21 si costruì nell’intreccio di interessi particolari tra Vaticano, aristocratici e potere politico (nazionale e locale). L’Espresso del 1955 con l’inchiesta dello scrittore e giornalista Manlio Cancogni, “Capitale corrotta, nazione infetta”, svela il modello di sviluppo edilizio della città e lo colloca in un orizzonte nazionale. L’articolo si apre con la denuncia di 120 miliardi di debiti nel bilancio del Comune che costano 10 miliardi di interessi ogni anno pari all’intero gettito annuale delle imposte dirette. Ormai era sempre più lontana la tensione innovativa degli anni dieci e venti del Novecento, si smantellarono le linee del tram e sciaguratamente si puntò sul trasporto su gomma, pubblico ma soprattutto privato. La linea A della metropolitana aprirà soltanto nel 1980. G. Caudo, Roma, le ragioni nuove dell’essere capitale
Il segno della fine di un’epoca arrivò con la crisi petrolifera del 1973, le domeniche a piedi, la conclusione anticipata dei programmi televisivi e la città invasa dalle biciclette, dai cavalli, dalle persone sui pattini a rotelle e a piedi. L’austerity a Roma si presentò con l’aumento del costo delle biciclette al mercato di Porta Portese che triplicò, con le strade completamente sgombre, percorse solo da alcuni autobus, dai taxi e da rarissime macchine private con i permessi. Diversi calessi apparvero a Piazza Venezia e in via del Corso; al Colosseo circolava una biga trainata da due stalloni bianchi. Alle fermate, le lunghe attese degli autobus formarono code e animarono resse e fu palese a tutti l’insufficienza del sistema di trasporto pubblico per far fronte anche nei giorni normali alla domanda di mobilità22. Il volto del folclore nascose la crisi di un modello di sviluppo insostenibile perseguito negli anni del dopoguerra. L’emergenza obbligò a qualche decisione tardiva a favore del trasporto pubblico su ferro. Nel febbraio del 1974 il Comune discusse un piano di sviluppo che, si disse, doveva tenere conto delle nuove esigenze che sarebbero scaturite dal razionamento della benzina e dall’enorme aumento di viaggiatori non soltanto la domenica ma anche nei giorni feriali. Il piano approvato prevedeva otto nuovi parcheggi di scambio, un incremento del 50% degli autobus e il prolungamento della metropolitana, la linea A (allora ancora in progetto) e la linea B, per un totale di investimenti necessari pari a 343 miliardi di lire. Fu in quel clima che si svolse il famoso convegno sui mali di Roma: “La responsabilità dei cristiani di fronte alle attese
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di carità e di giustizia nella diocesi di Roma” (San Giovanni in Laterano 12-15 febbraio 1974). La crisi sociale si svelò, tutti poterono vedere i bambini nelle borgate di Roma in condizioni non molto diverse da quelle dei paesi poveri. Una indagine sulle borgate di Roma del medico Giovanni Berlinguer (fratello del futuro segretario del Pci), aveva, già anni prima, messo in fila le storie e i dati della condizione del sottoproletariato urbano nella capitale. Due anni dopo il convegno sui mali di Roma, nel 1976, fu eletta la prima giunta di sinistra, quella del sindaco Giulio Carlo Argan e del suo successore, Luigi Petroselli. Si ebbe la sensazione che si lavorava per una città meno disuguale, la speranza di una condizione di vita degna fu data a tutti, o quasi, ma questo sforzo costò caro alla città che si indebitò ancora di più. Il debito era certo un problema che negli anni crebbe ma a fronte di una città che seppe accogliere migliaia di immigrati ai quali diede la cittadinanza, la dignità e una concreta speranza di riscatto sociale. Le immagini dei borghetti, delle baracche e poi del primo abusivismo furono affiancate da quelle dei quartieri dell’edilizia economica e popolare: a Roma tra il 1969 e il 1989 si costruì il più grande piano di edilizia pubblica del Paese, due volte quello di Milano. Così cambiò lo scenario urbano della città e si costruì la “Quarta Roma” quella dei nuovi arrivati. Una storia complessa, quella dal dopoguerra agli anni Settanta, una storia di riscatto sociale, di un patto per domare la rendita fondiaria, stipulato da Petroselli con i costruttori, ma anche di un patto, stipulato con il popolo degli esclusi, per risanare la città abusiva, per dotarla
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di acqua corrente, fogne e strade. Con l’affievolirsi delle ragioni politiche, quel patto ha finito per favorire la nascita e l’affermazione di forme di rappresentanza dei nuclei abusivi dal carattere para-imprenditoriale che sono divenuti i veri professionisti del consenso politico. 4. Roma ha molto deluso Nel Piano regolatore del 1962 – quello di Luigi Piccinato – dimensionato per una città di cinque milioni di abitanti, c’era la previsione di un asse attrezzato, localizzato a Est, nei quartieri popolari di Pietralata, Centocelle e Casilino, con cui si voleva dare corpo alla città amministrativa, distinguendola, anche fisicamente, da quella papalina e da quella antica. Nel 1989, Antonio Cederna, eletto come indipendente nelle liste del Pci, fu il primo firmatario della proposta di legge “Interventi per la riqualificazione di Roma Capitale della Repubblica”. La tesi centrale era la riqualificazione della città attraverso tre azioni: il progetto Fori con la tutela dell’area archeologica, il progetto dell’asse attrezzato/Sdo e infine il sistema di trasporto pubblico su ferro e in sede propria. La legge fu approvata ma la tensione innovativa in essa contenuta andò affievolendosi. Con i mondiali di calcio del 1990 e, dieci anni dopo con il Giubileo del 2000, la legge di Roma Capitale divenne un mero elenco di opere da finanziare. Alle soglie del 2000 il progetto per la capitale amministrativa, lo Sdo, e quello per la capitale culturale, il Progetto Fori, furono messi da parte, senza suscitare alcun dibattito o riflessione collettiva. Il nuovo Piano regolatore di Roma del 2008 cancellò lo Sdo e disegnò una I Racconti di Roma Capitale NU3#01 - leNote di U3
[23] Bisogna ricordare che la revisione del Piano regolatore generale avviata alla fine degli anni Novanta e proseguita fino al 2008 si svolge in concomitanza con il processo di dismissione e privatizzazione delle imprese e industrie dello Stato. Processo iniziato con l’Iri nel 1992 e che oltre al patrimonio mobiliare coinvolge, sebbene la consistenza e gli esiti, sono meno noti, il patrimonio immobiliare. Italstat, Italeco, Bonifica, Imi sono alcune delle sigle che godevano di cespiti immobiliari, molti dei quali a Roma passarono di mano anche per il tramite che a quel tempo svolsero le banche e le società finanziarie, anche loro soggette a ristrutturazione. Dal luglio 1992 al novembre 2002 l’ammontare delle cessioni di immobili all’interno del complesso delle privatizzazioni era stato di 1.057.000.000 di euro. Tra il 2002 e il 2008 le cessioni di immobili ammontarono a un controvalore di 614.000.000 di euro (Corte dei Conti, Obiettivi e risultati delle operazioni di privatizzazione di partecipazioni pubbliche, 10 febbraio 2010).
città policentrica con 18 centralità (una delle quali era il Centro storico), ridusse le cubature del Prg del 1962 ma ne salvò una buona parte attraverso il meccanismo delle compensazioni urbanistiche dei cosiddetti diritti edificatori dei privati. Diritti che invece di essere cancellati furono spostati in nome della salvaguardia ambientale delle aree su cui insistevano e le cubature previste, incrementate e spostate altrove. Un esempio emblematico, forse il più clamoroso è quello del parco di Tor Marancia, la cui realizzazione ha comportato la cancellazione di una cubatura di circa 1,4 milioni di metri cubi che è stata spostata in altre 25 diverse aree e che, per garantire il principio dell’equo valore economico, ha subito una considerevole lievitazione arrivando a circa 5 milioni di metri cubi. Nei cinque anni di giunta Alemanno si tentò, con il consenso dell’associazione dei costruttori, la più importante variante al Prg appena approvato, utilizzando un dispositivo contenuto nelle norme stesse del piano, i cosiddetti ambiti di riserva: un bando rivolto ai privati con il quale individuare nuove aree di espansione, per lo più opportunisticamente destinate ad alloggi sociali. Furono presentate circa 300 proposte (un criterio per individuare le aree era che ci fosse almeno una fermata dell’autobus nel raggio di 2,5 km), una commissione ne ammise 160 che avrebbero comportato l’urbanizzazione di 2.381,5 ettari di suolo, di cui circa 1.900 di Agro romano. Nel XXI secolo si pretendeva che il modello di sviluppo della città fosse ancora quello edilizio, anzi per molti versi si misero in campo forme perverse di costruzione del valore immobiliare23. Invece di affrontare la crisi della città negli ultimi G. Caudo, Roma, le ragioni nuove dell’essere capitale
venti anni ci si è attardati riproponendo e perpetuando forme parassitarie di Rendita capitale. Alla individuazione delle nuove aree di espansione, gli ambiti di riserva, si aggiunsero, nel 2009, le modifiche apportate allo schema tipo della convenzione urbanistica per la realizzazione dei nuovi quartieri. Modifiche che consentirono alle imprese di rendere immediatamente “bancabile”, alla firma della convenzione, il 40% della cubatura prevista. Modifiche che hanno una finalità esclusivamente finanziaria e che consentono la ricapitalizzazione delle imprese attraverso l’esercizio della potestà urbanistica da parte del Comune e mediata dal sistema bancario. Le imprese immobiliari di Roma sono state abituate a trarre dall’urbanistica ciò che invece avrebbero dovuto pretendere dal sistema finanziario ed economico, o dai loro stessi piani industriali, dalle strategie di partnership, dall’innovazione dei loro prodotti. 5. La Rendita capitale si aggiorna I grandi eventi – i mondiali di calcio del 1990 prima, il Giubileo del 2000 e i mondiali di nuoto del 2009 poi – hanno rappresentato i motori delle politiche di sviluppo, al di là dei giudizi che se ne possano dare. A Roma ogni dieci anni, infatti, si promuove un grande evento e si stressa ogni possibilità di programmazione e di ordinato sviluppo imponendo al suo posto la logica dell’opera, l’eccezionalità e l’emergenza, a quella della continuità nel perseguire un disegno strategico per la città. Dopo il 1990, mentre nella amministrazione statale si riducevano i dipendenti pubblici e si contraeva l’indotto, continuava, anzi si incrementava, il trasferimento di risorse pubbliche per
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finanziare opere spesso inutili e cantieri mai finiti. Senza contare il Giubileo del 2000, nei primi dieci anni del XXI secolo, Roma ha avuto finanziate opere per circa 6 miliardi di euro, soldi pubblici per lo più del governo centrale24. Significativo è il caso della Città dello Sport, finanziata nel 2005 con 60 milioni di euro; nel 2011 l’appalto, che nel frattempo era stato aggiudicato a un’associazione di imprese guidata dalla Vianini Lavori spa, è arrivato a impegnare una spesa di 660 milioni di euro, 11 volte il costo iniziale per realizzare lo stesso progetto: una piscina olimpionica e un Palazzetto dello sport da 7.500 spettatori25. La riduzione dei trasferimenti pubblici per gli stipendi, da una parte, e l’aumento dei trasferimenti pubblici per le grandi opere, dall’altro, si configurano come un aggiornamento della Rendita capitale.
possibilità di cambiamento.
6. Roma ha molto deluso È una città dove la fragilità sociale e le disuguaglianze si sono accresciute26. Alcuni dati chiariscono più di tante parole la condizione di crisi e le reazioni che si intravvedono nella città27. Innanzitutto, il calo del Pil nel periodo 2008-2013 (-6,3%) è stato più alto che nella Regione e uguale al centro Italia. Una condizione del tutto nuova, solitamente i motori della pubblica amministrazione consentivano alla città di andare in controtendenza rispetto al resto del Paese, Roma aveva una economia anticiclica. L’altro dato è il numero delle imprese registrate che tra il 2008 e il 2015 è cresciuto di quasi 50 mila unità (+11,7%) mentre il dato italiano è del -0,8%. Una buona notizia? Non proprio, perché con il Pil in calo significa È il momento di guardare in faccia la crisi, che il sistema produttivo della Capitale si Quattro miliardi per i cambiamenti intervenuti e di andare sta destrutturando. È un segnale di crisi, [24] la metro C (anche se i conti alle ragioni strutturali che attengono è l’arte di arrangiarsi che si manifesta ufficiali al momento non sono prima di ogni altra considerazione al in forme di economia debole, a volte di disponibili), 0,3 miliardi per la Città dello Sport, 0,4 miliardi ruolo e al senso della città Capitale. Non sopravvivenza. Impoverimento da una è vero che Roma è una città bloccata, è parte e lotta per il controllo delle risorse per il nuovo Centro Congressi e per i Mondiali di Nuoto del piuttosto prigioniera dello scontro tra il pubbliche dall’altra sono i veri problemi 2009 altri 0,5 miliardi. bisogno del cambiamento e la voglia di della città. A Roma nulla è come sembra [25] Il completamento conservazione. Non è una città ferma ma e se la città appare ormai ingovernabile dell’opera è stato riproposto nel dossier olimpico del una città in tensione dove è in atto uno non è certo a causa delle buche. comitato promotore di Roma scontro tra poteri come non succedeva 2024 e presentato, nel febbraio da decenni. Da qui le difficoltà per 7. Roma è ancora capitale? del 2016, al Comitato olimpico ricomporre una stabilità degli interessi Di che tipo di Capitale ha bisogno l’Italia? internazionale. [26] Cfr. Mappa Roma, http:// che non si contendono più il monopolio In che modo Roma può ridare senso al mapparoma.blogspot.it. dei suoli edificabili ma i trasferimenti suo essere capitale di un Paese, in una [27] S. Sampaolo, 2017, Tra pubblici che finanziano le grandi opere Europa e in un mondo che sono molto rendita e nuove logiche di e soprattutto i servizi a tariffa come diversi da quelli della fine degli anni sviluppo: processi adattivi e reattivi di una città alle l’acqua, l’energia, i rifiuti e i trasporti. Novanta del XX secolo? Le città capitali prese con uno strisciante Monopoli/oligopoli che valgono miliardi hanno una loro unicità, sono differenti (e non compreso) declino di euro ogni anno. A Roma non è vero dalle città non capitali: «The capital is economico, paper presentato che è tutto fermo semmai si tenta by definition a seat of power and a al seminario “Roma in ancora di fermare tutto, di arrestare ogni place of decision-making processes Transizione”, GSSI, l’Aquila.
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[28] «La capitale è per definizione un posto di potere e un luogo dove si prendono decisioni che riguardano le vite e il futuro delle nazioni governate, e che possono influenzare tendenze ed eventi anche oltre i propri confini. Le capitali differiscono dalle altre città: la funzione capitale assicura una forte e durevole centralità; richiede che si provveda a un ambiente speciale in grado di ospitare in modo sicuro ed efficiente le funzioni di governo e che abbia le caratteristiche adatte allo sviluppo dei processi decisionali». In J. Gottmann & R. A. Harper, 1990, Since Megalopolis: The Urban Writings of Jean Gottmann, The Johns Hopkins University Press, Baltimore and London, p.63. [29] «La capitale è simultaneamente teatro di innovazione (ideologia), di produzione (politica), presentazione (palcoscenico) dell’identità nazionale. Questo ruolo ha molte facce: i parlamentari delle altre aree del paese vengono nella capitale per rappresentare le
that affect the lives and the future of the nation ruled, and that may influence trends and events beyond its borders. Capitals differ from other cities: the capital function secures strong and lasting centrality; it calls for a special hosting environment to provide what is required for the safe and efficient performance of the functions of government and decision- making characteristics of the place»28. Una definizione classica, per quanto aggiornata a seguito degli eventi della fine degli anni Ottanta, ma nel XXI secolo la città Capitale è ancora necessaria? Come cambia il ruolo e anche la forma urbana? Diversi sono i fattori che entrano in gioco in questo processo di cambiamento; intanto le radici, le ragioni originarie dell’essere Capitale, il periodo in cui questa si è formata, il grado di coinvolgimento della città nei processi di industrializzazione e l’esclusione dalle dinamiche economiche e sociali. E ancora, il valore simbolico che la sua storia e la sua cultura gioca nell’immaginario della nazione. Il rapporto tra governo locale e governo nazionale e la forma di governance, con i differenti livelli di autonomia che si possono stabilire nelle diverse condizioni. Le città capitali sono cambiate e anche Roma cambia, sebbene questo cambiamento stia avvenendo senza governo tanto che è difficile trovare una corrispondenza con la definizione: «The capital is simultaneously the location of innovation (ideology), production (politics) and presentation (the stage) of this national identity. This role has many facets: representatives from the hinterland come to the capital to represent their localities, but they also G. Caudo, Roma, le ragioni nuove dell’essere capitale
come back to their localities to represent the nation-state. National museums gather the symbols of each region and bring them together in the capital to create a common, though often simply conglomerate, image of the nation. National universities attract the best and the brightest students. (Though, significantly, the best universities in the U.S. and some other countries are outside the capital, emphasizing instead the esclusion of the “city on the hill”.) With the rise ofmass media, the capital increasingly has served as the backdrop for broadcasts to the nation regardless ofwhether, like Walter Benjamin, one sees this new technology as aiding democracy, [...]»29. Roma capitale non è riuscita, fino ad oggi, a progettarsi per andare oltre l’idea di una città “grande” che attrae un “grande” numero di dipendenti pubblici e di abitanti che hanno bisogno di case. Non è ancora riuscita ad andare oltre l’idea di una città sussidiata. Dalla fine degli anni Ottanta, le città capitali non rappresentano più soltanto il potere militare e politico della nazione, ma sommano al ruolo istituzionale i segni dello sviluppo economico del Paese. Il potere del governo nazionale si lega e si rappresenta insieme al dinamismo dell’impresa privata stabilendo una nuova relazione tra il governo e il settore privato30. Il senso nuovo della Capitale deve affiancarsi a nuove possibilità di sviluppo economico e per questo non si tratta solo di ripartire dal passato, dalle idee originarie dell’essere Capitale. Il processo di privatizzazione avviato dallo Stato negli anni Novanta ha trasferito, con scarsa o nulla trasparenza, un importante patrimonio di immobili, edifici e
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suoli, alle banche e alle imprese private che solitamente operavano già nella Capitale e che dopo quella stagione si ritrovarono nella condizione di valorizzare l’importante patrimonio di cui erano entrate in possesso. La privatizzazione delle quote mobiliari, le partecipazioni e le acquisizioni societarie, a seguito delle privatizzazioni, furono invece ad appannaggio soprattutto del mondo finanziario milanese. Una differenziazione con effetti sui sistemi economici delle due principali città italiane che è stata forse sottovalutata, soprattutto per le conseguenze che ha avuto nel condizionare il rapporto tra lo Stato e la sua Capitale. Il “senso nuovo dell’essere Capitale” è uno sguardo in avanti, è un ritorno alle radici originarie dell’essere capitale, ma anche il riconoscimento e l’interpretazione dei cambiamenti intervenuti (e tentati) in questi quasi 150 anni di storia di Roma capitale. Racconti e cronache solo al negativo sembrano condannare Roma a un destino inesorabile, un progressivo declino. Sono evidentemente racconti interessati che si giustificano alla luce delle convenienze di parte, dei soggetti e degli attori dei differenti livelli istituzionali come dei diversi settori economici. Sembra quasi impossibile trovare oggi alleati per un discorso su Roma in positivo, promettere che Roma ce la può fare sembra una voce nel deserto. Se si vuole trovare qualche spazio nel dibattito pubblico bisogna occuparsi di buche, denunciare il degrado e portare argomenti a chi ha interesse a dichiarare l’ingovernabilità della città. Ormai ci stanno convincendo che un commissariamento non sarebbe
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male e che non resti altro che chiedere soldi da investire (ovviamente soldi pubblici) e cabine di comando per assicurarsi di spenderli veramente. “Qui non è paese da venire a disputare della Luna”31, un monito che sembra valere ancora oggi tanto più per Roma. Eppure Roma ce la può fare senza scorciatoie e tanto meno banalizzazioni di sorta. È necessario il coinvolgimento di tutti ma la vera questione è: attorno a quale idea di città? Di seguito proponiamo cinque traiettorie di lavoro, indicazioni e spunti per una riflessione da approfondire e sostanziare. Non una proposta chiusa ma cinque ragioni attorno alle quali costruire, con uno sforzo collettivo, la Roma altrimenti. 8. La Capitale funzionale Ripensare un disegno complessivo della città amministrativa che prenda forma dentro al corpo della città esistente. Dopo la cancellazione dello Sdo, il tema della città amministrativa è sparito dal dibattito. Sul territorio di Roma, oggi insistono circa 33 mila ettari di immobili pubblici (per grandezza sarebbe la 33a città d’Italia), di cui 14 mila ettari sono di proprietà di Roma Capitale, il resto appartiene ad altri enti. Questo ingente patrimonio può essere utilizzato per dare forma a distretti amministrativi, quale ad esempio quello della giustizia oggi distribuito in tante sedi principalmente nel quartiere Prati. Dunque un progetto di razionalizzazione delle sedi, un accorpamento delle funzioni e una loro integrazione in alcune polarità urbane. Si tratta di dinamiche già in atto in alcuni settori dello Stato senza che ci sia dialogo con la città (vedi il Ministero della Salute che ha acquistato un immobile I Racconti di Roma Capitale NU3#01 - leNote di U3
località ma anche tornano indietro nelle loro località per rappresentare la nazione-stato. I musei nazionali raccolgono i simboli di ciascuna regione e li portano insieme nella capitale per creare una immagine comune, sebbene spesso semplificata, della nazione. Le università nazionali attraggono gli studenti migliori e più brillanti. (Sebbene, significativamente, le migliori università degli Stati Uniti e di alcuni altri paesi, siano al di fuori della capitale, enfatizzando, al contrario, l’esclusione della “Città sulla collina”). Con la nascita dei mass-media, la capitale fa sempre più spesso da sfondo alle trasmissioni verso la nazione, senza considerare se, come Walter Benjamin, uno veda questa nuova tecnologia come un aiuto alla democrazia [...]», dal testo di Campbell e Scott “Cold War Metropolis: the Fall and Rebirth ofBerlin as a World City”. Minneapolis, University ofMinnesota Press, 2000. [30] Lo studio delle città Capitali non costituisce un campo di ricerca accademico ben strutturato in grado di spiegare in modo compiuto i fenomeni che caratterizzano la condizione di tali città. Per un approfondimento su alcuni casi, si rimanda al libro di Campbell e Scott: “Cold War Metropolis: the Fall and Rebirth ofBerlin as a World City”, Minneapolis, University of Minnesota Press, 2000. [31] E. Bellone, 2003, La stella nuova, Einaudi, Torino, p.8.
[32] Cfr S. Sampaolo e il suo contributo a p.39.
nella centralità di Eur-Castellaccio o ancora la Difesa, con l’Aeronautica che si concentrerà a Centocelle, l’Esercito alla Cecchignola e i Carabinieri a Tor di Quinto). Ripensare un disegno urbano che tenga conto che oggi Roma è la città d’Italia meglio servita dai treni veloci con 290 connessioni al giorno in arrivo e altrettante in partenza. Bologna ne ha 250, Torino ne ha 83. In alcuni momenti della giornata a Termini c’è un treno veloce ogni 7 minuti, una frequenza maggiore di quella della Metro B1 nel tratto Bologna-Jonio. I passeggeri in aeroporto sono aumentati tra il 2007 e il 2016 del 22,9% passando da circa 38,3 milioni a 47,1 milioni. È diminuita la componente nazionale del 10% mentre è cresciuta la componente internazionale del 41,8%32. La questione dei beni pubblici che è stata trattata come una questione di aree e di edifici, deve invece essere inquadrata nella prospettiva di rafforzare la struttura della Capitale. Berlino, che come Roma è divenuta capitale dell’Impero tedesco nel 1871 è la capitale che per le note vicende del dopoguerra e con la fine nel 1990 della divisione in due blocchi, è stata oggetto di un preciso progetto di ricostruzione. Berlino sul finire degli anni Novanta era indebitata molto più di quanto non lo sia Roma oggi. Il nuovo disegno urbano di Roma si deve legare a quello del trasporto pubblico su ferro. Non si tratta di realizzare solo le reti della metropolitana già programmate e progettate, ma di fare rete a partire da quello che già c’è, la rete dei tram di superficie con la rete ferroviaria locale e ancora con la mobilità alternativa. Si tratta di mettere a frutto i profondi cambiamenti tecnologici che stanno investendo, e ancora di più lo faranno nei prossimi anni, il settore G. Caudo, Roma, le ragioni nuove dell’essere capitale
dell’automotive e che stanno anche mutando gli stili di vita e le stesse preferenze degli utenti. 9. La Capitale culturale La Roma della cultura non può più essere solo quella della contemplazione dei resti archeologici, degli scavi abbelliti con i giardini ottocenteschi. La cultura è connessione tra innovazione tecnologica, fruizione e conoscenza, accesso ai beni e non solo consumo. La cultura è racconto, esperienza, empatia, immersione nel tempo e nello spazio. È quotidianità. Non si può pensare che il tema sia solo il numero di biglietti venduti del Colosseo. Come e perché ci siamo ridotti così in basso? Roma viene fatta a brandelli e ognuno se ne prende un pezzo. Basta fermarsi pochi minuti nella Piazza del Colosseo per assistere plasticamente al degrado della città simbolo dell’unità del Paese. La cultura vuol dire anche turismi, tanti, diversi e integrati. Roma non ha saputo far diventare industria un settore economico dei servizi così ricco, lo ha lasciato all’arte di arrangiarsi e di sopravvivere, alle opportunità a basso impatto e zero valore aggiunto: anche qui rendita di posizione nel senso più basso della parola. Ci si posiziona lungo gli itinerari dei turisti per offrire tutto quel che si può. Se diecimila sono le stanze/ alloggi che a Roma sono offerti nella piattaforma di Airbnb bisogna che ci si interroghi in che direzione debba andare l’industria turistica. Ci si deve chiedere in che modo il turismo congressuale possa essere una delle industrie della città e domandarsi perché fino ad oggi non lo sia stato. Roma ha bisogno di un progetto contemporaneo per la Roma antica.
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10. La Quarta Roma La Quarta Roma è quella costruita negli ultimi trent’anni, sono i quartieri di edilizia sociale “spalmati” soprattutto fuori del Gra realizzati per far fronte al rischio del progressivo impoverimento delle famiglie del ceto medio ma che invece sono state truffate dalle imprese e dalle cooperative, complice il Comune. Truffate due volte, perché hanno pagato una casa più di quanto dovevano e perché vivono in brandelli di città, senza servizi, senza le urbanizzazioni di base, senza strade33. Ritornare su quei luoghi per ristabilire un legame tra la condizione periferica di chi ci vive e il progetto rinnovato di una Capitale che è tale anche per i suoi cittadini. Si rinnovano così anche le parole, come ad esempio periferia che a Roma non deve significare solo rimedio all’abusivismo. Oggi Roma si presenta con una figura urbana tutta piena, dove l’Agro romano non più edificabile, consegnato alla sua natura, è parte del ciclo urbano ma non più dell’urbanizzazione. Si tratta allora di guardare al territorio nella sua interezza dove l’attività agricola è integrata con le tipiche attività urbane, dove il ciclo dei rifiuti che comincia nella pattumiera di casa finisce con il riciclo dell’organico per usarlo nei suoli produttivi e naturali della campagna romana. Un territorio abitato tutto in trasformazione secondo un metabolismo urbano e sociale che riguarda gli spazi vitali attraversati da cittadini, abitanti e fruitori con differenti finalità e traiettorie di vita. Roma nella sua vastità presenta differenti forme e modi di abitare che costituiscono una delle tipicità della metropoli romana. Per questo è necessario lavorare sulle differenze. Il profilo tra costruito e spazi aperti è la peculiarità di Roma, lo è da
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sempre, basta riportare alla mente il paesaggio costruito dalla sequenza della campagna, degli acquedotti, delle ville e delle terme, dei campanili e dei tumuli. Le forre, i crinali, i poggi e le torri, sono altrettanti luoghi dell’abitare che generano differenti modi di costruire il paesaggio abitato della città di domani. Il ritorno alla centralità del suolo dopo che l’eredità recente ci ha lasciato un edificato indifferente ai luoghi e di scarsa qualità architettonica, sembra un destino inevitabile. 11. Roma e il Centro Italia Il Centro Italia è una categoria piuttosto bistrattata rispetto alle altre aggregazioni macroregionali del Nord e del Sud. Il Centro Italia ha una popolazione di poco più di 13,6 milioni di abitanti, in aumento rispetto al 2003 di 881 mila persone (+6,92%). Il 60% di questo incremento ha origine nel Lazio34. Dati che segnalano che Roma è al centro di un sistema territoriale che è anche una opportunità per diventare una capitale produttiva e non essere più una città sussidiata. Un sistema territoriale fortemente relazionato al suo interno e in grado di interagire con le altre aggregazioni che svolgono un ruolo di mediazione con i sistemi territoriali del Centro Italia. Un territorio dominato quantitativamente e per intensità dalle dinamiche che hanno origine nella Capitale ma che ormai non sono più racchiuse solo nell’area romana. Le dinamiche residenziali (crescita delle popolazioni, [33] A Castelverde, nel pendolarismo, immigrazione) si Piano di Zona c’è una strada realizzata soltanto in parte che accompagnano alla strutturazione di è stata rinominata dagli abitanti capisaldi funzionali (produttivi e di “via mejo de niente”. servizio). Come emerge dall’analisi [34] Rapporto di Ricerca, dei servizi rari, è soprattutto l’offerta 2011, Roma e il centro Italia, commerciale della grande distribuzione CREL. I Racconti di Roma Capitale NU3#01 - leNote di U3
e dell’entertainment che punteggia questo territorio. Appoggiandosi alle principali reti di trasporto “su gomma” e integrandosi con i poli della logistica e in alcuni casi con quelli industriali si è andato configurando, negli ultimi venti anni, un sistema di servizi a scala regionale. In questo territorio abitato si sono formati 6 poli produttivi distribuiti in forma centripeta attorno a Roma. Sono poli che, se si esclude quello di Pomezia, che conta circa 20 mila occupati, oscillano tra i 1.500 occupati di Fiano Romano-Formello e i 7.000 dei poli Bretella Nord e Litorale Nord35. Ma al di là del peso degli occupati è in questi poli che si registrano le dinamiche di maggiore crescita: in particolare il commercio all’ingrosso, l’attività di trasporto e logistica, l’ICT e l’hi-tech, il manifatturiero e il farmaceutico. Roma nel 1870 è diventata capitale e non aveva un territorio di riferimento; oltre alla città, non c’era molto, possiamo dire che non ci fosse nulla. A distanza di 150 anni si possono trovare in questo territorio abitato le ragioni nuove dell’essere città e dell’essere Capitale.
[35] Unioncamere Lazio, 2010,
Impresa, territorio e direttrici di sviluppo nel sistema Lazio. [36] M. Pietrolucci (a cura di) 2006, Verso la realizzazione delle microcittà, Skyra, Roma.
12. Il decentramento e la forma della città territorio Roma città territorio non è più da tempo una città radiale, è un territorio abitato di circa 50 km per 50 km. Occorre prendere atto della nuova forma della città e ridisegnarne la governance. È necessario che il Comune di Roma si sciolga cedendo poteri verso l’alto, verso la città territorio, e verso il basso, i Municipi che diventano Comuni. Un recente studio mette in evidenza la possibilità di avere una città centrale36, l’urbe, che contiene la città consolidata, quella costruita fino al dopoguerra e che G. Caudo, Roma, le ragioni nuove dell’essere capitale
è racchiusa all’interno del Gra (dove vive circa un milione di abitanti), poi ci sono nove diverse città che si snodano attorno al Gra. Sono città medio grandi di 150200 mila abitanti. Luoghi che andrebbero dotati di tutti i servizi e che si collocano nello spazio intermedio tra l’urbe e i comuni di cintura. Città che potrebbero svolgere il ruolo di nuove centralità. Non più periferia di Roma e talvolta anche di Frascati o di un comune contermine, ma nuovi comuni con la dignità di una città. Nel 2020 non ci basta che ci sia l’omaggio ai bersaglieri, alla breccia di Porta Pia. L’impegno che dobbiamo pretendere dalla classe dirigente di questa città è di far passare il passato e di dare spazio al nuovo. Ecco perché questi sono tempi interessanti, perché risulta più evidente, al di là degli slogan, chi vuole perpetuare, anche in modo tacito, le prassi e le consuetudini romane e chi invece vuole contribuire a cambiare le cose. Roma può molto di più che continuare a illudersi di “campare” ancora da capitale amministrativa del Paese. Un’illusione che ha solo un esito: l’impoverimento di molti e l’arricchimento di pochi.
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apparati
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Profilo autori / Authors bio
Giovanni Caudo
Architetto, Professore associato di urbanistica presso il Dipartimento Architettura dell’Università degli Studi “Roma Tre”, dove svolge attività didattica nel corso di laurea in Scienze dell’Architettura e nel dottorato. Dal Luglio 2013 all’Ottobre 2015 è stato assessore alla Trasformazione Urbana di Roma Capitale. Svolge attività di ricerca sulla condizione urbana contemporanea studiata attraverso le forme dell’abitare e la nuova questione abitativa. A questo tema ha dedicato ricerche su aspetti specifici, sia in ambito nazionale (Territori post-metropolitani come forme emergenti: le sfide della sostenibilità, abitabilità e governabilità; Housing Italy, Padiglione Italiano alla 11a Mostra Internazionale di architettura di Venezia), sia internazionale (Inclusionary housing: a comparative international analysis, Lincoln Institute of Land Policy, Cambridge, MA. USA) e soggiorni di studio presso l’University College di Londra. È socio della SIU, Società italiana degli urbanisti e membro della
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giunta, è stato rappresentante nazionale eletto dell’Associazione europea delle scuole di pianificazione (AESOP).
Giorgio Piccinato
architettura e regionalismo (2012), Garbatella, la periferia come centro (“Limes”, 4/ 2016).
Nicola Vazzoler
Architetto e Dottore di Ricerca in Politiche territoriali e progetto locale (con la tesi “Intensità urbana, un rapporto ragionato a partire dal caso di Roma”), è ora assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Architettura di Roma Tre. Impegnato nella didattica (Università degli Studi di Trieste, IUAV e RomaTre), nella ricerca (fra gli altri il PRIN “Territori post-metropolitani”) e nell’attività professionale (“Piano di Assetto dell’Area archeologica monumentale Francesca Romana Stabile del Colosseo” per RomaTre). È Professore associato di Restauro co-fondatore di GU | Generaarchitettonico presso il Diparti- zione Urbana (con il quale ha mento di Architettura dell’Uni- seguito il “Monitoraggio delle versità degli Studi di Roma Tre. forme periferiche contempoCoordina l’Archivio Urbano ranee a Roma” per DGAAP MiTestaccio – AUT del Dipartimen- BACT) ed è redattore capo del to di Architettura - http://aut. giornale online UrbanisticaTre. uniroma3.it/ . Da anni studia la storia urbana e architettonica di Carlo Albarello Testaccio, San Saba, Ostiense e ha insegnato presso il Liceo Garbatella. È autore di Regional- Classico Virgilio di Roma e la ismo a Roma – Tipi e linguaggi: Sapienza Univ. di Roma didattiil caso Garbatella (2002), La ca della letteratura italiana (Fac. borgata-giardino Garbatella: di Lettere) e storia del teatro Professore Emerito di Urbanistica, ha insegnato a Venezia e a Roma. Direttore di UrbanisticaTre. Ha pubblicato La costruzione dell’urbanistica. Germania 1871- 1914 (Roma 1974, Wiesbaden 1983, Barcelona 1993), Un mondo di città (Torino 2002, Caracas 2007), Atlas de centros históricos do Brasil (Rio de Janeiro 2007), Fermoimmagine. Studio sulla felicità urbana (Macerata 2008).
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italiano al Master di Scenografia Teatrale e Televisiva (Fac. di Architettura). Lavora presso il Centro per il libro e la lettura (MiBAC).
la facoltà di Architettura nell’ambito della Progettazione Architettonica. Precedentemente fonda lo studio di progettazione aBC.lab Architettura e collabora con altri studi specializzanEleonora Ambrosio dosi in concorsi nazionali ed Architetto, si laurea con lode in internazionali. Attualmente sta Progettazione Urbana (con la sviluppando il suo ambito di tesi “Paesaggi Intermedi. Proget- ricerca focalizzando gli studi sul ti per l’area Expo di Milano 2020 rapporto fra spazi pubblici ed – 2035”) e, nello stesso anno, aree archeologiche. vince la borsa per il Dottorato di ricerca in “Paesaggi della Brunori città contemporanea. Politiche, Giulia laureata in Architettura: tecniche e studi visuali” presso èRestauro e Dottoranda in il Dipartimento di Architettura “Architettura: Innovazione e di Roma Tre. Attualmente è Patrimonio” XXXIII ciclo presso impegnata nella didattica (con il Dipartimento di Architettura il corso “Territorio. Ambiente. di Roma Tre. Paesaggio. Contesti e strumen- dell’Università Svolge attività di ricerca sul ti”, Università degli Studi di tema del recupero dei centri RomaTre), nella ricerca (con la colpiti dagli eventi sismici tesi “Città Selvatica”) e collabora storici è cultore della materia “Recon il giornale on-line di settore ed stauro urbano”. Collabora a diUrbanisticaTre. versi corsi di Restauro nei corsi di laurea triennale e magistrale, Tommaso Berretta nel Master Internazionale di II Architetto e dottorando livello “ Restauro architettonico di ricerca in Paesaggi della e culture del patrimonio” e nel Città Contemporanea presso Master biennale internaziol’Università degli Sudi Roma Tre, nale di II livello “Culture del dipartimento di Architettura, Patrimonio”. svolge attività didattica presso
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Antonio Camassa
è un dottorando del XXXIII ciclo “Innovazione e patrimonio” presso l’Università degli studi di Roma Tre. I temi della sua ricerca investono la rappresentazione illusoria dello spazio architettonico, con particolare riferimento al progetto delle finte cupole di Andrea Pozzo. Si laurea in progettazione architettonica durante l’a.a. 2016-17 con la tesi “La geometria della finta cupola di Sant’Ignazio da Loyola a Roma” presso il Dipartimento di Architettura di Roma Tre. Da dieci anni svolge attività di supporto alla didattica al corso di “Fondamenti e applicazioni di geometria descrittiva” (Prof.ssa Giovanna Spadafora).
Cosimo Campani
è un architetto formatosi tra Roma (BA Architecture, RomaTre) e Londra (MA Architecture, Royal College of Art). Il suo lavoro è stato esposto presso la Biennale Manifesta a Palermo, all’università di Oxford, al MAXXI di Roma, all’Impact Hall di Bangkok, presso l’Hong Kong University e la St Petersburg University, allo Strelka Institute di Mosca, al Royal College of Art
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ed al Royal Institute of British Architects di Londra. Dopo le esperienze a OSA Architettura e Paesaggio, Integrated Field di Bangkok e lo studio Fuksas attualmente è dottorando presso il Dipartimento di Architettura di RomaTre.
Tiziana Casaburi
Dottoranda presso il Dipartimento di Architettura, Specialista in storia, conservazione e valorizzazione dei Beni Culturali, e laureata in Architettura-Restauro. Ha avuto diverse esperienze nel campo dei Beni Culturali, fra cui, sia a livello accademico che professionale; fra questi la Direzione Lavori Metro C, seguendo le fasi di scavo archeologico e gli interventi di salvaguardia sul patrimonio storico-archeologico, per il Comune di Concordia sulla Secchia (MO), ha svolto supporto tecnico per gli interventi di risanamento sugli edifici storici colpiti dal sisma del 2012.
Francesca Cuppone
è architetto e dottoranda in “Architettura: Innovazione e
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Patrimonio” XXXIII ciclo presso il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi Roma Tre. Svolge attività di ricerca sul tema dell’edilizia residenziale nel Novecento a Roma ed è assistente in diversi corsi di progettazione. Ha collaborato in studi di architettura e grafica, ha partecipato al gruppo di progettazione coordinato dal prof. arch. Lorenzo dall’Olio per il Progetto definitivo di recupero dell’edificio frigoriferi del complesso dell’ex-mattatoio di Testaccio a residenze universitarie e con il prof. arch. Valerio Palmieri come collaboratrice alla ricerca per la Mostra sulla Palazzina Romana alla Casa dell’Architettura.
Lorenzo Fei
laureatosi nel 2016 con il Massimo dei voti, ha ottenuto una borsa di dottorato presso l’Università degli Studi di Roma Tre, all’interno del PhD “Architettura: Innovazione e Patrimonio”, con il curriculum Progetto Filologico (2017). Il titolo della sua ricerca è “La carpenteria lignea nella tradizione Europea: definizione,
validazione e aggiornamento della regola dell’arte. Studio Storico, scientifico e tecnologico per lo sviluppo della regola dell’arte ai fini dell’applicazione del Restauro Filologico dell’Architettura”. Oltre alla composizione architettonica, è anche interessato alla ricerca riguardo nuove tecnologie, in grado di coesistere con le strutture lignee tradizionali.
Giuseppe Ferrarella
(1982) è architetto Ph.D., Si laurea con lode presso il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Palermo. Ha frequentato il Master Internazionale Architettura | Storia | Progetto diretto dal Prof. Arch. Francesco Cellini ed il C.d.P. Cultura del Progetto in ambito archeologico diretto dalla Prof. Arch. Maria Margarita Segarra Lagunes presso il Dipartimento di Architettura RomaTre. Nel 2018 consegue il titolo di Dottore di Ricerca presso lo stesso dipartimento. Vive e progetta tra Roma e Palermo.
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Maria Pastor Altaba
Architetto, laureata all’Universidad Politécnica di Madrid nel 2010, è dottoranda in “Patrimonio Architettonico” al Dipartimento di Architettura dell’Università di Roma Tre. Dopo l’esperienza acquisita da progettista nella sua città natale, nel 2015, ha frequentato un Master di Restauro e Cultura del Patrimonio all’Università di Roma Tre. Da allora, collabora presso quest’università all’attività di supporto alla didattica nelle materie di geometria descrittiva e strumenti di rilievo. Ha partecipato inoltre a progetti dell’ambito del restauro ed il rilievo del patrimonio.
architettonico e urbano. I suoi interessi per l’oggetto della città europea muovono attorno alle implicazioni filosofiche, antropologiche e sociali delle tecniche di trasformazione urbana. Attraverso una conoscenza storica profonda e interdisciplinare, indaga modi antichi e nuovi di connettere narrazione e costruzione. Collabora con il giornale on-line di settore UrbanisticaTre.
Martina Pietropaoli
attualmente Dottoranda in “Paesaggi della città contemporanea: politiche, tecniche e studi visuali” (Dipartimento di architettura, Roma Tre). Con la tesi specialistica in Progettazione urbana “La vigna come progetto” e la tesi triennale in Scienze dell’architettura “Cura/ architettura” si è interrogata sul ruolo della coscienza e dell’intenzionalità nel progetto
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NU3 - leNote di U3
una sezione de leRubriche del giornale on line UrbanisticaTre urbanisticatre.uniroma3.it/ U3 - UrbanisticaTre ISSN 1973-9702 Ottobre 2018
I racconti di Roma Capitale Il progetto di Alternanza Scuola-Lavoro (AS-L) “I racconti di Roma Capitale”, promosso dal Dipartimento di Architettura dell'Università degli Studi di Roma Tre, ha visto coinvolti gli studenti del Liceo Ginnasio Statale “Virgilio” da dicembre 2017 a giugno 2018. Gli studenti, divisi in gruppi, si sono avvicinati al lavoro della ricerca nel campo degli studi urbani rileggendo in modo critico i processi di trasformazione fisica di Roma a seguito della proclamazione a Capitale del Regno nel 1871. In questa esperienza di ricerca gli studenti sono stati seguiti dai dottorandi del Dipartimento di Architettura, i tutor, entro un percorso che ha visto una contaminazione di sguardi fra giovani ricercatori. Esito finale del progetto di AS-L questa pubblicazione scientifica che raccoglie i saggi scritti dagli studenti con l’aiuto dei tutor: dieci “racconti” sulla Roma che è stata e che ha definito una città che ancora oggi abitiamo, i cui pregi o difetti trovano origine proprio entro quei processi di trasformazione riletti dagli studenti.
NU3 – leNote di U3 NU3 sono una sezione de leRubriche di U3 – UrbanisticaTre (ISSN 1973-9702) una rivista scientifica on-line riconosciuta dall’ANVUR e promossa dagli studiosi che lavorano nel settore degli studi urbani del Dipartimento di Architettura dell'Università degli Studi Roma Tre. U3 è una piattaforma online che si interessa dello studio, della progettazione e della costruzione di città e territori, dando voce e spazio a idee, ricerche ed esperienze che raccontano della loro produzione collettiva. La struttura editoriale individuata per il giornale si compone di un Comitato di redazione, di un Comitato scientifico, di un Comitato Editoriale e di un Direttore responsabile.
ROMA
TRE
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI