Esplosione urbana in Africa Domenico Patassini
in copertina
richat, mauritania
urban press Padova - Italy www.urbanpress.it
a cura di
Domenico Patassini impaginazione
Denis Bordignon
indice
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nuove regole del gioco forze globali ed effetti continentali verso tre miliardi e vasti agglomerati urbani sistemi urbani transnazionali quante Afriche? primacy e armature urbane paradossi
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nuove regole del gioco
Dopo quasi dieci anni la retorica dei Millennium Development Goals comincia a mostrare i suoi limiti e la miopia di chi li ha concepiti. Certo, sono stati condivisi dalle élite africane e dai loro governi quando erano ancora impensabili le eruzioni nelle società mediterranee, ma allora si stava già diffondendo la convinzione che se l’Africa fosse scomparsa dall’ ‘economia-mondo’ qualcuno se ne sarebbe accorto. La Cina, per esempio, che nella egemonica sfida all’occidente1, ed in particolare agli Stati Uniti d’America riconosce l’Africa come fonte di materie prime, opportunità di investimento per le proprie industrie e di occupazione per il crescente surplus di forza lavoro. E’ la retorica del fallimento e del piagnisteo, quella dei Millennium Development Goals, quando non ammette che gli errori sono connessi all’ideologia dello sviluppo lineare e del libero mercato, che la lotta alla povertà non è come il salvataggio delle banche, ma che rispetto a questo ultimo pone un problema di priorità sistemica. Da tempo, ma con scarso successo, i consueti indicatori di crescita vengono messi in discussione per il loro significato riduttivo rispetto alla qualità della vita attuale e potenziale, per la fallace visione dello sviluppo umano, ma anche per il modo in cui sono costruiti. E’ noto che il prodotto pro-capite è vittima della sua stessa definizione perché può nascondere disuguaglianze intollerabili2, perché condivide l’ideologia della crescita illimitata (inevitabilmente distruttiva e insostenibile) e per-
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ché si guarda bene dal contabilizzare voci di costo e beneficio ritenute esterne. Quando si dà voce a queste ragioni la mappa del mondo muta e, in una sorta di capovolgimento del senso di un irrecuperabile ritardo, il continente africano diventa un inedito interlocutore. Le sue immense risorse, oggetto di ciclico desiderio (coloniale, postcoloniale, neo-coloniale), vengono ambite in modo diverso, accettando nuove regole del gioco. Queste sono definite da dati incontestabili: la ridotta impronta ecologica e idrica del continente, il suo ridotto contributo alle emissioni dei gas serra, la elevata (anche se decrescente) riserva di biodiversità, l’estraneità al devastante rapporto (14:1) fra movimenti finanziari e reali che sta portando ai limiti del collasso le economie ‘ricche’. Questi indicatori (e non sono gli unici) creano nuovi spazi di manovra del continente rispetto al resto del mondo, formano nuovi sistemi urbani e regionali e ne aggiornano le strategie.
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forze globali ed effetti continentali
worldmapper.org emissioni Co2 consumo energetico perdita di superficie forestale
Vi sono almeno quattro forze globali nella definizione degli scenari al 2050: le dinamiche demografiche, la domanda di risorse naturali, i cambiamenti climatici e la globalizzazione3. Non esiste un modello interpretativo in grado di tenere assieme queste componenti, soprattutto per le incertezze connesse ai cambiamenti climatici4 e agli effetti della globalizzazione5. Tuttavia vi è chi ritiene (con attribuzioni forse non del tutto condivisibili) che tenderanno ad aumentare le differenze fra le regioni boreale e tropicale/equatoriale del pianeta. Alcune parti del continente africano vivranno queste differenze con crescenti deficit energetici e idrici, registreranno cambiamenti epocali della piramide d’età demografica e vedranno il formarsi di mega-city. Il continente africano nel suo complesso contribuisce per il 5% alla emissione globale di CO2, ma subisce da tempo impatti severi, già registrati molto prima dei cinque rapporti valutativi dell’ Intergovernmental Panel of Climate Change (IPCC). Evidenze significative e recenti sono le inondazioni in Namibia e la fame in Africa orientale: le prime connesse ai fenomeni prodotti da El Niño, la seconda a conflitti e a discutibili strategie di politica agraria nel lungo periodo. L’innalzamento del livello del mare tende a colpire le città costiere e i loro acquiferi, e cominciano ad essere visibilmente interessate le zone lagunari, estuariali e deltizie di Alessandria, Kotonou, Dar es Salaam, Lagos, Maputo, Mombasa, Cape Town. Inondazioni fluviali di forte intensità si sono verificate ad Alessandria, Brazzaville, Johannesbourg, e in città localizzate in zone semi-desertiche in Burkina Faso e Niger, con aumento della morbilità e mortalità. Le variazioni di temperatura aumentano numerosità ed intensità delle ‘isole di calore’, come avvenuto recentemente nelle città saheliane di Kano e Ouagadougou. Gli effetti sociali di questi fenomeni, certo non nuovi per l’Africa in generale, ma nuovi per alcune località, si condensano sui movimenti di popolazione. Eco-migrazioni volontarie e involontarie da aree a rischio (risk prone area) verso le città maggiori e
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intermedie sono in forte aumento, come lo sono i flussi su larga scala interni e transfrontalieri da zone rurali a fertilità oramai sotto soglie di guardia e afflitte da perdita di top soil e scarsità idrica. In Africa occidentale i centri urbani costieri del Senegal (e non soltanto Dakar) da tempo sperimentano immigrazione dalle zone interne e dai paesi vicini, alimentando flussi di migrazione verso le Isole Canarie, la Spagna e il sud Italia e quindi verso l’Europa centro-settentrionale. Questi flussi di migrazione in entrata e in uscita mutano la composizione demografica, le piramidi d’età e le relative domande sociali. Gli shock internazionali derivano da diverse ragioni: il rapporto fra economia reale e finanziaria, l’assetto e le regole del commercio internazionale, il consolidarsi del nuovo ciclo egemonico cinese su quello Usa, la strumentalizzazione del rapporto fra Islam e occidente e forse altre ancora. Il continente africano è diversamente sensibile a queste ragioni e agli shock che ne derivano. La limitata esposizione bancaria al pericoloso rapporto fra economia reale e finanziaria ha trasformato in ‘paradisi fiscali’ piazze un tempo periferiche. L’inizio della seconda generazione della crescita manifatturiera cinese (costretta a fare i conti con nuovi vincoli interni sui fattori di produzione e sui prodotti) trova l’Africa attenta a sfruttare opportunità concorrenziali generate da una nuova divisione internazionale del lavoro. La ‘vulnerabilità’ politica e la presenza di vaste regioni controllate da forme di governo autoreferenziali6 facilita ‘sperimentazioni’ di cooperazione, azioni di security e di terrorismo internazionale. In questo quadro le città giocano un ruolo decisivo, come target, dispositivi di reazione, ma, soprattutto, come centri di informazione e gestione delle risorse provenienti dal turismo e dagli aiuti. La riduzione del turismo ha colpito soprattutto Mombasa, Malindi, Sharm al-Sheikh, Victoria Falls (Zimbabwe), mentre paesi più tranquilli e meno aperti al turismo hanno beneficiato dello spostamento dei flussi. Lo stesso dicasi degli aiuti bilaterali e multilaterali che hanno lasciato il posto a protocolli di intesa come quelli con la Cina. Questi protocolli negoziano la consegna ‘chiavi in mano’ di infrastrutture e di opere pubbliche con lo sfruttamento nel lungo periodo di risorse locali (minerarie, agricole, idriche, energetiche). Al di là dei contenuti specifici, si tratta spesso di accordi asimmetrici in cui un ‘fattore di opportunità politica’ sconta il rapporto fra benefici prodotti da strategie di breve (investimento immediato) con costi difficilmente stimabili e connessi a strategie di lungo periodo (subordinazione). I recenti shock hanno contribuito a ridurre la domanda di prodotti di esportazione, con effetti rilevanti sul debito, e hanno incrementato l’emigrazione. Significativo è l’abbandono di città minerarie come Jos, nata con lo sfruttamento dello stagno in Nigeria, Kimberley (nella Repubblica del Sud Africa) e Lüderitz (in Namibia) entrambe sviluppatesi per l’estrazione dei diamanti.
worldmapper.org reddito nazionale frequenza disastri impronta ecologica
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verso tre miliardi e vasti agglomerati urbani
worldmapper.org sviluppo urbano indice di sviluppo umano (HDI)
L’osservatorio UN sulla popolazione riconosce il continente africano fra i luoghi più dinamici del pianeta7 . Nel 2009 il continente ha raggiunto il miliardo di abitanti. Di questi, 395 milioni (circa il 40%) vivono in città. In 27 anni, e precisamente dal 1982 al 2009, è passato da 500 milioni al miliardo e in soli 17 anni (al 2026) crescerà di altri 500 milioni. E’ già stata superata quella soglia critica in corrispondenza della quale l’attrattività urbana aumenta più della ‘perdita’ rurale. Interpretando le variazioni dei parametri di natalità e mortalità, UN ipotizza che dal 2027 il tasso di crescita demografica cominci a diminuire, invertendo il tasso del ventennio precedente8. Occorreranno, infatti, 24 anni perché la popolazione cresca di un altro mezzo miliardo. Attorno al 2030 il 50% della popolazione sarà urbana e nel 2050 l’Africa ospiterà 3.6 miliardi di persone (il 60% in città) su un totale mondiale stimato di 10 miliardi. La Nigeria, con 433 milioni di abitanti, diventerà il terzo paese più popoloso al mondo, dopo Cina (1.69 miliardi) e India (1.3 miliardi). Gli altri paesi in crescita saranno l’Etiopia (174 milioni), la Repubblica Democratica del Congo (149 milioni) e la Tanzania (138 milioni). L’Egitto, gigante del mondo arabo, passerà dagli attuali 82.6 milioni a 123 nel 20509. Secondo stime al 201010 si contano 48 agglomerazioni urbane11 con più di un milione di abitanti: di queste, due hanno più di 10 milioni di abitanti (Il Cairo e Lagos) con Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo) attorno ai 9; quattro tra i 4 e i 5 milioni (Luanda in Angola, Alessandria d’Egitto, Khartoum in Sudan e Abijan in Costa d’Avorio), sette fra i 3 e i 4 milioni (Johannesburg, Cape Town e Ekurhuleni in Sud Africa, Nairobi in Kenya, Kano in Nigeria, Dar es Salaam in Tanzania e Casablanca in Marocco). Le agglomerazioni con più di tre milioni di abitanti passano da 14 nel 2010 a 19 nel 2015, a 21 e a 25 nel 2020 e nel 2025, rispettivamente. Durante questo periodo entrano nel gruppo delle agglomerazioni maggiori sei città dell’Africa occidentale (Dakar, Ibadan, Accra, Douala, Abuja, Ouagadougou), a conferma della dinamica esplosiva
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che caratterizza questa regione, due città dell’Africa del nord (Algeri e Rabat), una città dell’Africa orientale (Addis Ababa), due città australi (Durban e Antananarivo), una città dell’Africa centrale (Kampala, il pivot della dinamica conurbazione attorno al lago Vittoria). Nel 2050 saranno soprattutto Kinshasa (con la dirimpettaia Brazzaville), Lagos (sull’arco atlantico da Accra a Douala) e il Cairo (nel quadrilatero metropolitano del Delta e del canale di Suez) a portare l’esplosione urbana africana ai vertici mondiali12. Con le altre metropoli e regioni urbane il continente ospiterà 1.2 miliardi di persone, quasi un quinto di tutta la popolazione urbana del pianeta. La crescita urbana si accompagna all’aumento delle disuguaglianze anche in presenza di ridotti livelli e dinamiche del reddito e dei consumi. In termini aggregati il continente registra il più elevato coefficiente di Gini13 pari a 0.581, contro lo 0.528 del LAC (America Latina e Caraibi). Distribuzioni più egualitarie si rilevano nei paesi asiatici. In termini disaggregati la geografia delle disuguaglianze presenta variazioni significative. Il coefficiente è relativamente basso (oscilla fra 0.300-0.399) nelle città delle regioni settentrionali, come in Algeria, Marocco, Egitto, Mauritania, ma anche in Togo, Camerun, Uganda, Etiopia. Il coefficiente non è statico, ma presenta un certo dinamismo dove si sono registrati significativi cambiamenti politici e sono state attivate riforme economiche. Valori elevati si rilevano in Sud Africa (0.76 su dati 2005), ma anche in Kenya, Namibia e Zimbabwe dove dalla segregazione etnica si è passati a forti differenze di classe. L’indice va considerato con la dovuta cautela in quanto il significato delle disuguaglianze muta con le condizioni di vita generali di una società, con l’affidabilità statistica dei dati sulla distribuzione sociale di reddito e consumi. Ma muta anche con l’informalità e le strategie di sopravvivenza fuori mercato, con i livelli e le dinamiche dell’ urbanizzazione. Uno dei fenomeni più difficili da catturare con questi indici è l’effetto del cosiddetto multilocal household domestico e estero che, com’è noto, alimenta ingenti flussi di rimesse e legittima le diaspore nelle strutture di potere locali. In genere, minori disuguaglianze si associano a HDI e a GDP pro capite bassi. Se questi due indicatori crescono, tende ad aumentare non soltanto l’indice medio urbano di consumo e reddito, ma anche la sua variabilità interurbana. Con la crescita degli indicatori HDI e GDP pro capite tende anche ad aumentare la differenza fra l’ indice di Gini calcolato sul reddito rispetto a quello sui consumi. In genere il primo supera il secondo soprattutto nei paesi a forte polarizzazione delle classi sociali e con debole classe media.
coefficiente di gini
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sistemi urbani transnazionali
worldmapper.org slums
Lasciando sullo sfondo il variegato patchwork di ecosistemi che forza spesso bizzarri confini amministrativi, il continente africano si caratterizza per i suoi sistemi urbani transnazionali. Si tratta di reti e armature di integrazione formatesi nel lungo periodo14. Da tempi antichissimi la colonizzazione umana si è svolta per direttrici e rapporti a scala continentale, fattori che hanno influito sui processi endogeni di urbanizzazione e mettono in discussione le frettolose ipotesi assunte da chi separa la città pre-moderna da quella moderna, o considera quest’ultima esito di rapporti (subiti o cercati) con il mondo esterno. Secondo oramai consolidate scoperte archeologiche, la prima direttrice è costituita dalla Rift Valley, un taglio della crosta terrestre che forma una fascia relativamente stretta dalla regione Afar sul mar Rosso (l’etimo afar rinvia a ‘polvere’, ‘terra’ per diventare radice di Africa) alle foci del Limpopo in Mozambico. In questa regione ricca di laghi e savane fino alle sue appendici in Africa australe, numerosi studi confermano da almeno un secolo l’esistenza di insediamenti importanti che hanno creato le basi preistoriche e mitiche di più recenti città interne dell’Africa orientale. Esse diventeranno l’entroterra delle più tarde città commerciali swahili lungo la costa dell’oceano indiano15. Una seconda direttrice è costituita dal corridoio saheliano (tra 30° e 15° latitudine nord, in direzione est-ovest) che fin dal terzo millennio avanti Cristo ha contribuito a definire un’armatura di connessione fra mar Rosso e costa atlantica, ibridando popolazioni cuschite, niloticosahariane, omotiche, berbere, chadiane e numerose altre16. In queste connessioni era certamente presente l’Egitto con gli innesti naturali del Nilo bianco in direzione sud (verso la regione dei grandi laghi) ma anche verso ovest, e del Nilo blu verso il Punt, la fascia costiera compresa fra gli attuali Port Swakin e capo Guardafui, di fronte all’isola di Socotra. Una terza direttrice, per ragioni climatiche forse precedente il corridoio
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saheliano, è il sistema di assi transahariani nord-sud che connettono la fascia mediterranea all’Atlantico e al cuore del continente e che hanno contribuito allo sviluppo di una fitta rete di centri urbani interni. Anche i grandi fiumi, e le loro pianure, hanno favorito la formazione di insediamenti: oltre al Nilo e al suo peculiare modello di urbanizzazione lineare, i fiumi Niger, Congo, Omo, Awash, Wabe Shebeli, Orange, Zambesi e Limpopo hanno creato condizioni favorevoli per l’accesso a territori vastissimi. Se si escludono quella mediterranea e il mar Rosso, interessati da un antico sistema di relazioni con Europa, vicino Oriente e India, le fasce costiere oceaniche hanno registrato un tardivo e differenziato processo di urbanizzazione. Lungo l’oceano indiano si é sviluppato il grappolo delle città commerciali-portuali swahili, divenuto vero e proprio sistema con l’espansione verso sud, in Tanzania, Zambia e nello Zimbabwe. Le coste atlantiche hanno, invece, “atteso” la colonizzazione, ospitando città rivolte verso l’esterno, favorendo il trasferimento di antiche capitali localizzate nell’entroterra in città-porto. E’ da questo versante che la penetrazione verso l’ interno è stata più decisa, sostenuta da strade, ferrovie e porti; qui si sono sperimentate forme di mediazione fra ciò che stava dentro e ciò che stava fuori, le prime fratture dei circuiti ancestrali. Ma se prima della colonizzazione complessi cicli insediativi e di urbanizzazione generavano all’interno del continente città e forme di governo, la colonizzazione ha contribuito a costruire un’ armatura infrastrutturale il cui scopo era ‘svuotare’ l’interno, costringerlo al contatto univoco o ad un impotente isolamento e quindi alla morte. A questo disegno, successivamente estesosi anche lungo le coste orientali, hanno contribuito contatti e relazioni che completavano una rete infrastrutturale limitata alle direttrici di sfruttamento primario.
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Le politiche post-coloniali e di formazione delle nuove entità statali non sono state in grado di capovolgere lo schema, ma neppure di utilizzarlo in modo biunivoco o per strategie di sviluppo locale. Questa incapacità è tuttora presente, come dimostra il fallimento di progetti di cooperazione commerciale, economica e politica o di grandi progetti infrastrutturali ispirati a poco plausibili scenari panafricani. Resta, tuttavia, l’interrogativo sulle possibilità di integrazione (anche solo regionale) che il rafforzamento del sistema urbano continentale sembra favorire. Se fino a qualche decennio fa le ipotesi di integrazione potevano interessare le regioni occidentali, mediterranea e australe, oggi sembra siano mature condizioni nuove per potenziare il sistema urbano continentale, trasformando in una grande armatura le direttrici di colonizzazione umana e di sviluppo economico storiche e preistoriche. L’armatura del continente potrebbe diventare scenario di pace, cooperazione e sviluppo. Ma i fatti sembrano altri. Sulla base della distribuzione spaziale delle agglomerazioni maggiori sono riconoscibili diversi sistemi: due sono di tipo lineare e si distendono lunga la costa mediterranea e atlantica; altri due presentano caratteristiche analoghe lungo la costa rivolta all’Oceano Indiano; uno è di tipo fluviale ed un altro di tipo lacustre. Si riconoscono, infine, due sistemi esito di processi di conurbazione interna e confinata, mentre altri tre sono il risultato di processi di fusione fra conurbazioni nazionali o appartenenti a paesi diversi. Il sistema lineare mediterraneo si estende da Casablanca al Il Cairo e già oggi comprende 7 delle 47 agglomerazioni africane con più di 1 milione di abitanti. Le 7 agglomerazioni ospitano circa 25 milioni di persone (ne ospiteranno 35 nel 2025), ma il dato saliente è la continuità e lo spessore dell’urbanizzazione che sta creando un fronte con limitate soluzioni di continuità lungo quasi 3000 km. Questo fronte è l’appoggio settentrionale delle regioni sahariane i cui centri urbani assumeranno un ruolo strategico ancor più importante di quello che hanno oggi o che hanno avuto in passato. Il sistema lineare atlantico si estende da Nouakchott (Mauritania) a Libreville (Gabon) lungo una teoria di agglomerazioni con città capitali, portuali e manifatturiere. Limitandosi alla fascia costiera si contano 11 delle 47 agglomerazioni con più di 1 milione di abitanti al 2010 per un totale di circa 35 milioni di abitanti che diventeranno più di 50 nel 2025. Su questo sistema si appoggia l’arco delle città interne (Bamako, Ouagadougou, Niamey, Kano, Abuja e Bangui), ma anche la parte contigua della regione sub-sahariana. Il sistema insediativo sahariano occidentale è ancorato ai due sistemi lineari mediterraneo e atlantico. Due sono i sistemi lineari rivolti verso l’oceano indiano. Il primo (in formazione) è costituito dalla coppia portuale di Mombasa e Dar es Salaam, con ruolo logistico strategico per le regioni centrali (Nairobi inclusa) e dei laghi. Al 2025 il sistema potrebbe ospitare più di 10 milioni
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di abitanti. Il secondo sistema riguarda la fascia australe, da Maputo (forse Beira) a Port Elizabeth, con il ricco e dinamico retroterra sudafricano, di Zimbabwe e Botswana. Il più importante sistema urbano fluviale è quello nilotico. Di antichissimo impianto, presenta caratteristiche lineari e una mega-testa sul delta e il canale di Suez formata dal quadrilatero con ai vertici Il Cairo, Alessandria, Porto Said e Suez che al 2025 ospiterà attorno ai 22 milioni di abitanti. Lo sviluppo della conurbazione verso l’alto Egitto (lago Nasser) e il Sudan settentrionale dipenderà dal modo in cui verranno gestite le acque del Nilo. Con dinamiche importanti si presenta il sistema urbano attorno al lago Vittoria. Il pivot è Kampala, al centro dell’arco composto da Masaka, Entebbe, Port Bell e Jinja su cui gravitano le principali città dell’ Uganda e, per connessione, quelle del Rwanda e Burundi. Sul lago gravita anche il cluster urbano occidentale del Kenya (con le città di Kisumu, Eldoret e Nakuru e l’importante cluster tanzaniano di Mara, Mwanza17, Musoma e Bukoba (distretto di Kagera). Mwanza é localizzata centralmente, lungo le rive meridionali del lago; è uno dei più importanti nodi di traffico internazionale lacustre e centro di una fitta rete stradale che connette il contiguo sistema insediativo tanzaniano. La conurbazione del lago Vittoria potrebbe raggiungere gli 8-10 milioni di abitanti al 2025 con pesanti effetti ambientali in un contesto già sotto stress. Il primo sistema di conurbazione interna e confinata riguarda l’area metropolitana di Khartoum/Ondurman che si estende verso sud e sud-est lungo i bracci del Nilo Bianco e Azzurro, in direzione di Kosti e del bacino di Roseires (via Sennar e Wad Madani). Questo sistema ospiterà dai 9 ai 10 milioni di abitanti nel 2025. Il secondo sistema (autocentrato) comprende la conurbazione di Addis Abeba con progressiva saldatura verso Nazereth, un corridoio che connette diverse città secondarie (Akaki, Debre Zeyt, Mojo) lungo 70 km in direzione sud-est e che al 2025 potrebbe contare fino a 7 milioni di abitanti. Gli ultimi tre sistemi si riferiscono alla fusione di conurbazioni appartenenti allo stesso paese (Sud Africa) o a paesi diversi (Congo e Repubblica Democratica del Congo, Zimbabwe e Zambia). Si tratta in realtà di tre mega-fusioni da tempo in corso fra Johannesburg e Pretoria, fra Brazzaville e Kinshasa, e lungo il corridoio fra Lusaka e Harare. La prima potrebbe raggiungere i 7-8 milioni di abitanti nel 2025 con sbocco al mare su Durban; la seconda i 18-20 milioni di abitanti e sfruttare l’enclave di Cabinda oltre al corridoio di Matadi, Boma e Banana; la terza i 5-6 milioni di abitanti con prosecuzione per Beira e conseguente rafforzamento del sistema australe in affaccio all’oceano Indiano. Meno importante, anche se significativo per il corridoio del rift meridionale, è il sistema lineare che si sta formando lungo la costa occidentale del lago Niassa, da Karonga a Monkey Bay (Malawi).
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Nostra elaborazione suCenter for international Earth Science Information Network (CIESIN), Columbia University, International Food Research Institute (IPFRI), the World Bank; and Centro Internacional de Agricultura Tropical (CIAT), 2004
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Map 2.1 TRANS-AFRICAN HIGHWAYS – MAIN LINKS
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quante afriche ?
L’impianto sopra descritto cerca di rappresentare l’ambiente urbano che ospita le dinamiche economiche e demografiche del continente al di là dei confini amministrativi, ma anche le condizioni generali entro cui si formano le nuove regole del gioco. Lo stesso impianto mette in discussione le ripartizioni convenzionali consigliate dalla geografia politica contemporanea. Questa, utilizzata con eccessiva semplificazione dalle Nazioni Unite (Un) e da altre istituzioni internazionali nei periodici rapporti sullo stato economico-sociale, divide l’Africa in cinque macro regioni ‘cardinali’: nord18, est, ovest, centro e sud. Africa del Nord Secondo questa suddivisione l’Africa del Nord lascia alle sue spalle la fascia sahariana, si affaccia al mediterraneo e all’atlantico e, seguendo il corso del Nilo con la densa urbanizzazione lineare di Egitto e Sudan, si dirige verso il lago Vittoria. Il Sud Sudan, stato di nuova formazione, ne verrebbe ora escluso perché gravita verso l’Africa centro-orientale, in particolare verso l’Etiopia sud-occidentale, l’Uganda, il Kenya, la Repubblica Democratica del Congo e la Repubblica Centroafricana. Se si esclude il Sudan (prima della divisione19), il tasso di crescita demografica di questa macro-regione è in diminuzione, mentre cresce il tasso di urbanizzazione. Dagli anni ’70 agli anni ’80 quest’ultimo tasso è raddoppiato e ciò non tanto per le capacità di attrazione delle basi economiche delle principali città, ma soprattutto a seguito delle variazioni nei regimi di proprietà fondiaria che hanno influito sugli scambi urbano-rurali già sotto stress per ragioni geografiche e climatiche. In diversi paesi queste ‘innovazioni’ hanno reso più facile la conversione dei suoli da agricoli ad edificabili, rendendo l’edilizia pro-ciclica e favorendo la formazione di nuovi ‘regimi urbani’. Si tratta di regimi particolari in cui si mescolano interessi nazionali e internazionali, moderni e consuetu-
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dinari. La gestione delle regole dell’urbanizzazione viene affidata più che alla retorica del piano a processi locali di negoziazione ‘politica’. Il piano viene spesso ridotto ad esercizio linguistico per stare alle regole del gioco e orientare il ‘contatto’ con investitori o donor20. In questi processi i dispositivi consuetudinari seguono strade diverse. In alcuni casi tendono a perdere in efficacia, se non a scomparire del tutto, non riuscendo a produrre sinergie e limitandosi a sfruttare opportunità residue. In altri casi, accompagnano la formazione dei nuovi insediamenti e cercano di mitigare le disuguaglianze sviluppando sistemi di transazione paralleli. Insieme, dispositivi consuetudinari e ‘moderni’ favoriscono tipi di urbanizzazione informale, illeciti di vario genere e corruzione diffusa, con effetti inflazionistici significativi. Nelle principali città di questa macroregione (Rabat, Casablanca, Algeri, Tunisi, ma soprattutto Alessandria, Il Cairo e Khartoum) i prezzi fondiari sono raddoppiati in media ogni tre anni dal 1970 ad oggi. A questa dinamica inflattiva e selettiva hanno contribuito strategie pubbliche di valorizzazione in aree a regime fiscale speciale e di sostegno alla spesa pubblica, politiche di sviluppo di città nuove (new town) e sostegni alla formazione di vere e proprie regioni urbane con conseguente delegittimazione municipale. Nei principali paesi interessati dai recenti sconvolgimenti politici (Egitto, Libia, Tunisia), ma anche in Marocco, dal 1990 sono state avviate politiche per il contenimento dello sprawl suburbano e per ridurre la congestione e i rischi sanitari nei quartieri poveri. Si stima che complessivamente la popolazione degli slum sia diminuita da 21 (1990) a 12 (2010) milioni di unità. Si dice che la Tunisia li abbia eliminati del tutto con partnership pubblico-privato, a fronte della inefficacia dell’approccio top-down. Ma dietro queste statistiche, spesso di dubbia affidabilità e comparabilità, si nasconde quel profondo malessere dovuto a povertà diffusa e a ‘mobilità sociale senza speranza’ che hanno favorito la repentina caduta di vecchi regimi. Nella macro-regione si stanno formando due sistemi transnazionali. Il primo riguarda la regione costiera del Mediterraneo meridionale con la combinazione di turismo, manifattura, attività portuali e logistica. Il secondo sistema si appoggia al corridoio urbano lungo la valle del Nilo, da Il Cairo a Khartoum. Qui si pone ciclicamente il problema dell’uso delle acque Nilo, con ripetute rinegoziazioni delle quote ad uso idrico ed energetico fra Egitto, Sudan del Nord e del Sud, Etiopia. Africa occidentale Dal 2010 al 2020 le città dell’Africa occidentale ospiteranno 58 milioni di persone aggiuntive. A queste se ne aggiungeranno altri 69 milioni nel decennio successivo (2020 – 2030), 79 al 2040 e 84 milioni al 2050. Una crescita demografica intensa e si presume superiore a quella economica che non sembra beneficiare significativamente dell’indotto
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africa occidentale insediamenti densità agglomerazioni ferrovie e corridoi cluster principali dakar accra
petrolifero terrestre e offshore, né dei processi di globalizzazione in corso. Del resto, i paesi dell’ Africa occidentale, alcuni dei quali dotati di ingenti risorse, hanno dimostrato come lo sviluppo si realizzi solo se i meccanismi di distribuzione del reddito prodotto non sono troppo diseguali e solo se contribuiscono a diffondere forme di democrazia non necessariamente appiattite agli standard occidentali. Evidenze diverse indicano che lo sviluppo è una forma essenziale della libertà21 e della emancipazione. Disuguaglianze, povertà diffusa, instabilità interna e conflitti con paesi limitrofi caratterizzano questi paesi causando ingenti flussi migratori interni e verso l’esterno. Questi fattori contribuiscono ad accelerare il divario fra dinamica demografica e disponibilità di risorse alimentari, affidando a ‘regioni urbane’, megacittà e corridoi un difficile compito di riequilibrio. Negli ultimi anni si sono consolidati corridoi di sviluppo urbano est-ovest (annunciati un paio di secoli fa dalle antiche vie dell’oro) che oltre a favorire la crescita di centri urbani un tempo marginali e stagnanti, hanno contribuito a formare vere e proprie ‘città-regione’ (regional city). Se i principali motori (driver) di corridoi e metropoli sono le città maggiori, non sono da sottovalutare dinamiche e strutture interne che favoriscono i mutamenti in corso nelle aree metropolitane e negli stessi corridoi. Dinamiche e strutture dipendono in larga misura da una gestione urbana dei suoli ‘multi-codice’, ispirate a codici inglesi e francesi con il passare del tempo adattati a regole consuetudinarie di impianto patrimoniale. Queste ultime sono state a loro volta modificate da spunti di riforma spesso abortiti, con parziale garanzia dei diritti di possesso, d’uso o di proprietà. Mercati e prezzi dei suoli sono i principali fattori della espansione e della geografia delle formazioni sociali che contribuiscono a consolidare assetti urbani assieme a specifiche forme dell’abitare e del vivere. I processi di riqualificazione urbana e di filtraggio demografico-sociale dipendono più dal mercato immobiliare, e dai suoi cicli speculativi alimentati da capitali interni e internazionali, che dalla mobilità sociale. Non è raro, infatti, rilevare come spinte sociali alla riqualificazione di vaste zone urbane vengano scoraggiate da operazioni immobiliari legittimate da regimi collusivi e piani urbanistici di comodo. Il meccanismo è semplice e rinvia ad una degenere ‘strategia dello spillo’: si interviene con un immobile moderno di volumetria consistente in un’area pivot, appetibile per accessibilità e funzionalità, si attiva un accelerato aumento dei prezzi dei suoli rispetto alle capacità dei residenti, si scardinano gli accordi di assegnazione, leasing o locazione con conseguente espulsione di quote anche consistenti di popolazione. Le aree interessate sono in genere quelle centrali e semicentrali, ma le logiche di corridoio interessano anche i fronti (e le fasce immediatamente contigue) delle principali vie di comunicazione. L’espulsione può essere senza alcuna compensazione o con compensazioni risibili. Non è raro che le procedure di regolarizzazione siano contaminate e ‘tos-
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siche’, oltre che costose per la popolazione interessata. I corridoi generano benefici e costi connessi ai processi di integrazione e condensazione, e determinano squilibri un tempo impensabili. Fa la differenza essere nel raggio di cattura di questi corridoi, essere dentro o fuori. Significa usufruire di benefici dovuti agli accordi regionali per il libero movimento di persone, merci, finanza, comunicazioni. Fra i corridoi più importanti vi sono Dakar-Touba in Senegal, Bouaké-Abidjan in Costa d’Avorio, lungo il golfo di Guinea, Ouagadougou-Bobo-Dioulasso in Burkina Faso, Maradi-Katsina-Kano che connette le regioni centro meridionali del Niger con la Nigeria settentrionale. Fra Burkina Faso e Costa d’Avorio si sviluppa il corridoio di Bobo-Dioulasso, Korogo, Banfora, Ferkessédougu. Africa orientale Il Rift è la dorsale orientale che si estende dal Mar Rosso ai grandi laghi, e ad essa si appoggiano i paesi africani dell’est. Questa regione é la meno urbanizzata del continente, con il 23.5%. Il basso livello del tasso è in parte dovuto alle politiche di controllo dell’urbanesimo, di resettlement e villagizzazione adottate per anni nei paesi maggiori: durante il periodo del Derg in Etiopia e durante l’ujamaa in Tanzania, ma politiche analoghe, anche se meno pervasive, hanno interessato altri paesi. La loro crisi ha contribuito ad invertire la crescita demografica urbana che ora è in aumento. Le due città a tasso di incremento maggiore sono Nairobi e Dar es Salaam, con un 4% annuo, ma si stanno irrobustendo anche sistemi urbani nazionali e sovra nazionali, soprattutto attorno al lago Vittoria. L’espansione di questi sistemi ridimensiona la primacy delle capitali politiche o economiche, ma ha anche ha notevoli effetti sulle performance agricole, in particolare su investimenti, mix colturali e commercializzazione, con variazioni del bilancio fra popolazione e risorse alimentari. L’urbanizzazione aumenta in ragione della geografia di questo bilancio, per l’elevata crescita naturale e per le migrazioni interne crescenti e a più stadi. Come, e forse di più dell’Africa centrale (Sudan incluso, in questo caso), le regioni orientali registrano fenomeni di migrazione forzata (displacement) a causa di conflitti strutturali e congiunturali: i primi dovuti alla riorganizzazione politico-istituzionale interna della fine del secolo scorso, i secondi ai cicli di carestia e agli effetti generati dai cambiamenti climatici molto prima delle segnalazioni IPCC. Questi fenomeni contribuiscono alla formazione di enormi campi profughi, alla crescita di centri secondari contigui e alla creazione di vere e proprie ‘città di rifugiati’. Ciò accade ai confini fra Somalia, Etiopia e Kenya, ma anche ai confini di Tanzania, Ruanda, Burundi e Repubblica Democratica del Congo, fra Sud Sudan e Uganda, fra Sud Sudan ed Etiopia. Lungo questi confini, alle città-presidio formatesi su topografie post-coloniali o in punti strategici dei circuiti pastorali si affiancano insediamenti-buffer, strategici per la gestione delle diaspore
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mombasa, dar es salaam, nairobi, mogadishu
e dei periodici ritorni. Nelle città maggiori, interessate da ipotesi di corridoio continentale, si rilevano condizioni ricorrenti di debolezza strutturale dell’economia, di stress ambientale e di corruzione, ma non è da sottovalutare il ruolo dell’economia dell’aiuto e del turismo. Aiuti e turismo generano attività con logiche in gran parte estranee ai processi di lenta trasformazione delle società tradizionali, con effetti discriminanti e di dipendenza. I relais che rappresentano la connessione di queste attività ‘esogene’ con il resto della società e della economia in genere sono presidi della politica e del settore immobiliare. Questi presidi contribuiscono a distorcere, più di quanto non lo sia già, l’azione dello stato e le stesse politiche delle comunità regionali, come l’ EAC o la SADC (Southern African Development Community). Le regioni che si affacciano all’Oceano indiano, ed in particolare il sistema portuale, giocheranno un ruolo strategico crescente per la nuova centralità di Cina e India. In particolare, Dar es Salaam contende a Durban (South Africa) la primacy demografica sulle coste dell’Oceano Indiano, distanziando città importanti come Mombasa, Mogadishu, Maputo e Porth Elizabeth. Con Durban e Mombasa è una testa di ponte della Southern African Development Community (Sadc). Assieme al porto keniano, é lo sbocco al mare più importante per EAC (il cui sistema urbano si sta sviluppando velocemente soprattutto attorno al lago Vittoria), ma in prospettiva lo sarà anche per l’Africa centrale, e per le regioni meridionali del Sud Sudan e dell’Etiopia. Questi due paesi, ad elevato potenziale, sono rispettivamente in crisi con il Nord Sudan e l’Eritrea e, per il momento, esprimono domande contenute. La coppia Mombasa-Dar es Salaam costituisce il perno centrale della struttura portuale africana orientale che comprende il sistema del Mar Rosso (con Jedda, Port Sudan, Massawa, Assab e Gibuti22) , i porti di Maputo, Durban e Porth Elizabeth in Africa Australe. Durban e Porth Elizabeth sono le ‘finestre’ sull’Oceano Indiano del sistema urbano sudafricano, dello Zimbabwe e del Mozambico meridionale. Africa centrale Ricca di risorse naturali, è forse la regione continentale più contraddittoria e disomogenea per varie ragioni: fra tutte, lo scarso sviluppo e la diminuzione dei redditi-pro capite, la crescita della povertà e delle disuguaglianze, l’aumento della corruzione in una accezione diversa dalle altre regioni continentali. Qui i dispositivi di corruzione si sono formati con gli accordi internazionali di sfruttamento delle risorse sottoscritti dalle nuove élite locali nelle fasi conclusive della decolonizzazione. La popolazione urbana è raddoppiata dal 1990 al 2010, da 23.7 a 55.6 milioni di abitanti, che saliranno a 100 nel 2022, a 112.7 nel 2030, per arrivare a 185.9 nel 2050. L’osservatorio demografico delle Nazioni Unite prevede un’ improbabile inversione del trend di crescita demografica delle città fra il 2020 e il 2030 . Se i trend demografici tendono alla convergenza, le diverse velocità e la disomogeneità geografica non
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sembrano motivare alcun rallentamento. I paesi più urbanizzati sono il Gabon (86%), Sao Tomé e Principe (62.2%), il Congo (62.1%). I meno urbanizzati sono il Chad con il 27%, DRC con il 35.2%, la Guinea Equatoriale con il 39.7%. Tra 2000 e 2010 i paesi che presentano la dinamica dei tassi di urbanizzazione più elevati sono Angola e Camerun con il 9.5 e l’ 8.5%, rispettivamente. Accordi intergovernativi hanno consentito la configurazione di comunità economiche, come la Economic Community for Central African Counties (ECCAC) e la progettazione di corridoi. I più importanti sono il Luanda-N’Djamena (che si distende per 2000 km), il trascontinentale est-ovest con testata a Libreville, ma soprattutto il Brazzaville-Kinshasa (con l’enclave di Cabinda sull’oceano Atlantico), spina dorsale di una mega regione urbana che già ospita 10 milioni di persone. Si tratta della maggiore( per dimensione e crescita) area metropolitana sopranazionale africana (cross border metropolitan area) localizzata sul fiume Congo, in cui si concentrano le principali attività di Congo e DRC. Il potenziale è elevatissimo anche se sottoposto a notevoli vincoli energetici e ambientali. Africa australe Con l’Africa settentrionale, quella australe presenta uno dei tassi di urbanizzazione più elevati. Oggi arriva al 61.7% e supererà il 70% verso il 2020. Con l’eccezione di Botswana, Lesoto e Namibia, il tasso di crescita demografica si sta riducendo dal 9% (media del decennio 2000-2010) al 5.7% (media stimata per il decennio 2040-2050). In questa regione le migrazioni dalla campagna alla città continuano a giocare un ruolo importante nel riequilibrio della crescita naturale. Ma a differenziare questa parte dell’Africa dalle altre (soprattutto dalle regioni francofone o comunque legate alla cultura francese d’oltremare) è il carattere delle disuguaglianze in larga misura connesse con la fine (almeno formale) dell’ apartheid. Le disuguaglianze tipiche dell’apartheid hanno assunto un carattere di classe, perdendo nominalmente quello razziale. Ciò è dovuto principalmente allo sviluppo del neoliberismo, alle diffuse pratiche di deregulation, di privatizzazione e alla influenza economica sul resto del continente. Queste nuove diseguaglianze di classe si accompagnano ad un drastico peggioramento relativo delle condizioni sanitarie nei segmenti più vulnerabili della popolazione (diffusione di Hiv, colera, ecc.) e ad un significativo peggioramento nella erogazione di servizi in città importanti come Maputo, Luanda, Harare e Lusaka. Nella prospettiva neoliberista si possono collocare le politiche fiscali, i recenti sporting event, i city network del protocollo post-Kyoto sui cambiamenti climatici e alcune opere infrastrutturali d’immagine come il Pretoria-Johannesburg Gau Train che, com’è noto, by-passa le ‘pericolose’ township.
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primacy e armature urbane
Nel continente si sta formando una struttura urbana composta da mega-city, regioni urbane, corridoi e ‘porte’ logistiche costiere che tendono a modificare il ruolo delle Comunità regionali, di organizzazioni internazionali come Oau, Un-Eca, delle banche a raggio d’azione continentale. Contemporaneamente cambia anche il peso dell’Africa negli organismi internazionali in modo diretto e indiretto (via accordi bilaterali). Si tratta di fattori che contribuiscono a modificare le regole del gioco, come detto in apertura, e che qualificano in modo specifico la transizione urbana. Infatti, la transizione demografica si accompagna ad una ancor più rapida transizione urbana ancorata a questi processi. Un-Habitat23 rappresenta questa transizione con un approccio prevalentemente descrittivo che cercheremo di arricchire con considerazioni qualitative. In primo luogo la transizione si presenta diversificata. Se è vero che per il 2030 la maggior parte della popolazione africana vivrà in città, non è scontato che i sistemi urbani presentino le stesse caratteristiche, né che sia uniforme la presenza di slum o di insediamenti informali, così come la diffusione delle disuguaglianze, della povertà e del deficit amministrativo. Ciò è dovuto principalmente alla dotazione di risorse appetibili al mercato internazionale, ma anche all’evoluzione politica di questi sistemi e ai nuovi profili delle basi economiche anche a seguito di un decisivo sviluppo dell’istruzione. Megacity di dimensione ‘critica’ caratterizzeranno le diverse Afriche, città regioni e corridoi contribuiranno a formare megaregioni urbane, basate su connessioni fra città e relazioni più strette fra paesi. Le configurazioni, prima ancorate a singole città, ora derivano da sistemi regionali integrati e da comunità transnazionali. Sistemi e comunità non si formano in modo spontaneo, ma derivano da scelte politiche, economiche e infrastrutturali. Le prime favoriscono nuovi regimi di governance transfrontaliero (trans-boundary governance regime) che in alcuni casi mettono in crisi equilibri nazionali, con
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incursioni di capitale straniero secondo logiche di scambio ‘patrimoniale’ in cui prevale ancora la componente reale dell’economia rispetto a quella finanziaria. Si producono così nuove competitività e opportunità di investimento. Le scelte infrastrutturali riguardano principalmente i trasporti (strade e porti), l’acqua e l’energia. Questa configurazione mette in discussione il tradizionale concetto di primacy delle città più importanti, siano esse capitali politiche o economiche. Con questo concetto si riconoscono città di dimensioni demografiche cospicue relativamente alle altre nel sistema urbano nazionale come relais di scambio internazionale, luogo di produzione di consistenti quote del reddito nazionale lordo (dal 20 al 50%), ma anche potenti dispositivi di prelievo netto e di assorbimento della spesa pubblica. A parità di performance, la primacy assume significati diversi a seconda della estensione degli stati nazionali di riferimento e dei loro caratteri geografici, della densità demografica e del tasso di urbanizzazione. Limitatamente alle agglomerazioni di 1° rango con più di 3 milioni di abitanti nel 2010 , le colonne G, H e I della tabella che segue qualificano la primacy: G come quota della popolazione urbana del paese di appartenenza, H relazionando la stessa quota al rapporto fra popolazione totale e popolazione urbana, I standardizzando la quota alla densità territoriale media. Il significato di G è chiaro. H tiene conto del tasso di urbanizzazione (e il reciproco dello stesso), mentre I standardizza G con la densità demografica del paese. In altre parole, si ritiene che il valore e il significato della primacy dipendano non soltanto dalla quantità di popolazione che abita nella agglomerazione di 1° rango rispetto alla popolazione urbana totale, ma anche dal tasso di urbanizzazione e dalla densità territoriale con cui si distribuisce la popolazione in un paese. Tasso di urbanizzazione e densità sono correlati con l’importanza del sistema urbano e delle eventuali gerarchie. agglomerazioni
A B Superficie Popolazione agglomerazione kmq paese
2010 (in 000) Il
Cairo
(in 000)
C Popolazione totale paese
Fonte: United Nations, 2010, World urbanization prospects. The 2009 revision, Desa, New York. La popolazione é stimata al 31.12.2009. Dal cluster delle prime 13 agglomerazioni sono escluse Alessandria (2° rango), Cape Town (2° rango), Kano (2° rango) ed Ekurhuleni (3° rango). Nostre elaborazioni sulla primacy. I dati del Sudan si riferiscono al periodo precedente la scissione fra Nord e Sud. Primacy, densità e urbanizzazione (limitata alle città di 1° rango nazionale nelle 13 agglomerazioni con più di 3 milioni di abitanti al 2010) Ordinamenti su G,I,H (con reciproco del tasso E) e H2 (G/E*100)
H1 D E F G Densità Primacy in % G/Er Popolazione Tasso di urbana paese urbanizzazione demografica reciproco (in % e reciproco)
(in 000)
(in 000)
(D/C)
(C/B)
(A/D)
H2 (G/E)
I (G/F)
*100
*100 36.6
11.001
1.000
83.000
36.105
43.50 (2.3)
83
30.4
13.2
69.9
10.578
924
154.700
77.041
49.80 (2.0)
167
13.7
6.8
27.5
8.2
Kinshasa (Drc)
8.754
2.345
66.000
23.245
35.22 (2.8)
28
37.7
13.5
107. 0
134.6
(Egitto)
Lagos
(Nigeria)
Khartoum
5.172
2.506
42.300
17.320
40.10 (2.5)
17
29.9
11.9
74.6
175.9
Luanda
4.772
1.247
18.500
10.823
58.50 (1.7)
15
44.1
25.9
75.4
294.0
Abidjan
4.125
322
21.100
10.668
50.56 (2.0)
65
38.7
19.3
76.5
59.5
Johannesburg
3.670
1.226
50.100
30.912
61.70 (1.6)
41
11.9
7.4
19.3
29.0
Nairobi
3.523
583
38.900
8.628
22.18 (4.5)
67
40.8
9.0
180.7
60.9
Dar es Salaam
3.349
945
43.700
11.528
26.38 (3.8)
46
29.1
7.6
110.3
63.3
Casablanca
3.284
447
32.000
18.637
58.24 (1.7)
72
17.6
10.3
30.2
24.4
(Sudan)
(Angola)
(Costa d’ Avorio) (Sud Africa) (Kenia)
(Tanzania) (Marocco)
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Gli ordinamenti variano a conferma dell’importanza dei fattori di standardizzazione. E’ interessante notare la stabilità della agglomerazione di Luanda su G, I e H1. Il concetto di primacy finora discusso perde tuttavia gran parte del suo significato se il riferimento si allarga a regioni transnazionali. In questa ottica assume importanza diversa anche la crescita delle città secondarie e terziarie, la cui soglia demografica cambia con i livelli di urbanizzazione media. E’ questo segmento urbano che ridisegna i rapporti urbano-rurali e può modificare anche in modo sostanziale i meccanismi di prelievo del surplus agricolo netto se accompagnato da opportune riforme amministrative e fiscali. La coerenza fra varietà socio-culturale dei contesti e carattere federalista della riforma può creare in molti casi condizioni favorevoli al rafforzamento di questo segmento. Alcune riforme giungono a riorganizzazione i confini amministrativi e i modelli di amministrazione della città. Gli approcci sono diversi e vanno dalla dilatazione dei confini (come ad Harare) alla istituzione di metropolitan council (Accra, Kumasi, Dar es Salaam) fino a più complesse ipotesi di governance frammentata (un ossimoro si direbbe) o a forme disgiunte di governance funzionale e spaziale. Al di là dei problemi di ingegneria istituzionale, la gestione dei confini genera opportunità, ma anche conflitti fra autorità locali, amministrazioni urbane e rurali, regole consuetudinarie e moderne. Il contributo delle città secondarie e terziarie alla crescita del Pil continentale sembra decisivo24: ciò avviene dal 2005 ed é confermato da proiezioni positive. Queste città contribuiscono anche alla crescita della domanda interna e alla stabilità politica. La correlazione fra sviluppo e stabilità politica fa, inoltre, emergere una nuova classe media25 che appiattisce in certa misura le disuguaglianze e contribuisce allo sviluppo del capitale umano (riduzione del brain-drain). Questi processi presentano discontinuità e significative differenze geografiche. Nelle città africane del nord sembra si registri una tendenziale riduzione di slum e informalità, contro un aumento in africa sub-sahariana. Fonti Un dicono che da 2000 al 2010 nel Nord Africa la popolazione residente in slum è diminuita dal 24 al 13% (Egitto, Marocco e Tunisia), mentre si è ridotta del 5% nelle regioni sub-sahariane. Questa riduzione dovrebbe corrispondere ad un miglioramento della qualità della vita (condizioni abitative, istruzione, consumi non alimentari e risparmi), ma le contraddizioni fra i fattori che la determinano possono alludere ad un diverso concetto di slum e di informalità. Se slum, illegalità e instabilità appesantiscono lo stigma dell’informale con il decisivo contributo delle amministrazioni, dell’informale non si possono tuttavia ignorare gli insegnamenti. Oltre a dare speranza, esso consente sperimentazioni sociali anche originali (filtering up e down) ed evidenzia come la formalizzazione non sia di per sé cosa buona specie
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quando omologa e diffonde meccanismi di sfruttamento26 e di corruzione27. La pianificazione è spesso vittima di questi meccanismi, quando non si coniuga a pratiche comunitarie.
agglomerazioni urbane 2005-2025 (000) world urbanization prospects, the 2009 revision, DESA, united nations new york, 2010(*stima)
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paradossi
Le disuguaglianze aumentano con la disponibilità di risorse Le regioni con consistenti risorse sfruttate e potenziali registrano le disuguaglianze e i prelievi maggiori da parte di élite locali, di fondi sovrani e multinazionali. La mappa dell’indice di Gini è significativa in proposito, ma potrebbe esserlo ancor più quella dei conflitti. Anche se solo parzialmente comparabili, le disuguaglianze urbano-rurali tendono a crescere più di quelle infra-urbane. Diverse sono le ragioni: in campagna, le modifiche del mercato del lavoro e dei meccanismi di gestione e accesso alla terra conseguenti alle politiche di concessione e di liberalizzazione; in città la coesistenza di circuiti economici segmentati e solo in parte connessi. All’interno di questi circuiti funzionano dispositivi specifici di produzione e allocazione delle risorse con variabile effetto sinergico. Gli effetti moltiplicativi degli investimenti stranieri sono minori di quelli locali La quota di prelievo per unità di investimento straniero si mantiene mediamente elevata. Tende a ridursi rispetto al passato ciclo di aiuti bilaterali e multilaterali, mentre cresce per altri tipi di investimento: fra tutti, quelli ‘chiavi in mano’ che creano ‘nicchie’ temporanee e quasi autosufficienti. Gli effetti moltiplicativi su investimenti e occupazione sono limitati, ma lo sono anche quelli accelerativi sui consumi. Gli investimenti stranieri fanno crescere piuttosto che diminuire le disuguaglianze e distorcono i meccanismi di sviluppo endogeno già vulnerabili alla concorrenza dei paesi asiatici e alle regole del commercio internazionale. Nei casi di successo si rileva una particolare attenzione al contesto locale e alle catene di effetti con redistribuzione di quote significative dei profitti, creazione di indotto produttivo e servizi alla popolazione. Rare sono le partneship tra pubblico e privato28 in grado di garantire un sistema efficiente per la riscossione delle ‘royalties’ sullo sfruttamento
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investimenti e debito
risorse e disuguaglianze
bilancio migratorio
urbanizzazione e deficit alimentare
coesione e omologazione
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di petrolio, minerali e altre risorse. La gestione dei proventi derivanti dal petrolio o da altre risorse strategiche potrebbe essere affidata a fondi sovrani. Ma si ripresenta il problema della loro amministrazione. Potenzialmente sarebbero in grado di alimentare spese correnti che figurano nei bilanci annuali dello Stato, investimenti per progetti infrastrutturali mirati, fondi a lungo termine, accantonati per le generazioni future, o dispositivi di welfare (pensioni, ammortizzatori sociali e simili). Un altro aspetto importante è la capacità tecnica di stipulare contratti vantaggiosi per governi e popolazioni locali. Va ricordato che circa il 60% dei capitali illeciti esportati dal continente proviene dall’evasione fiscale o da fatturazioni gonfiate. Maggiori sono gli investimenti stranieri, maggiore è il debito dello stato L’ipotesi non sembra plausibile in termini assoluti (o lo è solo certi casi), ma se si testa su valori standardizzati alla popolazione urbana emerge quel circolo vizioso che ‘incanta’ i sostenitori dell’abolizione del debito. A parità di spese militari, la riduzione degli investimenti stranieri dovuta alla crisi attuale comporta minore cofinanziamento (una componente ‘rigida’ della domanda interna) e comprime il debito pubblico. Questa riduzione sarà tanto più benefica quanto minore è il deficit della bilancia commerciale e dei pagamenti, quanto maggiore è la capacità di copertura del valore delle importazioni e quanto meno esposte ai prodotti tossici sono le banche nazionali. Emigrazione e importazione di manodopera Nonostante gli elevati livelli di disoccupazione che motivano consistenti flussi in uscita, molti paesi importano manodopera ‘a progetto’ e forza-lavoro in cerca di impiego. I flussi in uscita riguardano soprattutto i segmenti di popolazione a ridosso della classe media in formazione (i più istruiti, con le reti solidaristiche più agguerrite e sperimentate e con un po’ di capitale di rischio messo da parte), mentre quelli in entrata sostituiscono chi è uscito, anche a scapito di standard minimi, o competono con chi rimane soprattutto in città. L’effetto città è maggiore dove l’urbanizzazione è minore e questa è debolmente connessa alle basi economiche Questa ipotesi matura nella discussione sulla primacy come esito di specifici processi di urbanizzazione connessi alla struttura economica di singoi paesi o di regioni continentali. Dove l’urbanizzazione si finanzia con meccanismi di prelievo fiscale o commerciale (termini di scambio urbano-rurali), con rimesse o debito pubblico le basi economiche stentano a svilupparsi. Con scambi urbano-rurali più equilibrati tendono a formarsi sistemi urbani meno gerarchizzati e città intermedie dinamiche. Va tuttavia sottolineato come l’urbanizzazione non coincida con l’effetto città.
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L’ ‘effetto città’ può essere avvertito in una metropoli così come in un mercato settimanale periferico, localizzato in posizione baricentrica rispetto ad attività e insediamenti dispersi. Come esperienza individuale, l’effetto è tanto maggiore quanto più efficace è la risposta a bisogni e aspirazioni che non trovano soddisfazione in campagna. La città è ‘avvertita’ nel paniere di consumo e di investimento delle famiglie e delle imprese (nei prodotti della città) e in questa prospettiva si rafforza anche nelle conurbazioni maggiori. Ma per questa ragione la città non può essere ridotta ad agglomerato di capitale fisso, né come dispositivo per l’attivazione di quello mobile. Intesa in questo modo, è strutturalmente parte di sistemi economici, politici e sociali più vasti, si misura con l’integrazione internazionale (commerciale, finanziaria). Resta il problema di come tenere insieme queste due concezioni per meglio comprendere disuguaglianze e rischi. E’ opinione diffusa che l’Africa tragga benefici dall’urbanizzazione e dal rapido sviluppo delle città. Insieme, questi processi contribuiscono ad accelerare l’industrializzazione che, nei paesi a più elevato livello di istruzione, possono assumere forme di outsourcing. Oggi, il 40% della popolazione del continente vive in città contribuendo all’80% del PIL. Si tratta di un dato medio, già discusso in precedenza, che nasconde differenze regionali significative. In molti paesi l’urbanizzazione si regge su drastiche forme di prelievo del surplus agricolo e sulla sovra-tassazione di risorse naturali e povertà; in altri, si regge su scambi diseguali fra città e campagna; in altri ancora su sistemi urbani con variabili gradienti di primacy; in pochi, su tentativi di globalizzazione. Le sperimentazioni che ipotizzavano la campagna vincente sulla città sono ormai un lontano ricordo, anche se i problemi alimentari prodotti da discutibili politiche agricole, energetiche e fondiarie consigliano un diverso approccio. Una correzione di tiro è auspicabile sia sul versante del finanziamento della urbanizzazione, sia sullo sviluppo rurale. Sul primo versante l’agenda riguarda i prelievi, ma anche la spesa pubblica, gli investimenti stranieri e le nuove dipendenze, lo sviluppo di economie locali e di città secondarie; sul secondo, l’agenda propone il cosiddetto ‘sviluppo rurale non agricolo’ (attività artigianali e di servizio alla produzione), ma anche un atteggiamento più critico rispetto ai contratti di sfruttamento, concessione e commercializzazione entrati nella cronaca mondana del land grabbing29. Dove l’urbanizzazione è minore, maggiore è il deficit alimentare All’aumentare del tasso di urbanizzazione di una regione aumenta la sua capacità di acquistare risorse alimentari, anche a lunga distanza. Ma, al netto dell’importazione, il bilancio fra popolazione e risorse in queste regioni tende ad essere positivo per diversi fattori, fra tutti lo sviluppo di reti commerciali, l’aumento medio delle rese post-raccolto,
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l’ottimizzazione dei mix colturali e di allevamento. Strategica è la tutela di mix colturali e biodiversità in grado di affrontare il rischio. Non è raro rilevare che dove è maggiore il deficit alimentare, maggiore è il tasso relativo di prelievo del surplus agricolo, sia con modalità dirette (accantonamenti obbligatori), sia mediante i prezzi relativi che caratterizzano i termini di scambio urbano-rurali30. Questi termini sono influenzati dall’urbanizzazione e possono contribuire al deficit alimentare più delle oscillazioni degli indici di sviluppo vegetativo e delle rese colturali unitarie. Il circuito finanziario moderno distrugge quello tradizionale Il successo del micro-credito31 è una conferma del fallimento del sistema bancario nell’aiutare i più poveri, della sua scarsa legittimazione nei processi di mobilizzazione dei risparmi, ma soprattutto la prova che il circuito finanziario moderno distrugge quello tradizionale32. La ‘moneta buona’ in questo caso è quella meno simbolica, quella che si fida dell’altro; quella cattiva è la più astratta, che non sa che farsene della fiducia33. Molti dispositivi tradizionali, nati nel mondo rurale, si sono affermati nelle città e nelle metropoli del continente, trasversalmente alle classi di reddito e ai ceti sociali, contrapponendo ai regimi immobiliari più forti e conniventi, circuiti e reti diffusi che generano capitale sociale. Questo capitale, estraneo ad ogni bilancio e stima monetaria, può diventare il collante di comunità, ma anche una reale opportunità di relazione fra circuiti poco connessi. Corridoi transnazionali: opportunità di coesione economico-politica e omologazione ‘ambientale’ Il sistema Trans African Highway (TAH) prevede nove corridoi principali per una lunghezza complessiva di 59.100 km. Il progetto iniziale dei primi anni ’70 suggerisce una rete stradale continentale che connette le capitali africane, con l’obiettivo di migliorare l’accessibilità ad importanti aree di produzione (soprattutto mineraria, ma anche della nuova agricoltura commerciale o in concessione), di consumo (aree urbane), logistiche (porti) e di commercio. Il sistema avrebbe dovuto contribuire a ridurre i costi di trasporto (oggi elevati non soltanto per la qualità delle vie di comunicazione, ma anche per i controlli e le procedure di confine), a migliorare la coesione e l’integrazione politica, economica e sociale del continente34. Il progetto, che pone al centro la variabile “tempo”, si configura come un compromesso in cui le risorse finanziarie disponibili verrebbero utilizzate per migliorare la rete stradale contigua ai principali centri urbani e di produzione, lasciando in secondo piano l’accesso tra capitali e la geografia delle conurbazioni. Un quarto della rete è rimasta incompiuta e il costo per completarla era stimato attorno ai 4,2 miliardi di dollari all’inizio degli anni ’80. Non si dispone
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di valutazioni di impatto territoriale integrato per partizioni di rete, ma i tracciati rivelano uno scarsa sensibilità alla tutela di ambienti ad elevato valore naturalistico che costituiscono una delle maggiori risorse del continente. Quasi del tutto ignorato è il trasporto ferroviario, l’ultima delle priorità dopo strade, telecomunicazioni ed energia. Questa modalità di trasporto merci e passeggeri a torto viene ritenuta costosa e non meritevole di attenzione, soprattutto in relazione allo sviluppo dei porti, alla poderosa crescita della domanda di imprese e popolazione, all’approvvigionamento alimentare e agli intensi processi di urbanizzazione. Se si escludono alcune regioni dell’Africa del nord e australe, le condizioni operative delle ferrovie sono pessime e in costante peggioramento (particolarmente in Sudan, in Etiopia e in Tanzania). In molti casi si sta addirittura procedendo con immotivate dismissioni di tracciati, sedimi e preziose aree di interscambio in località centrali35.
Vittoria del caos? L’esplosione delle metropoli e delle mega-metropoli africane pone cruciali problemi di governo e di governance. Si tende, in genere, a considerare il secondo modello (la governance) un superamento del primo per la crescente difficoltà delle amministrazioni statali, regionali, distrettuali, metropolitane o municipali di stare al passo con i cambiamenti. In realtà, la questione potrebbe essere affrontata in modo diverso, almeno per due ragioni. La prima rinvia alla sterilità analitica del binomio ‘tradizione/modernità’. Le dinamiche di questo rapporto rendono spesso irriconoscibili l’una all’altra, configurando forme di intersezione inedite dal punto di vista politico-istituzionale. Non va comunque sottovalutata la forza delle istituzioni moderne nel favorire l’estinzione di quelle tradizionali. La seconda ragione riguarda l’efficacia dei modelli di gestione. Estremizzando il trade-off fra autoritarismo e stabilità politico-sociale, ci si chiede se modelli paternalistico-autoritari non possano prendere il sopravvento su quelli caotici o tali solo in apparenza; se i primi non richiedano forme politico-istituzionali tipiche delle città-stato (come nel caso di Singapore) e se i secondi non tendano ad assumere la mutevole forma di ‘galassie di comunità’ ancorate ad una rete infrastrutturale primaria, ma autoamministrate al loro interno. Fra i due estremi prendono forma modelli ibridi il cui funzionamento è leggibile nelle deformazioni degli assetti spontanei indotte dai regimi urbani e dai blocchi di potere sottesi. Queste deformazioni passano per politiche di riqualificazione o rifunzionalizzazione della città dietro la copertura di piani, programmi, progetti o politiche. In realtà, si limitano ad aggiornare l’operatività dei regimi e la geografia della speculazione immobiliare.
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note 1 G Arrighi, 2007, Adam Smith a Pechino. Genealogie del ventunesimo secolo, Feltrinelli, Milano (in particolare il cap. IV). Il leader in pectore cinese Xi Jinping nel 2009 in Messico sfida l’Occidente, ed in particolare gli Usa, sostenendo che la Cina non esporta più rivoluzioni, carestie, miseria o guerre. In Africa esporta capitali, manodopera e prodotti che già configurano cambiamenti sistemici. 2 Illusorio, come vedremo in seguito, è anche il rapporto fra indice di sviluppo umano (HDI) e urbanizzazione. 3 L C Smith, 2011, The World In 2050: Four Forces Shaping Civilization’s Northern Future. Il paragone con i lavori di J Diamond sembra eccessivo. 4 Nel dibattito sui cambiamenti climatici planetari si sottovaluta spesso quanto da tempo accade in Africa sub-sahariana, lungo la valle del Nilo, nei deserti australi e negli ecosistemi centrali. Fra i ‘sensori’ più importanti va ricordata l’avanzata del fronte desertico verso sud, un suo ritorno alla fascia delle ‘dune fossili’ in Mauritania, Mali, Niger, Chad e Sudan con abbandono di insediamenti, migrazioni forzate ed eco-profughi, ma anche con modifica degli equilibri geopolitici interni e con i paesi limitrofi. Un altro sensore, connesso al primo, è la progressiva scomparsa del lago Ciad a cui si accompagna un rinnovato ciclo di tensioni sulle gestione delle acque degli enormi bacini dei fiumi Niger e Nilo. Diffuso, anche se peculiare per storia e culture, è il conflitto crescente fra agricoltori sedentari e allevatori, ma anche fra gli stessi allevatori per la gestione dei pozzi d’acqua e dei pascoli. Un sensore ancor più preoccupante è la riduzione dell’impiego dei drought resistant crop (cereali resistenti alla siccità) nei mix colturali tradizionali rispetto alla modernizzazione dell’agricoltura. E così via. Limitarsi a parlare di innalzamento del livello del mare e rischi costieri, di aumento del numero di eventi catastrofici e di disponibilità idriche sembra riduttivo e lontano da un discorso efficace sulle Afriche. 5 La difficoltà in questo caso sta nella previsione degli shock dovuti alla tossicità del rapporto fra economia reale e finanziaria, ma soprattutto perché (come ci ricorda U Beck quando parla di ‘società mondiale del rischio’) oggi non è possibile
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costruire uno scenario del futuro desumendolo dal presente, vedi U Beck,’La crisi del capitalismo’, La Repubblica, 6/2/2012. L’autore ritiene che il collasso sia un fenomeno immanente al sistema del capitalismo mondiale del rischio, e che le conseguenze di questo collasso siano incalcolabili e non indennizzabili. 6 Sarebbe sbagliato considerarle ‘terre di nessuno’. La stessa Somalia meridionale (ex Somalia italiana) è un luogo in cui si intrecciano poteri e interessi di vario genere, legali e illegali, anche dei paesi contigui come il Kenya e l’Etiopia. 7 United Nations, 2010, World urbanization prospects. The 2009 revision, Desa, New York. Vedi anche Atlas de l’Afrique di S Smith e C Levasseur e l’ Atlas de la population mondiale di P Gilles. 8 Dal 2010 il tasso di crescita della popolazione urbana tende ad aumentare rispetto al periodo 1950-2010. 9 Nel mondo la fecondità é in lenta diminuzione, mentre aumenta rapidamente l’invecchiamento demografico. L’Africa è ancora una eccezione a questa regola e lo sarà per molti anni ancora. 10 United Nations, 2010, cit. Anche se riviste, queste stime tendono a sottovalutare sia la popolazione presente che quella residente. 11 Le agglomerazioni sono un’evoluzione della città sia in termini strutturali che gestionali. Si formano per aggregazione di insediamenti e di municipalità contigui e creano le condizioni per processi di metropolizzazione e di configurazione di vere e proprie regioni urbane. Queste possono assumere caratteri transnazionali anche in ragione dei contesti geografici in cui si sviluppano. 12 Vedi L C Smith, 2011, The World in 2050, University of California, LA. 13 Il coefficiente misura la disuguaglianza di una distribuzione. Utilizzato come indice di concentrazione per rappresentare la disuguaglianza nella distribuzione del reddito e dei consumi, varia nel dominio 0-1, con equidistribuzione pari a 0 e 1 massima concentrazione. 14 Parte del capitolo sui sistemi urbani transnazionali è tratta con aggiornamenti da D Patassini, ‘Specchi africani’, Equilibri 1/2006, pp. 121-128. 15 Vedi K Pallaver, 2008, Lungo le piste dell’Africa. Commerci locali e strategie imperiali in Tanzania (secoli XIX-XX), Carocci Editore, Roma. 16 B Davidson, 1997, La civiltà africana. Introduzione a una storia culturale dell’Africa, Einaudi, Torino. 17 Mwanza é la quarta città della Tanzania con porto sulle rive sud-orientali del lago Vittoria. Al confine con l’Uganda a nord-ovest e con il Kenya a nord-est, la città é un punto di transito e commercio importante fra Tanzania e paesi limitrofi della Eastern African Community (EAC). Le aree agricole attorno a Mwanza producono tè, cotone, caffé e grosse quantità di cash crop attraversano questi territori per finire nelle zone di mercato interne e della costa. Questa notazione è solo esemplificativa ed evidenzia non soltanto come si sta formando l’enorme conurbazione transnazionale del lago Vittoria, ma anche il ruolo che in questo processo assumono le città intermedie. 18 All’Africa del Nord appartiene anche il Sudan, oggi suddiviso in due stati. 19 Il paese ancora unito registrava un tasso di crescita annuale pari al 4.3%. 20 Il tema é trattato in ottica valutativa da D Patassini, ‘Looking inside the Plausibility of Contact in Aid Programmes and Partnerships’, in A Khakee, A Hull, D Miller, J Woltjer (ed), 2008, New Principles in Planning Evaluation, Ashgate Aldershot. 21 A Sen, 2000, Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, Mondatori, Milano.
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22 A differenza di Jedda, i porti sulla costa africana soffrono dall’inizio degli anni ’90 la crisi fra Eritrea ed Etiopia e il disordine nella ex Somalia Italiana. 23 Vedi UN-Habitat, 2008, The state of African cities 2008. A framework for addressing urban change in Africa, Nairobi; UN- Habitat, 2010, The state of African cities 2010. Governance, inequality and urban land markets, Nairobi. Vedi anche UN- Habitat, 2011, State of the World cities 2010/11. Bridge the urban divide, Earthscan, London-Nairobi; UN-Department of Economic and Social Affairs, Population Division, Population Estimates and Projection Section, World urbanization prospects: the 2009 revision (on line). 24 Mancano statistiche affidabili in proposito, ma casi studio nazionali a supporto dei programmi di sviluppo urbano e di lotta alla povertà nelle città sembrano confermare l’ipotesi. Per esperienza personale, l’autore ritiene l’ipotesi plausibile in Etiopia e Tanzania. Nel primo caso per gli effetti della riforma federalista realizzata alla fine del secolo scorso, nel secondo per il potenziale dei cluster urbani. Per quanto concerne la Tanzania, vedi D Patassini, Dar es Salaam Metropolitan Area (Desma) within the National Urban System and the East African Community, Dossier on Scenarios and Issues, Draft of a new master plan for Dar es Salaam City 2010-1030, The United Republic of Tanzania, Ministry of Lands, Housing and Human Settlements Development. 25 Diversi sono i processi di formazione della classe media in Africa. Ai processi di tipo amministrativo-militare se ne accompagnano altri legati al commercio domestico e internazionale, alla crescita del terziario, allo sviluppo dell’istruzione e delle tecnologie di comunicazione. Vedi, in proposito, Mthuli Ncube, 2011, The Middle of the Pyramid: Dynamics of the Middle Class in Africa, MISNA, Tunisi. Secondo l’autore, la classe media africana raggiungerebbe i 300 milioni di abitanti. Nel 1990 ne contava 135, nel 2000 quasi 200. La stima è ottenuta da una indagine sulle abitudini di consumo familiari condotta dalla Banca africana di sviluppo in 14 paesi. La classe media è definita sulla base di criteri imprenditoriali e consumistici (con evidente sottovalutazione di quelli culturali e politici), come la propensione ad avviare attività d’impresa, ad acquistare un’automobile, un frigorifero o beni di importazione. Così definita, la classe media crescerebbe del 3,1% l’anno a fronte di un’espansione demografica media continentale del 2,6%. Si tratterebbe comunque di un segmento sociale vulnerabile alle congiunture politiche ed economiche. Un fattore critico è rappresentato dal crollo dei sistemi di governo, esemplificato di recente dalla crisi della Costa d’Avorio. C’è da chiedersi se la classe media non abbia nulla a che vedere con l’instabilità politica: una prova della esistenza di questa classe potrebbe derivare dal suo ruolo attivo, mentre una prova contraria dalla sua passività. Un altro fattore critico è rappresentato dall’inflazione, in particolare dagli aumenti dei prezzi dei generi alimentari di base o da forti rincari della benzina e dei costi di trasporto. Anche in questo caso l’esistenza di questo segmento va testata nella logica degli eventi. Sono, infatti, le reazioni agli stimoli del mercato o a specifiche politiche economiche ad evidenziare se si stia formando o meno una classe media, fra le altre. Le recenti tensioni sociali e le proteste di piazza in Uganda e Botswana registrano con quanta rapidità si diffondono le informazioni e come queste influenzino i prezzi. Un discorso simile vale in ambito politico. I rivolgimenti in Tunisia, Egitto e Libia evidenziano come alcuni gruppi stiano imparando a organizzarsi in modo autonomo e a usare le nuove tecnologie auspicando uno sviluppo economico inclusivo, in cui la richiesta di lavoro si accompagna alla richiesta di giustizia. La classe media vive in città, è più informata, è connessa a internet. Per natura, è portata a chiedere democrazia. Il suo peso economico e politico tende ad aumentare con il rafforzamento dei sistemi urbani e i processi di metropolizzazione. 26 M Davis, 2006, Il pianeta degli slum. Feltrinelli. 27 Il cosiddetto informale non è esente da fenomeni di corruzione soprattutto nella gestione dei suoli e nella assegnazione dei lotti, ma questi fenomeni sono inezie rispetto al resto. 28 Un esempio positivo sembra essere Debswana, la società diamantifera frutto dell’accordo tra il gruppo sudafricano De Beers e il governo del Botswana. 29 Un aggiornamento sul tema é fornito da International Conference on Global
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Land Grabbing organizzata da Land Deals Politics Initiative (LDPI), in collaborazione con il Journal of Peasant Studies il 6-8 Aprile 2011 presso Future Agricultures Consortium, Institute of Development Studies, University of Sussex. La letteratura sul tema sembra aumentare proporzionalmente alle stipule dei contratti . 30 Worldwatch Institute, 2011, State of the world 2011. Nutrire il pianeta. Edizioni Ambiente, Milano. Il rapporto restituisce due anni di ricerche sul campo in 25 paesi africani e dimostra come, unendo le tradizioni locali e la biodiversità colturale a innovazioni tecnologiche come l’irrigazione a goccia o la coltivazione sui tetti, si possa prevenire il rischio e produrre cibo in abbondanza nel rispetto dei suoli locali e degli ecosistemi globali. Un approccio che attribuisce alle comunità più povere del pianeta, e alle loro ricche culture, la chiave per vincere la fame nel mondo. 31 Dai primi passi della Grameen Bank di Younus il microcredito si è diffuso in tutto il mondo e non soltanto nei paesi poveri. Molte forme di microcredito tradiscono lo spirito iniziale o si limitano ad imitazioni formali con esiti discutibili. 32 Un discorso a parte meriterebbero i sukuk. I sukuk (plurale di sakk, obbligazione monetaria) sono certificati di investimento conformi alla sharia, la legge islamica tradizionale, che proibisce il prestito a interesse. Per la finanza islamica si possono considerare come l’equivalente delle obbligazioni. A differenza delle obbligazioni, i sukuk devono corrispondere ad un progetto determinato, di solito un progetto immobiliare o infrastrutturale. Quindi, mentre un’obbligazione convenzionale è una promessa di ripagare un debito, i sukuk sono costituiti della proprietà di una quota-parte di un debito (sukuk murabaha), di un asset (sukuk al ijara), di un progetto (sukuk al istisna), di un affare (sukuk al musharaka) o di un investimento (sukuk al istithmar). I profitti corrispondono ai guadagni che tale progetto genera. Dal punto di vista giuridico, si può considerare quindi come un titolo di proprietà di un attivo che genera flussi finanziari. 33 Per una discussione sull’argomento in Etiopia, vedi D Patassini, ‘Meredaja mahaber, edir and equb in urban Ethiopia’ in A Cusinato (ed), 1996, Economia informale e istituzioni. Processi di reciproco adattamento, L’Harmattan, Italia. 34 Vedi The Africa Development Bank, United Nations Economic Commission for Africa, 2003, Review of the Implementation Status of the Trans-African Highways and the Missing Links, Volume 1, Main Report. Il Trans-African Highway Bureau, istituito negli anni ’70 é stato chiuso negli anni ‘80. Tentativi di riattivazione sono stati compiuti negli anni ‘90, ma sono falliti per la scarsa convinzione di alcuni stati membri. Essi consideravano la rete continentale una questione nazionale, le cui prerogative ricadevano quindi entro i confini delle loro giurisdizioni. Ciò non implicava un rifiuto di principio delle politiche regionali e sub-regionali. I paesi membri erano, infatti, disponibili ad adottare comuni standard infrastrutturali e di trasporto, ma si ritenevano liberi di stabilirne la tempistica, i campi d’applicazione e l’utilizzo. Più disponibili si sono dimostrate alcune comunità regionali come la Regional Economic Community (REC) che comprende Tanzania, Kenya, Uganda, Rwanda e Burundi e che interessa un territorio-cerniera lungo l’oceano indiano, verso l’Africa centrale e australe. A questo scopo REC ha perfezionato dal punto di vista tecnico partizioni prioritarie del network stradale di competenza con attenzione soprattutto alle intersezioni di confine. 35 Un esempio recente è costituito dai progetti di dismissione e di densificazione negli spazi occupati dalla storica stazione ferroviaria di Khartoum.