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Valentina Miorandi a cura di daniele perra
Nasce a Trento nel 1982. Dopo la laurea al Dams di Bologna segue i master in Regia cinematografica alla New York Film Academy e in Direzione alla fotografia all’Escac di Barcellona. Ha una formazione prettamente cinematografica e solo nel 2008 esordisce con alcune mostre personali. Realizza video, fotografie e visual sound performance e collabora spesso come aiuto regista per altri artisti. Tra gli altri, Rosa Barba e Marinella Senatore. Nella sua ricerca l’immagine e il suono interagiscono, innescando un cortocircuito reso a volte paradossale da un sorprendente gioco linguistico. Lo spettatore? Un bersaglio da colpire al centro. È prevista una sua mostra personale il prossimo dicembre alla Galleria Sabot a Cluj Napoca, in Romania...
Vergangenheitsbewältigung 2009 - stampa digitale su pvc cm 280x210 - courtesy Arte Boccanera Contemporanea, Trento
Che libri hai letto di recente? Motto di spirito e azione innovativa di Paolo Virno e Morte malinconica del bambino ostrica e altre storie di Tim Burton.
Jean-Luc Godard diceva che i film dovrebbero avere un inizio, una parte centrale e una fine, ma non necessariamente in quest’ordine. Cosa ne pensi? Litigo spesso con Godard, ma su questa sua affermazione mi trovo d’accordo. Infatti, quando dico che nell’arte contemporanea c’è spazio per la libertà di sperimentare, è proprio questo che intendo: la possibilità di condensare, di sublimare la narrazione alterandone gli elementi compositivi. L’immagine e il suono possono interagire tra loro innescando un cortocircuito (come in Numerabilis), oppure un anonimo video da “turista per caso” con l’aggiunta di titoli in sovrimpressione può diventare un intro da titoli di testa (come in Cross Broadway). Mi piace sorprendere e cambiare i punti di riferimento classici, ma ciò che non cambia è l’importanza della comunicazione. Vedo lo spettatore come un bersaglio: vinco se lo colpisco al centro.
Che musica ascolti? Danny Elfman fa da colonna sonora. Jingles di pubblicità. Gaber. Gong. Ballo solo con Grace Jones e Madonna. Giovedì: jazz club. Città che consiglieresti di visitare e perché. New York perché porta fortuna. Siviglia perché a ottobre c’è odore di Lemonsoda. Napoli perché scintilla. I luoghi che ti hanno particolarmente affascinato. Le Dolomiti dall’elicottero, la casa maledetta vicino alla Gaiola, le concerie di Fes, il Pantheon a Roma, la salita di Montagnaga che rompe le leggi della fisica, il sabato mattina a Williamsburg. Quali sono le mostre visitate che hanno lasciato un segno? Still Life, Tacita Dean; il Padiglione polacco all’ultima Biennale di Venezia; Irrespektive, Kendell Geers; Voom Portraits, Bob Wilson. Quali sono gli artisti del passato per i quali nutri interesse? Maya Deren, Anselmo, Hopper, Rothko, Bacon, Turner, Goya, Morandi, Munari, Rybczynski. E i giovani a cui ti senti vicino, artisticamente parlando? Sono una ragazza senile... Ai Weiwei. Che formazione hai? Dopo una formazione scientifica, all’università mi sono laureata in Teorie e pratiche teatrali, nel video e nella fotografia ho incominciato da autodidatta, poi ho vinto due borse di studio per seguire il corso di Filmmaking alla NYFA e il corso di Direzione alla fotografia all’Escac di Barcellona. L’inizio della mia carriera artistica è avvenuto nel marzo 2008 in occasione della mia prima esposizione personale presso Arte Boccanera Contemporanea di Trento. L’incontro con Giorgia Lucchi mi ha dato l’opportunità di inserire la mia attività nel
circuito dell’arte contemporanea e di prendere consapevolezza di quanto siano fondamentali le scelte che accompagnano la realizzazione dei miei lavori, dall’ideazione alla selezione dei materiali fino all’allestimento. Quanto la preparazione accademica influenza il percorso artistico individuale? Le due accademie che ho frequentato mi hanno dato una formazione prettamente tecnica all’uso del mezzo audiovisivo. La padronanza del mezzo è fondamentale per realizzare al meglio l’idea, che però, per quanto mi riguarda, non dipende dalla preparazione tecnica. Hai avuto diverse esperienze come visiting professor e hai lavorato come aiuto regista per altri artisti come Rosa Barba e Marinella Senatore. Quanto sono importanti queste collaborazioni per il tuo percorso? Sono fondamentali. Il rapporto con differenti esigenze estetiche, concet-
tuali, diverse metodologie di lavoro mi mantiene “allenata”: trovare l’idea giusta per quella persona in quella precisa situazione è una sfida estremamente coinvolgente. Andando avanti, ora che il mio stile sta prendendo spessore, trovo sempre più difficile “sopprimere” il mio gusto per sentire quello di cui l’altra persona ha bisogno, ma è proprio questo che rende ancora più necessarie collaborazioni di questo tipo, perché riuscire a creare insieme ad altri e per altri scongiura il pericolo di rintanarsi in un unico e “ideale” sistema di riferimento.
tipo, sullo star system di ieri e di oggi. Ora l’attenzione è più rivolta alla storia in senso lato (come in Vergangenheitsbewältigung). Le linee di ricerca non le decido a tavolino, ma accade che abbia forti tensioni verso questo o quel soggetto, che diviene poi urgente esaurire. Il cinema risponde a regole più o meno precise, ma è grazie all’arte contemporanea che ho modo di portare avanti una grande sperimentazione, e questa è la parte che più mi fa sentire libera di agire e di approfondire tutto ciò che mi interessa intimamente.
Come descriveresti la tua ricerca? La mia ricerca parte da osservazioni della quotidianità e dallo studio del passato per capirne meglio i meccanismi. Spesso può capitare che ci sia l’urgenza di esaurire un percorso: con Holywood, Marylin 2010, Far Far Away e il video Cross Broadway il comun denominatore è stato l’analisi dell’immaginario collettivo cinematografico e la riflessione sullo stereo-
La componente testuale e il gioco linguistico (penso ai titoli delle tue fotografie come Holywood, Alter Eco o Parquet non mi telefoni?) sembrano essere elementi molto importanti nella tua ricerca. Mi diverte molto il gioco linguistico, soprattutto se è provocatorio come in Holywood. Infatti, quando lo utilizzo cerco sempre di trovare slittamenti di significato.
Lavori molto in ambito cinematografico. Molti artisti hanno realizzato film presentati in festival di cinema e poi passati nel circuito tradizionale. Tra i più recenti, Steve McQueen con Hunger, Shirin Neshat con Women without men e l’ultimo lungometraggio di Sam Taylor-Wood, Nowhere Boy. Qual è la tua opinione su questo fenomeno? Sì, penso che il circuito possa ulteriormente valorizzare la visione di un lavoro. A volte l’etichetta cinema/ documentario/videoarte sta stretta e ci si vuole ribellare; in realtà spesso ci si accorge che è lo spettatore a richiedere un certo prodotto in un certo ambito. È una questione di abitudine percettiva: è giusto rispettarla ma mi piace anche pensare di poter osare, alla Lynch. Hai trascorso periodi all’estero negli ultimi anni. Pensi di rimanere in Italia nel prossimo futuro? Mi piacerebbe molto andare a vivere un periodo in Europa dell’Est, in particolare in Polonia. Sono affascinata da Zmijewsky e da molti altri artisti polacchi. Mi piacerebbe studiare e sperimentare in posti dove la ricerca è intensa e lo sguardo è lucido.