Il progetto sociale di paesaggio – spunti d'azione
Sempre più di frequente, negli anni, associazioni, quartieri o semplici gruppi di cittadini si organizzano per creare progetti di paesaggio a scala medio – piccola, in pratica dai 100 m2 a qualche ettaro Di solito, in questi casi, l'entusiasmo si porta subito alle stelle, a tutti “prudono le mani”, ansiosi di mettersi al lavoro, con l'obiettivo di “lasciare un segno”, spesso seguendo il pensiero di “tanto più e tanto prima = tanto meglio”. Questi appunti sono intesi quindi come un'educazione allo sguardo, un insieme di piccoli atti che possono far sì che si crei, se correttamente posti in essere, un modo rispettoso di interagire con i luoghi, aumentando, al contempo, la possibilità di nascita e sopravvivenza di progetti sentiti e realmente partecipati, verso l'ideale di cooperare alla nascita di “luoghi viventi”.
1 – Ogni luogo è vivo Il primo passo consiste nel renderci profondamente conto che i luoghi possiedono un'individualità propria e sono - sempre - già casa di qualcuno, animali e piante in primo luogo: entreremmo noi, nel nostro agire quotidiano, a casa di qualcuno senza prima chiedere permesso? Questo concetto parrà a molti semplice metafora, quando invece rappresenta un reale punto di partenza, per poter iniziare a vedere i luoghi come entità distinte (precisamente come nuclei dotati di “wholeness”, che potremmo tradurre come “interità”, per approfondimenti, si vedano i lavori di Christopher Alexander). A livello pratico, si tratta di avvicinarsi ai luoghi chiedendo, internamente a noi stessi, il permesso di entrarvi, di stabilire con loro una connessione Si tratta di una metodica ben assodata nel campo dell'ecopsicologia (si vedano in proposito le opere di Michael J. Cohen, e del suo progetto “NatureConnect”), che si attua, per l'appunto, chiedendo internamente il permesso di entrare in un luogo – quindi riconoscendolo come entità – ed ascoltandone quindi la risposta. Poiché il dialogo tra noi ed i luoghi si realizza attraverso i sensi, ascoltare le risposte vuol dire sentire se, dopo la domanda, il luogo ci appaia più attraente, accogliente o invece freddo, distante Nel primo caso c'è approvazione, nel secondo si può riprovare in un secondo momento (torna più tardi, o con uno spirito diverso).
2 – La conoscenza richiede tempo Eh, la dura realtà: volete una conoscenza profonda con qualcosa o qualcuno? Occorre passarci insieme del tempo. I luoghi sono come le persone o, se preferite, strutturati come i templi Shinto, con una serie di recinti successivi da attraversare, che danno accesso, progressivamente, a posti più sacri ed interni. L'ultimo deve essere solo intravisto, si deve sentire, intuire la sua presenza, pur sapendo che resterà sempre in parte misterioso, al di là della nostra portata. A livello pratico questo significa entrare più volte, sempre chiedendo permesso ed ascoltando la risposta, in diversi momenti del giorno e della notte – idealmente anche in diverse stagioni. Come minimo occorre conoscere il luogo all'alba, a mezzogiorno, al tramonto, oltreché, naturalmente, di notte, con la luna piena e con la luna nuova. Meglio che ciò avvenga in condizioni meteorologiche diverse se inizia a spirare un forte vento di tempesta, qualcuno dovrebbe andare sul luogo, chiedendo di entrare, per poi raccontare l'esperienza agli altri componenti del gruppo. E sedersi. Sì, certo, sedersi; così come per conoscere qualcuno è importante condividere del cibo insieme, così i luoghi richiedono una condivisione delle energie, il sedersi, in silenzio, ed il lasciare entrare il luogo in noi, fino al momento dell' “A-La-La-Ho”, quando ci si sente pervasi da una gioia profonda e difficilmente contenibile, cosa che ci indica come la nostra energia e quella del luogo si siano fuse insieme. Esistono molte metodiche per incoraggiare l'esplorazione e la comunicazione personale con i singoli luoghi, solo a titolo d'esempio, vista l'attitudine contemporanea, generata dall'interazione all'interno delle piattaforme sociali, si possono usare i “like”: fornire ogni partecipante al progetto di un taccuino, incoraggiando l'esplorazione, singola e personale, del luogo; ogni qual volta si viene attratti da una sensazione, un aspetto, una veduta, un oggetto vivo od inanimato, si segna un like sul proprio taccuino, specificando la posizione all'interno del luogo, una breve descrizione e la sensazione provata. Quel che è essenziale è il partire dallo scoprire le bellezze del luogo che intendiamo aiutare a fiorire, anche nei luoghi più degradati è importante concentrasi sugli aspetti positivi, che ci sono sempre – perché è da essi che scaturisce, ogni volta, la visione del progetto.
3 – Work in progress Ogni luogo ha una sua storia e racconta tante storie, alcune belle, altre, a volte, di abusi dolorosi e ripetuti. Per questo ritorniamo alla dimensione dell'ascolto, mediato dalla conoscenza: per ogni caratteristica che rileviamo dovremmo chiederci il perché essa sia presente, la ragione del suo manifestarsi, senza dare nulla per scontato od ovvio Questo, in pratica, significa rendersi conto che in quel luogo sono già all'opera tutta
una serie di processi che devono essere riconosciuti e compresi, per potervi inserire il futuro progetto – che è un processo esso stesso – dialogando con i processi in corso. Per fare un esempio, anni fa il mio caro amico, il Prof. Rosario Gatto 1 una volta si espresse con queste parole “i rovi sono come la crosta su una ferita, il modo in cui la Natura mette in atto un suo processo rigenerativo, di guarigione”. Così, ad esempio, un eccesso di cardi selvatici ci segnala che in quel luogo c'è un eccesso di potassio – residuo di abbondanti ramaglie bruciate – che andrebbe equilibrato con apporti organici azotati, per migliorare la struttura del suolo, come con l'utilizzo di letame o praticando il sovescio di leguminose. Tutto ciò per dire quanto la Natura, in ogni luogo, sia sempre pazientemente all'opera per realizzare il “suo” progetto di paesaggio, attraverso tappe successive. Vedere i luoghi come processi, come movimento, aiuta ad inserire la nuova spinta, la nuova energia, nel concerto di quelle che già sono in azione, oltre a chiarire che i risultati vengono raggiunti per gradini successivi, che sono i “salti quantici” attraverso cui si esprime la Natura. Per fare un esempio, se l'area da progettare è un seminativo (un terreno arato nel recente passato), possiamo pensare di volerla trasformare direttamente in bosco, piantando molto alberi e diserbando manualmente o meccanicamente, oppure scegliere di celebrare il momento irripetibile che sta vivendo, piantando un minor numero di alberi e seminando, in aggiunta a quello che già cresce, altre erbe che vorremmo vedere fiorire nel prato – una distesa di papaveri e silene dei campi, da cui emergono i giovani alberi, può diventare sia una tappa nella corretta direzione che un ricordo indimenticabile nella memoria di chi partecipa all'evoluzione successiva del progetto sociale.
4 – Dialogo Fin qui le cose dette valgono in realtà tanto per i gruppi che per i singoli, che vogliano intraprendere un progetto di paesaggio; nei gruppi bisogna inoltre considerare degli altri aspetti, che nascono dall'essere in molti e diversi, più persone e quindi la prima necessità da porre in essere è il dialogo. Un progetto di paesaggio è tanto occasione per i luoghi (ma anche rischio), quanto è possibilità per le persone, possibilità di crescita per coloro che vogliano davvero intraprendere quest'avventura. Come dire che qualunque progetto di paesaggio, nel momento in cui cambia i luoghi, dovrebbe pure generare un analogo cambiamento nel modo di vedere di chi partecipa al progetto; se ciò non dovesse accadere, o se dovesse accadere in modo minimo e superficiale, vorrebbe dire che non di progetto di paesaggio si è trattato, ma dell'analogo di voler lasciare inciso il proprio nome sulla corteccia di un albero – un moto dell'ego e non la meraviglia dell'ascolto. 1Creatore e responsabile di una vera e propria oasi in mezzo al progresso, "Il Giardino dei Segreti", gioiello che si raccomanda caldamente di visitare, per avere idea di un buon progetto di paesaggio, localizzato all'interno del centro commerciale di Surbo (LE).
La prima palestra per misurarsi in questa opportunità/rischio è il dialogo tra i componenti del gruppo, per questo è essenziale che ci sia sempre, nei successivi incontri, una persona che assuma il ruolo di moderatore o, meglio di facilitatore del processo. In sostanza quello che si vuole è che ogni componente del gruppo sia portato ad esprimere le sue idee ed il suo sentire, creando un'atmosfera di ascolto che limiti l'eccesso di esuberanza di alcuni (insegnando loro al contempo il prezioso valore dell'ascolto) ed incoraggi l'espressione di altri, più timidi (che impareranno a dare più valore al loro apporto attivo). Solo come accenno d'esempio, si ricorda l'uso del “bastone della parola”, un oggetto che, una volta impugnato, dà facoltà a chi lo impugna di prendere la parola, mentre gli altri ascoltano, che va fatto girare all'interno del gruppo. Quella del facilitatore o mediatore è un'arte delicata, poiché dovrà incoraggiare i componenti ad esprimere il loro punto di vista, che è cosa diversa dal criticare i punti di vista degli altri – le regole del “brainstorming”, l'evitare le negazioni, dovrebbero essere applicate in questi momenti d'incontro creativo, per massimizzare il potenziale del gruppo. Un lavoro di gruppo si ha quando ogni proposta emersa lascia una traccia, piccola o grande, tal quale o modificata, nel progetto finale, ed ogni apporto viene riconosciuto singolarmente, con il nome di chi l'ha proposto o abbia contribuito alla sua nascita. Nel caso di gruppi numerosi di persone, può essere il caso di dividersi in sottogruppi, che poi relazioneranno con regolarità sui temi loro affidati, nel corso delle assemblee più generali.
5 – Rapporto con i “tecnici” Questo è un aspetto molto particolare, da prendere in considerazione (anche perché riguarda pure lo scrivente...). La figura delle professionalità tecniche, all'interno del progetto sociale del paesaggio, è molto variabile, passando dagli estremi del fare praticamente tutto (vi presento tre schemi progettuali e l'assemblea ne sceglie uno), al fare praticamente nulla (il tecnico visto come uno dei componenti del gruppo). Entrambi gli opposti sono fondamentalmente errati, il primo perché pone di fatto il progetto al di fuori del “sociale”, il secondo perché, non riconoscendo la peculiarità dell'apporto tecnico, perde la dimensione di profondità che tale apporto potrebbe generare. Il primo punto da tenere a mente è che i tecnici, così come i moderatori/facilitatori, (e le due figure devono necessariamente essere distinte), si dovrebbero porre in posizione decentrata ma autorevole rispetto al gruppo, ovvero lasciare che sia sempre il gruppo a sentirsi protagonista del progetto; al contempo, grazie alla figura del facilitatore/moderatore, il tecnico deve fissare la progressione degli incontri, affinché ogni tema venga svolto pienamente, per cui i partecipanti al progetto dovranno accettare una sorta di contratto condiviso: affrontare ogni tappa una alla volta, fino al raggiungimento dello scopo finale.
Personalmente mi rivedo molto nella figura “dell'ostetrico”, inteso nel senso della majeutica socratica, ossia come qualcuno che si prenda il compito di assistere un progetto, dalla fase del suo concepimento, fino alla sua nascita nel mondo, ma che lasci la maternità e la paternità del progetto rispettivamente al luogo ed al gruppo di lavoro. Di fatto, una delle più importanti funzioni del tecnico è dare voci ai luoghi o, nel caso più importante ed auspicabile, rendere in grado i singoli partecipanti di udire direttamente la voce dei luoghi e di essere in grado di interpretarne correttamente le indicazioni. In quest'ambito si inseriscono non solo le proposte di attività di interazione con il luogo e tra i partecipanti, ma anche la predisposizione di spunti, esempi, stimoli, che aiutino la discussione, oltre, naturalmente, alle conoscenze tecniche necessarie affinché un'idea di progetto possa tradursi con successo nel mondo reale, funzionare e continuare a prosperare. A questo punto è anche necessario fare cenno agli errori da evitare, nel delicato rapporto tra gruppo di lavoro e tecnici: • Rispetto – occorre sempre che tutti siano consapevoli del fatto che il tecnico, anche quando porti la propria consulenza a titolo gratuito (e nei piccoli progetti capita spesso), sta sempre offrendo al gruppo una consulenza altamente professionale e di grande valore anche economico; per acquisire le capacità necessarie occorrono lunghi anni di studi e pratica professionale. Dunque, come prime raccomandazioni, occorre non abusare del suo tempo, essere puntuali agli incontri e, sopratutto, richiedere la sua consulenza per tempo, non nelle imminenze di una scadenza per aggiudicarsi fondi (“e, dottò, dobbiamo fare tutto in una settimana, è vero che lo sapevamo già da diversi mesi, ma che vuole....”) Un comportamento diverso sminuisce tanto il tecnico quanto l'intero progetto, risolvendosi in un'occasione di crescita persa per l'intero gruppo ed un progetto che non svilupperà appieno le potenzialità del luogo e delle persone coinvolte. • Ascoltare con attenzione quanto dice (sembrerebbe superfluo, invece...) C'è sempre, in un gruppo, qualcuno che, al sentire un'indicazione, se ne esce fuori con “lo zio di mio cugino che fa in modo diverso e tutto gli riesce in modo eccezionale”. Un atteggiamento di questo genere è perfettamente accettabile, entro i sette anni d'età, il problema è che fa perdere molto tempo prezioso che si potrebbe invece utilizzare efficacemente per il progetto – a questo punto diventa essenziale la figura del moderatore, che tenga a bada i “piccoli”. • Tessere – se il tecnico vi sta aiutando gratuitamente, perché è un folle innamorato del mondo, evitate di chiedergli di iscriversi onerosamente alla vostra associazione – considerato che questo genere di tecnici di solito ne aiuta ben più d'una. Piuttosto, a titolo di riconoscimento e gratitudine, potreste chiedergli se apprezzerebbe essere iscritto con una tessera onoraria.
• Riconoscerne il ruolo – e ci riallacciamo al primo punto – dato il valore del supporto offerto è indispensabile citarne il nome ed il ruolo nelle diverse presentazioni pubbliche del progetto e negli elaborati successivi che lo riguardino. Allo stesso modo il tecnico dovrà trattare con rispetto il gruppo: la cosa migliore sarebbe fissare, fin dall'inizio, le fasi successive della collaborazione, ossia cosa farà il tecnico, il numero di incontri cui presenziare, gli elaborati da redigere e così via, di modo che sia chiaro ad ambo le parti la quantità di tempo ed impegno richiesta.
6 – Apertura I popoli nativi contestano l'idea stessa secondo cui parte della Terra possa appartenere a qualcuno, preferendo il concetto di essere ospitati da un determinato luogo. Di norma poi, la progettazione sociale avviene su terreno pubblico, di proprietà comunale, regionale o nazionale. Chi vuole partecipare alle diverse fasi della progettazione dovrebbe quindi essere sempre accolto e coinvolto, senza mai porre richieste preliminari di tesseramento od affiliazione: se un'associazione sceglie di occuparsi di un'area, dalla progettazione alla realizzazione, alla manutenzione successiva, dovrebbe essere chiaro che si tratta di un impegno a favore di tutti, per la creazione di uno spazio comune di condivisione di tutta la comunità (che comprende anche gli abitanti non umani del luogo, dalle formiche ai rapaci, la cui voce dovrà essere ascoltata in fase progettuale). Essendo un'attività strutturata per fasi, il contributo dato ad un progetto, da parte di chi si sia aggiunto successivamente al gruppo iniziale, riguarderà ovviamente le fasi ancora da definire – anche in questo caso la figura del moderatore/facilitatore risulta fondamentale, affinché il lavoro continui a svolgersi in modo fluido, garantendo al contempo il pieno inserimento dei nuovi arrivati, così come la progressione corretta verso l'obiettivo finale.
7 – La Visione La parola visione ha molteplici significati, nel nostro contesto si differenzia nettamente dall'immaginazione. L'immaginazione è attitudine prettamente mentale, di natura analitico-compositiva: ad esempio è possibile immaginare un coniglio con le corna di un cervo, poiché entrambe le immagini componenti ci sono ben note. Osservando con più attenzione il processo che avviene in noi, così come il risultato finale, ci renderemo conto che l'immagine ottenuta è povera di dettagli, fondamentalmente generata dalla semplice giustapposizione di due figure simboliche, un'immagine elaborata all'interno delle aree verbali e concettuali della nostra
corteccia celebrale. Al contrario il processo di visualizzazione attiva, contemporaneamente, molte più aree della nostra mente, in particolare quelle relative all'esperienza sensoriale, per cui, dal nostro soggettivo punto di vista, può essere corretto affermare che la visualizzazione si fa con l'intero corpo, attraverso la mediazione consapevole del respiro. Come ogni cosa, si tratta di capacità che appartengono a tutti, con cui si possono avere diversi livelli di familiarità ed esperienza: sarà compito di chi guida il processo il riuscire, tramite indicazioni mirate ed esercizi specifici, a liberare ed amplificare il potenziale di ogni partecipante (per approfondimenti si veda in proposito “Sight and Sensibility”, di Laura Sewall).
8 – Condivisione Ogni progetto sociale di paesaggio dovrebbe avere un valore che va molto oltre il progetto stesso, costituendo un irripetibile cammino esperenziale, se correttamente svolto. Yamada Mumon, uno dei più importanti maestri zen del secolo scorso, così si esprimeva: “Quando un fiore sboccia, in tutto il mondo è primavera”. Questo può essere ancor più vero oggi, in un momento in cui la vera novità è la condivisione dell'informazione, la possibilità di crescita reciproca e della crescita esponenziale delle idee e della conoscenza. Per questo è infinitamente opportuno dedicare uno spazio apposito, un blog, una pagina internet, al progetto, esplicitando tutte le fasi, le relazioni create con il luogo e tra i partecipanti, sotto lo stimolo dei moderatori e dei tecnici, inserendo le immagini che documentino tale progressione. La condivisione sulle piattaforme sociali – che sono per loro natura labili e poco indicizzabili sui motori di ricerca – dovrebbe avvenire solo in un secondo momento, in modo che vi sia una certa permanenza ed organicità dell'esperienza, per una più facile lettura d'insieme da parte di chi ci si imbatte. Se un progetto è sincero e vissuto con profondità e nei tempi di sviluppo adeguati, la comunicazione può anche diventare un utile strumento per la pubblicizzazione del progetto e per applicare il “crowdfunding”, la raccolta fondi nelle modalità sociali contemporanee.
Per concludere Il progetto sociale di paesaggio è un'incredibile opportunità di cambiamento, per i singoli tanto quanto per i luoghi e come tale merita un impegno approfondito. Come test finale per il gruppo, occorre per prima cosa ritornare per l'ennesima volta nel luogo, sempre chiedendo il permesso di entrare e mettendosi in ascolto. Porteremo con noi il taccuino con i nostri like iniziali, andando in ognuno dei punti che avevamo segnato. Il luogo ha mantenuto quella vitalità speciale che ci aveva colpito in quel punto? Sentiamo la vita del luogo espandersi, risuonare, ridere intorno a noi, muoversi libera sia fuori che attraverso i nostri corpi, in ogni cosa viva e libera che ci circonda? Mi auguro di tutto cuore che la risposta sia sì, che tutti insieme si sia partecipato a qualcosa che ci ha cambiato profondamente, permettendoci di vedere ed entrare in relazione con il mondo in un modo del tutto inaspettato precedentemente. E' un'occasione preziosa, dobbiamo realizzarla fino in fondo, con umiltà e perseveranza, divenendo creatori e lasciando che allo stesso modo il luogo ricrei noi stessi, rendendoci più vivi ed attenti. Leverano, 16/03/2017 Valentino Traversa, Studio Indalo (Dottore Forestale e Consulente dell'Osservatorio Europeo del Paesaggio)