Interaction designer
I ferri del mestiere
Dichiarazione di autenticità
Ho consegnato questo documento per l’appello d’esame del 14 gennaio 2008 del corso Interaction Design Theory 1 (Design dell’interazione) tenuto da Philip Tabor con Gillian Crampton Smith alla Facoltà di Design e Arti, Università Iuav di Venezia. Per tutte le sequenze di parole che ho copiato da altri fonti, ho: a) riprodotte in corsivo grassetto, inoltre b) messo virgolette di citazione al loro inizio e fine, inoltre c) indicato, per ogni sequenza, il numero della pagina o lo URL del sito web della fonte originale. Per tutte le immagini che ho copiato da altri fonti, ho indicato: a) l’autore e/o proprietario, inoltre b) il numero della pagina o lo URL del sito web della fonte originale. Dichiaro che tutte le altre sequenze e immagini di questo documento sono state scritte o create esclusivamente dattt me. [Firma e data]
Interaction designer I ferri del mestiere Valeria Donati
Indice
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Affordances
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Brainstorming
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Partecipatory interview
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Personas
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Flowcharts
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Storyboards
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Video prototyping
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Mental Model
Introduzione
Questo piccolo libro ha lo scopo di diffondere e spiegare alcuni concetti e strumenti necessari a qualsiasi interaction designer per svolgere il suo mestiere in maniera opportuna. L’interaction design si occupa di studiare le interazioni tra l’uomo e le interfacce, i servizi e i dispositivi, tenendo conto di tutti gli aspetti sociali e psicologici legati a questa interazione. Ogni concetto e strumento affrontato all’interno del libretto è stato argomento del corso Interaction Design Theory I. Spero che il lettore riesca a capire facilmente i contenuti e che si appassioni a questa incredibile disciplina del design, come è avvenuto per noi studenti del Clasvem.
Affordances
La parola Affordance indica la qualità di un oggetto di spiegare se stesso, la sua funzione, attraverso la sua forma. Quando un oggetto è ben disegnato riusciamo intuitivamente a capirne la funzione e ad interpretarlo e vuol dire che esso possiede una buona affordance. Un oggetto con cattiva affordance normalmente possiede etichette adesive o spiegazioni d’uso, come si vede nella foto del citofono. Gli oggetti ben progettati possiedono nella loro forma indizi d’uso o vincoli che costringono l’utente ad utilizzarli nel modo esatto, ad esempio una maniglia della porta ha una forma che invita ad impugnarla e abbassarla oppure a girarla se la sua forma è rotonda. Il telefono stradale della Telecom Italia è un esempio di buona affordance perchè il colore del ricevitore attira l’attenzione e la sua forma invita ad alzarlo. Le icone e i numeri sono grandi, facili da leggere, capire e spingere. Il display è grande e ben organizzato, ogni funzione è spiegata in modo chiaro e leggibile. Nella fotografia del citofono appare evidente che la sua affordance non è buona, infatti sull’apparecchio non ci sono icone che spiegano la funzione dei pulsanti e sono state incollate etichette adesive di spiegazione.
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Telefono stradale Telecom Italia e vecchio Citofono sul quale sono state attaccate etichette adesive.
Brainstorming
Il termine Brainstorming è composto da due parole; brain che significa cervello e storm che vuol dire tempesta, se uniamo i due termini otteniamo l’equivalente in italiano:“tempesta di idee”. La tecnica del brainstorming si utilizza individualmente o in team per generare velocemente idee o per risolvere problemi, essa viene usata soprattutto nelle imprese, sia piccole che grandi. Prima di iniziare un brainstorming si può scegliere tra i membri del team una persona che ha il compito di scrivere tutto quello che diranno gli altri oppure si può far scrivere ad ogni persona le proprie idee direttamente su un Post-Its, attaccandole sopra un foglio comune. Partendo da un’idea da sviluppare o da un problema da risolvere ogni partecipante esprime liberamente e nel modo più veloce tutto quello che il concetto di partenza gli fa venire in mente. In questo modo si genera un flusso di idee che combinate tra loro creano a loro volta altre idee. Durante un brainstorming esiste una regola importantissima: è assolutamente vietato giudicare le cose che dicono gli altri. Ogni giudizio rischierebbe infatti di bloccare il flusso creativo. Se per esempio bisogna trovare
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nuove idee per la campagna pubblicitaria di una marca di occhiali da sole il concetto da cui si potrebbe partire può essere “sole”. Ogni partecipante dovrà dire, in totale libertà, tutte le cose che la parola sole gli fa venire in mente, senza omettere quelle che ritiene stupide perchè in un brainstorming sono molto importanti. I pensieri apparentemente stupidi sono quelli che portano a soluzioni più innovative del problema. Alla fine di un brainstorming si ottiene una lista di idee tra cui scegliere quelle più convincenti da sviluppare.
Post-Its con idee generate durante un brainstorming. Fonte della foto: www.adliterate.com
Participatory Interview
Quando un designer progetta un prodotto o un servizio la prima cosa che deve conoscere sono i desideri e i bisogni che il suo progetto deve soddisfare. Come identificarli dal momento che spesso sono latenti e nascosti? In questi casi è utile ricorrere ad una Participatory Interview, un tipo di intervista che serve per prendere ispirazione per un progetto direttamente dall’utente che lo utilizzaerà. Per prima cosa l’intervistatore deve mettere a suo agio l’intervistato,cercando di creare un atmosfera serena e partecipata e portando la persona a focalizzarsi sulle opportunità e non sui problemi. Anche per questo motivo prima dell’intervista è meglio formulare una lista di domande intelligenti, non generiche ma precise, in grado di veicolare l’andamento generale della discussione e ottenere proprio le ispirazioni di cui si ha bisogno. E’ importantissimo prendere accuratamente nota delle informazioni che ci dà l’intervistato usando parole, disegni o fotografie. Durante un’intervista bisogna sempre ricordare che lo scopo non è quello di ottenere informazioni ma ispirazioni per il nuovo progetto. Le domande devono portare l’intervistato a parlarci di se stesso: chi è? cosa fa nella vita? ha una famiglia? quali sono i suoi in-
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teressi? qual’è il suo lavoro? Tra le domande da sottoporre è necessario includere tutte quelle che possono farci conoscere aspetti emozionali, legati alla sfera più intima della persona, aspetti che possono svelare i lati più nascosti del suo carattere e i desideri e bisogni celati nel suo inconscio. Spesso per ottenere questo tipo di informazioni è più utile ricorrere ad altre strategie meno dirette rispetto alla comunicazione verbale. Si può ad esempio osservare il comportamento dell’intervistato; quali gesti compie in conseguenza di alcune domande, quali espressioni facciali ripete più frequentemente e, più in generale, è utile prestare attenzione al suo linguaggio corporeo e prendendone nota. Durante l’intervista è importante domandare alla persona come eseguirebbe il progetto, e quali idee le vengono in mente a riguardo.
La domanda che durante l’intervista con Crescenzio Izzo ha portato più ispirazioni.
Personas
Personas è uno strumento dell’Interaction Design che può essere usato dal progettista o dal team dei progettisti durante la fase di ideazione di un prodotto o di un servizio e serve per identificare gli utenti finali, i loro desideri e bisogni. In sostanza Personas è una rappresentazione astratta, una sorta di caricatura, che consiste nell’inventare un character partendo dalle caratteristiche di individui realmente esistenti che appartengono al target finale.Questo metodo è utile per mettere a fuoco l’utente a cui è destinato il prodotto/servizio a cui si sta pensando, infatti, come afferma Alan Cooper: “Non puoi disegnare un prodotto per tutti i target di persone ma puoi provare a disegnarlo soltanto per uno di essi”. Ogni Persona possiede carattere, personalità, età, sesso, comportamento, livello di educazione, abitudini e routine quotidiana, interessi, desideri e bisogni ma anche un lavoro e una famiglia, una storia, degli hobby etc. e nel pensare a tutti questi e a molti altri aspetti legati ai personaggi la fantasia gioca un ruolo chiave. È sempre meglio non fare un elenco punto per punto di tutte le caratteristiche possedute dalla nostra Persona ma descriverla narrativamente. Inoltre per non creare target troppo generici è
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meglio includere alcuni dettagli strettamente personali. Si può anche descrivere come la persona si sente mentre usa il prodotto in questione. Per identificare meglio il loro profilo si possono includere nelle descrizioni alcune fotografie che ne mostrano l’aspetto, il lifestyle e i gusti, domandando a volontari di prestare il loro volto. Le Personas devono essere percepite come realmente esistenti altrimenti non sono più credibili e perdono di utilità. Nella pagina a destra ho inserito la descrizione di Tina, una Persona che nella vita fa la casalinga.
Miniatura di un pannello A3 di presentazione realizato per il corso Interaction Design Theory 1.
Flowcharts
La parola Flowchart, in italiano viene tradotta “diagramma di flusso”; uno strumento che serve per rappresentare graficamente tutti i singoli stadi coinvolti in un processo, dal momento in cui inizia fino alla fine. Ecco alcune regole fondamentali per disegnare correttamente un flowchart: i punti di inizio e fine del diagramma devono essere inseriti in un box rotondo; ogni azione va messa in un singolo riquadro con forma rettangolare; le domande di decisione vanno inserite in un box a forma di rombo. Questi tre elementi messi insieme rappresentano il flowchart. Con un diagramma di flusso si può rappresentare su carta la struttura interna di una dispositivo ma anche il sistema di azioni e decisioni che l’utente fa quando interagisce con esso. La scelta dipende dal punto di vista che vogliamo utilizzare per disegnarla: quello dell’utente che interagisce con la macchina o quello della macchina stessa che riceve input dall’uomo e si comporta nel modo prestabilito precedentemente in fase di programazione. Per disegnare un flowchart il sistema deve svolgere un’ azione che dura nel tempo.
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Il flowchart del mio distributore automatico del Caffè.
Storyboards
Lo storyboard è un valido strumento di rappresentazione che serve per descrivere una storia attraverso una sequenza di immagini. Il suo uso principale avviene in campo cinematografico per planeare su carta tutte le scene di un film prima ancora di girarle dal vero. Nell’Interaction Design viene spesso usato per mostrare passo passo le interazioni tra esseri umani e dispositivi o interfacce e per avere chiari tutti i gesti che un uomo compie quando interagisce con essi. Si usa uno storyboard anche per mostrare pubblicamente un progetto in modo veloce e intuitivo. Ad esempio, se abbiamo progettato un chiosco che vende biglietti per il vaporetto e dobbiamo mostrare al pubblico come una persona può utilizzarlo possiamo ricorrere ad uno storyboard. La sequenza di immagini ci mostrerà le azioni dell’utente alle prese con il nostro dispositivo. Come nelle scene di un film ogni disegno ha un’inquadratura e il punto di vista varia a seconda di quello che si vuole far vedere. Se ci interessa mostrare dei dettagli, come ad esempio dei pulsanti molto piccoli, si può ricorrere allo zoom mentre per una vista più più larga possiamo usare il piano sequenza. Le sequenza di immagini che formano lo storyboard
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può essere indicata con delle frecce oppure con dei numeri. Non occorre che i nostri disegni siano precisi, ciò che importa è trasmettere intuitivamente a chi guarda il senso della scena che si stà svolgendo. Per questo motivo è sempre meglio usare schizzi veloci preferibilmente eseguiti a pennarello. Nello storyboard della pagina a destra ho spiegato l’interazione tra un ipotetico utente e il mio distributore del caffè. La particolarità del mio dispositivo è quella di emettere un feedback sonoro simile a quello di una moka mentre la bevanda è in preparazione.
At my coffee machine
Storyboard della mia Coffee Machine.
Video Prototyping
Il Video Prototype è un mezzo molto veloce e persuasivo per mostrare al pubblico l’idea di un progetto e il suo scenario di riferimento. Nell’Interaction Design viene usato per simulare l’interfaccia di un dispositivo e il suo funzionamento attraverso mezzi molto semplici. Per simulare un sistema non è necessario ricostruire un modellino nei dettagli ma basta rappresentare i suoi dati principali ricorrendo disegni a mano, Post-Its, grafica al computer o anche piccole animazioni in Flash. Lo scopo principale di questo strumento è quello di convincere velocemente qualcuno che l’idea che abbiamo è buona da realizzare e quindi va portata avanti. In fase di prototipazione non si deve curare l’artefatto alla perfezione e anche il video deve essere “quick and dirty”, senza postproduzione o aggiunta di effetti. Oltre a mostrare l’idea e a convincere il pubblico un video prototipyng serve anche per testare un prodotto, per trovarne i limiti e apportarvi modifiche prima di arrivare alla fase di realizzazione finale. Nella pagina di fianco ho inserito due scene di un Video che ho realizzato con tre colleghi universitari. Il suo scopo era quello di simulare un chiosco interattivo posto nel chiostro dell’ex convento delle
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Terese, sede della Facoltà di Design e Arti dello IUAV di Venezia. Attraverso un un touch screen con interfaccia molto intuitiva lo studente riesce ad ottenere tutte le informazioni di cui ha bisogno per muoversi tranquillamente all’interno dell’Università: trovare le sedi, conoscere i corsi e i docenti ed essere aggiornato sugli eventi intra ed extra-universitari.
Video prototype di un chiosco interattivo realizzato con Lorenzo Cercelletta,Vlad Jovanovic e Veronica Bellei. http://www.youtube.com/watch?v=LfmtdaYl-AM
Mental Model
Un modello mentale è, secondo la definizione che ne ha dato Donald A. Norman “un modello che le persone hanno di sè, degli altri, dell’ambiente e delle cose con le quali interagiscono”. I modelli mentali che abbiamo si formano a livello molto profondo dentro di noi a partire dalla nostra infanzia e lungo tutta la vita grazie ad alcuni fattori: istruzione, educazione ed esperienza delle cose. Questi modelli mentali ci servono per capire e utilizzare tutti gli apparecchi che usiamo durante la giornata. Ad esempio quando mettiamo in funzione una lavatrice, ricorriamo in modo inconscio ad un modello mentale del suo funzionamento, che si è creato in noi con il tempo interagendo con la sua interfaccia. L’interfaccia viene chiamata da Donald A. Norman “immagine del sistema” ed è la sua “parte visibile”. Dietro a questa parte visibile c’è un “modello progettuale” voluto e pensato dal progettista, su di esso si basa il funzionamento reale dell’apparecchio che spesso è diverso e più complicato rispetto al nostro modello mentale dello stesso apparecchio. Per citare nuovamente Norman “Il Progettista si aspetta che il modello dell’utente sia identico al modello progettuale ma il Progettista non parla diret-
Citazioni a pag. 29 del libro “La Caffettiera del Masochista. Psicopatologia degli oggetti quotidiani”. D.A. Norman. Giunti.
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tamente con l’utente, tutta la comunicazione avviene attraverso l’immagine del sistema”. Il compito più difficile per un designer è quello di aiutare l’utente a comprendere velocemente e intuitivamente come funziona un oggetto senza fargli sprecare tempo con inutili tentativi. Per questa ragione: “Perciò il progettista deve tenere conto dei modelli mentali precostituiti e non creare ambiguità inutili e frustranti”.
“Modelli Concettuali”
“Il modello mentale di un dispositivo si forma in gran parte interpretandone le azioni, così come sono percepite e la struttura visibile” D.A.Norman
Ricostruzione dell’immagine “Modelli concettuali” dal libro “La caffettiera del masochista. Psicopatologia degli oggetti quotidiani” D. A. Norman. Firenze: Giunti.
Conclusione
Bibliografia e fonti
Un ringrazionamento di cuore al lettore che si è prestato alla lettura del mio libretto; spero che lo abbia trovato interessante e facile da leggere. Un Grazie anche ai miei Professori Gillian Crampton Smith e Philip Tabor per avermi trasmesso i “Ferri del mestiere”. L’Interaction design è una disciplina nuova e ancora poco conosciuta in Italia e quindi spero che le tecniche e i concetti di cui ho parlato contribuiscano almeno in parte alla sua diffusione.
Norman, Donald A. 1997. La caffettiera del masochista. Psicopatologia degli oggetti quotidiani. Firenze: Giunti. Bonsiepe, Gui. 1995. Dall’oggetto all’interfaccia. Mutazioni del design. Milano: Feltrinelli. Moggridge, Bill. 2007. Designing Interactions Cambridge: MIT Press. Per le ricerche del capitolo Personas, pagine 14, 15 del libretto ho uilizzato i seguenti riferimenti: http://www.cooper.com/insights/journal_of_design/articles/personas/ http://research.microsoft.com/research/coet/Grudin/Personas/Pruitt-Grudin.pdf http://www.stcsig.org/usability/topics/personas. html#samples Per la foto in copertina ho utilizzato la rivista Abitare n°367, pagina 41, novembre 1967. Inoltre per la stesura di questo libretto mi sono servita di alcuni appunti presi da me medesima durante il corso Interaction Design Theory 1 tenuto da Gillian Crampton Smith e Philip Tabor presso lo IUAV di Venezia, a.a. 2007-2008, IUAV.