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ValVIBRATA life
L’uomo che sussurra ai falchi
MARZO 2014
TERRITORIO CULTURA ECCELLENZE AMBIENTE SOCIETA’
" Tu che sei la nostr
ra musa ispiratrice "
Se non fosse perché sorridono, i dazebao dei politici - trasversalmente intesi - sembrerebbero tante locandine funebri. Con epitaffi autocelebrativi, sempre gli stessi, mai nuovi. Frasi fatte, costruite, che un tempo facevano effetto ma che ora ti strappano sorrisi sardonici. E pensi: “non hanno proprio fantasia”. I distinguo, come in tutte le cose, vanno fatti ed ognuno di voi saprà discernere e scegliere. Della democrazia è rimasto ancora questo e poco altro ancora. Certo è che, se togliamo i sindaci dei piccoli comuni che vivono di miseria economica, gli altri piangono miseria perché la fanno piangere a noi. Lo Stato piange perché non ha gettito Iva. Per forza, se non compro è perché non ho soldi: ergo, niente imposta sul valore aggiunto. La politica è fifona: ai privilegi non rinuncia, ai tagli in casa loro nemmeno. Poi, le tante (ma non tutte) faccine appese ai muri di paesi e città, annunciano miracoli sei li preghi, ops, pardon, se li voti. Tutti sono in odore di santità. Alla porta girevole della politica ci passano in tanti. Ci piacerebbe ricordare, almeno una volta, che da quella porta si possa solo uscire e non più entrare.
DIRETTORE RESPONSABILE Alex De Palo HANNO COLLABORATO Federica Bernardini, Marco Calvarese, Virginia Cimina’, Valeria Conocchioli, Anna Di Donato, Martina Di Donato, Noemi Di Emidio, Alessandra Di Giuseppe, Roberto Di Nicola, Francesco Galiffa, Giordana Galli, Virginia Maloni, Bruno Massucci, Andrea Spada, Paride Travaglini EDITORE Diamond Media Group s.r.l. Via Carlo Levi, 1- Garrufo di Sant’Omero (TE) Tel. 0861 887405 - redazione@diamondgroup.it VAL VIBRATA LIFE Reg. Trib. di Teramo n° 670\2013 Graphic Design Milena De Palo GRAFICA Diamond Media Group s.r.l. STAMPA Arti Grafiche Picene s.r.l. PUBBLICITA’ info@diamondgroup.it RESPONSABILE TRATTAMENTO DATI Dlgs 196/03 Alex De Palo Riservato ogni diritto e uso. Vietata la riproduzione anche parziale
EDITORIALE
ALEX DE PALO
SOVRAPPENSIERO
E’ PRIMAVERA (ELETTORALE) SVEGILATEVI POLITICI
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Noi del ‘60 che sognavamo marte
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UNA “FIAMMA”ABRUZZESE ALLA CORTE DELLA REGINA D’INGHILTERRA
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I CAMPIONI IN CARROZZINA DELL’AMICACCI
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L’OLIO DOP di civitella del tronto L’acqua alla spina che fa socializzare INtorno a un chicco di grano val viBrata in fiore val vibrata life baby finanziamenti alle pmi wine tasting italiano excel london che mal di... tempo come vincere la pelle grassa moda eventi cinema ricette libri
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LO STILISTA DI BATMAN E SUPERMAN
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DORMIAMO SU UN CUSCINO di ARGILLA
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LA BUONA ERBETTA CHE VIEN DALLA CAMPAGNA
SOMMARIO
IO PARLO COI LUPI
ECCELLENZE
PER FRATELLI
RAPACI E LUPI Giovanni Granati evoca francescani ricordi. Sussurra alle aquile parla ai lupi Ecco il fantastico mondo wild del falconiere di Campli
VIRGINIA CIMINA’
Photo Credit: Mauro Cantoro
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ECCELLENZE
Photo Credit: Reflexlife.com
Seguire gli animali in volo. Per scovare la casa del falconiere Giovanni Granati nel groviglio di strade brecciate, alberi e un panorama mozzafiato di una piccola frazione di Campli, dove la falconeria abruzzese numero uno ha sede, basterebbe pedinare gli uccelli in volo. La riconosci subito. Sono i soli a volare liberi e leggeri sotto la guida del maestro per un’impacciata folla di visitatori. È così perfetto che ti viene da pensare non siano loro, quelli stonati, ma tutto il resto fuori: la temperatura di fine inverno, la pioggerellina leggera e l’informalità del weekend appena iniziato. La normalità insomma. Non è poi tanto folle la scelta di impiantare il quartier generale della falconeria tra le viscere di Campli in una posizione decentrata ma comunque sempre a portata di città. Quando Giovanni Granati ci accompagna con la sua jeep spaziale, piena di attrezzi per la falconeria, dépliant e vario materiale informativo, ci si sente proprio come nel pieno di un viaggio wild. Come se l’aria venisse succhiata da una forza magnetica e si facesse elettrica. Pile nero, pantaloni neri, scarpe da ginnastica e i capelli lunghi neri attaccati, con i suoi appena 31 anni ricchi di passione e di esperienza. Giovanni Granati, o meglio falco, nato a Roma ma trasferitosi poi a L’Aquila e successivamente in un paese vicino Campli, ci ha messo un po’ a realizzare quel sogno che sin da bambino era forte in lui. Lo ha iniziato a realizzare nel 2002 quando conobbe un signore di Penne, uno dei più bravi falconieri a livello europeo. Ha iniziato subito a studiare ed è stato affiancato a diversi falconieri così da creare poi il suo business. Il successo arrivò da li a poco. Il segreto? Un buon istinto, una bravura innata
e una giusta dose di reti di relazioni, accumulata negli anni spesi nella e per la falconeria. Aquile, lupi cecoslovacchi, poiane, gufi, gufetto reale africano, civetta delle nevi, barbagianni, gyr falco, falco sacro e Falco pellegrino. Questa è la scuderia al completo di cui si prende cura personalmente Giovanni, dalla riproduzione alla ricerca e al perfezionamento delle tecniche di addestramento. È l’unico in Europa ad aver unito il cane lupo cecoslovacco, i rapaci e i cavalli, riuscendo a farli collaborare fra di loro. Ad oggi infatti sono molte le apparizioni televisive come Mela verde e Sereno variabile. Il suo lavoro si svolge in tre fasi. La prima è il bird control, con cui riesce a unire la nobile arte della falconeria con i reali bisogni naturalistici ed ambientali. Infatti il giovane falconiere sfrutta la sua capacità di controllo sugli uccelli anche per lo scaccio degli storni dal centro di Teramo. Ci sono poi le dimostrazioni e gli spettacoli in tutta Italia. Un vero e proprio tour nella natura più selvaggia alla scoperta del rapporto fra lupo, rapace, cavallo e uomo. Infine c’è la didattica, con una raccolta di favole per bambini dal titolo “I nostri amici animali” con all’interno diverse specie autoctone. Il bello in tutto ciò è che i bambini possono avere un riscontro di ciò che hanno letto nella realtà. La sua passione per la falconeria sfocia anche in musica. Con l’incisione del cd “Le note del Vento” in cui il maestro suona il pianoforte accompagnato dal dolce rumore dei suoi animali liberi. Giovanni Granati, un uomo libero proprio come i suoi animali.
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PEOPLE
SUPERMAN
VOLA SUL CIELO DI MONTEPRANDONE C’è il filo di Mario Caponi nei costumi dei supereroi e non solo a Carnevale
paride travaglini
Fotoservizio paride travaglini
C’è una cosa in Italia che ancora che resiste alla crisi: la creatività. L’italianità creativa è quella del fare, di un’economia giovane nel senso che riesce ad orientare fonti economiche ed a far sperare all’obiettivo lavoro. La creatività di certi manager ha fatto evolvere il piccolo laboratorio artigiano in definiti spazi di eccellenza con risorse umane dalle mani sapienti in grado di intessere tessuti naturali in abiti su misura, a misura di identità per una cultura oltre confine. Il Made in Italy, mostra “la differenza” come risorsa qualificata in diversi settori. C’è chi ha fatto della creatività e dell’estro un mestiere e lo ha trasmesso ai figli. E’ il caso dell’azienda “Il Sarto del Carnevale” di Centobuchi fondata da Mario Caponi nel 1960.
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Un’azienda a carattere familiare ma altamente professionale che rappresenta un vanto per Monteprandone, paese d’origine di santi, studiosi ed artisti. Appassionati custodi, alcuni sono diventati manager, nati da famiglie artigiane capaci di promozione e sviluppo di nuova economia. E la famiglia Caponi ne è esempio di vanto ed orgoglio d’impresa! È di buon auspicio soprattutto in questi tempi bui, in cui la speranza è annientata da una pseudo cultura del lavoro. Questa famiglia merita un plauso e tanta fortuna. Persone appassionate e qualificate diventate custodi di quella tradizione che ha sempre contraddistinto l’Italia in tutto il mondo: il gusto del bello, del vestire, della raffinatezza,del tessuto pregiato, del lavoro artigianale che sono ancora i punti di riferimento dell’alta moda.
PEOPLE La bottega di paese può essere considerata il laboratorio artigiano di un maestro capace di nuovi percorsi imprenditoriali. La bottega…negli anni si è trasformata in azienda orientante committenze di diverso tipo, richiamate dalle competenze in campo teatrale, per lo spettacolo nazionale ed internazionale. Infatti, l’azienda, realizza prodotti unici, artigianali, costumi e media tra artigianato e distribuzione industriale in qualità di import dei maggiori marchi italiani e mondiali di settore. A tal fine merita il richiamo a certi marchi di qualità come Carnival Toys, Pegasus, Funny Fashion, Fancy Magic, Cricket, Leg Avenue. Non ultimo marchio di certo, è Rubie’s., titolare, a livello mondiale, delle licenze per la riproduzione dei costumi cinema tra i quali Superman, Batman, Star Wars, Lord of the Rings. Quanto sottolineato, sicuramente è di buon auspicio alla serietà aziendale di questa famiglia che vive e lavora in Area Picena. Considerando la tradizione carnascialesca del territorio, consente una spettacolarizzazione di qualità concedendo in affitto, a basso costo costumi di pregio. Non va inoltre dimenticato il settore dell’oggettistica professionale. Il punto di forza dell’azienda resta comunque quello di “sartoria professionale” . Una sartoria che si contraddistingue per creatività, passione e dedizione. Oltre 1500 i pezzi unici prodotti.,1500 opere d’arte dove la manualità e l’estro sono quel valore aggiunto che caratterizza un manufatto artigianale. Dal 2009 i disegni delle varie realizzazioni sono pubblicati dalla rivista Burda Carnaval, la rivista di riferimento del settore, distribuita in tutta Europa. Da sempre appassionato a quel lavoro, Mario Caponi continua con lo stesso entusiasmo e motivazione. Il successo è soprattutto nell’aver contagiato figli e famiglia, il figlio Stefano e la nuora Sabrina Mascitti non disperdendo una tipicità speciale con aggiornamenti e formazione continua. Una vera scuola d’impresa del miglior marketing, che dal sito è riuscita ad accreditarsi per impegno, dedizione, creatività. A 77 anni, continua ancora a lavorare, a versare i contributi. Alla pensione non ci pensa proprio. Questo maestro del cucito, nel rispetto del lavoro crea un legame di fede con il filo che ha tenuto in mano tutta la vita… Si potrebbe aggiungere che è una sorta di francescano che “ora et labora”ed intreccia dei fili che sicuramente possono ridisegnare il tappeto volante di una magica economia per l’avvenire. Quando hai iniziato a cucire? Avevo 6 anni, ed andavo a bottega da un sarto del paese: Francesco Pallotta. A 9 anni vedendo all’opera un giovane sarto monteprandonese mi sono letteralmente innamorato del cucire ed ho capito che quella sarebbe stata la mia professione. Fino a 19 anni sono passato per varie sartorie, più o
meno importanti . Ho frequentato poi la scuola di taglio del prof. Capponi di Roma e mi sono messo in proprio iniziando a realizzare abiti su misura. Con quali strumenti hai lavorato? Ricordo che avevo una sola macchina per cucire, che faceva lo “zig zag” un vero lusso per quegli anni. Tutto il resto si faceva a mano. Avevo un cavalletto per la manica, una mezzaluna, entrambi di legno. Immancabile il cuscinone a cui sono molto affezionato e che a distanza di tantissimi anni utilizzo ancora. Un ferro da stiro a carbone da 8 kg e lo stoppaccio, un pezzo di stoffa tagliato a candela che veniva immerso nell’acqua e messo sotto per ottenere l’effetto vapore completavano la mia attrezzatura. Il banco da taglio serviva anche per stirare.. Quali sono le migliori “caratteristiche” richieste ad un sarto? Precisione nel seguire i puntini sull’abito, il taglio e la maestria di usare il ferro da stiro. Fondamentali sono inoltre la pazienza e soprattutto tanta, tanta passione. Da abiti sartoriali a sarto teatrale. Cosa ha determinato questa evoluzione? Da sartoria al classico emporio di paese dove poter trovare di tutto dal bottone al tessuto. Mancava ancora qualcosa. Dovevo dar seguito alla mia grande passione: il carnevale. Amavo mascherarmi. Così ho deciso di lanciarmi in una nuova sfida: la creazione di abiti carnascialeschi. È nato tutto da qui. Come avviene la realizzazione di un costume e quali sono le peculiarità delle tue creazioni? La realizzazione degli abiti di nostra produzione avviene interamente all’interno dell’azienda, partendo dalla scelta dei tessuti, dalla creazione dei modelli fino al prodotto finito. C’è dietro una grossa ricerca storica, la scelta del tessuto che deve essere il più fedele possibile all’epoca storica ed al modello da creare Poi inizia tutta la fase della realizzazione vera e propria. Dal disegno al costume vero e proprio fatto rigorosamente a mano. La manualità acquisita in tanti anni di esperienza rappresenta la
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PEOPLE peculiarità delle nostre creazioni Il carattere familiare ci consente di proporre prodotti di elevata qualità a prezzi competitivi. Qual è il tempo medio di una creazione? Per realizzare un abito classico occorrono circa 5 giorni. Per un abito d’epoca dai 10 ai 12 giorni Oltre 50 anni sul mercato e non sentirli. Qual è il segreto del vostro successo? La passione e la determinazione, guardando con ottimismo al futuro senza arrendersi di fronte alle difficoltà. Com’è organizzata l’azienda? La nostra azienda ha due marchi distinti: Il sarto del carnevale che cura maggiormente il periodo di Carnevale e Ramona Costumi che si occupa della realizzazione di abiti storici per teatri e rappresentazioni di vario genere (storico, religioso, danza, spettacolo…) La struttura commerciale comprende i punti vendita al minuto e all’ingrosso , dove ha sede l’azienda, nei quali e’ possibile visualizzare gli articoli disponibili, a partire da un vasto assortimento di tessuti e la sezione “e-commerce” che gestisce i rapporti con la clientela nazionale ed europea, sia privata che istituzionale(enti, negozi, agenzie teatrali e di animazione, scuole ecc.) ed inserita all’interno dei nostri due siti web: www.sartocarnevale. com sito generalista e www.ramonacostumi.com sito dedicato ad un target di clientela “specializzata” e di fascia “alta”. Per quanto riguarda l’ingrosso forniamo direttamente i negozi clienti situati nelle regioni Marche, Abruzzo, Umbria e Lazio. Oltre ai prodotti di nostra produzione, distribuiamo anche quelli delle maggiori aziende italiane ed estere del settore Il rapporto diretto che abbiamo con queste aziende, con l’eliminazione di tutti i passaggi intermedi,ci consente un notevole risparmio dei costi di acquisto delle merci a tutto beneficio della competitività dei prezzi praticati. Che tipo di clientela servite e cosa vi richiede? In tutti questi anni di attività la nostra attenzione è stata sempre rivolta verso il mercato in modo da offrire alla clientela una sempre più vasta scelta in termini di prodotti, servizi e prezzi, ma con un’ elevata qualità dell’offerta. Qualità elevata a prezzi competitivi:questo ciò che ci richiede la nostra clientela Guardare al mercato rispondendo alle esigenze del cliente ha svolto un contributo fondamentale nell’acquisizione di clientela in tutte le fasce del mercato di riferimento e ci ha anche permesso di annoverare clienti d’eccezione quali Rainbow (detentrice marchio Winx), Rai, Delisoft (marchio Rotoloni Regina), Circo Bellucci e Rinaldo Orfei. Quest’anno abbiamo realizzato le mascotte ufficiali della Goretex per conto della Naturino e del Dott. Shar. Numerosi carnevali italiani parlano monteprandonese…. Ci onorano della loro stima e fiducia i carnevali più importanti d’Italia come Viareggio, Trieste , Mondovi, Sto-
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ro (Tr), il Carnevale “Al Castelin”, a Castelnuovo di Sotto, Tempio Pausania, Fara Sabina, Messina, Crema, La Marca Veneta, Viterbo per citarne qualcuno per arrivare a quelli della nostra zona come Ascoli, Offida, Montefiore, Sant’Egidio alla Vibrata e San Benedetto del T. Il carnevale è solamente uno dei settori. Nel teatro quali sono state le vostre maggiori creazioni? Tra le numerose realizzazioni di pregio, la nostra sartoria ha avuto l’onore di vestire i protagonisti e i figuranti della serata “Danze Medioevali” a Norwich in Gran Bretagna, lo show “Alice” al palazzo del ghiaccio di Milano, e nella zona “Moda sotto le stelle” sia a Monsampolo del Tronto, sia a Castel di Lama, la sfilata dei costumi d’epoca nell’ambito della manifestazione provinciale “Pro Loco in festa”, la rievocazione dell’antica Roma a Civitella del Tronto e “Capitan Fracassa” piece teatrale svoltasi in vari comuni. Sono nostri i costumi per l’opera lirica “La Traviata” andata in scena al teatro lirico dell’Aquila di Fermo. Come vi ponete di fronte alla concorrenza? L’organizzazione, l’esperienza e la conoscenza del mercato anche attraverso la partecipazione alle fiere nazionali ed internazionali più importanti del settore, ci permettono di stare a passo con i tempi e di anticiparli, con l’introduzione costante di nuovi servizi e prodotti. Quali i progetti per il futuro? Incrementare la clientela in ogni settore dello spettacolo, potenziando ulteriormente i servizi. Il sogno: creare un franchising di negozi specializzati nello spettacolo sotto l’insegna “Il Sarto del Carnevale”.
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I BAMBINI
CHE SOGNAVANO
MARTE
E’ diventato un film la lettera di tre tortoretani che scrissero all’ex presidente della Repubblica, Saragat. Chiedevano come raggiungere il pianeta rosso Martina Di Donato proprio nell’ottobre del 1969, decisero di mettersi a tavolino e scrivere al Capo dello Stato. Tanti italiani allora si rivolgevano al più alto rappresentate della Repubblica italiana chi per chiedere un aiuto,chi un lavoro, chi un sostegno economico e chi, come i nostri vibrati ani, chiedevano un aiuto ed un consiglio per poter arrivare sul pianeta Marte. Dopo molti anni le lettere arrivate dal periodo del Dopoguerra fino al 1969, sono state riprese e lette e sono diventate un documentario. Abbiamo incontrato Pierluigi Tartarelli che ci ha raccontato l’esperienza fatta nella realizzazione del documentario, di cui sono protagonisti, e per cui si sono meritati la sfilata sull’ambito red carpet del Festival del Cinema di Roma, tenutosi lo scorso novembre. Il regista Marco Santarelli trasforma in film la storia di tre giovanissimi tortoretani che inviarono una lettera all’allora Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat Erano poco più che dei ragazzini quando Pierluigi Tartarelli, Armando Francesconi e Riccardo Salvi decisero di scrivere una lettera all’allora presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Era il 1969 e, probabilmente presi dallo stupore e dall’eccitazione per il primo allunaggio americano, avvenuto
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Pierluigi, come è nata l’idea di girare questo documentario sulle lettere arrivate al Quirinale? L’idea madre era quella di un libro sulle lettere arrivate ai cinque Presidenti della Repubblica, da Enrico De Nicola a Luigi Einaudi, da Giovanni Gronchi a Antonio Segni e Giuseppe Saragat, a cui noi inviammo una richiesta di aiuto per riuscire ad arrivare sul pianeta Marte. Successivamente si è deciso di
PEOPLE una speranza con la nostra lettera. Come è stata l’esperienza cinematografica? L’esperienza cinematografica è stata un’esperienza nuova e bella, inoltre siamo stati molto fortunati perché abbiamo trovato una troupe eccezionale, che ci ha sempre messi a nostro agio e non abbiamo trovato alcuna difficoltà, anche perché l’unica cosa che dovevamo fare era essere noi stessi, essere naturali. E’ stata decisamente un’esperienza indimenticabile in cui ci siamo avvicinandoci un po’ al mondo del cinema abbiamo compreso alcuni meccanismi che chi sta al di fuori non sempre conosce.
girare un documentario. Siamo stati contattati dalla storica Teresa Bertilotti che ha scelto la nostra lettera dopo averne lette circa 17 mila. Ne sono state selezionate anche delle altre che riportavano richieste di aiuto, richieste di denaro, richieste di un lavoro, come si faceva in quegli anni, quando si vedeva ancora positivamente la figura del Presidente della Repubblica. Qualche giorno dopo la prima telefonata ce n’è stata una seconda in cui ci annunciarono che il regista Marco Santarelli avrebbe girato un documentario su quella storia, insieme ad Alfredo Farina fotografo e cineoperatore della Rai. Eravamo molto entusiasti e felici che quella lettera, pur non avendo avuto una risposta, abbia prodotto qualcosa di buono anche a distanza di tantissimi anni. Ci siamo riempiti di orgoglio. Siete i protagonisti di questo documentario? Il documentario è diviso in blocchi, nella prima parte ci siamo noi ai giardini del Quirinale il 2 giugno, poi c’è una commistione tra i filmati ripresi dall’Istituto Luce e altre scene di noi che non siamo andati sul Marte, ma siamo diventati adulti con dei lavori normalissimi. Apriamo e chiudiamo i ’68 minuti di filmato. Metaforicamente rappresentiamo quasi
Il documentario è stato presentato al Festival del Cinema di Roma. Avete vissuto anche quell’esperienza? Si. Il film è stato presentato all’apertura del concorso “Prospettive Doc Italia” al Festival del Cinema di Roma, dove lo abbiamo visto in anteprima anche noi. Dopo aver attraversato il red carpet come dei veri attori, e in mezzo a dei veri attori, abbiamo visto il film nella Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica, una sala gremita che ci guardava proiettati su di uno schermo. E’ stata un’emozione grandissima. Da chi è stato patrocinato il documentario? Il documentario è stato patrocinato da Rai Cinema e coprodotto dall’Istituto Luce Cinecittà di Roma Che riscontro ha avuto il documentario? Pur non avendo vinto al Festival del Cinema di Roma, il film ha avuto un ottimo riscontro. E’ stato presentato anche all’ International Film Festival di Rotterdam, dove ha vinto il premo come prodotto più interessante del 2013, inoltre è stato richiesto da molte Università italiane per essere proiettato, essendo un documento molto importante di uno spaccato di vita che va dal periodo del secondo Dopoguerra al 1969. E’ stato richiesto anche dalla Maison de Italie di Parigi, a breve diventerà un libro a cura di Teresa Bertilotto e verrà trasmesso dalla rai con una versione di ’59 minuti.
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TERRITORIO
LA VAL VIBRATA E’...MOBILE
Siamo seduti sull’argilla ed il territorio mostra la SUA vulnerabilità
Valeria Conocchioli
Mai quanto in questo caso è azzeccato il detto “prevenire è meglio che curare”. Conoscere il territorio in cui ci troviamo è essenziale, infatti, per evitare spiacevoli conseguenze. A far luce sui problemi che caratterizzano la nostra vallata è il geologo Stefano Tucci. Quali sono le principali cause del dissesto ambientale di questi luoghi? Innanzitutto si potrebbe parlare di dissesto idrogeologico poiché le problematiche maggiori sono legate a quello che è il filo conduttore di tutta la vallata, il torrente Vibrata. Questo corso d’acqua, avendo carattere torrentizio, per lunghi mesi ha portate minime o assenti che poi si intensificano in inverno o autunno soprattutto in concomitanza di precipitazioni molto intense e concentrate. Quando il torrente è in fase di piena può arrecare danni, principalmente di carattere erosivo (dissesti sui ponti, sugli attraversamenti ed erosione dei campi prossimali) come è avvenuto, durante l’ultima esondazione, nella zona del
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canile municipale di Alba Adriatica. L’aspetto dei problemi erosivi andrebbe preso in carico dal PSDA (Piano stralcio difesa alluvioni) che purtroppo ha un approccio quasi esclusivamente idraulico al problema invece che idrogeologico: tiene maggiormente conto del rischio alluvionale a scapito di quello erosivo. A mio parere, andrebbero riviste non solo le zone a rischio alluvione ma anche quelle a potenziale rischio erosione. Dal punto di vista pratico, i ponti dovrebbero essere protetti da sistemi antierosivi (scogliere, massicciate, opere di bioingegneria) per evitare che l’acqua mangi i terreni fondali e le sponde laterali. Un modello a cui potremmo ispirarci è quello adottato dalla Regione Trentino che è maestra in questo genere di problemi poiché ha corsi d’acqua a carattere torrentizio e quindi erosivo. Il tipo di terreno può influire sul problema? Sicuramente. Per i nostri terreni l’erosione è anche favorita dalla loro costituzione geologica argillosa e limoso-argil-
TERRITORIO la natura fa di suo: le tecniche di coltivazione intensiva, l’aratura moderna che scassa i terreni più in profondità e la lavorazione lungo la massima pendenza del versante incidono molto su questi fenomeni. Gli agricoltori, inoltre, per non ostacolare il passaggio dei mezzi e ridurre la produttività dei terreni, fanno sempre meno quei tagli sui versanti così importanti per raccogliere e regimare meglio le acque meteoriche.
losa, soprattutto in prossimità della costa. È proprio qui che servirebbe lavorare maggiormente sulla protezione delle sponde e delle opere antropiche. Nella zona di foce, inoltre, non è da sottovalutare l’elevato rischio di esondazione, tanto che il Piano Stralcio inibisce la costruzione in quest’area. Ad Alba Adriatica i ponti di attraversamento (Ferrovia, Strada Provinciale e Strada Statale) possono, in caso di piena, rappresentare dei punti di occlusione del corso d’acqua e quindi a mettere a rischio alluvione alcune zone del centro abitato. Da quanto emerge, il problema Vibrata interessa soprattutto i comuni più a valle. Quali sono invece i fattori di rischio per l’entroterra? Da quanto si rileva, i problemi legati a questo torrente partono dalla zona di Sant’Egidio alla Vibrata dove inizia la rottura di pendenza e dove ci sono i primi attraversamenti sul Vibrata. Da qui infatti il corso d’acqua si carica sempre più, diminuisce l’energia del rilievo e si generano i primi fenomeni di erosione ed esondazione. Nelle zone più interne, ad esempio nel comune di Civitella del Tronto, prevalgono invece le instabilità di versante: frane ed erosioni localizzate. Ciò è legato anche alla conformazione dei rilievi e alla loro costituzione geologica: si tratta di terreni relativamente giovani, a carattere limoso-argilloso, coperti a tratti da spesse coltri colluviali, che possono dar luogo a deformazioni di tipo plastico. Le cause scatenanti o riattivanti di questi fenomeni sono soprattutto i periodi precipitativi intensi. Quando a questi si sommano eventi nevosi abbondanti, come è accaduto tra novembre e dicembre 2013, abbiamo le condizioni perfette per fenomeni di instabilità di versante. La neve consente infatti un lento assorbimento dell’acqua, di conseguenza i terreni si saturano e la pioggia che segue è l’innesco per le frane.
A questo punto, cosa è possibile fare per tentare di prevenire questi fenomeni? Innanzitutto, dovremmo aumentare i sistemi di monitoraggio pluviometrici e idrometrici per capire quanta acqua cade nel bacino del Vibrata e quanta ne viene trasportata. Tutto ciò per lavorare meglio durante l’emergenza precipitativa e, a livello di pianificazione territoriale, valutare la congruenza dei Piani Stralcio (immutati da una decina d’anni) nel rappresentare bene ciò che accade durante l’evento precipitativo estremo. Bisognerebbe agire con pianificazione, monitorare e innovare costantemente l’approccio al problema con i nuovi strumenti tecnologici. È necessario ridurre il rischio idrogeologico non solo per rispettare la natura ma anche per tutelare l’uomo e di conseguenza migliorare la sua qualità di vita. Conoscere per prevenire dovrebbe essere quindi il nostro motto per salvaguardare il territorio su cui “siamo seduti” e proteggere vite ed attività locali.
PAI pericolosità. Torano Nuovo
Stralcio PSDA pericolosità. Zona Alba Adriatica - Corropoli
Siamo quindi in balia della natura o è anche l’uomo che, come sempre, fa la sua parte? Le frane sono sempre esistite ma l’uomo aggrava ciò che
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TERRITORIO
CIVITELLA DOP
L’ ”ORO GIALLO” ECCELLENZA DEL TERRITORIO La storia di un’azienda medagliata Valeria Conocchioli
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TERRITORIO Duro lavoro, tanta passione e armonia con l’ambiente: così nasce un olio D.O.P. Quest’anno l’Azienda Agricola Ciliberti ha ottenuto questo importante riconoscimento di qualità e a parlarcene è proprio il giovane imprenditore agricolo professionale Matteo Ciliberti. Quale è stato il percorso che vi ha portato fin qui? È questo il primo anno che gestisco l’azienda a mio nome, ma è già da un po’di tempo che, da impresa a conduzione familiare, ci stiamo adeguando pian piano al mercato puntando soprattutto sulla qualità. In questo modo è stato possibile anche aderire a progetti UE. Attualmente ci avvaliamo di personale molto esperto nella raccolta delle olive e nella potatura e di consulenza tecnica qualificata per garantire genuinità e qualità. La nostra formula è l’equilibrio tra la tradizione, che ci ha portato fin qui e su cui si basa il nostro lavoro, e le nuove tecnologie che ci permettono di ottenere un prodotto sempre più eccellente e competitivo. I nostri oliveti, collocati nella frazione Sant’Andrea di Civitella del Tronto, sono costituiti da oltre 2.500 piante di diverse varietà (leccino, frantoio, dritta e altri generi locali, come la tenera ascolana). Che tipo di lavorazione vi ha permesso di produrre il primo olio con certificazione D.O.P. delle alte colline civitellesi? Innanzitutto, come in ogni cosa, sono necessari tanto lavoro e molta esperienza sul campo. Non usiamo trattamenti perché la mosca oleica è assente e sotto le nostre piante lasciamo crescere l’erba. Proprio questa, una volta trinciata insieme allo scarto delle potature, costituisce un vero e proprio concime naturale. Ogni anno la potatura viene controllata
da agronomi e la raccolta avviene tramite abbacchiatori. È importante che l’oliva non sia troppo matura e che la molitura avvenga a poche ore dalla raccolta per limitare i processi ossidativi. Utilizziamo inoltre una macinatura e una spremitura a ciclo continuo a freddo per evitare che l’olio, con il calore, aumenti in acidità. Quali sono i progetti per il futuro? Sicuramente vogliamo continuare a puntare sulla qualità, con un occhio sempre rivolto alla tradizione e a quelle piccole accortezze tramandate nell’ambiente familiare. Attualmente produciamo poco più di trenta quintali di olio l’anno ma abbiamo un bel progetto in cantiere. Siamo stati contattati dalla Camera di Commercio di Ascoli Piceno per produrre, il prossimo anno, un monovarietà di tenera ascolana, oliva molto delicata. Ne dovrebbe derivare un olio leggerissimo, molto apprezzato soprattutto nei paesi del Nord Europa. A questo punto è proprio il caso di dire che anche Civitella ha finalmente il suo olio D.O.P.
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PEOPLE
FORNELLI D’ABRUZZO
NEL REGNO DELLA REGINA E’ teatino il primo ristoratore “forte e gentile “ dell’United Kingdom
ANNA DI DONATO avesse vagliato l’idea di un’attività che desse un accento innovativo per la comunità italiana presente sul territorio ed utile per chi, oltre mare, si occupa di rifornire i prodotti della nostra madre terra.
Un dato assolutamente certo è che la Gran Bretagna ed in modo particolare Londra pullulano di ristoranti italiani, pizzerie, caffetterie e negozi che sponsorizzano il made in Italy. Meno scontata è invece la presenza di un ristorante abruzzese, il primo, stando ad una serie di ricerche di settore. Aperto nel giugno 2012, in appena un anno è mezzo è riuscito ad abbattere le barriere di confine e a farsi strada in ambiente competitivo e saturo come quello londinese. Il proprietario, Emanuele Costantini, originario di Chieti, ha riassunto durante una piacevole intervista accompagnata da prosecco, i vari passaggi che lo hanno portato alla realizzazione del progetto. Com’è nata l’idea? Sono venuto a Londra circa sei anni fa, dopo un master all’European Business School, mi sono chiesto come mai nessuno
Quali sono i prodotti che vi giungono dall’Abruzzo? La grande maggioranza arriva da lì. L’agnello, gli arrosticini da Villa Badessa, i salumi, i formaggi, la ricotta da Alanno, il tartufo, il primo sale e persino l’impasto fresco che poi qui utilizziamo per fare la pasta, 100% homemade. L’80% dei vini viene anche da lì, Illuminati, Masciarelli, Pepe, Valle Reale, Valentini e molti altri, ognuno con un propri suppliers nel Regno Unito che si occupano dell’importazione. La merce arriva in aereo nell’arco di 3 ore e senza troppe difficoltà. La carne di manzo ed il pesce preferiamo acquistarli direttamente qui. Non sono di certo prodotti con marchio abruzzese. Sappiamo che nell’arco degli ultimi mesi l’attività ha registrato un’impennata in termini di conoscenza e sponsorizzazione. Com’è andata? Il tutto è iniziato con le prime recensioni positive postate sul web da Trip Advisor, il più famoso organo interattivo che permette di postare direttamente i commenti dei clienti e che in seguito ad una serie di analisi attribuisce una votazione, positiva o negativa, al ristorante in questione. Da lì siamo stati poi contattati da diverse istituzioni italiane ed i diversi incontri sono poi culminati nell’evento di dicembre 2013 che ha visto come ospiti Giamberardino, Presidente del consorzio dell’olio “CAPO” e Simonelli, Presidente della Camera di Commercio. Cosa pensa la clientela inglese del nuovo arrivato? Nel giugno 2013 il Guardian ci ha dati il suo 7 su 10 super inaspettato e nel prossimo numero dell’Evening Standard usciremo tra i Top 3 di carne allo spiedo a Londra. Belle soddisfazioni!! L’incontro si conclude con un caloroso e casereccio grazie ai cuochi e a tutto lo staff (di cui uno in particolare di Villa Rosa) e l’anticipazione della presenza attiva del cuoco “abrusiciliano”di Terra Vergine all’evento del 14 Aprile organizzato dall’Italian Chamber of Commerce in Uk e che avrà per tema il Consorzio di Tutela del Montepulciano d’Abruzzo
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RITORNO AL PASSATO
L’ACQUA ALLA SPINA
CHE FA DI NUOVO PIAZZA LE “CASETTE” LA SERVONO LISCIA O FRIZZANTE, AIUTANO L’AMBIENTE E FAVORISCONO IL RAPPORTO SOCIALE
Valeria Conocchioli Spuntano come funghi, quasi tutti i comuni ne sono dotati o si stanno mobilitando per fornire ai cittadini questo servizio. Ma come si è passati dalle vecchie fontane pubbliche alle moderne Case dell’acqua? Fino a qualche decennio fa, soprattutto nei paesini, l’acqua in casa non c’era e per questo le fontane erano importantissime e le diverse vasche si prestavano ai più svariati usi: la fontana per attingere l’acqua da usare in casa per bere, cucinare o pulire, il lavatoio per lavare gli indumenti e l’abbeveratoio per far bere gli animali. Tutto avveniva in un clima sereno e quasi festoso. Le donne lavavano i panni cantando, i contadini scambiavano qualche parola e i bambini scorrazzavano qua e là magari giocando a rincorrersi o facendosi scherzetti. I racconti dei nonni saranno pieni di queste immagini: un panno sulla testa arrotolato a mo’ di base, sopra la conca di rame con l’acqua e via che si tornava verso casa cercando di mantenere l’equilibrio per non dover fare di nuovo tutto il tragitto. Molte sono le antiche fontane della Val Vibrata, come quelle di Ancarano e Nereto, che garantivano un approvvigionamento idrico a tutto il paese. Qualcuno ricorderà con nostalgia quando la fontana rappresentava il centro vitale e aggregante della vita quotidiana. L’andare a prendere l’acqua era quasi un pretesto per vedere amici, fare quattro chiacchiere e spettegolare un po’ tra comari su ciò che avveniva in paese. Dopo molti anni di consumo quasi ininterrotto di acqua imbottigliata, la situazione sembra tornata a quella di partenza: di nuovo a far la fila non più davanti alle fontane ma alle moderne Case dell’acqua. Si tratta di nuovi impianti per la distribuzione di acqua naturale e frizzante che oramai pullulano quasi ovunque su tutto il territorio vibratiano. Utili informazioni sono fornite dalla Fanbar Water Solution, l’agenzia che
si occupa delle Case dell’Acqua di Sant’Egidio alla Vibrata, Ancarano, Controguerra, Nereto, Sant’Omero e Torano Nuovo. Riportiamo di seguito alcuni dati relativi all’impianto di Sant’Egidio alla Vibrata (per il periodo compreso tra il 12 agosto 2012 e il 25 dicembre 2013) che ci aiutano a capire l’importanza di questo fenomeno. LITRI ACQUA DISTRIBUITI NUMERO BOTTIGLIE IN PET RISPARMIATE TOT. PET NON SMALTITO KG RISPARMIO ECONOMICO PER LE FAMIGLIE CALCOLATO SU UNA MEDIA DI 20 CENTESIMI AL LITRO IN EURO
377.258 251.505 10.060,34
50.301,07
(Fonte: Fanbar Water Solution) Il distributore ci informa anche che, oltre a fornire un servizio, «queste strutture promuovono comportamenti ambientali sostenibili e creano nuovi punti di aggregazione e di riferimento per i residenti. L’acqua che arriva in questi impianti, essendo a km 0, evita l’inquinamento dovuto alla produzione, al trasporto e allo smaltimento delle bottiglie di PET permettendo così un risparmio economico alle famiglie e una riduzione del consumo di petrolio e di emissione di CO2 nell’ambiente». Nonostante i tempi siano cambiati, andare a prendere l’acqua rimane per molti un rituale importante che torna a rivivere e a creare nuovi punti di ritrovo e socializzazione.
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TERRITORIO
INTORNO A UN CHICCO DI GRANO
L’avvento delle macchine trebbiatrici Francesco Galiffa
Le tecniche usate per la trebbiatura, esaminate nel numero dello scorso febbraio, richiedevano tempi di lavorazione molto lunghi e disperdevano parte del raccolto. Per eliminare questi inconvenienti si cominciò a studiare l’impiego di macchine più complesse e nel lontano 1733 lo scozzese Michael Menzies costruì il primo prototipo di trebbiatrice, costituito da un insieme di correggiati montati su un albero azionato da una ruota idraulica. Prendendo spunto dalla macchina di Menzies, nel 1786 un altro scozzese, l’ingegnere meccanico Andrew Meikle, realizzò la prima vera e propria macchina per la trebbiatura utilizzando un tamburo con battitori fissi che percuotevano, piuttosto che sfregare, il grano: la macchina era attivata dalla forza idraulica o da quella degli animali, in genere cavalli. Seppur fallimentari, questi tentativi aprirono la strada alla meccanizzazione della trebbiatura del grano e testimoniano l’attenzione della nascente industria meccanica inglese verso il settore agrico-lo. Un forte impulso alla diffusione della trebbiatrice fu dato dalla rivoluzionaria invenzione della mac-china a vapore, perfezionata intorno al 1756 da James Watt. La macchina a vapore era costituita dall’unione di due parti ben distinte tra loro: la caldaia, che serviva alla produzione del vapore, e il motore, azionato dal vapore che si sviluppava nella caldaia. In poco tempo essa fu utilizzata per far funzionare le macchine nelle industrie e anche quelle impiegate nel campo dell’agricoltura. Per soddisfare le esigenze di quest’ultimo settore, in particolare proprio nella trebbiatura, tutto il conge-gno che produceva energia fu montato su un carrello, trainato da animali, col quale era trasferito da una località all’altra; proprio per la possibilità di essere spostato, al mezzo fu attribuito il nome di “locomobile”, di origine francese; in questa lingua significa, appunto, “che può essere trasportata”. La locomobile subì negli anni numerose modifiche strutturali, ma il modello che riportò il maggior successo e che si affermò nel settore agricolo fu quello detto “tipo locomotiva”, molto semplice e robusto, verso il quale si orientarono tutti i principali costruttori, per massima parte anglosassoni: Ruston, Proctor & C., Clayton & Shuttleworth, Marshall Sons &
C., Garrett & Sons, Ransomes, Sims & Jefferies. Molti di questi marchi trovarono un florido mercato pure tra gli agricoltori italia-ni. Anche in altri Paesi dell’Europa, comunque, furono realizzate locomobili, forse meno note, ma non per questo meno valide di quelle provenienti d’Oltremanica. In Italia, si cimentarono in questo campo industrie importanti come la Ernesto Breda di Milano, la Società Italo-Svizzera di Bologna e la Orsi Pietro&Figlio di Tortona, la quale produsse la prima locomobile nel 1907. La disponibilità “a domicilio” della forza motrice fornita da questa macchina spronò molti costrut-tori a perfezionare anche la trebbiatrice. Esternamente essa prese la forma di una grande cassa di le-gno montata su un carro a quattro ruote della lunghezza di circa sei o sette metri e che spiccava per il suo brillante colore arancione (almeno finché era nuova); dai suoi lati sporgevano degli assi sui quali erano montate delle pulegge; il tutto era azionato da una macchina a vapore o, col passare del tempo, da un motore a scoppio oppure elettrico. In questa macchina venivano introdotti i covoni di cereali (grano, orzo, segale, avena ecc.) e dalle varie uscite venivano fuori paglia, pula e il prezioso seme. Sin dall’inizio erano realizzate macchine di diverse dimensioni per rispondere alle caratteristiche altimetriche dei terreni sui quali dovevano essere utilizzate. Le versioni erano denominate con la misura del battitore, che poteva variare da 122 a 60 cm; le prime, più pesanti ma anche più veloci nella trebbiatura, erano destinate ai terreni pianeggianti; le più piccole alle aree montuose e le in-termedie alle zone collinari. Per completezza d’informazione va detto che esistevano anche delle mini trebbiatrici con battitore da 30 cm. In Italia, le prime prove di una vera e propria macchina trebbiatrice mossa da una locomobile a va-pore furono eseguite nel 1857 nella tenuta di Mezzolara, nel bolognese. Nel 1880 si potevano già contare diverse trebbiatrici meccaniche (Ruston-Proctor, De Morsier, ecc.) di proprietà di piccoli e grandi imprenditori agricoli e di conto-terzisti, che le noleggiavano ai mezzadri in cambio del 4% del prodotto giornaliero.
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TERRITORIO I vantaggi derivati dall’impiego di questi mezzi nella trebbiatura fecero crescere la richiesta di mez-zi e, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo successivo, molte industrie meccaniche del nostro Paese si dedicarono alla loro costruzione. L’azienda Giovanni Abbriata di Sezzadio nel 1896 pro-dusse le prime macchine, che nel giro di pochi anni s’imposero per la loro qualità. Nei primissimi anni del Novecento anche la Orsi Pietro&Figlio si affermò sul mercato con dei mezzi, che diventa-rono presto famosi per l’efficienza e la robustezza. Col passare degli anni costruirono trebbiatrici molte altre aziende, tra le quali meritano una citazione, per la rilevanza nel mercato nazionale, la Pietro Bubba, la Breda, la Carra, la Colorni, la Pignone, la Mansal di Legnago, la Sacfem, l’A.M.A., la Sima e la G. B. De Antoni; le ditte più vicine alla Val Vibrata erano le Officine Zap-pelli di Jesi e la Renato Rossini di Macerata. Tra i mezzi utilizzati in Italia predominavano, però, quelli di importazione: nel “Censimento delle trebbiatrici e delle sgranatrici per cereali, leguminose da seme, semi minuti”, compilato del 1937 questi erano 13298 a fronte dei 9214 di produzione na-zionale; 3664 erano quelle con marca non specificata. Tra le straniere circolavano 3363 Hofherr Schrantz, 3323 Marshall, 3133 Ruston; tra le Italiane, 1767 M.A.I.S., 1556 Breda, 1354 Casali; era-no presenti diverse altre ditte con un numero di mezzi molto inferiore. Le marche italiane erano più rappresentate nella produzione a piccola e media lunghezza di battitore, che non nella produzione a grande lunghezza. (cfr. ISTITUTO CENTRALE DI STATISTICA DEL REGNO D’ITALIA, Censimento indu-striale 1937-XV, Monografia n. 1, Roma, Tipografia Failli, 1939)
I modelli più recenti di trebbiatrici in circolazione all’epoca del censimento presentavano delle grandi innovazioni di carattere strutturale. Erano stati aggiunti degli organi complementari per otte-nere prestazioni sempre più perfette e complete. La novità principale era costituita dall’ideazione degli scuotipaglia, che permettevano di separare meccanicamente gli steli, ossia la paglia, che costi-tuiva la parte più ingombrante di tutta la pianta. Nella forma più comune essi si presentavano come scatole rettangolari molto allungate, aperte sopra e sotto e dotate nella parte superiore di listelli o di reti apposite per far passare i semi e trattenere la paglia. Essi erano posti all’uscita del battitore, ac-costati in numero variabile da tre a cinque, e erano animati da un moto sussultorio e ondulatorio per mezzo di uno o, meglio ancora, due alberi a gomito. Contemporaneamente al perfezionamento della trebbiatrice, si trovarono soluzioni nuove per la produzione di energia; fece irruzione sul mercato il motore a scoppio, sempre montato su un carrel-lo munito di quattro ruote, di cui quelle anteriori sterzanti, che nel 1937, all’atto del suddetto censimento rappresentava il 61,2% della forza motrice; esso aveva soppiantato la macchina a vapore, che fino a pochi anni prima aveva tenuto incontrastato il campo e che costituiva, ormai, solo il 20,7% della fonte di energia utilizzata. Il primo era preferito perché era meno pesante, di più facile spo-stamento, di più rapida messa in marcia e, soprattutto, di minor costo. Un altro concorrente del mo-tore a vapore era anche quello elettrico, che azionava il 12,8% delle trebbiatrici.
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Un’insospettata importanza conservava, a tale data, la ruota ad acqua, che muoveva quasi un ventesimo delle mac-chine. Quest’ordine di importanza delle diverse forze motrici cui si ricorreva per l’azionamento del-le trebbiatrici era il risultato di situazioni regionali molto disparate. A titolo di pura curiosità ripor-tiamo i dati relativi agli Abruzzi e Molise (allora un’unica regione, ndr.), dove erano adoperati: 1 ruota ad acqua, 159 motori a vapore, 951 motori a scoppio e 122 indicati come “altri motori”. I risultati del censimento del 1937 mostravano come si fosse ancora lontani da un’integrale mecca-nizzazione dell’operazione di trebbiatura; al 1936 sarebbero stati trebbiati meccanicamente circa i due terzi (66,3%) della produzione di grano. Lo sviluppo della trebbiatura meccanica, peraltro, fu molto diverso da luogo a luogo; c’erano territori ove pressoché l’intera produzione di grano era la-vorata a macchina (ad esempio, la Lombardia) e ce n’erano altri, invece, pure a considerevole pro-duzione frumentaria, dove la trebbiatura era fatta, di massima, con sistemi primitivi (ad esempio, la Sicilia). Il percorso di ammodernamento dell’operazione era ancora alquanto lenta (tra il 1929 e il 1938, la proporzione del raccolto trebbiato meccanicamente era salito dal 54,4% al 66,9%) e allora il Gover-no, per incoraggiare ulteriormente la trebbiatura meccanica, emanò un Regio Decreto Legge (n° 1549 del 5 settembre 1938), che prevedeva la concessione di un contributo massimo pari al 25% del prezzo di acquisto alle organizzazioni degli agricoltori che si provvedevano di trebbiatrici o coppie trebbianti di fabbricazione nazionale. Quest’ultimo vincolo rientrava nella logica della politica economica di stampo autarchico prediletta dal Regime. Le trebbiatrici (per non parlare delle macchine che producevano energia) erano molto costose (quel-la con battitore da 91 cm aveva un prezzo di mercato di 34 mila lire, quella da 107 cm 40mila, quel-la da 122 cm 48 mila) e quindi pochissimi ne disponevano direttamente. In provincia di Teramo,
per esempio, nel 1936, circolavano complessivamente 236 trebbiatrici, di cui solo 3 erano adoperate per conto proprio, 96 per conto di terzi e il resto (la maggioranza) per conto proprio e terzi. Finita la mietitura, quindi, le prestazioni dovevano essere richieste per tempo alle persone o alle organizzazioni che le gestivano, le quali predisponevano il turno degli interventi in base alla dislocazione ge-ografica dei clienti. Del trasporto di tutte le macchine, eseguito con gli animali, doveva farsi carico l’utente. Il trasferimento, spesso, era alquanto difficoltoso per le cattive condizioni delle strade, la cui ampiezza e il cui fondo non offrivano il massimo della sicurezza; si rischiava, soprattutto di not-te, di avvicinarsi troppo ad una scarpata e di ribaltare il mezzo. Nel Secondo Dopoguerra le cose si semplificarono molto perché il motore a scoppio fu soppiantato dal trattore a testata calda, che serviva sia per il traino sia per il funzionamento della trebbiatrice. Queste ultime, poi, cominciarono a subire delle modifiche che le resero più sicure e velocizzarono il lavoro. L’industria all’avanguardia per queste evoluzioni fu sicuramente la Orsi, che per prima ideò l’imboccatura di sicurezza per preservare le braccia dell’operatore dalla morsa del battitore. In se-guito, munì la macchina di un congegno d’imboccamento automatico, prima fisso poi reso girevole in tutte le direzioni, che evitava la pericolosa operazione di alimentazione manuale e risparmiava l’utilizzo di almeno tre operai. La meccanizzazione continuò con l’invenzione del lanciapula pneu-matico, del lanciagrano, sempre pneumatico, che risparmiava il faticoso e pesante immagazzina-mento per mezzo dei sacchi e contemporaneamente restituiva il totale dei quintali che erano trebbia-ti. Alla trebbiatrice, infine, fu applicato anche un pressapaglia; quest’accessorio sostituiva l’alzapaglia e sull’aia dei contadini le tettoie per riparare dalle intemperie le balle di paglia soppian-tarono i mucchi e le serre. Era soltanto il preludio all’arrivo delle mietitrebbie, con la conseguente fine di un pezzo della civiltà contadina.
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Foto: Bruno Massucci
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TESTO DI MAURA MARZIALI ILLUSTRAZIONI DI GIORDANA GALLI
MARZO
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cchieggia la primula sul greto del fiume a volte si sente un certo tepore ma non puoi fidarti perchè all’improvviso il cielo si oscura sparisce il sorriso le nuvole corrono in fretta quà e là lo scroscio di pioggia se viene poi va
il sole ritorna l’uccello cinguetta riesci felice e vai in bicicletta ma fai pochi passi e brontola il tuono o marzo che strazio non sei un galantuomo!�
RITAGLIA E COLORA
IMPRENDITORIA
PROGRAMMA COSME 2014-2020
FINANZIAMENTI DIRETTI PER LA CRESCITA DELLE PMI Parola d’ordine: Sviluppo della competitività delle piccole-medie imprese ALESSANDRA DI GIUSEPPE Il nuovo programma di sostegno alle imprese per il periodo 2014-2020 elaborato dell’Unione Europea, denominato “COSME” (Competitiveness of Enterprises and Small and Medium sized Enterprises), è finalizzato all’incremento della competitività delle piccole imprese sui mercati, nazionali ed internazionali, a facilitare l’accesso al credito ed in fine ad incoraggiare la creazione di nuove imprese. COSME prosegue l’attività del programma quadro per la competitività e l’innovazione (CIP) del periodo 2007-2013. Una valanga di soldi: 2,3 miliardi di euro, a disposizione degli imprenditori attraverso finanziamenti agevolati, a favore di singoli cittadini per creare nuove imprese ed a sostegno degli Stati Membri per l’attuazione di riforme politiche efficaci. Ma cos’è COSME? Approvato dal Parlamento Europeo il 20 novembre 2013 e dal Consiglio dell’UE il 5 dicembre 2013 COSME è il programma che supporterà le imprese in 4 diverse aeree: 1) Facilitare e migliorare l’accesso al credito per le PMI con lo stanziamento di 163 milioni di euro e la creazione di 2 fondi: - il Loan Guarantee Facility (Strumento di garanzia dei prestiti), che faciliterà prestiti per un importo fino a 150.000 euro per tutti i tipi di piccole e medio imprese, con garanzie e contro-garanzie per gli intermediari finanziari; - l’Equity Facility for Growth (finanza equità per la crescita), ovvero l’investimento di parte del budget in fondi che concedono finanziamenti del capitale di rischio e strumenti di mezzanine finance per l’aumento dimensionale delle piccole imprese. 2) Agevolare l’accesso ai mercati sia dell’Unione che mondiali supportando l’internazionalizzazione ed utilizzando la rete Enterprise Europe (61 milioni di euro).
3) Incoraggiare la promozione dell’imprenditorialità attraverso il sostegno alla creazione di nuove imprese e lo sviluppo delle attitudini imprenditoriali, in particolare per i giovani e le donne. 4) Favorire le condizioni per la crescita e l’innovazione, puntando sulla semplificazione e sburocratizzazione amministrativa, incentivando le iniziative nazionali, regionali e locali e riducendo le differenze nei contesti normativi e imprenditoriali tra i Paesi Membri. E’ possibile accedere ai fondi COSME attraverso partners locali della rete Enterprise Europe Network, intermediari finanziari locali per garanzie di prestiti o capitale di rischio oppure tramite un invito a presentare proposte o bandi di gara sul sito COSME (http:// ec.europa.eu/enterprise/initiatives/cosme) In passato le imprese potevano fare affidamento soltanto sui fondi strutturali europei erogati dalle regioni, FESR e FSE, mentre ora, grazie al programma COSME avranno un ulteriore canale diretto con la Commissione Europea sulla base della presentazione di una idea sostenibile. La gestione del budget sarà, come già accennato, prevalentemente esternalizzata. Gli strumenti finanziari saranno gestiti dalla Banca europea per gli investimenti (BEI) e dal Fondo europeo per gli investimenti (FEI), concessi tramite intermediari finanziari (banche, società di leasing, società di mutua garanzia, fondi di capitale di rischio). Per maggiori informazioni per l’accesso ai finanziamenti europei è consigliabile visitare il sito: http://www.access2finance.eu , e cliccare sul Paese Membro di appartenenza. Si aprirà un link dove è possibile conoscere quali sono gli intermediari finanziari supportati dall’UE.
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IMPRENDITORIA
IRONMONGERS’ HALL- S.PAUL
IL WINE TASTING ITALIANO A CACCIA DI IMPORTATORI Grandi etichette d’Abruzzo presenti oltre La Manica
ANNA DI DONATO Ancora una volta l’Italian Chambers of Commerce NEL Retgno Unito si è costituita sponsor di diverse cantine italiane, da Nord a Sud, decise ad abbattere le mura del mercato britannico. A fare da sfondo all’evento, un lussuoso palazzo in Tudor’s style risalente agli anni ’20 del 900. Giunti in loco e passati in rassegna diversi espositori provenienti dalle più importanti regioni d’Italia, ecco spuntar fuori 3 autoctoni d’Abruzzo: Marammiero, Eredi Legonziano e Crea Vini. A far digerire l’ulteriore assenza della Val Vibrata è stata proprio la presenza di questi tre impavidi produttori, ciascuno con proprie peculiarità, desideri di crescita ed espansione. Il primo ad essere intervistato è stato Giovanni Chiavaroli, rappresentante dell’Azienda Marammiero. Già da tempo nel mercato britannico, ben inserito in quello statunitense e con ottime percentuali di esportazione in tutta Europa, per casa Marammiero questa non era la prima trasferta londinese. Stando a quanto detto dal referente, per quasi un decennio e tramite un solo importatore presente nella capitale sono state esportate numerose quantità di vini, senza il minimo sforzo da parte del produttore, il quale, una volta messo a disposizione il prodotto e fattosi carico di un esiguo investimento, lasciava oneri e responsabilità all’incaricato dell’area. Una sorte avversa e il venir meno di quella collaborazione hanno spinto Marammiero ed i suoi vini a mettersi di nuovo in gioco e alla ricerca di nuovi buyers. Con una capacità produttiva di 500.000 bottiglie annue, non sarà semplice distribuire ed individuare i nuovi canali di emissione, ma, per l’azienda, ben radicata nel nostro territorio ed operativa all’estero da anni, non sarà difficile risolvere l’equazione. Ad ogni modo, lode all’intraprendenza. Sorprendente è stata invece la presenza di Eredi Legonziano, azienda lancianese nata nel 1968 e alla sua prima esperienza con il mercato inglese. Ad un primo colloquio con Camillo Bianco, Sales and Marketing Manager, è emerso che solo negli ultimi mesi ci si era iniziati ad occupare del mercato estero in seguito ai rilevanti dati delle Camere di Commercio Abruzzesi che vedevano in netto rialzo il settore export per i prodotti agroalimentari e vitivinicoli. Con grande sorpresa, alla destra dell’agente di vendita incaricato ecco spuntare la figura di uno dei proprietari, uno di quelli che va in vigna e personalmente cura i prodotti della sua terra: Claudio Marzucco,operativo con i Legonziano, già dal ‘68. La sua inaspettata presenza ha fatto accrescere l’interesse e portato a nuove scoperte. Sponsor del Lanciano e con una capacità produttiva di 1.000.000 di bottiglie annue, oltre all’ottima qualità del caro Montepulciano , Legonziano vuole offrire una sfida al mercato interno e a quello estero, sfida che risiede in uno dei suoi spumanti creato attraverso la
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perfetta fusione tra passerina, cococciola e pecorino. La trasferta dell’impavido Marzucco, uomo di terra e vitigno, avrà senz’altro dato i primi frutti. L’ultima ed interessante fermata è stata allo stand di CreaVini, società di Casoli con i loro stand e i loro vini. Alla domanda a quale cantina o azienda vitivinicola facessero riferimento, esilarante è stata la risposta: <<Noi i vini li creiamo>>. Questa società lavora infatti con vini sfusi e da tavola IGP e DOP, non possiede vitigni, acquista direttamente uve e/o mosti in tutto il centro e il sud Italia, li lavora attraverso attrezzature d’avanguardia; i laboratori di analisi ne controllano poi la qualità. Questa cooperativa, società o qualsiasi nome si voglia loro attribuire, ha dunque la peculiarità di rispondere direttamente alle richieste dei clienti, sfruttando però il prodotto primitivo che viene semplicemente rielaborato ed innovato. Per evitare gli attacchi dei puristi e dei più accaniti concorrenti, i creativi hanno abbracciato direttamente il mercato estero. Anche in questo caso alla sua prima esperienza londinese, il proprietario, Biase Di Tommaso, ha raccontato dell’ottimo profitto ricavato sul mercato europeo; 15.000 bottiglie in distribuzione da Alliance Wine, 100.000 vendute nel giro di pochi mesi in Svizzera solo nel campo della ristorazione, ottimi gli affari in Polonia e capacità produttiva di oltre un milione di bottiglie annue. L’incontro si è concluso con un breve colloquio con Verena Cavis, una delle coordinatrici dell’evento e referente della Chamber of Commerce la quale ha chiarito la modalità di sponsorizzazione dell’evento e diramazione di inviti; il tutto è avvenuto attraverso la ricerca di coloro che avevano ricevuto diversi premi, considerazioni di esperti del settore e capacità di marketing dei singoli produttori. Per quanto riguarda i recenti contatti e collaborazioni con le Camere di Commercio Abruzzesi, a quanto pare sono scarsi o poco proficui ed è questo un aspetto su cui bisognerebbe lavorare, da ambo le parti.
IMPRENDITORIA
EXCEL LONDON
VAL VIBRATA E MARCHE
PRESENTI AD ECOBUILD 2014
APRONO A NUOVI MERCATI Anna Di Donato
Era maggio 2013 quando per l’Italia si chiudeva l’ultimo ciclo di incentivi dedicato alle fonti di energie rinnovabili, costringendo gli adepti della ormai non più nuova tecnologia ad aprirsi a nuovi mercati. A distanza di un anno troviamo due dei pilastri dell’Italia Centrale nel settore, uno della termomeccanica e termoidraulica, l’altro del fotovoltaico e solare termico all’esposizione internazionale organizzata all’Excel di Londra. Nell’infinito tour di introduzione è stato possibile incontrare Riccardo Loddo e Maria Pia Di Battista di T.M.L. con sede a Favale e il commerciale estero Brandoni formato da Luca Silvestrelli e Eleonora Campanari, con sede a Castelfidardo (Ancona). Stando alle accurate delucidazioni di Silvestrelli, il campo delle energie rinnovabili, dopo la forte precipitazione dello scorso anno, sta subendo un’impennata nel settore estero e risollevando un minimo il mercato interno. Per quanto concerne le piccole famiglie, in seguito allo “stop-incentivi”, il consumatore non guadagna più sell’energia prodotta in eccesso ma, quanto meno, registra un risparmio netto sulle bollette ed il 50% viene restituito in 10 anni sotto forma di sgravi fiscali “non retroattivi” Per Brandoni, le zone con più installazioni pro capite sono Lombardia, Marche e Puglia, in minor percentuale l’Abruzzo;
grandi numeri in area del golfo, Sud America e Sud africa. Differente la situazione britannica, dove, negli ultimi due anni, soprattutto il mercato inglese ha adottato un linea di incentivazione all’“eco build”, superando in positivo, le aspettative europee. In particolare per queste ragioni non poteva mancare il nostrano civitellese Loddo attivo alla prima esposizione londinese ma con un già grande bagaglio di eventi internazionali come Milano Expò, e la fiera di Francoforte. Dal piazzamento sui mercati tedesco, austriaco, inglese, spagnolo, russo ed Irlandese, i Loddo hanno iniziato a navigare verso Marocco, Cile e Stati Uniti insieme alla fiducia dei numerosi installatori, distributori e rivenditori sempre più attenti al prodotto Made in Italy. Se è vero che il 75% della produzione viene poi smaltita sulle piattaforme d’oltremare e d’oltre oceano, l’azienda vibratiana ha di recente deciso di incrementare il numero di agenti presenti nel Nord Italia essendo mercato in fermento ed in crescita. Pungenti le parole del direttore del Gse (gestione e servizi energetici) che è ha sottolineato l’impetuosa avanzata della Cina in termini di listino prezzi ma non di certo in termini di qualità.
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IMPRENDITORIA
...ti veste con stile 35
AMBIENTE
IL COLORE VERDE DELLA SALUTE Dimenticate e abbandonate, verdure e radici campagnole sono fonte di benessere. Conosciamole ROBERTO Di NICOLA Cicoria selvatica
Nell’epoca del confezionato, del surgelato, del finger food e del cibo bio-chic, si sta via via perdendo il contatto con i prodotti della terra, con la materia prima nata dal connubio della natura con il sapiente lavoro del contadino, un patto che dura dal tempo dei tempi. E se un anziano oggi resta attonito quando il giovane nipote stenta ad associare una spiga di granturco con il mais in scatola che mangia abitualmente potrebbe rattristarsi non poco nel veder rifiutati i doni che la terra elargisce spontaneamente. E già, perché ci sono veri e propri regali che la terra offre continuamente che non necessitano del lavoro dell’uomo; erbe selvatiche che nascono e crescono rigogliose laddove la fertilità del terreno incontra il favore di precise condizioni atmosferiche. Sono le ‘verdure campagnole’, alimenti che hanno costituito per diverso tempo la solida base della tradizione culinaria povera in tutto il territorio italiano. Conosciamone qualcuna: Il crespigno o grespino è una pianta spontanea che vegeta nei campi e negli incolti, consumata come verdura da tempo immemorabile in gran parte d’Italia. In Abruzzo è comunemente conosciuto come cascigne (o cascegne) in provincia di Chieti e scrippigne nel teramano. Le foglie fresche, particolarmente gustose e ricche di preziosi sali minerali, possono essere
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variamente impiegate in cucina: in insalate, minestroni, semplicemente bollite con olio e limone, oppure come ripieno di ravioli o come ingrediente per ottime frittate; La cicoria selvatica e il caccialepre (noto anche come scaccialebbre o lattaccino): l’habitat tipico per queste piante sono le rupi marittime, gli incolti aridi, i muri e lungo le vie; ma anche i campi, le colture e le aree ruderali. In cucina possono essere servite come insalate, anche cotte. Sulla tavola del contadino in passato si consumavano questi prodotti abitualmente ed era la donna di casa a prepararli con fantasia affinché i commensali ne apprezzassero il gusto. In tempi in cui l’orto costituiva la risorsa principale per il sostentamento della famiglia, le erbe di campo rappresentavano una valida alternativa alle verdure e agli ortaggi coltivati, non presenti in tutte le stagioni, cosicché i pasti non erano monotoni e risultavano comunque gustosi e nutrienti senza richiedere un dispendio economico, peraltro, non per tutti possibile. Ora che la primavera è vicina, perché non fare una scelta di benessere a costo zero? Una gita in campagna alla scoperta di questi verdi tesori, testimoni delle nostre antiche radici e fonti di salute.
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“Un pessimista vede la difficoltà in ogni opportunità; un ottimista vede l'opportunità in ogni difficoltà.” Winston Churchill
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Fotoservizio MARCO CALVARESE
LA DISABILITA’ VA A CANESTRO
Altro che “limitati” , gli atleti dell’Amicacci mostrano grinta, tecnica e fanno punti. Qui abita lo spirito di squadra
MARCO CALAVARESE
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PEOPLE STAFF Presidente Onorario Cav.Giulio Pedicone e Lorella Pedicone Presidente Edoardo D`Angelo V.Presidente e Resp.Sportivo Peppino Marchionni Segretaria e Consigliere Erika Staffilano Consigliere e Meccanico Giancarlo D`Alessandro, Mauro D’Ignazio Consigliere e Resp. Medico: Marco Semproni Consigliere e Accompagnatore Moreno Tiengo Consigliere e Presidente Revisore dei Conti Paolo Core Responsabili Commerciali Mario Marini e Soccorsa Ciliberti Segreteria Cristina Sperandii Medici Marco e Valerio Semproni, Alessandra Neri, Ugo Fano, Marinangeli Giancarlo, Ernesto Di Carlo, Giuseppe Di Bella, Gabriella Lucidi, Giuseppe Mazzaufo. Fisioterapista Giuseppe Balcon Fotografi Marco Calvarese e Dante Di Salvatore
Normalmente si è abituati a guardare verso le grandi città per trovare le eccellenze sportive ed i servizi migliori. Invece in Abruzzo, nel campo della disabilità, l’esempio più alto arriva da Giulianova dove, contro tutti i limiti economici e di strutture adatte allo scopo, la Polisportiva Amicacci opera instancabilmente ormai da molti anni, dimostrando che il buon lavoro premia grazie alla testimonianza della squadra di Basket in Carrozzina “Gruppo Tercas Amicacci Giulianova”, che milita nel campionato di massima serie A1 dove se la gioca alla pari con le società blasonate italiane ed anche in Europa nelle Coppe disputate e vinte. La Polisportiva Amicacci nasce nel 1983, quando un gruppo di persone ritrovatesi nel centro “Santo Stefano” per accompagnare i loro famigliari con handicap fisico nelle pratiche fisioterapiche, intuiscono come sia importante riuscire a creare qualcosa che faccia superare l’imbarazzo ed il pietismo delle persone nei confronti dei diversamente abili che, in realtà, sono invece piuttosto una risorsa umana importante per la società. Proprio per questo motivo inizia a muovere i primi passi la
Dirigenti e Accompagnatori Pierpaolo Di Donato, Gianni Rosa, D`Alessandro Marzia, Armando Tiengo, Stefano D`Ostilio, Dante Di Salvatore, Moreno Mastrilli, Gianni e Melania Alessandrini, Enrico Rosati. Collaboratori interni Tito Rocci, Umberto Braccili, Luca Maggitti, Paolo Crocetti, Antonio Sorge, Di Berardino Fabrizio, Paola Meloni, Lorenzo Crocetti, Leonardo e Attilio Candelori, Giorgia, Nausica e Alessandra Marchionni , Di Donato Carmela, Di Donato Franco, Patrizia Bernini, Daniela Ettorre, Larissa Palamarciuc, Adele e Fabian Iacone.
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Polisportiva giuliese che, scelto a tavolino lo sport di squadra del Basket in Carrozzina, punta immediatamente sull’idea di far divenire protagonisti di loro stessi i diversamente abili ed in poco tempo, già nel 1984, riesce ad organizzare a Giulianova il primo Torneo di Basket in Carrozzina che lascia di stucco i tantissimi spettatori intervenuti, facendoli ricredere sul fatto che, quelli in campo sotto i loro occhi, non sono ai margini della società ma atleti veri e propri che offrono uno spettacolo sportivo pari a quello dei normodotati. Da quel 1983 ne è passata tanta di acqua sotto i ponti della Polisportiva Amicacci che, grazie soprattutto ai tanti volontari che operano nei diversi ruoli all’interno della società, è divenuta punto di riferimento e modello sportivo che oggi può contare anche sulla sala Polivalente “Simona Sugaroni” ed il “Centro Handisport Ronald Costantini” che rappresenta il punto di riferimento delle attività sociali e sportive dell’Amicacci che però, nel periodo estivo, trasferisce tutte le sue attività nello stabilimento balneare “Lido Fand”, gestito proprio dalla polisportiva giuliese ed autentico paradiso per i diversamente abili. Quella in via Galilei a Giulianova è una stru ttura sempre all’opera. Infatti mentre si attende l’apertura di un ambulatorio medico che metterà gratuitamente a disposizione degli atleti medici e fisioterapisti, non si contano i sogni realizzati fino ad oggi; tra questi, le squadre sempre più competitive che hanno scalato le classifiche dei vari campionati disputati, meritandosi da ormai diversi anni di poter militare nel Campionato A1 dove ha accarezzato il sogno dello scudetto non riuscendo a salire però ancora mai in vetta, come invece è riuscito in campo Europeo dove ha brillato nel 2012 nella “André Vergauwen Cup”, alzata al cielo in terra di Spagna. Oltre questo però l’Amicacci Giulianova può vantare nel suo roster diversi giocatori nazionali, italiani e stranieri, tra questi il giuliese Galliano Marchionni che ha potuto vivere anche l’emozione delle ultime Paralimpiadi di Londra vestendo la maglia azzurra. Proprio il capitano della squadra giuliese è
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anche il promotore di due progetti molto importanti, uno si chiama “Èsportabile” e l’altro “Amicuccioli”. Il progetto Èsportabile è stato ideato per cercare di educare i ragazzi, attraverso un video, una discussione e una prova pratica su una carrozzina, ad uno sviluppo dell’Italia anche a misura delle persone diversamente abili, come accade nei paesi sviluppati esteri. Amicuccioli è invece l’ultimo progetto in ordine cronologico che punta a formare gli atleti partendo da quando sono piccoli, questo non solo per creare il vivaio utile in futuro per la prima squadra ma per educare il bambino disabile a svolgere attività sportiva fin da piccolo, aiutandolo quindi a mettersi in discussione e affrontare la competizione, raggiungendo un equilibrio ed un’autonomia senza basarsi esclusivamente sull’aiuto della sua famiglia.
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di TEMPO CHE FA Come ci condizionano i mutamenti climatici. I più esposti QUELLI chE vivONO di dipendenze
VIRGINIA MALONI*
Molto spesso, nel parlare comune, usiamo lamentarci del tempo, ma c’è chi soffre davvero in maniera disagevole dei cambiamenti del clima sia a livello fisico che psicologico. Si chiama meteoropatia ed indica una serie di disturbi psichici e fisici di tipo neurovegetativo che hanno luogo in determinate condizioni climatiche stagionali. Ma chi è il meteoropatico? Una persona affetta da una serie di sintomi e reazioni patologiche che si manifestano quando c’è una variazione graduale, oppure improvvisa di uno o più fattori meteorologici su un dato territorio. I cambiamenti stagionali cui siamo esposti in questo periodo, dalla riduzione delle ore di luce al calo delle temperature, condizionano la produzione di alcuni ormoni come la serotonina, la melatonina, le endorfine (che agiscono sul riposo) ed ormoni come l’adrenalina e la noradrenalina, indispensabili per contrastare lo stress. Questi mutamenti climatici mettono a dura prova il nostro organismo che si deve ri-adattare spesso in maniera eterogenea e dispendiosa in termini di energia psicofisica. Ognuno di noi per ritrovare il suo regolare funzionamento affronta qualche inconveniente ma per alcune persone le alterazioni climatiche possono essere causa di un vero e proprio malessere: le persone così definite “metereopatiche” sono in continuo aumento a causa degli sbalzi climatici e in Italia si stima che una persona su quattro accusi tali problemi. I sintomi maggiormente rivelati sono: ansia, irrequietezza, sbalzi d’umore, problematicità cognitive, disturbi del sonno, apatia, stanchezza o debolezza fisica, voglia di rimanere chiusi in casa, dolori muscolari, difficoltà nel respirare, un senso di peso allo stomaco, mal di testa, alterazioni dell’appetito e della libido. Questi disturbi possono diventare anche molto fastidiosi e parzialmente invalidanti, fino a costituire una vera e propria patologia. I più a rischio sono coloro che hanno subito traumi a carico dell’apparato muscolo-scheletrico oppure chi ha una predisposizione alla depressione e all’ansia.
Particolarmente meteoropatici possono essere inoltre i soggetti che soffrono di dipendenze patologiche (alcool, sostanze stupefacenti, farmaci) e in condizioni di di-stress o sovraccarico cognitivo già in atto. Generalmente tutto inizia in concomitanza con un cambio di stagione e frequentemente colpisce le donne. Di norma, all’incirca 48-24 ore prima dell’arrivo di una perturbazione, la persona particolarmente sensibile può avvertire vari sintomi il cui insieme costituisce proprio la sindrome meteoropatica. Questi fastidi durano due giorni al massimo e il fenomeno è tanto più importante quanti più fattori atmosferici sono coinvolti nello stesso momento. A seconda delle conseguenze è possibile distinguere varie forme: 1. meteoropatia primaria (sintomi psicosomatici); 2. meteoropatia secondaria (peggioramento di condizioni fisiche già presenti); 3. seasonal affective disorder (depressione invernale, peculiare dei paesi del nord). Da uno studio a livello internazionale è risultato che vivere in ambienti molto luminosi aiuta a vincere quella parte della depressione che influenza la meteoropatia e viceversa. Soprattutto a fine inverno, in un ambiente molto luminoso si soffre meno della cosiddetta depressione primaverile, la Sad, Seasonal Affettive Depressione cioè del passaggio da una stagione all’altra. Secondo il Professor Brugnoli, medico esperto in bio-meteorologia, tra i possibili rimedi vi sarebbe l’esposizione quotidiana alla luce solare per almeno mezz’ora insieme con un regolare esercizio aerobico che aiutano a ritrovare il buon umore. Non bisogna poi trascurare il ruolo dell’alimentazione e di un regolare ciclo sonno-veglia. Evitare comunque la cura fai da te e nel caso in cui avvertite la vostra spossatezza come preoccupante non esitate a parlarne con uno specialista, a volte i sintomi possono essere, infatti, legati ad una problematica psicologica già in atto che contribuisce alla sindrome metereopatica. * (Psicoterapeuta)
Bibliografia di riferimento Studio del Prof. Angelico Brugnoli del Centro di ricerche in Bioclimatologia medica, biotecnologie e medicine naturali dell’Università degli Studi di Milano (ed.2007) U. Solimene, A. Brugnoli. Meteorologia e Climatologia Medica, Tempo, Clima e Salute, Media Med Edizioni, 2000 U. Solimene. E. Minelli. A. Brugnoli. Meteoropatie. RED. 2002.
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IMPRENDO SCHOOL LA SCUOLA PER LA TUA FORMAZIONE PROFESSIONALE
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BELLEZZA
QUEL LUCIDO CHE SPEGNE
Ecco come trattare la pelle grassa del viso, un inestetismo temuto dalle donne
Noemi Di Emidio*
La pelle grassa è un inestetismo molto diffuso specialmente in età giovanile. E’ causata da un’eccessiva produzione di sebo emesso dalle ghiandole sebacee. Spesso è caratterizzata da pori dilatati, comedoni, brufoli e risulta più spessa rispetto alla cute normale, dall’ aspetto lucido, dal colorito spento e poco luminoso e soggetta ad arrossamenti. Si distinguono due diverse tipologie: 1) La pelle grassa oleosa, caratterizzata da follicoli dilatati, aspetto lucido ed il sebo risulta molto fluido. 2) La pelle grassa asfittica, caratterizzata da sebo secco, dalla presenza di comedoni, punti neri. Inoltre essere più spessa, il suo strato superficiale risulta asfittico e se asportato con esfolianti, la pelle appare lucida come quella oleosa. Esistono diversi fattori che causano la pelle grassa: i fattori ormonali, principalmente nei giovani; fattori psichici , come lo stress; fattori alimentari, dove il consumo eccessivo di cibi a lenta digeribilità (cioccolato, carni grasse e altro) influenzano, ma in maniera minore. sulla produzione del sebo. Lo scopo del trattamento di questo tipo di pelle è quello di detergerla in modo corretto, asportando il sebo in eccesso e di normalizzare la sua eccessiva secrezione grassa. Occorre detergerla tutti i giorni con un latte poco grasso e purificante a ph acido, ed utilizzare un tonico disinfettante e astringente, mentre una volta a settimana utilizzare una ma-
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schera purificante a base di argilla che sia in grado di assorbire il sebo in eccesso senza seccarla troppo, mentre per il tipo di pelle grassa asfittica è consigliabile effettuare anche un peeling esfoliante. E’ importante anche utilizzare una crema viso giorno che contenga sostanze lenitive e sebo normalizzante, possono contenere estratti naturali come lavanda, rosmarino, timo salvia, camomilla. Ottimi sono anche i trattamenti con l’acido glicolico, specialmente per la pelle grassa di tipo asfittico perché è in grado di liberare i pori, di contrastare l’ipercheratosi, svolgendo un’azione antibatterica cutanea. In conclusione la cosa più importante è quella di effettuare un corretto trattamento estetico perché trattamenti scorretti possono favorire una maggiore produzione di sebo, più si sgrassa la pelle con saponi o detergenti inadatti contenenti sostanze chimiche , più essa diventa grassa e unta, questo fenomeno è definito effetto rebound (rimbalzo). Per questo motivo vanno evitati trattamenti troppo aggressivi e lavaggi frequenti effettuati con saponi, alcool,o con sostanze eccessivamente basiche o neutre che non rispettano il ph della pelle, oppure le eccessive esposizioni solari. Mentre una graduale esposizione a raggi ultravioletti può avere un effetto positivo e sebo normalizzante. * (Estetista)
Il futuro appartiene a chi crede alla bellezza dei propri sogni.
MODA
QUANDO
“I PIEDI DI GALLINA” DIVENTANO ELEGANTI FedericA Bernardini Stiamo per abbandonare la stagione fredda e non potevamo farlo senza un riferimento a quella texture che insieme al tartan ha contraddistinto la moda (e non solo) di questa stagione: il pied de poule. Risultato dell’alternanza di gruppi di quattro fili bianchi e quattro fili neri, risale alla Scozia del 1800 quando veniva indossato dai pastori per poi diventare nei primi decenni del ‘900 simbolo delle classi più ricche e benestanti. In seguito con le illusioni ottiche dell’Optical Art raggiunse il successo totale. Dior, Chanel, Louis Vuitton, Armani e più recentemente Ferragamo e Alexander McQueen hanno trasferito tutti il “piede di gallina” (traduzione di Pied de poule) sulle passerelle anche con alcuni tentativi di cromie diverse rispetto al classico e intramontabile bianco e nero che rimane sempre il preferito. Le celebrità e le star con l’abbigliamento e con gli accessori sono diventati vittime del pied de poule mania. Non ci credete? Guardate cosa ha messo Lapo Elkann sulla sua Fiat 500.
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T-SHIRT D’AUTORE
MODA
FedericA Bernardini
Quando l’arte e la moda s’incontrano e collaborano semplici t – shirt diventano vere e proprie opere d’arte. E’ questa una delle tendenze degli ultimi tempi, come nel caso dell’illustratore, ritrattista Paolo Galletto che attraverso l’utilizzo di colori ad acqua ha creato tre profili di donna per Caractère : tre sfaccettature dell’animo femminile, sensibile, seducente,vanitoso, forte.. La tecnica dello spin painting è stata invece quella utilizzata da Damien Hirst per Levi’s. L’artista, famoso per l’opera più costosa al mondo, ( un teschio umano tempestato di diamanti del valore di 99 milioni di dollari) si ispira al Messico celebrandone tutte le contraddizioni e riprende i temi delle farfalle, dei pois colorati e dei teschi per magliette, giacche e maglioni. Sportmax invece ci propone nella quinta edizione di Carte Blanche le opere della regista Chiara Clemente: dei veri e propri ricordi di viaggi interpretati su tessuto come le spiagge di Amalfi o scorci di New York. L’idea che si sta sviluppando dunque è quella dell’arte da indossare … e allora perché non diventare dei musei itineranti?
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i t n Eventi IN VAL VIBRATA e v
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MARTINA DI DONATO
GIULIANOVA
Il 28 marzo, presso il circolo culturale Il Nome della Rosa di Giulianova Alta, si terrà il vernissage con dal titolo “ Il blu profondo”. L’incontro con Riccardo Celommi sarà curato da Manuela Valleriani. Inizio ore 21.30. Ingresso gratuito. Il 28 marzo, sempre presso il circolo culturale Il Nome della Rosa di Giulianova, si esibirà live il gruppo Silenzio interrotto, con il loro excursus di suoni e parole. Inizio ore 22. Ingresso gratutito.
SANT’OMERO
Il 2 aprile presso la biblioteca comunale “Gabriele D’Annunzio” alle ore 20.30, si terrà l’ultimo dei cinque incontri monografici “Voci tra gli scaffali” dedicati a Danti Alighieri e alla Divina Commedia . Gli incontri sono un segmento del progetto “Mondo D’autore” . Gli incontri sono tenuti dal Professor Mario Rosati e sono allietati da intermezzi musicali della violinista Paola Florà. Sempre per la sezione “Voce tra gli scaffali”, il 12 marzo ed il 9 aprile alle ore 20.30 si terranno gli incontri “ Storia e memoria della resistenza italiana” dedicati alla Resistenza italiana, toccando anche quella abruzzese. Gli incontri sono tenuti dallo storico Costantino di Sante.
SANT’EGIDIO ALLA VIBRATA
Il 28 marzo, ancora presso il DejavuDrinkandfood, alle ore 22 si esibirà la band abruzzese Management Del Dolore postoperatorio. Il 2 aprile, presso la sala convegni dell’hotel Concorde dalle ore 10 alle ore 17 si terrà la V edizione di “Giornate di Psicologia Val Vibrata”. Il tema centrale sarà “Le radici del femminicidio”. Interverrano al convegno Dr. Alberto Magnanimi, la Dott.ssa Osvalda Cuccarese, il Dr. Paolo Cianconi e la Dott.ssa Virginia Maloni.
CONTROGUERRA
Il 29 marzo, presso l’enoteca comunale di Controguerra ci sarà l’appuntamento con la band blues Rolling Quartet.
COLONNELLA
Il nostro “cuore” per un ecocardiografo. L’Associazione “Quelli del caminetto” organizza per l’11 aprile una cena di beneficenza, presso il Ristorante Bellavista di Colonnella, per finanziare l’acquisto di un ecocardiografo da mettere a disposizione dei sanitari che operano nella Missione Francescana di Quinhamel, in Guinea Bissau. Info: 339 6305225
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CINEMA ANDREA SPADA
“10” di BlakE Edwards (Usa 1979)
E’ questo il titolo di una delle commedie più apprezzate e riuscite del maestro della commedia hollywoodiana, autore della saga la” Pantera rosa”, capace di fare del semplice film di genere quello che vuole sollazzandosi tra slapstick , nonsense e raffinatezze da commedia di autore. Questo sarebbe già sufficiente per tuffarsi nella pellicola immediatamente. Il protagonista ( Dudley Moore) è un quarantenne in crisi di mezza età che tra infantilismi e miti sul gentil sesso in piena andropausa è solito classificare le “pupe” che vede di tanto in tanto con voti da 1 a 10 . Quando un bel giorno ,osservando una deliziosa sposa in procinto di salire sull’altare ( Bo Derek), un ape, entrata inavvertitamente in chiesa, gli pungerà il naso e
qualcosa in lui cambierà per sempre. Dare 10 a una pin up come Bo Derek sarebbe già scontato se non fosse che il nostro eroe ne rimane talmente scottato da volarla seguire durante il suo viaggio nuziale fino in Mexico. Naturalmente a farne le spese sarà la dolce moglie ( Julie Andrews) che, tra un chiarimento e più di un equivoco ,verrà accusata di non essere abbastanza sexy e disinibita a letto ... così, mentre l ‘ape non punge solo sul naso il protagonista ma bensì tutti i sentimenti -a detta della moglie - ne esce fuori parallelamente un ritratto penoso del maschio medio, incomprensibile nelle sue scelte dettate da puerili luoghi comuni sulle donne. Forse un autocritica che certo le gag e le trovate sui nudisti dirimpettai guardoni o sui dentisti fissati che otturano fino a 6 carie alla volta finiscono alla fine per demolire, per favorire al contrario, un più pacato sguardo ironico e comprensivo. Molti i premi, compresa la bella colonna sonora di Henri Mancini ( La Pantera Rosa )anche se più di tutti questo film solletica per la curiosa scena di sesso tra Dudley Moore e Bo Derek che fanno l’amore tra spinelli e al ritmo del Bolero di Ravel ,ritenuto cosi sensuale da crearne una specie di leggenda metropolitana tra le persone comuni e persino nell’ industria dell’ erotismo da supermercato ... ma sarà vero?
SOTTO UNA BUONA STELLA di Carlo Verdone
Arriva il turno dell’ uscita del nuovo film di Carlo Verdone , imperdibile per gli amanti della buona commedia italiana ,si tratta come sempre, di una accurata analisi della quotidianità, stemperata al meglio attraverso la lente della vis comica. Risulta chiaro che trovare una freschezza narrativa, dopo molte prove negli anni , diventa piuttosto complicato ... eppure nel corso del film una sensazione alternata di alti e bassi sembra essere il quid in cui il film voglia portarci. Si respira aria di crisi nel personaggio interpretato da Verdone, un broker piuttosto agiato che, lasciata la moglie e i due figli ormai ventenni ,va a vivere con una rampante donna affascinante e superficiale ... e appunto come dicevo prima ,ecco i guai entrare dalla porta principale: nel mentre che la moglie muore tragicamente si ritrova lasciato, senza lavoro e ad essere ospitato dai figli stessi ... e allora satira e situazioni ai limiti della parodia si innescano a non finire , come l’incontro con la vicina di casa (Paola Cortellesi) che all’inizio finge di essere straniera ma che in seguito scopriamo essere una “tagliatrice di teste” dal facili sentimentalismi ...e ancora, la figlia che ospita in casa un improbabile massa di poeti dannati che durante un reading metteranno tutto a soqquadro... e ancora la scena degli orgasmi simulati da dietro il muro dei rispettivi appartamenti ...Insomma un film dai buoni sentimenti dalla parte di chi vuole riscattarsi soprattutto dalla parte dei giovani che, sempre più delusi dalle figure di riferimento, stentano a decollare , a camminare con le proprie gambe che cercano all’estero ancora quella speranza di “trovarsi un lavoro”... e infine, la denuncia satirica che Verdone aveva sin dalle sue prime opere sempre messo in evidenza qui vivacchia in un compromesso che riflette la difficoltà attuale, sotto le mentite spoglie della commedia semplice e da botteghino, con la gente in fondo che a bisogno più di ridere che di pensare , mentre nel contempo l’ anima va sempre più giù ...
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Le ricette della memoria
La piccola deliziosa
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Francesco Galiffa Chi scrive è figlio del Secondo Dopoguerra e ha trascorso in campagna la sua infanzia. Conserva un nitido e, per qualche verso, nostalgico ricordo di quel periodo della sua vita, durante il quale ha metabolizzato il valore di una civiltà ormai scomparsa e i sapori di una cucina realizzata con mate-rie prime semplici e genuine, tra le quali spiccavano i legumi. Gli è stato raccontato che in tenera età la nonna Emilia gli fece mangiare dei fagioli. L’incontro ravvicinato con quest’alimento, da ri-tenersi sicuramente pericoloso assunto così precocemente, deve avergli trasmesso l’amore verso i legumi in genere, che costituiscono ancora oggi, in purezza o mescolati a verdure o cereali, i suoi piatti preferiti; li consuma almeno 3/4 volte nell’arco della settimana. Di là di quest’aneddoto personale, è indiscutibile che, fino a mezzo secolo fa, i legumi rappresen-tassero, insieme ai cereali e alle verdure, la base alimentare per bambini, adulti e vecchi. Essi era-no definiti, infatti, la “carne dei poveri” per il contributo di proteine che fornivano all’organismo umano; giova ricordare che fino agli anni cinquanta del secolo scorso l’unica carne disponibile sul desco dei contadini era quella del maiale e, più raramente, di qualche animale da cortile, sacrifica-to esclusivamente in occasione delle feste “ricordative”. Per una bizzarra legge del destino, questo regime alimentare, che una volta era seguito per neces-sità oggettive dettate dalla povertà, oggi è considerato dai dietologi un esempio di sana alimenta-zione ed è conosciuto in tutto il mondo col nome di Dieta Mediterranea. Questa premessa serve per anticipare al lettore l’intenzione di dedicare alcune puntate di questa rubrica ai piatti che vedono come protagonisti i legumi, preparati secondo le ricette tramandate dalle donne della Val Vibrata e delle aree limitrofe. In primo legume a essere preso in considerazione è la lenticchia (Lens culinaris), le cui origini sono antichissime e il cui valore nell’alimentazione è testimoniato da un famoso baratto, ricordato nella Bibbia: un affamato Esaù, figlio di Isacco e Rebecca, rinunciò al diritto di primogenitura in favore del fratello gemello Giacobbe per un piatto di questi piccoli, gustosissimi e variopinti semi appena cotti e ancora fumanti. Per alcuni storici, la lenticchia sarebbe stato il primo legume ad essere coltivato. Sembra, infatti, che, in base allo studio di alcuni reperti fossili, fosse seminata già nel 7000 a.C. nell’Asia Sud-Occidentale, in aree corrispondenti all’odierna Siria Settentrionale, da dove si diffuse presto in tutto il bacino del Mediterraneo, divenendo, in virtù del suo potere nutritivo ed energetico, uno dei cibi di base delle plebi della Grecia e di Roma. Presso quest’ultima, Catone dettò alcune norme per cuci-narle nel modo migliore e Apicio nel Libro V (Capitolo II) del De re coquinaria riporta due ricette per prepararle; in una prevede anche l’impiego di funghi.
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Galeno, celebre medico vissuto a Roma a cavallo tra il II e III secolo d.C., pose l’accento sulle sue virtù terapeutiche. Nel Medioevo e, in par-ticolar modo, nei periodi di forti carestie, quando il cibo scarseggiava, questo piatto sostituiva fa-cilmente un pasto completo, giacché era in grado di fornire proteine, sali minerali e vitamine, quali-tà che contribuivano a migliorare anche le condizioni di salute e, quindi, la resistenza alle malattie. Presso i Franchi erano considerate così importanti per l’alimentazione che la Legge Salica (VI sec.) prevedeva delle punizioni da infliggere a chi le rubava. Anche nei secoli successivi il nostro minuto legume continuò a essere apprezzato e consumato grazie al suo basso costo e alla facile reperibilità. Dalle nostre parti era apprezzato da esponenti di ogni ceto, come testimonia l’abate Berardo Quar-tapelle, nel libro I principii della vegetazione, pubblicato a Teramo nel 1801: «I granelli della len-ticchia, che sono i più piccioli fra tutt’i legumi formano una buona nutritura per la gente di campagna, quando sono cotti coll’acqua e conditi coll’oglio.
Le ricette della memoria Ma quando in poca quantità sono cotti colla carne stufata riescono di buon gusto ad ogni ceto di persone.» Nel mondo, oggi, si coltivano a lenticchia 3,2 milioni di ettari, con una produzione di 3 milioni di tonnellate; tale coltura è concentrata nelle aree svantaggiate a clima temperato e semiarido. In Italia se ne produce un modestissimo quantitativo, ricavato da appena 1.000 ettari di coltivazioni localiz-zate, soprattutto, in aree ristrette di altopiani, dove, però, le condizioni di clima e di suolo conferi-scono altissimo pregio qualitativo al prodotto, sia per sapore che per facilità di cottura. Nonostante la produzione limitata, sul territorio nazionale si contano, comunque, molte varietà di questo legume dai molteplici colori e dalle dimensioni ridotte (da 2 a 8 mm), che presentano caratteristiche così peculiari da meritarsi il riconoscimento di “Indicazione geografica protetta” o di “Denominazione di origine protetta”, come quelle di Castelluccio di Norcia, o di “Prodotto agroalimentare tradiziona-le”, come le altre di Colfiorito, Santo Stefano di Sessanio , Ustica, Onano, Altamura, Villalba, Ven-totene, Rascino e Valle Agricola. Nella letteratura specifica sono riportate numerose ricette di zuppe e minestre a base di lenticchie, ma le massaie oggi le servono prevalentemente sotto forma di passato e, soprattutto, come contorno dello zampone, del cotechino e di altri robusti insaccati, con i quali, peraltro, si sposano bene perché forniscono fibra, amidi
e un surplus energetico-proteico. La loro composizione in principi energetici le fa consigliare a chi ha il colesterolo alto, ma le vieta assolutamente agli iperuricemici, per la pre-senza di purine. Tutti sanno, infine, che il consumo di un piatto di lenticchie assume un significato propiziatorio du-rante il cenone di San Silvestro. Questo rito trae origine dall’antica usanza di regalare, a fine anno, una scarsella (la tipica borsa per conservare monete e dobloni) colma di lenticchie. L’augurio era che ciascun chicco si trasformasse in un doblone, rendendo così ricco e fortunato il destinatario del dono. Le lenticchie erano preferite a tutti gli altri legumi per la loro forma appiattita e tondeggiante che ricordava le monete e perché, essendo di piccole dimensioni, a parità di volume, erano in nume-ro maggiore! Tra le varie ricette per cucinare le lenticchie vogliamo proporvene una appartenente alla tradizione contadina della Val Vibrata, tratta dal libro Acqua&Farina, Istituto Comprensivo di Colonnella, Grafiche Martintype, 2004. Si tratta di un piatto unico, una zuppa “arricchita” con un ingrediente meno nobile dello zampone, una fetta di pancetta tesa, di cui la massaia poteva disporre per un lun-go periodo dell’anno, avendola conservata col metodo della salatura.
Le linticchie ‘nghe li sgrisci Ingredienti per 6 persone:
500 g di lenticchie 100 g di pancetta 2 spicchi d’aglio 1 pezzettino di cipolla 1 bicchiere di pomodoro 1 costa di sedano 2 carote olio d’oliva q.b sale q.b.
PROCEDIMENTO Scegliere accuratamente le lenticchie e, se si ritiene necessario, metterle in ammollo per qualche o-ra. Versarle, poi, in una pentola contenente acqua fredda insieme agli spicchi d’aglio interi, alle ca-rote e al sedano, tagliati a cubetti; salare e lasciar cuocere a fiamma bassa. Nel frattempo pulire e tritare la cipolla, sgrassare la pancetta e farla a dadini; versare tutto in una padella insieme ad un goccio d’olio d’oliva; far rosolare un po’ e aggiungere il pomodoro conserva-to a bagnomaria (in estate quello fresco tagliato a pezzetti); salare e lasciare ritirare per 10 minuti circa. Unire il condimento alle lenticchie appena cotte e scolate dell’acqua eccedente. Accompagnare con fette di pane casereccio, meglio se abbrustolite. * La foto del piatto è stata scattata da Alberto Camplese.
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LiBRI
L’IMPERO DEI SENSI
Cari lettori, voi che confondete i sette re di Roma con i sette nani (Romolo, Mammolo etc...), voi che il De bello gallico è un discorso sul fascino dei francesi, voi che la storia della capitale è SPQR (“Solo Per Qualche Romanofilo), oggi vi propongo un testo che vi farà dimenticare gli sbadigli e i diari sotto cui vi nascondevate per ripararvi dalla pioggia di perle di antica latinità che il vostro prof elargiva fiero e prolisso ai tempi della scuola. Si tratta di “Amore e sesso nell’antica Roma”, edito da Mondadori e firmato dal noto ‘figlio d’arte e di scienza’ Alberto Angela. E’ il terzo volume del ciclo di ‘passeggiate imperiali’, un sorprendente viaggio che ci porta letteralmente
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Roberto Di NicolA
a spasso per l’Urbe com’era 2000 anni fa. Sicuramente vi sarete chiesti molte volte com’erano davvero i romani? Erano fatti solo di battaglie cruente, campagne di conquista come si legge nei sussidiari e di intrighi politici e muscoli come si vede nei pomposi pepla cinematografici del secolo scorso? La risposta la troverete leggendo questo libro, che ci porta alla scoperta della sfera più intima dell’uomo romano, nella sua dimensione affettiva e sessuale come anche della donna nei suoi doveri di moglie e di amante. Il fascino di questo testo sta nell’affresco variegato che offre a chi legge: la Roma di Traiano era una realtà multietnica e stratificata, fatta di fasti e prepotenza per i ricchi e di umiliazioni e povertà per i ceti inferiori; realtà tanto distanti che vivevano l’amore e l’eros in maniera diversa ma che talvolta il piacere e il desiderio portavano ad incontrarsi. Come ci si amava nell’antica Roma? Come si baciavano gli innamorati? Cosa accadeva la prima notte di nozze? Quali erano le posizioni preferite a letto? Esistevano il push up, le escort, il kamasutra e i sex toysSeguendo l’autore per le vie della città eterna potrete soddisfare tante curiosità in merito alla vita quotidiana e sentimentale dei romani e accorgervi quanto erano moderni e, pertanto, simili a noi nelle relazioni di coppia o piuttosto lontani. Gli imponenti edifici che siete abituati a fotografare si animeranno ancora: vedrete il Colosseo e i Fori brulicare di gente e sbirciando tra i vicoli, nelle domus e nelle insulae noterete gli sguardi degli innamorati e le passioni ardenti degli amanti. Se ho solleticato a sufficienza la vostra curiosità, correte in libreria e, se siete superstiziosi, portate con voi il cornetto portafortuna; chissà se lo guarderete allo stesso modo una volta letto il libro! Oscula!!
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