C O LL AN A
Editore
Traversa dei Ceramisti, 8 17012 Albissola Marina (SV) Tel. + 39 019 4500659 Fax + 39 019 2071005 info@vanillaedizioni.com www.vanillaedizioni.com ISBN 978-88-6057-393-3 Testi Luca Bochicchio Irene Biolchini Progetto grafico Elena Borneto Copertina Metamorph (Crisalidi), installazione, 2017 Retro copertina U-boot, dettaglio dell’installazione: Passenger #2, cane nero, 2016 Copyright © Vanillaedizioni © Monika Grycko © per i testi, gli autori Ebook pubblicato nel mese di maggio 2018 a cura di Vanillaedizioni. Nessuna parte di questo ebook può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore.
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L’alterità è nella trasformazione. I nuovi cicli vitali di Monika Grycko di Luca Bochicchio
È indubbio che le opere di Monika Grycko ci pongono di fronte a una certa alterità: una o molte delle alterità possibili. Nell’ambito della cultura e della critica post-umanistica è già stato sottolineato come, varcate le soglie del Ventunesimo secolo e sempre più inoltrandosi in esso, molti riferimenti e allusioni simboliche all’ibrido siano parsi indeboliti. Ad apparire in crisi è la simulata veridicità della mutazione teriomorfica, in una cornice di finzione dell’immagine che, complice la rivoluzione digitale, ha assunto tratti sempre più concreti grazie al costante e rapido aggiornamento delle tecniche di manipolazione dell’immagine. Non solo l’immaginario popolare ha contribuito a sdoganare la presenza e l’accettazione nella nostra società dell’ibrido, del mutante, dell’androide (cinema, musica, moda, tatuaggi, fumetti, animazioni): molto è cambiato anche da quando la tecnologia genetica così come quella estetica è diventata strumento comune di prevenzione, alterazione o sofisticazione dei connotati interiori ed esteriori del corpo. Accanto a tali acquisizioni scientifiche – per le quali sembra possibile modificare i propri tratti fisionomici secondo standard estetici tratti dalla moda ma anche dal mondo animale e digitale – si è imposta negli ultimi decenni la tecnologia robotica, che ha raggiunto livelli di mimesi pari o superiori a quelli preconizzati dalla letteratura e dal cinema di fantascienza del Ventesimo secolo. Per non parlare poi del versante virtuale della manipolazione dell’immagine, del corpo, dello spazio e delle costruzioni digitali che restituiscono esperienze tattili, immersive e realistiche sempre più perfette. Di fronte a questa rapidissima rimonta della realtà tecnologica su quella immaginativa, dell’esperienza reale sulla fiction, l’iconografia ma soprattutto la fenomenologia artistica dell’ibrido ha inevitabilmente assunto connotati differenti da quelli iniziali che miravano, fino grosso modo agli anni Novanta, a rendere plausibili e ingannevoli le immagini di esseri umani ibridati con l’alterità tecnologica o animale. In un certo senso si potrebbe affermare che le immagini create dagli artisti per raccontare un alternativo possibile incontro con l’alterità, liberate dal dover ipotizzare o dimostrare una sorta di plausibilità del teriomorfismo o del tecnomorfismo, stiano tornando alla loro dimensione liberamente fanta5
stica, stimolando quindi le facoltà immaginative, empatiche e inconsce dell’uomo. Quando, tra gli anni Novanta e i Duemila, le sculture teriomorfe e le composizioni digitali di Monika Grycko hanno iniziato ad apparire nelle gallerie italiane, era ancora forte l’influenza culturale di Matthew Barney o di Bjork, solo per citare due macro-esempi e due declinazioni fra i tanti che si potrebbero ricordare. Tuttavia già allora nelle opere di Grycko si poteva notare un interessante elemento di demarcazione rispetto alla cultura generale di riferimento: scegliendo di piegare alle proprie esigenze espressive un medium come la ceramica (mixato ad altri materiali), l’artista polacca si poneva al di là della mimesi tecnologica, pur sostenendo a livello plastico e pittorico un elevato grado di realismo fisionomico in quelle sue donne-scimmia, donne-uccello o donne-cane, modellate, cotte e dipinte. Nelle sculture come nelle immagini digitali, Grycko lavorava già sullo spaesamento, sulla paura dell’altro e di sé, sull’incarnazione nell’identità e nel corpo femminili di timori inconsci e ancestrali; l’artista agiva dunque plasticamente e iconograficamente sull’emersione di tali pulsioni, in un contesto sociale iper-tecnologico e razionalista come quello d’inizio secolo. Oggi che oltre un decennio è trascorso da quelle prime sculture ibride, le più recenti opere Dogmaster (2015) e Metamorph (2017) pongono nuovamente la questione dell’alterità; ma quale alterità raccontano? Metamorph è un progetto installativo multimediale, composto da elementi in ceramica, strutture metalliche e video, che formano ambienti e organismi compositi e residuali. Dogmaster è un’installazione basata su un gruppo di cagnolini in ceramica, vagamente antropomorfi e dai tratti infantili, orientati e protesi verso una luce a neon intermittente posta su una parete al di sopra di essi. Ad un primo livello, la memoria corre inevitabilmente a opere culto della letteratura e del cinema internazionali, da Uova Fatali di Michail Bulgakov (1925) a Dead Ringers di David Cronenberg (1988) o Inland Empire di David Lynch (2006); ma sarebbe altrettanto significativo individuare altri modelli nel campo delle arti visive, da Daniel Lee al già citato Barney. Per cercare di approfondire l’approccio di Monika Grycko al di là di tali innegabili ma forse scontate convergenze, è opportuno risalire alla nascita dell’opera Metamorph. Si tratta di un’installazione site-specific realizzata per il Museo di San Domenico di Imola, nell’ambito del progetto Chiamata alle Arti/01. L’artista si è concentrata sulla collezione di insetti, ordinata dal 1840 al 1882 da Odoardo Pirazzoli, oggi parte del Museo Giuseppe Scarabelli. Interessata al processo di metamorfosi, Grycko ha riflettuto sulla mutazione delle cicale, dallo stadio larvale (che si svolge sotto terra e può durare fino a diciassette anni) a quello aereo, sulle fronde degli alberi; ciò che resta a terra al termine di questo ciclo è la veste della vita precedente degli insetti. Tale atteggiamento parascientifico dell’artista, del tutto avulso dal desiderio di restituire filologicamente 6
una visione biologica del fenomeno entomologico naturale, richiama in gioco una tradizione ben precisa, non a caso antitetica rispetto al positivismo di metà Ottocento che è anche l’humus nel quale nasce la collezione naturalistica del Museo Giuseppe Scarabelli. Mi riferisco a opere che guardano alla scienza a alla natura attraverso una riflessione narrativa e simbolica, come quella di Maurice Maeterlinck, scrittore belga fondatore del teatro simbolista, il quale pubblicò, a partire dal 1901, un trittico di saggi sulla vita sociale degli insetti: api, termiti e formiche. In quanto simbolista, Maeterlinck era più attratto dall’alterità di queste forme di vita e di organizzazione sociale che non dall’idea di restituire scientificamente il comportamento degli insetti. Resta da chiedersi, allora, cosa significhi oggi – oggi che (quasi) tutto è cambiato dai tempi di Maeterlink, oggi che sappiamo (quasi) tutto sui fenomeni naturali e astrali, oggi che del corpo umano e animale si può fare ciò che si vuole – per un’artista come Monika Grycko, nata a Varsavia nel 1974, guardare alla natura, osservarne e catturarne gli spunti per realizzare opere multimediali che si servono di scultura, fotografia, disegno, video, ma che trovano nella ceramica il loro medium principale. Proprio la ceramica può essere una delle chiavi per accedere al processo creativo intimo di Grycko. Di fronte a queste sue opere finalmente siamo esentati dal dover citare uno qualsiasi dei, pur legittimi, riferimenti all’arcaicità del materiale, all’universalità del linguaggio plastico, al primitivismo dell’espressione, all’essere legata, da secoli, all’oggetto d’uso: dalla più popolare ciotola, dalla più elementare tavoletta, ai più pregiati servizi in porcellana. Ecco, tutte queste verità sul medium, di fronte all’opera di Monika Grycko possono essere momentaneamente lasciate da parte; a lei, così come a molti artisti della medesima generazione, interessa la ceramica come mezzo non totalizzante, ma sostanziale, per dare corpo a un immaginario, a una visione plastica, per la quale non è necessaria l’ortodossia dell’artigiano ceramista. Grycko, infatti, conosce le tecniche ceramiche ma le supera in direzione di una contaminazione dell’argilla con resine, vetro e vernici a olio. Dovendo modellare, cuocere e rifinire dei corpi, dei ritratti di esseri teriomorfi mutanti (mutanti perché vi riconosciamo un’ibridazione rispetto a un nostro ideale ritratto e a una sfera animale intesa come animale non umano), Grycko scatena un’ambivalenza palpabile che inizialmente si stabilisce tra la morbidezza del materiale, il candore artificiale della pittura, e alcuni dettagli curati in modo da reificare la scultura; dettagli post-reali, non descrittivi ma naturalizzanti, particolari anatomici accentuati da rilievi e dal colore carnale in prossimità di labbra, capezzoli, occhi, naso: attributi che per noi funzionano da marcatori, segnali che ci permettono di identificare, riconoscere ed eventualmente desiderare l’altro. Da questo fatto plastico, giocato tra alterità e riconoscimento, Grycko è passata, in queste più recenti installazioni, a un gioco di sguardi, interni all’opera ma anche esterni: tra noi e l’opera stessa. 7
Un altro esempio torna utile a comprendere questo concetto. L’installazione selezionata per la mostra del Premio Faenza 2015, It is almost the true, mostra un cerbiatto accovacciato (in ceramica), al suo fianco una struttura a tettoia dalla quale pendono mammelle della stessa specie e di fronte a esso, in un monitor, il video di un prato verde illuminato dal sole e mosso dalla brezza. La fissità animale, per la quale torna utile la fisicità della scultura, scatena in noi una condizione di immedesimazione, di disagio, di spaesamento perché ci rendiamo conto che siamo noi quell’animale che guarda attraverso un filtro lontano la natura che l’ha creato, che ne ha determinato l’esistenza, che ne dovrebbe essere il nutrimento (le mammelle che però, in questo caso, ricordano piuttosto l’oscenità degli allevamenti intensivi). Una natura che Grycko affida senza retorica a un’immagine digitale. Questo essere legati oramai a un dispositivo tecnologico che attiva o disattiva il nostro sguardo sul mondo denuncia l’attualità del tema dell’ibrido e dimostra come Monika Grycko ne sia un’interprete qualificata rispetto al tempo in cui viviamo: la fine del secondo decennio degli anni Zero. Se da un lato, quindi, It is almost the true poteva provocare in noi anche il desiderio (folle) di andare a cercare, a vedere questa natura al di là del monitor, varcando le soglie di una realtà nella cui miseria l’idillio è raro ma forse ancora possibile, con Metamorph l’artista torna a proiettare il suo sguardo sull’animalità, e lo fa direttamente affrontando un’alterità (in questo caso le crisalidi) che sfida l’antropocentrismo entro il quale siamo imprigionati a partire dall’età umanistica, con l’abbandono progressivo della religiosità medievale. Un simile ribaltamento di sguardo, che mantiene però al centro dell’attenzione l’alterità animale, si verifica anche in Dogmaster. Su quei cagnolini dagli occhi dolci istantaneamente proiettiamo le nostre tenerezze, come avviene quotidianamente nei confronti dei pet con cui circondiamo e condividiamo le nostre vite. In questo caso però manca, a darci un appiglio rassicurante, anche quella parvenza di natura – omogeneizzata e digitalizzata ma comunque familiare – che trovavamo in It is almost the true; in Dogmaster la natura (che può essere anche la divinità) è stata sostituita da una fonte di luce a neon, energia amorfa che rapisce e bolle la nostra capacità critica. Cerchiamo nel pet quello che ci manca nella vita ma in quest’opera non troviamo qui altro che una deformità fanciulla tenuta all’amo da una luce, proprio come accade per le falene notturne. Tecnologia vince su Tecnica nel pantheon degli Dei dell’era tecnocratica, comprovando una volta in più le teorie espresse da Gillo Dorfles in Nuovi riti, nuovi miti (1965). Paradossalmente, però, è proprio la tecnica della ceramica, o meglio le tecniche con cui Grycko utilizza la ceramica, a risultare efficaci e adattabili a un discorso prettamente filosofico e culturale che potremmo ricondurre al concetto foucaultiano di eterotopia. In Lampadari, una delle opere che compongono Metamorph, notiamo la compenetrazione fra gli 8
oggetti di design (i bracci metallici dei lampadari) e le sculture in ceramica. Queste ultime sono bozzoli cavi, che rimandano sì all’esistenza degli insetti ma anche e soprattutto ai nostri organi interni, che qui vediamo scandalosamente esposti nella stanza. La scultura è un’organizzazione spaziale che ci connette all’universo organico pur mantenendoci consapevoli dell’eterogeneità delle sue componenti, le quali a loro volta ci sbalzano psicologicamente in diverse scene distopiche: siamo in un museo di scienze naturali, siamo in un incubo, in un ospedale psichiatrico, in uno studio di design, in un laboratorio biologico. Quest’opera, come le altre componenti di Metamorph – Tappeto, in particolare, ma anche Nefertiti e Televisione –, si configura quindi come un foyer, abbastanza claustrofobico ma delimitato in circolo da porte tutte apparentemente uguali, che ci è dato aprire con un minimo sforzo del pensiero. Infine, è singolare e degno di nota il fatto che l’evoluzione filosofica e di linguaggio che indubbiamente è riscontrabile nelle più recenti opere di Monika Grycko, passi anche attraverso un’attenzione matura a un’attività per nulla secondaria al giorno d’oggi, ma celata agli occhi della cultura di massa, che è quella, non a caso, dell’evoluzione scientifica. La ricerca sulle colture di cellule è la seconda faccia della medaglia delle indagini cosmiche, ma è oggi uno di quegli aspetti del nostro tempo confinati all’interno dei laboratori. Partire da un’indagine sulla metamorfosi della crisalide (dalla larva alla cicala) per esternare corpi organici e inquietudini primordiali, tremendamente attuali, ci ricorda come l’uomo, che tutto sa e conosce, non ha ancora mai sperimentato un processo di metamorfosi radicale come quella vissuta da molti insetti. L’operazione artistica agisce in questo caso da grimaldello per reimmettere nel circuito del quotidiano, del popolare, del discorso comune (al quale, è bene ricordare, appartiene l’arte contemporanea), parole, angosce, speranze e dubbi di una società guidata da una ricerca scientifica nascosta sotto molti strati di confusione tecnologica, istinti primitivi e indiscriminato consumo (di risorse, di prodotti, di spazio e di tempo). Riuscendo a riattivare la circolazione all’interno di un processo di alterità e desiderio, Monika Grycko ci riporta finalmente sulla semplice e mai scontata domanda: “dove stiamo andando?”.
Referenze Michail A. Bulgakov, Uova fatali (1925). Trad. it. M. Olsufieva. Firenze: Bompiani 2001. Gillo Dorfles, Nuovi riti, nuovi miti. Torino: Einaudi 1965. Michel Foucault, Utopie. Eterotopie (1966). A cura di A. Moscati. Napoli: Cronopio 2006. Roberto Marchesini, Il tramonto dell’uomo. La prospettiva post-umanista. Bari: Dedalo 2009. Roberto Marchesini e Karin Andersen, Animal Appeal. Uno studio sul teriomorfismo. Bologna: Hybris 2003. Maurice Maeterlinck, La vita delle api (1901). Trad. it. R. Costanzi. Milano: RCS Bur 2003. Domenico Quaranta, Confini, in Karin Andersen, Nouvelles études sur le magnetisme animal. Genova: Guidi & Schoen 2008. 9
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M E TA M O R P H OPERE 2017 / 2011
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Metamorph, 2017 installazione, dimensioni variabili
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Metamorph (Crisalidi), installazione, dettaglio, 2017 resine, gesso, metallo, dimensioni variabili Museo Scarabelli, Imola 14
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Metamorph 0.2 fotografia, cm 40x40 16
Metamorph 0.3 fotografia, cm 40x70 17
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Metamorph (Lampadari), installazione, dettaglio, 2016 tecnica mista, dimensioni variabili Manicalunga Gallery, Bologna 19
Metamorph (Lampadari), installazione, dettaglio, 2017 tecnica mista, dimensioni variabili Museo Scarabelli, Imola 20
Metamorph (Lampadari), installazione, 2017 tecnica mista, dimensioni variabili Art Site, Castello Govone 21
Metamorph (Tappeto #1), installazione, 2017 terracotta, dimensioni variabili Museo Scarabelli, Imola 22
Metamorph (Tappeto #2), installazione, 2017 terracotta, dimensioni variabili Museo Scarabelli, Imola 23
Metamorph, dettaglio dell’installazione: Nephertweety. Video Worms, 2016 tecnica mista, h cm 52 24
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U-boot, installazione, 2016 tecnica mista, dimensioni variabili 26
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U-boot, dettaglio dell’installazione: Passenger #1, 2016 tecnica mista, h cm 46
U-boot, 2016 installazione pittorica, olio su tela
U-boot, 2016 olio su tela, cm 120x160 28
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Passenger #2, cane nero, 2016 tecnica mista 30
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It can be the truth, installazione, 2014 tecnica mista, dimensioni variabili 32
Il Bosco, 2014 video Museo Internazionale delle Ceramiche, Faenza 33
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Dogmaster, installazione, 2014 tecnica mista, lampada neon, dimensioni variabili 36
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The best friends, installazione, 2013 tecnica mista, dimensioni variabili
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Laika / Omaggio al primo cane nello spazio, installazione, foto, 2012 tecnica mista collezione privata
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Mystic monkey, 2013 tecnica mista, h cm 70
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Holy monkey, 2015 tecnica mista, h cm 75 collezione privata
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La Budda, installazione, 2013 tecnica mista, dimensioni variabili
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La Budda, 2013 dettagli 50
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Totem, 2016 tecnica mista, h cm 80 Marc Francl Gallery, Cannes 52
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Relic, serie di sculture, 2010-2016 tecnica mista, teschi di animali Relic #1, h cm 28 Relic #2, h cm 15 Relic #3, h cm 15 Relic #4, h cm 70 54
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Intervista a Monika Grycko di Irene Biolchini
Il lavoro Metamorph è iniziato in occasione della Biennale di Mdina a Malta. In quella occasione il tema era la spiritualità: come è nata l’idea di presentare delle parti di corpo per descrivere questo soggetto? L’Idea iniziale di Metamorph non è nata esattamente insieme a Cultfigure. Lavorando per Malta con immagini di organi umani non avevo affatto in mente la metamorfosi. Ero interessata al ‘bipolarismo’ etico del cosiddetto uomo occidentale, al suo quasi rifiuto della fisicità nella cultura cristiana e ai problemi del relativo contraccolpo quali le manifestazioni della popcultura dedicate quasi totalmente al corpo e ai suoi splendori e miserie. Più tardi ho deciso di usare alcune forme del CULTFIGURE maltese che sono diventate parte del ciclo sulla metamorfosi, solo dopo. Il punto è che secondo i miei standard nel mondo dei primati qualsiasi cosa (con piccole variazioni) è connessa all’organicità e da essa dipende l’aspetto spirituale ed emozionale umano. Le forme organiche possiedono effettivamente tratti comuni tra di loro: i reni assomigliano a fagioli, lo stomaco e l’intestino sono simili ad alcune larve... Lo spazio a Mdina era molto barocco ed il tuo lavoro interagiva con una fontana. La fonte di nascita/salvezza era opposta ai tubi medici, agli organi. Puoi descriverci come hai vissuto quella interazione? Il fatto di poter inglobare dentro l’installazione una fontana barocca, insieme a tutti suoi significati mistici/idraulici, mi ha procurato molte soddisfazioni. L’interazione era perfetta ed avrei voluto rafforzare l’immagine della fontana come fonte della vita, inserendo tra i suoi raffinati dettagli un “phallus”, che purtroppo non compare nell’installazione definitiva. Quando il lavoro è tornato a casa, dopo la Biennale, ha iniziato ad assumere nuove forme, fino a quella più recente del lampadario. E tuttavia se guardiamo le scelte simboliche dall’acqua rigeneratrice ti sei spostata alla luce... Credo che anche per te il tappeto di cicale non sia tanto un omaggio alla mortalità quanto piuttosto un’allusione alla ciclicità, alla rinascita. Posso chiederti come è nato questo lavoro? Le forme e i titoli: Televisore, Lampadari, Tappeto, sono comparsi per rafforzare l’aspetto del mio approccio a tre fasi della metamorfosi, intesa non in senso strettamente entomologico. 56
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Effettivamente Omaggio alla ciclicità è un sottotitolo ideale per Metamorph. Lo stadio larvale appare nel video su grande schermo, da cui il titolo Televisore: l’immagine di un allevamento di larve, frenetiche nelle loro movenze come una folla umana, supervisionate con un certo stupore da Nephertweety (il busto femminile collocato di fronte). Anche il titolo Lampadari fa parte di questo schema: le strutture dei lampadari da soffitto ornati dalle “supernaturali” grandi crisalidi bianche, rassomiglianti appunto ad organi umani. A dire il vero, in questa installazione la luce ha poca importanza, i lampadari non la emettono proprio. Tappeto è una distesa di mute “dismesse” dei miei sproporzionati insetti dei quali l’immagine adulta non appare mai. Le vere mute di cicale sono esibite in teche entomologiche appese, come una sorta di relitto/testimonianza della natura veritiera delle mie osservazioni: le cicale passano la maggior parte della loro vita sottoterra (anche diciassette anni di stadio larvale), poi escono lasciando le affascinanti spoglie della loro vita precedente, cominciando una nuova vita tra le corone degli alberi. L’insetto adulto, “imago”, non compare nelle installazioni, rimane nella sfera immaginaria, ancora da scoprire. Nei pezzi in mostra i riferimenti si muovono da Lynch (nel caso dei cagnolini umanoidi attratti dalla luce intermittente) a Nietzsche. Come convivono alto e popolare all’interno della tua ricerca? Penso che l’arte rimanga tale, solamente quando proviene da un ricerca svolta in profondità, anche quando sembra derivare da pensieri sconclusionati. Non importa neanche da quali fonti provenga il concetto. Alla fine la comprensione ha un significato secondario. Come sai, penso che David Lynch, abbracciando nella sua arte aspetti assai popolari, riesca a raggiungere i vertici dell’alta espressività artistica. Sia lui sia Nietzsche attribuiscono un’importanza cruciale alle sensazioni, al subconscio, dal quale proviene la maggior parte degli stimoli utili a scoprire la profondità delle cose. La realtà “esterna” ad anche quella virtuale, proposta dal web, dai massmedia etc., raggiunge comunque la nostra mente, quindi non è necessario cercarla. Utilizzando questo metodo non si possono programmare i modi di abbinare il “popolare” e “l’alto”, il risultato si presenta alla fine da solo.
A fianco e nella pagina precedente: Culfigure, installazione, 2015 tecnica mista, dimensioni variabili The Mdina Cathedral Contemporary Art Biennale 58
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Monika Grycko
Monika Grycko nasce a Varsavia (Polonia) nel 1969. Nel 1999 consegue la Laurea in Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Varsavia. Vive e lavora in Italia, a Faenza. www.monikagrycko.net
MOSTRE PERSONALI
2017
Metamorph, a cura di Claudia Baroncini, Museo di San Domenico, Imola Die Werwandlung - Indagine a corpo libero, a cura di Elisabetta BovinaCrete Piece Unique, Bologna
2016 Mixentail, a cura di Francesca Baboni e Stefano Taddei, Il Pomo Da Damo, Imola Dogmaster, Marc Francl Gallery, Cannes (Francia) Cultfigure, a cura di Matteo Zauli, Museo Carlo Zauli, Faenza Dogmaster, a cura di Jernej Forbici e Marika Vicari, Convento Domenicano di Ptuy (Slovenia) 2013 Lost Shelf - Thomas Berra & Monika Grycko, a cura di Cecilia Maria di Bona e Rossella Farinotti, Galleria Bianca Maria Rizzi & Matthias Ritter, Milano 2012
Figurae, a cura di Beatrice Buscaroli, Banca di Romagna, Faenza
2011
Hybrids - duo show - Monika Grycko/Sara Stites, bipersonale, Galerie Helenbeck, Nizza (Francia) Biancaneve, a cura di Jernej Forbici e Marika Vicari, Musikcafe, Art Stays 2011 - 9° Festival d’Arte Contemporanea, Ptuj (Slovenia)
2010
Dall’animale all’uomo: una storia incredibile, a cura di Cecilia Maria di Bona, Galleria Bianca Maria Rizzi & Matthias Ritter, Milano 61
2009 Relikt, a cura di Roberta Gucci Cantarini, Rebecca Container Gallery, Genova 2006
Trasplantmen, Kunstraum B Gallery, Kiel – Germania
2005
Movimento extremo, a cura di Roberta Gucci Cantarini, Rebecca Container Gallery, Genova
1999
Attrazioni fatali, a cura di Stach Szablowski, Centro d’Arte Contemporanea di Varsavia
MOSTRE COLLETTIVE
2017
In the Earth Time, Italian Guest Pavillion, Gyeonggi Ceramic Biennale, World Ceramic Livingware Gallery, Gyeonggi (Corea del Sud) Arteam Cup 2017 - Mostra finale degli artisti selezionati, BonelliLAB, Canneto sull’Oglio (MN)
2016 Chiamata alle arti/01, Musei Civici di Imola, Imola Arteam Cup 2016 - Mostra finale degli artisti selezionati, Palazzo del Monferrato, Alessandria Triennale Europeenne de la Ceramique et du Verre 2016, Mons (Belgio) L’Aperto - Spazi pubbliche affissioni, Roccavignale (SV) Politic(s) - Art Stays 2016 - 14° Festival d’Arte Contemporanea, Ptuj (Slovenia) 2015 The Mdina Cathedral Contemporary Art Biennale, Mdina Cathedral, Mdina (Malta) Wunderkammer - Art Stays 2015 - 13° Festival d’Arte Contemporanea, Ptuj (Slovenia) 59° Concorso Internazionale della Ceramica d’Arte Contemporanea, artisti selezionati, MIC - Museo Internazionale delle Ceramiche, Faenza Collettivo MAD - A nessuno il suo, Monika Grycko - Abdon Zani - Daniel Wetzelberger, Galleria Molinella, Faenza Genetic Lab, nell’ambito di Maraveetherapy, Castello di Susans, Majano (UD) 2014
European Ceramic Context 2014, Bornholm Art Museum, Bornholm
2013
This Age, Galleria A+A Centro Espositivo Pubblico Sloveno, Venezia
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2012
Berlin Project - You call tell me, Faktory art Gallery, Berlino
2010 Premio Internazionale Arte Laguna 2009, collettiva finalisti, Magazzini dell’Arsenale, Venezia Premio Biennale Internazionale di Ceramica Contemporanea 2010, collettiva finalisti, Vallauris (Francia) C-ram-X, Galerie Helenbek, Parigi 2007
V.I.T.R.I.O.L., Galleria A+A Centro Espositivo Pubblico Sloveno, Venezia
2006
Oltre Lilith, Scuderie Aldobrandini, Frascati (Roma)
2004
Alta temperatura, Palazzo dei Conti Botton, Castellamonte (TO)
2003
The states of body and mind, Galleria “Performart”, La Spezia
1996
The effects of consumerism, Wimbledon School of Art, Londra
PREMI 2017
Residenza “Chiamata alle arti/01”, Imola
2016
Premio del Pubblico - 59° Premio Internazionale di Ceramica, Faenza Premio Vanillaedizioni, Arteam Cup 2016, Alessandria
2014
Premio Combat (installazione), menzione speciale, Livorno
2010
Premio Speciale Galleria Bianca Maria Rizzi e Premio Speciale Galleria Fiorella Pieri, Concorso Internazionale Arte Laguna 2009, Venezia Finalista alla Biennale Internazionale di Ceramica contemporanea 2010, Vallauris (Francia) Segnalata al Premio Combat (pittura), Livorno
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ISBN 978-88-6057-393-3
9 788860 573933
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