VARESEMESE FEBBRAIO 2022

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Mensile di attualità

FREE PRESS

N 3 | APRILE 2022

OVER THE RAINBOW A tutto tondo

Perché l’arte ci fa bene

Parole e immagini tra sacro e profano

Piccoli, grandi ricordi!

Leggi e vinci con VareseMese

In palio un weekend e pranzi-spettacolo “Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - LO/VA Anno 39 - n. 3 - Free Press

Concorso per regalare allegria in tempi bui

ALBERTO PATRUCCO Umorista

PAGINA 18

sorridere L’importanza di

La bellezza

salverà il mondo?


INDICE N. 3 APRILE 2022 ANNO XXXIX

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EDITORIALE Regaliamo bellezza

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FOCUS - SCULTURA Inno alla vita lungo il Sempione

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UNO SGUARDO AL TERRITORIO Immagini d’autore

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TURISMO Opere diffuse

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TURISMO Se l’arte fa crack

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FORMAZIONE, ISTRUZIONE, EDUCAZIONE Il senso della meraviglia

1 2 CULTURA La gioia della preghiera 1 3 CULTURA La ricetta segreta dei savoiardi benedettini - ARTE CULINARIA 1 5 FOCUS Arte della diplomazia in tavola

22 La bellezza salverà il mondo? Ispirandoci alla celebre frase pronunciata dal principe ne L’idiota, con l’economista Massimiliano Serati e l’aiuto del cartoonist Tiziano Riverso abbiamo analizzato il trend di alcuni settori dell’arte, importanti anche per il nostro territorio

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FOCUS - CINEMA “Non solo Oscar!”

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COVER STORY Piccoli, grandi ricordi! Leggi e vinci con VareseMese

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FOCUS - TEATRO “Altro che Fico più maturo!”

DIAMO I NUMERI 25 VARESE, Cultura, motore di sviluppo & AZIENDA 26 MANAGEMENT Over the rainbow

28 SALUTE Perché il bello ci fa bene

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29 ANIMALI Ritmo felino BIMBI 3 0 MONDO Arte in scatola

Che Ironia!

BIMBI 3 1 MONDO In punta di matita

Intervista all’umorista Alberto Patrucco, presidente di giuria del concorso legato all’autobiografia di Lucio Piccoli, di cui VareseMese è media partner, che mette in palio 60 pranzi-spettacolo e un fine settimana per due persone in una località turistica di pregio per i primi partecipanti, i finalisti e il vincitore

32 NATURA Quando sboccia la maestria 34 SPORT Arte su 2 ruote www.varesemese.it

MENSILE D’INFORMAZIONE DELLA PROVINCIA DI VARESE E DELL’ALTOMILANESE F O N DAT 0 N E L 1 9 8 3 DA G I O R G I O P I C CA I A E M E L A N I A R O C CA

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EDITORIALE

Regaliamo bellezza L’arte illumina tempi bui La sorpresa nel nostro uovo di Pasqua è un concorso per i lettori di VareseMese E’ difficile scrivere di bellezza, mentre siamo bombardati di immagini di morte e paura. Ma abbiamo deciso di non arrenderci all’idea di dover vivere in una realtà così brutta da chiudere gli occhi per non vederla. Quindi, mantenendo fede alla nostra linea editoriale - che, anche negli ultimi due anni di pandemia, ha sempre voluto portare speranza e progettualità - in uno dei momenti più orribili della storia recente, abbiamo deciso di dare alle stampe un numero all’insegna della bellezza. Declinata in tante forme d’arte, che della bellezza è espressione grazie alla creatività: dal teatro al cinema, dalla musica alla pittura, dalla scrittura all’immagine, dalla cucina al lusso, dalla natura alle città, dal gioco allo sport. Un concorso per i nostri lettori Fino a decidere di contribuire a regalare la bellezza di un sorriso, come media partner del concorso Piccoli, grandi ricordi!: un’iniziativa lanciata dallo storico agente del mondo dello spettacolo Lucio Piccoli e che mette in palio un weekend in coppia in una località turistica di prestigio e 30 pranzi-spettacolo per due persone con l’umorista Alberto Patrucco tra chi recensirà il suo libro, Una vita da impresario. Un’occasione da non farsi sfuggire: per partecipare, leggete l’articolo a pagina 19.

> Chiara L. Milani - Direttore responsabile

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Le sfumature della risata Di più. In questi tempi, in cui la voglia di strappare un sorriso porta anche a notizie che invece fanno venire da piangere - dal ceffone di Will Smith al presentatore sul palco degli Oscar al comico cacciato da Zelig dopo la battuta choc sull’omicidio di Rescaldina - abbiamo riflettuto su umorismo, comicità, satira, parodia e grottesco, oltre che col nostro volto di copertina, anche con altri due esperti del settore: Max Cavallari e Liliana Fiorelli. Uomo e donna, come piace a noi.

Tre bei “grazie” Per tutto ciò, personalmente, grazie a chi questo mese mi ha regalato tanta bellezza. Innanzitutto i nostri intervistati ed opinionisti, a cui sempre chiedo di guardare oltre per offrirci nuove prospettive. Poi i benedetti inserzionisti, che evidentemente ritengono bella la nostra rivista e senza i quali non potremmo offrirvela. Infine, ma non ultimo, all’Associazione nazionale Vigili del fuoco, per avermi donato la tessera di socio sostenitore con un omaggio proprio nel segno del bello: la litografia originale per il decimo raduno nazionale firmata dal mio concittadino, il compianto pittore Carlo Farioli, che tanta bellezza ha regalato alla nostra città.

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Inno alla vita lungo il Sempione A cura della redazione E lì da anni, ma oggi sembra ancora di più d’attualità. Stiamo parlando dell’opera scultorea, realizzata in bronzo dall’artista bustocco Carlo Farioli (1931-2013), collocata all’entrata del comando dei vigili del fuoco di Busto ArsizioGallarate è diventata simbolo e riferimento di coloro che percorrono la strada del Sempione. Il bassorilievo, di forma circolare, (un metro di diametro) rappresenta un pompiere che porta in salvo un bambino: una scena di intervento in una situazione di emergenza. L’artista ha voluto mettere in risalto il lavoro straordinario dei firemen - come abbiamo imparato a dire dopo l’11 settembre 2001 - rendendo omaggio a coloro che con coraggio estremo hanno salvato e salvano centinaia di vite. Soccorono migliaia di persone da incendi, alluvioni e terremoti, crolli di edifici per bombardamenti.

Bimbi in salvo Un’immagine per l’appunto più che mai attuale in questo momento in cui, quotidianamente, i reportage di guerra in Ucraina documentano il dramma, soprattutto quello dei bambini, spesso strappati alla morte e salvati dai militari. La figura del vigile del fuoco, al quale si “affida” il bimbo, emerge a sottolineare la missione umanitaria che caratterizza lo spirito di un Corpo che non conosce limiti di impegno. Persone capaci di scelte coraggiose, pronte a sacrificare anche la propria vita per salvare quella di altri. L’opera di Farioli, realizzata nel 2005 e inaugurata nel mese di maggio dello stesso anno in occasione del 50° anniversario dell’Associazione dei Vigili del Fuoco, è posta su un basamento in cemento (alto 2,5 metri) che nella forma intende raffigurare una grande “V”... come inno alla vita.

La litografia originale di Carlo Farioli per il 10 raduno dell’Associazione nazionale vigili del fuoco. Sul sito la gallery con la sequenza della realizzazione della scultura davanti al comando di Busto-Gallarate

Tra sacro e profano Senza dimenticare che, in questa ennesima quaresima di sofferenza, lo spirito non si risolleva soltanto con una risata, almeno per chi crede. E dunque, in vista di Pasqua, abbiamo dato voce anche alla bellezza della Fede.


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UNO SGUARDO AL TERRITORIO

IMMAGINI D’AUTORE Dall’Ucraina a Pasolini: 25 mostre dal mondo Nelle stanze della fotografia con Claudio Argentiero, direttore artistico del Festival fotografico europeo > Chiara Milani > chiara.milani@varesemese.it

Va in doppia cifra, il Festival fotografico europeo che, dal 9 aprile al 22 maggio, si terrà con il patrocinio della Commissione Europea, Regione Lombardia, Provincia di Varese e dei Comuni di Busto Arsizio, Cairate, Castellanza, Castiglione Olona e Legnano. Il festival fotografico europeo giunge alla decima edizione. Lo fa in un periodo molto delicato. Proponendo, tra le altre, una mostra dedicata all’Ucraina. Qual è il messaggio? Malgrado le difficoltà del momento, che durano ormai da qualche anno, il nostro impegno non è mutato. Il festival vuole rilanciare la cultura visuale come strumento di condivisione e conoscenza, con una visione internazionale. Tra questi un progetto sull’Ucraina del fotografo e giornalista Roberto Travan, che segue le vicende del Paese dal 2015, documentando i conflitti e la vita sociale, operando sul campo per cogliere la dura quotidianità vissuta dalla popolazione. Il messaggio è certamente quello di sensibilizzare l’opinione pubblica con una testimonianza diretta, mostrando quanto la guerra possa trasformare, in breve tempo, la vita di ognuno, nell’incertezza di un dialogo costruttivo tra i potenti con atti di prevaricazione. L’Afi (Archivio fotografico italiano) spesso ha invitato fotoreporter di guerra: l’equilibrio tra informazione e manipolazione dell’opinione pubblica attraverso l’immagine è da sempre instabile ed è un argomento tanto più d’attualità di questi tempi... Il fotoreportage ha sempre avuto un posto privilegiato nel percorso espositivo dei vari festival, per la funzione discorsiva che riveste e per la capacità di interazione con le giovani generazioni. Pensiamo che l’approfondimento sia importante per comprendere e sviluppare una propria opinione, che non necessariamente deve essere quella del fotografo, ma che pone domande per superare un’urgenza informativa, impastata da convincimenti controversi, che penetra con forza

l’immaginario collettivo, negli ultimi anni dettata dai social, che come un annuncio commerciale, viene assimilato dall’opinione pubblica, spesso senza fondatezza. Anche il fotografo, quando influenzato da inclinazioni personali, può raccontare la sua verità, schierandosi da una parte o dall’altra ma, a differenza dei racconti scritti o della televisione, che taglia e monta in base alla linea redazionale, le fotografie sono una testimonianza del dramma, e ci interrogano senza filtri. A proposito dei tempi che corrono... la fotografia contemporanea è considerata una forma d’arte autonoma che indaga la realtà: in quest’ultimo periodo, ciò in che modo si traduce? Dopo anni di scetticismo la fotografia è entrata a pieno titolo nel mondo dell’arte, da Cenerentola ad essere la più collezionata. Il fotografo ha sviluppato una coerenza stilistica che racchiude contenuto, estetica, comunicazione e tecnica, trasformando lo scatto in linguaggio espressivo. Le nuove tecnologie hanno consentito di esplorare nuovi territori visivi, forgiando nuove figure professionali. Diciamo che oggi è più consono parlare di immagine e non solo di fotografia, poiché ci si rifà alla realtà per poi plasmarla con maggiore consapevolezza e sensibilità, utilizzando strumenti e idee. Intanto, per l’appunto, gli ultimi due anni non sono stati facili per nessuno, neanche per questo progetto. A parte quanto già citato, voi tornate con un calendario molto ricco. Vogliamo ricordare, in sintesi, qualche altro progetto dell’edizione 2022? L’edizione 2022 è particolarmente ricca di mostre importanti. Da Monica Bulaj a Martin Parr, da Reza Kathir a Giorgio Lotti, Emil Gataullin e Nino Migliori, a Pino Bertelli a Roberto Villa, con una mostra dedicata a Pasolini, alla fotografia contemporanea rappresentata da giovani emergenti e l’Istituto Italiano di Fotografia, conferenze, proiezioni e incontri. Oltre ai tanti partner, che ospiteranno e promuoveranno progetti che rendono la fotografia l’assoluta protagonista.


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UNO SGUARDO AL TERRITORIO

Kyiv (Ucraina), 18 febbraio 2022. Un sacerdote ortodosso appende a un ramo un tributo alla memoria degli “Angeli di Maidan”, i civili massacrati nel 2014 dai cecchini del presidente Viktor Yanukovich durante la Rivoluzione della Dignità

Vogliamo ricordare anche quale valore aggiunto porta sul territorio questa manifestazione? Il festival è tra i più significativi a livello regionale e nazionale, soprattutto per la qualità della proposta, di carattere internazionale, per capacità di fare rete (sono 5 i comuni aderenti, ndr) e per la diffusione dell’iniziativa, che ogni amministrazione divulga. La ricaduta sul territorio è certamente culturale, artistica e formativa, ma anche economica, se si tiene conto dell’ambito ospitalità e ristorazione, oltre alla scoperta e all’apprezzamento del patrimonio del territorio artistico da parte degli ospiti, italiani e stranieri. Complice la crisi economica dal 2020 ad oggi, con prospettive che non appaiono rosee, trovare i fondi per finanziare simili manifestazioni è sempre più complicato... perché un’azienda dovrebbe supportare l’arte e, nello specifico, il Festival fotografico europeo? Il binomio impresa e promozione artistica è sempre più significativo, in quanto l’investimento in cultura rappresenta un beneficio sociale e operoso per promuovere il territorio e le sue peculiarità. Una scelta che permette di attivare sinergie, rafforzare il marketing relazionale, promuovere marchi, garantendo la nomea, sostenere lo sviluppo economico e le nuove generazioni di fotografi, per una società più creativa che sa guardare al futuro sviluppando progetti su temi contemporanei sostenuti da imprese lungimiranti, che guardano a una società in cui la comunicazione di qualità diviene essenziale, per essere maggiormente credibili.

> Claudio Argentiero, direttore artistico del Festival fotografico europeo


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TURISMO

OPERE DIFFUSE

Turismo culturale, nuovo approccio > Niccolò Comerio

> redazione@varesemese.it

Le novità fiorentine conquistano anche il Time, come ci spiega Niccolò Comerio, ricercatore della Liuc Business School, analizzando li nuovi trend del settore

Sono due evergreen, ma profumano anche di novità. Arte e cultura, infatti, sono da sempre un valore aggiunto imprescindibile per il settore turistico del Belpaese. E, dopo due anni di sofferenza dovuti alla pandemia, rappresentano il punto di (ri)partenza per un comparto martoriato dal Covid-19 e preoccupato per il ritorno della guerra in Europa. Anche questo mercato è stato infatti ampiamente colpito da questo doppio shock inatteso, tra le numerose restrizioni che si sono susseguite nel tempo e un diffuso scetticismo tra i potenziali viaggiatori. In vista della ripresa, si spera stavolta definitiva, emergono intanto nuove tendenze. Pure in Italia. Un’esperienza più “locale” Nonostante Roma, Firenze, Venezia e le altre grandi città d’arte rappresentino ancora il cuore pulsante del turismo culturale italiano, tale fenomeno sta difatti iniziando a sconfinare verso i borghi più piccoli, ma ugualmente ricchi di storia, tradizioni, enogastronomia e artigianato, contribuendo così allo sviluppo dei territori stessi. In tal direzione, le esperienze culturali locali sono destinate a diventare alcune tra le principali tendenze turistiche del futuro, anche rammentando le contingenti esigenze di distanziamento sociale. Firenze insegna Proprio dal capoluogo toscano arriva un’iniziativa che potrebbe costituire una grande novità in tal senso, proponendo un nuovo approccio al turismo culturale. Si tratta del progetto Uffizi Diffusi, ideato dal direttore del museo Eike Schmidt, che mira a portare alcune opere della galleria anche al di fuori del capoluogo di

regione, dislocandole in altre località toscane. Nel dettaglio, le Gallerie degli Uffizi e la Fondazione CR Firenze hanno stipulato nel 2021 un protocollo di intesa della durata quinquennale, che ha portato all’identificazione di 5 località in cui allestire altrettante mostre. Da un lato, esse ricadono nell’ambito delle celebrazioni per i 700 anni dalla scomparsa di Dante Alighieri, e dall’altro approfondiscono il legame tra il territorio e le collezioni del museo. Il primo passo concreto è stato l’esposizione della Tavola Doria ad Anghiari, nel Museo della Battaglia, che ha determinato, in brevissimo tempo, il raddoppio del numero dei visitatori. Con questa iniziativa, Fondazione CR Firenze ha voluto proseguire il programma di valorizzazione dei piccoli musei del territorio, chiamato Piccoli Grandi Musei, che tra il 2005 e il 2014 ha consentito

“Nell’attuale contesto, il Varesotto e in generale la Lombardia hanno grandi potenzialità”


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TURISMO

GUARDA LA GALLERY

> Una delle installazioni di Cracking Art in centro a Gallarate (Ph: Marco D. Introini)

la valorizzazione di oltre 100 piccole realtà museali, mediante attività di restauro e di nuovi allestimenti finalizzati a far conoscere il patrimonio storico e artistico diffuso nel territorio. Il riconoscimento del TIme Gli Uffizi Diffusi sono stati inseriti, insieme alla regione Sicilia e a Venezia, nella lista The World’s 100 Greatest Places of 2021, stilata annualmente dal celebre settimanale TIme, a dimostrazione dell’elevata innovatività di tale iniziativa, rilanciata anche da molte altre testate internazionali. Richiamando una frase dell’articolo della rivista statunitense, “molto del fascino della Toscana è costituito dal suo essere senza tempo, quindi quando succede qualcosa di innovativo, come il progetto Uffizi Diffusi del 2021, c’è da prendere nota”. Ripresa e resilienza nel segno della cultura Un’ulteriore conferma dell’importanza della cultura, che va oltre il mero settore turistico e abbraccia altre dimensioni quali l’inclusione, l’innovazione e il benessere, arriva dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). La Missione 1 (Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo) va a destinare sino a 6,68 miliardi di euro alla Componente Turismo e Cultura, con l’obiettivo di sostenere investimenti nel settore sia a livello di grandi aree metropolitane, sia nelle zone più rurali e nei piccoli borghi, favorendo così la nascita di nuove esperienze turistico-culturali in grado di ridurre i fenomeni di sovraffollamento turistico (overtourism). E la Lombardia? Nell’attuale contesto, varianti Covid e guerra permettendo, il Varesotto, e più in generale la Lombardia, possiedono potenzialità di crescita importanti, grazie a svariati elementi, che consentono la commistione tra arte, cultura, ma anche scenari naturali spettacolari, ricettività di qualità, numerosità e varietà degli eventi, eccellenze enogastronomiche. Il tutto in un’ottica più sostenibile, supportando una vera e propria riqualificazione territoriale attraverso la cultura.

Se l’arte fa crack Deriva dall’inglese to crack. Ossia, spaccarsi. Una scelta legata sia alla volontà di proporsi come un movimento artistico di rottura sia alla decisione di sottolineare la “scissione molecolare tra naturale e artificiale”. Come recita il manifesto della Cracking Art, secondo cui “l’arte e la cultura sono l’unica possibilità di salvezza del mondo e dell’umanità”. Dalle grandi città alla provincia Nonostante questo collettivo sia nato quasi trent’anni fa e rappresenti una delle correnti di pop art più famose al mondo, molti cittadini del territorio hanno scoperto soltanto ora i crackers - come si definiscono questi artisti -, conosciuti per la creazione d’installazioni urbane caratterizzate da animali giganti in plastica colorata riciclata. Merito del progetto espositivo del Comune di Gallarate che, in collaborazione con il Ma*Ga, ha portato le monumentali opere in plastica rigenerata dalle grandi città alla provincia di Varese. Collocandole non soltanto al museo d’arte di via De Magri, ma anche alla biblioteca Luigi Majno e nelle piazze Giovanni XXIII, della Libertà e San Lorenzo. Il colore della sostenibilità... e della solidarietà Così - per la gioia di grandi e piccini, che accorrono anche dal circondario - maxi lumache, pinguini, conigli ed elefanti dai colori sgargianti e dall’anima green sono subito diventati protagoniste di selfie sui social, ma anche di piccoli, grandi gesti di solidarietà, tramite la vendita di rane create dagli artisti per raccogliere fondi per la comunità ucraina giunta in città per scappare dalla guerra. Ad accogliere i rifugiati è stato dunque un grande benvenuto tinto di speranza.


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Monsignor Claudio Livetti sull’altare, davanti alla Madonna dell’Aiuto che, secondo quanto si narra, fermò la peste alzando il braccio mentre i bustocchi la portavano in processione

FORMAZIONE, ISTRUZIONE, EDUCAZIONE

IL SENSO DELLA MERAVIGLIA Monsignor Claudio Livetti, avendo superato il traguardo dei 90 anni, ricorda come visse da ragazzino la notizia della fine della guerra in Italia e affida a queste pagine il suo auspicio per i giovani d’oggi, dall’Italia all’Ucraina


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FORMAZIONE, ISTRUZIONE, EDUCAZIONE

> Monsignor Claudio Livetti > redazione@varesemese.it created by alicia_mb - www.freepik.com

La bellezza della pace Dostoevskij scrive nel romanzo L’idiota: “La bellezza salverà il mondo”. Questa affermazione, nelle ore infuocate di strage in Ucraina, suscita emozione e speranza: la bellezza della pace. Uno dei giorni più belli della mia vita fu il 25 aprile 1945. Frequentavo la terza media. A metà mattina entrò in classe la preside, invitandoci ad andare a casa, perché la guerra era finita e i tedeschi erano in fuga. Una gioia pazza prese me e i miei compagni: finiva la guerra, cioè la fame per il cibo razionato, la paura dei bombardamenti, il coprifuoco ... e soprattutto la dominazione nazifascista. Auguro ai bambini dell’Ucraina e di tutte le altre nazioni, dove si combatte una guerra, di avere un gioioso annuncio di pace come quello che ho sperimentato io a 14 anni! A nome del mondo degli adulti, chiedo scusa a tutti i ragazzi, anche a quelli di casa nostra: ”siete stati costretti a vivere la “guerra” del Covid 19, con lo spettacolo della colonna dei camion militari che portavano vie le bare, adesso vi costringiamo a vedere città bombardate e mamme in fuga coi loro bambini”. Ai ragazzi colpiti dalla tragedia della guerra auguro un futuro in cui possano masticare sempre il pane soffice della pace e dipingere la pace come leggiamo in questa bella poesia, trovata nello zainetto di Talil Sorek, una ragazzina israeliana preadolescente al tempo della guerra del Kippur: ”Avevo una scatola di colori / brillanti, decisi e vivaci. / Avevo una scatola di colori, / alcuni caldi, altri molto freddi. / Non avevo il rosso per il sangue dei feriti. / Non avevo il nero per il pianto degli orfani. / Non avevo il bianco per le mani e il volto dei morti. / Non avevo il giallo per le sabbie ardenti. / Ma avevo l’arancio per la gioia della vita. / E il verde per i germogli e i nidi. / E il celeste dei chiari cieli splendenti. / E il

virtuale che ha divorato quella naturale e che sta crescendo sempre più? Non servirà molto essere condizionati e intrigati da un turbinio di informazioni, che li avvolge prepotentemente e offre continue risposte senza che prima sia sorto in loro la curiosità e la domanda. Le risposte senza domanda sono come le foglie che cadono al suolo e il vento fa vorticare nell’aria. Riportiamo i ragazzi ad essere esploratori appassionati della natura, ad avvicinarla con sana curiosità, a sentirsi a proprio agio in un giardino, un parco, un bosco, senza allarmarsi per un insetto visto per la prima volta, senza drammatizzare per uno sfioramento di ortica o la puntura di un rovo. Gli scienziati chiamano il pianeta “cosmo” che è sinonimo di bellezza. I credenti lo chiamano “creato”, cioè opera di una Bellezza superiore. Era la visione contemplativa espressa dal poverello di Assisi nel Cantico di frate sole. La bellezza dell’arte Al linguaggio universale di ordine e armonia, presenti nella natura, ben si accosta il messaggio dell’arte. L’artista è l’essere umano dotato di un eccezionale talento che lo rende capace di evocare la profondità del cuore umano, di esprimere la sovrabbondanza della ricchezza interiore e di coinvolgere i propri simili all’ammirazione del bello. I protagonisti dell’arte figurativa, poetica, letteraria o musicale spalancano una finestra nel mondo del bello e del bene. Va riconosciuto il compito storico della cultura cristiana, che si è differenziata da quella ebraica e musulmana, fortemente ostile alle raffigurazioni, e ha promosso la possibilità di vedere i graffiti delle catacombe, gli affreschi di Giotto, i mosaici di Ravenna e Venezia, le Stanze di Raffaello nei musei vaticani. Fino al

“A nome del mondo degli adulti, chiedo scusa a tutti i ragazzi” rosa per i sogni e il riposo. / Mi sono seduta e ho dipinto la pace”. La bellezza del pianeta Ce lo troviamo come dono, ma forse ne abbiamo una visione meccanica, di cui siamo i guastatori e potremmo essere i riparatori. Difficilmente permettiamo allo stupore di colpirci. Nella natura è presente il segreto indecifrabile della bellezza, capace di suscitare in noi la nostalgia di qualcosa che ci riguarda, che ci fa rimanere a bocca aperta di fronte ai prodigi naturali. Chesterton diceva che il mondo finirà quando finirà il senso della meraviglia. Quanta capacità di meraviglia è rimasta ai nostri giorni? E che ne sarà per i nostri ragazzi, immersi nella realtà

periodo dell’umanesimo e del rinascimento l’arte era prevalentemente sacra, poi ha avuto giustamente un’apertura al profano. Le vetrate delle cattedrali hanno salvato la cultura del popolo, che era prevalentemente analfabeta, facendogli leggere la Bibbia con Immagini. Era infatti la Biblia pauperum. Noi italiani, nonostante i furti napoleonici e certe spericolate vendite, abbiamo un patrimonio artistico di grande spessore, di cui siamo custodi e fruitori. Le nostre accademie e i nostri artisti incrementano questo patrimonio. Noi lo vogliamo sempre più bello, lo facciamo gustare ai nostri ragazzi e facciamoli inorridire di fronte agli scempi dell’Isis che azzerano le tracce del passato.


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CULTURA

LA GIOIA DELLA PREGHIERA Intervista a Madre Maria Cecilia Borrelli, la badessa che ha scritto la prefazione dell’ultimo libro del Papa emerito, Benedetto XVI: Per crucem ad lucem - In cammino verso la Pasqua > Chiara Milani > chiara.milani@varesemese.it

GUARDA L’INTERVISTA

Che pregare serva, Madre Maria Cecilia Borrelli non lo dice soltanto per dovere “professionale”. La badessa del Monastero di San Giuliano, a Fermo, ne ha infatti avuto la prova tempo fa. Quando, a fronte del rapimento di una bambina, pregò non “soltanto” per la sua liberazione, che avvenne. Ma anche per la conversione di chi l’aveva rapita. Finché un giorno, con sua grande sorpresa, quel sequestratore sconosciuto le scrisse dalla prigione: aveva letto un suo articolo pubblicato diversi anni prima, quando era novizia, rivolto ai carcerati in occasione di Pasqua, affinché da reclusi acquisissero la certezza che Dio è libertà interiore. Per lei, quella lettera ricevuta dalla casa circondariale fu la prova definitiva che il Signore ascoltava le sue preghiere. Oggi, mentre viviamo una quaresima di guerra e pandemia, la monaca firma la prefazione dell’ultimo libro del Papa emerito, Joseph Ratzinger: Per crucem ad lucem - In cammino verso la Pasqua. Il Monastero di San Giuliano. Nel riquadro a destra Madre Maria Cecilia Borrelli

Lei scrive: “Anche nella valle oscura mentre il tentatore ci suggerisce di disperarci o di riporre una speranza illusoria nell’opera delle nostre mani, Dio ci custodisce e ci sostiene. Di


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CULTURA

questa certezza abbiamo bisogno sempre, soprattutto nei giorni bui e di caligine”. Purtroppo, da due anni a questa parte, di giorni bui e di caligine tra pandemia e guerra ne stiamo vivendo davvero tanti: in che modo questo libro può aiutarci, può sostenerci? Lo stesso Papa emerito ci dice che il Risorto ci precede e ci accompagna nelle strade quindi anche nella valle oscura di cui parla il Salmo 22. Perciò, dobbiamo sempre non temere proprio perché lui ci è accanto e da lui dipende la nostra speranza. Infatti a Pasqua diciamo: Cristo, nostra speranza. è risorto, alleuia. E’ lui la pace del mondo. Come dice Benedetto XVI, dobbiamo ripartire da Cristo: non possiamo prescindere da Lui e quindi dobbiamo lavorare in comunione con Lui per costruire un mondo fondato su pace, giustizia e amore. Alla fine, è ciò che tutti vorremmo, però dobbiamo costruirlo giorno dopo giorno, ma contando soltanto sulle nostre forze non ci riusciremo mai. Dobbiamo appunto rapportarci a Lui, fidandoci di Lui. Di recente parlando con la Madre superiora di un altro istituto, lei mi ha confidato di essersi rivolta a Dio dicendo, in sostanza: “Non avevamo ancora finito la pandemia, non potevi almeno aspettare prima di mandarci la guerra?” Ecco, se lo sconforto assale anche una donna di Chiesa, si può immaginare tutti gli altri in questo periodo... allora, lei che cosa si sente di dire ai nostri lettori? Sinceramente condivido il pensiero di questa Sorella: voglio dire che certamente, una calamità dietro l’altra, ci toglie il respiro... Ma, proprio quando non si ha il respiro, ci si aggrappa. Io vedo in questo periodo di guerra anche tanti segnali positivi, di gente che sta facendo di tutto di più per aiutare gli altri. Famiglie, istituzioni, Papa Francesco. Sui sentieri di morte io vedo dunque segnali di una rinascita. In ogni caso, quella che stiamo vivendo è davvero una quaresima. Nel libro, Ratzinger ricorda che le tre opere sono preghiera elemosina e digiuno... Sì, il Papa emerito richiama i sentieri spirituali. Direi che l’elemosina è la carità, è darsi da fare per gli altri e, come accennavo prima, molti lo stanno facendo. Il digiuno non è soltanto materiale: ecco, penso che tutti quelli che stanno accogliendo stiano digiunando, perché devono digiunare da se stessi, dalle proprie comodità, dai pregiudizi, per accogliere gli altri, persone che non conoscono: questa è una cosa non facile, ma molto bella. E poi la preghiera, che è molto importante: non una preghiera specifica, con qualche formula apposita, ma abbandonarsi a Lui, entrare in comunione con il Signore. Come capitò a me con il caso del rapitore della bambina, che poi si convertì, per il quale io pregai così incessantemente, sistematicamente, chiedendo a Dio di raggiunge il suo cuore. Pregavo fino a così tardi la sera quasi da assopirmi, ma io so che al Signora fa piacere vederci addormentare con il cuore rivolto a Lui. I dubbi, insomma, possono capitare a chiunque. Anche a chi ha consacrato la sua vita al Signore. Tanto più in momenti difficili come quelli che stiamo vivendo. Ma la testimonianza di Madre Maria Cecilia Borrelli ci invita alla speranza. Di cui, a prescindere dal proprio Credo, in questa Pasqua più che mai abbiamo tutti bisogno.

La ricetta segreta dei savoiardi benedettini L’ingrediente segreto è la fede. Oltre a tanta passione. Per chi, magari in occasione di Pasqua, volesse comunque provare a cimentarsi nella creazione dei famosi savoiardi benedettini, nel libro Le ricette della Gran Dama - Quando la cucina diventa emozione ed arte dell’industriale e filantropo bustocco Riccardo Comerio, Madre Maria Cecilia Borrelli ha svelato la ricetta tramandata dalle monache del Monastero di San Giuliano, a Fermo. Per una famiglia, servono dunque 6 uova biologiche fresche di giornata, 350 grammi di zucchero, mezzo chilo di farina, 4 gocce di essenza di limone e 1 cucchiaino e mezzo di ammoniaca alimentare. Dopo aver battuto tra loro i primi due ingredienti, bisogna amalgamare gli altri, aggiungendo infine la farina piano piano. Bisogna poi dare ai biscotti la forma classica e infornare a 220 gradi per qualche minuto. In comunione “pasticcera” “Io uso sempre cucchiai di legno con un coltello per dare la forma, prendendo poco impasto e, agendo velocemente, col coltello lo deposito sulla teglia. Poi il forno fa il resto, facendo crescere i biscotti, ma bisogna stare attente a non bruciarli”, ci confida la badessa. “Siccome noi ne facciamo diversi, lavoriamo in equipe, perché da sola non riesco: io sono addetta alla lavorazione, ma ci sono altre consorelle per le altre fasi”. Un gran lavoro, ma anche piacevole. Conclude infatti la religiosa “E’ bello, noi ci divertiamo tanto a farli”. Sorpresa pasquale Chi volesse andare sul sicuro, anziché cimentarsi in cucina, può comunque ordinarli direttamente alle monache. Per le quali, dato il calo di produzione delle ostie legato alla pandemia, ogni aiuto è una splendida sorpresa pasquale.

“Sui sentieri di morte vedo segnali di rinascita”



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FOCUS - ARTE CULINARIA

Arte della diplomazia in tavola Quando la pace si conquista con i manicaretti

Il critico enogastronomico Jacopo Fontaneto ricorda il ruolo storico dei banchetti nel quadro geopolitico L’interrogativo è aperto: la cucina può essere considerata arte? Due le scuole di pensiero, quanti considerano il cuoco un professionista, ovvero un artigiano, quanti invece considerano il preparare il cibo come un mezzo in grado di generare emozioni, ovvero un’arte al pari di musica e pittura. Secondo quest’ultima interpretazione, quella del cibo sarebbe l’arte più completa, perché vissuta con tutti e cinque sensi (sì, compreso l’udito) e, addirittura, assimilata da chi ne usufruisce nell’atto del mangiare, trasformandola in un tutt’uno.

> Jacopo Fontaneto > redazione@varesemese.it

Un’emozione bella... e buona! Tuttavia, troppo spesso ci si ferma al considerare artistico il mero aspetto visuale del cibo, piuttosto che la sua sostanza, e un insieme di altri fattori-base nella critica gastronomica (l’equilibrio di un piatto, la creatività, il contrasto di consistenze, il cromatismo, la combinazione delle materie prime e molto altro). C’è anche una profonda differenza, anche sul piano storico, tra un modello francese più visivo e un modello italiano più materico: in questo sta anche l’errore di molti cuochi che, troppo spesso, si limitano a “disegnare” il contenuto di un piatto piuttosto che conferirgli un’identità e un senso. Il piatto di successo, che fa la differenza, è sempre più buono che bello, o comunque fa equivalere i due principi, in una completezza che suscita emozioni. “Esercito” di piatti Di certo, il riflesso artistico del cibo ha avuto

avevano “abituato” l’opinione pubblica a un mondo del cibo piuttosto ricercato e fatto di materie importanti. Anche perché, ai tempi, il mangiar bene era un lusso per pochi e rappresentava un sogno per il cosiddetto popolo minuto, che si limitava a sognarlo attraverso miti e idealizzazioni come quelle del Paese di Cuccagna. Il Paese della Cuccagna è servito Ma torniamo a Ferrara e al Messisbugo, che fu così apprezzato, tanto da essere nominato conte palatino dall’imperatore Carlo V e chiamato come consulente dai Gonzaga di Mantova, quale cuoco di fiducia della duchessa Isabella d’Este: il piccolo ducato ferrarese, grazie a lui, riuscì ad approntare una strategia diplomaticogastronomica e a stringere fortunata alleanza con tutti gli Stati ben più potenti che, a quel tempo, dominavano il frammentato scacchiere europeo: le sue cene erano leggendarie, con banchetti di oltre cento portate per cento e più ospiti, tramandati fino ai giorni nostri grazie ai suoi scritti e densi di specialità uniche e da lui inventate, come la salama da sugo o il pasticcio di maccheroni che ancor oggi costituiscono un simbolo della cucina ferrarese. Una storica cena Un esempio, la “cena di carne et pesce che fece lo Illustrissimo Signor Don Hercole, da Esti all’hora Duca di Sciatres, allo Illustrissimo et Eccellentissimo Signor Duca di Ferrara suo padre; ed alla Illustrissima Madonna Marchesa

“Usiamo le risorse emozionali del cibo” una notevole importanza nella storia e nella geopolitica del tempo: dai sontuosi banchetti dell’antica Roma, alle moderne cene di Stato, passando per un ruolo di strategia diplomatica che la cucina assume nel passaggio chiave tra il Basso Medioevo e il Rinascimento. La tavola, in questo periodo, diventa il mezzo per stringere alleanze e ostentare ricchezza, giungendo a dissimulare una potenza (anche militare) molto più grande di quella effettiva. Lo chef-star del tempo che fu Emblematico è il caso di un cuoco di corte ingiustamente oggi poco noto, eppure da considerarsi come pietra miliare nella storia della cucina italiana: è Cristoforo di Messisbugo, cuoco, “sottospenditore ducale” e poi “provveditore” alla corte estense nella prima metà del Cinquecento. Era un autentico chef-star di un tempo in cui televisione e reality ancora non avevano confuso le idee sulle effettive dinamiche della cucina, e al contempo non

di Mantova; et alla Illustrissima Madonna Renea sua mogliera, et al Reverendissimo Archiepiscopo di Melano, et allo Illustrissimo Signor Don Grancesco, ed ad uno Ambasciatori del Re Christianissimo, e a due Ambasciatori del Serenissimo Senato Vinitiano, et altri Gintil’homini et Gintildonne, così Ferrarese, come d’altro luoco, i quali tutti furono al numero di 104”. Era la cena del 23 gennaio 1529: in “sala grande di Corte colle coltrine grandi di ricamo” fu portata una successione di oltre 100 portate, intervallate da giocolieri, musici e cantori e seguita, per la successiva “collatione” del mattino, da un’altra corposa colazione. Giù le mani dalle cucine! Ovvio che, al netto di faide familiari, lo Stato estense visse un periodo di tranquillità in un secolo turbolento: nessuno osò attaccare le sue cucine e, in fondo, anche questa è arte. L’arte sottile della diplomazia e dell’usare, al meglio, tutte le risorse emozionali che il cibo può dare.


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Liliana Fiorelli - Ph: Andrea Aps

FOCUS - CINEMA

> Chiara Milani

> chiara.milani@varesemese.it

“NON SOLO OSCAR!”

GUARDA L’INTERVISTA

Liliana Fiorelli loda i festival minori Attrice, cantante, imitatrice: la poliedrica artista affianca Steve Della Casa nella serata finale della ventesima edizione del Baff - Busto Arsizio Film Festival


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FOCUS - CINEMA

Partiamo dagli Oscar, anche perché tu hai studiato a Los Angeles. Ognuno ha detto la sua sul ceffone di Will Smith al presentatore, che aveva fatto una battuta sulla moglie... Ciò che è successo ci dice che abbiamo tanto tempo da investire per cose piuttosto tossiche. Nel senso che sarebbe bello, al di là delle dietrologie e purtroppo non sapremo mai la verità, dare un pochino di luce, di spazio, in particolare a due grandi ottenimenti di questa edizione degli Oscar, un po’ claudicante per alcuni aspetti, ma comunque con grandi obiettivi di valore: c’è stata la prima artista apertamente queer che ha vinto una Statuetta, così come i primi attori sordi. Quindi, di fronte a una situazione totalmente tossica, dall’inizio alla fine, da qualsiasi angolazione la si guardi, qual è un atto di violenza in diretta mondiale, direi che ci sono talmente tanti piccoli, enormi esempi valoriali che fortunatamente, almeno per questo aspetto, i valori vincono 3 a 1. Quindi, palla al centro. Infatti, per esempio, il Guardian ha fatto notare che si sarebbe dovuto parlare, anziché di questa scena, per esempio il ruolo da protagonista che le donne hanno avuto in questa edizione degli Oscar... Assolutamente sì e spero che, insomma, a parte questa tempesta di fumo dei primi giorni, poi si possa tornare a parlare della sostanza, al di là della fuffa. A proposito di premi cinematografici... Da Los Angeles, dove sorge Hollywood, alla tua Roma, sede di Cinecittà, fino a Busto Arsizio, per essere con Steve della Casa sul palco della serata finale della ventesima edizione del Baff : per chi, come te, ha ben presente le città del cinema, che senso hanno i cosiddetti “festival minori”? Io sono veramente felicissima e onorata di essere in questo in gruppo: non voglio dire i ruoli, bensì parlare di essere parte di un gruppo, perché madrina, presentatrice, conduttrice sembra sempre una funzione. Sono assolutamente dalla parte dei festival diciamo, come hai detto tu, “minori”. Perché sono come una Dop, Denominazione di origine protetta, vanno tutelati e sostenuti. È come se il cinema diventasse in qualche modo televisione. Mi spiego: il cinema arriva nella casa dei Della Casa, un piccolo gioco di parole... però sono proprio nella casa anche dei territori più piccoli, più lontani, più periferici rispetto alla centralità di Roma o di Los Angeles. Quindi, assolutamente, sono della parte dei festival locali. Tu, oltre a essere attrice, sei anche cantante e imitatrice, con fortunate

parodie come quelle di Monica Bellucci, Elettra Lamborghini o Giorgia Meloni. Dopo due anni di pandemia e i venti di guerra alle porte, sembra ci sia voglia di tornare a ridere anche, come abbiamo visto, purtroppo con risultati non sempre positivi. Tu che cosa ne pensi? Io non vedo l’ora di riprendere questa parte del mio percorso, nel giusto contenitore. L’aspetto del varietà, della commedia, della satira, della parodia è davvero un aspetto di grande libertà. Sì, in questo periodo c’è un ritorno pure nel cinema di scritture più brillanti, leggere, grottesche. Mi piace molto un aspetto particolare della commedia: quello propositivo. Nel senso che, in questo periodo in cui la parola “positivo” assume dei significati particolari, la parola propositivo ha invece un aspetto assolutamente valoriale, perché appunto è come dire: è tutto una tragedia, va tutto male, ma tu che cosa proponi per migliorare? Mi piace perché crea empatia, perché abbassa le difese, perché non so se si possa ridere di tutto, ma tutto può essere reso comico, ironico, se fatto con uno spirito gioviale. Nel senso che bisogna capire che cosa è commedia, che cosa è derisione, che cosa è ridere con e cosa invece è ridere contro, quindi bullizzare. Bisogna capire secondo me questo sottile, ma enorme limite, e godersi insomma quelle che sono buone scritture. Ecco, mi piace la commedia ben scritta, la satira ben scritta e la parodia ben scritta. Non c’è limite al genere: tutto può essere fatto con grande qualità. Intanto ti vediamo in tv nei panni di Chiara nella serie Noi... Noi è un progetto di cui sono orgogliosissima, al di là del ruolo, dal punto di vista umano e di crescita. Siamo su Rai1 tutte le domeniche in prima serata. E’ un ruolo particolare, di un’attrice di teatro piena di carisma e di fragilità, ma anche di grande durezza, ed è stato molto interessante lavorarci, perché mi ha dato modo di sperimentare un po’ i miei limiti, le mie tinte forti, ed è estremamente divertente avere un ruolo appunto con queste caratteristiche. Quali sono i tuoi progetti futuri? Mi riportano al cinema. Sto finendo di girare un film, che racconta un po’ l’esperienza di Tanio Boccia, chiamato l’Ed Wood italiano, quindi considerato il peggior regista della storia del Belpaese: in realtà è stato uno dei più prolifici registi dei b-movie dei nostri anni Cinquanta e Sessanta. Perciò, un punto di vista del cinema assolutamente innovativo, divertente e grottesco, girato a Cinecittà e non solo. Dunque, sono felice di essere tornata nel luogo che più mi piace, il cinema, a cui dedico un mega cuore.


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CHE IRONIA! > Chiara Milani > chiara.milani@varesemese.it

Intervista all’umorista Alberto Patrucco, presidente di giuria del concorso legato alla autobiografia di Lucio Piccoli, di cui VareseMese è media partner, che mette in palio 60 pranzispettacolo gratuiti il 15 maggio alla Polisportiva Bienatese e un fine settimana per due persone in una località turistica di pregio per i primi partecipanti, i finalisti e l’autore della miglior recensione

Alberto Patrucco (a destra) sul palco del teatro Sociale di Busto Arsizio con Flavio Oreglio per la presentazione benefica del libro “Una vita da impresario” Ph: FotoDG


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Comico, cabarettista, umorista e cantante, Alberto Patrucco è solito attingere dalla realtà per la sua ironia. Arte di cui forse più che mai, in tempi come questi, c’è bisogno. Il tuo nuovo spettacolo satirico si chiama Contrattempi moderni. Ma come si fa a far sorridere, a essere ironici di fronte a tutto quello che sta accadendo? Allora, intanto non sta accadendo troppo, ma sta accadendo di più. Quindi, per usare parola un po’ soft, i tempi non sono propriamente idilliaci. Allora io credo che proprio ci sia un disperato bisogno di ironia e non a caso non uso la parola comicità: uso l’approccio dell’ironia, uso la parola satira, dove ovviamente poi alla fine si finisce con la risata, che per non è gratificante, bensì liberatoria, che sono due meccanismi diversi di arrivare al sorriso, che in teoria dovrebbe accendere un pensiero liberato da questa cosa. Più gli argomenti, più il periodo, più i tempi sono bastardi, come usavo dire illo tempore, più si vede buio, e più l’umorista è stimolato da ciò. Non dico niente di nuovo, ma la differenza tra la comicità e la satira è che nella prima è una persona che cade, nella seconda è il rettore dell’università, il generale: non cade dunque soltanto una persona, cade tutto un insieme di cose. E il senso di Contrattempi moderni è proprio questo: liberarsi dalla cappa che incombe, partendo ovviamente da quello che ci ha già visto relegati in casa per 40 giorni. Allora, come sdrammatizzare quando si parlava di lockdown duro e puro? Se devo essere sincero, per me non è cambiato neanche io non facevo niente prima e ho continuato a fare niente durante la quarantena... ecco che allora è un escamotage per uscire un po’. Poi, quando, si pensa alla sofferenza di essere reclusi, con tutto quello che in effetti ha causato, allora dici che c’è sempre un peggio... Si pensi a cosa è stato quel periodo per i testimoni di Geova: terribile, cioè sapere che tutti sono in casa, ma proprio tutti, e non poter citofonare a nessuno è una sofferenza indicibile. Ci sono testimoni ahinoi in analisi ancora oggi.... L’ironia ci porta a Brassens. Hai scritto AbBrassens, la non biografia, come l’hai definita, sul geniale cantautore d’Oltralpe. Come mai, secondo te, il suo messaggio oggi è così d’attualità? E’ d’attualità proprio perché non parla non si è mai occupato del quotidiano, ma di tematiche che non sono usurate o dal tempo. Anzi, il suo è un percorso quanto mai attuale. Anche io che sono un troglodita informatico, se ho bisogno di sapere qualcosa di qualcuno uso i vari

Piccoli, grandi ricordi! Leggi e vinci con VareseMese > A cura della redazione > chiara.milani@varesemese.it Mezzo secolo di storia dello spettacolo riassunto in un libro che si legge in una sera: da Gaber a Battiato, da Walter Chiari a Funari e tanti altri protagonisti del teatro, della televisione e della musica italiana che hanno in comune lo stesso agente: quel Lucio Piccoli da Bienate, tifosissimo della Pro Patria, che ha racchiuso le sue memorie nel volume Una vita da impresario. Mister Google: i media in questo aiutano molto, anche se per una cognizione un po’ sommaria, un po’ da discutere... Ecco perché ho scritto una non biografia, parlando di Brassens, facendo uscire tratti della sua vita attraverso il suo modo di essere anarchico, di essere agnostico, di fare canzoni, di approcciarsi alle tematiche femminili e femministe, della morte e dell’amore. Tutto questo penso sia un percorso molto interessante attraverso le sue opere più conosciute. In Italia è stato un caposcuola: abbiamo generazione di cantautori, in primis partendo da De Andrè, Paoli ma poi gli influssi si sono ingegnati su Conte... insomma, c’è tutta una serie di personalità autorevoli che si è abbeverata a Brassens. Tanto che è stato tradotto in tutto il mondo, modestamente pure da me. Non dimentichiamo poi Nanni Svampa, che lo ha reso milanese, con un’operazione straordinaria nell’adattare le atmosfere della Senna al Naviglio. Peraltro ha vissuto anche periodi di guerra. che ahinoi sono ritornati alla nostra memoria ultimamente. E lo ha fatto, ovviamente, a modo suo... Ovviamente ha reagito a modo suo, solleticando sempre un pensiero libero. Ciò è quello che ha affascinato e affascina il mondo culturale e non, perché ha avuto un successo popolare tale per cui c’è stato un periodo in cui vendeva più dischi lui dei Beatles in Francia, anche se i suoi erano fatti in modo minimale. Non a caso è ritenuto uno dei più grandi poeti del Novecento. Ecco, era un libertario vero. Tanto che, seppure fosse uno che non amava ripetersi, ha ripetuto in addirittura due canzoni che non c’è un’idea che valga la pena di una morte. Con il gusto sempre, ed è questo un po’ che ci lega molto, dell’ironia. Ecco, non prendere mai in ostaggio nessuno. Ecco cos’è, a cosa serve la satira, l’ironia: perché se c’è il mantello della risata, della comicità, l’umorismo, tu non costringi uno ad assecondare ad ascoltare il tuo pensiero. Però lo coinvolgi, perché sorride. Ed ecco la magia della satira.

“Come diceva Brassens, non c’è un’idea che valga la pena di una morte”

Una vita da impresario Il lavoro è stato presentato lo scorso autunno sul palco del teatro Sociale di Busto Arsizio con cabarettisti di Zelig e Colorado, a favore della Croce Rossa. Ma non è finita qui. Pranzo-spettacolo e weekend in palio A dispetto del suo nome d’arte, infatti, Piccoli ama fare le cose in grande e così domenica 15 maggio, in quella Polisportiva Bienatese che contibuì a fondare, offrirà un pranzospettacolo con Alberto Patrucco ai primi 20 partecipanti (con i loro accompagnatori) e ai 10 finalisti (pure attesi in coppia) del concorso indetto con la media partnership della nostra testata: Piccoli, grandi ricordi. In palio, c’è persino un weekend per 2 persone in una località turistica di pregio. La giuria La giuria - presieduta da Patrucco e composta da personaggi dell’arte, della cultura e giornalisti - proclamerà il vincitore, dopo che i testi dei dieci finalisti saranno presentati durante il pranzo-spettacolo. Partecipare è facile! Per partecipare, basta inviare entro venerdì 29 aprile una recensione, un tema o un altro testo inerente il libro Una vita da impresario, lunga massimo 10 righe, a: concorso@varesemese.it.



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FOCUS - TEATRO

“Altro che Fico più maturo!” Max Cavallari torna con Animali Fantastici L’attore varesino, fermo da tempo tra pandemia e malattia dello storico partner artistico Bruno Arena, calca di nuovo le scene, scegliendo il teatro Sociale Delia Cajelli di Busto Arsizio come “portafortuna” per la nuova avventura con Stefano Chiodaroli e Rossana Carretto

> Max Cavallari

Cantastorie, buffoni, ciarlatani. Ovvero, Animali Fantastici, per dirla col titolo del nuovo spettacolo teatrale che ha appena debuttato a Busto Arsizio con Max Cavallari, Rossana Carretto e Stefano Chiodaroli. A parlarcene è lo storico volto dei Fichi d’India.

si chiama Da soli mai, che io dedico a Bruno e a tutti, perché è un momento in cui non dobbiamo stare soli. Me l’ha scritta Vincenzo Incenzo, che è un autore di Renato Zero, perché è un momento in cui dobbiamo essere tutti uniti.

31 marzo, data della prima di Animali Fantastici, ma anche della fine dello stato di emergenza dopo due anni di pandemia: perché, anche se in questo periodo comunque non c’è tanta voglia di ridere dati i venti di guerra, è importante che la gente torni a teatro? E’ importante perché, a parte che siamo stati fermi tantissimo, abbiamo la nausa della tv, la gente è stanca. La risata di pancia è quella che sta funzionando e funzionerà sempre. La satira politica, invece, in questo momento per me è morta, perché adesso non abbiamo bisogno di ciò. Dobbiamo divertirci come una volta. Me ne accorgo dai Cabacena, in cui la gente ancora con i tovaglioli canta Io vagabondo... cosa che non avrei più fatto, ma vedo che vuole questo e quindi, io che avrei voluto essere adesso il Fico più maturo facendo magari una bella commedia di Beckett, mi ritrovo a fare questa cosa, che secondo me è giusta. Perché sentiamo proprio il bisogno di ridere:

A proposito di talento e vecchia scuola... Dopo la lunga esperienza nei Fichi d’India, seguita dalla malattia dell’amico di una vita Bruno Arena, che hai citato prima, stavolta tu cambi partner artistico e ti esibisci con Stefano Chiodaroli: è un po’ una ripartenza anche per te.... E’ una ripartenza, anche se io comunque a Bruno racconto tutto ciò che faccio. Bruno impazziva per Stefano che era un po’ matto e poi comunque con un’attrice è un po’ diverso, non siamo proprio una coppia definita. E’ un ritornare per me anche perché sono stato fermo due anni quando lui era in coma e per me è stato molto difficile. Devo dire che nessuno mi ha aiutato: i colleghi sono stati i primi a non aiutarmi. Anche quelli di alto livello, con cui ho fatto film, tranne Roberto Benigni e Nicoletta Braschi, che mi hanno sempre chiamato. Tutti gli altri, invece... nessuno mi ha mai chiesto: Hai bisogno? Vuoi un conforto? Tranne i fans, che sono venuti a suonarmi

“Ora serve ridere di pancia” è un’antica ricetta medica, visto che il riso fa buon sangue, e dunque abbiamo proprio la necessità di divertirci. Pure perché noto, col passare degli anni, che la gente della mia età diventa più sensibile, piange per niente, perciò ha davvero bisogno di quella risata stupida. Poi ci sarà tempo di andare a vedere un bello spettacolo di satira politica. > Chiara Milani > chiara.milani@varesemese.it

Col vostro spettacolo fate ridere, ma anche riflettere su quanto sia facile al giorno d’oggi portare al successo una persona senza alcun talento... Per chi è della “vecchia scuola”, questo che effetto fa? Fa comunque un bell’effetto. Perché mi ritrovo con la Carretto che è una grandissima attrice e che comunque ci deve domare, mettere nel carretto e guidare. Quindi mi ritrovo un po’ Bruno e un po’ me lo ritrovo con Chiodaroli, che è un grande fan di Bruno, perché è un mattatore. Alla fine canto questa canzone che

il campanello a casa, e gli amici sui social. Sicuramente, non quelli di Varese. Hai appena detto: “Non quelli di Varese”... No, Varese è una città che io non amo, che non mi ha mai aiutato e di cui io senza scherzare ho parlato male per via del carcere, di cui insegnando a Opera non sento parlare bene. Il teatro non mi ha mai considerato e sanno benissimo la situazione. Non è più la mia Varese di una volta... Busto Arsizio è molto più bella. Poi, tra l’altro, a noi Fichi il Teatro Sociale ha sempre portato fortuna perché siamo sempre partiti da qua. Quindi per noi è una bella partenza. Quindi, anche a te fa bene fare una bella risata col pubblico, ripartendo da Busto Arsizio... Sì, infatti proprio io ho voluto partire da qui con questo spettacolo, perché è il teatro che ha portato fortuna a me e a Bruno.


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VARESE, DIAMO I NUMERI

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VARESE, DIAMO I NUMERI

LA BELLEZZA SALVERÀ IL MONDO? Lusso, lettura e turismo culturale Ispirandoci alla celebre frase pronunciata dal principe ne L’idiota, con l’economista Massimiliano Serati e l’aiuto del cartoonist Tiziano Riverso abbiamo analizzato il trend di alcuni settori dell’arte, importanti anche per il nostro territorio

> Chiara Milani > chiara.milani@varesemese.it

Che la bellezza salverà il mondo, Dostoevskij lo fece dire al principe ne L’idiota. Noi ne cerchiamo conferma tra i numeri legati alle arti, che della bellezza sono interpreti. La nuova primavera della lettura Partendo proprio da quelli legati alla lettura visto che - non a caso - citiamo un grande scrittore russo. Anche perché, complice il fatto che 2 anni fa, di questi tempi, eravamo chiusi in casa e la scorsa primavera non eravamo proprio liberi di muoverci, pare che nel periodo pandemico sia “rifiorita”. “Parrebbe proprio di sì, conferma Massimiliano Serati, economista della Liuc Business School che, numeri alla mano, commenta: “L’Istat ci ha appena raccontato gli ultimi dati relativi alle statistiche culturali in Italia e il 2020 racconta che il numero di persone che ha letto almeno un libro durante l’anno ha superato il 41%, quindi circa un 3% in più dell’anno prima, con tra l’altro le lettrici donne che superano di addirittura di un 10% i lettori maschi”. Un segnale bellissimo, anche se ancora timido se pensiamo che, come fa notare il ricercatore universitario, “tra il

continua


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VARESE, DIAMO I NUMERI

> Le grandi città d’arte, che un tempo assorbivano il 20% della fruizione turistica nazionale, perdono qualche passo

Libri&Lusso

20%

> Secondo i dati 2018 dell’Eurostat, l’Italia è prima in Europa per numero di strutture ricettive, seguita da Croazia e Spagna al secondo e terzo posto

> In Italia nel 2020 il numero di persone che ha letto almeno un libro durante l’anno ha superato il 41%, quindi il 3% in più dell’anno prima

2011 e il 2016 nel nostro Paese si sono persi 3 milioni di lettori”. Città d’arte, piccolo è bello Ci sono poi le arti figurative. Come pittura, scultura e architettura, di cui le nostre città sono piene, che rappresentano un grandissimo patrimonio non soltanto a livello culturale, nonostante ovviamente la crisi del turismo dell’ultimo biennio. “In questo caso le statistiche ci parlano nuovamente di una ripresa rispetto al 2020, anche se è facile e scontato, visto che molti luoghi della cultura erano chiusi”, illustra il professore. Si tratta di una ripresa che però ha dei connotati

+41%

> La maggiore capacità ricettiva è localizzata in Centro Italia, con oltre il 18% degli esercizi e il 4,7% dei posti letto. Segue il Nord-est

> Secondo l’Istat, durante la pandemia, la quota di lettrici donne ha superato addirittura di un 10% quella di lettori maschi

particolari. “Crescono molto i piccoli borghi, i piccoli comuni a vocazione artistica e culturale, con tutto il loro patrimonio di nicchia e di tesori nascosti”, cita infatti Serati: “Mentre le grandi città invece, che un tempo assorbivano il 20% della fruizione turistica nazionale, vuoi per un desiderio di fuggire dai luoghi affollati vuoi per la riscoperta di cose nuove, perdono qualche passo. Sono infatti anche loro in ripresa, ma faticosamente”. Export, che lusso! Parlando di arte, ovviamente, non si può non pensare anche al teatro, il cinema, la musica e molto altro. Per questioni di spazio, però,

18%

+10%

> In termini di po Milano nel 2018 era al terzo dopo Roma e V e prima di

> Le statistiche segnalano che tra il 2011 e il 2016 nel nostro Paese si sono persi ben 3 milioni di lettori

rimanendo legati da un lato all’attualità e dall’altro al territorio, il pensiero corre all’arte orafa, alla moda a tutte quelle che insomma hanno sempre visto nella Russia un mercato privilegiato per l’Italia, compreso il Varesotto e l’Alto Milanese. “Pure in questo caso, il 2021 è stato un anno molto positivo: basti pensare che il comparto dell’oreficeria ha raggiunto livelli di fatturato addirittura superiori a quelli del periodo pre pandemico e non di poco, perché parliamo di un 17% in più, sottolinea il nostro interlocutore: “Il tessile ha avviato il recupero, senza ancora colmare il gap generato dalla pandemia, ma con buone

“In lontananza si intravvede luce”


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VARESE, DIAMO I NUMERI

Cultura, motore di sviluppo > A cura della redazione > redazione@varesemese.it

C’è tempo fino al 20 aprile 2022, attraverso il portale RoL - Richieste on-Line disponibile sul sito internet di Fondazione Comunitaria del Varesotto, per partecipare al bando che l’ente promuove assieme alla Camera di Commercio di Varese per promuovere la cultura come motore di sviluppo.

osti letto o posto, Venezia Firenze

> Nel rank totale delle presenze, nel 2018 Varese si era piazzata al 236esimo posto per quanto riguarda il turismo d’arte in area urbana

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> Il 2021 è stato un anno molto positivo per il comparto dell’oreficeria, con un +17% rispetto al periodo pre pandemico

prospettive”. Il grande interrogativo Lo scenario però adesso cambia. “Ora arriva la crisi: la Russia per noi è un mercato di destinazione importante, tuttavia è anche vero che, diciamo così, questa crisi avrà delle conseguenze economiche ancora non del tutto prevedibili. Ovviamente, dipenderanno dalla durata della guerra. Però buona parte degli analisti ritiene che non saranno tali da interrompere il trend avviato l’anno passato, se non momentaneamente”, incalza l’economista, specificando: “Si tratta di un lasso di tempo che naturalmente può essere drammatico per alcune aziende, ma che diciamo non

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dovrebbe essere grave come è stata grave la crisi pandemica, durata 18 mesi”. Di qui, la conclusione: “Quindi, da questo punto di vista, un pochettino di luce in lontananza si intravvede”. Altro che sorriso da Gioconda! La speranza è che sia davvero così. Per dirla con un’altra arte, cioè il disegno, in cui è maestro Tiziano Riverso, ispirandosi a Monna Lisa, l’auspicio è: “Arte e cultura, basta sorrisini enigmatici, ma sane risate di soddisfazione”. Spiega infatti il nostro cartoonist: “Mi sono ispirato a Leonardo da Vinci, che rappresenta un po’ l’emblema della cultura italiana, augurandomi che la Gioconda possa andare oltre il suo solito sorriso enigmatico”. Già.

L’accordo di collaborazione In pratica, le due realtà intendono favorire la presenza di eventi in grado di contribuire alla crescita e alla promozione del territorio. Il bando, infatti, ha una triplice finalità: sostenere interventi di innovazione nell’organizzazione di eventi e manifestazioni culturali e artistiche con un’evidente ricaduta socioculturale e turistica sul territorio, al fine di aumentare e migliorare sia la quantità sia la qualità degli impatti generati (rispetto agli orientamenti definiti dall’Agenda 2030); stimolare le organizzazioni culturali a diversificare le fonti di entrata per ridurre la dipendenza dai contributi pubblici o istituzionali; aumentare i livelli di professionalizzazione all’interno delle organizzazioni sugli aspetti manageriali, gestionali e organizzativi. Le risorse Le risorse complessivamente messe a disposizione sono pari a 120mila euro.


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MANAGEMENT & AZIENDA

OVER THE RAINBOW Inaugurata a marzo 2022 Liuc UK all’Italian Chamber of commerce and industry > Anna Gervasoni > redazione@varesemese.it

Miosotis Transport di Mauri Giuseppe & C. snc

Logistica - Trasporti Italia ed Estero Eccezionali - Industriali Depositi e Distribuzioni Centinati - Normali e Ribassati Cisterne e sponde caricatrici Noleggio Autogru e Carrelli Elevatori Sede Operativa: 21019 SOMMA LOMBARDO (VA) Via Bozza dei Salici, 3 Tel. 0331.259.686 Tel./Fax 0331.252.623 Sede Legale: 21019 SOMMA LOMBARDO (VA) Via Valmirolo, 9


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MANAGEMENT & AZIENDA

In tempo di guerra si deve fare una pausa pensando che, nonostante tutto, si deve guardare avanti . È sempre accaduto così. Anche dopo le tragedie più grandi che si sono abbattute, come la pandemia, che forse ci stiamo mettendo alle spalle e che comunque è uscita dalla nostra attenzione quotidiana, si riparte. Un arcobaleno dopo la pioggia. Questo per me è bellezza. Un arcobaleno tra i tetti e le gru di una città che è ripartita alla grande e che non si ferma . E’ accaduto l’11 aprile a Londra. All’Italian Chamber of commerce and industry for the UK dove è stata inaugurata Liuc UK. Un ponte tra Londra e Castellanza L’Università Cattaneo- LIUC potrà contare su una propria base in questa bellissima sede tra i tetti di Oxford street e Regent. Nell’ambito del progetto di internazionalizzazione dell’ateneo nato 3 decenni fa a Castellanza, infatti, il taglio del nastro è stato fatto in occasione dell’avvio del London chapter degli Alumni. Dopo il saluto del presidente Riccardo Comerio, il rettore Federico Visconti e chi scrive, in qualità di delegata all’Internazionalizzazione, insieme al presidente di LIUC Alumni, Alberto Strani, hanno radunato in presenza 40 alumni e a distanza una ventina degli oltre 100 laureati LIUC che vivono e lavorano a Londra. Un primo confronto per collegare in modo stabile questo network di professionisti attivi nella capitale britannica, moltissimi nel settore finanziario. Il ponte con gli Alumni sparsi per il mondo vuole essere un’opportunità per

“La bellezza è un arcobaleno a Londra” scambiare idee, testimonianze, per attivare stage internazionali rivolti ai nostri giovani studenti. Nel contempo si rafforzano i contatti della LIUC con altri atenei del Regno Unito, in modo da promuovere filoni di ricerca comuni e scambi di studenti nonostante i vincoli posti dalla Brexit. “Con un mondo che cambia in continuazione, l’università può solo insegnare ad imparare, occorre coltivare un sano spirito del fare, dell’innovare e del cambiare”, ha ricordato il rettore. Del resto, bisogna pensare internazionale ed essere innovativi. L’internazionalizzazione è oggi un tema trasversale a tutte le attività. Il futuro (h)a 30 anni Anche così la LIUC festeggia i suoi primi 30 anni, guardando al futuro. Del resto, come insegniamo ai nostri ragazzi, il pensiero strategico non è di breve respiro. Ciò ci impone di guardare avanti. Perché i risultati dei grandi progetti si vedono nel lungo periodo. Ritrovare dopo tanti anni allievi che si sono laureati più di venti anni orsono, fa pensare all’importanza di quel lavoro di semina di competenze e valori che ogni insegnante fa e che rende unico e insostituibile questo mestiere. Dopo una giornata di pioggia intensa, abbiamo salutato questa iniziativa anche grazie ad uno splendido arcobaleno. Non tutto accade per caso.

Sopra, l’arcobaleno apparso tra i tetti di Oxford street e Regent. Sotto, Anna Gervasoni con il rettore dell’Università Cattaneo Liuc, Federico Visconti


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SALUTE

Perché il bello ci fa bene Musica (e non solo) tra le macerie Di fronte a quanto sta accadendo, ci siamo rivolti a Camilla Callegari, professore associato di Psichiatria all’Università dell’Insubria e direttore della struttura complessa della stessa branca della medicina a Varese, chiedendole di spiegare ai nostri lettori in che modo arte e cultura possano aiutarci a superare il lungo “brutto periodo” che stiamo attraversando La pandemia con tutto il suo carico di angoscia ci ha lasciati sgomenti per prima e ora, forse ancora di più, la guerra in Ucraina: una fra le tante nel mondo, ma così terribile, vicina geograficamente e potenzialmente una minaccia più concreta. La reazione al dolore in diretta E’ una guerra che, nell’epoca della comunicazione mediatica, accade in diretta, con testimonianza in tempo reale della tragicità degli eventi, della distruzione, dell’orrore, della sofferenza indicibile delle persone. Tanto dolore che scatena tuttavia inevitabilmente altrettanta e forse più grande volontà di aiutare, accogliere, abbracciare, trovare soluzioni di un buon senso comune che prevalga sull’insensatezza, per salvare gli altri e salvare noi stessi. L’incomprensibile L’umanità tuttavia è complessa. Parrebbe incomprensibile come i ricorsi storici siano inevitabili, come non sia possibile aver compreso dai precedenti errori, come di nuovo una guerra possa trovare spazio invece della ragionevolezza che preluda e dia sostanza alla pace fra i popoli. Come invece di spendere fortune per gli armamenti non si possano nutrire le popolazioni che non hanno cibo. Come in un film La sofferenza delle persone può non essere qualcosa di sempre tollerabile sul piano emotivo. La mente umana può non farcela e cercare vie di fuga, più o meno efficaci. Un po’ come quello che si cerca di fare con i bambini ai quali raccontare la verità attraverso storie, che possano aiutarli ad accettare anche le esperienze più drammatiche della loro vita. Per esempio, nel film La vita è bella, il gioco inventato dal protagonista per il suo bambino in un lager nazista, oppure “i pensieri felici” di Peter Pan, a cui ricorrere “per continuare a volare”, metafora questa del conservare alla mente la facoltà di pensare liberamente, di dare spazio all’immaginazione e alla fantasia, alla creatività. La difesa della cultura Cose buone e belle contrapposte a cose

cattive sono state fatte agli esseri umani, da altri come loro in ogni conflitto: le peggiori per il folle desiderio di alcuni di annientare la dignità, la cultura, il pensiero, la creatività di loro simili. Sono stati distrutti ciclicamente anche gli stessi simboli delle civiltà e della loro cultura: i libri, i monumenti, le opere d’arte, le espressioni artistiche, ovvero tutte quelle della multiforme creatività umana, che tuttavia persone diverse hanno irriducibilmente lottato per custodire e tramandare.

> Camilla Callegari > redazione@varesemese.it

Bellezza “salvifica”? Anche da questa guerra arrivano immagini di pianoforti suonati in mezzo alle macerie, del violoncellista che suona Bach tra le rovine di Kharkiv e quotidiane sono le notizie di giovani artisti accolti da altri Paesi perché possano continuare a coltivare la loro disciplina, di opere d’arte contese fra musei, di manifestazioni artistiche, culturali, sportive difese e a difesa della volontà di contrapporre, di far prevalere l’opposto: la pace, la continuità anche della bellezza che, non salvifica di per sé, ma quale espressione della creatività umana, non può essere annientata fintanto che la creatività continua a esprimersi.

“La bellezza non può essere annientata fintanto che la creatività continua a esprimersi”


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ANIMALI

Ritmo felino

Brani su misura per gatti Sabrina Giussani, medico veterinario di Busto Arsizio, nonché presidente senior di Sisca (Società italiana delle scienze del comportamento animale), ci fa scoprire le armonie che fanno bene ai nostri (a)mici: dalle proposte musicali che li rendono più attivi a quelle che li calmano L’ascolto della musica provoca effetti rilassanti o stimolanti a seconda della dolcezza della melodia, il tono di voce del cantante o la struttura del brano ascoltato. Alcune note musicali sono in grado di ridurre la pressione sanguigna e la frequenza cardiaca: il battito del cuore e il respiro si sincronizzano con la musica a prescindere dai nostri “gusti”. La frequenza dell’amore Secondo alcune teorie, il nostro corpo sembra essere in armonia con la sola musica a 432 Hz: questa frequenza è chiamata Love Frequency e nasce dal battito di Madre Natura. Le canzoni che ascoltiamo abitualmente, invece, sono trasmesse a livello mondiale a 440 Hz dal 1939 quando un nazista ha scoperto che questa frequenza suscitava nei soldati in guerra una “aggressività” utile ai fini militari. Le note che curano L’ascolto della musica può essere considerato una terapia. La Word Federation of Music Therapy nel 1996 ha definito terapeutico un particolare uso delle note musicali: “La musicoterapia è l’uso professionale della musica e dei suoi elementi come intervento in ambienti medici, educativi e sociali con individui, gruppi, famiglie o comunità che cercano di ottimizzare la loro qualità di vita e migliorare la salute e il benessere fisico, sociale, comunicativo, emotivo, intellettuale e spirituale”. Armonie per mici Condividere lo spazio abitativo e sociale con il gatto implica la conoscenza dei fabbisogni di questa specie. Il cibo, l’acqua, un luogo per eliminare urina e feci, oltre a una zona protetta per riposare, sono fabbisogni primari. Appagare le motivazioni di razza (come, per esempio, esplorare nuovi ambienti ed oggetti, correre, salire verso l’alto), giocare, conoscere persone e altri mici, realizzare desideri ed aspirazioni e così via sono le necessità tipiche della specie. L’arricchimento serve a soddisfare queste esigenze e può essere ottenuto presentando nuovi stimoli uditivi, visivi, tattili e gustativi. I vocalizzi dei gatti sono stati presi a modello per comporre melodie. Per rendere il piccolo felino più attivo sono necessarie armonie con vocalizzi di allerta e alcuni suoni “interessanti” per la specie. Per calmarlo se è agitato, invece, la sinfonia deve contenere vocalizzi affilitativi, cioè i suoni che i gatti emettono quando sono contenti di incontrare un membro della famiglia con cui vivono come il trillo di saluto e le fusa.

Music for cats Una curiosità: David Teie, un violoncellista della National Symphony Orchestra, ha creato musiche su misura per i gatti: Music for Cats contiene una serie di brani che riproducono fusa e cinguettii di uccelli.

“Fusa e cinguettii di uccelli funzionano da musicoterapia per i nostri (a)mici”

> Sabrina Giussani

> redazione@varesemese.it


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MONDO BIMBI

ARTE IN SCATOLA > Luca Borsa > redazione@varesemese.it

Luca Borsa, game designer di Busto Arsizio e portavoce della filiale italiana dell’associazione degli autori di giochi, spiega ai nostri lettori l’importanza delle illustrazioni nelle attività da tavolo

> Un esempio di illustrazione per giochi


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MONDO BIMBI

Una delle componenti del gioco è la Mimicry, che si può definire quella caratteristica che abbiamo nel gioco quando ci travestiamo o comunque interpretiamo un soggetto “altro” da noi, sia che indossiamo una maschera di Carnevale sia che usiamo la pedina del pirata in un gioco da tavolo. Il tutto poi ci porta alle ambientazioni, perché si spesso i giochi rappresentano sogni, finzione, ma attingono dalla realtà e quindi troviamo giochi di ogni tipo: dal semplice concetto astratto di due eserciti contrapposti uno bianco e uno nero su una scacchiera all’essere investigatori alla caccia di un ladro a Scotland Yard. Ciò fa sì che, quando si fa un gioco, lo si ambienti, lo si “vesta”, gli si dia un’identità che spesso può aiutare sostanzialmente a decretarne il successo. Mood “colorato” Ambientare un gioco significa fornirgli un tema che dovrà essere percepito da chi gioca come parte integrante dell’esperienza ludica, perché l’immedesimazione aiuti a far sì che il divertimento e il ricordo siano più forti e sentiti. Qui entrano in campo grafici e illustratori, veri artisti che con le loro immagini devono subito catturarci e farci entrare - ancora prima di aver mosso una qualsiasi pedina - nel mood del gioco nella sua essenza. Illustrazioni “griffate” Quante volte davanti a uno scaffale pieno di scatole restiamo colpiti da un’illustrazione o da una copertina che si staglia rispetto alle altre e ci incuriosisce? Ci sono case editrici

“La parte artistica è importante e integrata con quella meccanica” che pagano artisti per far le copertine dei giochi e sempre di più l’illustrare è valorizzato: oltre al nome dell’autore o degli autori, infatti, sulla scatola troverete anche quello dell’illustratore. Quando la fantasia prende forma Un paio di esempi su tutti: Leggende di Andor, dove Michel Menzel ci regala un fantastico mondo Fantasy, e la scatola di Scythe, un gioco poco conosciuto al grande pubblico, ma che ha avuto grande successo anche per le illustrazioni del polacco Jacob Rozalsky: piccoli quadri che sono stati anche raccolti in un libro. Quindi, la parte “artistica” diventa importante e integrante con la meccanica: un tabellone disegnato con cura, con colori che aiutano, rende infatti la sessione di gioco senz’altro più piacevole.

In punta di matita Il fumetto e l’illustrazione sono diventati ufficialmente arte. E’ così che la pensa il nostro cartoonist bustocco, Tiziano Riverso, che ne ha fatto una professione.

Le tinte del divertimento Le illustrazioni creano quindi quella relazione e coinvolgimento che è fondamentale per un’esperienza ludica e, se pensiamo ai più piccoli, ciò diventa ancora più importante: un bimbo, davanti alla scelta di giocare con un gioco senza illustrazioni - pensate per esempio alla dama - o uno illustrato, sceglierà sicuramente il secondo. Colori vivaci - i classici rosso, giallo, verde e blu, con tinte piene - si trovano in tutti i giochi per bambini. Anche se le scelte illustrative possono fare la differenza: come, per citare un caso concreto, in Balloon, dove i palloncini prendono vita e diventano i veri personaggi del gioco.

Tra sirene, dinosauri e pipistrelli Tra i suoi lavori più recenti, varie collaborazioni per libri di bimbi e ragazzi: Le nuove avventure di Patty, la bambina dai capelli rossi, con l’autrice Patrizia Massano: grazie all’incontro di una sirenetta e tanti simpatici personaggi, Patty, che sogna di diventare una piccola onda che corre libera nei mari del mondo, inizierà il suo viaggio. Ma non é finita qui. Perché il vignettista firma anche un manualetto da ritagliare e colorare per imparare a disegnare i dinosauri con Ciccio Johnes, un ragazzino molto curioso che ama avventurarsi nel mondo della paleontologia. Dalla sua matita esce poi anche una storia educativa zen da colorare con le avventure del pipistrello Pippi, per avvicinare i bambini al rispetto della natura e al valore dell’amicizia. Sempre con la Casa Editrice Antea, non manca quindi un racconto dedicato alla giovinezza del Corsaro Nero, Il conte di Ventimiglia ispirato a Salgari.

La bellezza di giocare Dunque, forse finora non ci avevate mai fatto caso, ma il gioco è un prodotto complesso, in cui anche la parte “artistica” deve essere curata e valorizzata, proprio per fornire al giocatore quel senso del “bello” che l’arte deve trasmettere.

Fumetti contro il bullismo Infine, ma non ultimo, Riverso firma una storia a fumetti vera per sensibilizzare sulla patologia di Ehlers-Danlos, contro il bullismo.

Star... in scatola Ci sono giochi dove poi le illustrazioni non sono soltanto la veste grafica o di contorno, ma diventano il vero motore: pensiamo a Dixit capolavoro assoluto con le sue 7 milioni di scatole vendute nel mondo, dove le immagini oniriche dell’illustratrice Marie Cardouat, diventata una vera star, sono il gioco ed è proprio attraverso le sue immagini che i giocatori si sfidano in un’esperienza ludica che può riunire al tavolo generazioni diverse, senza che sia un problema.


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NATURA

QUANDO SBOCCIA LA MAESTRIA > Marco D. Introini

> redazione@varesemese.it

Come sono cambiate le composizioni floreali nel tempo: ce lo spiega Marco Introini, floral designer di Gallarate, il quale ci conduce alla scoperta dell’evoluzione delle creazioni fiorite, che oggi arrivano ad essere delle vere e proprie opere, realizzare con un materiale vivo e già di per sé bello: una vera gioia per gli occhi e per l’anima

Avete mai provato a posizionare fiori in un contenitore? Sono sempre o troppo lunghi o troppo corti, cambiano in continuazione di posizione, non troviamo mai il vaso giusto in cui metterli e, quando lo troviamo, fatichiamo a disporli comunque. Ciò perché? Perchè comporre con i fiori è una vera e propria arte, non a caso è chiamata “arte floreale”. Tra arte e tecnica In effetti le regole da conoscere per creare composizioni fiorite sono tante: ci sono quelle tecniche, per fare in modo che il fiore viva a lungo e mantenga la posizione desiderata, e poi quelle artistiche, che sono ispirate dalla teoria dei colori di Itten e dalla regola aurea, ovvero la Divina Proportione, teorizzata da Leonardo da Vinci, partendo dagli studi di Fibonacci e Luca Pacioli (su cui potete trovare notizie anche nell’archivio online di VareseMese). La natura come fonte d’ispirazione L’arte floreale, così come la conosciamo ai giorni nostri, è piuttosto recente ed è stata codificata dopo la metà del secolo scorso: fino ad allora si componevano i fiori piuttosto semplicemente, andando a replicare quelle opere pittoriche che avevano i fiori come protagonisti. Pensiamo a quante nature morte abbiamo visto riprodotte sui libri d’arte, tipo i Girasoli di Van Gogh o la magnificenza delle composizioni dell’Arcimboldo o ancora i festoni di Andrea della Robbia.

A colpi di... spugna I fiori venivano lavorati perlopiù in vasi, ma c’era il problema dell’acqua e della stabilità. Poi s’iniziò a riporli in cesti riempiti con sfagno inumidito, per fare in modo che potessero essere disposti in modo anche un po’ inusuale, ma mantenendo un minimo d’idratazione. Pensate, ad esempio, alle foto dei matrimoni degli anni del dopoguerra, con quegli splendidi cesti col manico riempiti di infiorescenze, oggi caduti in disuso. Il vero cambio di paradigma nel modo di lavorare i fiori, però arrivò più avanti, con l’invenzione della spugna fenolica (quella che conosciamo come spugna per fioristi). Fino a quel momento, creare composizioni stabili, che fossero trasportabili, oppure che stessero in

“La floral art racchiude tecniche pittoriche, scultoree e botaniche”


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NATURA

orizzontale, era quasi impossibile. A meno di utilizzare il kenzan, quel supporto di piombo con chiodi in ottone, che viene ancora comunemente utilizzato nelle composizioni di origine giapponese chiamate ikebana. Oltre la decorazione Con l’uso della spugna si risolse dunque tutto un insieme di problemi tecnici e si giunse a creare composizioni di ogni forma e tipo, andando così a definire tutta una serie di stili compositivi molto diversi fra loro. Negli anni Settanta nacquero anche in Italia le prime scuole di arte floreale e iniziarono a diffondersi libri e riviste sull’argomento. In tempi più recenti le tecniche si sono poi evolute: sono nati diversi nuovi materiali, come le colle per fiori recisi, che hanno portato fioristi e floral designer a potersi esprimere nella maniera più completa, potendo ora lavorare il prodotto in ogni modo e posizione possibile. Così, se comporre con i fiori prima era un mero esercizio di decorazione, ora invece si può creare in maniera molto più espressiva, elaborando delle vere e proprie opere d’arte. Triplice know how Il bello dell’arte floreale è che racchiude in sé le tecniche pittoriche, scultoree e botaniche, unite alla bellezza di poter lavorare in maniera versatile un materiale vivo e già bellissimo di suo. Ad aprile fiorisce un mondo di bellezza Il mese di aprile ci porta in dote la Coppa Italia di Arte Floreale ad Alessandria ed Euroflora a Genova. Se volete rendervi conto di persona di quanto letto, vi invito a visitarle: scoprirete un mondo di bellezza, emozioni e colori. Sopra, una composizione del floral designer gallaratese e, a destra, un particolare dell’opera Bimba con i fiori, custodito presso la GAM (Galleria d’arte moderna) di Genova


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SPORT

TALENTO SU 2 RUOTE Musica, cinema, scultura, pittura e letteratura

> Luigi Cazzola

> redazione@varesemese.it

Colta analisi a tutto tondo del nostro esperto di ciclismo, Luigi Cazzola, su come la bellezza di questo sport si traduca in molteplici opere di differenti discipline, che ne immortalano le gesta eroiche dei campioni

Il Trofeo senza fine del Giro d’Italia


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SPORT

> Il murale di Aligi Sassu sul ciclismo ad Arcumeggia (Foto Benati)

Il ciclismo è, da sempre, una fonte di ispirazione per gli artisti, siano essi pittori, scultori, scrittori, musicisti o cantautori. Le imprese dei corridori, le loro vittorie e le loro sconfitte, le gioie e le delusioni, le salite e le discese sono infatti fonte di grande ispirazione per l’arte, nelle sue varie sfaccettature. Pittura Famosissimi pittori italiani del Novecento hanno scelto la bicicletta e i ciclisti come protagonisti di straordinarie opere d’arte. Nel 1913, uno dei massimi esponenti del futurismo, Umberto Boccioni, rappresentava il Dinamismo del ciclista e, nel 1916, Mario Sironi produceva la splendida opera a olio su tela Il ciclista. Particolarmente affascinato dal ciclismo fu Aligi Sassu, il quale, nella sua carriera artistica, dipinse vari quadri raffiguranti i ciclisti, descritti nelle loro varie espressioni, come Ciclisti in salita e Ciclisti al traguardo, entrambi del 1951, o Gruppo di ciclisti alla partenza e Ciclisti in corsa, entrambi del 1955. Nel 1957, Aligi Sassu creò un murales sul tema del ciclismo ad Arcumeggia, nel museo all’aperto di questo “paese dipinto” situato tra la Valcuvia e la Valtravaglia. In questa splendida pittura murale sono riconoscibili Fausto Coppi, Gino Bartali e Alfredo Binda. Letteratura Il ciclismo ed in particolare il Giro d’Italia hanno interessato da sempre anche gli scrittori. Dino Buzzati, Vasco Pratolini e Achille Campanile hanno seguito il Giro come inviati delle più importanti testate nazionali e hanno raccontato la corsa attraverso riferimenti letterari. Lo scrittore di Luino, Piero Chiara, nel 1968, seguì la Corsa Rosa come commentatore per la Rai. Inoltre sono stati scritti moltissimi libri sui campioni del ciclismo. Soprattutto, su Coppi e Bartali, due eroi di questo sport.

Scultura Lo stesso Trofeo senza fine, assegnato dal 1999 al vincitore del Giro, con la sua forma a spirale in rame placcato oro 18 carati, è uno dei più iconici della storia dello sport. Cinema Pure il cinema ha esplorato il mondo del ciclismo. Emblematico è il film Totò al Giro d’Italia del 1948, nel quale il famoso attore napoletano, per conquistare l’amore di una ragazza, fa un patto con il diavolo per vincere la gara e battere i campioni dell’epoca tra cui Coppi, Bartali e Magni, i quali presero parte al film in veste di attori. Musica Il ciclismo ha quindi trovato terreno fertile persino nelle canzoni. Il Trio Lescano nel 1951 cantava già la memorabile “Ma dove vai bellezza in bicicletta, così di fretta pedalando con ardor” e poi successivamente anche i cantautori si sentirono ispirati dalle gesta dei ciclisti e dagli intrecci di questo sport con la vita. Paolo Conte nel 1979 scriveva la straordinaria Bartali, pensando “Oh quanta strada nei miei sandali, quanta ne avrà fatta Bartali, quel naso triste come una salita, quegli occhi allegri da italiano in gita”. Francesco De Gregori nel 1993, lanciava la canzone scritta da suo fratello, Il Bandito e il campione, raccontando dell’incontro fortuito tra il campionissimo Costante Girardengo e il bandito Sante Pollastri. “Cento e più chilometri alle spalle e cento da fare, l’orologio prende il tempo e il tempo batte per noi, non c’è più chi perde o vince quando il tempo non vuole, quando la strada sale , non ti voltare, sai che ci sarò” cantava Enrico Ruggeri nel 2000, con la canzone Gimondi e il cannibale, raccontando i sentimenti di due ciclisti per i quali il destino aveva scelto scenari diversi.



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