20018 9 772039 887006
VDG MAGAZINE VIAGGI DEL GUSTO | ANNO 2 | N.18 | MENSILE | Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. C/RM/19/2011 | Belgio Euro 9,30 | Canton Ticino Ch.Fr. 11,50 | Costa Azzurra Euro 11.90 | Stati Uniti
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LE MANI NELLA TERRA CARLO PETRINI: «IL FUTURO È NELL’ AGRICOLTURA SOSTENIBILE»
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ORTI IN CITTÀ, CONTADINI URBANI E RISTORANTI GREEN: ECCO L’ITALIA CHE TORNA A COLTIVARE
La riscoperta delle erbe selvatiche Ricette con i frutti di Madre Natura Cibi etnici: cosa, come e dove Donato Lanati e il “suo” Monferrato Vini: Franciacorta, basta la parola In viaggio: Chieti, Cagliari, Amman
FEASR
REGIONE
DEL
VENETO
Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale: l’Europa investe nelle zone rurali
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Iniziativa finanziata dal Programma di Sviluppo Rurale per il Veneto 2007-2013 Organismo responsabile dell’informazione: Grana Padano e gli altri formaggi veneti di qualità Autorità di gestione designata per l’esecuzione: Regione Veneto - Direzione Piani e Programmi Settore Primario
viaggi del gusto
editoriale
di Domenico Marasco
domenico.marasco@vdgmagazine.it
Terra! Terra! Terra! Sullo scorso numero di VdG Magazine, abbiamo voluto raccontarvi gli straordinari risultati – in termini sociali, economici, turistici e di sostenibilità ambientale – raggiunti in Trentino dal sistema della “cooperazione”, luminoso esempio di filiera orizzontale che produce e distribuisce ricchezza senza andare a impattare sull’equità sociale e sull’ambiente ma, anzi, al contrario, salvaguardando ed esaltando le risorse locali. Lì tutto parte infatti dalla valorizzazione della terra e delle genti trentine, delle piccole comunità e dei loro bisogni. Ed è proprio per questo che noi vogliamo insistere, fin quando avremo fiato e inchiostro, su quanto sia infinitamente importante il valore della terra e quanto sia rischioso, per il futuro di tutto il pianeta, continuare a bistrattarla. L’uomo, dopotutto, fin dalla sua creazione ha vissuto grazie alla terra e al rapporto con essa. L’agricoltura è nata quando l’homo sapiens ha capito che invece di rischiare ogni giorno la pelle per andare a caccia, poteva tranquillamente starsene al riparo della tana e coltivare tutt’intorno le piante e gli ortaggi necessari al suo fabbisogno alimentare. E così è stato per migliaia di anni. Finché – e scusate l’estrema semplificazione storica – non è arrivata la rivoluzione industriale e, in tempi più recenti, la sua (degenere) discendente: ossia la globalizzazione. Quella che doveva portare ulteriore benessere, annullamento delle distanze, comunicazioni planetarie in tempo reale e nuove economie. E lo ha fatto – non possiamo negarlo – ma in dote ci ha portato anche disastri sociali, desertificazione del suolo, migrazioni di massa, patologie alimentari e pandemie, perdita di diritti e di valori fondanti. Oggi l’immagine più eloquente della globalizzazione è quella che ci mostra operai cinesi costretti a lavorare sottopagati, stretti come sardine dentro stanze comuni che sembrano prigioni e lavoratori italiani che, nel ricco e opulento Occidente, non riescono più a
trovare un impiego. Oppure quella che fotografa le tonnellate di cibo che ogni anno, nei cosiddetti Paesi sviluppati, finiscono in pattumiera mentre nel Sahel africano 10 milioni di persone muoiono di fame e di sete. Il mondo non può più permettersi questi disequilibri, questa desertificazione dei diritti, delle terre e delle dignità: la fine sarà inevitabile e già si avvertono i primi sintomi, con la ribellione della natura e il crac dei sistemi socio-economici basati sull’individualismo più estremo. Ma qualcosa sta cambiando anche dal basso: in questo scenario internazionale incerto, abbiamo voluto raccontarvi, questo mese, l’esperienza di chi, precorrendo i tempi, ha deciso di fare un passo indietro e rimettere le mani nella terra. Riprendendo – nelle città, nelle metropoli, a partire dalla nostra (ormai ex) Milano “da bere” – a coltivare gli orti collettivi per riappropriarsi dei sapori più veri ma soprattutto della gioia di fare, insieme, cose concrete. Come facevano centinaia di anni fa i contadini nei campi i quali, malgrado la fatica e gli stenti, stavano sempre a fischiettare. Chiamateli “ortisti urbani” o “contadini metropolitani”, fa poca differenza: forse sono proprio loro – con i loro orti sociali coltivati sui tetti di New York come nell’ex ospedale psichiatrico milanese Paolo Pini, i loro peperoni che colorano i balconi di grigi palazzoni di periferia e la loro idea di una filosofia di condivisione, i gruppi di acquisto solidale e il loro sogno di una nuova agricoltura semplice e per tutti – la speranza che stiamo cercando. In fondo, la soluzione, è proprio sotto i nostri piedi. Buon viaggio del gusto a tutti
settembre 2012
3
sommario sommario settembre 2012 38
62
10 Dall’Italia e dal mondo
14 Fatti e contraffatti Cibi etnici: cosa, come e dove 18 Scienza e vita Ostriche, perle rare nel mare italiano 22 La salute nel piatto Gli alimenti-alleati: i mirtilli 24 Almanacco di Barbanera 26 Appuntamenti
Cover story Terrazze e parchi invasi da orti. Contadini urbani che coltivano, tutti assieme, in mezzo ai grattacieli. Ristoranti con l’orto in cucina. È la rivoluzione verde che sta ridisegnando anche Milano e l’Italia. Perchè, come dice Petrini, il futuro del mondo è nel “ritorno alla terra”
66
panorama
cibo&territorio
38 L’Italia che merita: Malga Canali Una fattoria trentina dove gli animali si
62 Le erbe selvatiche
42 Cover story: Carlo Petrini
Intervista esclusiva al padre di Slow Food che spiega come battere la crisi: con le produzioni locali e l’agricoltura sostenibile
46 Cover story: Orti in città Solo nel nostro Paese sono 18 milioni gli “ortisti urbani”. Vi raccontiamo Milano, avanguardia italiana di questa tendenza
50 Cover story: Cucina green Un viaggio su e giù per la Penisola alla scoperta dei ristoratori che hanno portato il campo in tavola. E dei corsi di ortoterapia
In copertina: Carlo Petrini
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settembre 2012
A lungo dimenticate, oggi stanno godendo di rinnovata fortuna. Cicoria, camomilla, luppolo e convolvolo: vi spieghiamo cosa farne
allevano a suon di musica. E dove le star fanno la fila per mangiare. Quel che c’è
66 Grana lodigiano e Raspadura Prima ancora del Parmigiano e del Padano, c’era lui, il formaggio vestito di nero. Che oggi è tornato a nuova vita grazie a Bella Lodi
70 Il rito dell’aperitivo a Genova
Anche a settembre la città ligure offre ai buongustai tante occasioni per assaggiare pesce fresco e un buon vino bianco gelato
74 La scoperta, il fagiolo gentile di Labro (Ri) 76 Il buono a tavola, le ricette naturali 78 La storia in cucina, il Verdi gourmet
56 L’orto dei semplici, i lamponi
80 Chef italiani nel mondo
58 La pagina verde di Legambiente
82 Il ristorante, il Caffè Letterario di Licata
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sommario sommario settembre 2012
104
88 il Monferrato
114
122 Le selezioni
inviaggio
piaceri
88 I viaggi del gusto di...
104 Le mani raccontano
Donato Lanati, enologo di fama mondiale, ci guida alla scoperta del Monferrato, terra millenaria dove “le cose belle sono nascoste”
94 L’Italia in mostra: Chieti
Tappa nella cittadina abruzzese che ha affascinato i Romani, D’Annunzio e persino... gli alieni, per la rassegna d’arte su Aligi Sassu
98 Città in 24 ore, Cagliari 100 Città in 24 ore, Amman
T-shirt che odorano di spezie ed etichette “bio” da piantare. Sono le originalissime produzioni del marchio Altriluoghi
106 I piaceri di Bacco
Il Franciacorta, un vino che non ha bisogno di altre definizioni. Il primo ad aver ottenuto la Docg nel 1955. Un nome, una garanzia
108 Bellezza e benessere 112 Camera con vista 113 Week-end mare 114 Soste d’arte 116 Spettacoli 118 Libri 120 Trendy
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contributors settembre 2012 Direttore Responsabile Domenico Marasco
ROBERTO RABACHINO
DONATO LANATI Lo chiamano l'enologoscienziato. È uno dei winemaker più prestigiosi al mondo. Nelle classifiche del prestigioso Wine Spectator, i "suoi" vini sono sempre tra le prime posizioni. Cè bisogno di aggiungere altro? Sì, che è innamorato pazzo del Monferrato, come ci racconta lui stesso a pag. 88
Piemontese, 54 anni, giornalista, scrittore, docente universitario e sommelier. Ha fatto del vino una ragione di vita e di lavoro: al punto che lo scorso anno a New York è stato eletto presidente dei degustatori di vino di 29 nazioni nel mondo. Presiede anche l’associazione italiana dei giornalisti dell’agroalimentare e, per non farsi mancare nulla, su VdG ogni mese racconta la storia di un vitigno e cura la rubrica “il Personaggio”. pagg. 42/106
GIUSEPPE PULINA
FONDAZIONE VERONESI È stata voluta da Umberto Veronesi nel 2003 essenzialmente per sostenere la ricerca scientifica. Ma il pallino del professore è stato sempre quello della divulgazione. Ecco allora che la Fondazione ha scelto VdG per spiegare al grande pubblico i concetti di salute e corretta alimentazione. pag. 22
Sassarese dalla nascita 55 anni fa, insegna zootecnia speciale nell’Università della sua città e, con i Sardi, condivide, oltre all’aria ed alla terra, soprattutto il mare. Che ama solcare in canoa, quando non é troppo occupato a studiare il perchè tutti ritengano le pecore poco intelligenti. pag. 18
Coordinatore editoriale Francesco Condoluci redazione1@vdgmagazine.it Editing Gilda Ciaruffoli Grafica e impaginazione Daniel Addai Carlo Fontana
RICCARDO LAGORIO È nato a Brescia 44 anni fa, vive con la valigia sempre pronta, il blocnotes e la penna sempre in mano, ferri del mestiere di cronista vecchio stampo. Allievo prediletto di Luigi Veronelli, lo hanno definito “food scout”. Di scoperte del patrimonio gastronomico ne ha fatte davvero molte, migliaia. I lettori di VdG lo sanno bene, visto che ogni mese ne propone sempre di nuove. pagg. 62/74
hanno collaborato a questo numero: Lucrezia Argentiero Germana Cabrelle Piero Caltrin Luca Campana Olga Carlini Gilda Ciaruffoli Claudia Dagrada Silvana Delfuoco Maria Pia Fanciulli Marishel Fecchi Francesca Frediani Isa Grassano Rosalia Imperato Legambiente Chiara Mojana Anna Orlando Antonio Romeo Ida Santilli
Foto Editor Giuseppe Magaretti
Foto: Fotolia Stampa: PuntoWeb Srl 00040 Ariccia (Roma) Distribuzione Italia Messaggerie Periodici ME.PE. S.p.A. Via G. Carcano 32 20141 Milano Editore: Opera Italia Srl Via Pola 15 20124 Milano
Abbonamenti
Opera Italia Srl Via Pola 15 - 20124 Milano Tel. 02 89053250 fax 02 89053284 Il Servizio abbonati è in funzione dal lunedì al venerdì dalle 10,00 alle 12,30. abbonamenti@vdgmagazine.it L’abbonamento può avere inizio in qualsiasi periodo dell’anno. L’eventuale cambio di indirizzo è gratuito. Informare il Servizio abbonati almeno 20 giorni prima del trasferimento, allegando l’etichetta con la quale arriva la rivista. GARANZIA DI RISERVATEZZA PER GLI ABBONATI L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli
abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi dell’art. 7 del D. leg. 196/2003 scrivendo a: Opera Italia Srl Sede legale: via Pola 15 20124 Milano Redazione: via Pola 15 20124 Milano tel. 0289053250 fax 0289053290 Registrazione Tribunale di Milano n. 92 del 10/02/2011 L’editore ha ricercato con ogni mezzo i titolari dei diritti fotografici senza riuscire a reperirli. È ovviamente a piena disposizione per assolvere quanto dovuto nei loro confronti
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collaboratori&ambasciatori Abruzzo Michele Caracino Gaetano Castaldi
Giovanni Merone Stefania Monaco Francesca Oliverio
Gian Nicolino Narducci Roberto Rabachino Mauro Rosta
Basilicata Isa Grassano Angela Pino
Liguria Alessandro Baffigi Barbara Bacigalupo Anna Orlando
Puglia Lucrezia Argentiero Bruno Micai Jolanda De Nola Nunzio Pacella Mariella Piscopo Sergio Siciliano
Calabria Salvatore Chiarella Lucia Lipari Antonio Romeo Raffaele Romeo Campania Ferdinando Cappuccio Luisa Del Sorbo Rosalia Imperato Emilia-Romagna Luca Campana Marco Landucci Chiara Mojana Gianluigi Pagano Giancarlo Roversi Luca Sardi Nerino Trentini Fruttuoso Zucchini
Lombardia Cesare Assolari Marco Bacchetta Roberto Bonsi Massimiliano Bruni Lorenzo Foti Francesca Frediani Valentina Gavarini Riccardo Lagorio Eugenio Meloni Umberto Mortelliti Aldo Pagnussat Giampaolo Perna Saro Trovato Marche Michela Pallonari Ferruccio Squarcia Giorgio Tassi
Friuli Venezia-Giulia Valentina Coluccia
Molise Giovanni Scapagnini Ida Santilli
Lazio Francesco Maria Bucarelli Domenico Bruno Alessandro Mei
Piemonte Monica Coviello Silvana Delfuoco Donato Lanati
Sardegna Roberto Dall’Acqua Annalisa Bernardini Lino Erriu Giuseppe Pulina Sicilia Cesare Aldesino Rosario Ribbene Marco Scapagnini Toscana Elena Conti Marco Ghelfi Rosanna Ercole Mellone Marco Scataglini Trentino Alto-Adige Francesca Negri Umbria M. Pia Fanciulli Veneto Germana Cabrelle
si ringraziano per la concessione di immagini e documenti: 8
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il Comune di Chieti e la cascina "Enosis Meraviglia" Centro Servizi e Ricerca in Enologia e Viticoltura.
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dall’Italia e dal mondo
di Francesco Condoluci
redazione1@vdgmagazine.it
Il commento
Maiali, rifiuti, prosciutti e masochismo all’italiana Sono in tutto 2.300, per un valore di circa 300 mila euro, i prosciutti Dop Parma, San Daniele e Modena sequestrati, un mese fa, dai Nas in una quarantina di stabilimenti di stagionatura emiliani e friulani, perché provenienti da maiali nutriti con “rifiuti speciali”. Il proprietario dell’allevamento è stato denunciato per frode in commercio, vendita di prodotti non genuini e traffico illecito di rifiuti in concorso con il titolare di due aziende alimentari che gli vendeva gli scarti di produzione. Al sequestro si è arrivati dopo un’indagine partita in primavera. L’operazione “Trash food” è scattata infatti quando i carabinieri si sono accorti, durante 10
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un’ispezione igienico-sanitaria, di grandi quantità di rifiuti animali e vegetali stoccati in un allevamento di suini. Gli scarti venivano usati come mangime per gli animali. Per questo sono subito stati sequestrati 750 maiali e 30 mila tonnellate di scarti di lavorazione. E poi, stabilito che l’allevamento vendeva le cosce per diversi prosciutti Dop – che hanno specifiche indicazioni su come vanno cibati gli animali, non certo con scarti di lavorazione – il gip di Mantova, su richiesta della Procura e dei Nas, ha emesso il decreto di sequestro preventivo di tutte le cosce ottenute dai maiali dell’allevamento e macellati negli ultimi 15 mesi. (fonte: ANSA)
La “sindrome di Tafazzi” – quell’immarcescibile tendenza, tutta italiana, a farci del male da soli (come se non bastasse quello che già ci fanno gli altri) – colpisce ancora. Ve lo ricordate il demenziale personaggio di una trasmissione satirica della tivù di qualche anno fa che, tutto vestito di nero e con indosso un grottesco sospensorio, saltellava, allegro come un grillo, dando dei gran colpi di bastone contro il (proprio) bassoventre? Ecco, appena letta la fioritura di notizie, proclami e commenti attorno al sequestro dei prosciutti Dop tra l’Emilia Romagna e il Friuli da parte dei Nas a fine luglio scorso, non ho potuto fare a meno di pensare a lui, al buon Tafazzi. E, al “tafazzismo”, il neologismo che, per estensione, è stato coniato ai tempi per definire la compiaciuta attitudine masochista di chi gode a darsi (da solo) delle gran bastonate sugli zebedei. Fuor di metafora (e di parallelo cabarettistico) il punto è questo: i Nas aprono un’indagine sul (presunto, almeno fin quando l’inchiesta non sarà chiusa) utilizzo di rifiuti industriali come mangime per maiali in alcuni allevamenti zootecnici dell’Emilia e del Friuli che forniscono carni per la lavorazione dei prosciutti a Denominazione di Origine Protetta a marchio Parma, San Daniele e Modena. La Procura competente denuncia gli allevatori e ordina il sequestro dei suini e degli scarti di lavorazione. A tutt’oggi tuttavia, al momento di andare in stampa – cioè metà agosto – non sono mai stati resi noti i nomi dei prosciuttifici clienti degli allevamenti di maiali incriminati né è stata ancora fatta piena chiarezza su come e da quando questa turpe frode è stata messa in atto. Eppure la notizia di “prosciutti Dop italiani derivanti da carni di maiali nutriti con rifiuti” ha fatto il giro del mondo e, ovviamente, i soliti moralisti di professione e benpensanti (interessati) hanno fatto a gara per azionare la macchina del fango e stigmatizzare l’immonda scoperta, finendo però inevitabilmente per mettere tutti assieme, nello stesso calderone, allevatori infedeli e allevatori onesti, prosciutti buoni e prosciutti contaminati, consorzi correi e consorzi probi. La clava di tafazziana memoria usata dagli italiani (in questo caso) contro lo stesso made in Italy, appunto. Alcune riflessioni d’obbligo: non sarebbe stato opportuno che gli inquirenti aspettassero di chiudere l’indagine, scindere le responsabilità, individuare gli effetti e dividere i buoni dai cattivi, prima di dare la notizia in pasto alla stampa? E tutti coloro che hanno versato fiumi di inchiostro contro l’ennesima contraffazione alimentare di casa nostra, non avrebbero potuto aspettare un po’ prima di fare di tutta l’erba un fascio? Macché: siamo in Italia, mica in Francia. E qui la mamma dei Tafazzi è sempre incinta.
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news Turismo: pochi italiani in vacanza e ai souvenir preferiscono il cibo
UE: Dop allo Squacquerone romagnolo e Igp alle uve di Puglia Il carniere italiano si arricchisce di altri due prodotti certificati a livello europeo: la Commissione Europea infatti ha dato il placet per la Denominazione di Origine Protetta (Dop) al formaggio “Squacquerone di Romagna” e per l’Indicazione Geografica Protetta (Igp) alle “uve di Puglia”. Con il riconoscimento del formaggio a pasta molle di latte vaccino intero prodotto tra le province di Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini, Bologna e Ferrara, e delle uve di Puglia coltivate solo in territori al di sotto dei 330 m slm, tra Bari, Brindisi, Foggia, Taranto, Barletta-Andria-Trani e Lecce, il patrimonio agroalimentare del Bel Paese raggiunge quota 243 prodotti protetti (152 Dop e 91 Igp), rafforzando così la sua leadership in Europa. E il numero potrebbe salire ancora: lo scorso agosto è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’UE la domanda di registrazione, come Igp, del Panforte di Siena, celebre dolce toscano censito da Pellegrino Artusi, fin dal 1891, fra le tipicità nazionali.
Peggio di così non poteva andare! L’estate 2012, per il Bel Paese, in termini di numeri legati ai viaggi e alle vacanze, è stata la peggiore degli ultimi 15 anni. Niente di sorprendente in realtà: tra crisi economica, redditi depauperati, sfiducia nel futuro e voglia di risparmiare, ce n’era abbastanza perché per molti la vacanza rimanesse un tabù. E così è stato: le ferie sono state trascorse in gran parte a casa o facendo gite-lampo, tanto che appena il 40% dei nostri connazionali si è concesso un viaggio “vero” tra luglio e agosto. A risentirne, ovviamente, anche l’indotto turistico: i pochi fortunati che sono stati in villeggiatura, a quello di classici e costosi souvenir artigianali e commerciali hanno preferito l’acquisto di cibi genuini a prezzi vantaggiosi, magari direttamente presso aziende e agriturismi; specialità tipiche come vini, formaggi, salumi, conserve od olio d’oliva da portare a casa come gustoso (e più conveniente) ricordo della vacanza appena conclusa.
Antitrust: etichette non veritiere, condannate Zuegg e Hero “Senza zucchero” e “senza zuccheri aggiunti”. La Zuegg sarà costretta a modificare le etichette dei succhi messi in commercio e contenenti queste diciture. L’Autorità europea garante per la concorrenza e il mercato, ha contestato infatti alla multinazionale veronese di aver “falsato” le informazioni sulle etichette e nelle campagne pubblicitarie. In base al regolamento UE, è possibile definire “senza zucchero” solo prodotti che non contengano più di 0,5 gr di zuccheri ogni 100, zuccheri che per i preparati Zuegg in questione sono risultati pari a 33-38 gr. L’Antitrust ha multato di 100 mila euro l’azienda imponendole la modifica dell’etichetta. Analogo il caso delle confetture Hero: anche al gruppo svizzero l’Antitrust ha contestato le diciture “senza zucchero aggiunto” e “Diet”, dimostrando che le informazioni spacciate ai consumatori non rispondevano al vero. La sanzione stabilita per la Hero è stata di 200 mila euro con obbligo di adeguamento dell’etichetta.
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settembre 2012
Francia: anche Hollande contro la discriminazione del foie gras La California ne ha vietato la somministrazione nei ristoranti e la vendita nei supermercati. In Germania l’hanno bandito dalla fiera agroalimentare più prestigiosa. Vita dura per il foie gras, il prelibato fegato d’oca che identifica un po’ la cucina francese nel mondo. Gli animalisti non hanno mai perdonato ai transalpini la pratica del gavage, l’alimentazione forzata delle anatre e delle oche necessaria alla crescita del fegato e alla produzione dell’ipercalorico foie gras. E negli ultimi anni anche le istituzioni, negli USA come nell’Unione Europea, si sono adeguati alle istanze animaliste, mettendo fuori legge il prodotto. Cosa che, ovviamente, ha scatenato in Francia un vero putiferio contro tali “discriminazioni” gastronomiche e commerciali. Discriminazioni contro le quali è sceso in campo addirittura il neopresidente della Repubblica, Francois Hollande, il quale, di recente, è comparso vestito da agricoltore in una trasmissione televisiva, difendendo «il foie gras, grande produzione francese che onora gli allevatori che le si consacrano» e puntando l’indice contro «quei Paesi che ne stanno mettendo in discussione l’esportazione».
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fatti e contraffatti
di Marishel Fecchi
Cibo e identità si collegano strettamente nell’esperienza migratoria. Spesso le prime immagini che i “nativi” si formano dei gruppi migratori – siano essi italiani, cinesi o magrebini – hanno a che vedere con cibi “esotici” in vendita nei mercati o in negozi in mano alle diverse etnie, ai loro odori e colori e al modo di consumarli. Per i nativi il metodo più facile per conoscerli è quello di andare in un ristorante tipico: ne compaiono ovunque ci sia un flusso migratorio. La cucina però non è per le minoranze solo un mezzo per alimentarsi, ma anche uno strumento di identificazione come lo sono la lingua e la musica. Il cibo acquista la funzione di alleviatore di nostalgia, aiuta a “fare casa”. Gli italiani, da parte loro, sono sempre più amanti degli alimenti provenienti da altre culture: falafel, kebab, nachos, salse texmex, noodles sono ormai comuni, con la Grande Distribuzione che segna un aumento del 60% nelle vendite. Ad apprezzarli sono sopratutto i giovani tra i 16 e i 45 anni, quelli più colti, meno vincolati a preconcetti. D’altra parte, oggi in Italia un residente su 14 è straniero ed è straniera un’impresa di ristorazione su 20. I gruppi di emigrati più presenti da noi sono quelli provenienti dall’Est, ma stranamente sono davvero pochi i loro ristoranti. Questo è dovuto forse al fatto che la loro cucina, come tutte quelle dei Paesi freddi che hanno a disposizione pochi sapori per brevi periodi, è limitata, e i migranti sono molto più aperti ad assorbire le proposte del Paese ospitante. Tra le cucine etniche più presenti in Italia, invece, cinese, araba e giapponese meritano sicuramente un’attenzione particolare.
“Avete avuto il vostro riso?”
Cibi etnici: cosa, come, dove Le cucine esotiche, spesso economiche e alla portata di tutti – fatto salvo per quella giapponese, che però è talmente alla moda da meritarsi l’invenzione di un verbo tutto suo, “sushare”, per intendere “cenare a base di pesce crudo e riso” – spopolano in Italia. Ma quanto sappiamo davvero di quello che mangiamo in un ristorante cinese o arabo? Probabilmente ben poco. Proviamo a capirci qualcosa allora. Anche su cosa scegliere
14
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Iniziamo subito col dire che quella che mangiamo in Italia non è cucina cinese: neanche l’involtino primavera è simile a quello che si gusta in Cina. La cucina cinese è legata alla filosofia e alla medicina. Gli alimenti vengono distinti in jin, femminili, umidi e teneri dunque rinfrescanti come legumi e frutta, e jan, maschili, fritti, speziati, a base di carne, con effetto riscaldante. Un pasto equilibrato dipende dall’equilibrio di questi due elementi. La tavola è rotonda, al centro c’è un piano girevole su cui sono disposti i piatti. Non sono presenti coltelli – tutto viene tagliato in cucina – ma solo bastoncini e un cucchiaio per la zuppa. La successione dei piatti non avviene con il nostro criterio ma si cerca l’armonia tra i sapori. Il tè è la bevanda tipica, e anche l’acqua non si beve mai fredda. In un vero ristorante cinese mangiare tutto significa che non si è mangiato a sufficienza (niente scarpetta dunque, ricordatevelo!). Durante il pranzo vengono fatti innumerevoli brindisi con alcolici a base di riso o frutta fermentati. Oltre al riso, alimento base è il tofu. Ricavato dal latte di soia, contiene proteine di alto valore, acidi grassi essenziali oltre a vitamine e minerali, è privo di colesterolo e ha poche calorie; non ha un sapore proprio ma ha la proprietà di assimilarli. La Cina pe-
rò è molto grande, con differenti zone climatiche e diverse produzioni, e per questo si parla in realtà di cucine regionali. La regione più a nord è quella pechinese. Qui il clima è rigido per gran parte dell’anno e la pianura è circondata da montagne fino alla Mongolia. Il frumento e non il riso è il cereale di base. La farina viene usata per pasta, focacce cotte al vapore, gnocchetti e frittelle. Il montone e l’agnello (si sente l’influsso mongolo) sono le carni più usate, quasi sconosciute nel resto della Cina. La verdura più diffusa è il cavolo cinese, diventato comune anche da noi. Pechino è la capitale di questa regione. Tipica è l’anatra alla pechinese, per preparare la quale le anatre subiscono un’alimentazione forzata che le renda particolarmente grasse. Lo Schantung è l’area più fertile della provincia e anche quella più produttiva. Vi scorre il Fiume Giallo, famoso per le carpe a squame dorate, piatto molto prelibato. La più vasta fra le province cinesi è la regione dello Szechuan, terra fertile con clima caldo-umido. Qui cresce l’omonimo, celebre, pepe. Presenta una cucina calda e piccante, molto speziata, caratterizzata dall’uso di arachidi, sesamo, anacardi, noci e resina di pino (forse per mitigare il piccante). Ci sono molti studi che si sono occupati dell’alimentazione durante la “grande emigrazione” Nell’est invece si trova l’area dello Yunnan, famosa italiana post unitaria. Gli studiosi sono concordi nell’affermare che per diverse generazioni per il prosciutto affumicato che i cinesi considerano di emigrati italiani in America (sopratutto quelli di origine meridionale), la cucina abbia il migliore al mondo. In questa zona crescono almecostituito un elemento centrale di identità di gruppo, un fenomeno che ha portato al no 50 diversi tipi di funghi eduli. successo di alcuni piatti come la pasta e la pizza. Ma non solo. Nell’accezione comune Nell’area di Canton il clima è semitropicale con la statunitense, infatti, “Maccaroni” era diventato un epiteto per intendere gli possibilità di raccolto tutto l’anno, e quella canitaliani in genere, mentre con “Chianti” si identificavano gli ubriaconi. tonese è la più famosa fra le cucine cinesi. In questa regione una forma di saluto è “avete avuto il vostro riso?”, che equiLa cucina non vale al nostro “come va?”. Nell’area di Shanghai si coltivano orzo, frucurcuma sarebbero poi aromi tipici è per le minoranze mento, riso, mais, soia e un’enordi questa cucina, ma, a causa solo un mezzo per me quantità di verdure. Per frigdell’intensità del loro profumo, alimentarsi, ma anche uno gere si usa l’olio di arachidi che vengono spesso eliminati o attustrumento di identificazione. conferisce al piatto un sapore titi nei ristoranti presenti nel noIl cibo acquista la funzione molto gradevole. Nei laghi c’è stro Paese. Tra gli alimenti più nodi alleviatore di abbondanza di pesci, rane e anti comunemente apprezzati in guille. Per cuocere gli alimenti al Italia troviamo, invece, il pane aranostalgia, aiuta a vapore si utilizzano le foglie di loto. bo. Parte fondamentale di questa cu“fare casa” È ormai chiaro che parlare di “cucina cina, è presente a ogni pasto anche cinese” è molto riduttivo, così come lo perché serve da posata per dividersi il è la cucina che viene offerta dai ristoranti piatto comune. Il pane viene trattato con cinesi in Italia. enorme rispetto: non si getta e non si calpesta; Ottima e basata su una gran varietà di alimenti fremangiarlo in compagnia è simbolo di amicizia e di soschi e originali, la cucina del Paese del dragone è, lidi legami. Nel pane arabo viene servito il kebab. Traevidentemente, un’altra cosa! dotto letteralmente vuol dire “carne arrostita”. È diventato popolare, prima che da noi, in Germania con la forte immigrazione turca (in molti kebab i cartelloIl profumo di spezie perduto ni sono scritti in tedesco: i primi infatti si approvvigioGli elementi comuni della variegata cucina araba sonavano della materia prima proprio in Germania). Il no quelli dettati dal Corano: sono vietati alcol e tutti tipo di kebab presente da noi è il doener kebab, cioè gli alimenti non halal, quindi il maiale e i suoi derivati. kebab “che gira”, chiamato così per via della sua moGli animali devono essere uccisi solo per sgozzamendalità di cottura: uno spiedo verticale che gira su se to in modo da essere dissanguati. È per questo che stesso. La carne, originariamente di pecora o manzo, nel nostro Paese le macellerie islamiche sono presenoggi anche di volatili, viene tagliata a fettine, marinati un po’ ovunque. Cardamomo, coriandolo, cumino,
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fatti e contraffatti
Dal Giappone, piatti sani e conviviali
Il problema dell’autenticità È raro che in un ristorante etnico venga offerto un piatto “come lo avrebbe fatto la mamma”. Un esempio? Quanti tortellini alla panna vengono serviti nei ristoranti italiani all’estero? Una vera ignominia per ogni emiliano (per tortellini, cappelletti o agnolini è infatti di rigore il brodo!). L’adattamento al gusto locale è la regola. Quando a Monaco i pizzaioli fanno volare la pizza come a Napoli, e i clienti vogliono credere che sia la stessa cosa, si aprono infatti le porte a una forma di tolleranza che sicuramente snaturalizza il prodotto, ma lo rende popolare. E un multiculturalismo di consumo è anche un multiculturalismo di mercato, nell’ambito del quale i consumatori sono lasciati liberi di scegliere senza costrizioni ideologiche ciò che preferiscono mangiare.
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Il tipo di kebab presente da noi è il doener kebab, cioè kebab “che gira”, chiamato così per via della modalità di cottura: uno spiedo verticale che gira su se stesso
ta con erbe aromatiche, disposta sullo spiedo fino a formare un grosso cono sulla cui estremità superiore vengono infilzate parti di grasso in modo che sciogliendosi evitino che la carne bruci. Attuale la diatriba relativa all’opportunità o meno di accompagnare il kebab alle patatine, per il rispetto della tradizione. E a proposito di tradizione, una ragazza araba non è pronta al matrimonio se non sa preparare il cuscus. Semola di grano duro lavorata con acqua e passata attraverso setacci con maglie di vario diametro fino a ottenere dei granelli finissimi, il cuscus è cotto al vapore in una pentola particolare poggiata sul recipiente in cui vengono cotti gli altri ingredienti: verdure, carne o pesce. Viene servito in un grande piatto comune e accompagnato da una bevanda detta leben che ha proprietà rinfrescanti e digestive. Da noi il cuscus si trova precotto nei supermercati, ma con quello vero c’è la stessa differenza che passa tra la polenta precotta e quella che deve cuocere 40 minuti! Bevanda comune a tutti i popoli arabi è il tè, che ha anche il grande vantaggio di essere preparato con acqua bollita e quindi sterilizzata. Si dice che sia stato l’arcangelo Gabriele ad aver offerto il primo tè al Profeta Maometto che si sentiva stanco. A seconda delle zone viene aromatizzato con menta, cannella, coriandolo.
Ho lasciato quella giapponese per ultima perché tale cucina ha avuto da noi una storia diversa. È arrivata infatti non a seguito di un flusso migratorio ma alla diffusione in Europa della cultura nipponica in diversi ambiti, dall’architettura all’arredamento, dalle composizioni floreali agli origami ai manga. Alla base c’è il riso, che è così sacro che per legge ne è vietata l’esportazione e, una volta, ne era vietata anche l’importazione. Cotto al vapore, viene lavorato con l’aceto di riso affinché i chicchi risultino compatti ma non collosi (sarebbe altrimenti difficile mangiarlo con le bacchette). Molti piatti giapponesi sono conviviali, nel senso che vengono cotti direttamente sul tavolo. È una cucina sana, ricca di pesci e verdure; fino alla Seconda Guerra l’uso della carne era proibito sia per motivi religiosi – il buddismo vieta l’uccisione di animali – che per la mancanza di terreni che permettono grandi allevamenti. Fa eccezione il bue di Kobe che viene alimentato con birra e massaggiato per renderne la muscolatura perfetta, come fosse un atleta. A colazione i giapponesi mangiano verdure sott’aceto o in salamoia, pesce secco e naturalmente riso. Base per diversi piatti è il miso, una pasta di soia fermentata. Tra i piatti più celebri invece ci sono gli onigiri, involtini di riso avvolti in alghe, che possono essere ripieni di pesce o umeboshi (prugne essiccate nel sale). Il sashimi è il tipico pesce crudo tagliato con metodo particolare e codificato – una specie di Dop del taglio – servito con salsa di soia. Uno dei più pregiati è quello di ventresca (i giapponesi apprezzano sia per il pesce che per le carni le parti marmorizzate). Il sushi consiste invece in polpettine di riso cotto e trattato con aceto di riso, zucchero e sale avvolti in alga con guarnizioni di pesce, wasabi e zenzero. Per quanto riguarda “la pasta”: i ramen sono spaghetti all’uovo di origine cinese; gli udon sono spaghetti di grano tenero; mentre le soba sono tagliatelle di grano saraceno che si mangiano sia calde (a dire il vero tiepide, i giapponesi non mangiano mai bollente… e le donne mangiano quando gli uomini hanno finito) o fredde condite con verdure. Ne esiste anche una versione in cui l’acqua dell’impasto viene sostituita da tè verde. Molto nota è anche la tempura, frittura di pesce o verdure. È un prodotto nato dall’incontro tra il Giappone e i marinai portoghesi nel XVI secolo: all’inizio di ogni stagione infatti i cristiani rinunciavano per quattro giorni alla carne; questi giorni erano detti quattro tempora, da lì tempura. Si tratta di una frittura leggera in abbondante olio di soia fatta in una padella alta nella quale si immergono pochi pezzi per volta in modo da tenere la temperatura alta, tra i 170-180°C, e costante. Infine i dolci. Che “dolci” in realtà lo sono poco. Quello tipico è fatto da una sfoglia sottile non zuccherata ripiena di fagioli rossi dolciastri azuki.
scienza e vita
Ostriche: perle rare nel mare italiano È Sergius Orata il “padre” dell’ostricoltura europea. A lui si devono i primi parchi ostricoli realizzati nel 160 a.C. nella baia di Napoli. Per secoli questa nobile attività è stata infatti portata avanti con successo nei nostri mari, mentre oggi le aziende italiane impegnate nell’allevamento dei deliziosi molluschi sono pochissime. La qualità però è ottima. Con punte di eccellenza in Sardegna Le ostriche rappresentano, non soltanto per i buongustai, qualcosa di speciale che da sempre affascina, intriga e cattura. E infatti non è solo una questione di gusto. L’evoluzione dell’uomo, in realtà, ha subìto una prodigiosa impennata grazie anche all’arricchimento di un modo di nutrirsi originariamente poco diversificato, quando dalle zone più interne dei continenti egli raggiunse le coste, trovando nei prodotti ittici nuove fonti di cibo di cui approvvigionarsi. E le varie specie di ostriche sono presenti da sempre nell’alimentazione umana di tutti i continenti e sono oggi i bivalvi più allevati al mondo, in ogni angolo del pianeta dove arriva il mare. Su questo prodotto dell’eccellenza marina intervistiamo il professor Antonio Pais, docente universitario di Acquacoltura, e il dottor Alessandro Gorla, della Compagnia Ostricola Mediterranea s.c.a.r.l. di San Teodoro in Sardegna. Antonio, in Italia siamo abituati a pensare che le cozze (o mitili) siano i molluschi bivalvi più diffusi e che le ostriche siano un piatto esotico prodotto principalmente in Francia… Pais. La situazione su scala globale è ben diversa e infatti la gran parte della produzione ostricola viene realizzata nell’estremo oriente asiatico, in quella zona che comprende principalmente Cina, Corea e Giappone. Il restante 10% della produzione è ripartita negli altri continenti, ma ora la loro produzione, dopo tanto tempo, si sta riaffacciando anche in Italia.
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di Giuseppe Pulina Professore di Zootecnia speciale all’Università di Sassari
Vuoi dire che le ostriche erano allevate anche in Italia? Pais. Certamente. L’inizio della coltivazione delle ostriche è databile a circa 4000 anni fa, epoca in cui giapponesi (e poi proto-greci e proto-romani) già le allevavano. In Cina, nel 460 a.C. tale pratica si sviluppò inizialmente utilizzando blocchi di pietra a cui le conchiglie di ostrica si fissavano spontaneamente. In Europa, Aristotele, scriveva che “i pescatori dell’isola di Chio prendevano le ostriche a Pirra, nell’isola di Lesbo, e le portavano in altre zone del mare, dove le acque formavano correnti e là ingrassavano molto senza però riprodursi, sebbene vi permanessero a lungo”. Successivamente Seneca, Orazio, Plinio e Petronio tessono grandi elogi al mollusco e di Nerone si dice che fosse in grado di distinguere la provenienza degli esemplari che consumava. Ma è a Sergius Orata che è riconosciuto il ruolo di “padre” dell’ostricoltura europea; Plinio il Vecchio, infatti, riporta che nel 160 a.C. egli organizzò i primi parchi ostricoli nella baia di Napoli, sviluppando l’ostricoltura sotto due aspetti: da un lato creando vere e proprie aree di ingrasso, dall’altro inventando sistemi di captazione e di semina in ambienti salmastri costieri e in insenature, zone ottime tanto per l’accrescimento di questi bivalvi quanto per l’installazione di collettori di seme. Dopo i fasti dell’era antica, tuttavia, dal 1700 in poi le pratiche di ostricoltura in Italia subirono una progressiva riduzione a livello nazionale, ma tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 si concentrarono nell’Adriatico settentrionale (specialmente lungo le coste istriane e di Trieste), quando alcuni pescatori, utilizzando l’esperienza francese, razionalizzarono la disponibilità di questi molluschi attraverso l’installazione di pali di quercia inseriti nel substrato e creando partizioni per sospendere le reti e raccogliere il prodotto. E oggi come si allevano le ostriche? Gorla. A differenza di quanto avviene per la maggior parte delle specie ittiche, che vengono allevate utilizzando tecniche abbastanza simili tra loro, per le ostriche ne esistono di molteplici e originali, quasi quanti sono i siti utilizzati per produrle: spiagge oceaniche esposte ad ampie variazioni di marea, laghi costieri dalle acque riparate, estuari o delta fluviali, fino a bacini artificiali appositamente costruiti. Ecco perché non è eccessivo affermare che “coltura” e “cultura” delle ostriche sono pressoché sinonimi. Ciascuna conchiglia, infatti, rappresenta gli sforzi fatti
Le ostriche sono oggi i bivalvi più allevati al mondo. La gran parte della produzione ostricola viene realizzata nell’estremo oriente asiatico, nella zona che comprende Cina, Corea e Giappone
Le tecniche di allevamento delle ostriche sono tante quanti sono i siti utilizzati per produrle. Sta alla passione e alle competenze dell’ostricoltore trovare la giusta strategia settembre 2012
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scienza e vita
Dal mare al piatto “Ostriche – Passioni divine” è un libro grazie al quale potrete scoprire veramente tutto su questi succulenti molluschi: dalle loro caratteristiche morfologiche e organolettiche alle tecniche di allevamento, da come si aprono a come si consumano, oltre a una preziosa serie di informazioni su luoghi di origine, vini da abbinare e un nutrito elenco di indirizzi di chi in Italia produce, commercializza e prepara piatti con questi prelibati frutti di mare. Lucio Grassia – Franck Vilboux SAGEP Editori 35 euro
Nonostante una nobile tradizione che risale ai tempi dei Romani, oggi in Italia sono pochissime le aziende che si occupano di ostricoltura, anche se l’interesse per questa attività sta tornando in primo piano
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da ogni appassionato ostricoltore per adattare le tecniche di allevamento alle caratteristiche del territorio. Nel nostro Paese, la pratica dell’ostricoltura, nobilissima e antica, per diversi motivi (non ultimo quello estremamente attuale della sostenibilità ecologica delle produzioni ittiche), è pressoché assente. Al punto che sono pochissime le aziende che vi si cimentano seriamente, mentre a occuparsene in via esclusiva, probabilmente, ve ne è soltanto una: la mia. È noto che le ostriche vadano consumate crude per cui devono essere commercializzate fresche. Quali sono le loro peculiarità nutrizionali? Pais. Oltre le tanto decantate (e forse troppo spesso mitizzate) proprietà afrodisiache, esse presentano peculiarità organolettiche e nutrizionali di prim’ordine. Infatti, pur avendo un basso apporto calorico e proteico, contengono notevoli quantità di preziosi elementi minerali tra cui spiccano fosforo e selenio. Inoltre, le loro pregiate carni sono caratterizzate da un elevato contenuto di acidi grassi polinsaturi e una moderata percentuale di colesterolo. Quelle allevate in Sardegna, inoltre, beneficiano delle eccellenti caratteristiche di qualità delle acque che circondano l’Isola. Un motivo in più per gustare un prodotto di eccellenza legato indissolubilmente alle caratteristiche di un territorio ancora in parte aspro e incontaminato.
Poco caloriche e ricche di minerali e acidi grassi polinsaturi, le ostriche hanno il gusto delle acque dalle quali nascono. Sono davvero afrodisiache? Non è così sicuro. Ma di certo tentar non nuoce!
la salute nel piatto
a cura della Fondazione Umberto Veronesi testi di
Daniele Banfi (giornalista scientifico)
Mirtilli: così piccoli, così preziosi Le intense sfumature di rosso e blu che li contraddistinguono, non contribuiscono soltanto a rendere questi succosi frutti del bosco particolarmente invitanti, ma racchiudono anche il segreto della loro importanza a livello nutrizionale. Assumerli significa fare abbondante scorta di principi antiossidanti e antinfiammatori. E migliorare notevolmente l’attività della flora intestinale
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Il mirtillo, piccolo frutto del sottobosco montano, gode di buona fama quanto al suo “far bene” alla salute. A dimostrarlo sono le centinaia di studi pubblicati. In uno particolarmente significativo, effettuato nel 2010 dalla Oklahoma State University, si sono reclutati due gruppi di persone affette da sindrome metabolica, una patologia emergente caratterizzata dalla presenza di più malattie croniche, come ipertensione, diabete o colesterolo alto. Al primo gruppo è stata somministrata ogni giorno, per otto settimane, una bevanda a base di mirtilli (equivalente a 350 gr del frutto fresco) mentre all’altro gruppo è stata data della semplice acqua. Alla fine della prova le donne e gli uomini del primo gruppo hanno mostrato un significativo abbassamento dei valori di vari fattori di rischio cardiovascolare, come pressione sanguigna, colesterolo LDL ossidato
e altri derivati dell’ossidazione lipidica. Ci sono più che buone ragioni, dunque, per inserire i mirtilli nelle raccomandate 5 porzioni al giorno di frutta e verdura. E anche se maturano ad agosto, è ben vero che possiamo trovarli nei supermercati tutto l’anno. Lo diciamo facendo comunque presente che frutta e verdura di stagione spesso sono più fresche e dunque più ricche di proprietà benefiche per il nostro organismo. Ma da dove vengono queste proprietà? Un indice è già il colore, forte. Perché la frutta più colorata spesso è la più ricca di sostanze benefiche. In particolare, il colore rosso-blu dei mirtilli è legato al contenuto di antocianine, una classe di polifenoli ai quali si attribuiscono molte capacità come l’attività antiossidante e antinfiammatoria. E ossidazione e infiammazione sono alla base dello sviluppo di malattie croniche quali dia-
A caccia di radicali liberi
Ottimi nella marmellata, ma ancora di più freschi (perché in questo caso al gusto si accompagna anche una spiccata azione benefica) i mirtilli vanno certamente inseriti nelle raccomandate cinque porzioni al giorno di frutta e verdura
bete, obesità, cancro e malattie cardiovascolari. Facile dedurre come questi piccoli frutti di montagna possano giocare un ruolo nella prevenzione a largo raggio. Anche la sezione Nutrizione del dipartimento di Scienze e Tecnologie Alimentari dell’Università di Milano è attivamente impegnata nella ricerca sui mirtilli. In uno studio recente ha mostrato che il consumo giornaliero di una bevanda a base di mirtilli per sei settimane può modificare positivamente la flora intestinale favorendo la crescita dei bifidobatteri, cioè i famosi probiotici dalle proprietà benefiche sulla salute di tutto l’organismo. Questa capacità dei mirtilli si può definire con il termine “effetto probiotico”, vale a dire in grado di favorire la crescita dei microrganismi probiotici nel nostro intestino. Tale proprietà non si deve solo alle antocianine ma anche al contenuto in fibra.
Da dove vengono le proprietà antiossidanti e antinfiammatorie del mirtillo? Un indice è già il colore, forte. Perché la frutta più colorata spesso è la più ricca di sostanze benefiche
“Ricco di antiossidanti, contrasta la formazione dei radicali liberi”. Quante volte abbiamo sentito queste caratteristiche associate ai prodotti alimentari che consumiamo ogni giorno, specie per i mirtilli? Nonostante tutto, intuendo il grande beneficio dovuto alla loro assunzione, spesso non conosciamo il reale significato del termine “antiossidante”. Eppure queste molecole sono fondamentali perché, senza di esse, il nostro corpo subirebbe danni irreparabili. Da un punto di vista chimico le molecole antiossidanti sono degli agenti che prevengono o rallentano il fenomeno dell’ossidazione. Una spiegazione tecnicamente corretta ma che, per tutti i non addetti ai lavori, significa ben poco. Per comprendere meglio il significato di una reazione di ossidazione basta pensare agli zuccheri come, ad esempio, il glucosio. Giunto nella cellula viene consumato attraverso numerose reazioni di ossidazione. Ciò avviene utilizzando l’ossigeno. Purtroppo però queste reazioni sono caratterizzate dalla formazione di prodotti chiamati radicali liberi. Questi non sono altro che delle molecole di ossigeno altamente reattive capaci di danneggiare le strutture della cellula ossidandole. In particolare, il danno più pericoloso è quello al DNA. Ed è qui che intervengono gli antiossidanti. Queste molecole sono infatti in grado di neutralizzare i radicali liberi e quindi di proteggere le cellula. Ciò è possibile perché loro stessi si ossidano al posto delle strutture cellulari. In altre parole sono dei veri e propri “cattura radicali liberi”. Ma la formazione dei radicali liberi non è solamente correlata al metabolismo cellulare. Essi possono generare anche da una prolungata esposizione ai raggi UV, dal fumo di sigaretta e dall’inquinamento atmosferico. Risulta quindi evidente che una corretta alimentazione, ricca di frutta e verdura, può prevenire in maniera considerevole tutti quei danni associati alla presenza di queste pericolose molecole.
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almanacco di barbanera
di M. Pia Fanciulli
Sole e luna Il Sole • Il 1° sorge alle 06.26 e tramonta alle 19.33 • l’11 sorge alle 06.36 e tramonta alle 19.16 • Il 21 sorge alle 06.47 e tramonta alle 18.59 Il 1° settembre si hanno 13 ore e 7 minuti di luce solare, mentre il 30 settembre se ne hanno 11 ore e 47 minuti: si perdono, dall’inizio alla fine del mese, un’ora e 20 minuti di luce. La Luna • Il 1° tramonta alle 07.18 e sorge alle 19.39 • L’11 sorge alle 01.34 e tramonta alle 16.18 • Il 21 sorge alle 12.57 e tramonta alle 22.36 La Luna è all’Apogeo venerdì 7 alle ore 8. È al Perigeo mercoledì 19 alle ore 5.
Alle porte dell’autunno Ha un’atmosfera tutta sua, settembre. Le giornate sono dolci come l’uva e i fichi da raccogliere, mentre le prime piogge rinfrescano le campagne. È un mese di mezzo, ancora caldo, ma dal sole gentile, compagno delle ultime uscite estive e delle prime semine per l’inverno
Il 22 alle ore 16.49 è l’Equinozio d’Autunno. La durata del giorno è uguale a quella della notte. Luna in viaggio In questo mese i giorni favoriti dalla Luna per gli spostamenti sono: 2, 3, 4, 7, 8, 9.
Da ricordare Lunedì 17 settembre – Capodanno ebraico A iniziare è l’anno 5773 del calendario ebraico. La festa, che si chiama Rosh Hashana, segna l’inizio dei 10 giorni penitenziali dedicati alla presa di coscienza di quelle che sono state le proprie azioni nell’anno appena trascorso. I 10 giorni si concludono con lo Yom Kippur, ricorrenza che celebra il giorno dell’espiazione dei peccati. Il Capodanno è detto anche “giorno del ricordo, del giudizio e del suono”. Si suona infatti lo Shofar (corno), per meditare sugli errori ed evitarli. Sabato 22 settembre – Equinozio d’autunno È l’Equinozio la porta d’ingresso all’autunno, quello in cui dal segno della Bilancia si passa alla Vergine e in cui notte e dì hanno la stessa
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durata come appunto indica la parola aequinoctium, “notti uguali”. Astronomicamente parlando, in questo giorno il sole attraversa l’equatore celeste e scende dall’emisfero nord a quello sud. Anticamente consacrato a Mitra, il divino Sole, l’equinozio fu invece associato dal cristianesimo all’arcangelo Michele. Per San Michele – si dice infatti – il caldo va in cielo. Sabato 29 settembre – I SS. Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele Nella triade degli Arcangeli, il Santo a cui sarebbe effettivamente dedicato il giorno è San Michele, antico patrono della Sinagoga della Chiesa Universale. San Gabriele è invece l’angelo dell’Annunciazione, mentre San Raffaele è invocato come guida da chi si mette in viaggio.
Saggezza popolare Saggezza popolare • Settembre beato, dove vai sta apparecchiato. • Se piove il quattro settembre, piove fino a dicembre. • Lascia in settembre, se si pol, l’uva nera a far l’amore col sol. • Salvia e rosmarino si trapiantano con il sole settembrino. • Brache, tela e meloni, a settembre non son più buoni. • Aria settembrina, fresco di sera e di mattina. • Per un buon negozio, stai attento all’Equinozio (22 settembre) • Se il villan è sul fico non conosce parente né amico. • A San Cosma e Damiano (26 settembre), ogni male starà lontano. • Autunno chiaro e giocondo, anno fecondo.
Belli e sani
Orto e dintorni Con l’autunno che si affaccia, cominciamo anche a pensare alle piante in vaso più sensibili alle escursione termiche e all’abbassamento di temperatura, come quelle grasse: basterà collocarle in punti riparati. Tra i lavori d’inizio settembre, con la Luna calante (dal 1° al 15), seminare o trapiantare il prezzemolo da consumare in inverno. Ultimare la potatura e seminare all’aperto ravanelli, finocchi, radicchio, rape e spinaci. Raccogliere gli ortaggi in quantità e conservarli sott’olio, sott’aceto e agrodolce. Moltiplicare per talea il rosmarino e la salvia. In calante (dal 17 al 29), seminare all’aperto crescione e lattughino da taglio (al nord). Trapiantare bietola da costa, cicoria. Raccogliere i peperoncini e le zucche da mettere poi in pieno sole per favorirne la maturazione. Nel giardino rimettere in ambienti riparati le specie sensibili ai primi freddi autunnali. Asportare i boccioli sfioriti sulle piante ornamentali per prolungarne la fioritura. Potare in Luna calante la lavanda e fare le talee. In crescente seminare in coltura protetta le annuali da fiore e all’aperto calendula, convolvolo, papavero, primula e i tappeti erbosi. Mettere a dimora bulbose a fioritura primaverile come anemone, bucaneve, croco, giacinto.
Dal primo sguardo appena svegli fino a sera, quando la fatica si fa sentire, l’occhio umano cattura anche sessanta immagini al secondo, un lavoro senza tregua che spesso sottovalutiamo. Come prenderci cura allora dei nostri occhi allora? La vitamina che ne potenzia bellezza e salute è la vitamina A, che si trova nel latte, nelle carote e nella frutta. Ma anche la vitamina B2, che tra gli alimenti vegetali si trova negli spinaci, nei funghi e nei piselli, e rende chiaro e sano l’occhio. Eccoci poi nel mese ideale per fare la “cura dell’uva”: un giorno alla settimana, o anche due, si mangia soltanto uva, a volontà, meglio se mista, bianca e nera, biologica e consumata con tutta la buccia. Ha effetti disintossicanti, diuretici, rimineralizzanti, regolarizza le funzioni intestinali, aiuta a controllare il peso. È un modo facile per sentirsi più in forma e per affrontare meglio l’autunno e l’inverno. Il tutto sempre, e naturalmente, all’interno di una dieta equilibrata! Per mantenere i benefici effetti del relax estivo infine basta organizzarsi: un buon risveglio con un’abbondante colazione, una preparazione accurata dei pasti e la ricerca di occasioni per fare movimento. Nel periodo di ferie viene spontaneo preferire piatti più freschi o cercare con una camminata o un giro in bicicletta di bilanciare l’eccesso calorico. Il relax è d’aiuto: il metabolismo, infatti, lavora meglio se si è sereni e riposati. Al rientro, ciò che era naturale deve quindi diventare oggetto di programmazione.
luna piena
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primo quarto
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appuntamenti
di Gilda Ciaruffoli
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1 Sabato 2 Domenica 3 lunedì 4 martedì 5 Mercoledì 6 Giovedì 7 Venerdì 8 Sabato 9 Domenica
Emilia-Romagna La festa che si fa in quattro
Attraversata dal Po e protetta da una rigogliosa vegetazione fra cui svettano imponenti castelli e fortificazioni, la vallata più a ovest della provincia di Piacenza è la cornice del Valtidone Wine Fest, manifestazione protagonista delle quattro domeniche del mese tradizionalmente dedicato alla vendemmia, con un calendario di degustazioni e assaggi ma anche spettacoli, incontri e approfondimenti culturali nel contesto senza tempo dei suoi borghi collinari (Borgonovo, Ziano, Nibbiano e Pianello). Partecipano all’evento oltre 40 cantine che per l’occasione mettono in vetrina le loro eccellenze vinicole. 2-23 settembre, località varie (Pc) Info: www.valtidonewinefest.it
Calabria Vent’anni di rossa passione L’hanno definita “un mix intelligente di gastronomia e cultura”. Punto di forza del Peperoncino Festival, dal 1992, è infatti la capacità di celebrare il piccante diavolillo a trecentosessanta gradi: si parte dalla gastronomia per arrivare alla satira, al cabaret, all’arte e al cinema. L’ingrediente fondamentale della cucina calabrese, tanto popolare da poter essere considerato simbolo della regione, è celebrato grazie all’impegno e all’attenzione dell’Accademia italiana del Peperoncino, Onlus nata per approfondire e diffondere in Italia la “cultura piccante”. 5-9 settembre, Diamante (Cs) Info: www.peperoncino.org
Umbria I giorni dell’afrodisiaco Zaff è la kermesse dedicata alla passione che per tre giorni invade Città della Pieve, meraviglioso borgo dai mattoncini rossi noto per la sua produzione di zafferano, pregiata spezia afrodisiaca. Filo conduttore dell’evento il binomio cibo ed erotismo che prevede degustazioni e show cooking, ma anche rassegne fotografiche, concerti, spettacoli, proiezioni, animazioni e appuntamenti letterari. Nonché una Mostra Mercato di prodotti afrodisiaci che rende la città del Perugino un crocevia di profumi e aromi provenienti da tutto il mondo. 7-9 settembre, Città della Pieve Info: www.zaffcittadellapieve.it
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Località varie A spasso tra i vigneti
Benvenuta Vendemmia, evento organizzato dal Movimento Turismo del Vino, è l’occasione ideale per varcare le porte delle migliori aziende vitivinicole e assistere alle fasi topiche del ciclo di produzione del vino, passeggiando fra i vigneti e degustando prodotti tipici abbinati alle bottiglie di produzione. Non mancano anche momenti ricreativi quali spettacoli folcloristici e mostre di attrezzi enologici, per una vera e propria “festa della vendemmia” nel solco della tradizione nazionale. 9 settembre, cantine MTV Info: www.movimentoturismovino.it
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Lazio Chiedilo al fattore
La mostra mercato Salumi e Formaggi della Tradizione Italiana è un’occasione per assaggiare e acquistare i migliori prodotti tipici provenienti da tutta Italia, e conoscerli meglio attraverso la lettura guidata delle etichette o la storia di un pascolo o di un bosco,e il racconto degli odori di una cantina umida...Grazie all’incontro con gli esperti e i produttori è infatti possibile capire come e perché sono nate alcune di queste specialità inimitabili. Sabato e domenica la manifestazione è aperta a tutti, lunedì ai soli operatori professionali. 15-17 settembre, Roma - Info: ww.salumiformaggi.it
Emilia-Romagna Cose da filosofi. Anche a tavola È “cose” il tema dell’edizione 2012 del Festival della Filosofia che si svolge a Modena, Carpi e Sassuolo in 40 location diverse delle tre città, e si articola in lezioni magistrali, mostre, spettacoli, letture, giochi per bambini e cene filosofiche. Gli appuntamenti sono quasi 200 e tutti gratuiti. Sono “le cose” anche gli ingredienti dei nove menù filosofici ideati da Tullio Gregory e proposti in quasi 60 ristoranti ed enoteche della zona per sottolineare la centralità del convito nella civiltà umana e celebrarne gli artefici in cucina e in bottega. 14-16 settembre, località varie (Mo) Info: www.festivalfilosofia.it
Trentino-Alto Adige Quindici giorni di tipicità Le Settimane dell’Agnello sono un appuntamento da non perdere per chi ricerchi tradizione e gastronomia locale, gustosa e tipica, talvolta interpretata dai cuochi dei masi e dei ristoranti locali in chiave moderna. Qui la scelta dell’agnello poi è d’obbligo, perché l’economia della Val d’Ultimo gira proprio intorno al ciclo vitale di pecore e agnelli, utilizzati anche per la lavorazione della lana. Proprio per questo, in occasione del mercato di Pracupola, oltre a degustare le specialità locali è possibile trovare anche molti prodotti in feltro o in lana cotta, come oggetti d’arredamento e vestiti. 15-30 settembre, Val d’Ultimo (Bz) Info: www.ultental-deutschnonsberg.info/it.html
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Campania Bontà da grande schermo
Cinecibo, il Festival del cinema a tema gastronomico, è un evento che si propone di valorizzare la corretta alimentazione e il cinema di qualità attraverso una competizione tra opere audiovisive. Alla base del progetto, il cui presidente onorario è Michele Placido, c’è la valorizzazione della Dieta Mediterranea e del legame storico tra la settima arte e quella culinaria. Protagonista di quest’anno è “la pasta”, e le proiezioni dei film in riva al mare sono accompagnate da simpatiche sfide gastronomiche tra attori e registi. 10-16 settembre, Castellabate (Sa) Info: www.cinecibo.it
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Marche Prima di tutto, il pane
Quattro giorni di fragranze e ritualità, mani sapienti che impastano e mani attente che apprendono. Quattro intensi giorni di viaggio intorno alle molteplici latitudini e declinazioni di un alimento che unisce le culture di tutto il mondo. È Pane Nostrum, Festa Internazionale del Pane che da dodici anni celebra i prodotti da forno di ogni forma e sapore, provenienti da tutta Italia e dall’estero. Quest’anno ospiti d’onore sono i pani di Liguria, Sicilia, Abruzzo e Val Gardena. Protagonista del 2012 anche l’Associazione pizzaioli che propone una pizza a km zero fatta con ingredienti tutti marchigiani. 20-23 settembre, Senigallia (An) - Info: www.panenostrum.com
Veneto A giocare… tocca a te È giunto al decimo anno Tocatì, Festival Internazionale dei Giochi di Strada che mette in luce l’importanza di un bene intangibile come il gioco, patrimonio immateriale dell’Umanità Unesco. Ogni anno al Festival partecipano circa 270 giocatori italiani e stranieri che illustrano le antiche tradizioni dei loro territori e sono pronti a condividerle con un pubblico entusiasta che prende parte a giochi, incontri culturali, mostre e conferenze. Quest’anno, a ciascun Paese ospite è assegnata una zona del centro storico, dando luogo a sempre nuove occasioni di incontro, scambio e confronto. Foto: Andrea Lonardi. 21-23 settembre, Verona Info: www.tocati.it
Toscana Nella città del vino La terza edizione di Wine Town, raffinata festa del vino che si svolge nel centro di Firenze – nelle tre zone di Tornabuoni, Oltrarno, Proconsolo – offre ai suoi ospiti la possibilità di scoprire, degustare e godere il vino di qualità ascoltando la musica selezionata dal jazzista Piero Borri o assistendo agli spettacoli scelti dal maestro ed esperto di teatro popolare Alessandro Gigli nei cortili di alcuni fra i più illustri Palazzi storici fiorentini privati, che, in occasione della manifestazione, aprono le loro porte ai visitatori. 21-22 settembre, Firenze Info: www.winetown.it
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Piemonte Venere tra le mondine
Rice è una tre giorni dedicata al riso. Si svolge a Casalbeltrame, dal 2001 Città Slow nota per la coltivazione del riso nero Venere, scenario ideale per questa Festa del Riso e per le sue numerose proposte: laboratori, incontri, conferenze, degustazioni oltre a un mercato e a numerosi punti ristoro. L’antico Cascinale dei Nobili, nel cuore di Casalbeltrame e sede della manifestazione, rappresenta un microcosmo dove natura, tradizione, cultura e memoria si fondono dando vita a un singolare museo tematico, il Civel, dedicato all’attrezzo agricolo, che si pone come obiettivo la comprensione etnografica del territorio e della sua cultura contadina. 21-23 settembre, Casalbeltrame (No) Info: www.riceitaly.it
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Sicilia Il piatto della pace
Il Cous Cous Fest, Festival internazionale dell’integrazione culturale, celebra l’incontro e il confronto tra paesi dell’area euro-mediterranea (e non solo), prendendo spunto dal cous cous, piatto della pace comune a moltissime culture. Protagonista della manifestazione una gara gastronomica tra chef di nove paesi, incontri culturali, talk show e seminari ma anche concerti e spettacoli. Uno spazio speciale viene dedicato ai vincitori del concorso Bia Chef Moi promosso da Bia Spa, azienda che produce cous cous convenzionale e biologico certificato, le cui ricette originali vengono votate da una giuria popolare. 25-30 settembre, San Vito Lo Capo (Tp) - Info: www.couscousfest.it
Lombardia Tutto sulle bollicine Il Franciacorta Festival è un rendezvous che ogni anno il Consorzio Franciacorta organizza per gli appassionati di vino, dedicando un intero week-end a eventi e attività in un territorio vocato alla viticoltura ma anche ricco di natura, storia e tradizioni. Un’esperienza unica per chi si avvicina al Franciacorta per la prima volta, per approfondire i segreti dei pregiati vitigni Chardonnay, Pinot Bianco e Pinot Nero, e visitare le cantine che organizzano percorsi di visita e degustazioni. Per quanti invece vogliano imparare ad abbinare il Franciacorta, ristoranti e agriturismo propongono speciali menù suggerendo abbinamenti con le tipologie Brut, Extra Brut, Satèn o Rosé. 29-30 settembre, località varie (Bs) - Info: www.festivalfranciacorta.it
Trentino-Alto Adige Un paniere di tradizione Tre giorni di festeggiamenti per la decima edizione del Mercato del Pane e dello Strudel. Dalle pagnotte in coppia venostane Vinschger Paarl, a quella pusterese Pusterer Breatl, dal filone bianco al pane croccante di segale Schüttelbrot, dallo Zelten allo strudel di mele: tutti alimenti per i quali il marchio Qualità Alto Adige garantisce l’utilizzo di ingredienti naturali e l’assenza di conservanti ed esaltatori di sapidità. Le degustazioni sono accompagnate da percorsi storici per conoscere le tradizioni altoatesine, da dimostrazioni di panetteria per imparare l’arte antica dei fornai locali e da una cornice musicale di gruppi folk del luogo. 28-30 settembre, Bressanone (Bz) - Info: www.mercatodelpane.it
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Umbria Il piacere che arriva per primo
Durante la manifestazione I Primi d’Italia, il centro storico di Foligno si anima con i suggestivi villaggi del gusto per una intensa quattro giorni interamente dedicata alla scoperta di riso, pasta, polenta, zuppe, formati regionali, ricette della tradizione e piatti creativi. Tante le location che propongono assaggi no stop dedicati al piatto simbolo delle nostre tavole servito in abbinamento a prodotti tipici e specialità delle diverse regioni. Grande attenzione è posta anche quest’anno al cibo gluten free mentre, tra le novità del 2012, troviamo l’area espositiva food&kitchen dedicata agli oggetti da cucina. 27-30 settembre, Foligno (Pg) Info: www.iprimiditalia.it
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1 La corsa degli scalzi Festa che viene fatta risalire al 1619, anche se la tradizione la vuole ancora più antica. 1-2 settembre, Cabras (Or) – Sardegna Info: www.corsadegliscalzi.com
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2 Tra rose, storia e leggenda Riaprono i giardini di Castello Quistini, luogo magico tra le terre della Franciacorta che inaugura la nuova stagione dedicata alle fioriture autunnali: fino a novembre è possibile visitare alcune sale della splendida dimora del ’500 e il suo giardino botanico. dal 2 settembre, Rovato (Bs) – Lombardia Info: www.castelloquistini.com
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5 Sagra del fuoco Festa patronale e gara a colpi di fuochi d’artificio 5-8 settembre, Recco (Ge) – Liguria Info: www.sagradelfuoco.it
3 Settimana dei bambini Cinquanta agriturismi sparsi in tutta Italia e selezionati fra quelli particolarmente adatti a ospitare i più piccoli accolgono gratuitamente i bambini e permettono loro di partecipare ad attività organizzate su misura. 2-9 settembre, località varie Info: www.agriturismo.it
6 Sagra del San Marzano Dop Tre serate di degustazione di piatti preparati al momento, un autentico viaggio nel gusto tra primi, secondi ed altre specialità tutte preparate rigorosamente con il Pomodoro San Marzano. 7-9 settembre, Acerra (Na) – Campania Info: www.prolocostriano.it
10 9 Festival du bot Balli e canti al suono di antichi strumenti. 9 settembre, Castelpetroso (Is) – Molise Info: www.comune.castelpetroso.is.it
4 Festa dell’uva Ogni domenica del mese i bambini imparano i segreti della lavorazione del nettare di Bacco, pigiando i grappoli nei tini e portando poi con sé il mosto con le vinacce. 2-30 settembre, Gropparello (Pc) Emilia-Romagna Info: www.castellodigropparello.it
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7 Festival del brodetto Manifestazione che celebra il gustoso piatto di mare declinandolo in tutte le versioni possibili e offrendolo a tutte le ore. 7-9 settembre, Fano (PU) – Marche Info: www.festivalbrodetto.it 8 Buon gusto. I formaggi d’Abruzzo Percorso paesaggistico gastronomico nel centro storico, tra mercati tipici, esposizioni e laboratori di degustazione e di educazione sensoriale. 8-9 settembre, Gessopalena (Ch) – Abruzzo Info: www.eventiabruzzomontano.it
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10 Sagra della cucina regionale Occasione per gustare numerosi piatti tipici e vini di ogni zona d’Italia 9 settembre, Setteville di Guidonia (Rm) Lazio Info: www.sagrasetteville.it 11 Sagra dei canederli Degustazione delle tipicità locali. 9 settembre, Vipiteno (Bz) Trentino-Alto Adige Info: www.sagradeicanederli-vipiteno.com
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12 La sagra del castello
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Percorsi culturali e gastronomici nei pressi del suggestivo castello di Uggiano. 14 settembre, Ferrandina (Mt) – Basilicata Info: www.comune.ferrandina.mt.it
La sagra conclude la stagione dei festeggiamenti estivi dando idealmente il cambio a quelli dedicati ai prodotti autunnali, e tra questi i vini valdostani, le castagne e le mele. 15 settembre, Sarre (Ao) – Valle d’Aosta Info: www.regione.vda.it
13 Assedio Alla Villa Rievocazioni storiche di sapore medievale. 14-16 settembre, Poggio a Caiano (Po) Toscana Info: www.assedioallavilla.it
16 Grasparossa! Show cooking e passeggiate tra i vigneti sono parte di un programma denso di appuntamenti che accompagna i turisti alla scoperta dell’eccellenza del Lambrusco. 15-16 settembre, Castelvetro (Mo) Emilia-Romagna Info: www.castelvetrovita.it
17 Sagra del Pomodoro
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Dalle 19 al calar delle tenebre, il centro storico e Villa Nappi si animano di divertimento e mistero. 15 settembre, Polverigi (An) – Marche Info: www.prolocopolverigi.marche.it
Manifestazione di promozione del pomodoro Siccagno. 21-23 settembre, Valledolmo (Pa) – Sicilia Info: www.comune.valledolmo.pa.it
21 I giochi de le porte Folclore e bizzarrie quattrocentesche all’insegna dello spirito cavalleresco. 28-30 settembre, Gualdo Tadino (Pg) – Umbria Info: www.giochideleporte.it
22 La desarpa Le mandrie scendono a valle dopo 100 giorni di alpeggio in alta quota. 29 settembre, Valtournenche – Valle d’Aosta Info: www.comune.valtournenche.ao.it 23 Sagra della zampina e del buon vino Degustazione dei prodotti tipici locali. 29-30 settembre, Sammichele (Ba) – Puglia Info: www.comune.sammicheledibari.ba.it
24 Ciottolando con gusto “Caccia al tesoro” gourmet per i locali del centro storico. 29-30 settembre, Malcesine (Vr) – Veneto Info: 0457400837
18 Regina di miele Mostra mercato del miele e dei prodotti tipici nel centro più importante dell’apicoltura abruzzese. 22-23 settembre, Tornareccio (Ch) - Abruzzo Info: www.eventiabruzzomontano.it
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25 Vinincontro al Ricetto Rassegna dedicata al mondo vitivinicolo piemontese e ai sapori del territorio. 29-30 settembre, Candelo (Bi) – Piemonte Info: 800811800
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19 Tempu ri Capuna Rassegna dedicata alla pesca e al pesce azzurro: dalle sarde agli sgombri, dalla spatola all’acciuga, senza dimenticare il capone, protagonista della tre giorni. 23- 26 settembre, San Vito Lo Capo (Tp) Sicilia Info: www.tempuricapuna.it
26 Piante e animali perduti Manifestazione dedicata ai prodotti del passato, con degustazione di oli. 29-30 settembre, Guastalla (Re) Emilia-Romagna Info: www.pianteeanimaliperduti.it
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Contaminazioni, storie di culture che si intrecciano, influenze e tradizioni riemergono con i loro vini, prodotti tipici, sapori e profumi per le vie e le piazze del centro cittadino. 27-30 settembre, Gorizia Friuli-Venezia Giulia Info: www.comune.gorizia.it
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Panorama 38
L’Italia che merita: Malga Canali Una fattoria trentina dove gli animali si allevano a suon di musica. E dove le star fanno la fila per mangiare. Quel che c’è
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Cover story: Carlo Petrini Intervista esclusiva al padre di Slow Food che spiega come battere la crisi: con le produzioni locali e l’agricoltura sostenibile
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Cover story: Orti in città Solo nel nostro Paese sono 18 milioni gli “ortisti urbani”. Vi raccontiamo Milano, avanguardia italiana di questa tendenza
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Cover story: Cucina green Un viaggio su e giù per la Penisola alla scoperta dei ristoratori che hanno portato il campo in tavola. E dei corsi di ortoterapia
da pag. 56 Rubriche • L’orto dei semplici, i lamponi • La pagina verde di Legambiente
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storie dall’Italia che merita “Quel che ghe n’è” è il motto della signora Gianna, padrona di casa a Malga Canali dal 1957. Qui non esiste il menù, e si mangia proprio “quello che c’è”... che deve essere davvero delizioso, se anche le star di Hollywood prenotano un tavolo con largo anticipo! Il segreto di tanta bontà? È nelle note di Beethoven Testo e foto di Germana Cabrelle Solo 20 coperti e una lunga lista d’attesa per le prenotazioni, tanto da dire “spiacenti è tutto pieno” persino a George Clooney. Malga Canali, che sorge nell’omonima valle trentina lungo il sentiero che nelle escursioni di trekking tra Fiera di Primiero e Tonadico porta al rifugio Treviso, è uno di quei posti di sosta in cui non solo vien voglia di tornare per quanto bene si è mangiato, ma che si ha l’istinto di promuovere con il passaparola. L’ambiente è in puro stile montano e la proprietaria, la signora GiannaTavernaro, vive e lavora lì dal 1957. «Inizialmente – racconta – vendevamo latte alle colonie salesiane dei ragazzi e ai campeggi estivi che negli anni Sessanta costituivano il primo turismo in Trentino. Poi abbiamo iniziato a cuocere polenta e salsiccia sul camino, per rifocillare le persone che durante le passeggiate desideravano fermarsi a mangiare qualcosa. Sempre abbiamo proposto le pietanze che preparavamo per noi al momento, con i prodotti che avevamo a disposizione. In diletto si dice: quel che ghe n’è!». Non meravigliatevi: a Malga Canali non esistono menù, si mangia davvero solo quello che si trova e
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La fattoria
degli animali felici
che proviene dall’annessa fattoria.«Quale chilometro zero? – ironizza Gianna – Qui è tutto a dieci metri!». Può capitare, quindi, che arrivi in tavola la zuppa di cipolle come primo piatto, formaggio, polenta, patate lessate con la buccia e affettati misti come antipasto, spezzatino di manzo oppure pollo, agnello e coniglio arrosto come secondo, assieme all’immancabile formaggio fritto. Quanto al dessert, se le galline hanno fatto le uova la signora Gianna prepara al momento lo Smorrum, versione trentina del Kisersmart: con marmellata, uvette e zucchero a velo. Il tutto annaffiato di ottimo Teroldego o Marzemino. Malga Canali è aperta a pranzo e a cena, ma è obbligatoria la prenotazione, perché le richieste sono tante e il turno di chiusura è a seconda delle necessità della stalla, come riporta un’incisione scritta su un ceppo di legno. Già, la stalla. Perché la signora Gianna, assieme al marito Cornelio e alle figlie Rita e Lucia, segue anche quelli che lei stessa definisce gli “animali felici”: maiali, mucche, vitelli, pecore e conigli che, placidi, vivono nel vicino rustico, con sottofondo di musica classica. La fattoria è visitabile dai clienti e può capitare anche di veder nascere qualche cucciolo. Malga Canali ha ospitato personaggi famosi come Carlo Conti, Vinicio Capossela, Alessandro Baricco, George Clooney, Gianni Morandi ed Enzo Jacchetti. Se anche voi volete conoscere questo angolo di paradiso, potete telefonare ai numeri 043964491 o 3687413582. Una volta lì, dopo aver mangiato e apprezzato il calore di questo ambiente genuino, ricordatevi di prendere un bigliettino da visita da dare ai vostri amici o parenti. È bello da regalare e anche da ricevere, perché fatto con strisce di lenzuola tagliate con forbici merlettate e decorato con un timbro, tipo quello dei rifugi di montagna. Del resto, si chiama Malga Canali mica per niente.
Nelle foto interni ed esterni di Malga Canali che si trova in Val Canali a Tonadico (Tn) Tel. 043964491 - 3687413582
A Malga Canali, prima di quelle dei clienti, vengono le esigenze dei suoi abitanti: mucche, pecore e maiali che vivono nel vicino rustico e sono accompagnate, nelle loro giornate, da un sottofondo di musica classica
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Carlo Petrini:
il profeta dell'agricoltura sostenibile «Sono un gastronomo nella concezione più completa che si può fornire della gastronomia. Mi riferisco in particolare a quel testo dell’800 che rappresenta la base teorica per tutti coloro che hanno fatto di questa passione un’arte e un mestiere: nella Fisiologia del gusto, Brillat-Savarin definisce la gastronomia come la conoscenza ragionata di tutto ciò che si riferisce all’uomo in quanto egli si nutre. Dall’economia alla geografia, dalla botanica all’antropologia». Si racconta così Carlo “Carlin” Petrini, fondatore di Slow Food, al quale chiediamo di fare un bilancio sull’attività del movimento che da quasi 25 anni opera per la salvaguardia della biodiversità in campo agricolo e alimentare come strumento per garantire un futuro al nostro
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Se una speranza c’è di uscire dalla crisi epocale che stiamo vivendo, questa passa dalla salvaguardia del territorio, dal ritorno alle produzioni locali e agli antichi mestieri. Dall’esperienza degli “ultimi”: donne, anziani, popolazioni indigene. E dai giovani. In questa intensa intervista, il padre di Slow Food tratteggia possibili scenari per un futuro migliore e ci dà appuntamento al prossimo Salone del Gusto e Terra Madre di Torino, a fine ottobre di Roberto Rabachino
Carlo Petrini è nato a Bra, in provincia di Cuneo. Fondatore di Slow Food, è gastronomo, giornalista e scrittore
pianeta e all’umanità intera. «Fin dai primi anni di Arcigola – ci spiega Petrini – la nostra percezione del piacere gastronomico ha coinciso con il concetto di salvaguardia dei prodotti e dei piatti che la nuova moda della fast life e del fast food stava tentando di soppiantare. Era tuttavia necessario pensare a qualcosa di più concreto: partivamo dal presupposto che, ad esempio, per salvare una razza a rischio di estinzione si doveva promuovere il consumo della carne o del formaggio che ne derivano, ma servivano strumenti per sensibilizzare i consumatori. Nel 1996, alla prima edizione del Salone Internazionale del Gusto a Torino, abbiamo dato vita all’Arca del Gusto:i convivium stavano nascendo in tutto il mondo e i nostri soci conoscevano benissimo il loro territorio, e così avevamo la possibilità di elencare quei prodotti che dovevano assolutamente salire sulla nostra arca per essere salvati. Ma non era ancora abbastanza: qualche anno dopo abbiamo dato vita ai primi Presìdi, progetti concreti, studiati uno a uno e cuciti su misura sulle necessità del prodotto: in alcuni casi poteva essere un laboratorio di trasformazione, in altri una consulenza agronomica o la creazione di una cooperativa per riunire i produttori e agevolare la commercializzazione. Un’altra battaglia in favore della biodiversità è quella del latte crudo, in difesa del quale nel 2001 abbiamo lanciato il manifesto, con la conseguenza che adesso produrre formaggi a latte crudo non è più un tabù ma un motivo di orgoglio per tanti pastori e piccoli casari. Strettamente connesse sono la campagna Salviamo il Paesaggio Difendiamo i Territori, perché senza terreno fertile non c’è agricoltura, e la promozione degli orti urbani e dei Mercati della Terra, per recuperare il contatto diretto con i prodotti e con chi li produce».
Identità, radici, tradizione e modernità si realizzano nello scambio. Ci spieghi meglio questo suo pensiero… Alla base della gastronomia c’è la necessità dell’uomo di procurarsi il cibo e di renderlo quanto più gradevole al palato attraverso differenti processi culturali. Questo comporta due considerazioni: da che mondo è mondo i rapporti tra i popoli hanno trovato la loro base nello scambio di merci e prodotti alimentari. Nel corso dei secoli, la storia dei commerci, delle invasioni e delle guerre ha consentito alle identità culturali e gastronomiche di confrontarsi, di stabilire relazioni attraverso i cibi, di arricchire i propri piatti. Senza tutto ciò non sarebbe esistita la Dieta Mediterranea e la maggior parte delle ricette che oggi vanta la cucina italiana. Anche per questo non possiamo alzare le barricate contro tendenze gastronomiche innovative o le nuove ricette portate dagli immigrati nelle nostre città. L’altra considerazione si basa sul fatto che le culture popolari hanno creato un patrimonio di ricette, preparazioni, tecniche di trasformazione dei cibi ai quali avevano facile accesso, determinando così nel corso dei secoli il nascere di identità delineate, nonostante le influenze esterne e le diverse interpretazioni.
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telare la diversità delle culture dei popoli. A partire da questi principi, molte comunità indigene hanno animato la rete di Terra Madre. Alle loro riflessioni, espresse nelle lingue ancestrali, è stata consacrata la cerimonia di apertura dell’incontro di Torino nel 2010. L’anno dopo abbiamo organizzato la prima edizione di Terra Madre Indigenous People a Jokmokk, nel nord della Svezia, dove le popolazioni Sami hanno ospitato indigeni da 61 Paesi. Ritengo che, in questo particolare momento storico, mettere a valore la diversità culturale possa contribuire a innescare pratiche virtuose e sostenibili. Con questo spirito abbiamo avviato una collaborazione con la Indigenous Partnership per l’agrobiodiversità,diretta da Phrang Roy, che ci porterà a organizzare nell’aprile 2014 la seconda edizione di Terra Madre Indigenous People nel Nord-Est dell’India.
Organizzato ogni due anni da Slow Food con Regione Piemonte e Città di Torino, il Salone del Gusto è un evento unico nel suo genere. Nell’edizione 2012 si realizzerà la piena integrazione di Salone e Terra Madre che diventeranno un evento unico, per la prima volta interamente aperto al pubblico
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Nel giugno scorso lei ha avuto il privilegio di prendere la parola ufficialmente all’ONU. Il suo intervento evidenziava il diritto inalienabile dei popoli ad avere il controllo della propria terra e a coltivare, a praticare la caccia e la pesca e la raccolta, secondo le proprie esigenze e decisioni. Che ruolo attivo prospetta per Slow Food a supporto di questa fondamentale esigenza? La perdita progressiva della diversità di specie vegetali e razze animali può rappresentare il più grave flagello per gli anni a venire. Tuttavia, non avrebbe senso difendere la biodiversità senza tu-
Il benessere umano passa attraverso il diritto universale a un cibo di qualità per tutti. Entriamo nei dettagli di questa sua affermazione… Se è vero che una parte dell’umanità soffre di obesità e malattie determinate da iperalimentazione, è altrettanto vero che oltre un miliardo di viventi è malnutrito e la vergogna dei morti per fame non è ancora stata eliminata dalla comunità terrestre. Obesità e fame sono i due volti di una stessa medaglia, sono il simbolo del fallimento di un sistema alimentare globale basato principalmente su una produzione industriale che dipende in massima parte dalle risorse energetiche fossili. Mai come in questo momento si avverte l’esigenza di cambiare alla radice questo sistema alimentare che distrugge l’ambiente e la dignità dei lavoratori dei campi e del cibo. Saper guardare indietro alle nostre tradizioni e a sistemi alimentari più sostenibili non è stupida nostalgia. La reintroduzione di produzioni alimentari locali è la risposta per nutrire il pianeta. È l’attivazione della vera democrazia, la partecipazione di tutti per il bene comune. Con baldanza e protervia l’umanità ha coltivato un’idea di sviluppo e di progresso basata sulla convinzione che le risorse del pianeta fossero infinite e che il dominio dell’uomo sulla
Natura non dovesse avere alcun limite. La marcia verso questa idea di progresso ha relegato le donne, gli anziani e le popolazioni indigene agli ultimi posti, sempre meno ascoltati. La verità di questi tempi moderni si sta svelando in tutta la sua drammaticità; la “gloriosa marcia” del progresso è arrivata sull’orlo del baratro e la crisi è figlia dell’avidità e dell’ignoranza. Ma il monito della Natura è ben Obesità più grave della crisi finanziaria, e fame sono i due esso ci chiama a riflettere su volti di una stessa un destino tragico per l’esimedaglia, sono il simbolo stenza stessa dell’umanità, del fallimento di un sistema se non si cambiano marcia alimentare globale basato e percorso. E se sull’orlo del principalmente baratro sarà giocoforza rie che non si può trattare tornare sui nostri passi, ecco sulla produzione con gli stessi strumenti utiallora che gli “ultimi” saranno industriale lizzati in passato. Si tratta di quelli che indicheranno la strada una crisi epocale, allo stesso temgiusta.Avremo bisogno della sensibipo energetica, ambientale, alimentare. lità delle donne e del loro pragmatismo, È necessario trovare nuovi strumenti per dare della saggezza degli anziani e della loro memouna speranza a questo pianeta e con esso alle ria, ci accorgeremo che i popoli indigeni hanno la generazioni future. Non possiamo continuare a chiave per un approccio più sostenibile al Diritto consumare più risorse di quelle che abbiamo a al cibo, perché da sempre praticano l’economia disposizione, sprecando oltre un miliardo di tondella natura.Ma attenzione:dovrà essere evidente nellate di prodotti edibili. Non possiamo pensaa tutti quanto male è stato procurato a questi sogre di appianare il divario tra i popoli nell’accesgetti nel nome del progresso e della supremazia so a una buona alimentazione continuando ad del mercato.Quanti saperi,conoscenze e prodotti alimentare un sistema produttivo e distributivo della Terra sono stati piratescamente derubati alle basato sulla disuguaglianza. Non possiamo far comunità indigene da multinazionali farmaceutimorire l’agricoltura e con essa le nostre campache e alimentari senza scrupoli.Prima di rimettergne e le nostre montagne, che diventano inveci in marcia occorre restituire il maltolto, occorre ce terreno fertile per speculazione energetica e impedire qualsiasi logica di agricoltura industriale corsa al cemento. Il futuro del cibo buono, pulito insostenibile nelle aree indigene. e giusto, sono i giovani, ma affinché tornino alla terra si devono garantire loro la giusta remuneLei prospetta che la riscoperta degli “antichi merazione e uno stile di vita adeguato ai nostri temstieri” possa essere una soluzione alla crisi ocpi. I giovani ai quali penso hanno studiato, sanno cupazionale giovanile. Entriamo nei dettagli di utilizzare le nuove tecnologie, sono collegati con questa sua proposta. Ogni uomo vive di speranil mondo, sono nodi di una rete planetaria che ze e di sogni. Il desiderio suo e del suo movimenaffronta unita le difficoltà che si trova davanti. to per il prossimo futuro? Tanti di questi fanno parte della rete di Slow FoL’attuale sistema economico ha ampiamente od e li incontreremo al prossimo Salone del Gumostrato i suoi limiti. Ci troviamo di fronte a sto e Terra Madre di Torino, a fine ottobre. una crisi che non è solo economica e finanziaria
Secono Carlo Petrini, il futuro del cibo «buono, pulito e giusto» è nelle mani dei giovani, «ma affinché tornino alla terra si devono garantire loro la giusta remunerazione e uno stile di vita adeguato. I giovani ai quali penso hanno studiato, sanno utilizzare le nuove tecnologie. Sono nodi di una rete planetaria che affronta unita le difficoltà che si trova davanti»
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Quando l’orto va in città di Francesco Condoluci
Vi raccontiamo la nuova rivoluzione verde che sta portando sempre più la campagna nelle metropoli. E scopriamo insieme il cuore agricolo di Milano, avanguardia italiana di una tendenza che sta coinvolgendo gli abitanti delle principali capitali del mondo: solo nel nostro Paese sono 18 milioni gli “ortisti urbani”
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C’è chi lo fa per il puro piacere di stare all’aria aperta e di recuperare quell’artigianalità, quella “manualità” nel fare le cose, che, nella quotidianità delle moderne e frenetiche metropoli tutte palazzi, uffici e computer, sembrava perduta. C’è chi pensa alle tasche e al risparmio che ne può conseguire. E chi invece è spinto soprattutto dalla passione e dalla voglia di ritrovare gusti genuini e sapori di cui ci si può fidare davvero. Sono uomini e donne, giovani e anziani, impiegati, pensionati, avvocati e operai, single e intere famiglie con tanto di bambini al seguito. Sono il popolo degli “ortisti urbani”, una moderna stirpe di “contadini metropolitani” che – sulla falsariga di un fenomeno che all’estero (in particolare negli
on-line. Gli studiosi del fenomeno li hanno ribattezzati “hobby farmer” – anche se loro rifiutano sdegnosamente questa etichetta e dicono: «I “farmer” in America sono i fattori. Noi coltiviamo frutta e ortaggi per l’autoconsumo familiare, non alleviamo animali per guadagnarci da vivere!» – quantificando in circa 18 milioni le persone dedite ormai, in tutto il Bel Paese, all’agricoltura amatoriale e alla coltivazione, nei centri urbani, di orti condivisi e “giardini comunitari”.
Curare l’orticello? Facciamolo insieme
Stati Uniti dove si coltiva l’orto persino sui tetti dei grattacieli di New York) è in essere da più di un decennio – si è messa in testa di ridisegnare “dal basso”, anche in Italia, città e centri urbani, portando i colori degli orti e della natura non solo su terrazze e davanzali privati, ma dentro palazzine fatiscenti, cascine diroccate, aree pubbliche abbandonate e capannoni da archeologia industriale. Un esercito di persone, di ogni età, estrazione culturale e provenienza sociale, che ha deciso di prendere in mano vanga e rastrello e (ri)mettere “le mani nella terra”, mandando al diavolo gli ipermercati, i sabato pomeriggio buttati dentro i centri commerciali, le selezioni genetiche da laboratorio che hanno reso pomodori e zucchine bellissimi e perfetti ma privi di gusto, i cibi preconfezionati e la spesa ordinata
Insomma, se in principio era il tradizionale vaso di basilico sul balcone, evidentemente poi gli italiani ci hanno preso gusto. E complice la crisi, i prezzi in rialzo, la psicosi degli ortaggi contaminati da virus e pesticidi, così come anche l’esigenza di respirare aria buona e mangiar sano, a partire da fine anni ’90 il vecchio pallino degli emigranti al Nord originari della Sicilia, della Puglia, della Calabria di avere il giardinetto dietro casa dove coltivare in proprio pomodori, cipolle e lattuga, ha cominciato a diventare una tendenza sempre di più diffusa tra i residenti delle grandi città italiane in cerca di una via di fuga dallo stress e di un’alternativa alle verdure da scaffale. Qualcuno ha parlato di processo di “ricontadinizzazione” della società, altri hanno rivestito questa scelta di concetti filosofici antitetici alla cultura della globalizzazione, ma tant’è: dal piccolo orto privato fatto in casa per la salvia e il prezzemolo, in breve – e sempre sulla scorta di modelli già collaudati all’estero come i Jardins Partagès in Francia o i Community Garden anglosassoni – si è passati agli “orti comunitari”. Campi agricoli metropolitani di proprietà pubblica, e non più grandi di 50 metri quadri, dove è possibile trovare anche quaranta persone che, tutte assieme, zappettano la terra felici al pensiero di portarsi a casa domani il frutto “genuino” delle loro fatiche e di condividere tutto, ma proprio tutto: dai soldi per la gestione alle sementi, dalle conoscenze alla partecipazione a specifici corsi di formazione, dagli attrezzi fino agli stessi ortaggi raccolti.
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La Madunina circondata da cavoli, patate e lattuga
Orti urbani: per saperne di più
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In Italia
All’estero
http://ortodiffuso.noblogs.org http://rape.noblogs.org blog di Libere Rape Metropolitane e del progetto Ortodiffuso, punto di riferimento per l’intero movimento degli ortisti www.ilgiardinodegliaromi.org il sito del Giardino degli Aromi www.retegas.org tutto sui gruppi di acquisto solidale italiani http://beta.growtheplanet.com/it social network per ortisti urbani e non www.guerrillagardening.it per un giardinaggio libero e “d’assalto”
www.jardinons-ensemble.org per scoprire i Jardins Partagès di Parigi www.farmgarden.org.uk l’esperienza inglese della Federation of City Farms and Community Gardens www.communitygarden.org il sito dell’American Community Garden Association www.urbanacker.net anche a Berlino l’orto è arrivato in città www.opensourceecology.org network di ingegneri e contadini che progettano e scambiano macchinari low-cost per ortisti internazionali
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Negli ultimi anni questo strano, variegato, pasionario movimento di ortisti urbani del Nuovo Millennio si è allargato a macchia d’olio anche nel Bel Paese e, grazie al web, ha cominciato a fare “rete”, scambiando informazioni e condividendo progetti. Milano, come già per il Risorgimento, le mode o la politica, anche in questo caso ha fatto un po’ da città-apripista per un fenomeno radicatosi rapidamente su scala nazionale. La capitale italiana del business e dell’economia, non a caso, è anche la città con il più alto numero di orti coltivati “abusivamente” e quella che vanta la presenza di 6 grandi community garden (Il Giardino degli Aromi, Cascina Cuccagna, Isola Pepe Verde, i Papaveri Rossi, il Parco Trotter e gli Orti di via Chiodi) e di oltre 800 G.A.S., i gruppi di acquisto solidale che si riforniscono dagli ortisti urbani. Già, perché con la diffusione di questi ultimi, anche il “chilometro zero” è stato mandato in pensione. Del resto non bastava più. I contadini metropolitani, a Milano (come a Roma, Bologna o New York) oltre a voler fare da sé in nome della sovranità alimentare, dell’economia partecipata, dell’autoconsumo e per recuperare gusti e sapori autentici ormai perduti, hanno intravisto nella coltivazione collettiva degli spazi urbani anche la possibilità, come si diceva, di riqualificare le città e condividere un’idea “politica”: quella etica, ecosostenibile e orizzontale del “noi” che si oppone all’individualismo e al consumismo.
Il futuro è nei campi e negli orti in città “L’onda verde rivoluzionaria” che si è abbattuta su Milano portando con sé, dai quartieri del centro a quelli in periferia, profumi di erbe aromatiche, odore di terriccio e nuove consapevolezze alimentari, adesso ha anche un nome che è tutto un programma, quello dell’associazione delle Libere Rape Metropolitane, e persino una certificazione istituzionale, quella del comune
Parla Aurora, “contadina metropolitana” di Milano di Gilda Ciaruffoli
La capitale italiana del business è anche la città col più alto numero di orti abusivi, e vanta la presenza di 6 grandi community garden nonché di ben 800 G.A.S.
che con una delibera ha sancito la possibilità, per i cittadini, di poter fruire di spazi demaniali previa presentazione di un progetto di orto comunitario. Davide Ciccarese, che si definisce «un agronomo urbano che ha realizzato il sogno di lavorare, con la sua laurea in Scienze Agrarie, nella città dove un tempo a regnare erano gli architetti», è il tecnico che fa da collante ai vari community garden meneghini. Nel suo Libro Nero dell’Agricoltura (edizioni Ponte alle Grazie, 196 pagine, 14 euro) ha smontato pezzo per pezzo il quadro dell’agricoltura industrializzata moderna, ricomponendo uno scenario a tinte fosche sull’imminente perdita della biodiversità e sullo stravolgimento dell’ecosistema. «Le coltivazioni urbane invece – ci spiega – hanno raggiunto risultati strepitosi in tutto il mondo, consentendo ai cosiddetti food desert, aree a basso reddito dove gli abitanti non riescono ad accedere a cibi di qualità, di soddisfare i loro fabbisogni. Negli Stati Uniti il fenomeno si è sviluppato per difendere la sovranità e la sicurezza alimentare e, anche in Italia, da qualche anno finalmente si sta radicando, portando effetti positivi non solo in termini di riqualificazione urbana e di ritorno a un’agricoltura genuina ed ecocompatibile,ma anche sul piano sociale. Basti pensare che a Milano, il movimento degli ortisti urbani è partito dal Giardino degli Aromi, un parco ad Affori che fino a vent’anni fa era il cortile dell’Ospedale Psichiatrico Paolo Pini chiuso dalla legge Basaglia.Oggi,l’orto comunitario, gestito da una cooperativa sociale, occupa a tempo pieno 40 persone e tra queste, a coltivare pomodori,verze,cavoli,broccoli,cetrioli, zucchine,frutta e insalata in mezzo ai palazzi della città, ci sono anche gli ex pazienti del Pini che in quest’avventura da contadini metropolitani hanno ritrovato anche una cura per i loro problemi e, forse, una nuova ragione di vita».
Nella pagina precedente uno degli ortisti urbani del Giardino degli Aromi di Milano al lavoro. In questa pagina, Aurora immortalata mentre ci racconta la sua storia di contadina metropolitana e, qui a sinistra, “l’agronomo urbano” Davide Ciccarese, tecnico degli orti comunitari meneghini
«Siamo abituati a concepire la vita come verticale, una gerarchia che ha all’apice l’uomo. E invece lavorando l’orto si capisce che i rapporti tra le persone e con il mondo sono orizzontali. Siamo tutti sullo stesso piano, parte della natura». Aurora faceva tutt’altro nella vita. Ha avuto un primo approccio con la coltivazione diretta lavorando con persone con difficoltà di vario genere, provenienti dal disagio sociale. È scesa (letteralmente) in campo senza particolari competenze, ha imparato lavorando, e solo in un secondo momento si è documentata e ha studiato. Oggi, forte della sua riconquistata consapevolezza di essere “parte della natura”, è una degli ortisti urbani del Giardino degli Aromi dell’ex OP Paolo Pini di Milano. «È solo sperimentando che impari come muoverti, che capisci quanto sia importante l’acqua e il giusto modo di dosarla per far sì che le piante non si ammalino ma si rafforzino, o come una buona pacciamatura renda i frutti più saporiti. È solo assaggiando poi che ti rendi davvero conto di come il sapore di un ortaggio lo faccia il terreno dal quale nasce, il modo in cui viene lavorato» ci spiega Aurora. «Tra gli ortisti c’è uno scambio continuo di prodotti, esperienze e informazioni – prosegue – Al Giardino degli Aromi ci sono 40 orti: ognuno ha il suo spazio ma non esistono delimitazioni. A lavorarli siamo circa in 80, e il numero cresce se consideriamo suocere, figli, nipoti, amici che passano a dare una mano». Qui si organizzano anche corsi e incontri tematici in modo tale da rendere anche i nuovi arrivati consapevoli delle esigenze del terreno. Esistono poi un fondo-orto per le spese comuni e una quota associativa da versare, per un totale di circa 40 euro complessivi l’anno. Ma chi sono gli ortisti urbani? «Da noi viene il dodicenne come il pensionato – ci racconta Aurora – Molti sono i giovanissimi che arrivano con la voglia di stare all’aperto e nel loro spazio coltivano e passano il tempo, divertendosi. Sono stati proprio ragazzi di 1112 anni i primi a chiederci di poter coltivare parte di questo terreno che ai tempi, più o meno 8 anni fa, era inutilizzato. È nato così il Giardino degli Aromi». «Ci sono poi i 40enni, consapevoli dell’importanza di mangiare bio – prosegue – I 50enni alla ricerca di gusti più genuini, più veri. I pensionati e i disoccupati che, a differenza di quello che si potrebbe pensare, non coltivano l’orto per risparmiare sulla spesa. O almeno non solo. L’aspetto economico infatti non è predominante nelle motivazioni degli ortisti urbani. Più forte è la voglia di recuperare manualità perdute, lavorare a un progetto concreto, mettere in gioco i propri talenti che, per mille motivi, non trovano altra valvola di sfogo. Ed è proprio il progettare insieme – conclude Aurora –, quello che chiamiamo “riprogettare la città dal basso”, la parola d’ordine che ci deve condurre in questo percorso urbano oggi e negli anni a venire».
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Dal campo alla cucina degli chef di Rosalia Imperato
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foto: Albert Ceolan
L’amore per la terra e i suoi frutti ha spinto numerosi chef a riscoprire il piacere di coltivare verdure e di portarle in tavola appena colte. In questo viaggio su e giÚ per la Penisola vi accompagniamo alla scoperta di ristoranti gourmet dove gustare i sapori genuini e naturali dell’orto
In apertura, l’orto del The Cesar dell’Hotel La Posta Vecchia di Ladispoli. A destra, dall’alto: gli accoglienti esterni dell’Erba Brusca di Milano.
Kilometro zero, sostenibilità, rispetto del territorio e delle stagioni: sempre più re dei fornelli hanno affiancato alla loro cucina un orto, da cui derivano le materie prime che diventano l’ingrediente essenziale per preparazioni sane, piatti originali e tradizionali, serviti nel rispetto della natura. Partiamo dal Naviglio Pavese, al confine tra Milano e la campagna, dove una volta c’erano le marcite e tanta acetosella, volgarmente detta erba brusca. E qui sorge, appunto, il ristorante Erba Brusca – Orto con Cucina, deliziosa novità meneghina che tanto ha fatto parlare di sé (Alzaia Naviglio Pavese, 286 – www.erbabrusca.it). Un locale, quello gestito dalla giovane chef Alice Delcourt, diverso da tutti gli altri, un’oasi insolita dove pranzare all’ombra di un pergolato di fianco alle vasche dell’orto e con la vista che spazia sul verde dei campi. «L’orto – afferma Alice – ci permette di rimanere legati a una dimensione del cibo più immediata, connessa alla stagionalità e alla cura della materia prima». Spostiamoci verso est, sull’isola di Mazzorbo, sita nella parte nord della Laguna veneziana. Lo splendido isolotto ospita l’Antica Tenuta Venissa, Parco Agricolo Ambientale ristrutturato dalla famiglia Bisol, e l’omonimo ristorante gestito da Paola Budel (Fondamenta Santa Caterina, 3 – www.venissa.it). La cucina di Paola omaggia la cultura veneta e veneziana e utilizza i prodotti provenienti dagli orti, i frutteti e la peschiera presenti nella tenuta. «Decido i piatti in base alle materie prime che il territorio offre quotidianamente – racconta Paola – creando un menù che cambia praticamente tutti i giorni e che diventa così un reale chilometro zero».
«Decido i piatti in base alle materie prime che il territorio offre creando un menù che cambia praticamente tutti i giorni e che diventa così un reale chilometro zero» Paola Budel
Gusto fuori porta A picco sul mare, su uno degli scorci più belli della costa laziale, in una villa nobiliare del XVII secolo e sui resti di una struttura romana, sorge La Posta Vecchia, un relais and châteaux che ospita al suo interno il rinomato ristoran-
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te The Cesar (Palo Laziale, Ladispoli – www. lapostavecchia.com). Il ristorante, guidato dallo chef campano Michelino Gioia, offre una cucina mediterranea fortemente incline alla valorizzazione dei prodotti autoctoni. «Nell’orto – ci dice Michelino – trovo spesso l’ingrediente per quel tocco in più: erbe e frutta che sprigionando i loro colori e i loro profumi aiutano a vivere e sentire meglio nel piatto il territorio». Restiamo in provincia di Roma e spostiamoci nella zona dei CastelIn alto, lo chef Paolo Cacciani all’opera nel ristorante di famiglia a Frascati li. Dal 1922, a Frascati, la famiglia Cacciani (oggi ci sono al timone i tre fratelli Paolo, Caterina e Leopoldo) propone una cucina di netta impronta territoriale in gran parte realizzata con le verdure del loro orto, l’olio e il vino prodotto nei loro terreni (Via Diaz, 15 – www.cacciani.it). «Cerchiamo di proporre piatti che rappresentino la tradizione, ma in modo innovativo – racconto Paolo – Penso ad esempio alla carbonara con zucchine in fiore». «Altro elemento distintivo della nostra cucina – continua – è il notevole utilizzo delle erbe aromatiche, che diventano note dominanti nel piatto, personalizzandolo». Nel cuore delle colline romane, immerso nel parco naturale di Labico tra campi di grano e orti, si trova poi il nuovo indirizzo dell’eclettico chef Antonello Colonna: il Vallefredda Resort, non solo ristoSopra, gli esterni elegantemente contemporanei del Vallefredda Resort nel parco naturale di Labico e, sotto, la cantina del ristorante dello “chef verde” Peppe Zullo a Orsara di Puglia rante, ma anche hotel di charme con dodici suite esclusive, piscina e centro benessere (Via di Valle Fredda, 52 – www.antonellocolonnaresort.it). «Quella che proponiamo – afferma Adriano Baldassarre, chef del Vallefredda Resort – è una cucina che non rinnega la sua origine contadina e affonda le «Nell’orto mani nell’orto e nell’aia. Piatti trovo spesso della tradizione ai quali abbial’ingrediente per quel mo sottratto alcuni elementi tocco in più: erbe e frutta che per renderli sempre più sasprigionando i loro colori e i loro lutisti, facendo però attenprofumi aiutano a vivere zione alla consistenza dei e sentire meglio nel piatto sapori e alla fragranza delle il territorio» materie prime». Michelino Gioia
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Rotolando verso Sud A Sant’Agata sui due Golfi, splendida località della Penisola Sorrentina, si trova il ristorante Don Alfonso 1890 della famiglia Iaccarino (C.so Sant’Agata, 11 – www.donalfonso1890. com). Dal 1973 Alfonso e Livia Iaccarino proseguono il loro percorso di ricerca dell’eccellenza. «Per anni ci siamo guardati attorno per trovare prodotti autentici della nostra terra – afferma Livia – Purtroppo però molte varietà di frutta e verdura originarie della zona non esistevano più». «Per noi innovare in cucina è fondamentale – continua Alfonso – ma volevamo farlo mantenendo un’identità ed è per questo che siamo partiti dalla terra. Che non è solo l’orto, ma è un insieme di valori, persone, usi e costumi». Un percorso che li ha portati a diventare anche contadini e a creare Le Peracciole, un’azienda agricola che fornisce materie prime freschissime e di qualità eccellente alla cucina del ristorante: olive, limoni, pomodori, frutta e ortaggi. Concludiamo il nostro viaggio sulle montagne foggiane, a Orsara di Puglia (Via Piana Paradiso – www.peppezullo.it). Questa graziosa cittadina è un po’ il faro delle tradizioni culinarie del territorio, grazie soprattutto alla vulcanica attività di Peppe Zullo. La cucina di questo locale è il risultato di un passo a due tra la terra e Peppe: dagli orti, dagli alberi, dalle viti e dagli oliveti lo chef raccoglie le materie prime eccellenti per creazioni culinarie dai sapori dimenticati (ma indimenticabili).
A lezione di benessere di Isa Grassano Si chiama ortoterapia ed è il rimedio naturale allo stress e ai mali della vita moderna. Imparare a coltivare “materiale vivente” serve infatti a scaricare le tensioni, a fornire stimoli e motivazioni, nonché a sviluppare senso di responsabilità e socializzazione. Così si moltiplicano i corsi per imparare a piantare, conservare e cucinare le verdure. Tra i pionieri Massimo Spigaroli, chef stellato dell’Antica Corte Pallavicina di Polesine Parmense (Strada Palazzo Due Torri, 3 – www.acpallavicina.com), un antico maniero che si specchia sul Po. Tra gli appuntamenti, il 16 settembre, si parlerà di “erbe nel piatto”, dimostrazione/lezione durante la quale si cucineranno in diretta verdure di stagione (quota di partecipazione: 50 euro con prenotazione obbligatoria, comprensiva di lezione-degustazione e visita). Sempre in zona, nel Parco dei Boschi di Carrega, si trova il B&B Il Richiamo del Bosco, a Sala Baganza, sulle prime colline di Parma (Via Capanna, 18 – www.ilrichiamodelbosco.it). Qui, Tiziana Castelluccio, insegnante di Tai Chi, cuoca e naturopata, illustra come seguire un’alimentazione in armonia con i cicli delle stagioni. La data da mettere in agenda? Sabato 17 novembre (100 euro comprensivi di corso, cena, pernottamento e prima colazione). Al B&B di charme Il Sambuco, nella campagna marchigiana, a Morrovalle (Contrada Montanari, 7 – www.sambucomarche.it), la paesaggista Luigina Giordani tiene, per tutto settembre e ottobre, un corso di due ore sul riconoscimento degli ortaggi e sulla coltivazione dell’orto (400 euro per due persone, 2 notti e un corso di 2 ore). E per chi non ha a disposizione un fazzoletto di terra? C’è la possibilità di adottare. È questa la proposta della Cascina Molino Torrine, una piccola azienda agricola a Cavaglià, nel basso biellese, con annesso agriturismo (Via Campi di Giugno, 47 – www.cascinamolinotorrine.com). Si chiama “orto amico” e dà la possibilità di occuparsi di una vera aiuola rialzata con ortaggi, di 2x4 metri. Così, chi vive in città può scappare dallo smog per il weekend rifugiandosi in Cascina (si può usufruire delle funzionalissime casette di legno vicine al bosco). E se una volta adottato l’orto, gli impegni di lavoro o le condizioni meteo non permettono di tornare a Cavaglià per qualche settimana, basta mettersi d’accordo con i titolari per avere la certezza che il proprio terreno sarà comunque “accudito”. Anche l’azienda agricola Terra e Acqua – Cascina Santa Brera Grande, a San Giuliano Milanese, nel cuore del parco agricolo Sud Milano, propone l’orto in affitto. Con una quota annuale (l’importo varia in funzione della dimensione della famiglia che si ciberà dell’orto: una quota ridotta è prevista per i single, mentre i bambini non pagano) gli iscritti possono raccogliere da soli tutte le verdure e la frutta di cui hanno bisogno. Non mancano riunioni periodiche di monitoraggio condiviso delle attività (www.cascinasantabrera.it/adottaorto.html). A Cascina Forestina, sempre nel parco agricolo Sud Milano, raccogliendo in maniera autonoma frutta e verdura si ha invece uno sconto del 30% (Bosco di Riazzolo – www.laforestina.it). Per chi, infine, proprio non ha tempo, oppure non ne vuole saperne di mettere le mani nella terra, è possibile coltivare il proprio angolo di natura comodamente dal computer. Il progetto si chiama “le verdure del mio orto” ed è stato ideato dall’azienda Giacomo Ferraris di Brianzé a Vettigné, nel vercellese (Cascina Pozzolo, 1 – www.leverduredelmioorto.it). Chi si abbona può scegliere l’appezzamento del terreno e le verdure da mettere a dimora. Semplicemente con un click. Il cesto arriva direttamente a domicilio. Senza fatica. settembre 2012
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Tutto in una cassetta
Foto di Chiara Mojana
di Chiara Mojana
Una lettura indispensabile Isa Grassano Il filosofo Immanuel Kant poneva il giardinaggio tra le arti maggiori. È per questo che Massimo Acanfora, giornalista ed editor di Altreconomia edizioni, ma anche ideatore della fiera Fa’ la cosa giusta! (insieme a Umberto Di Maria), ha dato vita a un libro pratico, con tutte le nozioni base per iniziare a coltivare la terra... senza darsi la zappa sui piedi. Massimo, vista la tua esperienza, cosa ci consigli di coltivare in città? Sicuramente le piante che non hanno bisogno di molto spazio: sul balcone si coltivano bene aromatiche, pomodori, melanzane, carote. Ma nessuna verdura è preclusa in un orto urbano. Occorre però ricordarsi che sul balcone la disposizione delle piante dipende da due fattori fondamentali: lo spazio effettivo e l’esposizione alla luce del sole. Alcune piante possono stare anche all’ombra, ma quasi tutte le verdure
hanno bisogno del sole per qualche ora al giorno. Alla fine, cosa c’è di più soddisfacente che dire “questo verde è curato da me”. Perché coltivare non è affatto un’idea del cavolo! E per chi non ha il pollice verde? C’è qualche metodo per non fallire completamente? Iniziare con qualcosa di semplice e che, a breve termine, regali soddisfazione a tavola, come ad esempio basilico e pomodori. Nel libro si possono apprendere le ricette e i segreti per imparare a coltivare ortaggi, frutta e fiori, le tecniche più semplici e sostenibili, la scelta del terriccio e dei contenitori, il calendario delle semine e della raccolta, i rimedi contro le “avversità”. Coltiviamo la città Ponte alle Grazie/Altreconomia 9 euro
Erbe aromatiche, insalata, pomodorini e altri piccoli ortaggi possono crescere bene anche sul balcone, purché questo sia arieggiato e baciato dal sole. Come contenitore si possono usare i classici vasi di coccio, ma ancora meglio è una cassetta per la frutta, “ecochic” oltre che adatta allo scopo. Per la crescita di molte orticole, infatti, conta più la larghezza della superficie a disposizione che non la profondità, spiegano gli esperti dell’Aiab (Associazione Italiana Agricoltura Biologica) che ne promuovono l’utilizzo attraverso incontri e lezioni aperti a tutti (www.aiab. it) e volti a fornire le nozioni di base ai novelli contadini urbani. Primi passi tra amiche Per realizzare il vostro orto, scegliete una bella cassetta di legno, foderatala internamente con un tessuto (un lenzuolo o una t-shirt) e riempitela di buon terriccio umido. Di sicura soddisfazione saranno le insalate da taglio (cicoria, valeriana, rucola, spinaci): seminatele direttamente nella cassetta, mantenete la terra umida e nel giro di qualche settimana potrete già raccoglierle, recidendole e lasciando le radici nella terra, in modo che le foglie possano crescere di nuovo. Buona è anche l’idea di creare una cassetta mista, avendo l’accortezza di scegliere piante “amiche” tra loro, come la carota con la cipolla o il basilico con il pomodoro. Proprio le stesse che saranno poi amiche in cucina! I semi migliori Il successo dell’orto in cassetta dipenderà anche dai semi che userete. Scegliete le varietà più adatte al clima e alla coltivazione in cassetta, come i cavoli, i pomodori ciliegini e i pachino, i peperoni friarielli, i ravanelli a radice tonda, le carote baby... Documentandovi in fatto di sementi, vi si aprirà un mondo. Meritano di essere segnalati quelli di varietà antiche, che potrete contribuire a salvare e che si possono acquistare facilmente on-line o scambiare con altre persone, attraverso siti come www.kokopelli.it e www.seedsavers.org. Si torna a guardar la luna La regola è semplice: in luna crescente si seminano le insalate e tutte le piante che cresceranno sopra la terra; avranno così una maggiore carica energetica e saranno più belle e forti. Al contrario, in luna calante si seminano patate, carote e cipolle e tutte le piante (tuberi, radici, bulbi) che si sviluppano sotto la terra. Di norma, si innaffia al mattino presto per evitare choc termici e perché l’acqua non ristagni, evaporando durante il giorno. Il raccolto potrà essere scarso o abbondante, a seconda di tanti fattori. Ma una cosa è certa: la verdura colta e consumata a “centimetro zero” ha un gusto migliore. Quello della soddisfazione!
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orto dei semplici
I lamponi dell’orto di Barbanera
di M. Pia Fanciulli
Sul finire dell’estate entriamo nell’orto di Barbanera, il luogo dove, nel cuore dell’Umbria, vivono e nascono anche le pagine del celebre Almanacco giunto nel 2012 al traguardo dei suoi 250 anni. Qui il tempo non è scandito dall’orologio, ma dai frutti e dagli ortaggi di stagione. E ogni giorno si ritrovano antichi gesti, ripetuti da secoli contando sull’aiuto della Luna e di una sincera amicizia con fiori d’antan Tante, tantissime verdi amicizie, sono nate quest’estate nell’orto di Barbanera. Zinnia ha fatto compagnia, proteggendoli dai raggi cocenti del sole, ai rossi fagioli che ora si mostrano orgogliosi tra le foglie. Mentre, di giallo vestiti, tagete e calendula si sono dati da fare un po’ ovunque per tenere lontani indesiderati ospiti dalle erbe aromatiche e dagli ortaggi. In questi giorni ci si dedica alle ultime raccolte, quelle che tra profumi e sapori d’ogni genere, si fanno generose, riempiendo i cesti di ortaggi, erbe e frutta, che l’autunno trasformerà in conserve, sottoli, sottaceti. Tutto questo accade a Spello, in Umbria, dove il ciclo dell’anno vive nell’orto delle Stagioni di Barbanera, che qualcuno ha voluto anche chiamare “della saggezza” o “della felicità”. Qui infatti si riscoprono i tranquilli ritmi del tempo, e l’atmosfera è un po’ quella delle abitudini dimenticate, degli orti o dei giardini dove fiori e frutti convivevano felici seguendo i suggerimenti della Terra. Anche perché quest’orto è proprio lì, nello stesso luogo dove nasce l’Almanacco Barbanera. Dove pagina dopo pagina la tradizione entra nelle edizioni, e l’orto giardino si fa maestro, buona pratica e filosofia di vita. Qui, tra il dire e il fare, non c’è più di mezzo il mare, ma si trovano i gesti, i saperi, le conoscenze che dall’Almanacco passano alla terra e dalla terra all’Almanacco. Con un giardiniere d’eccezione, perché la sua esperienza, tra Lune calanti e crescenti, tra metodi naturali – oggi detti bio – e saggi proverbi, vanta ben 250 anni di età (tante sono le primavere della storica edizione!). E passeggiando tra rose galliche, fagioli del tone, zinnie, pere e mele cotogne o pomodoro cherokee purple in estinzione, mentre i fiori della zucca berretta di Lungavilla gareggiano in bellezza con quelli del tagete, si offrono alla vista anche allegri lamponi rosso rubino. Proprio di loro abbiamo scelto di parlare in questo mese di settembre, momento in cui gustarne gli ultimi preziosi frutti, ma anche propagarne per talea le piante. Seguendo i ritmi del cielo e sotto lo “sguardo” attento di kiwi e dalie.
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Coltiviamoli così Il lampone non è certo tra i frutti più comuni da coltivare. Ha bisogno infatti di un clima fresco, tipicamente collinare, anche se con le dovute accortezze potrà dare belle soddisfazioni a tutti.
Il frutto dell’amore Il suo nome scientifico, Rubus idaeus, si deve al rosso dei suoi frutti e al fatto che, come ricorda anche Dioscoride, medico greco, i lamponi erano particolarmente abbondanti sul Monte Ida, in Asia Minore. In Grecia e Italia la coltivazione di questo arbusto perenne della famiglia delle Rosacee, cominciò nel XVI secolo, anche se da sempre vive allo stato spontaneo nelle zone dell’Europa centro settentrionale e nell’area alpina dove cresce nei boschi ombrosi (motivo per cui in Germania è detto “bacca della cerbiatta). Sui suoi rami, che possono raggiungere i 2 metri di altezza, la primavera porta fiorellini bianco rosati e, anticamente, i Cimbri li appendevano a porte e finestre contro le avversità. I suoi frutti invece, che si raccolgono da maggio a settembre, venivano offerti alle donne per propiziarne l’amore. Ma a parte questo, e data anche la sua capacità di favorire la venuta del latte alle puerpere, il lampone, oltreché buono, ha proprietà diuretiche, lassative, astringenti e, proprio come i mirtilli, antiossidanti, ovvero antitumorali.
Cassetta e terriccio Per le piante di lampone, che sono frondosi arbusti, è necessario l’utilizzo di un vaso di almeno 50 cm di diametro, tale da accoglierne il necessario sviluppo. Importante anche collocarlo in posizione soleggiata e al riparo dal vento, con terriccio leggermente acido, che andrà poi arricchito con concimi organici, letame o torba, all’inizio della primavera. Fare attenzione a che la terra non si compatti troppo per evitare dannosi ristagni d’acqua. Il lampone teme la siccità, ma resiste molto bene alle basse temperature. La semina Più che di semina, assai difficile, si deve parlare di trapianto delle piccole piantine, o delle talee, che si farà a fine inverno o all’inizio dell’autunno, quindi a settembre. Le piante si acquistano al vivaio, oppure ci si procurano da piante già esistenti i polloni, che sono lunghi rami che partono direttamente dalla base della pianta. Si prelevano con delle forbici con un taglio netto quando cominciano a ingiallire le foglie. La talea andrà quindi interrata piuttosto in profondità. Quando cresce avrà bisogno di un tutore o di una grata su cui “arrampicarsi”. Si annaffia una volta a settimana, mantenendo il terreno sempre umido, ma senza bagnare fogli e frutti. Punti deboli I lamponi possono essere attaccati oltreché da alcuni acari, anche dalla muffa grigia. Per questo è bene potare la pianta in primavera e rendere più agevole possibile il circolo dell’aria tra i tralci.
Fiori, amici sinceri Capitava un tempo di vedere fiori e ortaggi convivere nello stesso orto. L’effetto era ovviamente molto piacevole alla vista, ma soprattutto funzionale ai raccolti di stagione. Insetti e parassiti possono infatti costituire una vera minaccia, soprattutto quando si è scelto di essere bio, per le nostre piante. Peggio ancora sarebbe tentare di eliminarli ricorrendo ai pesticidi. Anche perché la natura ci mette a disposizione “strumenti” alternativi: esistono delle amicizie tra piante – si chiamano consociazioni – capaci di “confondere” e tenere lontani gli ospiti indesiderati. La calendula ad esempio, piantata accanto a pomodori e cetrioli, terrà lontana la mosca bianca grazie ai suoi petali brillanti. Ci sono poi dei parassiti che riconoscono le piante predilette dall’odore. Ecco allora che le aromatiche quali menta, salvia o rosmarino, li disorienteranno con il loro intenso profumo tenendoli lontani dalle carote. A scoraggiare gli afidi, ad esempio dall’attaccare le zucche, c’è poi il forte odore del tagete, insieme a quello altrettanto efficace di aglio ed erba cipollina.
Buono a sapersi Se si utilizza in casa una stufa a legna o un caminetto, in inverno si disporrà di cenere. Niente di meglio per i buoni lamponi: la cenere sarà per loro un ottimo concime da utilizzare in primavera e in estate. Raccolta e conservazione I lamponi si raccolgono durante tutta l’estate, man mano che maturano, staccandoli dalla pianta con un movimento verso il basso. Per conservarli, meglio prima congelarli separatamente in un vassoio per poi metterli nel sacchetto e di nuovo nel congelatore. Si eviterà così di schiacciarli.
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la pagina verde
a cura di
Legambiente Fondazione e Innovazione
Insieme per un mondo più pulito Era il 1987 quando il velista Ian Kiernan, sconvolto dallo stato nel quale vertevano i mari che si trovava a solcare, organizzò la prima edizione del Clean Up Sydney Harbour Day, divenuto poi Clean Up the World e, da quasi 20 anni, proposto in Italia con il nome di Puliamo il Mondo. La grande iniziativa di volontariato volta alla pulizia di parchi, giardini, fiumi e spiagge torna anche quest’anno. Partecipare è importante, e non solo per l’ambiente: Emilia-Romagna docet 58
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Sono migliaia le persone che da 20 anni, armate di guanti e sacchi neri, si incontrano per Puliamo il Mondo, il più grande appuntamento di volontariato ambientale del mondo, in Italia promosso da Legambiente. L’anno scorso oltre 700mila volontari si sono attivati in 1.600 comuni per ripulire strade, piazze, parchi e sponde dei fiumi di oltre 4.500 località, per un totale di oltre 70 mila sacchi riempiti con ogni genere di rifiuti e 200 container di ingombranti. Quest’anno l’iniziativa parte il 28 settembre per terminare il 30: un lungo week-end in cui strani omini vestiti di giallo – con pettorina e cappellino di Legambiente – saranno al lavoro per ripulire dai rifiuti spiagge, grotte, strade e anfratti di città dove il cittadino maldestro butta di tutto, dalle lavatrici ai sacchetti della spesa, da scheletri di motorini bruciati a pneumatici,
dai mobili a sostanze non meglio identificate. In 20 anni di Puliamo il Mondo se ne sono viste delle belle e per il 2012 c’è già chi si sta attrezzando per ripulire al meglio centinaia di località italiane: a Venezia, grazie all’adesione dell’amministrazione comunale, i sub ripuliranno il Canal Grande; al III municipio di Roma penseranno invece alla pulizia di Villa Torlonia, mentre in Lombardia studenti e volontari si daranno da fare lungo i corsi d’acqua, in particolare Bozzente, Lura e Lambro. Lì i volontari riceveranno kit specifici per essere attrezzati alla pulizia delle aree scelte. E non solo i privati cittadini, ma anche le aziende scendono in campo: sabato 29 settembre, per esempio, 50 dipendenti della Findus puliranno la zona della spiaggia di Capocotta, in provincia di Roma, in collaborazione con il circolo Litorale Romano di Legambiente.
In queste immagini, il degrado nel quale vertono molte località naturali e i volontari di Puliamo il Mondo all’opera. Tra i ragazzi australiani, a sinistra, anche Ian Kiernan
Il buon esempio emiliano Il comune di Vigarano Mainarda, in provincia di Ferrara, parteciperà per il quinto anno consecutivo a Puliamo il Mondo: un’adesione non scontata quella del 2012, per via del sisma che ha colpito l’EmiliaRomagna a fine maggio e che non ha risparmiato questo piccolo Comune. La voglia di ripartire, assieme ai bambini delle scuole, anche attraverso la pulizia del Parco Rodari e della ciclabile di via Rondone, è più forte delle difficoltà! La merenda conclusiva dell’iniziativa sarà, quest’anno più degli altri, oltre che un momento di svago dopo il duro lavoro di pulizia e ripristino delle aree verdi, anche un modo per rinsaldare i legami all’interno della comunità segnata dal sisma.
Un’idea che ha fatto il giro del mondo Puliamo il Mondo è conosciuta a livello internazionale come Clean Up the World, una delle maggiori campagne di volontariato ambientale nel mondo. Con questa iniziativa vengono liberati dai rifiuti e dall’incuria i parchi, i giardini, le strade, le piazze, i fiumi e le spiagge di molte città del mondo. La campagna ha avuto origine dalla collaborazione tra Clean Up Australia e l’UNEP (United Nations Enviroment Programme), legate dal comune obiettivo di estendere su scala globale quanto proposto dall’iniziativa Clean Up Sydney Harbour Day, realizzata in Australia nel 1989. Clean Up Sydney Harbour Day e, successivamente, Clean Up Australia sono stati ideati dal costruttore e velista australiano Ian Kiernan che, nel 1987, navigando attraverso gli oceani con la sua barca a vela, fu impressionato e disgustato dall’enorme quantità di rifiuti che incontrava ovunque andasse, anche nelle aree più incontaminate come il Mar dei Sargassi nei Caraibi. Nel 1990, sull’onda di quello che fu un grande successo, venne mobilitata l’intera nazione nella prima giornata di Clean Up Australia, che registrò una partecipazione di oltre 300 mila volontari. Nel 1993, Clean Up Australia coinvolse altri paesi nella sua campagna di impegno per la tutela dell’ambiente, dando vita alla prima edizione di Clean Up the World. Dal 1993, Legambiente ha assunto il ruolo di comitato organizzatore in Italia ed è presente su tutto il territorio nazionale grazie all’instancabile lavoro di oltre 1000 gruppi di “volontari dell’ambiente”, che organizzano l’iniziativa a livello locale in collaborazione con associazioni, comitati e amministrazioni cittadine.
Come diventare volontario
Se vuoi testare il tuo indice di coinvolgimento ambientale prova a calcolarlo su www. chissenefregadellambiente.com: se il risultato fosse sconfortante allora è proprio tempo di rimboccarsi le maniche e fare un po’ di pulizia nel tuo territorio. Per partecipare: www.puliamoilmondo.it
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Baglio Oro Sede: Via delle Sirene, 17 – Marsala (Tp) Cantina: Contrada Perino, 235 – Marsala (Tp) Tel/Fax. 0923 967744 - Mob. 3299848243 / 3339177043 www.bagliooro.it
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Le erbe selvatiche A lungo dimenticate, oggi stanno godendo di rinnovata fortuna. Cicoria, camomilla, luppolo e convolvolo: vi spieghiamo cosa farne
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Grana lodigiano e Raspadura Prima ancora del Parmigiano e del Padano, c’era lui, il formaggio vestito di nero. Che oggi è tornato a nuova vita grazie a Bella Lodi
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Il rito dell’aperitivo a Genova Anche a settembre la città ligure offre ai buongustai tante occasioni per assaggiare pesce fresco e un buon vino bianco gelato
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La scoperta Il buono a tavola La storia in cucina Chef italiani nel mondo Il ristorante
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Tra i segreti delle erbe spontanee
Lo sapevate che la camomilla, oltre alle ben note proprietà calmanti, è un ottimo rimedio contro la febbre? E questa è solo una delle infinite proprietà poco note delle piante spontanee che abitano, e spesso infestano, campi e prati. La loro presenza è indice di terreni incontaminati e, utilizzate in infusi, minestre e contorni, danno un sapore insolito ai soliti piatti e sono un toccasana per la salute di Riccardo Lagorio Di erbe spontanee l’uomo si è nutrito per millenni. Insieme agli animali selvatici (uccelli, pesci e ovviamente mammiferi) le erbe raccolte hanno costituito i menù dei nostri antenati, almeno sino all’arrivo dei diserbanti e delle colture intensive. Di questa pratica fece le spese il silfio, pianta della Cirenaica estinta per l’insaziabilità dei Quiriti, che la utilizzavano in cucina (notissime sono le ricette di Apicio in cui il silfio è materia prima indispensabile), ma anche come rimedio per curare la tosse, la febbre e persino le verruche. Malgrado sia venuto meno l’utilizzo diffuso delle erbe selvatiche come mensa o rimedio naturale per acciacchi più o meno pesanti, la letteratura divulgativa degli ultimi anni ha messo in circolazione numerose informazioni sulle loro proprietà. Così è rinato per esempio l’interesse nei confronti della valerianella e della cicoria per gustose insalate primaverili, o magari in concorso con caccialepre e piattello per salutari minestre. Ma non solo: il mondo delle erbe spontanee infatti è ricco, vario e riserva sorprese inaspettate.
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Terapie verdi «Esistono vere e proprie erbe toccasana come il convolvolo» ci spiega Rosalba Provera de Il Mondo delle Erbe, Azienda biologica di Torino (Tel. 011796308). «Pianta perenne, alta da uno a cinque metri, dal fusto volubile e rampicante, il convolvolo ha foglie grandi e a forma di cuore. I suoi fiori sono diffusi un po’ ovunque in Italia e si riconoscono per la grande corolla bianca a forma d’imbuto. Viene considerata una pianta infestante, ma in verità, se se ne fanno bollire le foglie e le si tengono in infusione per almeno una decina di minuti, si può utilizzare come tisana depurativa. Oppure si può fare essiccare all’ombra in un luogo ventilato. Taluni lo utilizzano anche come lassativo e per migliorare l’attività del fegato lasciando in acqua bollente almeno dieci minuti una dozzina di grammi di foglie». Anche la celebre camomilla nasconde doti ignote ai più. «Non serve solo come calmante. Lasciandola almeno un’ora in infusione, in modo che se ne estraggano tutti i principi attivi, è un ottimo rimedio contro la febbre», continua la dottoressa Provera. Utilizzato contro le impurità della pelle come decotto, ma raccolto anche per farne misticanze in tutto il CentroNord, è poi il favagello, solitamente considerato una pianta ornamentale. L’arte di curarsi con le erbe necessita però anche particolari accortezze. Come nel caso delle foglie d’ulivo, notoriamente usate per abbassare la pressione minima, che però «non devono essere spezzate – sottolinea Rosalba Provera – perché altrimenti perdono almeno il 60% delle loro proprietà».
L’ingrediente in più Un’altra erba molto comune, specie nel Nord Italia, dove prende diversi nomi – tra i quali ricorrente è luertìs –, è il luppolo selvatico. Pur non avendo particolari proprietà nutritive, possiede un gusto assai ricercato. La raccolta avviene tra aprile e giugno: i germogli vengono utilizzati nelle frittate o nei risotti, ma anche scottati in acqua bollente e conditi con olio, sale e limone. Sono ottimi anche nelle minestre di farro o legumi. Considerata talvolta infestante settembre 2012
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Le erbe selvatiche stanno godendo di una rinnovata fortuna. A lungo dimenticate, oggi si utilizzano per cucinare ma anche per curare con rimedi naturali i piccoli acciacchi
In questa pagina: in alto, la celebre camomilla. Sotto: un risotto al luppolo selvatico e un’insalata di valerianella
e aborrita per il suo essere irritante, anche l’ortica è un eccellente ingrediente per le minestre di legumi e cereali, e i giovani getti possono essere sbollentati, tritati e impastati nella sfoglia per ottenere tagliatelle e lasagne verdi.Assieme agli strigoli e ai germogli di barba di capra se ne fanno ottimi risotti nelle aree collinari e montane del Nord Italia. Qui, assai diffusa nella preparazione di minestre e nella farcitura di torte salate è anche la borragine, che invece in Sicilia viene semplicemente bollita e consumata con dell’olio extravergine d’oliva a crudo. Retaggio di un diffuso utilizzo delle erbe spontanee è poi la preparazione di un raro formaggio lucano, il casieddu di Moliterno, cittadina nota per il pecorino ivi prodotto.Al latte caprino, portato alle soglie della temperatura di bollitura, prima di essere cagliato vengono aggiunte foglie di nipitella, un’erba dall’aroma simile alla menta che conferisce il caratteristico gusto a questo formaggio a forma di piccole sfere che vengono avvolte in foglie fresche di felci legate da steli di ginestra. La nipitella viene utilizzata per aromatizzare carne, pesce e soprattutto carciofi, e 64
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anche in erboristeria per tisane rinfrescanti e digestive. Tra le erbe che invece sono salite agli onori delle cronache solo da qualche anno c’è l’alliaria, che raccoglie in sé le virtù del cavolo e dell’aglio (sfregandone le foglie se ne riconosce l’intenso profumo) e che si consuma preferibilmente cruda in insalata. Dà pure lo stesso gusto dell’aglio alle pietanze, ma senza sgradevoli controindicazioni, l’aglio orsino, diffuso in Sud Tirolo e Trentino e impiegato assieme a prezzemolo e salvia per insaporire le patate lessate. Se ne fa anche un pesto con le foglie, aggiungendovi mandorle e amalgamando con olio extravergine d’oliva. Nelle campagne intorno a Fasano, nel Brindisino, c’è chi raccoglie la sporchia, come Raffaele Italiani (Tel. 0804421853). «Anche se è considerato il parassita vegetale dei piselli, ma soprattutto delle fave, questa infestante è l’esempio più palese di quanto possa essere utile per noi contadini la creazione di un ecosistema stabile e complesso». Dal gambo rosato e con il pennacchio più chiaro, della sporchia Italiani consuma la parte terminale che va tenuta per due giorni in acqua fresca e poi sbollentata; la strizza e la frigge in pastella oppure la consuma come una qualsiasi verdura bollita. «I nostri avi dicevano che fosse ottimo per la depurazione epatica» aggiunge Raffaele Italiani, concludendo: «queste erbe infestanti sono anche la dimostrazione che nei nostri campi non usiamo anticrittogamici e diserbanti». Propaganda che non ha bisogno di ulteriori prove.
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Vien da Lodi il padre di tutti i “Grana” Lo sosteneva Boccaccio e lo ribadì Casanova: prima ancora del Parmigiano Reggiano e del Grana Padano, e antenato di entrambi, il Granone Lodigiano allietava le mense di monaci (che lo producevano) e di Signori come gli Asburgo. Oggi, quello stesso sapore, con gli stessi metodi artigianali e la stessa cura per la materia prima, lo ritroviamo nel Bella Lodi: il formaggio dalla crosta nera fatto – come solo pochi altri Grana – senza lisozima e conservanti di Piero Caltrin
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A destra un’immagine di Casaletto Ceredano (Cr) e un piatto condito con la Raspadura. Per ottenerla il casaro sfoglia a mano, con una lama speciale che crea soffici veli lunghi e compatti, giovani forme di Bella Lodi (in apertura)
In principio era un lago: il Gerundo. Un antico specchio d’acqua situato tra i fiumi Adda e Serio, a cavallo delle odierne province lombarde di Lodi e Cremona, ai tempi in cui la Pianura Padana era null’altro che un’immane distesa paludosa. Sull’esistenza del Gerundo, tuttavia, non si ha il conforto di fonti scritte e di quel lago, abitato secondo la fantasia popolare dal sanguinario drago Tarantasio, non v’è più traccia da secoli. Da quelle parti però, ancora oggi amano raccontare che la tradizione agricola della Bassa Lombarda sia nata, indirettamente, dalle sue acque limacciose. Grazie ai monaci cioè delle venerabili abbazie cistercensi che durante il Medio Evo arrivarono in queste terre e ne bonificarono le paludi insegnando agli abitanti a praticare l’agricoltura servendosi proprio del lago per fini irrigui. Ancora oggi, il sistema di canali sviluppato dai cistercensi intorno all’anno Mille viene utilizzato per l’irrigazione delle campagne. Col passare dei secoli, in queste contrade di Lodi dai confini incerti (tuttora spesso si confondono natali lodigiani e origini cremonesi) la pratica agricola, sempre per merito dei religiosi che lavorarono sodo per perfezionare antiche ricette, si finalizzò alla produzione del latte.
Il più antico di tutti i Grana Se il fantomatico lago Gerundo abbia influito o meno sullo sviluppo delle produzioni agricole e zootecniche della Bassa Lombarda, non è dato sapere. Quel che è certo è che dopo la bonifica del territorio, mani sapienti e menti ingegnose resero in breve il Lodigiano famoso per lo squisito formaggio lasciato invecchiare per anni nelle latterie annesse alle stalle e che molti indicano come il vero capostipite dei Grana, i grandi formaggi a pasta dura nati mille anni fa nelle valli del Po e così chiamati per la loro caratteristica consistenza granulosa. Una supposizione storica, quella che incorona il “Granone” Lodigiano come il più antico nel suo genere, avvalorata anche da autorevolissime fonti letterarie come il Boccaccio, che nel suo Decamerone spiega come il Parmigiano-Reggiano in realtà abbia quale progenitore un formaggio lodigiano, o come
Giacomo Casanova, il quale, nelle sue memorie settecentesche, osserva ancor più deciso che “il nome ‘Parmigiano’ è un termine improprio dato che il formaggio è prodotto nella città di Lodi e non di Parma”. A partire dall’Età di Mezzo, dunque in concomitanza con la bonifica delle terre laudensi eseguite dai monaci dell’Abbazia di Cerreto, le testimonianze storiche sul Grana Lodigiano abbondano. E ci raccontano che questo formaggio fatto col latte delle mucche allevate in quella terra, di colore bianco e dal sapore profumato e deciso, già a quei tempi era il “re dell’export locale”, facendosi apprezzare in Germania, in Inghilterra e nelle Fiandre dove a portarlo, in occasione di mercati e di fiere, erano i mercanti lombardi. Da lì il successo del Grana Lodigiano non si è più fermato, attraversando indenne epoche storiche e dominazioni di ogni schiatta, buon ultima quella degli Asburgo (che settembre 2012
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Qui sopra, la raspadura. A destra una fase della lavorazione del Bella Lodi, formaggio preparato senza l’uso di additivi o conservanti di cui all’anno vengono prodotte 60mila forme
Un formaggio… della Madonna Nella millennaria storia del Granone Lodigiano c’è persino un miracolo, la cui più viva testimonianza è racchiusa nel piccolo Santuario della Madonna delle Fontane, vicino all’Abbazia del Cerreto, dove si respira ancora un’atmosfera intrisa della bellezza e della serenità dei tempi antichi. Ed anche la statua della Madonna che vi alberga, è speciale. La Vergine è seduta infatti su alcune forme di Grana nero e la stessa statua è spesso definita “la Madonna Nera”. La storia racconta che nel 1864 un carro trainato da cavalli e pieno di forme di Grana nero ebbe un terribile incidente sulla strada del mercato. Il carro si rovesciò, e i formaggi sbalzati dall’urto ricaddero addosso al conducente che tuttavia riuscì a rimanere miracolosamente illeso. In onore di questo miracolo, venne commissionata appunto la realizzazione di una statua della Madonna seduta sul caratteristico formaggio lodigiano a crosta nera. 68
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regnarono sulla provincia lombardo-veneta di Lodi e Crema fino al 1859) nel corso del cui impero il formaggio di latte vaccino fatto “all’uso lodigiano”, come si diceva all’epoca, visse il suo periodo di massimo fulgore, andando a identificare, assieme al burro e ai salumi, la stessa gastronomia della città fondata in origine dal Barbarossa.
E il Granone si mise l’abito da sera Un lascito gastro-culturale, quello dei frati cistercensi alla Bassa Lombarda, che, a differenza del lago Gerundo, non è andato perduto col trascorrere dei secoli. Anzi. La storia moderna del Granone Lodigiano (ri)parte, agli inizi del secolo
scorso, di nuovo da loro, dai monaci provenienti dalla Francia, o meglio da una loro “grangia”: è infatti sull’antico chiostro religioso di Casaletto Ceredano consacrato al rito del lavoro che metterà gli occhi e le mani il cavalier Emilio Bonizzoni, “patron” di un caseificio destinato ben presto a primeggiare nella trasformazione dell’ottimo latte locale in prodotti di grande rinomanza, tra cui spicca proprio il Grana “nero”, il formaggio di latte vaccino che abbiamo visto accompagnare la storia del Lodigiano e che, in quegli anni, comincerà ad essere presentato in “abito da sera”, con una crosta nera cioè che lo farà diventare, nel tempo a venire, un vero e proprio must. Dai Bonizzoni infatti la proprietà del caseificio passerà, negli anni ’50, alla famiglia Pozzali, tre fratelli casari che dalla vecchia cascina di Lodi in cui avevano cominciato l’attività, si stabiliscono a Casaletto (che in realtà ricade in provincia di Cremona, a riprova di quella commistione assai difficile da distinguere tra le due province) portandosi dietro i successi già ottenuti con il Grana “nero”. E che li porteranno – dopo un breve periodo d’oblio nel quale il grana “con la goccia”, per le lacrime di siero che permangono anche dopo mesi di stagionatura, ha rischiato di scomparire dal panorama caseario lombardo e nazionale – nel solco della qualità tracciato anticamente dai cistercensi in quel quadrato di terra, a una dimensione internazionale raggiunta grazie a quello che è, a tutt’oggi, il prodotto di punta di una storia ormai centenaria, ovvero la specialità casearia “Bella Lodi®”, il vecchio Grana Lodigiano riproposto con un nuovo nome ma nel tradizionale look total black, diretta e inconfondibile eredità del passato.
Così nascono i sapori del Bella Lodi Il lavoro fatto dai Pozzali nell’ultimo mezzo secolo è sotto gli occhi di tutti: il cuore della produzione casearia è rimasto all’interno della storica corte, ma le fasi successive sono state trasferite alla luce dell’espansione verticale dell’azienda. A governare la lavorazione, che avviene ancora oggi con caldaie in rame, affioramento naturale e spinatura a mano, c’è uno
scrupoloso Disciplinare di Produzione, il cui assolvimento è certificato da un organismo internazionale indipendente. A dispetto della sua crosta nera, la pasta di Bella Lodi è insolitamente bianca, con rade variazioni stagionali. È naturale e genuino, ad alta digeribilità, adatto a tutti, bambini, anziani e intolleranti al lattosio. L’aroma è caldo con un profumo intenso. Il gusto, non troppo salato né troppo forte, lo rende un formaggio da tavola eccellente. Per farlo, ogni giorno, nel Parco dell’Adda Sud, a Casaletto Ceredano, arriva fresco il latte di 30 aziende agricole del cremasco e del lodigiano (una filiera racchiusa nel raggio di 30 km) per esser trasformato, senza l’uso di additivi o conservanti ma con il rigore della tradizione, in 60 mila forme di grana all’anno, sotto l’occhio vigile dei casari che sorvegliano il tutto, come la delicata fase della spinatura, o rottura del caglio a mano. Una volta raggiunta la densità adeguata, il formaggio – una cinquantina di chili – viene sollevato con una pala di legno e fatto affiorare. Due casari intervengono per dividerla e raccogliere le due metà in garze di lino. Effettuata la strizzatura la forma viene lasciata riposare e gocciolare. Successivamente viene collocata in contenitori cilindrici e girata ogni quattro ore. Poi lo spostamento in un ambiente dedicato per l’asciugatura e quindi l’avvio alla stagionatura. Questa fase avviene a Trescore Cremasco (Cremona), presso l’altra sede dell’azienda Pozzali, dove avviene anche la tinteggiatura della crosta con colori naturali in omaggio alla tradizione lodigiana della cappatura, un tempo effettuata con una miscela di argilla (terra d’ombra ocra), olio di vinaccioli e carbone di legna o fuliggine. Dopo almeno 18 mesi, le forme così ottenute vengono spedite per essere apprezzate in tutto il mondo, dal Nordamerica alla Scandinavia al Giappone.
Raspadura: sottili sfoglie di tradizione Sfogliate a mano da un casaro esperto con una lama speciale che crea soffici veli lunghi e compatti, le giovani forme di Bella Lodi – che per sprigionare aromi caldi e vigorosi e accarezzare
La tinteggiatura della crosta avviene con colori naturali. Un tempo era effettuata con una miscela di argilla, olio di vinaccioli e carbone o fuliggine
A dispetto della sua crosta nera, la pasta di Bella Lodi è insolitamente bianca, con rade variazioni stagionali
il palato con quel sapore pieno, hanno bisogno di un paziente affinamento – ci regalano quindi un altro dei cult della Bassa Lombarda: la Raspadura, un prodotto unico e raro dall’aspetto assai scenografico e dal gusto altrettanto suggestivo che nel finger food esalta antipasti o aperitivi facendosi associare a salumi, noci, funghi e insalate; ma può anche impreziosire piatti di carne o risotti o finanche “ballare da sola” travestita da snack. Eh sì, il mondo è cambiato parecchio dai tempi dei frati cistercensi, ma a Casaletto Ceredano, almeno sul piano della tradizione casearia, non sembrano essersene accorti. Per saperne di più: www.bellalodi.it settembre 2012
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Genova da bere di Anna Orlando
Ostriche da gustare tra le barche del porto, isolate terrazze che ti fanno sentire in mezzo al mare, acciughe fritte da spizzicare coi piedi nell’acqua. È l’aperitivo visto dai genovesi. Scegliere l’indirizzo giusto però non è facile. E allora, scopriamo insieme questi angoli nascosti di mediterraneo urbano Liguria Genova
La città si presta, affacciata com’è su oltre 40 chilometri di costa. Eppure, sorseggiare un calice di vino fresco o un drink e pranzare all’aperto in un posto che abbia almeno un carattere e un suo sapore genuino, non è poi così scontato a Genova. Non basta avere il mare in faccia: ci vuole stile, qualsiasi esso sia, perché un tramonto non strida troppo con i modi scontrosi di chi ti serve o con il cattivo gusto di una mise en place raffazzonata. E i posti “giusti” spesso sono nascosti, come altre chicche di una città dove regnano ritrosia e understatement. Una volta scovati, però, sono fantastiche sorprese. Dal locale trendy e modaiolo, a quello più spartano all’insegna di una normalità autentica, ecco alcuni indirizzi per vivere al meglio le ore di questo crepuscolo genovese di fine estate.
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Un drink vista mare Nell’area del Porto Antico, dove l’Acquario attira migliaia di turisti, ci pensa il Banano Tsunami a scampare alla banalità. Non spaventatevi per il nome improbabile. «È nato un po’ per caso una decina d’anni fa» racconta sorridendo Nicola, il barman trentenne dal look rasta con gli occhi pieni di luce. Quel punto del molo affianco al Bigo – avveniristica struttura progettata da Renzo Piano per le Colombiadi del 1992 – è una location sensazionale: ti trovi in mezzo alle barche, e luci e colori cambiano a ogni ora del giorno. Per l’aperitivo il via vai aumenta fino a notte, quando si balla anche oltre le 3. Poco lontano, alla Vecchia Darsena dove ancora ormeggiano dei pescherecci insieme al grande sommergibile Nazario Sauro, si trova l’Indarsena Oyster Bar. È l’unico bar à hiutre a Genova, che in inverno arriva a servire fino a 30 varietà di ostriche. Il “Gagge” lo ha aperto quattro
In apertura il Banano Tsunami (qui, in alto, il barman Nicola) con, sullo sfondo, la Sfera progettata da Renzo Piano per l’Acquario
Il Porto Antico con i suoi pescherecci, le luci e i colori che cambiano a ogni ora, è il contesto perfetto per bersi un bicchiere di Bianchetta in compagnia
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cibo&territorio
Anche a settembre Genova offre ai buongustai tante occasioni per assaggiare pesce fresco e vini tipici a pochi centimetri dal mare con le onde che fanno da sottofondo alle chiacchiere
anni fa. Ha imparato a conoscere l’universo gastronomico legato a questo prezioso crostaceo direttamente in Francia, da dove gli arriva due volte la settimana. Lo sanno i clienti affezionati che provengono da Liguria, Toscana e basso Piemonte. Pur nella semplicità di una banchina portuale che conserva l’eco del suo fascino originario, questo locale regala una proposta davvero raffinata: non solo ostriche ma anche crostacei e pesce fresco. Abbinati a un vino reperibile solo in ambito locale: la Bianchetta genovese. Caratterizzata da un alto grado di acidità, è una Doc poco conosciuta altrove, prodotta solo in questa provincia.
In queste immagini alcuni suggestivi scorci genovesi all’ora dell’aperitivo. Nella pagina successiva la centralissima Piazza De Ferrari
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Verso Levante Spostandosi dal centro, l’area di Corso Italia fino a Boccadasse e Vernazzola è tutta un susseguirsi di stabilimenti balneari. La vacanza “al mare in città” a Genova è possibile, ma per l’aperitivo conviene scegliere il meglio. Per esempio fermarsi a salutare Bruna, una donna con grande esperienza nel campo dell’enogastronomia, dotata di un severo attaccamento al concetto di qualità. Accoglie i suoi amici, e gli amici degli amici, all’Uno Viale Sauro: una terrazza lontana dal caos dove la vista si proietta al largo, come essere in mezzo al mare. E il bar sembra una plancia di comando. Dietro il banco sorride Isabel, messicana, che prepara tortillas Doc.
Intensi profumi liguri A Nervi, in passeggiata, il miglior locale per assaggiare le acciughe fritte è il Blue Marlin, un piccolo stabilimento gestito da Marco e Alice, paladini di uno stile easy e friendly, senza alcuna pretesa, ma con dei tavolini pieds dans l’eau e una roccia bianca che si aggiudicano solo i primi ad arrivare. Le acciughe le servono calde, appena fritte, dentro un cartoccio a forma di cono, nel più classico dei modi. Attenzione: non sono quelle impanate e cotte intere, ma quelle aperte. Non le trovate dappertutto perché la preparazione è più laboriosa. È un pesce locale e molto economico e il suo valore sta proprio nella freschezza, nella cura e nel tempo dedicato a prepararlo. A Bogliasco, è Willy, nel suo Blue Bay, a essere innamorato del proprio angolo di mare e scogli; fa di tutto perché se ne innamori chiunque arrivi. Si pranza o si beve, dal cocktail ricercato a un semplice Pigato, a pochi centimetri dal mare. A Sori infine, Nadia, nel suo Bar della Piscina, cucina come a casa propria ormai da quattro anni, fino a tarda sera. Solo pesce freschissimo che le portano un paio di pescatori di Camogli, condito con olio e limone, poche erbe aromatiche e la verdura che le recapita, a seconda di quel che raccoglie, una contadina di Sant’Apollinare, sulle alture proprio lì sopra. Nulla di modaiolo neanche qui, ma tanto intenso profumo di Liguria.
Scelti per voi Banano Tsunami Piazza delle Feste Genova Tel. 0102470945 Indarsena Oyster Bar Calata Andalò Dinegro, 4 Genova Tel. 3477139020 Uno Viale Sauro Viale Nazario Sauro, 1 Genova Tel. 3472773118 Blue Marlin passeggiata Anita Garibaldi, 12 Nervi (Ge) Tel. 3292256666 Blue Bay Via Antica Romana, 9 Bogliasco (Ge) Tel. 3662457460 Bar della Piscina Via Marinai d’Italia Sori (Ge) Tel. 3355950423
Un classico aperitivo genovese sono le acciughe fritte, rigorosamente freschissime, servite aperte dentro un cartoccio a forma di cono
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la scoperta
Arriva a maturazione tra settembre e ottobre questa leguminosa tipica dell’alto Lazio dal gusto delicato e piacevole, sulla quale però non si sono ancora accesi i riflettori della ribalta e viene quindi coltivata per l’esclusivo uso familiare. Se passate da queste parti, assaggiatela condita con poco olio extravergine d’oliva. Saprà stupirvi in tutta semplicità
Nella foto in basso, il bel borgo di Labro, in provincia di Rieti
Labro
Lazio
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di Riccardo Lagorio
Gentile, come il fagiolo di Labro In cima a un colle che si erge sulla Valle del Fuscello e il Lago di Piediluco, il borgo di Labro è stato recentemente fatto rivivere grazie all’intervento dell’architetto Ivan Van de Mossevelde, riportando a nuova vita case e palazzi nobiliari, strade lastricate e viottoli. Una perla di urbanistica medievale giunta fino a noi grazie anche alla caparbietà dei meno di 50 abitanti che non hanno mai abbandonato il centro storico. Nei pendii intorno, su terreno dal substrato calcareo di tipo alluvionale e dal clima caratterizzato da sensibili escursioni termiche stagionali con discreta umidità, vengono da seco-
li coltivati i fagioli gentili, selezionati naturalmente nel sito di coltivazione, fino ad acquisire una naturale resistenza alle patologie. Spopolato il centro storico e abbandonate le terre, la coltura del fagiolo gentile è oggi destinata esclusivamente al consumo familiare, anche se l’area potenzialmente utilizzabile sarebbe ben più vasta, coincidendo con tutta la località Valle Avanzana. La semina, a cavalletto, viene effettuata intorno alla metà di maggio (tradizionalmente il giorno 12, in coincidenza con la festa di San Pancrazio, Patrono di Labro) mentre la maturazione e la raccolta avviene a cavallo tra i mesi di settembre e ottobre. Il seme viene essiccato al sole e conservato in luoghi bui, asciutti, freschi e aerati. La coltura viene condotta senza l’ausilio di fertilizzanti chimici. Oltre a possedere un gusto delicato e piacevole, il fagiolo gentile di Labro si distingue anche per altre caratteristiche. Dopo la cottura, che avviene in tempi brevi a fuoco lento, rimane integro e alla degustazione non si percepisce la presenza della buccia, che è elastica. La pasta risulta cremosa e vellutata. Si tratta di elementi che lo rendono particolarmente utile alla ristorazione. Dall’aspetto reniforme, si presenta di colore crema chiaro uniforme. Per assaporarlo al meglio, va degustato semplicemente condito con poco olio extravergine d’oliva.
Il buono a tavola
di Antonio Romeo docente Istituto
Alberghiero IPSSEOA di Soverato (Cz)
Cipolle ripiene
La cipolla è un bulbo conosciuto sin dall’antichità, viene usata come aromatizzante nei condimenti, ma può essere consumata sia cotta che cruda. Ingredienti: 12 cipolle 500 gr di carote 1 cl di latte 50 gr di formaggio grattugiato 1 mazzetto di olio extravergine d’oliva sale q.b. Preparazione Pulire le cipolle, tagliare le calotte superiori e cuocere a vapore. Pulire le carote e cuocerle in acqua bollente e salata. Scavare leggermente le cipolle e mettere da parte la polpa. Frullare le carote insieme al latte, il formaggio grattugiato, la polpa delle cipolle e l’olio d’oliva. Salare. Farcire le cipolle con il composto e richiuderle con la calotta. Cuocere a vapore per 10 minuti.
Melanzane e cannellini stufati
La melanzana è un frutto originario dell’India. È molto coltivata in Italia soprattutto nel meridione. Il nome deriva dall’italiano medievale che spesso premetteva ai nomi stranieri di frutta e verdura la parola “mela” (melagrana, melacotogna). Verdura prettamente estiva e ricca di ferro, è un ottimo alimento dietetico per l’assenza di grassi.
Nel piatto, i frutti di Madre Terra Questo mese in pentola bolle la natura. Per voi, ricette fresche realizzate con i prodotti dell’orto, facili da coltivare e cucinare. Cipolle, carote, melanzane, erbette aromatiche: per dare il benvenuto all’autunno in tutta salute
La scoperta dell’agricoltura, in epoca preistorica, ha modificato le abitudini dell’uomo e lo ha costretto a cambiare il modo di sentire la vita. Dev’essere stato straordinario scoprire che la terra è come un grande ventre materno, dal quale, attraverso un seme, nascono frutti, verdure, fiori che con tocco sapiente si possono trasformare in raffinati tortini, croccanti fritture e morbide creme, preziosi per la sussistenza e la salute senza dimenticare il piacere del palato. Coltivare è un gesto antico che ha permesso all’uomo di vivere. Per noi oggi è la riscoperta delle tradizioni rurali e la necessità di insegnare ai nostri figli a essere consapevoli, a mangiare sano e a non perdere il contatto con la natura. La crescente attenzione per la salute e il rispetto per l’ambiente hanno creato le basi per lo sviluppo dell’agricoltura ecocompatibile e la sana curiosità di coltivare la terra. L’estate poi è la stagione in cui gli orti si vestono a festa: lembi di territorio che le
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Ingredienti: 6 melanzane medie 200 gr di fagioli cannellini 2 spicchi di aglio 2 rametti di timo 3 cipolle 1 mazzetto di prezzemolo 2 dl di olio extravergine d’oliva pane tostato sale grosso sale q.b. Preparazione Lasciare i fagioli in ammollo per una notte. Cuocerli in abbondante acqua salata. Cuocere le melanzane e due cipolle in forno su un letto di sale grosso con tutta la buccia. In una padella scaldare l’olio e far rosolare l’aglio, aggiungere le melanzane e le cipolle pulite e sfilettate, le foglioline di timo, i fagioli. Condire con olio e basilico. Servire con fette di pane tostate.
Carote con miele e mandorle
Il miele, sostanza alimentare zuccherina prodotta dalle api operaie che suggono il nettare di fiori e piante, è conosciuto sin dall’antichità e usato nei condimenti o come sostanza dolcificante. Al miele era attribuito anche un valore religioso: il credo popolare lo riteneva rugiada celeste. Ingredienti: 500 gr di carote 1 cucchiaio di miele millefiori 1 cucchiaio di aceto di vino bianco 1 spicchio di aglio 1 cucchiaio di mandorle sfilettate 3 rametti di timo fresco 3 cucchiaio di olio extravergine d’oliva sale q.b.
Preparazione Pulire le carote e tagliarle longitudinalmente. Lavare il timo, sbucciare lo spicchio d’aglio. In una ciotola, emulsionare l’aceto con il miele. Scaldare l’aglio in una pentola con l’olio e aggiungere le carote, il timo e la miscela di aceto e miele. Salare e lasciar cuocere per 15 minuti a fiamma bassa. A cottura ultimata aggiungere le mandorle.
Carciofi ripieni
Ingredienti: 6 carciofi 50 gr di prosciutto 1/4 di cipolla 1 spicchio di aglio foglie di sedano foglie di prezzemolo 50 gr di funghi secchi mollica di pane olio, sale e pepe Preparazione Pulire i carciofi eliminando le foglie più dure. Con un coltello aprire le foglie interne. Preparare il ripieno con le foglioline più tenere, il prosciutto tagliato a cubetti, la cipolla, l’aglio, il sedano, il prezzemolo, i funghi, la mollica sbriciolata e una manciata di pepe. Tritare tutto e farcire i carciofi. Porli in una casseruola, irrorarli di olio, regolare di sale e pepe e far rosolare. Finire la cottura aggiungendo un po’ d’acqua .
cure amorevoli del contadino trasformano in officine del gusto, filari di pomodori maturi che rimandano la mente a sughi odorosi, bruschette cosparse di pomodorini arrostiti, olio d’oliva e origano e, nei paesi del sud, le ferrazze di pomodori appena raccolti messi a essiccare al sole per futuri sughi invernali o sfiziosi contorni. E ancora: cetrioli, zucchine adatte per minestroni odorosi accompagnate da frittelle di fiori di zucca, peperoni e melanzane nere e viola compagne di cene estive, buone non solo per la pasta ma come contorno, bollite con la buccia insieme a cipolle e patate nuove da insaporire con olio, aglio e un goccio di aceto per un’ottima insalata da servire con crostoni di pane casereccio oppure da conservare sott’olio in barattoli di vetro per l’inverno. E che dire del basilico, intervallato da piante cariche di peschenoci, merendelle succose che sanno di sole, fichi, mele cotogne, susine e l’uva, che si appresta a maturare per diventare in molti casi vino. E poi l’odore delle piante aromatiche che con il loro profumo insaporiranno le verdure grigliate. L’orto è un microcosmo carico di vita! Tra il frinire delle cicale e l’andirivieni delle api si sente il lavorio silenzioso della natura benigna che, attraverso i suoi frutti, ci regala sali minerali, vitamine ed elementi essenziali per il nostro sistema immunitario e per l’idratazione del nostro organismo. Ma ad ascoltarla bene ci insegna anche a rispettare il ciclo delle stagioni. Come massima di vita.
Verdure dell’orto
Ingredienti: 200 gr di asparagi verdi 200 gr di asparagi bianchi 200 gr di carote 8 cipollotti 80 gr di piselli 100 gr di taccole 8 pomodorini ciliegia 100 gr di finocchi 100 gr di burro 1 noce di zenzero, sale e pepe Preparazione Pulire cipollotti e carote e cuocerle separatamente insieme a una noce di burro e un po’ di sale. A cottura ultimata glassarle con lo zucchero. Pulire i finocchi, le taccole e le punte degli asparagi e cuocere a vapore. In una padella sciogliere il burro con due cucchiai di acqua di cottura delle verdure. Aggiungere i piselli, i pomodorini interi e le altre verdure lessate. Insaporire il tutto e servire con zenzero grattugiato.
Oggi, la rinnovata centralità dei prodotti dell’orto nell’alimentazione è spesso legata alla riscoperta delle tradizioni rurali e alla necessità di insegnare ai nostri figli a essere consapevoli, a mangiare sano e a non perdere il contatto con la natura
Spaghetti aglio, olio, peperoncino, pane casereccio e zucchine Ingredienti: 300 gr di spaghetti 1 spicchio d’aglio 1 peperoncino fresco 100 gr di pane casereccio 500 gr di zucchine prezzemolo tritato olio extravergine d’oliva sale, pepe
Sbriciolare la mollica di pane, aggiungere il prezzemolo tritato e tostarlo con olio d’oliva. Cuocere in acqua salata la pasta. In una padella rosolare le zucchine tagliate a fiammifero con olio, aglio e peperoncino. Amalgamare con le zucchine la pasta cotta al dente e spolverare con il pane tostato.
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la storia in cucina
di Luca Campana
Il Verdi gourmet che pochi conoscono Giuseppe Giacosa, illustre testimone dei tempi, l’ha definita come “un’officina d’alta alchimia pantagruelica”: la cucina amata dal Maestro, milanese di adozione ma emiliano di nascita, è il riflesso della sua passione per la buona tavola, i sapori dell’infanzia e della terra d’origine. Per chi volesse provarsi nella più “verdiana” delle ricette, ecco svelato il segreto della celebre Spalla di San Secondo
Giuseppe Verdi era un uomo della Bassa parmense, tutto sommato dai gusti semplici, che rimase sempre attaccato ai sapori della sua infanzia e della sua terra, anche quando la fama e il successo lo portarono lontano da Busseto. È famoso, tra i melomani verdiani, un simpatico aneddoto che racconta del Maestro, già affermato e un po’ in là con gli anni, seduto al Caffè Centrale di Busseto di ritorno da una tournée internazionale, intento a leggere il giornale. Alle cinque del pomeriggio, pensando di fargli cosa gradita, gli si avvicina il cameriere offrendogli una tazza fumante di tè: Verdi, dopo averlo scrutato da capo a piedi, lo fulmina con un «Quello possono pure berlo gli inglesi, io preferisco un bicchiere di Lambrusco e due fette di salame» che non lascia scampo al malcapitato. Ciononostante la cucina di Casa Verdi, quella soprattutto degli anni in cui il Maestro soggiornò nella sua amata tenuta di Sant’Agata, ci viene descritta da un illustre testimone del tempo, il commediografo 78
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e librettista Giuseppe Giacosa, come “un’officina d’alta alchimia pantagruelica”. A questo amore di Verdi per la tavola e alla sua cucina sono stati recentemente dedicati tre libri che ci riportano ai fasti culinari di quell’epoca lontana: Buon appetito Maestro di Antonio Battei; Giuseppe Verdi: un goloso raffinato, raccolta di saggi di Andrea Grignaffini, Giampaolo Minardi, Corrado Mingardi, Mariangela Rinaldi Cianti, Raimonda Rocchetta Valesi; e La cucina di Verdi: armonie di note, profumi e sapori sulla tavola del maestro. E fra aneddoti, liste della spesa vergate a mano da Verdi in cui, spesso, il Maestro si lamenta con i fornitori della qualità di una damigiana di vino o di una partita di carni, spuntano anche alcune ricette di casa che, se non proprio scritte di pugno dal compositore, senz’altro rivelano la sua ispirazione. Una di queste è quella per gli Anolini in brodo, la pasta ripiena parmigiana grazie alla quale, si dice, che il Cardinale Alberoni, primo ministro del re Filippo V di Spagna, si sia preso cura della salute – e dell’umore – della regina (nonché ottima forchetta) Elisabetta Farnese. C’è una ricetta però “più verdiana” delle altre, quella per la cottura della Spalla di San Secondo che, si dice, il Maestro amasse mangiare ancora calda e accompagnata da Fortana – o Fortanina – fresca, un rosso frizzante, leggero e dolce, tipico delle sponde del Taro. Ecco come preparare una buona Spalla secondo le ricette di casa Verdi: “Prendere una spalletta di San Secondo, metterla nell’acqua tiepida per circa due ore, per fargli perdere il sale. Poi si mette in altra acqua fredda e si fa bollire a fuoco lento onde non scoppi per circa tre ore e mezzo anche quattro. Per sapere se la spalletta è cotta al punto giusto si fora la carne con uno stuzzicadenti e se entra facilmente la spalla è cotta. Si lascia raffreddare nel proprio brodo e si serve, accompagnata magari da pane bianco e vino Fortana”.
Gi anolini di Casa Verdi “Per la pasta – si legge nella ricetta verdiana – impastare la farina con uova, olio di oliva e sale. Per il ripieno, invece, lessare del petto di pollo, della polpa di vitello, del lombo di maiale e del salamino fresco fino a metà cottura, pulire e sbollentare dei fegatini di pollo e passare tutte le carni al tritacarne. Fare un battuto con il grasso del prosciutto, mezza cipolla, uno spicchio di aglio e rosolare a fuoco lento in olio di oliva e burro insaporendo con sale, pepe nero e cannella; aggiungere le carni nel soffritto e terminate la cottura. Spegnere il fuoco e aggiungere nell’impasto le uova, la noce moscata e il parmigiano fino a quando risulti morbido e compatto”. Quindi “stendere la pasta con il mattarello ricavando una sfoglia sottile, farcire la pasta con delle noci di ripieno, coprire con altra pasta sfoglia pareggiando con le mani e ricavare gli anolini con il suo stampino rotondo. Cuocere gli anolini in brodo di carne e servire con una nevicata di parmigiano”.
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chef italiani nel mondo
Alessandro Malu
PASQUALE CALIRI
Nato nel 1969, è cresciuto nel ristorante che era stato del nonno e poi del papà. Il primo approccio con il mondo professionale è stato nel servizio di sala, poi la passione per le padelle è divenuta così prepotente da spingerlo in cucina. Oggi, nel suo ristorante di Palau (Or), si diletta a girar per i tavoli a presentare i suoi preparati. La sua idea di cucina si basa sulla “memoria del gusto”.
Si è formato all’Alma, la scuola d’alta cucina di Gualtiero Marchesi. È proprietario de La Movida, fucina di ristorazione madrilegna, e personal chef a Milano. È anche lo chef di Borgo Alveria a Noto Antica (Sr). Promotore dell’alta cucina naturale, dopo un soggiorno in Oriente alla scoperta dei sapori asiatici, è approdato nella sua Sicilia con l’imperativo: riprendiamoci il gusto!
Crema di fave, ricotta affumicata e bottarga Ingredienti: 1 kg di fave novelle (vietato usare fave secche) 150 gr di ricotta affumicata 120 gr di bottarga di muggine 4 pomodorini 1 spicchio di aglio 1 foglia di alloro olio extravergine semi di papavero foglie di prezzemolo sale, pepe
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di Gianluigi Pagano
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Preparazione: Cuocere le fave preferibilmente sottovuoto con la foglia di alloro e lo spicchio di aglio intero. Eliminare l’aglio e l’alloro. Trasformare quindi le fave in crema emulsionando il tutto. Salare e pepare a piacere. Affettare quindi a scaglie sottili 30 gr di bottarga, grattugiare la restante parte, tagliare la ricotta a dadini e affettare i pomodorini a rondelle. Scodellare la crema nei piatti e montare in buona presentazione, senza dimenticare il filo d’olio a crudo: è ottimo.
Cake di caponata con ricotta e macedonia di verdure Ingredienti 4 melanzane salsa di pomodoro 2 carote pinoli capperi di Pantelleria olive nere 100 gr di ricotta di capra zucchero aceto
Preparazione: Friggere le melanzane e lasciarle a colare una notte. Unire salsa di pomodoro, pinoli, capperi di Pantelleria, olive nere. Aggiungere in pari quantità un mix di zucchero e aceto. Tagliare una mirepoix di carote e zucchine. Sbollentare le verdure. Comporre la cake mettendo, su un disco di ricotta di capra, uno strato di caponata e uno di macedonia di zucchine. Decorare con una “sfera”, ottenuta friggendo una filangè di buccia di melanzana.
MARCO PERISSINOTTO Diplomato all’istituto alberghiero Cornaro di Jesolo, fa gavetta a Montecarlo e a Parigi, presso il ristorante stellato Il Cortile di cui Alain Ducasse è consultant. Dopo un’esperienza in Costa Azzurra, entra al Casa Bianca di Numana (An) come chef, e lavora anche a Londra. Oggi presta la sua opera nel ristorante Les Parasols di Numana, si occupa di agricoltura sinergica e coltiva una passione per l’informatica.
Zuppetta di mare crudo Ingredienti Cannocchie (o pannocchie o cicale di mare) ostriche vongole alghe Kombu Per guarnire: germogli e una goccia di olio Preparazione: Scottare per 5 minuti le vongole in forno a vapore a 85°C. Raffreddare a +3°C. Aprirle, quindi, con un coltellino e recuperare ogni liquido, compreso quello presente nella teglia di cottura. Conservare in frigorifero. Aprire tutte le ostriche, separarle dal loro guscio e tagliarle in 2 o 3 parti. Recuperare tutta l’acqua e mescolarla con l’acqua delle vongole. Conservare
il tutto in frigorifero. Assicurarsi che le cannocchie non abbiano il corallo, scottarle a 85°C a vapore per 3 minuti, tempo sufficiente per far staccare la polpa dal carapace, lasciando crudo l’interno del crostaceo. Quindi, togliere la polpa delle cannocchie e porzionarla, tagliandola in 2 o 3 parti a seconda della grandezza. Conservare in frigo. Tagliare le alghe Kombu a strisce molto fini, dopo averle lasciate reidratare in una piccola parte dell’acqua di ostriche e vongole. Cuocerle nella medesima (in questo caso si parla di vera o propria cottura). Posizionare il pesce in piatti concavi e aggiungere le alghe. Versare l’acqua dei bivalvi, e completare con un filo d’olio e i germogli.
Davide Caranchini Dopo l’Istituto Alberghiero Gianni Brera di Como, ha fatto la gavetta in Italia e a Londra, dove risiede. Qui ha lavorato tra l’altro al ristorante del The Berkeley Hotel, a Le Gavroche e all’Apsleys di Heinz Beck. Ha partecipato a vari concorsi tra cui l’Ika, le Olimpiadi Culinarie, a Erfurt, dove la sua squadra si è posizionata tra i primi 5 nella classifica giornaliera, e agli Internazionali d’Italia di Caorle del 2009, aggiudicandosi la Medaglia d’Argento.
Battuto di scampi olio e limone, agrodolce solido allo scalogno, mandorle tostate e aria di limone Ingredienti per 4 persone: 12 scampi freschissimi di media taglia; 100 ml di olio extravergine d’oliva siciliano; succo di limone; 150 gr di zucchero; 125 + 200 gr di acqua; 25 gr di aceto di mele; 1 scalogno; agar; 60 gr di lamelle di mandorle; 100 gr di succo di limone; lecitina di soia; pepe di Szechuan
Preparazione: Pulire gli scampi, disporli a tre a tre tra due fogli di carta da forno, batterli leggermente con un pestacarne e conservare. Preparare uno sciroppo con 125 gr d’acqua, lo zucchero e l’aceto di mele e, al bollore, unirvi lo scalogno tagliato a pezzetti irregolari, continuando la cottura a fuoco basso per circa 10 minuti. Frullare il composto, passarlo in un colino a maglia fine e rimetterlo sul fuoco aggiungendovi una punta di coltello di agar. Una volta in ebollizione, versare il liquido su di una placca, formando uno strato di circa 1 cm e riporlo in frigo. Emulsionare l’olio, il succo di limone e il sale. In una
padella antiaderente molto calda, tostare le lamelle di mandorle fino a farle dorare. Unire l’acqua e il succo di limone, aggiungendovi un cucchiaino di lecitina di soia e mixare con un frullatore a immersione. In una fondina, porre alla base il battuto di scampi, condirlo con qualche goccia di citronette, una macinata di pepe di Szechuan e le lamelle di mandorle tostate. Disporre dei cubi di circa 1x1 cm di agrodolce solido sopra le mandorle; infine qualche cucchiaiata di aria al limone. Finire il piatto decorando con qualche fettina di limone disidratato, germogli di cetriolo e un’ulteriore piccola macinata di pepe di Szechuan.
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il ristorante
di Olga Carlini
Cucina locale gusto globale Dalla colazione al dopocena, il Caffè Letterario Licata offre ai suoi ospiti genuine granite, deliziosi taglieri di tipicità, originali panini e sfiziosi dessert nati dalla creatività dello chef Giuseppe Bonsignore. Con un occhio alle eccellenze del territorio e uno alla sperimentazione (in cantiere anche un hamburger “alla siciliana”!). Senza dimenticare gli ottimi vini della cantina Quignones, ma non solo
Dallo scorso 10 giugno, i vini dell’Azienda Agricola Quignones possono trovarsi anche presso il nuovo Caffè Letterario Licata, all’interno del porto turistico Marina di Cala del Sole. Circostanza non casuale in quanto uno dei due soci del locale, un wine bar, caffetteria e book store, è proprio il titolare della prestigiosa cantina licatese Alfredo Quignones, e i suoi vini sono tra i più richiesti tra i tanti avventori del locale. La carta si completa con vini frappati, Cerasuolo, bollicine siciliane e nazionali e con una selezione dei migliori vini italiani. L’offerta del Caffè Letterario Licata sconfina inoltre nel settore del food propriamente detto e particolarmente felice si è rilevata la scelta di affidare allo chef licatese Giuseppe Bonsignore (Due Forchette Gambero Rosso) la preparazione di una parte del menù. I panini proposti dall’Oste Bonsignore sono infatti tra i più graditi e, tra tutti, il più apprezzato risulta essere il Panino della scampagnata, preparato con carpaccio di Suino Nero dei Nebrodi, vasteddra del Belice Dop e ciliegino essiccato, che viene proposto in abbinamento al Largasia Fiano di Quignones. Notevole anche il successo dei taglieri di salumi e formaggi storici siciliani e dei caprini di Campobello di Licata. «La gente dimostra di sapere apprezzare l’eccellenza e l’ottimo rapporto qualità prezzo che trova nel nostro locale» dichiara Alfredo
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Quigones. «Ormai c’è una clientela di abituè che non disdegna di degustare anche le birre artigianali che proponiamo o le numerose prelibatezze sempre selezionate tra i fornitori migliori e che offriamo a pranzo e a cena nel nostro locale». Lo chef inoltre sta valutando nuovi panini per il Caffè Letterario: «Sto seriamente pensando di reinventare il classico hamburger americano dandogli una connotazione nostrana, più adatta alla Sicilia» dice Bonsignore, che però non vuole svelare nulla della sua ultima invenzione per il locale. Reduce dal matrimonio dell’attore Luca Zingaretti, il famoso Montalbano della fiction Rai, Giuseppe Bonsignore continuerà la sua collaborazione con il Caffè Letterario dando vita, in autunno, a una serie di serate a tema già in programmazione. Azzeccata l’idea di puntare solo su prodotti artigianali, anche in fatto di pasticceria e gelateria. «Proponiamo sin dal mattino granite di gelsi, mandorla e limone – racconta Giuseppe Patti, socio di Quignones nel Caffè Letterario – ma anche i cornetti freschi al pistacchio, al cioccolato o alla nocciola che sono molto graditi ai nostri clienti». La sera, la scelta dei dessert spazia dai semifreddi artigianali al pistacchio, alle mousse di ricotta fresca e ciliegie. Il tutto avvolto in un’atmosfera di confort e rilassatezza, cullati da suadenti note di musica jazz e dalla brezza marina che giunge dal Mediterraneo.
Caffè Letterario Licata Marina di Cala del Sole Porto Turistico di Licata (Ag) www.caffeletterariolicata.it
Hai un’azienda agroalimentare e vuoi vendere i tuoi prodotti? Sei un buongustaio e non sai dove trovare cibi di qualità? Il sistema VdG ha la risposta per te così portiamo nel mondo il vero food made in italy L’Italia è un immenso e straordinario bacino di prodotti agroalimentari troppo poco conosciuti e mal distribuiti. C’è un offerta che non riesce ad incontrare una domanda che c’è, ed è anche forte. Da qui l’IDEA: fare incontrare il produttore ed il consumatore. Il sistema è semplice. Con il giornale facciamo scoprire i prodotti, con i nostri store li diffondiamo facendoli degustare e li vendiamo . Infine diamo continuità all’operazione facendo trovare e consegnando i prodotti in tutta Europa attraverso il portale e- commerce www.vdgstore.com È un sistema unico che dà al settore dell’agroalimentare quello che serve: 1. Informazione (VdG Viaggi del Gusto) 2. Diffusione del prodotto (degustazione negli store) 3. Distribuzione / consegna (portale e-commerce www.vdgstore.com)
A fine settembre, a Cernusco sul Naviglio su una superficie di oltre 1000 metri quadri in Via Ungaretti 7 (Polo commerciale di Carugate) aprirà il nuovo Vdg Store, il mercato agroalimentare dove trovare i prodotti selezionati dalla nostra rivista
Come funziona il nostro sistema a supporto del comparto agroalimentare e dei suoi potenziali consumatori
Diffusione del sapore Informazione
Le aziende hanno bisogno di informare i potenziali consumatori VdG Viaggi del Gusto, con le versioni Air One magazine e Ursa Major magazine, è un mensile unico in Italia sulla cultura del cibo e sulla promozione dell’agroalimentare d’eccellenza. L’informazione seria che sfocia nell’approfondimento mensile, le scoperte e le selezioni ne fanno un punto di riferimento credibile e indipendente nel settore, con una funzione, ormai, di pubblica utilità.
I prodotti per diffonderli bisogna farli assaggiare Fare degustazioni continue è fondamentale in quanto si porta il consumatore a memorizzare il gusto. È quello che facciamo nei nostri luoghi/negozi.
Sostegno alla distribuzione I prodotti devono essere reperibili La difficoltà di un turista che ha scoperto un prodotto è quella di ritrovarlo a casa nella propria città. Il nostro sistema ha pensato di risolvere anche questa tematica: con il portale www.vdgstore.com consegnamo il prodotto nell’arco di 48/72h in tutta Europa.
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I viaggi del gusto di... Donato Lanati, enologo di fama mondiale, ci guida alla scoperta del Monferrato, terra millenaria dove “le cose belle sono nascoste”
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L’Italia in mostra: Chieti Tappa nella cittadina abruzzese che ha affascinato i Romani, D’Annunzio e persino... gli alieni, per la rassegna d’arte su Aligi Sassu
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• Città in 24 ore, Cagliari • Città in 24 ore, Amman
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Donato Lanati:
“Le bellezze nascoste del mio Monferrato” L’enologo di fama mondiale ci racconta la “sua” patria di adozione: un territorio magnifico, ricco di storia e cultura, i cui principali monumenti sono le chiese che dominano ogni paese. Una terra che vanta secolari tradizioni contadine, tipicità d’eccellenza come vino e tartufi, e gente di grandi virtù
Piemonte
Casale Monferrato
Monferrato
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Alle soglie dell’anno Mille (976 d.C.), per contrastare le scorribande dei pirati saraceni, l’imperatore Ottone I di Sassonia affida al Marchese Aleramo una regione che va da Alessandria a Savona e gli chiede di tracciarne i confini in soli tre giorni, cavalcandoci attorno. Una prova di forza e di abilità, nel corso della quale, a un certo punto, il cavallo perde un ferro: Aleramo, senza perdersi d’animo, con l’aiuto di un mezzo di fortuna, un mattone (mun, nel dialetto del luogo) riattacca svelto il ferro (fra) al destriero e riprende il galoppo. È da qui, da questo incrocio linguistico tra il mattone e il cavallo, munfra, che prende origine il nome di Monferrato.
Pulchriora latent Forse la cavalcata è solo una leggenda, ma questo non sminuisce comunque la figura di Aleramo, fondatore di quello che sarà il primo Stato Italiano, destinato a rimanere indipendente fino al 1708. Le spoglie di Aleramo giacciono a Grazzano, dietro la Chiesa parrocchiale, ma il suo spirito aleggia ancora tra le colline del Monferrato. Una terra che trova espresso nella scritta in latino “Pulchriora Latent”, campeggiante in una Cappella del Sacro Monte di Crea, il suo concetto più rappresentativo, ossia “le cose più belle stanno nascoste”. Il Monferrato è infatti un territorio dove c’è ancora molto da scoprire ma anche un luogo in cui ogni persona può trovare il suo angolo ideale. Una storia quasi millenaria, e sempre emozionante, ha forgiato una società contadina caparbia e onesta, che ha avuto e ha il grande merito di passare tutta la vita a lavorare un territorio bellissimo e fatto a misura d’uomo, dove la gente che ci vive ha il dovere di sentirsi felice. Molto eleganti ma non austere, le case del Monferrato riflettono la persona-
In apertura, un caratteristico panorama del Monferrato. Sotto “l’enologo scienziato” Donato Lanati che da Voghera, città che l’ha visto nascere, si è trasferito a Cuccaro (Al), a soli 9 anni, facendone così la sua patria d’elezione
lità di una terra morbida e dolce, dove l’equilibrio tra uomo e natura è sempre stato regolato da un rapporto semplice e diretto. Guardando dall’alto, due colori spiccano su tutti: il rosso dei mattoni e dei coppi in argilla, il giallo del tufo. Chiese, case, cascine e casot hanno come denominatore comune questi materiali e la loro intrinseca durevolezza. Nelle vigne spiccano i casot, utili per il ricovero degli attrezzi e la riserva d’acqua da consumare durante il lavoro;costruzioni modeste ma comunque edificate con mattoni e coppi, a mostrare il legame e l’appartenenza.
A lezione di estetica dalla natura Il Monferrato, che non è austero come le Langhe, imperativo come la Toscana, razionale come il Bordeaux e pettinato come la Champagne, gode di una sua grande identità geologica e botanica, qui è ancora possibile ammirare la crescita di una pianta spontanea. Le vigne si alternano a campi di frumento, di colza ed erba medica. Vi dimorano boschi e terreni incolti, sfuggiti alla sterile pro-
grammazione industriale. Sopravvivono i rovi, gli argini sono ricoperti della folta vegetazione,tipica di questi luoghi. Ci si emoziona ancora davanti ai fiori di rosa canina, con il ronzio delle api o il canto dei grilli. La natura, qui, dà spontanee lezioni di bellezza e di estetica. Le morbide e soleggiate colline sono coltivate a vigneto, frumento, granoturco, cereali in genere; l’attività agricola segna il territorio dandogli il senso del movimento, caratterizzato dallo scorrere delle stagioni. I colori, dalle mille nuance, catturano la vista. Il Monferrato è un territorio incantevole, che la natura sembra dipingere momento dopo momento, con le tinte dei luoghi: i teneri verdi primaverili, il giallo abbagliante dell’estate, le calde tonalità delle foglie di vite a tempo di vendemmia, il grigio autunnale dalle intense piogge e dalle avvolgenti nebbie, il candore della neve che in inverno rende ancora più dolci le colline.I panorami sono accompagnati da suoni, rumori, odori e profumi che, se percepiti, fissano dentro, in modo indelebile, la grazia di quest’angolo di mondo.
Una storia millenaria ha forgiato una società contadina caparbia e onesta, che ha avuto (e ha ) il merito di passare tutta la vita a lavorare un territorio bellissimo e fatto a misura d’uomo settembre 2012
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Sotto, Moleto, bel borgo del Monferrato fatto quasi esclusivamente in pietra da cantone (cioè da costruzione), un’arenaria di sedimentazione delle sabbie del mare che contiene molte conchiglie ed erroneamente nel dialetto locale viene chiamata tufo
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Terra di vini autentici, come i loro produttori I vigneti, da queste parti, si alternano spesso alla ricca e spontanea vegetazione, segno che il rapporto umano con la natura è estinto. Le attività agricole non hanno rubato lo spazio per l’habitat di flora e fauna selvatica. Tra le viti, quelle che più hanno saputo adattarsi alla terra argilloso-calcarea del Monferrato, troviamo il Grignolino e la Barbera. Il Grignolino, che non si può definire un vino facile, si distingue per il colore tenue, il profumo sottile e il sapore lievemente tannico. La Barbera ha dalla sua invece esuberanti profumi e una pienezza di sapore che l’hanno sempre resa nutriente sostegno al duro lavoro in campagna. Oggi, peraltro, è stata riscoperta come vino di assoluto livello internazionale. La qualità del vino, qui ancor più che in altri luoghi, è legata ancora alle modalità adottate dall’uomo che decide di coltivare quel vigneto, come vinificare quell’uva e che, attraverso una serie di accorgimenti, trasferisce nella bevanda la
Ma anche la tavola ha le sue buone ragioni “Pansa veuia la rasona nen“– a pancia vuota non si ragiona – è uno dei tipici detti monferrini. E se i vini restano il vero topos del territorio, potete star tranquilli che anche la cucina ha altrettante buon(issim)e ragioni per convincervi a far tappa tra le verdi colline del Monferrato. In questa zona che storicamente ha come motto “le cose belle sono nascoste”, un excursus gastronomico non può non partire dal frutto più prezioso che la sua terra tiene celato: ossia il tartufo bianco, la massima espressione della tavola piemontese che, da queste parti, raggiunge forse la sua vetta organolettica più eccelsa. Basti dire che a Murisengo, proprio ai confini del Monferrato Casalese, ogni anno si tiene una fiera che richiama da ogni dove i più esigenti e raffinati tra i compratori e gli appassionati del “diamante bianco della cucina”. Appena poco più a nord, nelle terre di Mombello, si entra invece nella patria delle confetture di frutta dove ci si sbizzarrisce negli abbinamenti più arditi: pesche all’amaretto, mele con caffè, con cacao o alla cannella. Il tutto prodotto secondo la più pura tradizione sabauda e con frutta di stagione rigorosamente del luogo. Nella tradizionale merenda monferrina, che in questo territorio si consuma più o meno ad ogni latitudine, non manca mai il salame, in versione cotta e cruda, e un’appetitosa torta verde, fatta di piselli, riso ed erbette. Qualcuno ama aggiungere anche la belicada, una farinata da mangiare al posto del pane e sulle cui origini geografiche ci sono molte discordanze, soprattutto con la Liguria che ne rivendica la primogenitura. Chi, infine, ha il palato sensibile ai gusti più dolci, potrà soddisfare tutte le sue brame con una sosta di gusto a Casal Monferrato, città che ha dato i natali nel 1870 ai krumiri rossi, i classici biscotti secchi a base di burro, uova, zucchero e farina, dalla tipica forma ricurva e zigrinata che – almeno così dice la leggenda – richiamava i baffi di re Vittorio Emanuele II. A un secolo e passa di distanza dalla nascita, ça va sans dire, qui si fanno ancora in maniera artigianale.
sua esperienza, le sue intuizioni, la sua cultura. Qui, nel Monferrato, il vino è un linguaggio che trascende la parola. I vini di questa terra – tra i quali, per completezza d’informazione, è giusto ricordare anche il Dolcetto e il Cortese – sono caparbi eppure morbidi, ben strutturati ed eleganti: sono diversi l’uno dall’altro perché diversi sono i vigneti e le persone che li producono, grazie a Dio, non sono fatte con la fotocopiatrice. Non sono vini ruffiani, pensati per il mercato; ognuno ha un’impronta individuale autentica. Il Monferrato, del resto, non ha vissuto la frenesia dei reimpianti a tutti i costi e i vigneti si trovano ancora collocati dove storicamente hanno dato i risultati migliori, in cima alle colline e sui versanti più soleggiati. La viticoltura, qui, si è affermata infatti nelle zone in cui la qualità delle uve rappresenta una risposta naturale, non forzata. Una viticoltura quindi a macchia di leopardo in un territorio in cui ai vigneti, come detto, si alternano spazi ancora liberi e la cui suggestione sta proprio nel fatto stesso che non è monopolizzato dalle vigne. Questo, insomma, è un territorio in cui si può ancora vivere e dove c’è ancora molto da fare. Cosa in particolare va fatto? Comunicare, ad esempio, quello che Aleramo, già nel X secolo, aveva intuito, realizzando il sogno di ogni essere umano: vivere in una terra stupenda.
In una zona il cui motto è “le cose belle sono nascoste”, un viaggio gastronomico non può non partire dal frutto più prezioso che la sua terra tiene celato: il tartufo bianco
In alto, Vignale, il borgo più noto del Monferrato, dove si produce un’ottima Barbera. Sotto, la Cappella del Paradiso situata su una delle più alte colline della zona, il Sacro Monte di Crea, nei pressi di Serralunga di Crea (Al)
Scelti per voi da Donato Lanati Ristorante Vineria Stefania Porrati Via Alessandria, 6 Cuccaro Monferrato (Al) Tel. 0131771954 Il Ristoro Via Marconi, 125 Lu Monferrato (Al) Tel. 0131741538 Trattoria Sarroc Via San Rocco, 15 Vignale Monferrato (Al) Tel. 0142933524 Ristorante Il gufo, il tufo, il tartufo Via XX settembre, 7 Frassinello Monferrato (Al) Tel. 0142928207 Cà Nostra P.za Europa, 2 Olivola (Al) Tel. 0142928235 A casa di Babette Via Isola, 2 Rosignano Monferrato (Al) Tel. 0142489705 Cave di Moleto Regione Moleto, 10 Ottiglio (Al) Tel. 0142921468 Ristorante Centrale P.za Romita, 10 Moncalvo (At) Tel. 0141917126
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l’italiainmostra
A Chieti si fa la rivoluzione (del colore) di Silvana Delfuoco
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Aligi Sassu è protagonista di una mostra allestita presso Palazzo de’ Mayo, significativo esempio dell’architettura barocca locale, recentemente inaugurato come spazio espositivo. Ma la cittadina abruzzese è da sempre un importante centro d’arte. Qui è passato D’Annunzio, i Romani hanno lasciato tracce indelebili e qualcuno insinua che persino gli extraterresti ne abbiano subito il discreto fascino
foto di Sergio D’Andrea
Chieti
seoArcheologico Nazionale d’Abruzzo, dalle cui terrazze è possibile godere di uno splendido panorama. Qui inizia un tragitto di circa un chilometro attraverso la storia. Ecco infatti affacciarsi il celebre teatro Marrucino, dove D’Annunzio rappresentò trionfalmente per la prima volta La figlia di Jorio; quasi accanto, nell’area archeologica dell’antico Foro, i Tempietti Romani del I secolo d.C. Poco più avanti, nell’interno, la Cattedrale di San Giustino – consacrata nel 1069 ma nei secoli sottoposta a molteplici rimaneggiamenti – da cui ogni anno, da tempo immemorabile, il Venerdì Santo si snoda per le strade della città una suggestiva e spettacolare processione. Se poi capitate a Chieti nel momento giusto, potreste avere un’occasione in più: quella di scendere nella città sotterranea, l’antica Theate, che si stende sotto l’attuale centro storico e soltanto in rare occasioni diventa visitabile.
Cucina “di casa”, con orgoglio La ventricina di Vasto, il carciofo di Cupello, l’olio dei Colli Teatini e l’elenco potrebbe continuare a lungo. Una cucina, quella abruzzese, e quella del teatino in particolare, dalle solide radici che affondano in una terra ancora incontaminata. Proprio per questo i suoi piatti non sono esportabili, in quanto inscindibilmente legati ai prodotti locali. Si comincia con gli spaghetti alla chitarra, con le sagne e fagioli, con il brodetto alla vastese, ma anche con la sfarrata, la tipica minestra di farro
In apertura l’antica pescheria di Chieti. Sotto, Palazzo de’ Mayo. Nelle pagine successive: vista panoramica del centro storico di Chieti con la cattedrale di San Giustino; sotto, I Dioscuri (1931) di Aligi Sassu e, a destra, una veduta di Corso Maruccino
Chieti Alta, in origine Theate, è forse la città più antica d’Italia. Pare che a fondarla sia stato Achille per onorare sua madre, la ninfa Teti
foto di M. Zuccarini
Abruzzo
Chieti Alta, la città antica. Forse proprio la più antica d’Italia, se è vero che a fondarla fu addirittura l’eroe Achille per onorare il nome di sua madre, la ninfa Teti. Una volta saliti fin quassù dalla moderna Chieti Scalo che si stende ai suoi piedi, ci si trova di colpo immersi in un susseguirsi di antichi edifici e monumenti perfettamente conservati. Per arrivare in corso Marrucino, la strada dello “struscio” ma anche il cuore del vecchio centro, si attraversano i vasti giardini della Villa Comunale, oggi sede del Mu-
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foto di Sergio D’Andrea
l’italiainmostra
Sassu e Corrente, 1930-1943 Il movimento di Corrente nasce a Milano nel 1938 a opera di un ragazzo appena diciottenne, Ernesto Treccani. Sono gli anni del fascismo e il movimento avrà vita breve: chiuderà infatti definitivamente nel 1943. Gli artisti che intorno a Corrente si radunano, inizialmente accomunati da un espressionismo lirico, tentano via via di esprimere con toni più realistici, impostati sul colore e la luce, il senso dei drammi e delle passioni di un’esistenza che si fa sempre più tragica. Insieme con Birolli, Guttuso, Migneco, Valenti, Cassinari, Morlotti, Vedova, Manzù, Tomea, Broggini, Mucchi, c’è anche, in posizione appena più defilata, un giovane Aligi Sassu, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita. Eppure nel 1928, appena sedicenne, Sassu aveva già eccezionalmente esposto alla Biennale di Venezia e nel percorso della mostra, che comprende oltre 50 opere degli artisti di Corrente, particolarmente significativo è il nucleo dei suoi dipinti. Davvero per lui “il colore è poesia”, come aveva lasciato scritto: lo è nei Dioscuri, di cui sono presenti due esempi; lo è negli Argonauti in Colchide, immersi nell’idillio della natura; o nelle bucoliche Bagnanti, vagheggiamento dell’ovidiana età dell’oro. Ma non manca il richiamo alla crudeltà della vita, come nella Deposizione arrivata dal Museo della Santa Casa di Loreto: l’insolita figura di bambino qui inserita parla di un pittore alla ricerca di una spiritualità non agiografica né accademica, che si rivela soltanto a chi sa guardare il mondo con gli occhi incontaminati dell’infanzia. fino al 7 ottobre Sassu e Corrente 1930-1943. La rivoluzione del colore Palazzo de’ Mayo – S.E.T. Spazio Esposizioni Temporanee Corso Marrucino, 121 – Chieti www.fondazionecarichieti.it
negli ultimi tempi ritornata di moda. Si può continuare con i caciatelli, a base di uova, pecorino grattugiato, ventresca e peperoncino cotti in salsa di pomodoro e peperoni; o con le mazzarelle, interiora d’agnello avvolte in una foglia di insalata e soffritte;o ancora con la succitata ventricina,il ben noto salume dal colore rosso vivo insaccato nella vescica anziché, come di consueto, nel budello. Si conclude con le neole, cialde dolci fatte di farina, uova, zucchero, vino bianco e semi d’anice, che ancora si confezionano con il ferro arroventato, possibilmente, sul fuoco del focolare; da assaporare accompagnate da un buon bicchiere del tradizionale vino cotto.
“Una città con la vocazione dell’arte” Così ha definito Chieti il Direttore del Centro Universitario Museale dell’Ateneo Gabriele d’Annunzio,Luigi Capasso,quando ha voluto che nella sua Università si svolgessero gli studi e gli esami scientifici sulla cosiddettaTavola diAceren-
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Itinerari teatini Da Chieti alla Majella il passo è davvero
breve: per conoscere meglio questa za, il dipinto a olio riscoperto zona, all’interno del Parco Nazionale per caso nel 2009 in un palazzo esistono attrezzati Centri Informazione di Acerenza, a sud di Napoli, e tutti perfettamente segnalati sul sito www.parcomajella.it. Costeggiando subito ritenuto un possibile auinvece il Parco in direzione sud, lungo toritratto di Leonardo daVinci. la SS81, si possono fare altre interessanti scoperte. Merita una sosta Grazie all’impronta di un polCasoli, dal bel centro storico che sorge pastrello, che pare proprio intorno al Castello Ducale del IX secolo; quello del grande Maestro, ma fermatevi anche al Birrificio Maiella (www.birrificiomaiella.com) dove con soprattutto grazie all’autorevole acque delle sorgenti Del Verde si le parere di uno dei massimi realizzano ottime birre artigianali senza coloranti né conservanti. esperti al mondo su Leonardo, Proseguendo, ecco Carpineto Sinello, David L.Bershad del St.Mary’s sede del curioso Museo del Maiale ma University College di Calgary anche di macellerie che producono un’ottima ventricina; la trovate nella (Alberta), venuto appositaMacelleria di Paolo Giuseppe mente nel 2010 a Chieti per (Tel. 0872869256) o anche a La Genuina (Tel. 0873854215). Se poi vi esaminarlo, il quadro sembra spingete fino a Pizzoferrato scoprirete davvero autentico. «Appena che è la patria dello sprusciat, un tipo l’ho visto a Chieti non ho avuparticolare di soppressa che fanno ottimamente all’Azienda Agrituristica to più dubbi – ha dichiarato il Aja Verde (www.aiaverde.com), situata docente canadese – secondo in uno storico e accogliente casale dove è possibile anche pernottare. me è davvero l’autoritratto di Leonardo e gli studi scientifici sembrano darmi ragione». Il dipinto è attualmente custodito nel Museo delle Antiche Genti di Lucania a Vaglio Basilicata, ma tutte le informazioni in merito sono sul sito www. dove mangiare museo.unich.it, a cura del Museo Universitario di Ristorante Villa Maiella Chieti. Un reperto unico al mondo, e quindi in Nel Parco, a due passi dagli Appennini e a 20 questo senso indiscutibilmente autentico, è inveminuti dal mare, una cucina dove la tradizione è rivisitata con attenzione e fantasia. È anche ce il Guerriero di Capestrano, la scultura del VI possibile pernottare in una delle confortevoli secolo a.C. raffigurante un capo guerriero del terquattordici camere. ritorio dei Vestini, conservato nel Museo ArchePrezzo medio: 50 euro, vino escluso Località Villa Maiella, 30 ologico Nazionale d’Abruzzo (www.archeoaGuardiagrele (Ch) bruzzo.beniculturali.it). Rinvenuta casualmente Tel. 0871809319 www.villamaiella.it nel 1934 durante i lavori per l’impianto di una vigna, ne fu subito chiara l’eccezionale qualità. La Taverna Teate figura, imponente per le sue dimensioni – misura Cucina di tradizione per questa trattoria a conduzione familiare in pieno centro storico. oltre 2 metri senza la base – indossa armi da offeOttima la pizza cotta nel forno a legna. sa e da difesa, tra cui un curioso copricapo che riPrezzo medio: 25 euro, vino escluso Via Federico Salomone, 26/28 – Chieti corda un sombrero.Forse un elmo da parata? Uno Tel. 0871349256 scudo portato sul capo in situazione di riposo? Forse. Ma c’è anche chi ha pensato che vi sia racNino In pieno centro, un’attività familiare che dura da chiuso un messaggio di origine extraterrestre, rioltre cinquant’anni proponendo piatti della velatore di importanti segreti. Ragione di più per tradizione locale. Prezzo medio: 25 euro, vino escluso andare a fargli visita!
Scelti per voi
Via Principessa di Piemonte, 7 – Chieti Tel. 087163781 www.ninoristorante.it
dove dormire L’Antico Tratturo In questo fara (villaggio) a solo 18 km da Chieti, ecco un antico tratturo ricostruito esclusivamente con materiali di recupero della zona. Maneggio, ristorante, orto con piante officinali, percorso giardino e relax nella natura. Doppia da 60 a 80 euro Via Piana Masseria, 1 Fara Filiorum Petri (Ch) Tel.0871706066 – www.anticotratturo.it Best Western Hotel Parco Paglia Posizione strategica per questo moderno quattro stelle, prossimo all’aeroporto d’Abruzzo e all’asse attrezzato che serve il nodo autostradale. Singola standard a partire da 62 euro Via Erasmo Piaggio – Chieti Tel. 0871574300 www.parcopagliahotel.it Antico Borgo Chieti In un palazzo storico nel cuore antico della città, un hotel con tutti i comfort, a 4 km dalla stazione e a 20 minuti dall’aeroporto. Singola a partire da 55 euro Via Monaco La Valletta, 1 – Chieti Tel. 0871402214 www.anticoborgochieti.it settembre 2012
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di Isa Grassano
una città in 24 ore
“Improvvisamente ecco Cagliari: una città nuda che si alza ripida, ripida, dorata, accatastata nuda verso il cielo […] remota come se fosse indietro nella storia”. Lo scriveva nel 1921 David Herbert Lawrence, che oggi si stupirebbe della storia, del fermento culturale e alla vivacità che animano il capoluogo sardo
Cagliari in 5 tappe 1. Godere del sole al Poetto Si pensa a Cagliari e subito vengono in mente il mare e lo sport outdoor. Basta raggiungere il Poetto, la spiaggia cittadina, per rendersene conto: decine di atleti in t-shirt e calzoncini fanno jogging lungo gli 8 chilometri di arenile, mentre in acqua sfrecciano windsurf e kitesurf. Non solo. Il Poetto è anche il luogo di ritrovo dei colletti bianchi: all’ora di pranzo o per l’aperitivo i suoi baretti on the beach si popolano di manager e giovani per gustare una bibita al sole. 2. Ammirare i fenicotteri rosa Alle spalle del Poetto, si trova un altro spettacolo della natura: lo stagno di Molentargius, all’interno del Parco Regionale delle Saline, una zona umida di importanza internazionale perché qui i fenicotteri rosa sono diventati stanziali. La sua storia è strettamente legata a quella delle Saline. Quando si osserva il parco dall’alto del Colle di Monte Urpinu è evidente lo stretto legame tra uomo acqua e natura, facilmente individuabile nel disegno di canali, saline, stagno ed edifici, che qui permane ininterrotto da migliaia di anni. 3. Scoprire la città nscosta Chissà cosa c’è sotto? Quante volte la nostra curiosità si accende guardando tombini, ingressi di antiche tombe, stretti passaggi segreti. A Cagliari questa curiosità è soddisfatta, perché si può scendere nella città sotterranea per rintracciare vicende avvolte dalle tenebre della storia, costellate di segni lasciati dalle civiltà del passato: fenici, punici, romani, pisani, catalanoaragonesi, spagnoli, piemontesi. Così, sopra, c’è la città bianca, solare, levantina, sotto un groviglio di ambienti, di cunicoli. Una seconda città, incantata, fatta di vie e gorgoglii d’acqua, sepolcri e caverne. Da vedere: la cripta di Sant’Efisio, situata nel quartiere Stampace, una grotta naturale a nove metri sotto il livello stradale, ampliata nel corso dei secoli dall’uomo. Alla grotta si accede per mezzo di una ripida scalinata scavata nella roccia calcarea. Gruppo cavità cagliaritane: Tel. 3288090684 www.sardegnasotterranea.org
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4. Vivere la cittadella dei Musei Sono uno accanto all’altro e costituiscono un concentrato di arte, storia e cultura. C’è il Museo Archeologico, il più importante al mondo per la civiltà nuragica, la Pinacoteca, il Museo etnografico regionale che conserva tessuti, gioielli e mobili antichi, e il Mas d’arte siamese dove si possono ammirare dipinti, manoscritti, sculture buddhiste, argenti, porcellane e armi appartenenti alle diverse civiltà dell’Asia. 5. Seguire l’European Jazz Expò Cagliari, dal 6 al 9 settembre, si riconferma palcoscenico della musica jazz in Sardegna. L’appuntamento è con l’ottava edizione dell’European Jazz Expò che si tiene nella splendida cornice del Parco Monte Claro, polmone verde della città, con 9 palchi, 50 concerti, e più di 200 artisti. Tra le star spiccano nomi come Billy Cobham, uno dei migliori batteristi al mondo, e Stanley Jordan, il chitarrista jazz di Chicago noto per il suo “magic touch”. La kermesse può anche essere l’occasione per visitare il Parco della Musica, accanto al Teatro Lirico, collegato a esso da una galleria sospesa. Giochi di acqua e di luce nel giardino che circonda e collega i due spazi. www.jazzinsardegna.it
L’idea in più Raggiungere Pula, una ridente cittadina balneare meta di un turismo d’élite con i suoi numerosi negozietti d’artigianato, i ristorantini, i vicoletti caratteristici. Proseguendo si arriva a Chia (solo 35 km da Cagliari), caratterizzata dal profumo intenso di ginepro, lentischio, mirto, lavanda selvatica.
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Dal Corsaro al Mare Affacciata sulle acque del porticciolo turistico di Marina Piccola, propone cucina a base di pesce. Via Marina Piccola, Poetto Prezzo medio: 20 euro Tel. 070370295
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di Lucrezia Argentiero
una città in 24 ore
Fondata su sette colli come Roma (ma oggi sono 19), la capitale della Giordania è una città cosmopolita, vivace e ricca di contrasti, tra il deserto e la fertile valle del Giordano. Caotica, ma di quel caos ordinato nel quale è piacevole “tuffarsi”, è un buon punto di partenza per esplorare la Nazione, a iniziare dal Mar Morto
L’idea in più Ci vogliono quattro ore di auto, ma non si può non raggiungere Petra, la città scavata nella roccia rosa, tra le otto meraviglie del mondo antico. Quest’anno si festeggiano i 200 anni dalla sua scoperta, a opera del viaggiatore svizzero Johann Ludwig Burckhardt. Si cammina in mezzo a montagne alte anche 80 metri e alla fine di un lungo cunicolo, detto Siq, si svela in tutta la sua bellezza la facciata del “tesoro” (forse costruita come tomba), immortalata dal film Indiana Jones.
1. Tra i resti della cittadella La zona più antica della città sorge sulla RabbathAmman. Da qui lo sguardo spazia su migliaia di abitazioni di pietra bianca: un groviglio di case, di antenne paraboliche e soprattutto di condizionatori e cisterne per la raccolta dell’acqua. Da qui si ammira la bandiera di Stato che sventola a un’altezza di 134 metri dal terreno e che per questo è entrata nel guinness dei primati. Una passeggiata tra i resti archeologici (romani, bizantini e del primo periodo islamico) permette di entrare a contatto con la storia. Da qui si raggiunge il palazzo degli Ommayyadi (720-750 d.C.) con un grandioso ingresso monumentale a forma di croce e il temoio di Ercole, eretto durante il regno dell’imperatore Marco Aurelio (161-180 d. C.). Ingresso: 2 dinari (circa 2 euro). 2. Vivere uno spettacolo al Teatro Romano Utilizzato per eventi, spettacoli e rappresentazioni, spicca nella sua imponenza (ospita 6 mila spettatori). All’ingresso è visibile una fila di colonne, resti di un lungo colonnato che un tempo lo affiancava. A 100
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Amman in 5 tappe dove mangiare
dove dormire
Reem Al Bawadi Tavoli con al centro una piastra di bronzo su cui si posano i piatti. Da assaggiare la specialità waraq dawaalee, le foglie di vite al vapore con riso e carne o il mansaf, il piatto nazionale: agnello insaporito con erbe aromatiche e cotto nello yogurt. Prezzo medio: 25 dinari (circa 25 euro) P.O. Box 67 Tlla Al Ali Tel. 962-6 5515419
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costeggiarlo c’è il Foro Romano, la piazza pubblica, tra le più grandi di tutto l’impero. Nei pressi si trova anche il Ninfeo, la fontana pubblica. 3. Entrare in una moschea Sono tante le moschee disseminate nella capitale giordana, ma quella di Re Abdullah è l’unica in cui sia consentito il libero accesso ai non musulmani (ovviamente prima di entrare è d’obbligo togliere le scarpe e per le donne forniscono una tunica nera da indossare). Si caratterizza per la grande cupola blu bordata da linee in oro, che per i musulmani in preghiera simboleggia il cielo e i raggi d’oro del sole che illuminano Allah. Ovunque ci sono iscrizioni tratte dal Corano. All’interno della struttura è situato il piccolo ma interessante Museo islamico in cui sono esposte opere di arte musulmana ma principalmente effetti personali e fotografie di Re Abdullah I. 4. Fare shopping nel souq Parola d’ordine: mercanteggiare. Se si è abili a trat-
info:
Jordan Tourism Board (www.visitjordan.com) Driver Abdel-Majeed Al-Khateeb Bus service con autista personalizzato. Con 100 dinari vi accompagna ovunque (da 1 a 5 persone) in tutta la Giordania Tel. 962-6 796053501
tare sul prezzo, è possibile fare veri e propri affari tra i negozi del souq, soprattutto nel gold souq, la via dell’oro. Qui sono numerose le oreficerie che espongono un’infinità di pezzi fatti a mano, molti di questi a 24 carati. Le vetrine sono uno scintillio di bracciali, collane, anelli, esposti in bella vista come se fossero frutta e verdura. Da non perdere anche le perline d’argento, spesso combinate con perline di vetro e pietre semi-preziose, usate come amuleti. Un po’ ovunque si trovano le bottiglie ripiene di sabbie colorate del deserto. 5. Rilassarsi sulle acque del Mar Morto Persino chi non sa nuotare può rilassarsi sulle acque di questo lago (a poco più di 45 km da Amman): la forte concentrazione di sale tende verso l’alto, quindi si galleggia ed è praticamente impossibile affondare. Numerosi i benefici di queste immersioni (non bisogna superare i venti minuti): pelle morbida e vellutata e gambe più leggere. Nei pressi della riva si trova anche il fango ricco di minerali, estratto dai fondali, ideale da stendere su tutto il corpo.
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Piaceri 104
Le mani raccontano T-shirt che odorano di spezie ed etichette “bio” da piantare. Sono le originalissime produzioni del marchio Altriluoghi
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I piaceri di Bacco Il Franciacorta, un vino che non ha bisogno di altre definizioni. Il primo ad aver ottenuto la Docg nel 1955. Un nome, una garanzia
da pag. 108 Rubriche
• Bellezza e benessere • Camera con vista • Week-end mare • Soste d’arte • Spettacoli • Libri • Trendy
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lemaniraccontano
Aromi a “fior di pelle” Le t-shirt Altriluoghi, marchio che coniuga moda e cibo in salsa sostenibile, profumano di spezie e fragranze naturali. Persino il cartellino è bio e se lo piantate potreste avere una bella sorpresa!
di Ida Santilli
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L’olfatto, scriveva Marcel Proust, è il più potente dei cinque sensi. Perché ti afferra in modo tale che, se anche pensi di opporre una resistenza, gli odori sono sempre più forti e conducono la mente dove vogliono. Scatenano associazioni di idee, riportano a galla desideri e paure che non sapevi nemmeno di conservare in te. Gli odori sono capaci di farci viaggiare nel tempo, di farci tornare bambini. Da piccola passavo interi pomeriggi a osservare le fasi di lavorazione dei dolci che mia nonna, ex pasticcera, realizzava per la famiglia: bignè, mont blanc,semifreddi al torrone,crostate al cioccolato.La osservavo stendere la pasta e poi, con una rotellina, selezionare delicatamente le striscette, che mi sembravano perfette, per coprire la calda colata di crema pasticcera. E immaginate quante associazioni si potrebbero fare con il passato, con i ricordi dell’infanzia, camminando con addosso proprio l’essenza
calda e zuccherata della vaniglia. Ci hanno pensato due giovani del Nord, Fabrizio, 37enne, e Andrea, 34enne, entrambi di Asti, a far venire l’acquolina in bocca solleticando l’olfatto. Come? Lanciando una linea di capi sostenibili speziati.
Straordinariamente naturale Nasce nel 2009 il marchio Altriluoghi:Andrea è socio di una cooperativa che si occupa di importare, attraverso canali di commercio equo, il cotone proveniente dalle piantagioni Maikall dell’India dove da decenni si pratica la coltivazione biologica. Una volta arrivata la materia prima, la tessitura, la stampa, il taglio e la confezione avvengono interamente in Italia,in stretta collaborazione con un gruppo di artigiani del biellese,polo tessile d’eccellenza del Piemonte. «Il nostro intento è quello di far parlare le idee e sussurrare la sostenibilità» raccontano, stufi degli slogan
“io sono verde” che campeggiano un po’ ovunque non aggiungendo nulla di originale.E infatti,la scritta in maiuscolo sulle t-shirt della prima collezione (Zafferano,Vaniglia e Cardamomo) annuncia che sta per iniziare un’esperienza sensoriale. Fabrizio ha recuperato vecchie magliette facendole a pezzettini per realizzare le etichette, che sono una diversa dall’altra,ma sottolineano l’identità del capo. «È questo che fa la differenza», spiegano: «la macchina fa pezzi tutti uguali, e quando ce n’è uno disuguale viene scartato. L’artigiano fa pezzi disuguali e ognuno ha la sua storia. Riuso e trasformazione sono alla base del nostro lavoro». Fabrizio eAndrea hanno realizzato personalmente l’inchiostro per la maglietta Orti-sta, ottenuto dalla spremitura della carota e del curry (dopo l’esperimento riuscito con il caffè, che sprigiona tutto l’aroma del chicco appena tostato) raggiungendo una buona solidità del colore ai lavaggi e alla
Nella pagina precedente, la maglietta Orti-sta e un’immagine del lavoro sui modelli in studio. In questa pagina, in alto la fase di serigrafia e, a sinistra, l’inchiostro al caffè. Il progetto ha anche un blog, L’orto di Michelle, dove si parla di sementi, antiche varietà di fiori e frutti e vestiti ispirati all’orto (http://lortodimichelle.blogspot.it)
luce. Tonalità tutt’altro che piatte, impossibili da ottenere chimicamente, che ben si sposano con il colore naturale del cotone non tinto e non sbiancato, lontano dal solito triste giallino écru. La tecnica è quella antica della serigrafia, con il pigmento che contiene un’alta percentuale di leganti vegetali. Persino il cartellino di Orti-sta è completamente organico e si pianta in vaso, o direttamente nel terreno, seguendo le istruzioni disegnate da Francesca, illustratrice; è fatto di semi di carota impastati da Mirco, stilista e ortista, nella carta riciclata, mentre Andrea ha timbrato ogni seed card con l’inchiostro vegetale. «Un’esperienza straordinariamente naturale – dice Andrea – Perché le maglie sono vive e mutano col tempo». Fin da subito Altriluoghi ha voluto abbinare al cotone biologico inchiostri atossici privi di
metalli pesanti e di altri elementi nocivi come gli ftalati. Ecco perché la scelta è caduta su quelli certificati “toys”, adatti per i giocattoli e l’infanzia. Le magliette sono anallergiche, visto che per produrle non si utilizzano ammoniaca e coloranti che la pelle assorbe quando il cotone viene trasformato in fibra e tessuto. Si acquistano online sul sito www.altriluoghi. com, nell’e-commerce altriluoghi.bigcartel. com o in alcuni locali e ristoranti sensibili al tema del commercio equo e solidale come il Ristorante Sinoira a Costigliole d’Asti, presso l’associazione Trame a Carignano, oppure nei negozi specializzati in marchi indipendenti come Ecò a Torino, Raggio Verde a Verbania, Eataly ad Asti, Simple a Livigno, Biquadro design ad Alba, l’Ecobottega a Vimercate, Eticando a Cagliari.
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ipiaceridiBacco
di Roberto Rabachino Giornalista e Presidente IWTO International Wine Tasters Organization
Il Franciacorta è stato il primo vino italiano, prodotto esclusivamente con il metodo della rifermentazione in bottiglia (metodo classico), ad avere ottenuto nel 1995 la Denominazione di Origine Controllata e Garantita. Oggi sulle etichette si legge solo la denominazione Franciacorta, unico termine che definisce il territorio, il metodo di produzione e il vino. In tutta Europa solo 10 denominazioni godono di tale privilegio e di queste solo tre vengono realizzate con la rifermentazione in bottiglia: Cava, Champagne e Franciacorta. Le cantine storiche, diventate oggi moderne cattedrali di tecnologia enologica, producono le diverse tipologie di Franciacorta (Millesimato, Rosé, Satèn, Riserva) ma anche Curtefranca Doc bianco e rosso, e Sebino Igt, i vini fermi della Franciacorta.
Storia e leggenda di un vino “mordace”
Franciacorta: basta la parola Non servono altre definizioni. Questo vino brioso, fresco, dal profumo di spezie e frutta secca, rappresenta la massima espressione del suo territorio, piccolo fazzoletto di terra a sud del lago d’Iseo, e gode di un privilegio raro (condiviso con Cava e Champagne): quello di non aver bisogno di nessun’altra menzione specifica tradizionale. Un nome, una garanzia d’eccellenza
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Col termine Franciacorta viene designata una zona della provincia di Brescia che si estende a occidente della città fra i fiumi Mella e Oglio che la delimitano a est e ovest, avendo a nord le colline di Brione, Polaveno, Monticelli Brusati e il Lago d’Iseo, e a sud l’alta pianura padana superiore. Stabiliti i confini, quello che resta da capire è l’etimologia del nome, argomento discusso da molti studiosi, ma ancora privo di una soluzione definitiva. Una lontana leggenda racconta che Carlo Magno, conquistata Brescia longobarda nel 774, pose l’accampamento a Rodengo Saiano. Quando venne il momento di celebrare la festa di San Dionigi, che lui aveva giurato di festeggiare a Parigi, risolse la questione decretando che questa terra era come una “piccola Francia”, e ordinò che così fosse chiamata tutta la zona. La tesi più ricorrente e storicamente plausibile, invece, allude alle “corti franche”, cioè al fatto che i principali centri dell’arco morenico erano all’origine corti altomedievali, che con l’arrivo dei monaci cluniacensi godettero di franchigie (curtes francae). Nell’intreccio tra storia, vino e cultura della Franciacorta si inserisce una delle prime pubblicazioni al mondo sulla tecnica di preparazione dei vini a fermentazione natu-
rale in bottiglia e sulla loro azione sul corpo umano. Stampato in Italia nel 1570, il testo viene scritto dal medico bresciano Gerolamo Conforti con il significativo titolo di Libellus de vino mordaci. Questo medico, i cui studi precedettero le intuizioni dell’illustre abate Dom Perignon, mise in rilievo la notevole diffusione e il largo consumo che i vini con le bollicine avevano in quell’epoca, definendoli “mordaci”, cioè briosi e spumeggianti. Non solo, egli li descrisse con perizia da esperto degustatore, arrivando a giudicarli “dal sapore piccante o mordace che non seccavano il palato, come i vini acerbi e austeri, e che non rendevano la lingua molle come i vini dolci” e ne elencò i pregi terapeutici. Per Conforti, che tra l’altro conosceva a fondo l’enologia francese, i vini franciacortini divenivano più spumeggianti durante il periodo invernale, per deperire, smorzandosi, nel corso dei mesi estivi. L’origine della spuma stava dunque nell’ebollizione del mosto o, per dirla più correttamente, nella fermentazione, che, anche allora, andava controllata affinché la “scoria gassosa, leggera e pungente” non si disperdesse. È da queste illustri considerazioni che forse i primi produttori di vino franciacortino con le bollicine ricominciarono a utilizzare i chicchi di orzo per accentuare e prolungare la fermentazione.
Questione di perlage Il Franciacorta è prodotto con uve Chardonnay, Pinot nero o Pinot bianco e si ottiene dalla loro maturazione ed elaborazione per almeno 25 mesi dalla vendemmia, di cui almeno 18 mesi di lenta rifermentazione in bottiglia a contatto dei lieviti. Le caratteristiche e le peculiarità sensoriali che identificano il Franciacorta sono: perlage finissimo e persistente, quasi cremoso; colore giallo paglierino carico con riflessi verdognoli; sfumato ma deciso profumo di lievito (crosta di pane), accompagnato da delicate note di frutta secca (mandorla, nocciola, fichi secchi) e speziato (chiodi di garofano); in bocca una piacevole sapidità e freschezza.
Il giusto abbinamento Il Franciacorta, a seconda del tenore zuccherino, si distingue in: Non Dosato (Pas Dosè, Dosage Zéro, Nature): particolarmente secco, eccezionale per impronta e per pungenza delle bollicine, esprime profumi floreali caratteristici. È ottenuto senza aggiunta di sciroppo, ma solo di vino. Ottimo aperitivo.
La Franciacorta si estende a ovest di Brescia fra i fiumi Mella e Oglio che la delimitano a est e ovest, avendo a nord il Lago d’Iseo, e a sud l’alta pianura padana superiore
Extra Brut (zucchero fino a 6 grammi/litro): asciutto, ideale come aperitivo e fuori pasto. Ottimo con stuzzichini salati, tartine delicate e torte di verdure al forno. Brut (zucchero inferiore a 15 grammi/litro): secco, ideale come vino da tutto pasto, si abbina ottimamente a risotti, a piatti di pesce e a carni bianche. Si consiglia di non accompagnarlo con dessert dolci. Extra Dry (zucchero da 12 a 20 grammi/litro): secco e delicato, è indicato per torte salate e verdure al forno. Sec, Dry (zucchero da 17 e 35 grammi/litro): secco ma leggermente morbido, è indicato per formaggi molli, piccanti e tipo gorgonzola o taleggio; ottimo con gelati e dessert non dolci. Demisec (zucchero da 33 e 55 grammi/litro): rotondo, intensamente profumato, morbido e vellutato, si accompagna molto bene con i dessert; prediletto con piccola pasticceria.
Franciacorta
Lombardia
fonte Consorzio Vini Franciacorta
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bellezza&benessere
di Francesca Frediani
Anche la bellezza è green Definire un prodotto cosmetico “naturale” è davvero troppo poco: solo le aziende certificate possono infatti fregiarsi della qualifica di naturali e bio, offrendo elevati standard di ricerca e sicurezza. Un ottimo esempio è quello di Vagheggi Nell’antichità, l’uomo e la donna trovavano forzatamente solo nella natura gli ingredienti per la cura della pelle e del proprio corpo. Ma la natura non sempre è innocua e moltissimi erano i casi di avvelenamento. Oggi, grazie ai progressi di scienza e ricerca, è possibile trarre da piante e fiori solo il buono, riscoprendone virtù insostituibili anche in campo cosmetico. Non solo, tutta la filiera dei cosmetici biologici è sottoposta a rigide regole che certificano il rispetto di rigorosi standard. Le aziende produttrici più importanti rispondono infatti a una richiesta sempre più diffusa, e consapevole, di naturalità autentica e reale benessere e portano avanti la produzione con attente politiche di fair trade e sviluppo sostenibile. Un ottimo esempio in tal senso è quello di Vagheggi, azienda che si distingue per scelte green e anima phytocosmetica, e che ha recentemente inaugurato una nuova grande sede a Nanto, in provincia di Vicenza, per affermare la propria volontà di riconoscersi soltanto in prodotti ideati e creati in Italia. Per saperne di più abbiamo incontrato Matilde Gatta, Direttore Tecnico e responsabile Ricerca
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La nuova identità dei prodotti Germinal Bio dal design moderno e accattivante nasce per esaltare le caratteristiche di naturalità, genuinità e benessere dei nostri prodotti.
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bellezza&benessere
& Sviluppo Vagheggi. «Siamo state fra le prime realtà italiane ad aver applicato la tradizione della cosmesi naturale alle più avanzate tecnologie di laboratorio e di analisi, e da oltre quarant’anni siamo fedeli a questa idea di bellezza», ci spiega la dottoressa Gatta. «Il nostro è un rigoroso processo di studio, selezione e lavorazione della materia prima, scelta in base alla provenienza geografica, alla concentrazione dei principi attivi, alla stagionalità e ai metodi di raccolta, servendoci di fornitori che seguono le leggi locali e internazionali di salvaguardia e sviluppo ambientale, mantenendo le tradizionali tecniche di raccolta e coltivazione. La nostra è una scelta di eccellenza qualitativa che rifiuta percorsi di standardizzazione». L’azienda inoltre, per garantire i più alti livelli di sicurezza a tutti i cosmetici, ha scelto di mantenere al proprio interno il ciclo completo di produzione, lo stoccaggio delle materie prime e il confezionamento dei prodotti finiti.
Nella pagina precedente: Matilde Gatta, Direttore Tecnico e responsabile Ricerca & Sviluppo Vagheggi. Qui sotto: il siero viso Facefence Energia Totale (30 ml, 50,50 euro) di Vagheggi. Facefence è una linea completa per ossigenare e risvegliare la pelle di viso e corpo con i principi attivi di Nasturzio, Maca, Bacche di Pepe Nero, Ematite e Manioca
Naturalmente in forma Scegliere il giusto “ingrediente naturale” per la propria bellezza e per il benessere del proprio corpo non è sempre facile. Ecco per voi qualche prezioso suggerimento Borragine: antinfiammatoria e astringente. L’acido silicico presente sul fusto e sulle foglie ha un effetto positivo sulla pelle e sui capelli. Tarassaco: stimola le attività metaboliche. È un classico trattamento depurativo. Olivo: con la sua composizione di acidi grassi protegge la pelle e la rende liscia e levigata. Salvia: rinfresca e regola la traspirazione, ottima nei prodotti per il corpo. Carota: ricca di provitamina A (carotene) vitamina B1, B2, flavonoidi, oli essenziali, aiuta le pelli miste a ritrovare l’equilibrio. Camomilla d’oro: ricca di flavonoidi e saponine per un’azione antiossidante, è un ottimo vaso protettore. Crusca di riso: emolliente, idratante e levigante della pelle. L’acido oleico e la Vitamina E combattono l’invecchiamento cutaneo. Zucca: svolge un’azione enzimatica stimolando il rinnovo cellulare. Pepe Nero: contiene-glucani e ramnogalatturonani, preziosi alleati antiaging. Arancio dolce: la vitamina C estratta dal “succo integro” è un potente antiossidante. Nasturzio: contribuisce alla diffusione intracellulare dell’ossigeno presente nella cute, stimolando il metabolismo e il riequilibrio della pelle.
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Per saperne di più... - Inci: International Nomenclature of Cosmetics Ingredients, denominazione internazionale utilizzata per indicare in etichetta i diversi ingredienti del prodotto cosmetico scritti in ordine decrescente di concentrazione al momento della loro incorporazione. Alcuni termini sono in latino, la maggioranza in inglese. - CCPB: Consorzio di Certificazione dei Prodotti Biologici, certifica l’effettiva provenienza biologica del cosmetico. - Cosmos: Cosmetics Organic Standard, disciplinare che definisce e regolamenta il cosmetico biologico, condiviso e approvato da tutti i principali certificatori europei (la francese Ecocert, la tedesca Bdih, l’inglese Soil Association, la Belga Bioforum e l’italiana ICEA). - biodizionario.it: cataloga circa 5 mila ingredienti dei prodotti di bellezza, con un semaforo rosso, giallo e verde per indicare il livello di sicurezza.
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camera con vista
di Gilda Ciaruffoli
Romantiche atmosfere veneziane Lussuosa porta d’ingresso alla Venezia più romantica e nascosta, tra giardini segreti e corti animate, il Papadopoli Venezia è parte di MGallery, esclusiva collezione di hotel dalla personalità unica
L’hotel Papadopoli Venezia sorge al centro del sestiere di Santa Croce, area di antichissimo insediamento, votata a una tradizione artigianale tessile, di cui la toponomastica della zona reca ancora suggestive testimonianze, come il Campo de la Lana o la Calle dei Lavadori de Lana. Con la sua location invidiabile, all’interno degli omonimi Giardini, sul Canale dei Tolentini e vicino al Canal Grande, a pochi minuti da Piazzale Roma e dalla Stazione Santa Lucia, l’hotel si configura come una lussuosa porta d’ingresso alla città, affacciato su uno scenario incantevole, connubio di arte, cultura e storia: la Scuola Grande di San Rocco, affrescata da Tintoretto, la Chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari e la Scuola Grande dei Carmini, testimonianza dell’opera del Tiepolo. Un hotel dalla personalità sobria ed elegante, dall’atmosfera raccolta e sofisticata al contempo, luogo di incontro tra cultura e tradizione veneziana. Le 96 camere e suite, elegantemente arredate e dotate di tutti i più moderni comfort di ospitalità, riflettono lo splendore del XVIII secolo, con vista sul Canale dei Tolentini e sui Giardini Papadopoli. Gli spazi verdi continuano all’interno della struttura con
l’incantevole Giardino d’Inverno Papadopoli, che ospita il ristorante dell’hotel. Progettato nel 1970 da uno dei più importanti architetti paesaggisti del Novecento, Pietro Porcinai, il Giardino d’Inverno rappresenta una sorta di sensibile omaggio allo spirito e alla struttura dell’antico parco, pensato e costruito dall’ex proprietario dell’area, il conte Spiridione Papadopoli (1799-1859) quale romantico dono alla moglie, Teresa Mosconi. Il ristorante, aperto anche alla clientela esterna, rappresenta una nicchia di grande atmosfera, in cui perdersi in un raffinato viaggio enogastronomico alla scoperta dei più autentici sapori della cucina veneta e internazionale: un’esperienza non solo del gusto, ma anche dello spirito. La stessa atmosfera calda e confortevole si ritrova nel Caffè bar Salotto Veneziano, al cui interno si apre l’originale Campiello Corto Maltese, impreziosito da dettagli che richiamano i più caratteristici campielli veneziani. Proprio a Corto Maltese, il leggendario personaggio creato dalla matita di Hugo Pratt, abituale frequentatore dell’hotel, è dedicata la biblioteca ispirata al viaggio, che da sempre rende il caffè del Papadopoli la cornice ideale dei più vivaci incontri culturali della città.
Hotel Papadopoli Venezia Giardini Papadopoli – S. Croce, 245 – Venezia – Tel. 041710400 – www.mgallery.com 112
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week end mare
di Olga Carlini
Una competizione da vivere A Trapani, quattro giorni all’insegna della grande vela. La città siciliana ospita infatti la sesta tappa delle Extreme Sailing Series, tra splendidi catamarani, concerti e spettacoli. E per i più fortunati c’è la possibilità di salpare assieme all’equipaggio
Per il terzo anno consecutivo, dal 13 al 16 settembre, torna a Trapani le grande vela in occasione della sesta tappa del circuito internazionale delle Extreme Sailing Series. Otto spettacolari e velocissimi catamarani Extreme 40 (nella foto), regateranno all’interno del Porto di Trapani con a bordo i migliori velisti del mondo, parte di team prestigiosi come Alinghi, Red Bull Sailing Team e The Wave, Muscat. Il famoso circuito, giunto alla sua sesta stagione, nel 2012 fa tappa in 8 paesi e tre continenti. Il format delle “regate stile stadio” con percorsi brevi, adrenalinici e a pochi metri dalle rive si è dimostrato un successo avvicinando il grande pubblico alla vela; pubblico che infatti, dalle rive, può seguire facilmente le regate. Ma non solo: in palio per gli spettatori anche la possibilità di salire a bordo dei catamarani, affiancando i quattro velisti di ciascun team, nel ruolo di “quinto uomo”, partecipando così dal vivo alla competizione. Il Porto di Trapani offrirà dunque uno spettacolo senza precedenti: uno scenario senza eguali e condizioni meteo eccelletenti faranno da sfondo a regate mozzafiato, di altissimo livello sportivo e ricche di azione. Commento dal vivo, premi in palio, concerti e stand saranno organizzati per gli spettatori durante l’evento, per quattro giorni all’insegna della grande vela e dell’intrattenimento. L’appuntamento dunque si conferma per metà settembre presso il Villaggio Regate delle Extreme Sailing Series che sarà allestito, con ingresso gratuito, lungo le banchine del Porto di Trapani, presso la Stazione Marittima. www. extremesailingseries.com
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arte soste d’arte
di Gilda Ciaruffoli
Artelibro
Foto: Oliviero Toscani
Sul sogno del corpo che “abita” nella città ideale…
“Il collezionismo librario: raccogliere è seminare” è il tema dell’edizione 2012 del Festival del Libro d’Arte. Tra le novità, l’ampia indagine su progetti italiani e internazionali di editoria sperimentale di Fruit, Focus on contemporary art, sezione della mostra mercato di Palazzo Re Enzo dove scoprire e acquistare pubblicazioni d’arte contemporanea generalmente conosciute solo nei circuiti underground. Il programma prevede inoltre: mostre, presentazioni di libri, conferenze e laboratori.
La mostra ripercorre le tappe dell’elegante, ironico, lungimirante e sperimentale percorso artistico di Flavio Lucchini – punto di riferimento imprescindibile parlando di moda ed editoria in Italia (a lui si deve il lancio di Vogue Italia, Amica e Donna) – con le opere realizzate tra i primi anni ’90 e oggi,
8-23 settembre location varie, Piazza del Nettuno – Bologna Info: www.artelibro.it
inserite nelle sale del Palazzo Ducale di Sabbioneta. La mostra è inoltre un’ottima occasione per visitare la bella località lombarda, grandiosa scenografia urbana patrimonio dell’umanità Unesco in quanto esempio perfetto di applicazione delle teorie rinascimentali sulla città ideale.
23 settembre - 28 ottobre Palazzo Ducale - Piazza Ducale - Sabbioneta (Mn) Info: www.flaviolucchiniart.com
Pablo Picasso Con oltre 250 opere, tra dipinti, sculture, fotografie, disegni, libri e stampe provenienti dal Museo Nazionale Picasso di Parigi, la mostra rappresenta un vero e proprio excursus cronologico sulla produzione del maestro spagnolo, e mette a confronto le tecniche e i mezzi espressivi con i quali l’autore si è cimentato nella sua lunga carriera. Grazie ad alcune delle più significative opere del rivoluzionario artista è quindi possibile ripercorre la storia dell’arte del XX secolo all’interno di un percorso espositivo di oltre 2 mila metri quadrati al piano nobile di Palazzo Reale. 20 settembre - 6 gennaio 2013 Palazzo Reale Piazza del Duomo, 12 – Milano www.mostrapicasso.it 114
settembre 2012
Foto: Mikhael Subotzky/ Magnum Photos Corso di acquagym, Villaggio Marzotto, Jesolo
L’Italia e gli italiani nell’obiettivo dei fotografi Magnum
La mostra itinerante con oltre 400 scatti dedicati all’Italia contemporanea e promossa da Intesa Sanpaolo, fa tappa a Vicenza. A ispirare il progetto, la memoria del Grand Tour, momento imprescindibile nella formazione delle classi colte dei secoli scorsi. Come a riprendere questa affascinante tradizione culturale, nove fotografi
dell’Agenzia Magnum, abituati a cimentarsi con scenari di guerra, hanno ripercorso lo Stivale dando vita a un reportage originale: non una ricostruzione nostalgica di paesaggi e prospettive inesorabilmente perdute, ma un’istantanea della vita degli italiani di oggi, e dunque un’importante spunto di riflessione su noi stessi.
21 settembre - 20 gennaio 2013 Palazzo Leoni Montanari - Contra’ Santa Corona, 25 – Vicenza www.italiaitaliani.com - www.palazzomontanari.com
selezioni
Dai Nebrodi, il vero sapore siciliano Gusto Siculo è un brand che seleziona esclusivamente prodotti agroalimentari dell’isola del sole. Un progetto che nasce dalla forte passione per il cibo e il vino, l’artigianalità e la tradizione che si fondono in un unico territorio: la Sicilia Nasce dall’idea di promuovere la cultura enogastronomica siciliana di qualità, Gusto Siculo, grazie anche alla cooperazione di un team di validi agronomi, veterinari, stagionatori e affinatori. Obiettivo del brend è anche quello di accompagnarvi alla scoperta dei monti Nebrodi e del loro Parco: la variegata flora e la ricca fauna presenti in questa riserva naturale sono infatti il fulcro delle tipicità del territorio. Salumi, formaggi, marmellate, conserve, frutta secca e tanto altro ancora che solo la Sicilia può offrire. Con Gusto Siculo si riscopre il gusto dei sapori perduti, quelli di un tempo. Come i formaggi dei Nebrodi, realizzati tradizionalmente grazie all’abilità di sapienti casari che si tramandano il culto di padre in figlio da generazioni. O i salumi di suino nero dei Nebrodi, massima espressione della norcineria siciliana. Razza autoctona antichissima, il suino nero vive allo stato brado e i salumi che se ne ricavano, dal colore rosso intenso, sono qualitativamente eccellenti, con un tenore quasi prevalente di colesterolo HDL cosiddetto “buono” e ricco di ferro. Sono prodotti di Presidio Slow Food. Se sei un’azienda o un privato ordina i tuoi regali “da gustare” (il Natale è vicino!). Se sei uno chef a domicilio prova i nostri prodotti. Se vuoi organizzare un brunch buffet per riunioni di lavoro, un wedding brunch a casa tua o una cena tra amici non esitare a contattarci. Basta un tuo click e spediremo i tuoi prodotti ovunque vorrai! per ordini: ordini@gustosiculo.it - per info: info@gustosiculo.it
Via Archimede, 54 - Palermo - Tel. 0039-0919821050/093278864444 - www.gustosiculo.it
From Nebrodi, real Sicilian taste Gusto Siculo is a premier brand exclusively providing high quality local, traditional island produce The concept behind Gusto Siculo is to promote premier local Sicilian produce that is founded on a long-standing gastronomic tradition, steeped in a passion for quality and excellence. Together, we will embark on a journey of discovery across the Monti Nebrodi region, an area surrounded by breathtaking landscapes, vibrant colours,seductive aromas and rich, diverse flavours. Our aim is to select for you, our highly valued and knowledgeable customers, the best possible regional food and wine. All our products – chees and cold cuts – are certified from their local origins directly to your table, thanks to our highly experienced team of farmers, agriculturalists and specialist cheese and wine makers.
spettacoli
di Gilda Ciaruffoli
Anima Mundi Negli spazi della Cattedrale e del Camposanto Monumentale di Pisa si tengono i sette concerti della Rassegna Internazionale di Musica Sacra, la cui 12ª edizione copre un arco temporale di musica lungo cinque secoli: dalla riscoperta di un dramma barocco in prima esecuzione italiana, alla prima assoluta dell’opera vincitrice del Concorso di composizione di Musica Sacra Anima Mundi 2012. L’apertura è affida all’Orchestra Sinfonica Caikovskij diretta da Vladimir Fedoseyev, che accosta Nikolaj Rimskij-Korsakov e Ottorino Respighi, mentre a chiudere le due settimane di concerti il direttore artistico della manifestazione, Sir John Eliot Gardiner, con il Monteverdi Choir e l’Orchestre Révolutionnaire et Romantique che eseguono la Missa Solemnis di Beethoven. 13-28 settembre location varie, Pisa - Info: www.opapisa.it
Poesia Festival Torna la rassegna di inizio autunno dedicata alla poesia e ai poeti. Accanto ad artisti italiani, affermati o tutti da scoprire, a dialogare sul rapporto tra poesia e libertà di espressione sono quest’anno prestigiosi ospiti internazionali, come l’intellettuale dissidente cinese Yang Lian e la poetessa nicaraguese Claribel Alegría che, nonostante i suoi 88 anni, non ha perso l’energia e la passione politica che l’hanno resa una delle più impegnate intellettuali latinoamericane. Tra gli attori italiani chiamati a mettere in scena opere poetiche: Nicola Piovani, che propone uno spettacolo in musica sui Viaggi di Ulisse, e Alessio Boni con un recital dedicato ad Alda Merini. 27-30 settembre Unione Terre di Castelli in provincia di Modena e comuni di Castelfranco Emilia e Maranello (Mo) - Info: www.poesiafestival.it
MITO Settembremusica Un ricco programma di concerti e spettacoli – dalla classica a jazz, rock e pop, dalla musica antica a quella d’avanguardia, fino alle tendenze più innovative – travolge il centro storico e le più importanti location musicali delle due principali città del Nord Italia. Centonovanta gli appuntamenti di cui 156 concerti, più di 4100 artisti coinvolti, per un Festival accessibile a tutti grazie all’abbattimento dei prezzi e ai tanti spettacoli offerti gratuitamente, che diventano non solo occasione di svago, ma anche momento di educazione musicale attraverso le guide all’ascolto, i colloqui con i musicisti, gli incontri nelle scuole e la diffusione nelle periferie. 5-23 settembre
Ammutinamenti I luoghi più significativi di Ravenna ospitano la 14ª edizione del Festival di danza urbana e d’autore, diviso in tre sezioni: Darsena Dance Raids, uno sguardo sul lavoro delle grandi compagnie; la Vetrina dei giovani danzatori, palcoscenico per artisti provenienti da tutta Italia; e la Video dance, dove il movimento del corpo incontra l’immagine in movimento. Novità di questa edizione i Laboratori d’Autore che si svolgono durante tutta l’estate per offrire uno spazio di incontro e confronto tra giovani danzatori, autori emergenti e formatori affermati. Gli esiti dei laboratori sono oggetto di prove aperte e dimostrazioni pubbliche. 7-16 settembre location varie, Ravenna - Info: www.festivalammutinamenti.org 116
settembre 2012
Foto: Carlo Rotondo
location varie, Milano e Torino - Info: www.mitosettembremusica.it
1994 - 2012. 52 vittorie nei pi첫 importanti e prestigiosi Concorsi Enologici Internazionali sono la conferma del successo che il Maria Costanza ha ottenuto in tutto il mondo.
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libri letti per voi
di Gilda Ciaruffoli
Ogni tanto mangio un fiore...
Altro che “solita minestra”
«Un piatto a base di fiori è quanto di più poetico si possa pensare di mangiare». Ce lo racconta Daniela Bencivenni, autrice, con Cecilia Meacci, di questo interessante testo.
Lo scrittore e giornalista Michele Marziani ci racconta la sua idea di cucina, fatta di semplicità, inventiva e amore.
Cosa rende questo libro “appetibile”? È un libro che racconta una cucina contemporanea, urbana, quotidiana e alla portata di tutti, fresca, stagionale e golosa. Non sono un cuoco né un esperto, ma sono un curioso dotato degli attrezzi che normalmente si trovano in tutte le case. Una ricetta tipo? La pasta con il pesto e i pendolini. Basta un guizzo di sapore, lo spostare un ingrediente, il sentore di pomodoro, l’aggiunta delle olive nere tostate e la “solita minestra” diventa un piacere del tutto inatteso. A chi è dedicato? A chi difficilmente ha più di mezz’ora di tempo per far da mangiare ma non crede che questo lo costringa a nutrirsi di junk food. Fare un risotto o scaldarne uno già pronto richiede quasi lo stesso tempo. Chi è Giulia? La mia figlia maggiore, alla quale ho preparato il pranzo per anni quando tornava da scuola. Sono un padre goloso ma al tempo stesso molto indaffarato. Credo che i buoni sapori debbano abitare nella vita quotidiana. Adesso cucino per Ludovico, suo fratello.
Di cosa “sanno” i fiori? In generale si può dire che i fiori delle aromatiche mantengono più o meno lo stesso profumo che la pianta emana, come avviene per la lavanda, il rosmarino o la maggiorana; altri fiori acquistano nella cottura un sapore più delicato ma allo stesso tempo particolare, come i fiori di zucca o di acacia. La ricetta più curiosa? L’aperitivo analcolico a base di fiori di Sambuco, un’acqua dissetante che si prepara facilmente. È sufficiente mettere in una brocca d’acqua due corimbi di Sambuco, 5 o 6 foglie di menta, una fetta di limone e un cucchiaio di zucchero possibilmente integrale. Si beve fresca dopo circa un’ora di infusione. Qualche segreto per un perfetto piatto “floreale”? Per preservare freschezza e gusto dei fiori è importante coglierli al mattino quando la rugiada è evaporata; evitare l’accostamento con sapori troppo decisi e infine lasciarsi guidare dal proprio gusto giocando con i colori e i profumi dei fiori, rigorosamente scelti tra quelli alimentari.
Guido Tommasi Editore 13 euro
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Parola d’ordine: rispetto Lucio Cavazzoni, presidente di Alce Nero e Mielizia, presenta il libro che raccoglie 26 storie di “persone vere”, donne e uomini, giovani e meno giovani che raccontano un diverso, e fattibile, modello agricolo, un nuovo modo di intendere l’economia. A chi è dedicato questo libro? È dedicato a quanti, producendo cibo vero da un’agricoltura sostenibile, che non consuma le risorse, si impegnano a non offendere la terra, a rispettarla. Una storia emblematica? Quella di Massimo Rocco e degli altri ragazzi della Cooperativa Le Terre di Don Peppe Diana, che con coraggio grazie alla collaborazione di allevatori di bufale come Nicola e Alessandra Cecere producono in un caseificio nel Casterano, nelle terre del degrado liberate dalla camorra, la mozzarella di bufala biologica di Libera Terra. Qualche consiglio per una vita metropolitana più “sostenibile”? Scegliere per se stessi cibo vero, biologico, che significa anche sostenere queste esperienze di rispetto della terra e del lavoro delle persone, e non solo nutrirsi in modo buono e sano. Giunti editore 12 euro
Libreria Editrice Fiorentina 2 euro
trendy
di Claudia Dagrada
Dandy è chic. Anche per lei Miu Miu sa come donare alla femminilità note allegre e ricercate persino nei mesi più grigi dell’anno: dalle mise con toni maschili, fino alle nuove slippers e al raffinato bauletto, la donna di questo autunno/inverno della maison milanese non ha certo problemi a farsi notare!
Un settembre particolarmente originale e sofisticato quello di Miu Miu… In effetti, per questo inizio di autunno, la maison ha sviluppato il guardaroba femminile partendo dai capisaldi dell’abbigliamento maschile, un’idea precisa che nasce dall’ossessione per il pantalone e si sviluppa reinterpretando il tailleur. Una svolta inaspettata che abbina tessuti, colori e fantasie di giacche, pantaloni e camicie dal collo alto, costruendo uno stile che richiama il dandismo inglese. I tessuti lavorati, optical e floreali, che si uniscono a una vasta gamma di colori in tinta unita, creano nuove suggestioni mentre la cravatta sottolinea cura per i dettagli ed eccentricità in un delirio psichedelico di fantasie.
Ma “maschile” è sinonimo di “comodo”? Anche! Miu Miu rivisita infatti le Slippers, classiche calzature da camera maschili che, realizzate in elegante velluto, satin o vernice, uniscono tradizione artigiana e ricerca estetica riprendendo forme dal fascino regale. Impreziosite da dettagli ricercati, come ad esempio il ricamo sulla tomaia, il fiocco applicato e il taccogioiello con cristalli, le Slippers Miu Miu sono declinate nei toni del bleu, bordeaux, ottanio, ibisco, nudo e nero. Comode ed eccentriche al punto giusto.
A una mise impeccabile non poteva certo mancare l’accessorio più di tendenza: la borsa, o meglio, il bauletto… E infatti per questo autunno anche la collezione Madras si arricchisce di una nuova e raffinata versione. Disponibile nei toni del rosa, aviazione, cuoio, arancio, viola e fuxia, il bauletto Miu Miu spicca per la sua eleganza e la linearità delle forme. L’iconico pellame viene trattato con una speciale lavorazione a base di cere naturali, che ne valorizza la grana originale mettendo in risalto la lucentezza. Perfetto per ogni occasione, il bauletto è dotato di tracolla removibile, fodera in pelle scamosciata e dettagli in metallo color oro.
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settembre 2012
Risi d’eccezione e prodotti di qualità a pochi km da Milano. Qui la tormentata domanda: “Cosa regalo a Natale?” trova la soluzione ideale!
Azienda Agricola Zerbi Antonio & C. via Roma, 67 - Pieve Albignola (Pv) Tel. 0382999382 Cell. 3358069520 /3397499440 e-mail: zerbia@tin.it www.risozerbi.it
selezioni
Amorosso:
vino per salutisti La rivoluzione nel bicchiere parte dalla cantina Diomede di Acerenza in Basilicata. Zero conservanti e solfiti per un vitigno 100% Aglianico Doc. Se passate da Milano, assaggiatelo presso le luxury suite di via San Pietro all’Orto 6 Amorosso è un vino totalmente privo di solfiti (sia aggiunti che di fermentazione), ovvero privo dei conservanti utilizzati nella produzione di praticamente tutti i vini rossi e bianchi per mantenerne il colore e la durata. I solfiti, anche noti come anidride solforosa (E220), hanno un’azione tossica sul corpo umano causando cefalee (il “cerchio alla testa”), gastralgie e reazioni allergiche. I solfiti sono anche responsabili della formazione di radicali liberi causa dell’invecchiamento dei tessuti umani. Quindi, un vino senza solfiti, può a ben titolo essere definito un wellness wine ovvero un vino pensato per chi è attento alla propria salute. Ma come mai finora nessuno aveva provato a produrre vini privi di conservati chimici? Perché fino a due anni fa non era disponibile il nuovo processo produttivo, al 100% naturale, messo a punto dall’Università di Verona e dal CNR di Pisa e denominato Freewine. Tale processo permette di ridurre la carica batteri-
selezioni
ca del vino attraverso una filtrazione con raggi UV e anche di ridurre a zero la presenza di ossigeno disciolto nel vino stesso (che innescherebbe i processo di ossidazione). L’Amorosso con zero solfiti è ottenuto da vitigni sani al 100%, con uva raccolta a mano – quindi con zero impurità – e segue un processo di trasformazione con macchinari dedicati e ipercontrollati presso la cantina Diomede di Acerenza (Potenza). Il vino Amorosso è prodotto in purezza con uve Aglianico del Vulture in una delle regioni più salubri e naturali d’Italia: la Basilicata. La sua origine è Mediorientale ed è considerato uno dei più antichi e longevi tra i vitigni italiani. Le uve Aglianico inoltre sono naturalmente ricche di polifenoli che aiutano il corpo umano a star meglio fungendo da antiossidanti e antiinfiammatori naturali. Per questo motivo Amorosso presenta nel proprio pack una dettagliata scheda con i valori nutrizionali tra cui il potere ORAC (oxygen radicasl absorbance capacity) ovvero la capacità di assorbire i radicali liberi. Dalla sperimentazione empirica di Amorosso si è notato che provoca la piacevole euforia tipica del vino migliorando inoltre la capacità di digestione dopo cena. Alla creazione del vino Amorosso hanno partecipato: Piergiorgio Mangialardi e Luigi Lenoci (imprenditori che hanno dato vita al progetto e investito), Luca Pugliese (enologo), Fabio Tonello (partner del progetto e presidente del gruppo Antoitalia), le cugine Annalisa e Giovanna Sacco, e Arrigo Cipriani (sì, proprio il patron del famoso Harry’s Bar di Venezia).
In apertura la bella etichetta di Amorosso, che lo rende un vino simbolo dell’Italia non solo per la qualità del prodotto ma anche per la particolare cura posta al design del suo packaging
Un successo in 4 punti • Amorosso è un vino morbido, piacevole e corposo che piace sia alle donne che agli uomini. • È il primo wellness wine al mondo in quanto totalmente privo di conservanti (solfiti). • È prodotto dal vitigno più antico e salubre del sud Italia: le uve sono 100% Aglianico. • Amorosso è Italian style per il pack, il logo e la capacità di mettere allegria e gioia di vivere.
www.amorosso.it
Come degustarlo Ogni bottiglia di Amorosso è rivestita di una brochure cartacea che spiega in dettaglio le qualità del vino e lo rende ancora di più unico ed esclusivo. Amorosso va servito alla temperatura di 16°C, quindi leggermente più fresco rispetto ai soliti rossi ed è venduto al ristorante al prezzo di 25 euro a bottiglia. Attenzione: non è distribuito in enoteca. Si può però ordinare direttamente (usufruendo di sconti particolari) con spedizione a casa scrivendo alla mail vino@amorosso.it o telefonando al numero 0291705624. In Lombardia si può trovare Amorosso presso le luxury suite di via San Pietro all’Orto 6 di Milano. Ma quali sono gli abbinamenti più adatti? Sicuramente i primi piatti di pasta e i risotti, e ancora funghi, tartufo, pesce al sale e al forno, verdure, formaggi freschi, carpaccio, tartare, panzerotti e focacce. Nel sito www.amorosso.it è possibile trovare maggiori informazioni e un’ampia documentazione sui problemi che i solfiti causano alla salute dell’uomo.
selezioni
Un racconto al profumo di Aglianico Cantine del Notaio: la storia di una famiglia e di un territorio (forse poco noto) che vale davvero la pena di conoscere «La nostra è la classica storia di una delle tante famiglie lucane dedite alla viticoltura. Una storia che parla di sfida e di passione». A raccontarci le vicissitudini che l’hanno portato a fondare le Cantine del Notaio, realizzando le aspirazioni da sempre vive nella sua famiglia e i desideri del suo omonimo nonno, è Gerardo Giuratrabocchetti. «Per sfuggire alle difficoltà economiche – prosegue il racconto – all’inizio del secolo scorso nonno Gerardo è arrivato fino in America. Il richiamo della propria terra però si faceva sentire troppo forte e quindi, dopo aver messo da parte qualche dollaro, si è deciso a tornare nel paese nel Vulture, Maschito, dal quale era partito». Una volta a casa, Gerardo si sposa e, con Giulia, decide che almeno uno dei suoi quattro figli sarebbe dovuto diventare “dottore”. Consalvo diventa quindi Notaio, ma Gerardo non è ancora pago. Ormai anziano, decide per tutti: la sua vigna dovrà andare all’unico nipote che si chiama come lui, il figlio di quel Consalvo che aveva voluto mantenere salda l’antica usanza di imporre ai figli il nome dei propri genitori: Gerardo e Giulia. «E io ho studiato, mi sono laureato con il massimo dei voti in Scienze Agrarie, sono diventato dirigente occupandomi di miglioramento genetico… ma ho trascurato le vigne!», ammette Gerardo “jr”. Che però, a quarant’anni esatti, comprende finalmente il messaggio del nonno e trova il coraggio di abbandonare carriera, suc-
cesso e posizione economica per fondare, d’accordo con la moglie Marcella (sono insieme nella foto a destra), le Cantine del Notaio. È il 1998. «L’azienda è nata con un ambizioso progetto viticolo: studiare l’Aglianico del Vulture nel suo ambiente. Aglianico che trova nelle condizioni pedologiche (il tufo vulcanico) e in quelle climatiche (estati torride e siccitose, inverni rigidi, salti termici giorno-notte di oltre 15-20 gradi durante la maturazione dell’uva, per la presenza del Vulture, vulcano dormiente che richiama aria fresca) di quest’area le ragioni del suo successo» conclude Gerardo. Le Cantine del Notaio sono dunque legate a doppio filo alla natura del territorio che le accoglie e visitarle significa scoprire un mondo ancora poco noto. Un esempio? Le cantine di affinamento scavate nel tufo vulcanico risalenti almeno al 1600. Corrono sotto le strade e le case di Rionero in Vulture, e costituiscono un itinerario suggestivo nell’ambito di un territorio ricco di storia (dagli Enotri ai Greci, dai Normanni agli Svevi, dai Borbone ai moti del brigantaggio post unitario, tutti sono passati di qui!) e meraviglie della natura (i laghi di Monticchio con la splendida Badia Benedettina), che vale davvero la pena di visitare. Cantine del Notaio Via Roma, 159 - Rionero in Vulture (Pz) Tel. 3356842483 / 0972723689 www.cantinedelnotaio.it
Un vitigno eclettico Dallo studio dell’Aglianico del Vulture, dall’incontro con il Professor Luigi Moio, uno dei padri dell’Aglianico moderno, e dalla voglia di dimostrare l’eclettismo di questo tardivo vitigno (la vendemmia termina a fine novembre!), Cantine del Notaio dà vita a 9 vini diversi tutti a base di Aglianico del Vulture. Si va dallo spumante metodo classico (La Stipula bianco e rosè) ai bianchi (Il Preliminare e La Raccolta), dal rosato (Il Rogito) ai rossi (L’Atto, Il Repertorio, La Firma e Il Sigillo). Tutti i nomi ricordano l’attività notarile, tutti i vini sono originali e unici nella loro interpretazione di questo straordinario vitigno.
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Vdg selezioni
Il vero gusto italiano dovunque sei! È esperienza comune: oltre i confini nazionali alleviare la nostalgia di casa mangiando un buon piatto di pasta è praticamente impossibile. E che dire dei tanti, tantissimi stranieri che amano la nostra cucina ma che non trovano i giusti ingredienti o non hanno idea di come dosare, unire e cuocere la materia prima nel modo giusto. La soluzione a questi problemi è tanto semplice quanto rivoluzionaria. E sta tutta chiusa in una scatola!
«Il gusto e il profumo dei tradizionali primi piatti della cucina Italiana rievocano i sapori autentici e semplici legati agli antichi rituali della mietitura del grano, della vendemmia, della raccolta del pomodoro nei campi assolati, della spremitura delle olive nei lenti autunni e del risveglio primaverile ed estivo dei fertili orti mediterranei. I ricordi più belli della mia primissima infanzia». A evocare queste immagini serene e nostalgiche è Antonio Ranaldo, interpretando però – ne siamo sicuri – il pensiero di tutti. Noi italiani infatti sappiamo molto bene che dietro un fumante piatto di spaghetti al pomodoro c’è molto di più del piacevole gusto di materia prima di qualità e del valore nutrizionale dei singoli ingredienti. C’è il profumo della conserva sul fuoco, l’immagine di mamme in cucina la domenica mattina, la gioia di un pranzo sotto il sole estivo in mezzo alla campagna. Questo nostro immaginario gustoso ed emozionante ha però varcato i confini nazionali, diventando patrimonio comune: da New York a Singapore, chi sceglie di preparare un piatto di pasta lo fa anche per evocare un’idea di
convivialità, allegria e buon vivere tutti italiani. Certo noi lo facciamo a occhi chiusi, ma sappiamo bene che preparare un piatto di pasta per uno straniero può non essere cosa semplice. E quando le aspettative sono quelle sopra descritte ma la pasta nel piatto è scotta, insipida a mal condita, tutta la poesia viene meno. E della cucina italiana resta un’idea che più sbagliata non si può! È stato proprio durante una di queste cene “all’italiana” mal riuscite che ad Antonio Ranaldo è venuta l’idea di “Chef dovunque”.
Intuzioni semplicemente rivoluzionarie «Mi trovavo in Perù e, in occasione di una cena con degli amici del posto, mi sono reso conto di quanto la cucina italiana fosse amata ma, al contempo, mistificata», ci racconta Ranaldo. «Il problema principale era la mancanza della materia prima, degli ingredienti necessari alla buona riuscita del piatto. Mi trovavo nel paese che rappresenta l’ultimo presidio prima della Foresta Amazzonica dove, nell’unico negozio della zona, era possibile acquistare la pasta e nient’altro. Oltre a ciò, nella preparazione venivano fatti errori tecnici madornali come quello di buttare la pasta nell’acqua ancora fredda! È nata così l’idea del kit, grazie al quale oggi anche gli indigeni del Perù possono farsi un cacio e pepe come si deve!». Era il 2000 e l’idea a nascere era quella di “Chef dovunque”, la soluzione moderna per concedersi primi piatti della cucina italiana, che conservano ed esaltano tradizioni gastronomiche antiche e uniche, realizzati con ingredienti artigianali e rigorosamente provenienti da agricoltura biologica. L’idea geniale è quella di offrire, in un’unica confezione, tutti gli ingredienti già dosati, selezionati e di assoluta qualità per preparare 2/3 porzioni di pasta grazie anche a istruzioni chiaramente esposte e supportate da immagini “fase per fase” che consentono a chiunque di sentirsi proprio uno “chef dovunque”. In realtà il progetto è rimasto fermo per qualche anno, fino al 2006 quando Antonio Ranaldo ha fatto domanda per il brevetto, visto che il concept stava riscuotendo molto successo. «E il brevetto è arrivato nel luglio del 2011 – ci racconta Ranaldo – e da quel momento il progetto ha vissuto un notevole sviluppo. È stato bello vedere la mia grande passione per la cucina italiana trasformarsi in un’opportunità di lavoro». Opportunità che ha anche portato alla creazione di una società specifica, la B.T. Food, nell’ambito della B.T. Holding. B.T. Food srl è nata nel dicembre 2010 ed è licenziataria dei marchi “Chef dovunque”
Cosa bolle in pentola E se, come abbiamo detto, gli spaghetti cacio e pepe sono la proposta che più incuriosisce gli acquirenti, anche italiani, tra le ricette base dei semplici piatti della tradizione che si possono trovare tra i prodotti “Chef dovunque” – tutti realizzati con prodotti a filiera 100% italiana e biologica – tante sono le varianti con le quali sbizzarrirsi per realizzare un primo piatto eccellente. Oltre a cacio e pepe troviamo, sempre tra le specialità laziali (le prime di un progetto di promozione e valorizzazione dell’eccellenze regionali italiane, realizzate attraverso filiera corta con le aziende agricole ed artigianali, selezionate in collaborazione con l’Assessorato alle Politiche Agricole della Regione Lazio, attestata dal logo Istituzionale e dal patrocinio della Provincia di Roma), gli spaghetti aglio, olio e peperoncino e le pennette all’arrabbiata. Tra quelle campane invece i classici spaghetti pomodoro e basilico. Sempre in tema Napoli, tra le nuove proposte “Chef dovunque” c’è anche “Tutt’altroAroma”, confezione che consente di prepararsi un buon caffè italiano bio, noto per la capacità di creare miscele così pregiate da garantire un aroma unico al mondo, anche all’estero. Con tutto l’occorrente (compreso di moka e tazzine) e seguendo le semplici e tradizionali fasi di preparazione, “Tutt’altroAroma” accompagna piacevolmente i diversi momenti dello stare insieme. Da non dimenticare, infine, le pennette all’arrabbiata e le mezzemaniche cacio e pepe “Solo mio”, realizzate in porzioni monodose e studiate appositamente per single, studenti universitari o per coloro che desiderano prepararsi un piatto caldo anche durante la pausa pranzo in ufficio. Con “Solo mio” si utilizza l’efficace tecnica di cottura cosiddetta “risottatura della pasta”, che consente all’amido di interagire con gli altri ingredienti, dando vita a un gustoso piatto con il solo utilizzo di un padellino.
Vdg selezioni
“Chef dovunque”, sì, ma dove? A quanti all’estero e in Italia desiderano cucinare e gustare un piatto di pasta; ai turisti che visitano il nostro Paese; a chi non sa cucinare; a chi ha fretta ma non intende rinunciare a un sano e buon piatto di pasta preparato con le proprie mani. A tutti i buongustai... A tutti loro, e quindi un po’ a tutti noi, sono dedicate le confezioni “Chef dovunque”, acquistabili in svariati punti vendita. La linea Premium è presente nei punti vendita Autogrill (negli aeroporti e nelle autostrade, seguiti da stazioni ferroviarie e con una presenza selettiva nelle vie principali delle città, centri commerciali, fiere, musei e altre strutture culturali), e in quelli MyChef, presenti in tutte le maggiori tratte autostradali italiane; e ancora negli alberghi convenzionati Convenzione Federalberghi Roma, sul portale e negli alberghi affiliati EcoWorldhotel (il primo booking online di alberghi e b&b ecosostenibili) e persino nelle basi Nato nazionali e internazionali! A ottobre la linea Premium sarà anche nei punti vendita Coin e altre trattative sono in atto proprio in questi giorni. La linea Basic è al momento disponibile presso i punti vendita Ipercoop Livorno, Ipercoop Roma Eur, Ipercoop Casilino.
In questa pagina, da sinistra: le pennette all’arrabbiata “Solo mio” e le confezioni della linea Basic. Nella pagina precedente, Antonio Ranaldo e, sotto, le confezioni della linea Premium
La cosa incredibile dei kit “Chef dovunque” è l’ottimo successo ottenuto sul mercato italiano. Le ricette regionali infatti sono state apprezzatissime, con gli spaghetti cacio e pepe sul podio delle vendite
e “Quanto Basta” di Antonio Ranaldo. L’azienda si occupa principalmente dell’assemblaggio delle scatole “Chef dovunque”, dalla definizione delle ricette alla selezione delle materie prime, fino alla loro commercializzazione e promozione. «È passato poco più di un anno da quel luglio 2011 e i risultati sono stati molto buoni. La cosa incredibile è l’ottimo successo ottenuto sul mercato italiano. Mai l’avrei immaginato, e invece le ricette regionali sono state apprezzatissime. Penso ad esempio a un milanese che si voglia mangiare un cacio e pepe ben fatto e grazie a ingredienti dosati e di alta qualità, e a istruzioni precise, riesce a prepararlo e a mangiarlo come se fosse a Roma!». Quale sia la ricetta più apprezzata, in Italia e all’estero, a questo punto è semplice da intuire: proprio l’ottima, semplice (ma affatto facile da preparare senza le giuste indicazioni) cacio e pepe! «Mi auguro che i miei “Chef dovunque” possano concorrere, in maniera facile, moderna e sana a divulgare ovunque nel mondo la nostra cultura, perché non venga dispersa o mistificata come purtroppo spesso accade – conclude Antonio Ranaldo – tanto più che preferire prodotti biologici in packaging ecocompatibile permette di salvaguardare la qualità dell’ambiente che ci circonda e la nostra salute aderendo perfettamente al concetto di sviluppo sostenibile che oggi dovrebbe governare tutte le scelte quotidiane».
selezioni
“Piacere, Dolcetto!” Vai un giorno nelle Langhe, e incontrerai il più amichevole dei vini piemontesi: il Dolcetto. Vorrai starci di più e troverai millequattrocento Giornate: Le Vigne del Piacere. Già le chiamano “Pleasure Vineyards”
La Giornata (in piemontese giornà) è un’antica unità di misura di superficie utilizzata in Piemonte che a Clavesana, nella più grande cooperazione su Terra per il Dolcetto, viene usata tutt’oggi. L’origine del nome deriva dalla corrispondenza con la quantità di terreno arabile mediamente con una coppia di buoi in una giornata. Una giornata piemontese equivale a 3.810 m². La grandezza di Clavesana sta nel piccolo di ogni singola giornata. Scorre ma non passa e quelle che contano per particolari che andrebbero perduti nella Cuvée, vengono vinificate “allagiornata”. A Clavesana non mancan le giornate a chi ne sa approfittare. Sono quasi 1400, ossia 515 ettari di vigna. E le giornate passano, ma senza ferire l’eternità. Piegate strette e miniaturizzate dalle alpi innevate a nord e ovest, con due dei
vini più bramati al mondo – Barolo e Barbaresco – le colline delle Langhe sono la risposta italiana alla Côte d’Or. Nelle Langhe si entra per Clavesana – il paesino vicino a Mondovì, chiamato anche la “Porta della Langa”. Il nome “Clavesana” lo portano trecentocinquanta famiglie di viticoltori che sotto questo cielo e con lo stesso orizzonte coltivano il più amichevole dei vini piemontesi: il Dolcetto. “Siamo Dolcetto” – si presentano con questo semplice plurale singolare. Per incontrarli di persona potrete visitare la Dolcetteria – l’Enoteca di Clavesana. I Paesini vicini sono: Carrù – nota per essere il capoluogo della “Patria del Bollito” (e alcuno dei Coviticoltori in Clavesana sono loro stessi anche allevatori del Bue Grasso di Carrù e ne difendono la razza) e poi c’è Dogliani, che da il nome al Dolcetto ori-
ginale (le sue colline sono il luogo d’origine del Düset, dialetto per gli alti dossi prediletti dal Dolcetto, uva difficile per un vino-terroir vero e semplice – che predilige le alti cime delle colline). Qui, a Dogliani, i suoi capostipiti, la sua terra elettiva e classica – ora ufficialmente in una sua propria DOCG. Nella Dolcetteria troverete anche il Barolo, il Moscato, la Barbera e le altre principali denominazioni delle Langhe – tutte originarie di due, tre, quattro Giornate: tanto piccoli sono i vigneti di proprietà dei singoli Coviticoltori riuniti in Clavesana. Dopo la loro cinquantatreesima vendemmia – questa che viene –, sapremo quali sono le prime 53 famiglie di Coviticoltori che apriranno le loro cascine e le loro vigne ai visitatori di VdG Magazine - Viaggi del Gusto. Per ora potete chiederlo direttamente a Gianluca e Romano che vi accoglieranno nella Dolcetteria. Di Clavesana hanno scritto che è la “Cantina che trascina un paese”. Il credo del Dolcetto è “volere non dolere”! il Dolcetto è semplice, chiaro, comprensibile, evidente, limpido, fondamentale, primario, basilare. Il Dolcetto è … elementare. Non facile, ma elementare. “Ne siamo convinti. Siamo Dolcetto noi. A noi, che siamo Dolcetto, han dato l’ostinazione. Ne abbiamo sempre avuto bisogno. Abbiamo imparato che chi non ha bisogni propri, difficilmente si ricorda di quelli degli altri” – così ci dicono Anna Bracco, direttrice in Clavesana e Giovanni Bracco, Presidente in Clavesana. “Abbiamo acquistato la Scuola Elementare delle Surie per riaprirla a tutti coloro che hanno imparato ad apprendere, ad apprendere per tutta la vita dalla vita stessa. Per tutti coloro che sono nel proprio elemento. Per educarci con maggior disciplina ancora al bene della nostra popolazione. Elementare: Dolcetto docet.”
Cantina Clavesana Fraz. Madonna della Neve, 19 Clavesana (Cn) tel. 0173970451 siamodolcetto@inclavesana.it www.inclavesana.it